Teatro dell’assurdo • Ritornano le storie da raccontare, e ritorna l’articolazione sintattica dell’intreccio,, con i suoi nodi e i suoi snodi drammaturgici, un ritmo preciso che porta a climax e di scioglimento, un preciso coordinarsi d’entrate e d’uscite. • Torna spesso anche una concezione del teatro come attività che intrattiene rapporto con la realtà, per rappresentarla o per sezionarla, scavalcando in ogni modo la concezione che era d ll avanguardie, delle di di teatro t t come universo i per se. • Sopra tutto torna e trionfa, il personaggio come fulcro d’azione drammaturgica, g , con l’intreccio che ggli viene scontro l’interessi. Conflitto tra individui oppure individui e situazione, proprio come nella classica teorizzazione della dramma borghese. • Il teatro torna cosi ad essere principalmente luogo di scontro tra i personaggi, p gg , e il palcoscenico p torna di essere un luogo g chiuso ((si chiama pure “trappola per i sorci” oppure “muri da ogni parte”), un contenitore dentro di cui far muovere i personaggi. • Esemplari a questo riguardo sono sia la drammaturgia “impegnata” impegnata (esistenzialista) di J.P. Sartre ed Albert Camus, il teatro di Arthur Miller, oppure Tennessee Williams, sia il teatro degli “arrabbiati” arrabbiati inglesi (John Osborne Osborne, Edward Albee Albee, Harold Pinter), il cosiddetto teatro dell’assurdo (Martin Esslin) a quali la critica ha aggiunto un gruppo composto d’autori francesi come Samuel Beckett Beckett, Arthur Adamov Adamov, Eugene Ionesco perfino Jean Genet, rubricabili sotto le medesime categorie tematiche e formali. • E proprio il particolare uso dello spazio, che serve, molto più delle tematiche e del linguaggio, g gg , a definire il teatro dell’assurdo come categoria. In maniera constante e quasi ossessiva, lo spazio implicito in questi testi è uno spazio chiuso, molto delimitato dai propri confini, confini che marca in maniera decisiva l’opposizione dentro-fuori. Basta pensare allo spazio beckettiano, totalizzante, assoluto, da quale non si esce, sempre più introflesso, introflesso che consuma e annulla azione ed energia al proprio interno come un buco nero. Questo spazio chiuso è stato ereditato dalla tradizione ottocentesca (salotto borghese ed anche h prima i ante-camera t d l seicento). del i t ) • In questo modo, questi autori assumono in carico anche, all’interno all interno della propria operazione estetica le valenze ideologiche, il modello di funzionamento semantico e pragmatico della scena all’italiana, di qui appunto accettano i presupposti. E dunque l’operazione che ne risultava, oggettivamente, verso il recupero di parametri estetici e di strutture della macchina teatrale (centralità del drammaturgo, seperatezza tra mondo assoluto del palcoscenico e mondo quotidiano degli spettatori, riduzione degli spazi di operatività concessi alla messa in scena) che sono pre-Novecenteschi. • • • L’impatto internazionale di Cantatrice calva d’Eugene Ionesco in 1950 ed Aspettando per Godot, 1953, di Samuel Beckett, richiamo attenzione sul nuovo genere di dramma antirealista, che avrebbe costituito il più popolare movimento teatrale dell’ avanguardia del secolo. Con l’apparizione nel 1952, del Mito di Sisifo di Camus, “l’assurdo” è diventato uno slogan letterario di moda. Secondo Ionesco, l’esistenza “non è ‘assurda bensì ‘incredibile”. È possibile darle un senso, trovare leggi, stabilire regole razionali solo nel momento in cui si va alla ricerca delle fonti dell’esistenza, o si tenta di comprenderla. A questo, Adamov ha aggiunto che la vita non è assurda, ma è solo difficile, molto difficile. Esistono anche altre definizioni, come quella proposta da Ionesco, che il suo teatro è ‘il teatro della derisione” oppure anti-teatro. • Nelle sue note su teatro, Ionesco dice di voler spogliare ll’azione azione drammatica di tutto ciò che essa ha di particolare, dall’intreccio, i tratti accidentali dei personaggi, i loro nomi, la condizione sociale, l’ambiente storico, le ragioni apparenti pp del conflitto drammatico,, tutte le giustificazioni, tutte le spiegazioni, tutta la logica del conflitto, per arrivare ad un conflitto astratto senza motivazione psicologica. Ionesco • • • Tutto è linguaggio, a teatro, afferma Ionesco riecheggiando i linguisti di Praga: parole, gesti, oggetti, azione. All’autore, dunque, “non soltanto è permesso, ma consigliabile far recitare gli accessori, far vivere gli oggetti, animare gli scenari, concretizzare i simboli.”. In q questo senso,, Ionesco ha usato le parole p con altrettanta liberta e spregiudicatezza. Lui le deforma, le mutila, le concerta nei più bizzarri e gratuiti giuochi di rime e d’assonanze, giungendo spesso a farsene gli strumenti per effetti esclusivamente sonori (per esempio, il finale della Cantatrice calva). Ionesco è, infatti, considerato più comico di tutti, ma di una comicità funzionale,, strettamente legata g al tipo p di ppersonaggi gg pposti in scena e al processo che l’autore fa loro subire, un po’ meccanici, senza psicologia. Il parlarsi si rivela un inganno, perché gli individui non possono comunicare conversando: la comunicazione annuncia che non è più possibile nessuna comunicazione. Beckett • In Aspettando Godot, nella conversazione si risolve effettivamente tutto il dramma: il dialogo non conduce mai all’azione ed è interrotto soltanto da singole scenette che hanno il carattere di “numeri” attoriali. Ma la conversazione i sii dichiara di hi come un vuoto t conversare, un succedersi di frasi per passare il tempo, per ingannare piece stessa. I due l’attesa in cui consiste l’essenza della p protagonisti (Vladimiro ed Estragone) aspettano, e colmano il vuoto dell’attesa, e della vita, attraverso una conversazione che ha continuamente bisogno di trovare un motivo, un pretesto, per proseguire, e che continuamente si esaurisce per proporre il problema centrale: aspettare Godot. • L’altro aspetto decisivo attraverso cui Beckett rovescia le convenzioni della forma drammatica tradizionale è dato dai momenti metateatrali. In questo dramma, Beckett costringe lo spettatore a riconoscere di trovarsi in un teatro, dove gli attori devono parlare a giustificare della propria e altrui presenza. • La finzione teatrale si svela come finzione; e la conversazione dal ruolo totalizzante che aveva nel teatro tradizionale, tradizionale diventa un vacuo susseguirsi di battute che servono a far passare il tempo dell’attesa e il tempo della rappresentazione. • • • Personaggi di Beckett on sono personaggi classici, cioè non sono di quel genere che tenta di somigliare alle persone, ma delle entità astratte deputate all’azione sulla scena, degli attanti nel meccanismo drammaturgico e nulla fuori di esso. In ogni g modo,, in Beckett,, questa q de-personalizzazione p del personaggio p gg è più radicale e diventerà sempre più evidente nelle opere successive tante che spesso non compariranno più neanche i nomi ma solo delle indicazioni non individualizzanti, come per esempio la voce della donna, oppure le signe F1, F2, H, A oppure B. Chi agisce sulla scena non è più dunque un attore che interpreta un personaggio p gg che imita una ppersona,, ma un attore che entra in un ggioco quasi astratto d’azioni, di gesti e talvolta di parole, l’accento non è più sul personaggio, è sull’attore, nel senso etimologico di “chi agisce”.