“ Che cosa devo fare?” Le basi delle Difficoltà di Apprendimento della Lingua Straniera nei Disturbi Specifici di Apprendimento di Enrico Rialti * Aprile 2011 *Enrico Rialti P sicolinguista, Tutor dell'Apprendimento Esperto in Difficoltà di Apprendimento della Lingua Straniera Sempre più spesso le realtà scolastiche sono chiamate a confrontarsi con studenti che presentano difficoltà specifiche o disturbi che inficiano il sereno conseguimento degli apprendimenti. Realtà entrata solo recentemente con prepotenza nel linguaggio d'uso comune, condizione che coinvolge percentuali tutt'altro che ignorabili di soggetti in età scolare, i Disturbi Specifici di Apprendimento e la Dislessia impongono alla scuola una presa di posizione subitanea e un intervento attivo, pronto, intelligente. Non si tratta di colmare semplicemente un gap (in Italia questa sensibilità, ancora a dire il vero “ a macchia di leopardo”, ha tardato notevolmente a diffondersi) ma di scorgere in questa richiesta di intervento l'occasione per una vera e propria sfida educativa, il momento per rinnovare la concezione di cosa è scuola e cosa è apprendimento. I disturbi specifici di Apprendimento, d'ora in avanti DSA, infatti pongono un limite invalicabile alla “prassi” standard scolastica, e con prassi si intende un'abitudine dettata dall'uso comune e perpetrato nel tempo ma non sostenuto da forti basi teoriche che lo giustifichino: nei DSA insegnamento non corrisponde ad apprendimento. I bambini ( e per essere corretti anche i ragazzi e i gli adulti) dislessici non riescono ad imparare in modo automatico ovvero semplicemente a seguito dell'esposizione ripetuta ad una nozione; necessitano invece di percorsi di apprendimento fortemente significativi e in cui il come dell'apprendimento detiene un ruolo primario, paritario a quello del cosa. Questa caratteristica è una vera e propria sfida non solo per loro, diretti interessati, ma anche per la scuola e la famiglia: sembra quasi che queste diverse modalità di apprendimento vengano viste come una perturbazione dell'equilibrio educativo che mal volentieri contempla l'idea che apprendere non sia scontato. In realtà non poter tracciare un filo diretto tra insegnamento e apprendimento può essere una ricchezza conoscitiva per il mondo dell'educazione: non potendo infatti dar niente per scontato si è condotti ad un'analisi più attenta, profonda, di cosa significa imparare. Avvicinarsi dunque con interesse e rispetto alle difficoltà di apprendimento, nelle loro svariate sfaccettature, per comprendere le loro origini e le loro basi ci appare come uno dei più validi strumenti di ricerca e intervento per la nuova pedagogia. Una delle difficoltà maggiori che possono incontrare i soggetti con DSA nella loro carriera scolastica è la lingua straniera. La lingua inglese è ormai uno dei cardini nei programmi educativi italiani e accompagna la scolarizzazione di ciascuno studente sin dalla scuola primaria. Ci sono una serie di domande che emergono e chi sembrano degne di attenzione. Come mai imparare una lingua come l'inglese è così complesso per gli studenti con DSA? Quali sono queste difficoltà specifiche e come si riconoscono? Cosa può fare la scuola per intervenire in merito? Esiste poi una domanda più profonda e che, forse, non sempre viene affrontata di primo acchito. Perché insegnare l'inglese e le lingue straniere a questi studenti? Per quanto apparentemente scontata, questa domanda non è realmente affrontata esplicitamente nella quotidianità dell'insegnamento. Ritengo invece che il Perché sia il primo quesito da porsi se si vuole intervenire efficacemente con questi ragazzi: conoscere l'obiettivo del nostro intervento è la consapevolezza che getta luce sulla strada da intraprendersi. La consapevolezza di come mai si impara una lingua e come mai TUTTI devono imparare una lingua è spesso manchevole e poco incentivata dalla scuola di oggi. La spinta motivazionale lavorativa (chiedete agli studenti come mai imparano l'inglese e vi risponderanno prontamente “perché ormai qualunque lavoro tu voglia fare non puoi farlo senza conoscere l'inglese”) non è in realtà fortemente radicata negli studenti. Vi esorto a riflettere su quanto, secondo voi, una prospettiva così lontana nel tempo possa essere una vera motivazione (nel senso proprio della parola, ovvero di “motus” ad apprendere) per uno studente delle scuole medie e prima ancora. In questo articolo cercheremo di tracciare un profilo di studente con Difficoltà di Apprendimento della Lingua Straniera, di collocarlo nella più ampia categoria nosografica dei DSA e di mostrare PERCHE' anche per lui apprendere una lingua sia un obiettivo fondamentale e come tale obiettivo non possa essere perseguito se non in un cambiamento di prospettiva, nella condivisione di conoscenze didattiche e pedagogiche profonde, stabili, poggianti su forti basi teoriche. Partirei con l'analizzare l'importanza della conoscenza delle basi neuropsicologiche e linguistiche delle difficoltà con la lingua straniera. Conoscere è il primo vero strumento pratico e pragmatico per intervenire efficacemente. Non solo perché consente di possedere un ventaglio ampio di metodologie, ma soprattutto in quanto garantisce il rapporto tra docente e discente che è il fulcro dell'educazione. Per poter insegnare a “Giovanni” è fondamentale conoscere Giovanni. Per poter insegnare al Giovanni dislessico è fondamentale conoscere Giovanni e la dislessia. Ecco perché percorrere quali siano le basi profonde di queste difficoltà linguistiche è il primo passo fondamentale per fornire risposte coerenti alle necessità degli studenti. In genere si suole ricondurre le difficoltà esperite dai soggetti con DSA nell'apprendere una lingua straniera alla “non trasparenza del sistema ortografico”. La “trasparenza” di una lingua fa riferimento alla facilità per il lettore ad acquisire regole stabili e coerenti di conversione tra il grafema (la forma scritta delle lettere) e il fonema (il suono ad esse ricondotto): lingue come l'italiano sono sostanzialmente trasparenti in quanto il loro sistema ortografico possiede poche eccezioni alle normali regole di decodifica; una lingua come l'inglese è invece definita “opaca” o non trasparente in quanto le irregolarità sono decisamente maggiori. E' chiaro che in un soggetto con difficoltà di lettura il carico apportato da una lingua con minori regolarità è profondamente invalidante e gli errori si moltiplicheranno sia in qualità sia in quantità. Questa è sostanzialmente l'origine che molti implicano alle difficoltà di apprendimento di una lingua straniera (in particolar modo l'inglese) nei soggetti con DSA. Insomma secondo questa posizione, dal momento che la dislessia comporta difficoltà nei processi di conversione grafema/fonema e viceversa, lingue con ortografia altamente irregolare andrebbero ad amplificare tali difficoltà determinando non un disturbo “diverso” ma più invasivo. Questa condizione è indubbiamente presente e riveste un ruolo importante nel determinare le DALS negli studenti dislessici, tuttavia non esaurisce il problema non potendo spiegare l'ampia gamma di disordini linguistici riscontrabili nella lingua orale né tanto meno l'abbondanza di testi di riferimento in letteratura anglofona che affrontano sistematicamente il problema dell'apprendimento della lingua straniera in bambini inglesi o americani e apprendenti lingue con sistemi ortografici dotati di maggiore trasparenza (come lo spagnolo). Tale interpretazione parziale, per quanto reale, del problema ha condotto inevitabilmente a conclusioni affrettate sul versante dell'intervento. La nota del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca numero 4099 del 5 ottobre 2004, indirizzata agli Uffici Scolastici Regionali indica come eventuale strumento dispensativo da consentire agli studenti dislessici la “dispensa ove necessario dello studio della lingua straniera in forma scritta”. Tale intervento presupponeva che privando lo studente del problema della scrittura questi potesse incontrare difficoltà molto più sfumate, se non nulle, apprendendo comunque la lingua attraverso un canale orale integro. In realtà ben presto ci si è resi conto che l'apprendimento, specialmente in un contesto artificiale come quello scolastico e dove la lingua non è parlata abitualmente, non poteva non passare attraverso la parola scritta e che spesso lo studente dislessico non risultava affatto avvantaggiato in prove di lingua orale. A tali considerazioni si sono aggiunti dubbi circa la possibilità di allargare tale dispensa anche alle prove conclusive del ciclo di istruzione (come l'esame di stato) con il risultato che nella nota MIUR 4674 del 10 Maggio 2007 si specifica che “ in sede di esame di Stato non è possibile dispensare gli alunni dalle prove scritte di lingua straniera, ma che, più opportunamente, è necessario compensare le oggettive difficoltà degli studenti mediante assegnazione di tempi adeguati per l’espletamento delle prove e procedere in valutazioni più attente ai contenuti che alla forma. In particolare si richiama l’attenzione sul fatto che gli specifici disturbi di apprendimento rendono spesso difficile lo svolgimento di prove scritte che non si effettuano nella lingua nativa. Le prove scritte di lingua non italiana, ivi comprese ovviamente anche quelle di latino e di greco, determinano obiettive difficoltà nei soggetti con disturbo specifico di apprendimento, e vanno attentamente considerate e valutate per la loro particolare fattispecie con riferimento alle condizioni dei soggetti coinvolti. In tutti i casi in cui le prove scritte interessino lingue diverse da quella materna e non si possano dispensare gli studenti dalla loro effettuazione, gli insegnanti vorranno riservare maggiore considerazione per le corrispondenti prove orali come misura compensativa dovuta”. Attualmente, sebbene anche la recente legge sui DSA promuova una cornice educativa inclusiva per l'insegnamento delle lingue e incentivi l'uso di strumenti compensativi per il suo apprendimento, l'attenzione da parte delle istituzioni e degli enti scolastici ed educativi circa il problema dell'apprendimento della lingua inglese per gli studenti dislessici continua ad essere affrontato con un'ottica di dispensa dalla prestazione piuttosto che di didattica “significativa”, con il risultato che gli aggiornamenti alla normativa scolastica vigente sopra riportati vengono interpretati come il risultato di vincoli burocratici (ad esempio che risultasse controproducente dispensare uno studente dalla lingua inglese scritta quando questa veniva poi valutata in sede di esame proprio in forma scritta) e non come scelte deontologiche e metodologiche con una base teorica forte. A oggi molte scuole continuano a esonerare gli studenti dislessici dallo studio della lingua inglese scritta non considerando l'incidenza delle difficoltà comunque presenti anche nelle performance orali a causa delle difficoltà di recupero dell'informazione verbale, del suo mantenimento nella memoria verbale di lavoro, nell'acquisizione di automatismi fondamentali per la padronanza delle regole comunicative e il filtro emotivo che si viene a erigere nei confronti della lingua per molti ragazzi. Individuare il miglior percorso possibile per apprendere una lingua non può non essere un percorso di ricerca sostenuta da attente considerazioni circa le basi profonde dei meccanismi di acquisizione. Il problema del sistema ortografico è di innegabile importanza ma è solo uno degli elementi che determinano facilità o difficoltà nell'apprendere una lingua. Apprendere una lingua straniera è un complesso insieme di meccanismi interni ed esterni all'individuo, un intricato intreccio di abilità cognitive, linguistiche, psicologiche e sociali che investono tanto la dimensione individuale quanto quella collettiva. Comprendere quali siano questi meccanismi è stato, e tuttora è, una sfida notevole per la glottodidattica, le neuroscienze cognitive e la psicolinguistica, ritengo che l'interesse per questo filone di studi dovrebbe sempre più essere esteso al mondo della scuola. A oggi molte delle conoscenze in merito ci provengono dagli studi sul bilinguismo: sebbene Lingua Seconda e Lingua Straniera non siano la medesima cosa, studiare pazienti bilingui che a seguito di patologie linguistiche mostravano perdite o recuperi selettivi delle lingue (pazienti afasici che in seguito a lesione riuscivano a parlare solo una delle lingue conosciute in precedenza) ci ha chiarito la struttura neurale della conoscenza linguistica e, conseguentemente, quali abilità “profonde” nella nostra mente siano preposte ad acquisire lingue non materne. Questo interessante filone di studi ovviamente non si sovrappone totalmente al nostro interesse: come dicevamo Lingua Seconda e Lingua Straniera richiedono processi di apprendimento solo in parte condivisi, tuttavia possiamo affermare con relativa certezza che le componenti neuropsicologiche profonde individuate dagli studi sui bilingui sono fondamentali anche nell'apprendimento esplicito della lingua straniera; infatti vari studiosi (tra cui citiamo Carrol e Pimsleur) hanno tentato di individuare, stavolta non con studi sulla struttura cerebrale ma sulle performances linguistiche, la cosiddetta Attitudine alla Lingua. I fattori da loro individuati come predisponenti all'apprendimento della lingua straniera sono in molti casi gli stessi individuati dagli studi sul bilinguismo: consapevolezza fonologica, memoria di lavoro verbale, automatismi, circuiti motivazionali efficaci. Conoscere l'impalcatura della “mente che apprende” è uno dei percorsi più complessi ma anche più efficaci per comprendere la “mente che non apprende”; ecco che verificare nei soggetti con disturbo di apprendimento carenze specifiche proprio nelle abilità sopracitate ci consente di trovare il primo grande tassello del quadro delle Difficoltà di Apprendimento della Lingua Straniera (d'ora in avanti DALS). Molti studenti di ogni ordine e grado presentano proprio fragilità più o meno evidenti nella memoria verbale di lavoro (spesso associata a DSA) o nel raggiungimento di automatismi nelle fasi di apprendimento (anche questo parametro altamente indicativo di DSA), così come i circuiti motivazionali ecc... Insomma, sostanzialmente tutte le abilità che le neuroscienze cognitive e la glottodidattica hanno individuato come perno dell'apprendimento linguistico di L2 e FL risultano deficitarie nei soggetti con DSA, per diretta interferenza del disturbo o per fragilità linguistiche più profonde e primarie o pregresse (Disturbi Specifici del Linguaggio, chiaramente favorenti l'insorgenza di DALS o ritardi semplici di acquisizione dell'eloquio). La consapevolezza fonologica è l'abilità dell'apprendente di percepire e lavorare con le sub unità linguistiche, riuscendo ad esempio a capire che le parole sono formate da suoni, che questi suoni si “scompongono” e “ricompongono” come le tessere di un lego e che esistono somiglianze sia sonore che strutturali per questi elementi (ad esempio la rima). Numerosi studi hanno confermato scarsa consapevolezza fonologica in studenti con disturbi di letto scrittura, al punto che carenze in questa abilità linguistica possono essere ritenute un valido campanello d'allarme per un DSA. Nell'ambito dell'apprendimento linguistico, deficit di consapevolezza fonologica tendono a tradursi in difficoltà nel riconoscere patterns fonologici simili (ad esempio le somiglianze tra parole come book e soon) e a introiettarli per raggiungere una decodifica più rapida e automatica. La memoria di lavoro verbale è una delle componenti più importanti per molti processi di apprendimento: l'apprendimento del lessico, il retrival lessicale, l'apprendimento della lettura e della scrittura. Nella lingua straniera un'efficiente circuito mnemonico garantisce l'acquisizione delle nuove parole, il loro recupero in tempi rapidi, nonché la capacità di comprendere i testi, anche semplici, grazie al mantenimento della traccia sonora il tempo necessario alla sua analisi. La struttura sintattica infine di lingue come l'inglese richiede un maggior utilizzo della memoria di lavoro, in quanto tende a posporre l'elemento centrale della frase (ad esempio prima vengono gli aggettivi e solo infine il sostantivo). Molti studenti con DSA mostrano fin da prima della scolarizzazione una vera e propria difficoltà nel mantenimento nel circuito mnemonico delle tracce sonore; questi studenti, in seguito, mostrano quelle difficoltà con la lingua straniera che abbiamo appena descritto e tutte le ripercussioni più ampie che queste possono determinare. Ad esempio, difficoltà nel recupero lessicale finiscono col determinare esposizioni orali estremamente povere, lente e stentate. I soggetti con DSA tendono a produrre testi verbali in lingua straniera le cui parole pronunciate per secondo sono decisamente inferiori a quelle di un soggetto normolettore. Allo stesso modo soggetti con DSA possono continuare a sbagliare termini o a non ricordarli anche se sono stati esposti alla parola in questione innumerevoli volte. Infine, la comprensione dei testi risulta spesso scarsa non per mancanza di competenze, ma per l'impossibilità di sfruttarle in maniera efficace e rapida. L'automatizzazione dei processi è un altro grosso problema per gli studenti con DSA: abbiamo già accennato alla loro difficoltà nel divenire automatici nei processi di apprendimento. Nella lingua straniera questa fragilità si tradurrà nella difficoltà ad applicare le regole grammaticali anche se conosciute o nel non riuscire a utilizzare gli elementi morfologici come i suffissi e i prefissi. Difatti, non riuscendo a divenire sufficientemente rapidi e automatici, gli studenti con DSA tenderanno a preservare la componente comunicativa della lingua, perdendo però la padronanza delle “convenzioni” linguistiche quali l'aggiunta della s per il plurale o la III persona singolare, l'aggiunta di ed per il passato, l'uso del to dinnanzi al verbo... Soprattutto, la mancanza di automatismi, determina in questi studenti un enorme carico cognitivo dal momento che devono continuamente ricorrere a procedimenti logici/razionali per recuperare le nozioni con il risultato di una eccessiva affaticabilità rispetto ai compagni. Infine, l'aspetto motivazionale. La motivazione è uno degli elementi più importanti per apprendere una lingua. Efficaci circuiti motivazionali non sono esclusivamente spinte psicologiche ad apprendere ma vere e proprie stimolazioni chimiche che agiscono sui centri dell'apprendimento, rendendolo più efficace e duraturo nel tempo. Molti studenti con DSA giungono all'apprendimento della lingua straniera profondamente scoraggiati. Scoraggiati dalla fatica con cui, banalmente, hanno appreso le regole della propria lingua madre, scoraggiati da insegnamenti che da subito pongono l'accento sulla irregolarità della nuova lingua da apprendere che appare così priva di appigli, di sicurezze. Scoraggiati da mille convinzioni, in genere false attribuzioni, sulle proprie capacità. Quasi la totalità di questi studenti si accosta alla lingua straniera con bassissime positività e conseguentemente scarsissime possibilità di successo. Il problema della motivazione e della convinzione di poter fare non è che lo studente deve necessariamente valutarsi “bravo”, ma deve stimarsi per quello che è. La carenza di motivazione, o in termini psicologici più specifici, il senso di impotenza appresa è una condizione innaturale, per quanto comprensibile e fisiologica a seguito del ripetuto insuccesso, per l'apprendente. Il bambino ha sempre il desiderio di imparare: la perdita di questa spinta necessita di un intervento specifico, mirato ed accorto esattamente come qualsiasi altra difficoltà specifica. Per quanto ancora non siano codificati i meccanismi che conducono uno studente ad avere difficoltà così specifiche nell'apprendere una lingua straniera ci appare sufficientemente chiaro che queste carenze, così soventemente riscontrate nei DSA, possano essere un importante tassello del quadro (figura). Difficoltà specifiche dunque, dipendenti solo in parte dal contesto che circonda lo studente o dalle caratteristiche della lingua che si sta imparando, piuttosto fragilità specifiche, profonde, connaturate all'individuo e alla sua stessa impalcatura neurale e cognitiva e che possono rendere complesso il conseguimento di adeguati risultati scolastici e non solo. La conoscenza di queste fragilità è il primo passo per capire lo studente in difficoltà. Il primo passo per ipotizzare percorsi di recupero e prassi didattiche più coerenti ed efficaci. Conoscere che alcune abilità possono fornire importanti informazioni circa la possibilità per uno studente di apprendere adeguatamente una lingua è uno strumento fondamentale per i tecnici, i clinici e tutti gli insegnanti. Novak scriveva che le scienze cognitive, le neuroscienze, ci hanno consentito di avere una visione più profonda e accurata dei processi di apprendimento ( e di “non apprendimento”) ma che ancora solo una minima parte di queste conoscenze sono entrate a far parte effettivamente delle competenze della scuola. La dimensione personale, relazionale dell'educazione necessita di questo tipo di conoscenza. La conoscenza, appunto. E' ciò che ci può aiutare ad affrontare adesso il problema che abbiamo anticipato nelle prima righe di questo articolo: la domanda che abbiamo detto dovrebbe guidare la prassi educativa e pedagogica dell'insegnamento linguistico: “perché nel panorama di questa vera e propria costellazione di difficoltà è importante che gli studenti con DALS apprendano comunque la lingua straniera?” Emily Dickinson scriveva “... non a colpi di clava né di pietra si spezza il cuore: una frusta invisibile, sottile conobbi io; e staffilò la magica creatura. Fino a che cadde”. Gli eventi che strutturano in positivo o in negativo le nostre vite non sono quasi mai fenomeni eclatanti ma un susseguirsi ripetuto di messaggi sottili che in sordina ci suggeriscono quanto possiamo ritenere la nostra vita “di successo” o meno. Nel panorama dei tanto discussi fenomeni di disagio giovanile credo sia di centrale importanza non dimenticarsi dell'iceberg sommerso che accomuna le svariate manifestazioni di questa problematica: la perdita del sé che non origina necessariamente da traumi concreti, riconoscibili, ma dall'assenza di messaggi positivi circa ciò che si è e che si può essere. La scuola, in ciò, riveste un ruolo tutt'altro che marginale: tra i banchi di scuola si strutturano le personalità, si originano i messaggi più incisivi sugli animi dei ragazzi: messaggi che possono avere un'enorme potenza costruttiva o distruttiva. Crescere nella convinzione di “non poter fare” o come diceva Pennac “ragazzi che NON saranno” è una forte minaccia all'integrità, all'avvenire della persona. In questa cornice si inserisce il nostro perché. Perché trasmettere la possibilità di apprendere è trasmettere il messaggio di riuscire a raggiungere i propri obiettivi e, senza nasconderci dietro a un dito, nella scuola (e non solo) prendere consapevolezza che “si può fare” corrisponde in genere a divenire consapevoli che “si può essere”! Trasmettere la possibilità di imparare è testimoniare che il mestiere dell'insegnante è sfidare le difficoltà degli studenti, una per una, per tirare fuori, etimologicamente educare, le loro capacità, una sfida questa complessa ma che vale la pena affrontare e testimoniare ai ragazzi in difficoltà. Perché un piccolo risultato in un ambito così complesso è un successo inestimabile, con ripercussioni così potenti da risultare la prima e più forte spinta motivazionale proprio ad apprendere. Perché questi ragazzi necessitano di riprove concrete della loro possibilità di imparare e non solo incoraggiamenti: dinnanzi al barlume lontano di un successo si rianimano di una volontà perduta tra i ripetuti fallimenti. Fare ricerca in questo ambito e promuovere prassi sempre più solide nella pratica didattica è cercare di dare risposta alla richiesta di futuro di questi studenti. Come mi è capitato di sentir sbottare a un ragazzino in seguito all'ennesima ripresa, stizzita, dell'insegnante: “Ma insomma, io, che cosa devo fare??”