Massimo Mori e Stefano Poggi (a cura di), La misura dell’uomo. Filosofia, teologia,
scienza nel dibattito antropologico in Germania (1760-1915), Bologna, il Mulino,
2005, p. 352, € 28,00, ISBN 88-15-10815-7.
L’antropologia in ambito filosofico assume lo status di disciplina solo nel primo quarto
del ventesimo secolo nell’opera di Max Scheler, che in Mensch und Geschichte
(Frankfurt, 1926) definiva l’antropologia filosofica «una scienza dell’essenza e della
struttura eidetica dell’uomo, del suo rapporto con i regni della natura (inorganico,
pianta, animale) e con il principio di ogni cosa; dell’origine metafisica della sua essenza
e del suo esordio fisico, psichico e spirituale nel mondo; delle forze e delle potenze che
agiscono su di lui e sulle quali egli agisce; delle direzioni e delle leggi fondamentali del
suo sviluppo biologico, psicologico, spirituale e sociale; tanto dal punto di vista delle
sue possibilità essenziali quanto da quello delle sue realizzazioni» (in Gesammelte
Werke, vol IX, Bern-München, 1976, p. 120). Se è Scheler il primo a parlare di
antropologia filosofica, non è possibile dimenticare che la domanda sull’uomo ha radici
che risalgono alla notte dei tempi, nel monito gnothi seauton iscritto sul frontone del
tempio di Apollo a Delfi. L’antropologia come scienza a sé stante, tuttavia, è di
formazione recente — risale alla seconda metà del diciottesimo secolo e sorge dal
tentativo di dare una risposta esaustiva al concetto di vita in alternativa al riduzionismo
dei sistemi meccanicistici post-cartesiani. Non sono molte le pubblicazioni che negli
ultimi anni hanno affrontato il problema antropologico dal punto di vista della storia
della filosofia. In area anglosassone è stata pubblicata la fondamentale monografia di
John H. Zammito, Kant, Herder: The Birth of Anthropology (Chicago, 2002); in Italia i
riferimenti principali sono Franco Chiereghin, Dall’antropologia all’etica (Milano,
1997) e Luca Fonnesu, Antropologia e idealismo (Bari-Roma, 1993), mentre nell’area
germanica, a parte qualche breve lavoro, il problema pare passato in sottopiano.
L’obiettivo dei curatori del volume, Stefano Poggi e Massimo Mori, è ricostruire nei
suoi momenti fondamentali il lasso di tempo che intercorre dalla nascita
dell’antropologia come scienza alla sua fondazione come disciplina filosofica. Gli autori
presi in considerazione sono Christian Wolff, Friedrich Christian Baumeister, JohannJakob Winckelmann, Johnann Heinrich Lambert, Johann Nikolaus Tetens, Immanuel
Kant, Joseph Wilhelm Friedrich Schelling, Matthias Jakob Schleiden, Bernhard
Bolzano e Max Scheler. La molteplicità degli autori trattati è indice della pluralità delle
prospettive che il volume intende offrire, per lo più su autori particolarmente
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interessanti, la cui bibliografia è ancora scarna. Si pensi soprattutto al saggio di
Ferdinando L. Marcolungo che colma una lacuna abbastanza grave sulle posizione
espresse da un autore certamente da rivalutare: Friedrich Christian Baumeister e la
fortuna della psicologia di Christian Wolff (p. 13). Muovendo dall’ipotesi di una
psicologia madrina dell’antropologia, Marcolungo ricostruisce le analisi dedicate dalla
scuola wolffiana all’anima in quanto sostanza capace di produrre le percezioni o
sensazioni ad opera di una forza che le è intrinseca. L’anima come un automaton
spirituale agisce non per necessità, ma per un desiderio interiore, in forza del quale è
principio e causa delle proprie mutazioni (p. 34). Il contributo di Enrico Pasini, L’altra
faccia dell’uomo della luna. Lambert e L’«Erfindungskunst» (p. 49) sottolinea la
difficile collocazione dell’eclettico pensiero antropologico di Lambert all’interno di una
specifica corrente filosofica del tempo. Intervenendo su L’anima dell’uomo. Psicologia
e teoria della conoscenza in Tetens (p. 71) Paola Rumore dà prima un inquadramento
generale della filosofia di Tetens e si sofferma poi sulle facoltà dell’anima (sensitiva,
rappresentativa e cogitativa). La componente problematica che entra in gioco è quella
della forza intrinseca dell’anima già messa in luce da Marcolungo. La facoltà formatrice
o fantasia spontanea, così è denominata la forza produttiva dell’anima, ha la capacità di
generare da sé rappresentazioni assolutamente nuove (p. 92) e di instaurare i rapporti e
le relazioni fra le cose (p. 96). Nella spontaneità manifestata dall’anima sarebbe dunque
da vedere, suggerisce Rumore, il carattere proprio per definire l’umanità secondo Tetens
(p 101). Il contributo, Le virtù apparenti in Kant (p. 103) di Maria Antonietta Pranteda
enfatizza l’importanza della morale per la costituzione del problema antropologico in
Kant. Trattando di Misure del sé e realtà esterna nell’idealismo critico kantiano (p.
129), Cinzia Ferrini propone un’analisi completa ed esaustiva del dibattito sul realismoidealismo kantiano. Enrico Guglielminetti, in «Herabsetzung». Ambiguità del
fondamento in Schelling (p. 167) individua le molteplici prospettive filosofiche
schellinghiane oscillanti fra l’idealismo di Fichte e la metafisica di Spinoza (p. 167). Il
saggio Winckelmann e la scienza (p. 195) di Silvia Caianiello affronta il problema
antropologico dalla prospettiva storica ed estetica (p. 195). L’antropologia scientifica di
Matthias Jacob Schleiden (p. 255) di Maurizio Di Bartolo è un esempio
dell’interdisciplinarità fra medicina, biologia, fisiologia, psicologia e filosofica, che
caratterizza il ruolo dell’antropologia nel primo Ottocento tedesco (p. 256). In Bolzano
su sapere e credere (p. 289), Lorenzo Fossati delinea l’epistemologia di Bolzano con
riferimento alle posizioni su sapere e cedere espresse da Kant. Il volume conclude con
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Un insospettabile idealista logico: Max Scheler (p. 317) di Giuliana Mancuso, dedicato
molto opportunamente agli anni immediatamente precendenti la fondazione
dell’antropologia filosofica, aprendo prospettive finora sconosciute sui rapporti fra il
giovane Scheler e il neokantismo. Il volume soddisfa in pieno l’obiettivo indicato dai
curatori di analizzare la misura dell’uomo e l’ordine dei processi del vivente in
generale, tra le leggi della logica e le funzioni mentali e fisiologiche, tra l’autonomia
pratica dell’uomo e il condizionamento naturale (p. 12).
Marco Sgarbi, Università di Verona
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