STAGE DI FISICA
22-23-24 Marzo 2012
Casa Alpina Maria Nivis, Fraz. Septumian
11020 Torgnon - Valle d'Aosta
Gruppo Hands-On Physics
Materiali a cura di Angelo Merletti
Scheda su… magnetismo e magneti
Uno strumento per studiare l’andamento delle linee di campo di un sistema è la limatura di ferro.
Si disperde in modo uniforme della limatura di ferro su un foglio di cartoncino bianco; si avvicina
lentamente il cartoncino al sistema di cui si vuole determinare la configurazione delle linee di
campo. La limatura si dispone in modo regolare lungo determinate linee che sono le linee del
campo.
1) Prova a determinare la configurazione di un magnetino.
Domande:
1) Perché i granellini i limatura si dispongono lungo le linee di campo?
2) Riesci a distinguere il nord e il sud dalla configurazione ottenuta?
3) Il campo magnetico è un campo vettoriale a 3 dimensioni. Come potresti
visualizzare le linee nelle altre due dimensioni?
4) Il campo è più intenso in prossimità dei poli di un magnete; come si rispecchia
questo andamento
sulle linee segnate dalla limatura?
5) Visto che sono tracciate le linee di campo prova ad applicare il teorema di Gauss
prendendo una
generica superficie (contorno) sul cartoncino (potresti disegnarne alcune prima di
mettere la
limatura): cosa ottieni?
Ripeti ora l’esperimento con una catema di due magnetini attaccati poi di 3 e di 4, 5, 6; traccia le
linee di campo ogni volta.
1) Se la catena aumentasse indefinitamente cosa succederebbe al campo?
2) Com’è il campo all’interno della catena?
Ora prova ad avvicinare due magnetini, senza farli toccare, in modo che si attraggano; fissali alla
tavoletta di legno e studia il campo con la limatura (disegno).
Ripeti la prova con i magnetini affacciati con la polarità omonima (disegno).
Magneti e materiali ferromagnetici:
Se avvicini un magnetino ad una sfera di acciaio questa viene attratta.
1) E’ il magnetino che attrae la sfera o viceversa?
2) Perché la sfera viene attratta (o attrae) se non è magnetizzata?
Prova a determinare la configurazione del campo del sistema magnetino + sfera con il metodo della
limatura.
1) traccia uno schizzo delle linee di campo e confrontale con quelle del solo
magnetino
2) Cerca di capire come sono le polarità (linee entranti e uscenti) nella sfera.
3) Confronta i risultati sondando il campo in prossimità della sfera con la polarità
opposta di un magnetino (cioè con una polarità opposta a quella a contatto con la
sfera)
Ora collega un’altra sfera alla precedente e descrivi cosa succede…
1) com’è il campo all’interno delle due sfere (schizzo)
2) Se colleghi più sfere come sarà il campo all’interno?
Ora prova a studiare l’interazione tra due sistemi magnetino + sfera distinguendo i casi in cui la
sfera è attaccata al sud o al nord. Aiutati con la limatura di ferro.
Prova a studiare il campo di un sistema magnetino + sfera attraverso un magnetino: dovresti
osservare comportamenti diversi a seconda della polarità usata dal magnetino esploratore. In un
caso il risultato è abbastanza ovvio, nell’altro il risultato è sorprendente… prova a interpretare i due
casi.
Suggerimento: puoi aiutarti con la limatura di ferro ponendo il magnetino esploratore a varie
distanze dalla sfera sull’asse del sistema e in posizioni radiali rispetto alla sfera.
1) cosa succede al campo magnetico all’interno della sfera?
2) Prova ad applicare il teorema di Gauss attorno alla sfera: dove sono le linee entranti e
uscenti?
3) Come sono le polarità sulla sfera?
4) Il magnetismo esploratore è un “osservatore oggettivo” o influenza in qualche modo il
risultato dell’osservazione?
In questo esperimento distingui i due casi: una trattazione per quello ovvio e un’altra per l’altro.
Ora prova a costruire un sistema formato da un magnetino e da due sfere in catena: magnetino +
sfera + sfera.
Avvicina il magnetino esploratore facendolo scorrere sull’asse del sistema e osserva cosa succede a
seconda della sua polarità. Interpreta i risultati alla luce di quanto appreso nei precedenti
esperimenti.
Se al posto dei dipoli magnetici ci fossero dei dipoli elettrici … che risultati avreste ottenuto?
Qual è la fondamentale differenza tra dipoli elettrici e magnetici?
Il magnetoscopio
Per studiare l’orientazione del campo magnetico certe rocce ferromagnetiche (es. serpentinite) si
usa il magnetoscopio.
Questo strumento è formato da due magnetini fissati ad un’asse in modo che le loro orientazioni
siano opposte; questo per eliminare il campo magnetico terrestre…
Come mai si elimina il campo magnetico terrestre?
Mettendo una roccia sotto la sonda essa si orienta lungo il campo magnetico prodotto dalla roccia
stessa. Infatti la sonda è composta da due magnetini e il campo magnetico della roccia crea una
disomogeneità nello spazio trovandosi più vicino al magnetico inferiore rispetto a quello superiore.
In pratica lo strumento serve per determinare la variazione del campo terrestre rispetto all’epoca di
formazione della roccia.
Quando la roccia si è formata era allo stato fuso e i
magnetini elementari contenuti in essa si trovavano
orientati come il campo terrestre. Quando la roccia è
solidificata essi sono rimasti in quella posizione mentre nei
milioni di anni a seguire il campo terrestre ha cambiato
S
N
orientazione (si sono contate fino a 60 inversioni).
La misura si effettua nel seguente modo:
- si segna sulla roccia prima di
prelevarla l’orientazione del
N
S
campo attuale (trovato con una
bussola).
- In laboratorio si segna la
direzione del campo della roccia
e se ne misura l’angolo.
La misura è assai delicata per cui occorre essere attenti a non causare vibrazioni sull’apparato.
Ruotando lentamente il minerale in esame vedrete che lentamente ruota la sonda magnetica che si
disporrà costantemente allineata lungo le linee di campo della roccia.
Negli strumenti professionali è previsto uno specchietto posto sulla sonda magnetica e una
lampadina (o un puntatore laser) la cui luce viene deviata dallo specchietto su uno schermo posto ad
una certa distanza (anche qualche metro); questo sistema, detto “leva ottica” permette di rilevare
variazioni angolari piccolissime nella posizione della sonda.
Un po’ di teoria…
“Cosa è il magnetismo?”
Il magnetismo si occupa dell'insieme di fenomeni derivanti dalle proprietà, già note nell'antichità, che un
minerale del ferro (la magnetite di struttura Fe 3 O 4 ) ha di attirare pezzi di ferro (anche nichel e cobalto, tra gli
elementi naturali).
Alcune leghe particolari, sottoposte all'azione di un magnete naturale acquistano esse stesse le proprietà
magnetiche: si hanno così i primi magneti artificiali (calamite). Oggi si sa che anche una corrente elettrica
produce un effetto magnetico e questa proprietà sta alla base del moderno processo di magnetizzazione.
L'azione che ogni magnete esercita è particolarmente rilevante in due zone geometricamente opposte nelle
quali l'effetto è più intenso; tra due magneti si esercitano forze repulsive e attrattive rivelando l'esistenza di
due tipi di "carica" magnetica. Polarità omologhe causano repulsione, polarità opposte attrazione. La forza
con la quale due magneti si attraggono (o respingono) dipende dalla distanza in modo inversamente
proporzionale al quadrato (legge di Coulomb). In un magnete le polarità non sono separabili: spezzando una
calamita se ne ottengono due, ognuna con una coppia di poli. Lasciata libera di ruotare una barretta
magnetizzata rivolge uno dei poli verso il Nord e l'altro verso Sud. Viene così definita come polarità Nord
l'estremità della barretta che si rivolge verso il Nord terrestre (che conseguentemente è un polo Sud
magnetico) e come Sud la polarità opposta.
Classificazione delle sostanze
L'azione di sottoporre un materiale all'azione di una calamita consiste nel misurare cosa si induce nel
materiale (cioè l'induzione detta B) in funzione dell'intensità del campo generante l'effetto (detta forza
magnetica H); più avanti discuteremo di come effettuare le misure.
Per ogni punto dello spazio B è proporzionale ad H, cioè vale la relazione:
B=µH
[1]
Il coefficiente di proporzionalità µ si chiama permeabilità magnetica della sostanza; µ viene scissa in due
fattori, il primo µ 0 che è detto permeabilità del vuoto (e praticamente dell'aria) e µ r , che è il rapporto tra m
misurata e µ 0 , permeabilità relativa caratteristica della sostanza.
Se interessa (come nel caso delle curve di isteresi) studiare le proprietà intrinseche del materiale in esame,
bisogna scindere in B la parte dovuta al campo generante B 0 da quella B 1 indotta, il che significa alla misura
di B sottrarre quella forza magnetica H che si avrebbe in ogni punto dello spazio occupato dal magnete se si
togliesse il materiale magnetico stesso, cioè:
B = B 0 + B 1 = µ 0 H + J = µ 0 H + 4πM
[2]
essendo la polarizzazione J proporzionale al campo H, possiamo scrivere J = χH,, e la [2] diviene:
B = µ 0 Η + µ 0 χH =µ 0 (1 + χ)H = µH dove µ=µ 0 (1+χ ) =µ 0 µ r
[2a]
µ si chiama permeabilità, µ r permeabilità relativa e χ suscettività magnetica; il vettore M rappresenta la
intensità di magnetizzazione del materiale in esame, il vettore J è detto polarizzazione magnetica.
La misura dell'induzione magnetica (B) e della forza magnetica (H) permette di distinguere i materiali in base
ai valori di χ in:
diamagnetici:
χ <0
(~-10-6)
µ r <1
paramagnetici:
χ >0
(~10-6)
µ r >1
ferromagnetici:
χ >>0
(>103)
µ r >>1
Le sostanze diamagnetiche sono quelle i cui atomi non hanno momento magnetico, l'applicazione di un
campo magnetico provoca, per la legge di azione e reazione, una variazione della distribuzione delle correnti
elettroniche che tende ad opporsi al campo applicato; esse vengono respinte dal campo magnetico. Le
sostanze paramagnetiche sono invece quelle formate da atomi che hanno un momento magnetico proprio, il
campo applicato tende quindi ad allinearli; a questo effetto si sovrappone sempre una componente
diamagnetica.
Fig. 1 Andamento delle linee del campo magnetico nei vari tipi di sostanze. Si noti che per le linee all'interno della
sostanza ferromagnetica sono molto concentrate e annullano il campo all'interno della cavità. Questa proprietà viene
utilizzata per creare schermature magnetiche.
Sono ferromagnetiche le sostanze la cui struttura permette un allineamento spontaneo dei momenti
magnetici; lo studio del loro comportamento all'applicazione di un campo magnetico porta alla conoscenza
del ciclo di isteresi; per esse μ r >>1 dipende dal valore di H.
Fig. 2 - Andamento delle linee B ed H in una barretta di magnete permanente. Si noti che all'esterno del magnete B ed H
coincidono.
Nel sistema CGSem si pone µ 0 = 1, quindi µ = µ r ; nel sistema MKS si pone µ 0 =4π10-7. E' ovvio che µ r è
uguale per entrambi i sistemi di misura, essendo una proprietà intrinseca del materiale.
La curva di isteresi
Esaminiamo ora, facendo riferimento al grafico della fig. 3, il comportamento di un materiale magnetico al
variare della forza magnetica H ad esso applicata, misuriamo cioè l'induzione B in funzione di H. Se il
materiale magnetico è smagnetizzato (non genera cioè alcun campo magnetico all'esterno) il suo stato è
rappresentato dal punto O della figura (B = 0, H = 0); aumentando gradatamente H aumenta B secondo la
curva OA (detta curva di prima magnetizzazione); per H via via crescente la curva si approssima ad una
retta parallela alla retta B = µ 0 H cioè, tenendo presente la [2], l'intensità di magnetizzazione (M) non
aumenta più e il suo contributo all'induzione (B) cessa: il materiale è in saturazione. L'intersezione del
prolungamento della retta a cui tende la curva con l'asse delle ordinate è detta magnetizzazione di
saturazione (Jsat = 4πMsat). Diminuendo H fino a valori negativi, poi facendola variare ciclicamente, la curva
rappresentativa è la AB r C - B r A.
I punti notevoli di questa curva, oltre a Bsat e Hsat sono: la rimanenza B r che è il punto di intersezione
della curva con l'asse B, la forza coercitiva Hcb che è il punto d'intersezione della curva con l’ asse H.
Si chiamano magneti permanenti (o materiali magnetici duri) quei materiali nei quali H assume valori
abbastanza alti (per le applicazioni si deve avere almeno B r =2000 Gs = 0,2 Wb/m2 = 0,2 T) e quindi Hcb≠0
dell'ordine di grandezza 500-3000 Oe (per inciso ricordiamo che i materiali con Br~0 e Hc~0 si chiamano
materiali magnetici dolci*).
Le grandezze magnetiche
Da quanto è stato esposto nel capitolo precedente si deduce che può essere elaborato un metodo
puramente operazionale con cui ricavare e utilizzare le leggi del magnetismo: esso poggia sui concetti
dell'elettricità, ormai familiare, per creare una base intuitiva di ragionamento che permette una rapida
assimilazione dei procedimenti di calcolo, riducendo notevolmente le possibilità di confusioni e di errore,
sempre restando concettualmente rigorosi.
Le grandezze fondamentali del magnetismo sono le grandezze vettoriali H (forza magnetica) e B (induzione
magnetica) che definiamo così:
H è il risultato di quella misura eseguibile con un magnetometro (solenoide di Rogowski) che, al pari di
un elettrometro, misura la differenza di tensione magnetica tra due punti;
B è il risultato di quella misura eseguita con un flussometro che, similmente ad un amperometro, misura
quante "linee" di B attraversano una data area.
E' allora evidente che si può far corrispondere al vettore campo elettrico E il vettore campo magnetico H ed
al vettore densità di corrente J il vettore induzione magnetica B, e derivare da H e B tutte le altre grandezze
magnetiche, con lo stesso procedimento logico col quale da E e J si sono ricavate le grandezze elettriche.
Va notato che questa corrispondenza è puramente operativa, poiché la stessa analogia, si può fare con
un circuito idraulico in cui la pressione corrisponde alla tensione magnetica e la portata al flusso di B.
La tabella II fornisce un quadro sinottico intuitivo delle corrispondenze tra circuito elettrico e circuito
magnetico
Momenti magnetici
Per l’interpretazione dei fenomeni magnetici si parte dal presupposto che ad ogni atomo o molecola della
sostanza magnetica, sia associato un momento magnetico (µ) che deriva dal momento magnetico di spin
dell’elettrone (come noto, l’elettrone possiede, oltre alla carica elettrica e, un momento magnetico intrinseco
µ); il momento magnetico orbitale degli elettroni, e precisamente da come gli atomi sono disposti nella
struttura cristallina del materiale in esame, permette di prevederne il comportamento magnetico. Supponiamo
che tutti i momenti magnetici siano disposti parallelamente come nella fig. 9, anche in assenza di un campo
esterno; l’allineamento è dovuto alle interazioni quantistiche di scambio che tendono a disporre gli spin
elettronici degli atomi adiacenti parallelamente (fig. 9a, ferromagnetismo) o antiparallelamente (fig. 9b,
ferrimagnetismo) gli uni rispetto agli altri (Heisenberg). L’effetto di questa interazione di scambio è quello di creare un
campo magnetico, detto campo di Weiss H W (dell'ordine di grandezza di 107 Oe) proporzionale alla magnetizzazione
spontanea I s cioè H W = N W I s . L’allineamento è completo allo zero assoluto, dove con n atomi per centimetro cubo, I s
assume il massimo valore I 0 =nµ. All'aumentare della temperatura, l'allineamento è disturbato dall’agitazione termica,
cosicché la magnetizzazione spontanea I s decresce all’aumentare della temperatura come indicato nella fig. 10 finché
alla temperatura di Curie T C il sistema è completamente disordinato (fig. 9 c).
Tenendo valida l'ipotesi della disposizione parallela dei momenti i magnetici elementari, risulta che per invertire il
senso di magnetizzazione è necessario applicare un campo dell’ordine di 107 Oe. In realtà però si osserva che è
sufficiente un campo molto debole, spesso dell’ordine di qualche oersted. Si veda ad esempio la fig. 11 in cui è riportata
la curva di magnetizzazione di un monocristallo di ferro-silicio, dalla quale si vede che l'applicazione di qualche decimo
di 0e provoca una magnetizzazione I dell'ordine dei 103 Gs.
La spiegazione di ciò, e più generalmente del fatto che un pezzo di materiale magnetico esiste allo stato non
magnetizzato mentre un debole campo magnetico può produrre la saturazione magnetica, è stata data da Weiss con
l’introduzione dell’ipotesi dei domini magnetici.
Bibliografia
La Fisica di Feynman Vol 2, Zanichelli
PPC (Physic Project Corse) Vol 2, Zanichelli
Giancarlo Franceschetti - Magneti Permanenti in http://www.mclink.it/personal/MC5690/index.html
Dispense in rete su geomagnetismo http://www.phys.uniroma1.it/web_disp/home_disp.html
MOTORE TERMOMAGNETICO
Hai bisogno di:
Supporto stativo, magnete permanente, chiodo di ferro, pallina di Ni, pallina di ferro, stagnola, fili
di Cu (di supporto per la pallina di Ni), fornellino ad alcol, assicella in legno per assorbire gli urti.
Cosa devi fare: montare il tutto secondo lo schema sotto:
Chiodo
Tavoletta per assorbire
gli urti
magnete
Nel disegno a destra non compare, per chiarezza, la tavoletta per assorbire gli urti.
E’ importante disporre le cose nel modo indicato dal disegno in particolare la posizione del
fornellino: deve essere posizionato in modo che la fiamma investa completamente la pallina quando
questa è attaccata al magnete, mentre quando è staccata deve cadere per
gravità fuori dalla portata della fiamma. La tavoletta serve per assorbire
l’energia cinetica della pallina e smorzarne le oscillazioni.
Per fissare la pallina di Ni ai fili dovete impacchettarla in un sottile strato di
stagnola modellato in modo da permettere di attorciliarvi i due fili (come nel
disegno).
Dopo aver montato il dispositivo accendete il fornellino ad alcol:
Attenzione!! Il cotone nel fornellino deve essere appena imbevuto di alcol e
non annegarci dentro: rischia di esplodere!
Posizionatevi in modo da non disturbare la fiamma con correnti d’aria e sistemate il magnete e il
chiodo in modo che quest’ultimo attragga la pallina e che questa venga così a trovarsi proprio sulla
fiamma. Dopo qualche minuto la pallina si staccherà dal magnete uscendo dalla fiamma.
In base alla teoria esposta nelle ultime pagine della scheda sul magnetismo e in particolare
riferendovi alla figura 10, sapreste spiegare il comportamento del dispositivo che avete costruito?
Tenete presente che la temperatura di Curie per il Ni è di 340 oC…………………………………
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Perché abbiamo utilizzato un chiodo per attrarre, attraverso la calamita, la pallina di Ni? Non
bastava il magnete?
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Provate ora a sostituire la pallina di Ni con una di Fe.
Riuscite ad osservare lo stesso comportamento?…………………………………………………
Perché?…………………………………………………………………………………………..
Questo dispositivo costituisce in linea di principio un motore termomagnetico. Questo motore fu
inventato da NikolaTesla (in onore di questo prolifico inventore il suo nome viene utilizzato come
unità di misura del campo magnetico); la figura sotto è tratta dal brevetto originale.
L’energia in uscita del motore viene prelevata dalla ruota. Quella d’ingresso da cosa viene fornita?
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Dal punto di vista del rendimento di questo motore qual è l’inconveniente maggiore?
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Ascoltare il campo magnetico…
Di solito percepiamo la presenza di un campo magnetico allorchè avviciniamo i poli di due calamite;
percepiamo una forza ma non vediamo nulla tra le due calamite: forse è anche per questo che le calamite
sono affascinanti.
In Fisica avrete certamente sentito parlare del concetto di campo. Inizialmente vi sarà sembrato un artificio
matematico per aggirare il problema dell’azione a distanza; in effetti il campo è qualcosa in più: è un oggetto
reale ne più ne meno della materia, ed alla materia strettamente correlato. Possiamo affermare che non esiste
materia senza campo, anzi: nella concezione moderna (da Einstein in poi) la materia stessa viene considerata
come una singolarità del campo; una zona in cui il campo diventa intensissimo.
L’esperimento che vi proponiamo vi permetterà di “sentire” il campo magnetico; certo, avete sentito bene:
sentire il campo! Anche perché vederlo non si può: è invisibile!!
Per questo esperimento utilizzeremo un rivelatore di campo assai sensibile. E’ uno strumento che vi è certo
famigliare perché tutti e tutte ne possedete uno e chissa quante volte lo avete utilizzato senza conoscerlo
personalmente:
Signori e signore, ecco a voi il registratore a nastro, volgarmente detto “mangianastri” (che però dopo averli
“mangiati” li rende intatti senza averli digeriti… bohhh… forse che quella musica gli è indigesta??).
Nel registratore a nastro vi è un dispositivo in grado di rilevare piccole variazioni di campo magnetico: sono
le testine.
Non rileva tutti i campi magnetici; solo le variazioni di campo. Del resto anche il nostro orecchio non rivela
la pressione atmosferica ma solo le rapide variazioni di pressione attorno alla pressione atmosferica
(appunto… i suoni).
Prova a collegare un solenoide ad un generatore elettrico a corrente continua.
Se avvicini l’ago di una bussola cosa osservi?
Prova ad avvicinare al solenoide il cartoncino con la limatura di ferro. Cosa osservi?
Cosa puoi dedurre dalla forma delle linee di campo?.
Nel solenoide percorso da corrente si è stabilito un campo magnetico. Ma di questo avrai senz’altro sentito
parlare a lezione. Il valore di questo campo è:
B = μ NI/l
Dove B è il campo magnetico, N il numero di spire del solenoide, l la lunghezza del solenoide e I la corrente
che scorre nel solenoide. Corrente continua = campo magnetico costante; corrente variabile = campo
magnetico variabile.
Ora prova ad inviare il segnale di uscita del giradischi (antico strumento per riprodurre musica in uso fino
all’inizio degli anni ’90. Ora estinto.) invece che alla cassa, alla bobina di un solenoide.
Cosa ti aspetti di ottenere?
Certo, la risposta è facile ma… esiste un modo per rendere visibile il campo come nel caso statico?
Vediamo se è vero che la testina di un registratore può servire a rivelare variazioni di campo magnetico.
Apri il vano cassette del registratore e avvialo come se dovessi ascoltare una cassetta (ma senza nulla nel
vano cassette).
Ora prova a far scorrere rapidamente un magnete vicino alle testine (alza il volume al massimo).
Cosa noti? Quando il suono è più intenso? Quanto dipende (qualitativamente) dalla distanza tra la testina e
il magnete?
Ora prova ad avvicinare alla testina la bobina collegata all’uscita del giradischi (ricordati di aver messo sul
piatto un buon disco, di averlo messo in moto e di aver delicatamente fatto scendere la puntina sul disco).
Cosa senti?? Sorpreso?
-Controlla come dipende il volume del suono dalla distanza tra la testina e il solenoide.
-Se ora inserisci all’interno della bobina un bel pezzo di ferro che termine vai a cambiare nella formula del
campo magnetico? Cosa noti rispetto al volume del suono quando inserisci la barretta di ferro?
Ma questo non ti sembra un buon modo per evitare collegamenti fastidiosi, ovvero un antesignano della
tecnologia wireless?
Buon ascolto…
Piano inclinato a correnti parassite.
Obiettivo: osservare un effetto meccanico macroscopico delle correnti parassite.
Materiali: una lastra di alluminio, un carrellino, un forte magnete, cartoncini, nastro adesivo,
cronometro, un tavolo di legno.
Metodo: sotto il carrellino sistemate uno strato di cartoncini e, in ultimo, fissate il magnete in modo
che non tocchi la base mentre il carrellino si muove.
Provate ora a far scendere il carrellino inclinando leggermente il tavolo sul quale state lavorando.
Dovreste saper che si tratta di un moto ……………………………………………………………
Stimate la velocità finale del carrellino misurando il tempo di discesa e lo spazio percorso. In questo
tipo di moto la relazione tra la velocità media e la velocità finale è:………………………………….
Quindi la velocità finale corrisponde a: v f = …………….. m/s.
Ora fate scendere il carrellino lungo la lastra di alluminio appoggiata sul tavolo, senza cambiarne
l’inclinazione.
Che cosa osservate? …………………………………………………………………………………
Fate diverse prove qualitative per rendervi conto di ciò che accade. Per esempio provate a far partire
il carrellino da diversi punti della lastra. Provate a farlo partire dal tavolo in modo che prenda
velocità e solo successivamente entri sulla lastra di alluminio.
Ora cercate di che moto si tratta.
Fate partire il carrellino da diverse lunghezze lungo la lastra e, per ognuna di esse, misurate il
tempo. Riportate i dati in un grafico spazio-tempo.
Ora dividete il percorso in due parti: nella prima il carrellino scorre sul tavolo di legno per un
metro, poi entra sulla lastra per un altro metro. Stimate la velocità di ingresso sulla lastra e misurate
la velocità finale sulla lastra. Cosa notate? ……………………………………………………………
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Provate ora a cambiare l’inclinazione del tavolo e ripetete la misura della velocità finale (con il
carrellino che parte da fermo sulla lastra). Come cambia in funzione dell’inclinazione?......................
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Cosa puoi concludere sulla dipendenza della forza frenante dalla velocità?.........................................
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Provate ora a interpretare il fenomeno in base a quanto conoscete sulle correnti parassite. (vedi
scheda sulla levitazione magnetica). ………………………………………………………………….
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Sapreste ideare un piano in alluminio sul quale il carrellino possa scorrere senza essere così frenato?
Dal punto di vista dell’energia… Provate a calcolare l’energia nella situazione iniziale (carrellino
alla partenza, fermo) e situazione finale (carrellino all’arrivo, in movimento). I due valori
dovrebbero risultare notevolmente diversi. Dove è finita l’energia mancante?
L’ E-Bmetro: un misuratore di campo elettrico e magnetico
Obiettivo. Con questa esperienza ci si è preposti di dimostrare sperimentalmente la legge
dell’inverso del quadrato del campo di una sfera metallica , analogamente all’esperienza effettuata
da Priestley nel 1776.
Materiale. Un E B-metro, una sfera metallica cava, un generatore di alta tensione (0-6000V).
Metodo. Mettete l'EBmetro in un campo elettrico avente per sorgente una sfera ( di 10 cm di
diametro) posta su un sostegno di buon isolante ( ad esempio di plexiglas ) e caricata mediante un
contatto con il generatore AT (almeno 2000 V). Fate attenzione che l’altezza del centro delle
placchette sia uguale a quella del centro della sfera. Quando la testina gira, controllate l'indicatore di
segnale dello strumento di misura. Se segna zero o qualche millivolt anche ruotando il suo stelo,
l'EBmetro è pronto per l’uso. Disponete la base in modo che lo zero della sua graduazione coincida
con la direzione del segnale massimo. Controllate la distanza fra il centro delle placchette e il centro
della sfera in modo da evitare che si sentano effetti di induzione non del tutto trascurabile. Misurate
il segnale medio a questa distanza. Ora allontanate l’EBmetro e ripetete la misura del segnale ogni
2,5 cm. Riportate su una tabella la distanza r tra il centro della sfera e quello delle placchette e il
corrispondente valore di E. Se si usa attenzione nel mantenere i centri della sfera delle placchette
sempre sullo stesso piano verticale, nel mantenere costante l’orientazione dell' EBmetro e se le
misure delle distanze sono state eseguite con la massima cura, si vede che la relazione che lega E a r
è del tipo E=1/r2 cioè Er2 è una costante.
r: dist dal centro(cm)
r2
……………….
……………….
E(mV)
E·r2
1/r2
…… …………… …………….
Teoria. Questa esperienza si fonda sulla IV equazione di Maxwell riguardante la relazione tra il
flusso variabile di un campo elettrico e il campo magnetico generato. Se all’interno di un
condensatore viene fatto variare il campo elettrico, tra le sue superfici si stabilisce una differenza di
potenziale il cui valore è stabilito dalla IV equazione di Mawell. Il sensore è costituito da un
condensatore a facce piane e parallele che può ruotare attorno ad un diametro. Se il sensore è
immerso in un campo costante, Il flusso elettrico varia poiché varia l’angolo tra la superficie del
condensatore e campo. La differenza di potenziale che si stabilisce tra le armature è direttamente
proporzionale al valore del campo elettrico: La IV equazione di Maxwell stabilisce che
dΦ E
∫ B ⋅ dl = µ 0ε 0 dt dove Φ E è il flusso elettrico mentre B è il campo magnetico generato dalla
variazione del flusso elettrico e perpendicolare al campo elettrico. Il flusso elettrico attraverso il
dΦ E
sensore vale: Φ E = ES cos ωt e
= − ESω sin ωt , da cui si nota la proporzionalità al campo
dt
elettrico.
Attenzione: avvicinando troppo il sensore alla sfera, date le sue dimensioni finite, si distorce il
campo che non varia più con il quadrato della distanza. Occorre misurare a circa 15 cm dal centro e
allontanarsi in modo radiale.
MACCHINA A FLUIDO ELETTRICO STILE CARNOT………
…….ovvero “Riflessioni sulla potenza motrice dell’elettricità”
Credo che tutti e tutte conosciate il ciclo di Carnot....
E’ il ciclo di una macchina termica ideale, che essendo ideale, non è mai stata costruita.
Fu inventato da Sadi Carnot, un grande! Forse avete conosciuto suo padre: è quello del
teorema del coseno o, appunto, di Carnot che avrete usato innumerevoli volte in
trigonometria.
Dunque Sadi aveva scoperto un fatto di importanza capitale in termodinamica: condizione
necessaria per poter estrarre potenza motrice (cioè meccanica) “dal fuoco” (cioè usando
un processo termico) è che si abbiano a disposizione (almeno) due sorgenti a temperatura
diversa. Ogni volta che questo si realizza sarebbe possibile far funzionare una macchina
termica che, attraverso l’entropia, preleva energia dalla sorgente calda, ne storna un po’
per far girare ad esempio una ruota, e cede la restante alla sorgente fredda. Capite che
questa è una scoperta sensazionale! Pensate a tutte le volte che osservate attorno a voi
delle differenze di temperatura: in linea di principio di potrebbero far funzionare altrettante
macchine termiche e usare energia che altrimenti viene sprecata. Ma il nostro Sadi aveva
fatto ancor meglio, era riuscito a quantificare il massimo rendimento della sua macchina
termica ideale. La scoprirete più avanti. Di meglio per i motori termici non si può fare: non
è un limite tecnologico, è proprio la natura che non lo consente.
Come era fatto il suo ciclo?
Seguendo il principio enunciato sopra, ogni volta che due parti di una macchina a
temperature diverse vengono in contatto si ha uno spreco di energia, poiché essendo in
contatto si ha passaggio di entropia e di energia senza che questa possa essere stornata
per far funzionare un dispositivo meccanico. Allora occorre sistemare le cose in modo che
parti a temperature differenti non vengano in contatto (o ridurre il più possibile il contatto).
La macchina è formata da un cilindro e un pistone.
Cominciamo dalla temperatura alta. La macchina è in contatto con la sorgente a
temperatura alta: possiamo far compiere una espansione isoterma (lavoro sull’esterno).
Tutta l’energia che prende dalla sorgente calda viene usata per far compiere questa
espansione.
Ora isoliamo termicamente la macchina in modo che non possa uscire entropia (o in altre
parole che la macchina non possa scambiare calore con l’esterno). Si ha una
trasformazione isoentropica o adiabatica: continua l’espansione ma a spese dell’energia
interna del gas contenuto nel cilindro che diminuisce di temperatura. L’energia che il gas
ha perso è stata usata per continuare a lavorare sull’esterno. Aspettiamo che il sistema
abbia raggiunto la temperatura della sorgente a bassa temperatura, togliamolo
dall’isolante e mettiamolo in contatto con questa.
Ora che la sua temperatura non può cambiare
facciamo una compressione isoterma: l’energia
richiesta dall’esterno per questa compressione è
inferiore a quella per la precedente espansione
perché il gas si trova a temperatura più bassa (è
come se al posto del gas aveste una molla che per
l’espansione ha una certa costante elastica, mentre
per la compressione ha una costante elastica più
bassa). Ora isoliamo ancora la macchina in modo
che non possa sfuggire entropia. Poiché si è in fase
di compressione e l’entropia non può uscire la
temperatura aumenta. Aspettiamo che raggiunga la
temperatura della sorgente calda e.... ricominciamo il ciclo. E’ tutto, questa è l’idea di Sadi
Carnot.
Sapete come gli è venuta in mente la formula del massimo rendimento? Osservando la
ruota di un mulino ad acqua. La ruota può girare se è presente un salto d’acqua, cioè due
altezze differenti rispetto ad un certo riferimento. Qual’è il rendimento della ruota?
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Leggendo il testo di Carnot vedete che parla di calorique. Gli storici hanno discusso
parecchio sull’idea che stava dietro questo concetto. Oggi sono d’accordo nell’affermare
che l’idea di calorique sia la nonna dell’entropia. Confrontando la formula di massimo
rendimento per la ruota ad acqua e leggendo le parole di Carnot, sapreste trovare una
formula analoga per il massimo rendimento di una macchina termica?
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Bene! Ma cosa c’entra l’elettricità con tutto questo???
In effetti c’entra molto a livello di analogia.
Ora per cortesia rispondete a queste domande a seconda delle scuole dalle quali arrivate:
1) Qual è la prima grandezza che ha introdotto l’insegnante di Fisica quando ha spiegato
l’elettricità?
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2) Dopo quanto avete parlato di potenziale elettrico o differenza di potenziale?
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3) Qual è la prima grandezza che ha introdotto l’insegnante di Fisica quando ha spiegato i
fenomeni termici?
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4) Dopo quanto vi ha parlato (se ve ne ha parlato) di entropia?
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Dal punto di vista della funzione delle grandezze fisiche la carica in elettricità ha la stessa
funzione dell’entropia in termodinamica, e il potenziale ha la stessa funzione della
temperatura.
Pensate che, in analogia alla termodinamica si potrebbe spiegare l’elettricità senza
introdurre la carica elettrica? .........................................................................................…….
Sarebbe più facile o più difficile? ...................................................................................…….
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Ci sono però importanti differenze da sottolineare.
La carica si conserva?.....................................................................................................
L’entropia si conserva?...................................................................................................
Esiste uno zero assoluto di potenziale elettrico?.............................................................
Esiste uno zero assoluto di temperatura? ........................................................................
Nonostante queste differenze si potrebbe costruire un percorso parallelo tra
termodinamica ed elettricità facendo leva sulle funzioni delle grandezze fisiche elencate.
E’ quello che vorremmo proporvi tramite la costruzione e lo studio di una macchina
elettrica analoga alla macchina di Carnot che abbiamo chiamato: macchina a fluido
elettrico stile Carnot.
Esecuzione dell’esperimento
La macchina è costituita da un condensatore mobile a facce piane parallele. La faccia
inferiore è fissata al tavolo e collegata ad un potenziale negativo del generatore, mentre
quella superiore viene alternativamente in contatto con il potenziale positivo. La prima
versione è fatta con due teglie di alluminio (quelle che si usano impropriamente per fare la
pasta al forno).
• Rovesciate la teglia inferiore e fissatene i bordi al tavolo con del nastro di carta.
• La teglia superiore va sospesa con quattro fili di spago (che passano per i bordi) al
gancio di un dinamometro. La distanza tra le teglie deve essere di circa 1.5 cm o
meno e le due superfici affacciate devono essere parallele.
• Collegate la teglia inferiore al polo negativo del generatore (spento, e con la spina
disinserita!); ad un sostegno fissate il contatto da collegare al polo positivo in modo
che tocchi il fondo della teglia superiore circa nella zona centrale.
• Ora accendete il generatore di alta tensione stando lontani dalle parti sottoposte
a differenza di potenziale e aumentate gradualmene la tensione con il
potenziomentro.
Osservate cosa succede alle teglie-piastre del condensatore mobile: ...........................…...
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•
Se facesse scintille diminuite subito la ddp e regolate meglio la posizione della
teglia superiore.
• Quando avete raggiunto una disposizione stabile provate a contare quanti cicli fa in
un certo tempo (contate i cicli e misurate il tempo poi fate il rapporto cicli/tempo).
Come cambia al cambiare della ddp? .....................................................................……
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Ora montate la macchina vera e propria (questa era solo uno schizzo....) seguendo lo
schema sotto.
Attenti/e! E’ delicata!!!
•
•
Ripetete ora le manovre del caso precedente......
Ora i cicli dovrebbero essere più stabili.
Fate un grafico numero di cicli in funzione della ddp.
Tenendo conto che in una trasformazione adiabatica l’entropia si conserva, è comodo
rappresentare il ciclo di Carnot nel diagramma entropia-temperatura. Sapreste tracciare un
grafico analogo per una macchina elettrica ideale (nel piano carica elettrica-ddp),
basandovi sulla corrispondenza tra T e V e tra S e Q?
Q
V
In base alla formula del massimo rendimento per la macchina di Carnot, sapreste ricavare
una analoga formula per la macchina elettrica?………………………………………………….
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Cosa rappresenta l’area racchiusa nel ciclo?
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Il ciclo della macchina che avete realizzato è in effetti
questo.
Provate a descrivere le varie fasi del ciclo di questa
macchina elettrica.
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L’equazione di stato della macchina è F x2 = ½ ε A V2
dove F è la forza tra le piastre, x la loro distanza, A la loro area, V la loro ddp.
Sareste in grado, conoscendo la teoria dei condensatori, di ricavare questa equazione?
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Se avessimo una macchina termica ideale che funziona con un gas perfetto quale sarebbe
l’eq. di stato?
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Ritorniamo alla nostra macchina elettrica.
Proviamo a determinare il lavoro fatto dalla macchina misurando di quanto viene sollevata
la massa appesa m per un fissato valore di tensione applicata (per avere una misura più
precisa mediamo su un certo numero di cicli).
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Stimiamo ora l'energia assorbita dalla macchina in un ciclo.
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In base alle misure effettuate potete provare a calcolare il rendimento di questa macchina.
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Proviamo ora a confrontare i risultati delle nostre misure di lavoro, energia assorbita e
rendimento, con il calcolo teorico che possiamo fare basandoci sul grafico che
rappresenta il ciclo della macchina elettrica nel piano Q V.
Qual è il lavoro fatto da questa macchina?………………………………………………………
Quale l'energia assorbita?…………………………………………………………………………
Sapreste calcolare il rendimento?
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Dovrebbe venirvi un risultato paradossale! Ma in teoria è corretto. Nella macchina di
Carnot come fareste a ottenere un tale rendimento?…………………………………………
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Come mai nella macchina di Carnot non è teoricamente possibile, invece qui si? ......……..
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Attenzione! Warning! Attention! Achtung!
Il moto perpetuo non si può realizzare!!
Questo non è un risultato ma un principio della natura
(S.Carnot, 1824)
DECADENDO UN PO’...
“Eventi casuali sono quelli che accadono senza ordine alcuno, cioè senza che si possa
prevederli. Malgrado ciò l’effetto globale di un gran numero di tali eventi resta
perfettamente prevedibile”.
Uno dei fenomeni nel quale meglio si vede questo effetto globale è il decadimento
radioattivo. Alcuni elementi hanno la proprietà di non essere stabili: i loro nuclei si
trasformarmano spontaneamente, dopo un certo tempo, in nuclei di altri elementi e poi in
altri ancora, fino a raggiungere una situazione stabile nella quale non si trasformano più.
Tali elementi vengono chiamati "radioattivi".
Ad esempio il Po 210, mediante l'emissione di una particella alfa (nucleo di elio 2p+2n) si
trasforma in Pb 206: il Pb 206 è stabile e non si trasforma più.
Queste trasformazioni avvengono mediante l'emissione di particelle dai nuclei: elettroni
(raggi β), nuclei di He (raggi α), radiazione gamma. Se si considerano un certo numero di
nuclei può sorgere la domanda: “ogni quanto si osserva un decadimento?”
Se potessimo ascoltare il ticchettio di un contatore Geiger posto di fronte ad una sorgente
radioattiva ci accorgeremmo dell'irregolarità del tempo tra un colpo e il successivo.
Ebbene questo tempo è una variabile casuale. Tuttavia se si considera il tempo
necessario per un certo numero di decadimenti, diciamo un numero molto elevato di
decadimenti, ecco che questo tempo diventa una variabile prevedibile.
Il motivo di ciò risiede nella legge dei grandi numeri: anche se il comportamento della
singola variabile è casuale, quello collettivo, cioè la somma di un gran numero di variabili
casuali, diventa prevedibile.
Considerando un solo nucleo di Po 210 non possiamo dire nulla riguardo il tempo che
impiegherà a trasformarsi in Pb 206. Si possono solo fare solo affermazioni
probabilistiche. La più semplice è che la probabilità dell’evento: (Po 210 → Pb 206) sia un
numero costante nel tempo e che questa probabilità non dipenda dagli altri nuclei di Po
presenti.
Non disponendo di una sorgente di Po possiamo simulare questo fenomeno
semplicemente usando dei dadi. In fondo l’evento: “uscita del quattro” oppure “uscita
dell’uno” ha sempre la stessa probabilità. Se il dado ha 6 facce e non è truccato la
probabilità è di 1/6. Se si lanciano molti dadi, la probabilità di uscita di una certa faccia per
un dado è indipendente da quella degli altri dadi, per cui le condizioni sono in tutto e per
tutto simili al modello di decadimento del Po.
Esecuzione dell’esperimento
•
•
•
•
•
•
Scegliere un numero da 1 a 6: questo sarà il segnale che il “dado è decaduto”.
Lanciare i dadi tutti insieme e togliere quelli che indicano il numero scelto.
(Potete accatastarli uno sull’altro nella cornice).
Ripetete il lancio parecchie volte estraendo di volta in volta i dadi che indicano il
numero scelto all’inizio.
Continuate fino a che avrete solo pochi dadi (4 o 5).
Se non esce il numero stabilito lasciate uno spazio vuoto nella
cornice.
Ora riproducete su un foglio a quadretti la forma della
distribuzione.
Ripetete l’esperimento almeno cinque volte e ogni volta riportate sullo stesso foglio a
quadretti la forma della distribuzione che ottenete.
Provate a fare la media aritmentica dei valori ottenuti sui vari grafici lancio per lancio e
ricavate un grafico medio.
Confrontate questa curva con quella del decadimento del Po 210.
A cosa sono dovute le fluttuazioni che si osservano?…………………………………………...
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Come potrebbero essere ridotte?………………………………………………………………….
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Considerate il numero di dadi nella prima colonna; ora considerate la colonna che
contiene circa la metà dei dadi e il numero di lanci necessari per passare dall’una all’altra.
Considerate ora la colonna che contiene circa ¼ dei dadi rispetto alla prima e il numero di
lanci che la separa da quella che ne contiene la metà.
Cosa notate?…………………………………………………………………………………………
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Proseguite con la colonna che ne contiene 1/8 rispetto alla prima ecc...
Cosa potete concludere?……………………………………………………………………………
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…………………………………………………………………………………………………………
Supponete di avere N dadi all’inizio dell’esperimento; dopo un certo numero di lanci
(diciamo N 1/2 ) e di eliminazioni il numero di dadi sarà ridotto circa alla metà.
Dopo quanti lanci, nell’ipotesi di indipendenza di un lancio dai precedenti, il numero di dadi
si sarà ridotto a circa N/4 ?………………………………………………………………………..
E dopo quanti lanci si sarà ridotto a N/8?…………………………………………………………
Confrontate con i rispettivi numeri trovati al punto precedente cosa notate?…………………
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Provate a riportare in un grafico, per ogni lancio il numero di dadi decaduti in funzione del
numero di dadi rimasti. In base al grafico che modello potete scegliere tra la variabile dadi
decaduti e la variabile dadi rimasti?……………………………………………………………….
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Da queste considerazioni prova ad elaborare un modello del numero di dadi rimasti (o
decaduti) in funzione del numero di lanci e prova ad interpolarlo con i minimi quadrati.
In effetti gli elementi radioattivi si comportano proprio come visto per i dadi.
Il tempo necessario affinchè decada la metà dei nuclei (quello che abbiamo indicato con
N 1/2 nel caso dei dadi) si chiama tempo di dimezzamento e si indica con T 1/2 (stimare…)
Se si sceglie il tempo di dimezzamento come unità di misura, e si scrive il numero di nuclei
radioattivi presenti come percentuale della quantità iniziale, si ottiene lo stesso grafico per
tutti gli elementi radioattivi.
Se invece si considera il numero di lanci nei quali si sono ottenuti 0, 1, 2.... decadimenti si
ottiene una diversa distribuzione di probabilità nota come “distribuzione di Poisson”; essa
non è caratteristica solo dei decadimenti ma anche di fenomeni molto diversi tra loro come
il tempo di attesa tra due chiamate successive ad un centralino telefonico, il numero di
anni che separano due guerre della stessa magnitudine, il numero di errori nella
trasmissione di dati, ecc...
Decadimendo radioattivo del candio
Per la teoria di questo esperimento vedi la scheda “Decadimento del pallinio” o “Decadendo un
po’…”
In questo esperimento useremo atomi di “candio” che non sono altro che caramelle (M&M o altre)
che presentino una sola faccia segnata.
Materiale:
- Caramelle M&M
- Una scatola con coperchio per contenerle
- Carta, righello e penna.
Procedimento:
1)
2)
3)
4)
5)
6)
7)
8)
Tempo
Mettete 50 atomi di candio (caramelle) nella scatola.
Scuotete la scatola per qualche secondo e spargete gli atomi di candio sul tavolo.
Contate quelli che si presentano con il segno e toglieteli.
Rimettete nella scatola i restanti e ripetete il procedimento.
Andate avanti fino a che non avete più atomi.
Riportate in una tabella il numero di atomi non decaduti ad ogni passo
Ripetete una seconda e una terza volta l’esperimento.
Riportate in un grafico la media del numero di atomi non-decaduti nelle tre prove ad ogni
passo
N. di atomi non
decaduti (1)
……… …
N. di atomi
decaduti (1)
N. di atomi non
decaduti (2)
N. di atomi
decaduti (2)
N. di atomi non
decaduti (3)
N. di atomi
decaduti (3)
…
…
…
…
…
Domande:
1) Definite il tempo di dimezzamento.
2) Nell’esperimento qual è il tempo di dimezzamento del candio
3) Dopo un tempo pari al doppio del tempo di dimezzamento qual è la frazione di atomi non
decaduti?
4) Descrivete la forma della curva tracciata e provate ad elaborare un modello matematico.
5) Ripetete l’esperimento con 30, 80, 100 atomi, di candio e confrontate i risultati.
P.S. all’ultima ripetizione dell’esperimento mangiate di volta in volta gli atomi decaduti.
A cura di Angelo Merletti
Decadimento del pallinio
“Eventi casuali sono quelli che accadono senza ordine alcuno, cioè senza che si possa
prevederli. Malgrado ciò l’effetto globale di un gran numero di tali eventi resta
perfettamente prevedibile”.
Uno dei fenomeni nel quale meglio si vede questo effetto globale è il decadimento radioattivo.
Alcuni elementi hanno la proprietà di non essere stabili: i loro nuclei si trasformano
spontaneamente, dopo un certo tempo, in nuclei di altri elementi e poi in altri ancora, fino a
raggiungere una situazione stabile nella quale non si trasformano più.
Tali elementi vengono chiamati "radioattivi".
Ad esempio il Po 210, mediante l'emissione di una particella alfa (nucleo di elio 2p+2n) si trasforma
in Pb 206: il Pb 206 è stabile e non si trasforma più.
Queste trasformazioni avvengono mediante l'emissione di particelle dai
nuclei: elettroni (raggi β), nuclei di He (raggi α), radiazione gamma. Se si
considerano un certo numero di nuclei può sorgere la domanda: “ogni
quanto si osserva un decadimento?”
Se potessimo ascoltare il ticchettio di un contatore Geiger posto di fronte ad
una sorgente radioattiva ci accorgeremmo dell'irregolarità del tempo tra un
colpo e il successivo.
Ebbene questo tempo è una variabile casuale. Tuttavia se si considera il
tempo necessario per un certo numero di decadimenti, diciamo un numero
molto elevato di decadimenti, ecco che questo tempo diventa una variabile
prevedibile.
Il motivo di ciò risiede nella legge dei grandi numeri: anche se il
comportamento della singola variabile è casuale, quello collettivo, cioè la
somma di un gran numero di variabili casuali, diventa prevedibile.
Considerando un solo nucleo di Po 210 non possiamo dire nulla riguardo il
tempo che impiegherà a trasformarsi in Pb 206. Si possono solo fare solo
affermazioni probabilistiche. La più semplice è che la probabilità
dell’evento: (Po 210 → Pb 206) sia un numero costante nel tempo e che
questa probabilità non dipenda dagli altri nuclei di Po presenti.
Il pallinio è un elemento che sussiste solo confinato in un apposito apparato
costituito da due camere: una superiore e una inferiore. Un nucleo di pallinio
(per brevità… pallino) nello stato eccitato (instabile) si trova nella camera
superiore, mentre nello stato fondamentale (stabile) è nella camera inferiore.
Il passaggio (decadimento) da una camera all’altra è assicurato dalla
presenza del tubo.
Come è legata la probabilità di passaggio con la sezione del tubo?
Metodo
Inizialmente inserire i pallini nella camera superiore chiuderla con il tappo munito di tubetto.
L’altra camera va chiusa con un normale tappo di plastica.
L’esperimento consiste nello scuotere l’apparecchio tenendo la camera con i pallini e il tubo di
vetro in alto in modo che i pallini, saltando, possano finire nella camera sottostante.
Conviene dare 5 scosse alla volta; poi si capovolge lentamente l’apparecchio in modo che i pallini
rimasti nella camera originale vadano a finire nel tubetto in vetro e se ne possa misurare il livello
raggiunto (pallini non ancora decaduti). Se 5 scosse sono poche (o troppe) cambiate pure cercando
il valore ottimale.
Si procede in questo modo con gruppi di 5 scosse alla volta fino a che il tubicino si è quasi svuotato.
Di volta in volta riportate in una tabella il livello raggiunto nel tubicino.
Dopo quante scosse il livello nel tubicino si è dimezzato rispetto all’originale?
Questo tempo si chiama tempo di dimezzamento.
Provare ad elaborare un modello matematico ragionevole del “decadimento” e verificalo con i dati a
disposizione.
(Suggerimento: dopo aver tracciato il grafico dei valori di altezza nel tubicino in funzione del
numero di scosse, prova a tracciarne uno con il logaritmo delle altezze in funzione del numero di
scosse. Questo dovrebbe dare una indicazione utile per elaborare il modello)
A cura di Angelo Merletti