A Antonio Pedalino Teoria e prassi dello sviluppo capitalistico Ricardo, Marx, Keynes, Schumpeter Con un contributo di Giuseppe Foglio Copyright © MMXVI Aracne editrice int.le S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Quarto Negroni, Ariccia (RM) () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: marzo Ad Arianna e Luca Possiate attraversare un mondo migliore Indice Introduzione Capitolo I Ricardo (–) Incipit, – .. Il modello, – .. Il meccanismo distributivo, – .. Da Smith a Ricardo: le disarmonie sociali, – .. Ricardo e il suo tempo (di Giuseppe Foglio), . Capitolo II Marx (–) Incipit, – .. Il mercato del lavoro: valore e plusvalore, salari e profitto, – ... Il lavoratore, – ... Il capitalista, – .. La teoria della distribuzione. Saggio del profitto e accumulazione capitalistica, – .. Crisi di realizzo, – .. Ciclo e trend, – .. Rivoluzioni industriali e condizione della classe operaia (di Giuseppe Foglio), . Capitolo III Keynes (–) Incipit, – .. La crisi del ’ e il New Deal, – .. La Teoria Generale: il problema della domanda affettiva, – .. Salari, profitti, crescita, – .. Lo spettro del ristagno economico, – .. Mercato e Stato. Verso il neocapitalismo, – .. Moneta, Banche, Finanza, – .. Crisi di sistema? (di Giuseppe Foglio), . Capitolo IV Schumpeter (–) Incipit, – .. Dalla storia alla teoria, – .. L’“evoluzione della specie”: dal capitalismo concorrenziale a quello monopo Indice listico, – .. Il ruolo dell’innovazione: la distruzione creatrice, – ... L’andamento ciclico e la “distruzione creatrice”, – .. Declino dell’imprenditore–innovatore: quale futuro?, – .. Socialismo vs democrazia? (di Giuseppe Foglio), . Considerazioni finali Incipit, – La crescita delle diseguaglianze, – Economia reale e finanza, – In conclusione, . Bibliografia essenziale Introduzione “Rivisitando” i principali autori che si sono occupati, in tempi diversi, della teoria dello sviluppo capitalistico si può cogliere in essi un “denominatore comune” che può essere individuato in quanto segue. «Il motore dello sviluppo capitalistico risiede nell’attività di investimento che viene realizzato in vista del raggiungimento di un profitto». Aggiungiamo che l’attività di investimento non ha da essere intesa solo nella sua valenza “quantitativa” ma anche, e soprattutto (come con particolare enfasi fu evidenziato da Schumpeter) sotto una valenza “qualitativa”: attraverso l’attività di investimento si determina una “rivoluzione” nell’attività produttiva: il progresso tecnologico entra nei processi produttivi realizzando la produzione di “vecchi” beni con metodi diversi e producendo (“inventando”) “nuovi” beni. La diversità consiste, a parere dell’autore di questo saggio, nel tipo di approccio che ognuno di questi Autori si configura, ossia del modo in cui “vede” la struttura, per così dire, della società che è oggetto della sua analisi. In altri termini del “modello” su cui opera. Sono in misura rilevante le condizioni storiche in cui opera, oltre che il retaggio culturale, che ne determinano le scelte di fondo. Il testo si sofferma più a lungo ed in maniera più approfondita su J.M. Keyenes. Si tratta di un autore che ha sovvertito il modo di approccio ai problemi economici e che fa emergere (come peraltro e per versi diversi accade in Marx e Schumpeter), dalla sua analisi, il carattere “intrinsecamente instabile” del sistema. Ma, e ancor più, si tratta dello scrittore che ha esercitato la maggiore influen Introduzione za sui temi dell’intervento statale al fine di stabilizzare il sistema stesso sulla base del paradigma che emerge dalla sua opera: il sistema lasciato a se stesso sovente opera in un equilibrio di sottoccupazione a volte socialmente insostenibile e può, deve, essere compito dell’azione di Politica Economica, dei governi sostenerlo! Sono trascorsi ottant’anni e si può ben dire che il dibattito sui temi sollevati da Keynes e sulle “ricette” da lui suggerite, accettate e applicate con alterne fortune, non si è mai spento: più che mai negli anni che stiamo vivendo. Da sottolineare, infine, come in Keynes vi sia una sorta di visione profetica sulle sorti “a lungo andare” del sistema nel momento in cui preconizza, ai fini di una crescita stabile, un rapporto, del tutto inedito, tra dinamica salariale, investimenti e crescita economica (v. .). Si tratta di un “capitolo” poco trattato e che tuttavia proprio ai nostri giorni vede una sua cogente attualità nei moniti che provengono da ambienti “sovversivi”(!) come l’IMF e la BCE. Ci riferiamo ai richiami insistenti relativi alla debole dinamica salariale nei paesi “maturi” indicata come una delle cause delle difficoltà ad uscire dalla crisi. Lo stesso discorso si può fare per la parte riguardante il rapporto tra economia reale (consumi, investimenti. . . lacrime e sangue) e il “surreale” mondo della finanza, evidenziando gli aspetti problematici che quest’ultimo determina sul primo (v. .). Sebbene su questo aspetto è l’Opera di Hilferding () che si impone per aver egli visto con largo anticipo, staccandosi dalla stretta ortodossia marxiana, il fenomeno della “finanziarizzazione” che “oggi è sotto l’attenzione degli studiosi..” Infine, tornando a Keynes, le sue osservazioni,come abbiamo anticipato sopra, sulla funzione non solo “stabilizzatrice, ma capace di influenzare la qualità della vita”, (come diremmo oggi) dell’azione di governo (v. . e .). Ogni autore opera all’interno della cornice storica del periodo in cui scrive. E questo riferimento ci appare indispensabile per la comprensione delle tematiche e della metodologia applicate. Introduzione Dato lo scopo divulgativo, il saggio è steso in maniera tale da essere accessibile anche ai non addetti ai lavori. Nel cap. ci chiediamo se alla luce dell’evoluzione del sistema agli albori del XXI secolo le analisi proposte conservano o meno una, anche se pur parziale,validità al fine di capire “dove andiamo”: in che misura le loro ricerche possano gettar luce, ancorché per sprazzi limitati, sulla storia che noi viviamo. M Le leggi economiche operano in una realtà che contiene un numero crescente di condizioni concrete mutevoli dalle quali l’analisi iniziale ha dovuto fare astrazione. (Definizione di “Modello” da parte di E. Roll) Nella ricerca scientifica si procede per “modelli”. La realtà e i fenomeni ad essa connessi che lo scienziato deve capire e “spiegare” si presentano estremamente complicati per essere affrontati, diciamo, allo stato di natura. Occorre sfoltire la complessità del reale, semplificare, cogliere gli aspetti e le interconnessioni essenziali, «insomma costruirsi un modello della realtà — una fotografia semplificata — su cui agevolmente operare». I rischi sono notevoli. Il modello rappresenta in maniera significativa la complessa realtà del fenomeno che si intende analizzare, capire, spiegare? Se si semplifica troppo si corre il rischio di operare su un modello che non rappresenta, quanto meno nella sua struttura essenziale, la realtà. Si può operare su un modello completamente “sbagliato”: ossia non rappresentativo affatto della realtà; oppure su un modello eccessivamente semplificato ma che ha una sua validità. Si può, per approssimazioni successive, “complicare” il modello stesso per avvicinarlo, e con esso l’analisi, alla realtà complessa. È ovvio che i modelli su cui si opera risentono, ed in maniera determinante, del momento storico nel quale ogni Autore si colloca. In estrema sintesi. Ricardo opera su un modello che vede la società divisa in Introduzione due gruppi in conflitto: produttori (imprenditori e lavorato) e redditieri che traggono la loro “legittimazione” ad appropriarsi di parte dei risultati produttivi dal possesso, la proprietà della terra. Marx. La società capitalistica “dominata” dalla borghesia capitalistica è divisa in classi: proletario e borghesi–capitalisti in un contesto storico dove questi ultimi perpetrano un sistematico processo di sfruttamento sui primi. Keynes. Svolge la sua analisi,al pari dei primi due, a livello “aggregato” ma, a differenza di Marx, si può parlare di una “situazione di subordinazione, e non sfruttamento”, dei salariati rispetto agli imprenditori nelle cui mani risiede il meccanismo di crescita della società. L’Autore vede la possibilità del superamento delle “contraddizioni” del sistema non necessariamente una sua fuoriuscita. Schumpeter. Sono l’innovazione e l’ attività dell’imprenditore–innovatore che caratterizzano il capitalismo e ne determinano le leggi di movimento: crescita, crisi. Mentre l’irregolare ondata innovativa ne determina il ciclo in un trend ascendente. La presenza vieppiù dilagante della grande impresa oligo–monopolistica, con la scissione tra proprietà e management, muterà la dinamica del processo innovativo riducendola a mera routine e con essa la figura ed il ruolo del “vecchio” imprenditore. Il sistema,a questo punto, sarà “altro” da sé. Si ringraziano, senza coinvolgerLi in responsabilità, il Prof. Roberto Cellini e la Prof.ssa Tiziana Cuccia per aver letto alcune parti del testo e fornito utili critiche. Un ringraziamento a Viviana per la collaborazione editoriale. Un particolare ringraziamento, infine, a Beppe per il prezioso contributo. Catania, dicembre Capitolo I Ricardo (–) Incipit L’emanazione della Corn Laws costituì ai tempi di Ricardo la prova inconfutabile della miope ma tenace difesa dei privilegi di una classe dominante, quella dei proprietari terrieri, destinata inesorabilmente al tramonto dal travolgente progresso tecnologico che permeava di sé tutte le strutture produttive: agricoltura e industria. L’imposizione dei dazi sul grano, limitandone l’importazione a basso prezzo, spingeva a coltivare terre sempre meno fertili, riducendo la produttività del lavoro agricolo e quindi il saggio del profitto. Era proprio l’alto prezzo del grano come conseguenza dei dazi imposti all’importazione che determinava alte rendite a detrimento dei profitti; i salari, per un verso o l’altro, erano destinati, seppur con occasionali scostamenti, a mantenersi a livello di sussistenza come tutta la tradizione classica, sebbene con motivazioni diverse, assumeva. Ma proprio per salvaguardare il sistema Ricardo elabora il suo modello e una analisi al fine di evidenziare i limiti e i pericoli che un assetto contraddittorio come quello operante sotto la lente della sua osservazione. Qui viene ricordato per aver rotto un pilastro dell’ideologia smithiana circa il carattere “armonico”, per così dire, dell’assetto sociale, mettendo in evidenza le contraddizioni e indicandone i pericoli: se res sic stantibus il tasso di profitto declina, cade l’attività di investimento e quindi il sistema entra in una fase di “Stagnazione”. Teoria e prassi dello sviluppo capitalistico .. Il modello Ricardo opera in un contesto storico dominato ancora dal settore agricolo. Ed il suo modello infatti poggia sulla produzione agricola in assunzione di rendimenti decrescenti della terra. Quest’ultima assunzione, in particolare, ci fa pensare a Ricardo come fuori dai reali processi in atto della società di inizio ottocento, dove il settore industriale si avviava ad essere dominante nell’economia e il progresso tecnologico determinava rendimenti crescenti nei processi produttivi. Tuttavia. . . In questo contesto egli vede la società divisa, spaccata in due gruppi con interessi contrapposti: in Ricardo quindi quella capitalistica è una società conflittuale. Da un lato i “produttori di ricchezza” reale che applicano le loro capacità imprenditoriali, lavorative, per trarre i frutti della terra (la parte “attiva” della società): imprenditori (agricoli) e lavoratori. Dall’altra vede una classe di proprietari terrieri che godono di rendite parassitarie crescenti. Esprime quindi un conflitto tra “produzione e distribuzione nei processi produttivi”: i produttori sempre più penalizzati dal fatto che i redditieri si appropriano vieppiù di una parte crescente dei frutti dell’attività produttiva a scapito dei produttori: in questo contesto il tasso di profitto degli imprenditori è destinato a cadere fino al punto da non costituire più un valido inventivo all’investimento: cade il tasso di profitto, cadono gli investimenti e la società si avvia al declino (alla stagnazione). .. Il meccanismo distributivo Una semplice rappresentazione grafica del ragionamento che ci propone Ricardo può essere la seguente. . Ricardo (–) Siano: A, B, C, D, appezzamenti di terre ordinati in ordine decrescente di produttività talché a parità di costo (e qui per costo si intende salario x numero di lavoratori impiegati; wl = W) si ottiene una quantità via via minore di grano (e di ricavi). Se l’attività produttiva utilizza solo l’appezzamento di terra A (la più fertile) il ricavo, il valore dell’attività produttiva si distribuisce tra salario e profitto (inteso quest’ultimo come elemento «residuale dato dal valore della produzione meno i costi»: al momento monte salario, poi, vedremo meno anche rendita). In Ricardo (altra assunzione “forte”) non ha luogo rendita “assoluta” ossia un prezzo che remunera il fattore terra come tale, come “fattore della produzione”. Altra assunzione, comune negli autori classici, pur con motivazioni diverse: il salario si determina intorno al suo “livello di sussistenza”. Teoria e prassi dello sviluppo capitalistico Abbiamo pertanto: Qa = wl + P Dove con Q indichiamo il valore della produzione che, in assenza di rendita, si risolve interamente in monte salario, wl, dove l è la quantità di lavoro applicata, e profitto P. Il “tasso di profitto”, p, sarà pertanto: pa = P/wl ovvero profitto assoluto in relazione ai costi anticipati (nel modello: monte salario). Quando la produzione deve espandersi, perché il mercato lo richiede, si deve passare all’utilizzo di un appezzamento meno fertile, con minor resa: supponiamo B. Per l’imprenditore sarà indifferente produrre sull’appezzamento, marginale, B, e non pagare la rendita oppure utilizzare l’appezzamento A che a parità di costo con quello B produce, perché più fertile, una quantità di prodotto maggiore, e pagare una rendita per l’uso del terreno a causa della differente produttività. Parliamo in Ricardo, per l’appunto, di rendita “differenziale” che non sarà superiore, ovviamente, alla maggiore resa derivante dalla maggiore fertilità dell’appezzamento di terreno. A questo punto il ricavo del processo produttivo si distribuisce in tre parti: salari (monte salario); profitto e rendita R: Q = wl + R + P Ed il tasso di profitto: p = Pb/wl + R In regime di concorrenza il tasso di profitto è unico per cui si deve avere: . Ricardo (–) Pa = Pb Se ripetiamo il ragionamento considerando via via la messa a produzione di terre meno fertili, (C, D. . . ) è facile rendersi conto, anche con l’ausilio del grafico sopra riportato, che la quota, e con essa la massa, della rendita pagata dall’imprenditore è destinata ad aumentare mentre il tasso di profitto “generale” che viene a stabilirsi al livello più basso sulla terra marginale è destinato a cadere: la sua caduta frena l’attività di investimento e quindi precipita il sistema in uno stato di stagnazione! Ciò accadrà quando la terra marginale produrrà quel tanto, e solo, capace di pagare i salari. Se: Qn = wl; P = La produzione (il ricavo) sul terreno marginale (meno fertile) coprirà appena il costo di produzione (monte salari), le terre migliori (inframarginali) produrranno allora una eccedenza che andrà al proprietario terriero a causa della concorrenza esistente fra gli affittuari per accaparrarsi la terra migliore. Ricardo tracciò un quadro molto pessimistico del futuro del capitalismo. Egli distrusse l’armonia degli interessi sociali che Smith, novello Newton, aveva scoperto e illustrato alla generazione del settecento. Ora gli interessi del proprietario fondiario contrastano non solo con quelli del lavoratore e degli industriali ma anche con quelli della società. «L’interesse del proprietario fondiario è sempre in conflitto con gli interessi del consumatore e dell’industriale». La dottrina della rendita rivela anche come nella teoria economica classica si riflettevano le disarmonie del sistema. Una volta ammessa, poi, la esistenza di un conflitto sociale la critica all’intero sistema sociale non poteva essere evitata: e da questo punto di vista Marx lo riconobbe come maestro e,sebbene su basi analitiche ben più robuste, portò alle estreme conseguenze le ragioni del conflitto. Teoria e prassi dello sviluppo capitalistico È chiaro in Ricardo come il progresso tecnologico applicato ai processi produttivi può rallentare, se non addirittura capovolgere, la tendenza ai rendimenti decrescenti che decreterebbero, se prevalenti, l’approdo del sistema ad uno stato stazionario. Anche se con l’aumento della popolazione saranno messe a coltura terre sempre più povere, l’applicazione delle scoperte scientifiche che diventano, quando applicate ai processi produttivi, progresso tecnologico, può più che compensare il deterioramento dei terreni sfruttati; la teoria della rendita “assassina”, responsabile della caduta del saggio del profitto e quindi dell’approdo allo stato stazionario, non implica che la fertilità della terra debba continuamente decrescere: essa presuppone soltanto l’esistenza di terreni con diversa fertilità. La dottrina della rendita rivela anche come in settori della teoria economica classica si riflettono le disarmonie del sistema. Inoltre, una volta ammessa la possibilità di un conflitto, tra l’interesse comune e quelli individuali, la critica all’intero assetto capitalistico, al sistema sociale, non poteva essere evitata. Scrivendo in un periodo in cui il capitalismo non aveva raggiunto la maturità — come invece si presenterà ai tempi in cui Marx svolge la sua analisi — Ricardo non si interessa delle crisi cicliche del sistema. Implicitamente egli quindi accetta le spiegazioni delle crisi in voga nel periodo e che ne facevano risalire le cause a eventi esterni al sistema stesso: cicli di produzione agricola e carestie, eventi naturali (ed astrali) di ogni genere che si riflettevano in maniera negativa e drastica, sugli equilibri del sistema. Da qui la sua convinzione, da buon seguace di Say (“l’offerta crea la propria domanda”, v. cap. ) che il sistema non ha implicite tendenze allo squilibrio. Ricardo, come A. Smith, era un ardente libero–scambista e un sostenitore della libera concorrenza. Con la teoria della rendita egli fornì alla politica un problema specifico da risolvere. Gli interessi della società, ovvero contrastare il declino, esigevano un basso prezzo del grano che avrebbe tagliato le gambe alla rendita. In tal senso ci fu uno scontro nel Parlamento tra i difensori degli interessi costituiti dai proprietari terrieri e le aree . Ricardo (–) più sensibili al problema del declino. Si trattava di abolire le Leggi sul prezzo del grano onde favorirne un basso prezzo: fu questo l’obiettivo immediato del movimento libero–scambista presente in Parlamento. .. Da Smith a Ricardo: le disarmonie sociali Nonostante la debolezza e le semplificazioni del modello, Ricardo nel contesto della nostra indagine non può non costituire un punto di partenza fondamentale. In una fase, quella nascente, della “disciplina” dominata dalla Ricerca sulla Natura e le Cause della ricchezza, e sulla problematica connessa alla ricerca “del valore”, egli sposta, per così dire, l’asse dell’interesse dello studioso sui problemi della “distribuzione”. E individua nei meccanismi distributivi la chiave per capire la legge di movimento del sistema. Il risultato maggiormente apprezzabile nell’interpretazione ricardiana del sistema va ricercato nel contributo che l’Autore ha dato sia nello sviluppare la teoria del valore avvolta in una nebulosa così come l’aveva lasciata Smith (argomento che esula dal programma di sviluppato in questo saggio) sia, e soprattutto, nel puntare sui temi della distribuzione della ricchezza dove egli svela un mondo distinto in gruppi (Marx parlerà di “classi”) sociali che svolgono funzioni distinte nel processo produttivo; e dove un gruppo sociale si appropria di quote di ricchezza non già in «virtù di un presunto contributo ai processi produttivi (aspetto fondante e centrale nella controrivoluzione neoclassica) bensì sulla base della, diciamo così, posizione, status sociale». Abbiamo quindi da un lato La massa dei lavoratori ai quali è preclusa qualunque ipotesi di navigazione intersociale; gli imprenditori in quanto capaci sì di intraprendere ma perché dotati della proprietà dei mezzi di produzione e della capacità, diremmo oggi, di accesso al credito; e infine i proprietari terrieri “legittimati” ad appropriarsi di una quota dei risultati del processo produttivo solamente dal possesso! Teoria e prassi dello sviluppo capitalistico Quote distributive che non solo possono essere considerate «inique da un punto di vista morale» (con riferimento a salari e rendite) ma che, incongrue come sono alla natura e alle leggi di movimento del sistema, lo condannano al fallimento. .. Ricardo e il suo tempo (di Giuseppe Foglio) Testimone della rivoluzione industriale, come Adam Smith, David Ricardo (–) ne ha teorizzato gli aspetti economico–politici centrali: la critica della rendita e la teoria del valore–lavoro. Com’è noto, tra il e il si compì il decollo industriale dell’economia inglese, che presto assunse le caratteristiche di modello generale per la diffusione dell’industria nel resto del continente europeo, in America e nel resto del mondo. Le condizioni storiche per l’affermazione dell’industria si stratificarono nel corso del Settecento, grazie alle riforme giuridico–economiche e amministrative operate dai despoti illuminati, che consentirono la progressiva affermazione della proprietà privata e delle regole del capitalismo concorrenziale a scapito del diritto feudale e dell’economia naturale. Lo scioglimento dell’Ordine gesuita nel , la statalizzazione dei beni monastici, o la loro mobilizzazione, e la nascita dei catasti avvenute nella seconda metà del secolo favorirono la nascita del capitale nazionale nei principali paesi europei esattamente dalla valorizzazione dei patrimoni e dalla svalutazione delle rendite in rapporto ai profitti derivanti da compravendita o investimento produttivo. Si consumò, in tal modo, il superamento dell’Antico regime in economia e la marginalizzazione dell’aristocrazia nella composizione del capitale europeo. In Inghilterra, tutto questo era accaduto già nei secoli precedenti. Addirittura, risale all’Atto di supremazia emanato da Enrico VIII nel il primo provvedimento di subordinazione della Chiesa allo Stato inglese, da cui derivò l’incameramento dei beni monastici, poi lottizzati e venduti ad un ceto me-