considerazioni attuali sul giudicato tributario

CONSIDERAZIONI ATTUALI SUL GIUDICATO TRIBUTARIO
Sommario: 1. Premessa - 2. Riferimenti al giudicato civile - 3. Profili del giudicato civile estendibili a quello
tributario: la formazione del giudicato - 4. (Segue): la definizione del giudizio e i limiti oggettivi del giudicato - 5.
(Segue): l’efficacia e i limiti soggettivi del giudicato - 6. Giudicato tributario ed autotutela - 7.Osservazioni
conclusive.
1.PREMESSA
Il tema del giudicato tributario, per la verità mai analizzato a fondo prima dalla dottrina1 nella vigenza del
precedente regime del contenzioso tributario introdotto con la riforma del ’72 (di cui al D.P.R. n. 636 del 1972),
è venuto in auge di recente, a seguito della riforma che ha investito il processo tributario negli anni ’91-’92 (art.
30 della L.delega n. 413 del 1991 e Decreti Legislativi n. 545 e 546 del 1992) 2, soprattutto per i nessi del
giudicato tributario sia con il giudizio di ottemperanza (introdotto ex novo nel rito tributario dall’art. 70 del D.lgs.
n. 546 del 1992)3, sia con il potere di autotutela amministrativa dell’Amministrazione finanziaria, di cui si parlerà
dettagliatamente in seguito, di recente disciplinato ex positivo iure in modo autonomo per il diritto tributario,
branca indipendente ormai del più vasto settore ordinamentale ammnistrativo, dall’art. 68 del D.P.R. n. 287del 92
e sue successive modifiche e integrazioni normative e regolamentari 4. Pertanto, come può immediatamente
intuirsi, i profili del giudicato che propongono più pressanti interrogativi di attualità in campo fiscale sono
costituiti dalla regolamentazione sostanziale del rapporto giuridico (obbligatorio) Fisco-contribuente,
legislativamente disciplinato da norme genereralmente vincolanti, per l’influenza che può appunto discendere dal
giudicato sull’attività amministrativa del Fisco posta sia a monte della decisione delle Commissioni tributarie
(effetti retroattivi), che a valle della stessa (cioè, sull’attività svolta in necessaria conseguenza logica secondo lo
schema normativo tipico del procedimento amministrativo tributario di accertamento, di riscossione o di
irrogazione di sanzioni, non escluse però le vicende patologiche del riesame integrativo o modificativo, oppure
dell’annullamento o della revoca).
Puntualmente, allora, la dottrina ha impostato la tematica sorta al riguardo parlando dell’esigenza di c.d.
effettività della tutela del contribuente garantita dal nuovo sistema del contenzioso tributario in particolare e
dall’ordinamento giuridico fiscale in generale, ampliando invero il campo d’indagine ad ampio spettro anche alle
Solo alcuni brevi cenni al giudicato dedicano in genere i più diffusi manuali di diritto tributario, o sul processo tributario. Si pensi ad
esempio che pure tra le voci enciclopediche sul contenzioso tributario alcune contengono dei riferimenti al giudicato (P. Russo, VI)
Processo tributario, in Enc. Dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, pp. 828-834; Idem, Giudicato IV) Diritto tributario, in Enc. Giur. It., vol. XV,
Roma,1988), mentre altre non vi si soffermano (F. Tesauro, Processo tributario, in Noviss. Dig. It., Appendice, vol. V, Torino,1984, pp. 1398
ss.; C. Glendi, XII) Processo tributario, in Enc. Giur. It., vol. XXIV, Roma, 1991).
2 Sono riferiti al nuovo processo tributario i seguenti studi condotti sul giudicato tributario: G. Fransoni, Giudicato tributario e attività
dell’amministrazione finanziaria, Milano, 2001; C. Consolo - P. D’Ascola, Giudicato tributario, in Enc. Dir., Aggiornamento, vol. V, Milano,
2001, pp. 467 ss.; A. Chizzini, Primi spunti sul tema delle parti, delle azioni e del giudicato nel nuovo processo tributario, in L. Tosi -A. Viotto (a cura
di), Il nuovo processo tributario, Padova, 1999, pp. 15 ss.. Continua invece a non soffermarsi sul giudicato: F. Tesauro, Processo tributario, in
Digesto IV edizione -discipline privatistiche - sez. commerciale, vol. XI,Torino, 1995, pp. 336 ss., mentre vi dedica attenzione lo stesso A. in Processo
tributario, Ibidem, volume di Aggiornamento,Torino, 2000, pp. 555 ss., in specie p. 582.
3 Sul giudizio di ottemperanza nel nuovo processo tributario, vedi segnatamente: F. Tesauro, Processo tributario, cit., 1995, p. 359; Idem,
Processo tributario, cit., 2000, p. 590; M. Basilavecchia, Il giudizio di ottemperanza, in AA. VV., Il processo tributario, Torino, 1999, 929 ss; N. Sardi
- R. Negri, L’esecuzione del giudicato delle Commissioni Tributarie a favore del contribuente, in Il Fisco, 1996, pp. 6398-6401; G. Nicastro, Giudizio di
ottemperanza nel processo tributario: esperibilità, limiti, modalità, in Riv. Dir. Trib., 2000, I, pp. 255-268; P. Fabbrocini, Profili applicativi del giudizio di
ottemperanza nel processo tributario, in Rass. Trib., 2000, pp. 1455 ss.; F. Napolitano, Il giudizio di ottemperanza nel contenzioso tributario, in Boll.
Trib., 2001, pp. 405-422; M. Villani, Il commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza, Ivi, 2002,979; ID, Il commissario ad acta nel giudizio di
ottemperanza. Funzioni e responsabilità, in Il Fisco, 2002, pp. 4370-4371.
4 Sul potere di autotutela amministrativa del Fisco (c.d. autoimpugnativa degli atti), vedi in generale: D. Stevanato, L’autotutela
dell’Amministrazione Finanziaria. L’annullamento d’ufficio a favore del contribuente, Padova,1996; V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del
tributo, Milano,1999; S. Muscarà, Riesame e rinnovazione degli atti nel diritto tributario, Milano, 1992, pp. 159 ss.; ID, Contributo allo studio della
funzione di riesame sostanziale, in Rass. Trib., 1996, pp. 1322 ss., in particolare p. 1333, ove si evidenziano i profili distintivi tra l’accertamento
integrativo e l’autotutela. Sulla diversa nozione del potere di autotutela esecutiva (c.d. esecutività degli atti) del Fisco, vedi ad esempio: I.
Manzoni, Potere di accertamento e tutela del contribuente nelle imposte dirette e nell’IVA, Milano, 1993, pp. 1 ss. e pp. 6 ss. Per ulteriori indicazioni
bibliografiche vedi pure infra alla nt. n. 22.
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fasi pre e post processuali5, per significare che nello stato attuale dell’evoluzione normativa, della prassi e della
giurisprudenza va analizzata funditus la capacità (in termini di tempestività ed efficienza, ancor non priva di limiti)
dell’Amministrazione pubblica di recepire le direttive sulla concreta regolamentazione del rapporto tributario
fissate nel giudicato, che possono rinvenirsi nell’esatta interpretazione fornita dal giudice delle questioni di fatto e
di diritto dibattute tra le parti in contesa. E’ ovvio che tale adattamento dovrà direttamente esplicarsi in eventuali
concreti atti di gestione adottati dall’Autorità pubblica, sia in esecuzione del giudicato (e quindi pro contribuente
o pro Fisco, secondo che la decisione passata in giudicato sia di accoglimento o di rigetto del ricorso), sia per
reintervenire comunque sulla disciplina del rapporto già passato al vaglio giudiziale per soddisfare nuove esigenze
di tutela (del Fisco, per effettuare ad esempio nuove riprese fiscali; ovvero del contribuente, sulla scorta ad
esempio di motivi nuovi e diversi da quelli prospettati nel ricorso), che si manifestassero dopo e nonostante il
passaggio giurisdizionale che ha investito la pretesa tributaria contestata (c.d. lite fiscale). Sul primo versante è
intervenuto compiutamente, con modalità non esenti da critiche6, il legislatore dell’ultima riforma del
contenzioso tributario, come su detto, prevedendo al Capo IV del Titolo II del D.P.R. n. 546 del 92 apposite
disposizioni concernenti “L’esecuzione delle sentenze delle Commissioni tributarie” (art. 68, sul pagamento di
tributi e sanzioni in pendenza del processo; art. 69, sulla condanna dell’ufficio al rimborso; art. 70, sul giudizio di
ottemperanza), mentre sull’altro si è riacutizzato il dibattito sul possibile esercizio, dopo un giudicato, del potere
di autotutela amministrativa spontanea (cioè, non disposta per ordine del giudice) degli Uffici pubblici, sia in
senso positivo (cioè, procedendo ad ampliare la pretesa tributaria), sia in senso negativo (cioè, riducendo o
azzerando la pretesa stessa) 7; ciò, in quanto effettivamente nella pratica può verificarsi talora l’eventuale rinnovo
(meramente riproduttivo, oppure modificativo o integrativo) dell’atto impugnato, tal’altra l’annullamento dello
stesso, cui a volte è impropriamente avvicinata la “revoca” anche dal legislatore (si pensi all’art. 2-quater del D.L.
30 settembre 1994 n. 564 e all’art. 12 del D.L. 10 luglio 1982 n. 429, conv. in L.n. 516 del 82), la quale non
presuppone invece un giudizio di illegittimità dell’atto, ma un riesame complessivo dello stesso sulla base di
nuovi elementi emergenti dopo la sua emanazione ed in considerazione di una nuova valutazione più attuale
dell’interesse pubblico perseguito (c.d. giudizio di opportunità, cioè valutazione discrezionale sul merito dell’atto,
che è estranea alla normale attività provvedimentale tributaria, regolata da una normativa a carattere generalmente
vincolante) 8. Su quest’ultimo aspetto ci soffermeremo ancora più avanti, dopo aver affrontato però
problematiche più generali inerenti il giudicato, riferite in particolare alla materia tributaria, premendoci per ora
indicare specificamente, a mò di premessa per le osservazioni che andremo a svolgere, quali dei principi
interpretativi enucleati in sede di elaborazione dottrinale e/o giurisprudenziale, vuoi al tempo dell’abrogato
regime del contenzioso, vuoi con riguardo alla sua versione attuale, servono, secondo il nostro sommesso avviso,
a meglio inquadrare e la natura e le caratteristiche peculiari del processo tributario, di cui non si è perso neppure
nella nuova normativa (che ha riproposto la solita polemica fomentata dai dubbi circa la indipendenza,
Sull’argomento vedi, ad esempio, per il più vasto ambito del diritto amministrativo, anche per ulteriori riferimenti: C. Calabrò, Giudicato
III) Diritto processuale amministrativo, in Enc. Giur. It., vol. XV, Roma, 1989, 2 e 3; M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, Padova, 1989,
passim; E. Capaccioli, Per la effettività della giustizia amministrativa (Saggio sul giudicato amministrativo), in Diritto e processo, Padova, 1978, pp. 447
ss.; B. Sassani, Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto, Padova, 1989, pp. 3 ss. e pp. 27 ss. Allo scopo di meglio specificare la nozione di
“effettività“ della tutela giudizialmente garantita, val la pena di indicare che i tipici effetti della sentenza emessa al termine di un giudizio
impugnatorio di atti (amministrativo, tributario, ecc.) vengono descritti in genere come demolitorio/di annullamento, ripristinatorio,
conformativo, preclusivo; su ciò, anche per altri richiami, vedi ad esempio: E. Ferrari, Decisione giurisdizionale amministrativa, in Digesto IV
edizione -discipline pubblicistiche, vol. IV, Torino, 1989, pp. 537-539 e pp. 548-550; F. Benvenuti, Giudicato (diritto amministrativo) , in Enc.
Dir., vol. XVIII, Milano, 1969, pp. 899-904; B. Sassani, op. cit., pp. 56-60.
Con riguardo al settore tributario,invece, vedi: C. Consolo - P. D’Ascola, Giudicato tributario, cit., pp. 476-480; G. Fransoni, op. cit., ove sono
contenuti diffusi riferimenti ai principi costituzionali ex artt. 24, 111, comma 2 e 113 Cost. (pp. 13-41) ed agli effetti conformativi e
regolamentari del giudicato sull’ulteriore attività amministrativa degli uffici (pp. 182-239); F. Moschetti, Il nuovo processo tributario: una riforma
incompiuta, in L. Tosi - A. Viotto (a cura di), Il nuovo processo tributario, cit., 12-13; G. Tabet, Luci ed ombre del nuovo processo tributario, in Riv. dir.
trib., 1996, I, pp. 628-629; M. Basilavecchia, Pluralità di accertamenti e cosa giudicata: un’importante pronuncia della Corte di Cassazione, in Rass. trib.,
1990, II, pp. 969 ss.;Idem, Gli effetti processuali della reiterazione dell’accertamento, in Riv. dir. rib.,1995, I, pp. 172-174.
6 Cfr.: F. Moschetti, Il nuovo processo tributario: una riforma incompiuta, in L. Tosi - A. Viotto (a cura di), Il nuovo processo tributario, cit., p. 12.
7 Si rinvia in proposito a quanto verrà detto infra al punto 6). Per le nozioni di autotutela spontanea e necessaria, vedi: G. Ghetti,
Autotutela della Pubblica Amministrazione, in Digesto IV edizione-discipline pubblicistiche, vol. II, Torino, 1987, pp. 81 ss.; per quelle di
autotutela negativa e positiva, vedi diffusamente: V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento tributario, cit., pp. 97 ss. e pp. 141 ss.
8 Ha sollevato correttamente il primo rilievo distintivo, ad esempio: S. Muscarà, Riesame e rinnovazione degli atti in diritto tributario, cit., 120 ss.;
sul punto cfr. anche: V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., p. 39 e p. 102.
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l’autonomia e la professionalità dei giudici tributari) l’originario carattere di specialità rispetto all’ordinamento
giurisdizionale ordinario italiano 9.
Innegabile resta tutt’ora l’impianto impugnatorio, dal punto di vista strutturale, del giudizio tributario,
vertente essenzialmente sulla contestazione degli effetti di un atto amministrativo imperativo autoesecutivo
proveniente dagli Uffici finanziari, impostato in funzione di controllo o di riesame di secondo grado sia della
legittimità formale, che della fondatezza nel merito dell’atto impugnato 10; il ricorso di parte tende, infatti, ad
individuare eventuali vizi (procedimentali/formali o di merito/sostanziali) che inficino la validità dell’atto stesso,
onde inibire la produzione dei suoi effetti. In questo scenario, dunque, il giudicato formatosi nella fase
contenziosa tributaria lungi dal sostituirsi all’atto impugnato11 in effetti appare affiancarsi (in ipotesi di decisione
di riforma totale o parziale) o sovrapporsi (in ipotesi di decisione di conferma, o di rigetto del ricorso) allo stesso
atto, rispettivamente nella produzione o eliminazione di effetti che comunque discendono sul piano giuridico,
secondo l’attuale assetto normativo tributario, dall’atto amministrativo imperativo in cui si sostanzia la pretesa
tributaria 12; infatti, la sola ipotesi in cui invero il giudicato sembra logicamente sostituirsi all’atto impugnato (nel
senso di produrre una diversa e contraria efficacia) è quella in cui si pronuncia l’annullamento dell’atto, inibendo
così per il futuro tutti gli ordinari effetti dello stesso. Perciò, sembra chiaro che sarebbe incongruo sul piano
logico-sistematico fondare la natura del giudizio tributario sulla generalizzazione di una caratteristica del giudicato
(funzione sostitutiva dell’atto), che si manifesta invece in modo vero e proprio solo in occasione della
eliminazione così degli effetti dell’atto, come di ogni altra coazione sul contribuente (c.d. efficacia demolitoriaripristinatoria della pronuncia di annullamento); meglio sarebbe, come metodologia di indagine, partire dai casi in
cui comunque a seguito del giudicato si producono degli effetti (in positivo) sul rapporto giuridico sostanziale,
per giungere a definire la natura del giudizio tributario, che poggia,come detto, su di una combinazione di effetti
dell’atto impugnato e della decisione giudiziale.
Nel dibattito tra dichiarativisti (sostenitori della tesi dell’impugnazione-merito) e costitutivisti (sostenitori
della tesi dell’impugnazione-annullamento)13 preferendo la prima impostazione, si pone dunque in evidenza che
Sulla particolare vicenda storico-giuridica delle Commissioni tributarie quali giudici speciali, vedi ad esempio: G. Fransoni, Giudicato
tributario e attività dell’amministrazione finanziaria, cit., pp. 92-102; P. Russo, Contenzioso tributario, in Digesto IV edizione-discipline privatistichesez. commerciale, vol. III, Torino, 1988, pp. 473 ss.; C. Glendi, Contenzioso tributario, in Enc. giur. it., vol. VIII, Roma, 1988; C. Magnani,
Commissioni tributarie, in Enc. giur. it., vol. VII, Roma, 1988; F. Tesauro, Introduzione, in AA. VV., Il processo tributario, cit., passim.
10 Sul concetto di tutela differita o condizionata, demandata cioè alla impugnazione dell’atto finale del procedimento amministrativo,
propria del processo tributario similmente a quello amministrativo, carattere su cui concorda unanimemente dottrina e giurisprudenza,
vedi ad esempio: S. Muscarà, Riesame e rinnovazione degli atti nel diritto tributario, cit., pp. 289 ss.; G. Tabet, Luci ed ombre del nuovo processo
tributario, cit., p. 626.
Che il quid disputandum nel giudizio tributario verta sulla permanenza o meno degli effetti dell’atto impugnato è detto, ad esempio, da F.
Tesauro, nella voce Processo tributario, in Digesto IV edizione-discipline privatistiche - sez. commerciale, volume di Aggiornamento, cit., pp.
565-566, il quale è fautore però della natura costitutiva del giudizio tributario; ma basti pensare, per convincersene, alla rilevanza da
sempre avuta dalla tutela cautelare tributaria coincidente con la sospensione dell’atto (prevista prima in norme di carattere sostanziale,
quali l’art. 39, comma 1 del D.P.R. n. 602 del 1973, ma recepita ora dalla nuova normativa sul contenzioso tributario all’art. 47 del D.lgs.
n. 546 del 1992).
Sulla funzione di controllo svolta dalle Commissioni tributarie, vedi in particolare: E. Capaccioli, Per la effettività della giustizia amministrativa,
in Diritto e processo, cit., p. 476; tale specifica funzione delle Commissioni viene poi propugnata de iure condendo anche in riferimento
all’attività di autotutela o di riesame sostanziale attuata dagli Uffici, ampliando la casistica degli atti impugnabili di cui all’art. 19 del D.lgs.
n. 546 del 1992, cfr. ad esempio: D. Stevanato, L’autotutela dell’Amministrazione Finanziaria, cit., pp. 127-129.
11 Per una nozione della giurisdizione tributaria come di impugnazione-merito sostitutiva dell’atto impugnato si professa la teoria c.d.
neodichiarativa, su cui vedi: P. Russo, Processo tributario, cit., pp. 770-772; ID, Impugnazione e merito nel processo tributario, in Riv. dir. trib., 1993,
I, pp. 749 ss. In favore del carattere “sostitutivo” del processo tributario, ma facendo capo però alla diversa impostazione in senso
costitutivo del giudicato e della giurisdizione de quibus, cfr.: C. Consolo - P. D’Ascola, Giudicato tributario, cit., pp. 474-475; G. Tremonti,
Imposizione e definitività nel diritto tributario, Milano, 1977, pp. 342 ss.
Rileva l’inequivoco carattere sostitutivo del giudicato di riforma, ma la piena incertezza di qualificare sempre in termini sostitutivi anche la
decisione di accoglimento parziale: G. Tabet, Luci ed ombre del nuovo processo tributario, cit., p. 44. Per ulteriori riferimenti di dottrina e
giurisprudenza in proposito, vedi: S. Muscarà, Riesame e rinnovazione degli atti nel diritto tributario, cit., pp. 75-81.
12 Inquadra in tal modo la combinazione degli effetti dell’atto e del giudicato: F. Tesauro, Processo tributario, in Digesto IV edizione-discipline
privatistiche-sez. commerciale, volume di Aggiornamento, cit., p. 581; ID, Processo tributario, Ivi , vol. XI, cit., p. 353; ID, Lineamenti del
processo tributario, Rimini, 1991, pp. 139-143 e pp. 157 ss.
13 Per una descrizione riassuntiva dei due orientamenti, vedi ad esempio: S. Muscarà, op. cit., pp. 21-83; G. Fransoni, op. cit., pp 104 ss; F.
Tesauro, Processo tributario, in Digesto IV edizione-discipline privatistiche-sez. commerciale, volume di Aggiornamento, cit., pp. 565-566; P.
Russo, Processo tributario, cit., pp. 770-772; S. La Rosa, Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, Torino, 2000, pp. 32 ss.
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oggetto del processo tributario è davvero il (o l’accertamento del) rapporto giuridico tra Fisco e contribuente 14,
oscillando il merito del giudizio tra l’azione di accertamento negativo della pretesa fiscale esperita dal
contribuente ricorrente e l’azione esecutiva tendente alla riscossione delle somme a vario titolo dovute per legge
già avviata dall’Ufficio finanziario resistente nella fase precontenziosa e ribadita in via riconvenzionale in giudizio
per contrastare le difese del ricorrente. Per intenderci, sembra qui riprodursi più che la fattispecie (solo
tecnicamente e formalmente similare) del giudizio amministrativo ordinario, in cui l’atto impugnato non sempre è
oggetto di contestazione per la sua efficacia esecutiva (nel senso di assoggettamento del cittadino ad eventuale
esecuzione forzata patrimoniale per inadempimento di un debito erariale), quella invece del giudizio di
opposizione all’esecuzione civile ordinaria ex art. 615 c.p.c. (da cui differisce, però, poichè si dovrebbe discutere
giudizialmente per la prima volta del merito della controversia, definendo anche la lite con sentenza suscettibile
di passare in giudicato)15, ovvero quella del giudizio di opposizione alla ordinanza-ingiunzione di pagamento di
sanzioni pecuniarie, di cui alla L. 24 settembre 1981 n. 68916.
Si intravede, quindi, nel giudizio tributario una natura composita o polimorfa degli interessi in gioco che
si riflette indubbiamente finora sulle modalità di tutela garantite dall’ordinamento nel processo17, non essendovi
omogeneità giuridica tra le azioni su menzionate che in esso si confrontano. Vero è che ciò su cui si controverte è
l’adempimento da parte del contribuente del credito tributario vantato dall’Ufficio in forza dell’atto emesso nel
perseguimento dell’interesse pubblico generale all’accertamento e riscossione di imposte e sanzioni assegnatogli
per legge (cui provvede in un quadro di regole dettate nel rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza,
legalità, equità, giustizia, capacità contributiva, buon andamento ed imparzialità dell’attività della Pubblica
Amministrazione) 18; perciò, nonostante che la riforma del processo tributario si sia ispirata come tipologia di
riferimento al giudizio civile ordinario (retto dal principio dispositivo e dai criteri dell’oralità) 19, il rapporto
Chiaramente in tal senso, ad esempio: S. Muscarà, op. cit., pp. 262 ss. Anche nel processo amministrativo, per non asservire la decisione
ad una finalità meramente strumentale di rimozione dell’atto, ha ormai acquisito centralità la funzione di accertamento della sentenza,
esaltandone l’efficacia ricognitiva e dichiarativa delle modalità del rapporto giuridico stabilito tra le parti (contenuto questo della decisione
che viene messo in particolare risalto in sede di giudizio di ottemperanza). Essa è destinata a convivere con la finalità cassatoria (per il suo
aspetto formale costitutivo) del giudizio, a causa delle posizioni non paritarie delle parti in lite, data la sovraordinazione di quella pubblica
e lo stato di soggezione di quella privata. Vedi: B. Sassani, Impugnativa dell’atto e disciplina del rapporto, cit., pp. 63-70, pp. 77-80, pp. 104-109 e
pp. 117 ss., il quale estende le considerazioni svolte sul processo amministrativo anche al contenzioso tributario (pag. 118, nt. 3).
15 In tal senso, cfr.: B. Sassani, op. cit., pp. 37-41 ed in specie 146, nt. 34. Anche in merito all’azione promossa ex art. 615 c.p.c. si è acceso
un dibattito tra sostenitori della natura di mero accertamento negativo e viceversa della natura costitutiva dell’opposizione de qua;
prevalente è comunque l’indirizzo che si rifà alla tesi dell’accertamento negativo della legittimità dell’azione esecutiva, cui può accoppiarsi
la negazione del potere di iniziare o proseguire l’azione esecutiva e la dichiarazione di nullità o di annullamento degli atti esecutivi già
compiuti. Vedi, ad esempio, anche per altri richiami di autorevole dottrina: F. Cabrini, in commento all’art. 615 c.p.c. , in F. Carpi - V.
Colesanti - M. Taruffo, Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2002, pp. 1756 ss., in specie p. 1759; in generale sull’argomento
vedi: R. Vaccarella, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni. L’esecuzione forzata dal punto di vista del titolo esecutivo, Torino, 1983.
16 Si veda in proposito il riferimento di S. Muscarà, Riesame e rinnovazione degli atti nel diritto tributario, cit., pp. 59-62, ed in generale: V.
Scalese, Le opposizioni alle sanzioni amministrative, Milano, 2001. Il detto riferimento è effettuato dall’A. appena citato per sottolineare che
l’ambito della giurisdizione tributaria, a somiglianza di quella del giudizio speciale di opposizione ex L. 689 del 1981 e a differenza di
quello amministrativo ordinario, si estende a ricomprendere genericamente posizioni giuridiche soggettive variamente connotate, non
tanto per la diversa natura degli interessi in gioco (pubblici o privati), che è un carattere comune, quanto per la loro qualificazione anche
come diritti soggettivi, oltre che come interessi legittimi o di fatto.
17 In tal senso si pronunciano, ad esempio: G. Tabet, Luci ed ombre del nuovo processo tributario, cit., pp. 623-625; A. Chizzini, Primi spunti sul
tema delle parti, delle azioni e del giudicato nel nuovo processo tributario, in L. Tosi - A. Viotto (a cura di), Il nuovo processo tributario, cit., pp. 32-33; F.
Maffezzoni, La natura del processo tributario nella giurisprudenza della Corte di Cassazione: le contraddizioni e le prospettive del loro superamento, in Boll.
trib., 1989, pp. 1797 ss., i quali configurano il processo tributario come permeato sia dal carattere di accertamento che costitutivo.
Sulla conciliabilità della sentenza di accertamento con la funzione di impugnazione-annullamento propria del giudizio amministrativo,
soprattutto sotto il profilo degli effetti che la sentenza di accoglimento (o annullamento) può avere sull’ulteriore attività amministrativa,
vedi: B. Sassani, Op. cit., pp. 53 ss., pp. 136 ss. e pp. 143 ss. Per analoghi rilievi in tema di processo e giudicato tributario, optando per la
natura dichiarativa del giudizio de quo e per la sua funzione di mero accertamento del rapporto (negativo dal punto di vista del
contribuente, ma positivo se spostato nella visuale dell’Amministrazione, che procede però direttamente alla tutela della propria posizione
creditrice mediante atti espressione di un potere di autotutela decisoria ed esecutiva insieme), cfr. : G. Fransoni, op. cit., pp. 176-182, il
quale ricollega sempre effetti normativi e regolamentari al giudicato di accertamento verso il successivo svolgimento dell’attività
amministrativa da parte degli Uffici (pp. 218.222).
18 Su tali principi vedi: A. Amatucci, L’ordinamento giuridico finanziario, Napoli, 1999, pp. 10-25 e pp. 292 ss.
19 Si veda, ad esempio: F. Tesauro, Introduzione, in AA. VV., Il processo tributario, cit., XXIV; G. Tabet, Luci ed ombre del nuovo processo tributario,
cit., p. 625.
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teoricamente paritetico tra le parti in giudizio 20 è purtuttavia sbilanciato in favore della posizione sostenuta
dall’Amministrazione pubblica (con atti anche invalidi, ma suscettibili di impugnazione). La normativa
sostanziale, che continua a rispecchiarsi come detto in quella processuale, prevede infatti idonei mezzi giuridici
onde snellire e agevolare il compito dell’Amministrazione nell’attuazione dell’interesse pubblico al più rapido
prelievo di tributi e sanzioni (per ovvie esigenze di continuità e di livello del gettito fiscale), quali la certezza della
pretesa erariale, che sopraggiunge già contestualmente alla formazione della definitività degli atti (per lo spirare in
assenza di valida contestazione dei termini decadenziali di impugnativa degli stessi) 21, e la peculiare efficacia
autoesecutiva degli atti stessi (c.d. autotutela esecutiva)22.
Esporremo ora di seguito i lineamenti generali del giudicato (sua formazione, limiti oggettivi e soggettivi)
secondo i principi di diritto comune processuale facenti capo al rito civile ordinario, per ragioni di priorità storica
e di maggior approfondimento dottrinale e giurisprudenziale, che nulla tolgono però all’autonomia e specificità
proprie del processo tributario, come sopra succintamente descritte, per poi esaminare in dettaglio il rapporto tra
giudicato ed autotutela.
2.RIFERIMENTI AL GIUDICATO CIVILE
Lo scopo dell’attività giurisdizionale preordinata dallo Stato, estrinsecantesi nell’esperienza concreta in
un giudizio tra contendenti con un determinato oggetto (dato dal petitum e dalla causa petendi), è quello di risolvere
la lite insorta tra le parti in causa nell’ipotetico giudizio di cui trattasi con un provvedimento (pronuncia del
giudice), che abbia la funzione di decidere il caso di specie, non solo, ma che sia pure suscettibile di divenire una
imperitura risoluzione della controversia decisa, affinché non se ne tratti più in futuro in un nuovo giudizio. Tale
provvedimento, fondamentalmente decisorio del procedimento instaurato tra le parti nei limiti dell’oggetto, è per
tradizione definito sentenza 23, come previsto, per richiamare in sintesi la sola normativa vigente sul primo grado
di giudizio, dagli artt. 276 c.p.c., 525 c.p.p., 35 D.lgs. 31 dicembre 1992 n.546 (sul contenzioso tributario), 21-bis
e 26 della L. 6 dicembre 1971 n. 1034, come riformata dalla L. 21 luglio 2000 n. 205 (sul giudizio amministrativo
dinanzi al T.A.R.).
La sentenza decisoria del primo grado di giudizio può, però, essere sottoposta ad appello e quella di
seconda istanza a ricorso per cassazione, vigendo nel nostro ordinamento sia il principio del doppio grado di
giurisdizione (anche se non è costituzionalmente previsto), sia la garanzia del ricorso di legittimità, ora anche di
Sulla possibile esistenza di un equilibrio in termini di pariteticità delle posizioni processuali assicurate alle parti all’interno di un giudizio
di stampo impugnatorio, quale quello tributario, vedi in generale: E. Capaccioli, Per la effettività della giustizia amministrativa, in Diritto e
processo, cit., p. 476.
21 Sulla nozione di definitività degli atti tributari quale inoppugnabilità e anche sulla distinzione concettuale da quella di giudicato, vedi ad
esempio: D. Stevanato, L’autotutela dell’amministrazione finanziaria, cit., pp. 171-174; G. Tremonti, Imposizione e definitività nel diritto tributario,
cit., pp. 325 ss., pp. 342 ss. e pp. 495 ss.; R. Lupi, Definitività degli atti impositivi: il rigore scompare quando il contribuente è in buona compagnia, in Riv.
dir. trib., 1992, II, pp. 915 ss.; F. Bellini, Definitività dell’imposizione inesistente o difforme e possibili rimedi , Milano, 1999, pp. 1 ss.
22 Sulla specifica accezione dell’autotutela esecutiva in diritto amministrativo, vedi: G. Coraggio, Autotutela I) Diritto amministrativo, in Enc.
giur. it., vol. IV, Roma, 1988, pp. 8-9; per il diritto tributario, vedi: G. A. Micheli, Amministrazione finanziaria, giustizia tributaria e giurisdizione
volontaria, in Opere minori di diritto tributario, vol. I, Milano, 1982, pp. 51-52. Sull’ammissibilità di una posizione di supremazia dell’ente
pubblico rispetto ai privati, sempre nei limiti fissati dalla legge e fatto salvo il potere di reazione dei singoli nelle opportune sedi legali, ove
si garantisca ad entrambe le parti contendenti parità di mezzi difensivi, vedi ad esempio: B. Sassani, op. cit., 6, nt. 3, il quale ivi rimanda ad
altre due pregnanti opere specifiche sulla tematica: Henke, Das subjective öffentliche Recht, Tubingen, 1968; Orsi Battaglini, Attività vincolata e
situazioni soggettive, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1988, pp. 1 ss.
23 Sul concetto di sentenza in generale, vedi: G. Chiovenda, Istituzioni di diritto processuale civile, vol. I, Napoli, 1960; secondo l’A. la sentenza
è “il provvedimento del giudice che, accogliendo o respingendo la domanda dell’attore, afferma l’esistenza o l’inesistenza d’una volontà
concreta di legge che gli garantisca un bene o rispettivamente l’inesistenza o l’esistenza d’una volontà di legge che garantisca un bene al
convenuto” (p. 138), posto che all’origine della controversia ,per la natura generalmente inofficiosa del giudizio civile, svolgentesi nel
rispetto del principio del contraddittorio tra le parti, vi è una domanda giudiziale, che è “l’atto con cui la parte (attore), affermando
l’esistenza d’una volontà concreta di legge che le garantisce un bene, dichiara la volontà che questa sia attuata di fronte all’altra parte
(convenuto) e invoca a questo scopo l’autorità dell’organo giurisdizionale”(pag. 137), e dato che opera nel nostro ordinamento la regola
del divieto di ragion fattasi da parte dei privati (arg. ex artt. 392-393 c.p.; cfr.: E. Redenti, Diritto processuale civile, vol.I, Milano, 1980, p. 28).
Conseguentemente, per lo stesso A., la cosa giudicata non è altro che il bene della vita (la romana res in iudicium deducta) riconosciuto o
disconosciuto dal giudice all’attore con sentenza di accoglimen-to o di rigetto (nel diritto romano di condanna o di assoluzione) (op. cit.,
pp. 319-320). Sulla correlazione tra sentenza e giudicato e sui principi costituzionali di riferimento (art. 24, 111 Cost.), vedi amplius : G.
Fransoni, op cit. e passim.
20
5
merito, in Cassazione (cfr.: art. 111 Cost. e art. 384 c.p.c.)24; sono altresì previsti altri mezzi di impugnazione
elencati, limitando il discorso al solo processo civile cui si richiama per principio la normativa sul nuovo
contenzioso tributario, secondo l’art. 1, comma 2 del già citato D.lgs. n. 546 del 92, nell’art. 323 c.p.c.
(regolamento di competenza, appello, revocazione ed opposizione di terzo). Invero, le impugnazioni elencate
cumulativamente nell’art. 323 c.p.c. sono solitamente distinte in dottrina e giurisprudenza (distinzione risalente al
codice di rito del 1865) tra rimedi impugnatori ordinari e straordinari; sono impugnazioni ordinarie: il
regolamento di competenza, l’appello, il ricorso per cassazione e la revocazione per i n. 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c.;
sono invece straordinarie: la revocazione per i restanti numeri 1-3 e 6 del citato articolo, la revocazione del P.M.
di cui all’art. 397 c.p.c. e l’opposizione di terzo. Il discrimine tra le due categorie è dato dal differente termine a
quo per la loro proposizione, che per la prima decorre dalla notifica o comunque dalla pubblicazione della
sentenza impugnabile, mentre per la seconda è più elastico e collegato legislativamente al verificarsi di date
condizioni legittimanti.
Questa classificazione trova poi anche conferma normativa nell’art. 324 c.p.c., il quale riconnette la
formazione del giudicato alle sole impugnazioni ordinarie, restando tuttavia proponibili quelle straordinarie
proprio contro la sentenza già passata in giudicato. Ora, a prima vista, il giudicato si forma: 1- quando spirano i
termini di decadenza per esercitare il diritto di impugnazione (secondo i mezzi ordinari), che variano per esser
stata notificata o meno la sentenza, ai sensi degli artt. 325 e 327 c.p.c. e 51 del D.lgs. n. 546 del 1992, per cui è da
ritenere sia stata prestata acquiescenza alla stessa (vedi pure per maggior chiarezza l’art. 124 Disp. Att. c.p.c.); 2quando si siano esauriti i possibili giudizi di impugnazione (ordinari) eventualmente avviati dagli interessati, sia
per la loro naturale conclusione con una nuova sentenza sostitutiva di quella anteriore, sia per il verificarsi del
particolare fenomeno dell’estinzione del giudizio (vedi: artt. 306-310 c.p.c. ed artt. 44-46 D.lgs. n. 546 del 1992),
per cui sopravvivono le sole sentenze di merito emanate in precedenza, quelle che regolano la competenza o la
giurisdizione e il principio di diritto dettato dalla Cassazione. Quindi, al verificarsi di questi eventi processuali
consegue la formazione della “cosa giudicata formale” sulla sentenza divenuta inoppugnabile, secondo la stessa
rubrica dell’art. 324 c.p.c., applicabile come tale al contenzioso tributario. Sopraggiunta la cosa giudicata formale
si manifestano poi contestualmente gli effetti della c.d. cosa giudicata sostanziale (o materiale), i quali, secondo
l’art. 2909 c.c., consistono in ciò che “l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato (formale) fa
stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” (ritenendosi a questi fini rilevante solo la successione
nel diritto controverso posteriore alla emanazione della sentenza) 25.
Della formazione del giudicato e dei suoi effetti si parlerà in seguito; per ora premeva ni dicare la
normativa di riferimento per fissare preliminarmente la nozione del giudicato che ricade sulla sentenza. Essa
segna la linea di collegamento, il trait d’union tra diritto e processo, volendo significare che l’esito del processo
incide sul diritto sostanziale.
Trattando in questa analisi del giudicato, le cui origini sono remote nel tempo, è utile fare quantomeno
dei cenni alla sua più recente evoluzione normativa, risalente alle codificazioni ottocentesche. La codificazione
del nuovo Regno unitario d’Italia del 1865 parlava della cosa giudicata nell’art. 1351 del codice civile, il quale
riproduceva l’analogo articolo 1351 del code civil napoleonico; secondo tale disposizione l’ “autorità della cosa
giudicata”, da definirsi in via interpretativa quale una presunzione legale (ex art. 1350, n. 3 c.c.) 26 invocabile in
ogni successivo processo in via di eccezione paralizzante l’introduzione del giudizio (arg. ex art. 1353 c.c.), poteva
farsi valere allorchè la nuova domanda fosse stata presentata per chiedere una stessa cosa, fondata sulla
medesima causa e proposta fra le stesse parti nelle medesime qualità 27. Pertanto,sul fondamento dell’identità di
oggetto e di parti era negata la nuova azione in giudizio, presumendosi operante a tutti gli effetti la sentenza già
passata in giudicato; in tal modo, per un verso si confermava che l’autorità della cosa giudicata non potesse
Sul principio del doppio grado di giurisdizione, vedi: M. Cappelletti, Giustizia e società, Milano, 1972, p. 111; AA.VV., Quaderno
dell’Associazione tra gli studiosi del processo civile (Atti del XII convegno nazionale) , Milano, 1980; E.T. Liebman, Il giudizio d’appello e la
Costituzione, in Riv. dir. proc ., 1980, pp. 401 e ss..
25 Sulla possibilità di applicazione al processo tributario degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., vedi: G. Fransoni, op. cit., pp. 43 ss.; C. Consolo P. D’Ascola, Giudicato tributario, cit., p. 467.
26 Vedi: G. Chiovenda, op. cit., p. 321; ma secondo l’A. “quando si definisce la cosa giudicata come una “finzione di verità”, come una
“verità formale”, come una “presunzione di verità” si dice una cosa esatta solo nel senso che, per la grandissima maggioranza dei cittadini
estranei a una lite, la sentenza del giudice appare come cosa conforme alla verità. Ma questa non è che la giustificazione politica della cosa
giudicata. Giuridicamente, …, la cosa giudicata non riguarda la affermazione della verità de’ fatti, ma la esistenza di una volontà di legge in
caso concreto”. Pertanto, conclude l’A. (p. 322), “i fatti rimangono quello che furono, né l’ordinamento giuridico pretende che siano
considerati come veri quelli che il giudice ritenne come base della sua decisione”; per una riaffermazione più recente di questa opinione,
vedi: C. Vocino, Considerazioni sul giudicato, Milano, 1963, pp. 83-84. Vedi pure su ciò: G. Fransoni, op. cit., pp. 63-64.
27 Vedi: G. Chiovenda, op. cit., p. 353.
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nascere che da una sentenza 28 e per altro verso che l’eccezione di res giudicata (exceptio rei iudicatae) 29 dovesse
essere necessariamente sollevata, sotto pena dell'eventualità del formarsi anche di un giudicato ulteriore in forza
della pronuncia di una nuova sentenza (conflitto pratico di giudicati). In tal caso la successiva sentenza era
impugnabile per rivocazione, ex art. 494 n. 5 c.p.c. del 1865, sussistendo la formazione di un precedente
giudicato, purchè la stessa sentenza non si fosse già pronunciata sulla relativa eccezione; ovvero, formatosi il
giudicato sulla nuova sentenza, era da ritenersi che l’autorità del giudicato posteriore prevalesse sull’antecedente,
al cui effetto è da presumere avessero voluto rinunziare le parti interessate30.
In ogni caso con l’espressione “sentenza passata in giudicato” voleva intendersi per opinione comune la
sentenza non più impugnabile con i rimedi ordinari, cioè, secondo l’art. 465 c.p.c. del 1865, l’opposizione
(contumaciale) e l’appellazione (rimedi straordinari, sempre per l’articolo citato, erano invece: la rivocazione,
l’opposizione di terzo e il ricorso per cassazione) 31.
Fatta questa rapida premessa storica sul giudizio civile, esaminando comparativamente la normativa sul
contenzioso tributario (le cui origini risalgono alla fine del XIX secolo) deve opinarsi che essa abbia risentito
della analoga disciplina civilistica, in specie sul giudicato, dato che non solo la vigente legge di settore già citata
(art. 1, comma 2 D.lgs. n. 546 del 1992), ma anche quella anteriore (art. 39 D.P.R. 26 ottobre 1972 n, 636),
hanno sempre previsto in modo esplicito il rinvio al codice di procedura civile per quanto in esse non
espressamente contemplato per il giudizio dinanzi alle c.d. Commissioni Tributarie (giudici di merito)32.
Quanto ai gradi di giudizio possibili nel contenzioso tributario è, però, da precisare che sotto il
precedente ordinamento vi era un grado di giudizio in più, costituito dal giudizio della Commissione Tributaria
Centrale (previsto dagli artt. 8 e 25-29 D.P.R. n. 636 del 1972), che è stato soppresso dall’art. 71 del D.lgs. n. 546
del 199233.
3.PROFILI DEL GIUDICATO
CIVILE ESTENDIBILI A QUELLO TRIBUTARIO : LA FORMAZIONE
DEL GIUDICATO
Facendo quindi le dovute differenziazioni tra il giudizio tributario e quello civile, non può che ribadirsi il
pieno recepimento in seno al primo delle teorie sorte e della normativa vigente in campo civilistico sul medesimo
terreno del giudicato. E’ difatti affermazione ricorrente in giurisprudenza quella secondo cui nei giudizi dinanzi
alle Commissioni Tributarie il passaggio in giudicato della sentenza fa stato tra le parti a norma dell’art. 2909 c.c.,
in relazione all’art. 324 c.p.c. (cfr.: Cass. civ., sez. 8, 22 ottobre 1981 n. 4229), posto che i principi regolatori della
cosa giudicata e del giudicato (artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.) si applicano anche al processo tributario, siccome regole
generali ordinatrici del processo (cfr.: Cass. civ., sez, 19, 23 settembre 1986 n. 7572)34.
Qualunque tipo di giurisdizione si esamini (ordinaria o speciale), poi, il giudicato è destinato a formarsi
quando la sentenza definitiva (con carattere decisorio del contendere, cioè atta a chiudere il giudizio) diviene
inoppugnabile, secondo gli ordinari mezzi di impugnazione35, acquisendo una relativa stabilità nel mondo
giuridico, che non è una vera e propria immutabilità, essendo ancora proponibili le impugnazioni straordinarie,
che non ricadono sotto l'influenza edace del tempo. Nel dettaglio, dunque, dopo gli eventuali due giudizi di
merito (oggi dinanzi alle Commissioni Provinciale e Regionale, non più denominate rispettivamente di primo e di
Sul punto vedasi: P. Tuozzi, L’autorità della cosa giudicata, Torino, 1900, pp. 19-20 e passim.
Su cui vedi: G. Chiovenda, op. cit., pp. 330-331.
30 Vedi: L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, Milano, 1923, vol. II, § n. 203, vol. IV, § n. 323.
31 Vedi l’A. e l’opera da ultimo citati, al vol. IV, § n. 313.
32 Sulle origini e la natura delle Commissioni, vedi: A. Colli Vignarelli, Aspetti essenziali del processo tributario, in Rass. trib., n. 3/1997, pp. 614 e
ss.; C. Glendi, voce Contenzioso tributario, in Enc. giur. it., cit.; C. Magnani, voce Commissioni Tributarie, ivi, vol. VII, Roma, 1988; F. Tesauro,
Introduzione, in AA. VV., Il processo tributario, cit., XVII ss.
33 Per alcune notazioni e richiami in tema di giudizio innanzi alla Commissione Tributaria Centrale, dato in alternativa ad un eventuale
giudizio in Corte d’Appello civile, vedi il mio lavoro: Le limitazioni probatorie e i poteri istruttori delle Commissioni nel processo tributario, in Giust.
civ., 1995, 248-249, nelle nt..
34 Critico però sul punto, nella vigenza del precedente rito tributario, è stato: G. A. Micheli, Corso di diritto tributario, 8° ediz., Torino, 1989,
p. 284; favorevoli di contro alla tesi giurisprudenziale riportata nel testo sono stati: E. Allorio, Diritto processuale tributario, Torino, 1969, 188;
B. Cocivera, La nuova disciplina del contenzioso tributario, Milano, 1976, 495-496. Sul giudicato nel contenzioso tributario, in generale, vedi: P.
Russo, Giudicato, IV)Diritto tributario, in Enc. giur. it., cit., passim; G. Fransoni, op. cit., passim; C. Consolo - P. D’Ascola, Giudicato tributario,
cit., passim.
35 Per la consentanea affermazione di tale basilare principio con attenzione alle varie giurisdizioni: M. T. Zanzucchi - C. Vocino, Diritto
processuale civile, 5° ediz., vol. II, Milano, 1962, 187; V. Caianiello, Diritto processuale amministrativo, 2° ediz., Torino, 1997, 824; S. Trovato,
Lineamenti del nuovo processo tributario, Padova, 1996, 308.
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secondo grado) sono previsti come rimedi ordinari di impugnazione il ricorso per cassazione e la revocazione
per i n. 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c. (non il regolamento di competenza, che non è ammesso nel contenzioso
tributario, secondo l’art. 5, comma 4 D.lgs. n. 546 del 1992). Dopo di che, formatosi il giudicato, resta comunque
esperibile tra le impugnazioni straordinarie la revocazione per i restanti numeri 1-3 e 6 del citato articolo, non
essendo stata prevista, dall’art. 50 D.lgs. n. 546 del 1992, né la revocazione del P.M., né l’opposizione di terzo 36
Viceversa, dato che è ammesso il ricorso per Cassazione, devono altresì ritenersi consentiti nel processo
tributario, in quanto disciplinati nel medesimo capo del codice di procedura civile, sia l’impugnazione per
sopravvenuto conflitto di giurisdizione o di attribuzioni, ai sensi dell’art. 362, comma 2 c.p.c., sia il ricorso del
P.M. nell’interesse della legge, di cui all’art. 363 c.p.c..
E’ però agevole intendere che l’assenza nel contenzioso tributario di alcuni tipici mezzi di impugnazione
non causa affatto una restrizione del diritto di difesa delle parti, in quanto la loro funzione viene assorbita dalla
possibilità di utilizzo nel processo tributario dei residui mezzi giudiziali37.
Così, il vizio della incompetenza dovrà essere sollevato fin dal primo grado ed evidenziato ancora con
l’appello ed il ricorso per cassazione; inoltre, la situazione di conflittualità col giudizio in corso della posizione
giuridica di soggetti terzi rimasti estranei alla controversia, per quanto è oggettivamente più difficile riscontrarla in
campo tributario (qui il processo è costruito come opposizione ad atti tipici preventivamente portati a
conoscenza degli interessati nei modi di legge, sotto pena di nullità; perciò, essendo tutti i possibili cointeressati
prontamente edotti dell’esistenza di un atto impositivo, si verifica nella prassi una individualizzazione o
parcellizzazione delle vertenze col Fisco, cui occorre spesso rimediare attraverso la riunione dei processi, ex art.
29 D.lgs. n. 546 del 1992), potrà essere tutelata con gli strumenti di integrazione del contraddittorio già contenuti
nella disciplina del processo civile (interventi, chiamata in causa, ecc.) 38.
Difficile, inoltre, è concepire l’ingresso nel processo tributario del P.M., visto che la materia fiscale non è
tra quelle (situazioni di diritto indisponibili) che ne impongono per legge la presenza in causa nei giudizi di
merito.
Il termine per le impugnazioni è comunque unico (di 60 giorni), secondo l’art. 51 D.lgs. n. 546 del 1992,
distinguendosi però sempre tra il caso in cui la sentenza impugnabile sia stata notificata o solo pubblicata (ipotesi
in cui soccorre l’applicazione analogica dell’art. 327 c.p.c.) 39.
In ogni caso, rimane sempre il diverso termine a quo a funzionare da discrimine tra le impugnazioni
ordinarie e quella straordinaria pure nel processo tributario40.
4. (SEGUE): LA DEFINIZIONE DEL GIUDIZIO E I LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO
Occorre adesso soffermarsi a trattare delle più consolidate acquisizioni raggiunte da dottrina e
giurisprudenza, secondo la legislazione vigente, in tema di giudicato civile41, rapportando parallelamente tali
Sulle impugnazioni nel processo tributario vedi, ad es.: B. Santamaria, Il nuovo processo tributario. Le impugnazioni, in all.to a Il fisco, n.
13/1997; S. Trovato, Le impugnazioni in Tributi, n. 1/1997, 14-17
37 Sulle implicazioni processuali del formalismo riprodotto dal rito civile in quello tributario,vedi: M.Villani, Le fasi, i gradi e gli stati del
giudizio nel nuovo processo tributario,in Corr.trib., n. 31/1996, 2431-2433.
38 Vedi: A. Buscema, Litisconsorzio ed intervento nel processo tributario alla luce della circolare n. 98/E del 23 aprile 1996, in Il Fisco, n. 22/1996, pp.
5551 e ss.; V. Azzoni, Le parti e il litisconsorzio necessario nel nuovo processo tributario, ivi, n. 23/1996, pp. 5723 e ss.; F. Cuppone, Integrazione del
contraddittorio nei ricorsi contro gli atti del concessionario della riscossione, ivi, n. 48/1997, pp. 14326 e ss.
39 Vedi sul punto: C. Grimaldi, L’applicazione dell’art. 327 c.p.c. nel nuovo processo tributario, in Tributi, n. 11/1996, pp. 1175/1177; C. Thomas,
Applicabilità al contenzioso tributario dell’art. 327 del codice di procedura civile, in Il Fisco, 1993, pp. 7973-7976; Gallo, Ancora sull’applicabilità dell’art.
327 c.p.c. al processo tributario: profili di incostituzionalità, in Boll. trib.,1985, pp. 277 ss.
40 La distinzione tra impugnazioni ordinarie e straordinarie resta comunque storicamente ancorata a nessun’altra ragione giuridica, se non
alla indagine di statistica giudiziaria circa la maggiore frequenza di alcuni mezzi di impugnazione (quelli ordinari) rispetto ad altri (quelli
straordinari); tant’è che nella vigenza del codice di procedura del 1865, come già detto, il ricorso per cassazione era annoverato tra le
impugnazioni straordinarie e solo con la codificazione del 1942 è transitato tra i rimedi ordinari di contestazione delle decisioni (vedi: V.
Andrioli, Commento al codice di procedura civile, vol. II, Napoli, 1957, sub art. 324, p. 369; F.P. Luiso, , Appunti di diritto processuale civile vol. II,
Pisa, 1993, pp. 256-257, il quale ultimo A. sottolinea inoltre come la “summa divisio” che fa il legislatore ha causa nella distinzione tra i
c.d. “vizi palesi”, desumibili dalla immediata lettura della sentenza - oggetto delle impugnazioni ordinarie-, ed i c.d. “vizi occulti” del
provvedimento decisorio, collegati a fatti nuovi o ad altre sopravvenienze, che sono oggetto delle impugnazioni straordinarie).
41 Vedi esemplificativamente sull’art. 324 c.p.c.: F. Carpi - V. Colesanti - M. Taruffo (diretto da), Commentario breve al codice di procedura civile,
cit.; N. Picardi (a cura di), Codice di procedura civile commentato, Milano, 2000; R. Vaccarella-G. Verde (a cura di), Codice di procedura civile
commentato, vol. II, Torino, 1998; C. Consolo-F.P. Luiso (a cura di), Codice di procedura civile commentato, Milano, 2000; sull’art. 2909 c.c.: G.
Cian-A. Trabucchi (diretto da), Commentario breve al codice civile, Padova, 1997; Eidem, Commentario breve al codice civile. Complemento
36
8
conclusioni alle peculiarità proprie del giudicato nell’ordinamento tributario attuale. Si è detto autorevolmente
che la cosa giudicata è “l’affermazione indiscutibile, e obbligatoria per i giudici di tutti i futuri giudizi, d’una
volontà concreta di legge, che riconosce o disconosce un bene della vita a una delle parti” 42; tale affermazione è
ovviamente contenuta in un provvedimento del giudice, in quel provvedimento decisorio tipico che è la sentenza,
la quale materialmente si compone di due parti essenziali: il dispositivo e la motivazione (arg. ex art. 132 c.p.c. ed
art. 36 D.lgs. n. 546 del 1992). Una dottrina più recente ha inoltre autorevolmente ribadito, in modo più
organico, che “l’efficacia della cosa giudicata rende vincolante il concreto provvedimento di tutela giuridica
contenuto nella sentenza, assoggettando le parti, i loro eredi e aventi causa, alla statuizione enunciata dal giudice
nel giudicare sulla domanda dedotta in giudizio e che ha formato l’oggetto della sentenza”; “l’efficacia vincolante
non si estende perciò ai motivi della sentenza, né all’accertamento dei fatti, né alle questioni pregiudiziali
eventualmente esaminate, ma si concentra tutta sull’atto di tutela giuridica, cioè sulla statuizione contenuta nella
sentenza e destinata a valere come disciplina del caso dedotto nel giudizio”43. In breve, “il quid accertato varrà
ormai come verità (legale), non solo per quel giudice che ha pronunciato, ma anche per tutti gli altri giudici e
uffici pubblici ogni qualvolta lo stesso punto torni ad essere in giuoco od in questione ad effetti giuridici … tra le
(stesse) parti, i loro eredi o aventi causa: pro veritate abebitur”44.
Quindi, secondo l’orientamento prevalente, suscettibile di passare in giudicato è la sentenza, come
provvedimento (pubblico) autoritativo del giudice, qualunque ne sia il contenuto (sia, cioè, che decida nel merito,
attribuendo o negando il c.d. bene della vita o in generale un diritto, sia che decida su questioni processuali -arg.
ex art. 279, comma 2 c.p.c.-45, quali la competenza, la giurisdizione, l’inammissibilità, l’improcedibilità,
l’irricevibilità), purchè con essa il giudice, in qualunque grado di giudizio, abbia inteso mettere la parola fine,
pronunciarsi cioè risolutivamente, sulle questioni affrontate. Il c.d. merito, su cui interviene la sentenza, è poi
dato dall’oggetto della domanda giudiziale, come definitosi nel contraddittorio delle parti ed individuato dalle
conclusioni di merito formulate nel rimettere la causa al giudice per l’adozione della decisione finale.
Nel processo civile tale provvedimento può portare immediatamente alla decisione di tutta la lite (arg. ex
art. 277, comma 1 c.p.c.), oppure no, essendo ammesse anche delle pronunce su questioni pregiudiziali di rito, o
preliminari di merito, litis ingressum impedientes, c.d. accertamenti incidentali (arg. ex artt. 34 e 420, comma 4 c.p.c.);
in questi casi, quando l’iter giudiziale prosegue dinanzi allo stesso giudice di merito, la decisione delle questioni di
rito (competenza, giurisdizione, altri presupposti processuali) non acquista la forza propria del giudicato, quello
c.d. esterno (con efficacia panprocessuale), in quanto è destinata a valere solo nel giudizio in cui è stata resa (c.d.
giudicato interno, con efficacia endoprocessuale). Il giudice civile può, però, anche limitarsi a decidere solo su
una parte della domanda introduttiva, ovvero su alcune delle più domande proposte (c.d. sentenze non definitive,
ai sensi dell’art. 277, comma 2 c.p.c.). Tutto ciò non è ammesso nel processo tributario, nel quale esiste un
esplicito divieto per le Commissioni di emanare sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande,
secondo l’art. 35, comma 3 D.lgs. n. 546 del 1992.
Può però formarsi nel processo tributario il c.d. giudicato interno, derivante dalla mancata impugnazione
di questioni, esaminabili o meno “ex officio” e poste a base di una apposita domanda od eccezione, qualora la
decisione (o l’omessa decisione) di tali questioni, al termine del giudizio di primo grado, non abbia formato
oggetto di specifica impugnazione di merito; il c.d. giudicato interno, quindi, ricorre quando si sia verificata ormai
una preclusione processuale, che il giudice dei gradi successivi di giudizio non può che essere obbligato a
rilevare 46 Questo aspetto preclusivo formale agisce rispetto al giudicato anche sul piano giuridico sostanziale, nel
senso che la cosa giudicata, una volta formatasi (ex art. 324 c.p.c.), ricade sul quantum decisum contenuto nella
sentenza (c.d. giudicato esplicito), impedendo che altre ragioni o motivazioni di fatto o di diritto (c.d. giudicato
implicito) possano essere più sollevate tra le stesse parti e sul medesimo oggetto, come individuato secondo i suoi
elementi costitutivi (petitum e causa petendi) all’atto in cui la controversia è stata portata all’esame dei giudici ed
in particolare nel momento in cui, dopo la trattazione, è stato fissato il tema della deliberazione, in base alla
domanda e alle eccezioni. In questo ordine di idee, dunque, il giudicato, per un verso, si estende necessariamente
a tutti gli accertamenti (di fatto e di diritto) collegati in modo inscindibile con la decisione, costituendone il
giurisprudenziale, Padova, 1989; P. Rescigno (a cura di), Codice civile commentato, Milano, 1997; P. Cendon (diretto da), Commentario al codice
civile, vol. VI, Torino, 1991. Vedi pure in generale per la rilevanza fondamentale delle analisi esposte: S. Menchini, I limiti oggettivi del giudicato
civile, Milano, 1987; ID, Il giudicato civile, in A. Proto Pisani (diretto da), Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, Torino, 1989.
42 G. Chiovenda, op. cit., p. 324.
43 E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile,vol. II,Milano, 1984, pp. 411-413. Per ulteriori approfondimenti sull’argomento, i cui
molteplici aspetti sfuggono in gran parte al taglio dato alla presente trattazione, si vedano le citazioni riportate nell’opera appena citata (pp.
393 e ss.) e quelle contenute nelle opere a mano a mano menzionate nel nostro discorso.
44 Redenti, op. cit., vol. I, p. 23.
45 Vedi puntualmente: V. Andrioli, Diritto processuale civile, vol.I, Napoli, 1979, p. 991, par. n. 153.
46 Vedi, in fattispecie tributaria: Cass. civ., sez.1, 4 marzo 1998. n. 2388; conf.: Cass. civ., n. 3089 del 1987.
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presupposto e rappresentandone il fondamento logico-giuridico (giudicato esplicito)47; di tal che, se anche un
solo elemento costitutivo dell’azione, coperta dal giudicato, tornasse in ballo in un successivo giudizio tra le
stesse parti, ma in relazione ad un diverso rapporto giuridico, il secondo giudice sarebbe tenuto a rispettare il
precedente accertamento già passato in giudicato (proiezione in positivo del giudicato)48. Per converso, come
diametrale aspetto dello stesso fenomeno, con un’espressione anche abusata, si afferma che il giudicato copre il
dedotto e il deducibile (giudicato implicito); così, si nega, per il principio del ne bis in idem (proiezione in negativo
del giudicato), un secondo esame da parte di un altro giudice sulla medesima fattispecie in base a circostanze o
criteri diversi da quelli oggetto della precedente pronuncia e già proponibili nel corso dell’anteriore giudizio, sia in
via di azione che di eccezione49. A ben vedere, quella appena descritta è determinazione della più ampia e
generale efficacia erga omnes del giudicato (c.d. giudicato esterno)50.
Il contenuto della sentenza rilevante, dunque, ai fini del prodursi dell’efficacia della cosa giudicata è
l’accertamento in essa racchiuso 51, così come letteralmente lo stesso art. 2909 c.c. prevede; tale norma, però,
come è generalmente riconosciuto, minus dixit quam voluit, poiché si sa che il substrato dichiarativo fondamentale
di ogni sentenza può tradursi così in un provvedimento di mero accertamento, come di condanna o costitutivo52.
Nel rito tributario, quindi, le sole tipologie di sentenze ipotizzabili, data la sua peculiare natura di giudizio
strutturato come di opposizione ad un atto e tendente innanzi tutto al suo annullamento, sono di due specie: di
accoglimento o di rigetto del ricorso. E ciò si dice sembrando anodino, allo stato attuale della normativa,
continuare a discutere, in modo manicheo, se si debba ricondurre la natura del processo tributario
necessariamente a quella di un processo di annullamento dell’atto impugnato, o di un processo di accertamento
del rapporto dedotto in giudizio 53. Bisogna, infatti, rilevare che il giudicato, come concetto unitario di derivazione
prettamente processual-civilistica, (le molteplici suddistinzioni della nozione, enucleate più ad effetti pratici che
teorici, non sono altro che prova di coerenza sistematica dell’ordinamento processuale) è destinato ad assicurare
la certezza dei diritti e la stabilità delle posizioni giuridiche anche nel nuovo processo tributario, laddove si
presentino medesime esigenze di tutela, non condizionate dal diverso tipo di pronuncia giudiziale formulato 54.
Vedi: Cass. civ., sez.un., .14 giugno 1995 n. 6689.
Per una applicazione giurisprudenziale,vedi:Cass. civ.,sez. 3, 07 ottobre 1997 n. 9744, in Giust. civ., 1999, I, pp. 3210 e ss.; Cass. Civ.,sez.
un., 25 maggio 2001, n.226/,in Foro it., 2001, I, pp. 2810 e ss., con nt. adesiva di M. Iozzo, secondo cui l’eccezione di giudicato esterno ha
natura di eccezione in senso lato e non in senso stretto (cioè,rilevabile anche d’ufficio e non solo dalle parti, qualora il giudicato risulti
dagli atti di causa). In dottrina, vedi: B. Sassani, In tema di differenze di petitum e di limiti oggettivi del giudicato, in Giust. civ., 1986, I, pp. 2904 e ss.;
A. Proto Pisani, Osservazioni in tema di limiti oggettivi del giudicato in Foro it. , 1972, I, pp. 90 e ss..
49 In giurisprudenza, vedi: Cass. civ., 16 marzo 1996 n. 2205; per una applicazione in fattispecie tributaria, vedi: Cass. civ., 13 marzo 2000
n. 2868, secondo cui il giudicato implicito non si forma rispetto ad una statuizione di merito fatta oggetto di gravame, essendo quindi
possibile dedurre in appello anche questioni difensive –nella specie, è stata sollevata dall’Ufficio pubblico l’eccezione di improponibilità
del ricorso- non prospettate in prima istanza.
50 Per una applicazione in fattispecie tributaria, vedi: Cass. civ., sez. 17, 03 giugno 1992 n. 3840, in cui si è negata, per la preclusione del
giudicato, l’impugnazione di un atto di accertamento meramente riproduttivo di uno precedente e notificato a meri fini esecutivi, non
essendo stati sollevati vizi formali del nuovo atto, ma censure identiche a quelle già formulate anteriormente con la prima opposizione.
Sulla sanatoria dei vizi dell’atto impugnato mediante rinnovazione dello stesso, vedi: S. Muscara’, Riesame e rinnovazione dell’atto nel diritto
tributario, cit., pp. 251 ss.; B. Aiudi, Autotutela sulla rinnovazione dell’avviso di accertamento, in Boll.trib., 1988, 1679; L. Barbone, Quando l’ufficio
annulla e rimpiazza un atto viziato: in che limiti l’autotutela opera a favore dell’Amministrazione, in Rass.trib., 1994, 1446-1453; da ultimo circa
l’ammissibilità della revoca in autotutela dell’avviso di accertamento e la sostituzione dello stesso con uno nuovo diversamente strutturato,
contenente lo stesso dispositivo ma una diversa motivazione, fattispecie questa da tenere ben distinta dall’accertamento integrativo o
modificativo, vedi: Cass., sez. trib., 4 giugno 2001 n. 4534 del, in Il Fisco, 2002, pp. 4911-4912; Cass., sez. trib., 22 febbraio 2002 n. 2531,
in Boll.trib., 2002, pp. 1100-1104. Sul potere di reiterazione dell’atti impositivo anche dopo il giudicato in situazioni di c.d. imposte
periodiche o di coobbligazione soggettiva, vedi: G. Fransoni, op. cit., pp. 273 ss. ; A. Chizzini, Primi spunti sul tema delle parti, delle azioni e del
giudicato nel nuovo processo tributario, in L.Tosi-A.Viotto (a cura di), Il nuovo processo tributario, cit., pp. 36 ss.
51 Su questo rilievo, vedi amplius: G. Fransoni, op. cit., pp. 104 ss.; B. Sassani, op. cit., pp. 53 ss. e passim.
52 Sulle possibili modalità di tutela giurisdizionale contemplate nel nostro ordinamento, vedi per tutti: L. Montesano, La tutela giurisdizionale
dei diritti, in Trattato di diritto civile italiano, fondato da F. Vassalli, vol. XIV, tomo IV, Torino, 1985, passim.
53 Su questi orientamenti contrastanti, vedi, ad esempio: A. Mercatali, Atto, rapporto e fatto nel processo tributario, in Rass. trib., 1987, I, pp. 633
e ss.
54 Sul giudicato nel nuovo processo tributario, vedi: C. Thomas, Il nuovo contenzioso tributario, Roma, 4° ediz., 2000, pp. 229-230; M. Nencha,
Gli effetti del giudicato esterno nel nuovo processo tributario, in Boll. trib., 1997, pp. 1341-1345; ID, Enti non commerciali.La rilevanza giuridica del
giudicato in ordine alla qualificazione giuridica del soggetto accertato (Commento a C.T.P. di Foggia, sez. IX, sent. n. 454 dell’11/06/1999), in Il Fisco, n.
44/1999, pp. 13743-13745; G. Fransoni, Giudicato tributario e attività dell’amministrazione finanziaria, cit., in cui l’A. segnatamente esamina i c.d.
effetti regolamentari o normativi del giudicato in subiecta materia, cioè l’efficacia conformativa sul piano sostanziale rispetto alla
successiva azione pubblica, come, ad es., nel caso di rinnovamento dell’atto impugnato (pp. 182 e ss., in specie pp. 202-210); C. Consolo 47
48
10
Rilevato, inoltre, che nel nostro processo tributario vi è la simultanea presenza sia dell’aspetto
impugnatorio, stando alle indubbie modalità introduttive del giudizio ed al suo carattere di sindacato di legittimità
dell’atto con finalità costitutiva (cioè, di annullamento), sia dell’aspetto dichiarativo, stante l’evidente finalità
ultima, sottesa in ogni caso al giudizio di merito, di accertamento dell’esistenza (nei suoi limiti soggettivi ed
oggettivi) di una obbligazione tributaria 55, sarà quindi problema di natura eminentemente pratica l’inquadramento
concettuale della lite fiscale, da risolvere in base al tipo di tutela giurisdizionale richiesto in concreto, in
connessione con la individuazione della natura dell’atto contestato (se provvedimento amministrativo o mero
atto), non predeterminabile a priori, vista l’ampia e variegata gamma di atti impugnabili prevista dall’art. 19 D.lgs.
n. 546 del 199256 .
Pertanto, dati i possibili esiti del giudizio tributario, cioè di accertamento negativo con effetti costitutivi
dell’annullamento dell’atto, oppure di accertamento positivo del diritto del privato e di contestuale condanna
dell’amministrazione (nell’ipotesi di sindacato su atti di rigetto), non può, poi, revocarsi in dubbio che i soli
provvedimenti idonei al passaggio in giudicato, in quanto definitori del giudizio, sono le sentenze 57, qualunque ne
sia il contenuto, sia di accoglimento che di rigetto. Ad ogni modo, si deve chiarire che, nonostante il delineato
carattere ancipite della sentenza nel rito tributario, tuttavia è dato cogliere una certezza assoluta, che costituisce il
tratto discriminante, in tema di giudicato, del processo speciale rispetto al giudizio civile ordinario. Qui, infatti, il
giudizio è imperniato intorno alla contestazione della legittimità-validità di un atto pubblico, dotato di
autoritatività e di imperatività (avviso di accertamento), per cui in caso di rigetto del ricorso, cioè di accertamento
dell’inesistenza del diritto fatto valere con l’opposizione, ciò che acquista efficacia giuridica piena (ai sensi dell’art.
2909 c.c.) non è la pronuncia del giudice, che non sostituisce, né conferma l’atto de quo, ma è lo stesso atto
emanato dall’organo pubblico che sopravvive ed è giuridicamente efficace ex se 58 . Ne discende come immediata
inferenza logica la conclusione che di esecutività della sentenza può parlarsi solo in ipotesi di condanna
dell’Amministrazione a delle restituzioni; viceversa, nei casi di rigetto del ricorso, in cui resta in piedi l’atto
impugnato come titolo esecutivo, resta possibile, come lo era già prima dell’impugnazione, la tipica esecuzione
amministrativa mediante riscossione, peculiare del diritto tributario 59. Per le sentenze di accoglimento, invece, che
producono l’effetto di annullamento dell’atto impugnato e di tutti gli atti successivi e conseguenziali (ad esempio,
eventuale attività di riscossione già eseguita), il problema della loro esecuzione è stato legislativamente affrontato
e risolto, con la introduzione anche nel rito tributario del c.d. giudizio di ottemperanza, di derivazione giuridica
amministrativa, previsto dall’art. 70 D.lgs n. 546 del 199260 .
Per quanto attiene, poi, alla generale categoria processuale delle pronunce di rigetto, che, come visto, nel
processo tributario vengono particolarmente in rilievo come possibile esito del giudizio a fianco delle meno
problematiche pronunce di accoglimento del ricorso (con effetto costitutivo e di annullamento dell’atto), sulle
quali ci si è soffermato in premessa, è opportuno riferire sui risultati raggiunti dal dibattito esistente intorno a tale
tipo di sentenze, riportando, però, la discussione al processo tributario.
Sul contenuto della sentenza di rigetto emanata in conseguenza della ripartizione tra le parti (attore e
convenuto) dell’onere probatorio, previsto dall’art. 2697 c.c., si è già fatta chiarezza da tempo in ambito
processual-civilistico 61, appuntandosi il proprium del rigetto giudiziale della domanda sull’accertamento
P. D’Ascola, Giudicato tributario, cit., passim; A. Chizzini, Primi spunti sul tema delle parti, delle azioni e del giudicato nel nuovo processo tributario, in L.
Tosi - A. Viotto, Il nuovo processo tributario, cit., pp. 34 ss.
55 Vedi in proposito quanto sostenuto dagli Autori citati supra alla nt. n. 17.
56 Ne è stata, però, tentata una classificazione a grandi linee per gruppi omogenei in: atti impositivi, in genere avvisi di accertamento; atti di
rifiuto, diniego o rigetto espresso o tacito di istanze di privati; atti della riscossione. Su questi aspetti del nuovo processo tributario, vedi:
S. La Rosa, Amministrazione finanziaria e giustizia tributaria, cit., pp. 200-202.
57 Per la sentenza e per gli altri provvedimenti del giudice, vedi: M.L. Vitale, I provvedimenti del giudice, in Tributi, n. 3/1997, pp. 298-300; M.
Villani, I provvedimenti del giudice tributario:le ordinanze, in Corr. trib. n. 37/1996, pp. 2859-2862; ID, I provvedimenti del giudice tributario:i decreti, ivi,
n. 38/1996, pp. 2927-2929.
58 Vedi per ulteriori chiarimenti su quanto detto: F. Tesauro, Processo tributario, in Digesto IV edizione-discipline privatistiche - sez.
commerciale, vol. XI, cit., pp. 351-353; ID, Lineamenti del processo tributario, cit., pp. 139-143 e pp. 157 e ss.
59 Vedi l’A. e le opere citate nella nota precedente, rispettivamente p. 358 ed pp. 169-170. Inoltre, con riferimento alle decisioni di rigetto,
vedi: E. Capaccioli, Esecutività della sentenza e cosa giudicata, in Diritto e processo , cit., p. 413.
60 Vedi le citazioni fatte supra alla nt. n. 3.
61 Per la dottrina più risalente, vedi: G. Chiovenda, op.cit., pp. 285 e ss.; Più di recente, vedi: F.P. Luiso, Diritto processuale civile, vol. I,
Milano, 2000, pp. 171-173.
Sulla sentenza di rigetto nel processo amministrativo, vedi ad esempio: B. Sassani, op.cit., pp. 157 ss; E. Capaccioli, Esecutività della sentenza e
cosa giudicata, in Diritto e processo, cit., p. 413; A. Romano, La pregiudizialità nel processo amministrativo, Milano, 1958, pp. 384 ss.; per il
contenzioso tributario, vedi: F. Maffezzoni, La natura del processo tributario nella giurisprudenza della Corte di Cassazione …, cit., p. 1804; S.
Muscara’, Riesame e rinnovazione degli atti in diritto tributario, cit., p. 219; V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., pp. 231-232
e pp. 240-242; G. Fransoni, op. cit., pp. 262-264.
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dell’inesistenza del diritto vantato dall’attore, come risvolto della mancata prova degli elementi costitutivi del
diritto, ovvero della prova di circostanze o fatti impeditivi, modificativi o estintivi addotti dal convenuto.
Quindi, in linea di prima approssimazione può dirsi che la portata precettiva della sentenza di rigetto
passata in giudicato varia molto, secondo i motivi su cui poggia la stessa statuizione di rigetto, con riferimento a
quell’elemento costitutivo del rapporto giuridico controverso, il cui difetto è stato causa della pronuncia negativa.
Sotto questo riguardo, quindi, vi sono motivi di rigetto che non consentono un riesame della fattispecie (quale il
mancato avveramento di un fatto costitutivo che non può più verificarsi), ma vi sono pure motivi di rigetto che
lasciano aperta la possibilità di riproporre la domanda (come, ad esempio, accade nella reiezione della
impugnativa del licenziamento per illegittimità del relativo procedimento, che non preclude la riproposizione
della domanda per inesistenza della giusta causa o del giustificato motivo).
Nel caso del processo tributario, allora, si tratta di un giudizio concernente in sostanza l’impugnativa di
un atto e la contestazione dei suoi effetti, in cui è parte essenziale del giudizio un organo della P.A., dal quale
proviene l’atto e che conserva il potere di modificarlo e/o rinnovarlo. Tuttavia, quando si parla di riapertura
dell’esame della controversia tributaria, non ci si intende riferire né al noto fenomeno della incidenza sul
giudicato di fatti nuovi successivi alla formazione della decisione giudiziale 62, né a quello delle sentenze c.d.
determinative” o “dispositive”, pronunciate cioè allo stato degli atti, in base alla situazione di fatto esistente al
momento della decisione (quindi, sempre modificabili e revocabili)63. Ci si intende, invece, più propriamente
riferire alla rilevabilità, dopo il giudicato, di altri motivi di annullamento dell’atto non fatti valere nella fase
anteriore del giudizio ormai concluso 64; nel processo civile, ad esempio, il caso emblematico è costituito dalla
azione di impugnativa del licenziamento da parte del lavoratore contro il datore di lavoro65. In siffatta situazione,
quindi, mentre il definitivo accertamento della validità sostanziale del licenziamento presuppone necessariamente
l’accertamento della validità o dell’efficacia dello stesso sotto il profilo formale, i cui eventuali vizi non sono
perciò più rilevabili, a diversa conclusione deve pervenirsi in caso di rigetto della domanda di illegittimità del
licenziamento per vizi formali: in questo caso, l'accertamento giudiziale non pregiudica in quanto assolutamente
ne prescinde la questione della validità sostanziale del licenziamento stesso, per la ricorrenza della giusta causa e
del giustificato motivo, e non impedisce, quindi, una successiva impugnazione per difetto degli anzidetti requisiti
sostanziali, a patto che il convenuto -datore di lavoro- non chieda in via di eccezione riconvenzionale
l’accertamento della validità sostanziale del provvedimento impugnato66. In proposito può richiamarsi pure il
consolidato orientamento, affermatosi in seno all’esperienza del processo amministrativo, in base al quale la
sentenza di rigetto del ricorso produce effetti limitatamente ai vizi, riconosciuti inesistenti, fatti valere con i
motivi del ricorso, ma non impedisce al privato di riproporre il ricorso (non essendo scaduti ancora i termini di
decadenza) per motivi diversi, o alla stessa Amministrazione di caducare (per annullamento, o revoca) l’atto
sempre per altri motivi67.
Fatte queste utili premesse, allora, bisogna osservare che vi sono delle peculiarità inerenti la situazione
normalmente oggetto di giudizio nel processo tributario, in quanto trattasi di un giudizio di merito sul rapporto
giuridico sostanziale, oltre che di legittimità dell’atto per vizi suoi propri68. Infatti, a differenza del processo
amministrativo (che verte di norma su vizi di legittimità, quali la violazione di legge, l’incompetenza, ecc.), ma a
Questa evenienza è pacificamente ammessa in dottrina; vedi tra gli altri: G.A. Micheli, Corso di diritto processuale civile, vol. I, Milano, 1959,
p. 295; S. Satta - C. Punzi, Diritto processuale civile, 11° ediz., Padova, 1992, p. 243, in nt. n. 35. Parimenti la giurisprudenza è dello stesso
avviso (vedi: Cass. civ., sez. 2°,. 29 luglio 1983 n. 5227 del, secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile con esclusivo riguardo
alla sistemazione che esisteva e fu tenuta presente dal giudice al momento della decisione, ma non preclude la rilevabilità dei fatti che
sopravvengono alla sua formazione; pertanto, il giudicato di rigetto di una domanda di risoluzione per inadempimento contrattuale non
impedisce la proposizione di una nuova domanda di risoluzione fondata su ulteriori successivi inadempimenti).
63 Su ciò vedi per tutti: E.T. Liebman, Efficacia ed autorità della sentenza, Milano, 1935, pp. 16-19.
64 Vedi infra al punto 5)
65 Su ciò, da ultimo vedi: Cass. civ., sez. lav., 16 giugno 2000 n. 8217, che ribadisce il noto orientamento della Suprema Corte, in tema di
giudicato c.d. implicito, per cui è precluso il rilievo e la nuova azionabilità di questioni che si presentino collegate col deciso con un
rapporto di dipendenza indissolubile sì da costituirne il presupposto di fatto e l’antecedente logico-giuridico; con-formi: Cass. civ., sez.
lav., 02 aprile 1995 n. 4438; Cass. civ., sez. lav., 18 gennaio 1992 n. 576; Cass. civ., sez. lav., 16 settembre 1987 n. 7271.
66 Vedi pure: F.P. Luiso, op. e locuz. ultima citata; B. Sassani, op. cit., pp. 162-169 e p. 175, nt. 26, il quale si rifà alla concezione tedesca della
Bergründungstheorie, che discrimina, in occasione della sopravvenienza di nuovi elementi, l’efficacia preclusiva della sentenza di rigetto
(rectius , della pronuncia a contenuto negativo) a seconda dei motivi posti a base della decisione.
67 Vedi per tutti: A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, vol.II, Napoli,1989, p. 1516; P. Virga, Diritto amministrativo.Atti e ricorsi,
vol.II, Milano, 1995, p. 447; M. Nigro, Giustizia amministrativa, Bologna,1994, pp. 309-310; E. Capaccioli, Esecutività della sentenza e cosa
giudicata, in Diritto e processo, cit., p. 414.
68 Per l’esattezza del rilievo, vedi ad esempio: G.A. Micheli, La tutela giurisdizionale differenziata del contribuente nel processo, in Opere minori di
diritto tributario, I, cit., p.5.
62
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simiglianza del giudizio di impugnativa del licenziamento in sede civile (in cui, però, la estensione dell’oggetto del
giudizio sia alla legittimità dell’atto, che all’aspetto sostanziale della controversia, dipende dall’attività delle parti,
che ne dispongono liberamente, essendo parte privata non solo l’attore, ma pure l’autorità emanante l’atto), nel
processo tributario non può trattarsi separatamente della legittimità formale e della validità sostanziale dell’atto,
volendo darsi a questo fine esclusiva rilevanza ai motivi a volta a volta prospettati nel ricorso. Invero, la materia
della contesa tributaria viene fissata dall’insieme dei motivi esposti nel ricorso e nell’atto impositivo69 e coinvolge,
con dizione solo genericamente intesa, l’illegittimità dell’atto impositivo, attenendo invece indistintamente sia
all’aspetto formale che sostanziale della lite fiscale70. Basti pensare, inoltre, che il provvedimento amministrativo
emanato a fini fiscali (accertamento), da un lato, fa sorgere l’interesse alla impugnativa, per la tutela di posizioni
giuridiche sostanziali (riconducibili, secondo l’impostazione teorica seguita, ora a interessi legittimi, o di fatto, ora
a veri diritti soggettivi)71, da parte del privato (che prima non potrebbe agire nemmeno invia di mero
accertamento preventivo)72, ma dall’altro lato, ha di regola un carattere vincolato (dovendo corrispondere,
dunque, necessariamente i motivi di invalidità dell’atto sollevati dal contribuente a specifici vizi di legittimità per
violazione di norme settoriali), in quanto è espressione del dovere dell’Amministrazione di esercitare il potere
impositivo secondo il principio di legalità, che abbraccia sia l’an che il quantum della pretesa fiscale, lasciando
ristretti margini alla discrezionalità. E così, sotto il primo profilo, come se agisse in giudizio civile di merito, la
parte può dare prova dell’esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi degli elementi costitutivi
dell’obbligazione tributaria, esposti dall’Amministrazione nella motivazione dell’atto impositivo (cfr.: art. 42
D.P.R. n. 600 del 1973 ed art. 53 D.P.R. n. 633 del 1972); sotto il secondo profilo, come se agisse in giudizio
amministrativo ordinario, può indicare i vizi di legittimità dell’atto che ne inficiano l’efficacia rendendolo nullo a
causa della sua mancata rispondenza al modello legale tipico73.
Pertanto, nel giudizio tributario naturalmente si discute del merito della controversia, anche se l’attività
difensiva del ricorrente-attore si limitasse ad evidenziare solo vizi formali del provvedimento, inerenti l’atto
stesso o il suo procedimento di formazione (come l’erroneità della notifica, ecc.); ciò in quanto alla base della
controversia vi è comunque l’atto impugnato, dei cui requisiti di legittimità (aspetto formale) e di fondatezza
(aspetto sostanziale) è pur sempre devoluta la cognizione di merito al giudice tributario 74.
Quindi, si può osservare che nell’ipotesi di pronuncia di una sentenza di rigetto, se la decisione si
sofferma a dichiarare soltanto inesistenti o infondati i motivi del ricorso, ciò non vuol dire che non si potesse
Vedi: R.Lupi, Diritto tributario.Parte generale,vol.I, Milano, 1995, p. 275 e p. 285.
Vedi concordemente: G. Fransoni, op. cit., p. 158 e pp. 241 ss.
71 Vedi: F. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, cit., p. 48 e pp. 54-55, il quale segue la teoria costitutiva del processo tributario, con
cognizione limitata ai soli interessi dei privati ; aderisce all’opposta teoria dichiarativa, con cognizione estesa ai diritti soggettivi: P. Russo,
Impugnazione e merito nel processo tributario, cit., passim.
72 Vedi: R.Lupi, Manuale professionale di diritto tributario, Milano, 1999, p. 626; B. Sassani, op. cit., 30, nt. 30 ed ivi ulteriori citazioni, quali:
Magnani, L’azione di mero accertamento in materia tributaria, in Riv. dir. proc., 1978, pp. 320 ss.; Mercatali, Un problema che resta: l’ammissibilità in
campo tributario delle azioni di accertamento negativo, in Giust. civ., 1977, I, p. 1216. Si è già visto però che la più recente dottrina neodichiarativa
inquadra il fenomeno del contenzioso tributario proprio nella prospettiva dell’esercizio di un’azione di accertamento (negativo) del
rapporto oggetto del processo, per la tutela di diritti soggettivi; cfr. ad esempio: P. Russo, Impugnazione e merito nel processo tributario, cit.,
passim; ID, Processo tributario, cit., pp. 773-774; G. Fransoni, op. cit., pp. 156 ss. Limita, invece, l’ambito della giurisdizione tributaria alla
tutela di meri interessi privati per la preminente ragione della loro azionabilità, per giunta entro un perentorio termine di decadenza, solo
in occasione della impugnazione di atti amministrativi, F. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, cit., p. 48 e pp. 54-55.
La qualificazione delle situazioni soggettive presenti nel processo tributario non appare quindi unitariamente ricostruibile, desumendosi la
complessità dell’oggetto del processo oltre che dalle svariate costruzioni teoriche elaborate anche dalla molteplicità e disomogeneità degli
atti impugnabili, ai sensi dell’art. 19 D.lgs. n. 546 del 1992, come già detto (cfr.: S. La Rosa, op. cit., p. 201). Ne scaturisce
conseguenzialmente la natura composita o ibrida del processo tributario (cfr.: G. Tabet, Luci ed ombre del nuovo processo tributario, cit., pp.
623-624), che riveste ormai il carattere di giurisdizione generale nella materia de qua dopo la modifica del testo dell’art. 2 del citato decreto
, ex art. 12, comma 2 della L. 28 dicembre 2001 n. 448.
73 Sulle nozioni di vizi formali (illegittimità) e sostanziali (infondatezza, inopportunità) dell’atto impugnato, vedi ad esempio: V. Ficari,
Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., pp. 116-119. Sulla generale categoria dell’invalidità, pacificamente intesa come non
corrispondenza dell’atto, concreta manifestazione del potere, al modello legale, vedi ad esempio: B. Sassani, op. cit., pp. 3-4 e pp. 16-17.
74 Su ciò vedi ancora : G. A. Micheli, La tutela giurisdizionale differenziata del contribuente nel processo, in Opere minori di diritto tributario, cit., pp. 311; S. Muscara’, Contributo allo studio della funzione di riesame sostanziale, cit., p. 1326; V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit.,
pp. 232-233 e ss.
Che la funzione giuridica di un giudizio di accertamento, come anche quello tributario, sia non solo di statuire sulla validità di un atto, ma
pure di dettare le regole del rapporto sostanziale tra le parti, cioè in sintesi “l’accertamento della Normsituation in ordine a dati doveri o
facoltà interne al rapporto corrente tra le parti”, è stato sostenuto di recente da vari Autori , tra cui: B. Sassani, op. cit., pp. 244-246, di cui è
l’espressione appena riferita; S. Menchini, I limiti oggettivi del giudicato, cit., pp. 185 ss.
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anche contestualmente accertare la fondatezza della pretesa tributaria, sulla scorta dei motivi contenuti nello
stesso atto impugnato, senza che a tal fine necessitasse una attività propositiva, neppure in via di eccezione,
dell’Amministrazione chiamata in causa (tenuta a rigore solo all’onere della allegazione delle prove indicate nel
provvedimento, in sede di motivazione)75; infatti, il processo tributario, seppure azionabile in via di impugnativa
di un atto, investe il rapporto d'imposta contestato nel suo complesso, salvo i limiti posti dalla speciale
giurisdizione delle Commissioni 76. Ma facendo testo la decisione resa dall’Autorità giudiziaria, in una tale
evenienza, nella misura in cui non solo siano stati respinti i motivi del ricorso, ma neppure sia stata
positivamente accertata una qualche giustificazione del titolo giuridico di tassazione, al giudicato tributario
sopravvivono, secondo il ripetuto insegnamento amministrativo, gli altri e diversi motivi di annullamento, su cui
non è intervenuto il dictum giudiziale, i quali possono costituire ancora, decorso il termine decadenziale di
impugnativa dell’atto, solo fondamento per l’esercizio del potere di caducazione dell’atto da parte
dell’Amministrazione procedente (tramite l’annullamento, o la revoca).
Peraltro, va infine ricordato che alle sentenze di rigetto, nelle quali il giudice non assume una sostanziale
decisione di merito, (quando, cioè, il dispositivo non contiene comunque una pronuncia di accertamento o di
condanna) non si applica il noto principio secondo cui la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va
individuata tenendo conto non soltanto del dispositivo, ma anche della motivazione77. Questa, ovviamente, è una
specificazione della nozione comunemente accolta dell’efficacia sostanziale del giudicato costituitosi su sentenza
(di mero accertamento, costitutiva o di condanna), ai sensi dell’art. 2909 c.c.78,il quale non può aversi che in
presenza di un accertamento che conferisca certezza ad uno dei diritti in contesa, come manifestazione del potere
decisorio del giudice. Perciò, così le affermazioni implicite, come le petizioni di principio, o meri giudizi di valore,
ricavabili dal dispositivo della pronuncia, ma che non trovano fondamento in un preventivo ed apposito
accertamento, espresso nella motivazione, non sono suscettibili di passare in cosa giudicata79. All’opposto, si deve
notare che sentenze di rigetto (o di accoglimento) dipendenti da una situazione di prova mancante o insufficiente,
in quanto contenenti pur sempre una precisa pronuncia imperativa del giudice, sono equiparate quoad effectum alle
decisioni di merito, nel senso che, non essendo ammesse nel nostro ordinamento le pronunce allo stato degli atti,
in presenza di una sentenza che, di fatto, abbia adottato tale formula, non bisogna ritenerla inesistente, ma idonea
anche al giudicato come una qualunque altra sentenza (di merito o di rito)80; una volta formatosi, poi, il giudicato
formale, esso costituisce giudicato sostanziale, nel senso che la domanda deve ritenersi definitivamente rigettata
(o accolta) e non più proponibile in un nuovo giudizio fra le stesse parti; salvo poi ad indagare, in base alla
motivazione che sorregge la decisione, sul suo effettivo contenuto e, conseguenzialmente, sulla concreta efficacia
di tale sentenza 81. Per completare il panorama delle tematiche aperte dal problema della pronuncia di rigetto,
Vedi: S. Muleo, Sulla motivazione dell’accertamento come limite alla materia del contendere nel processo tributario, in Rass. trib., 1999, pp. 506-516; S.
Siccardi, La motivazione dell’accertamento tributario tra illustrazione della pretesa fiscale e prova della sua fondatezza, in Rass. trib., 1999, pp. 889-899.
76 Cfr.: Cass. civ., sez. 1, 07 dicembre 1995 n. 12591; Cass. civ., sez. 1, 07 settembre 1990 n. 9242.
77 Cfr.: Cass. civ., sez. 3, 15 marzo 1995 n. 3030; Cass. civ., sez. 1, 10 novembre 1993 n. 11104; Cass. civ., sez. un., 16 giugno 1993 n. 6706;
Cass. civ., sez. lav., 18 maggio 1989 n. 2362; Cass. civ., sez. lav., 17dicembre 1987 n. 1526, la quale ultima decisione ha ritenuto che la mera
enunciazione di una regola, secondo cui l’intervenuta prescrizione non esclude il diritto alla rendita da successivo aggravamento d’inabilità,
non può, per il suo valore puramente incidentale, svincolato cioè dal fondamento logico- giuridico della decisione adottata, acquistare
autorità di cosa giudicata; conf.: Cass. civ., sez. 2, 17 agosto 1979 n. 4571.
78 Vedi chiaramente: C.Vocino, Considerazioni sul giudicato,cit., pp. 87-88.
79 Sull’interpretazione della sentenza come integrazione del dispositivo mediante la motivazione, vedi in dottrina: S.Satta-C.Punzi, op. cit.,
pp. 247-249. Sul rapporto motivazione/dispositivo nella sentenza resa in un giudizio a struttura impugnatoria, quale quello
amministrativo, vedi ad esempio: B. Sassani, op. cit., pp. 118 ss. Peraltro, la rilevanza interpretativa della motivazione è puramente relativa,
in quanto il giudicato si forma sull’accoglimento o sul rigetto della domanda, cioè sulla questione formante oggetto di una specifica ed
autonoma controversia; soltanto in via indiretta e mediata sulle premesse meramente logiche della decisione (cfr.: Cass. civ., sez. lav., 29
ottobre 1993 n. 10771, in Giust. civ. mass., 1993, p. 1536).
Per una riaffermazione del ruolo della motivazione rispetto alla sentenza, nel processo tributario, si può considerare che la nuova norma
sul giudizio di ottemperanza (art. 70 D.lgs n. 546 del 1992) prevede, al comma 7, che gli obblighi sanciti espressamente nel dispositivo
della sentenza debbono essere intesi tenendo conto della relativa motivazione, dovendosi evidentemente verificare il senso e la portata
della volontà manifestata nella sentenza; da ciò si ricava in più che il giudice dell’ottemperanza “non può definire questioni che non
appartengono a quelle regolate dal giudicato o che non siano ad esse strettamente connesse” (O. Origani - R. Lunelli, Guida al nuovo processo
tributario, Milano, 1996, p. 286; vedi pure: C. Ciampolillo, Gli strumenti di tutela sostanziale del contribuente nel processo tributario,in Tributi, n.
11/1999, pp. 1379-1380). Si vedano inoltre le citazioni fatte supra alla nt. n. 3.
80 Sul c.d. effetto di accertamento in ogni caso collegato alla formazione della “cosa giudicata”, quale prodotto primario della funzione
giurisdizionale, vedi ad esempio: E. Capaccioli, Per la effettività della giustizia amministrativa, in Diritto e processo, cit., pp. 456-457 e pp. 471-472.
81 Cfr.: Cass. civ., sez. 2, 18 febbraio 1991 n. 1682; Cass. civ., sez. 3, 16 maggio 1986 n. 3238; Cass. civ., sez. 2, 12 novembre 1983 n.
6744; Cass. civ., sez. 2, 24 giugno 1974 n. 1902; Cass. civ., sez. 1, 21 novembre 1970 n. 2466. Tutte queste pronunce si riferiscono, invero,
alle sole decisioni di rigetto nel giudizio civile; nel giudizio a struttura impugnatoria, come quello tributario, può pacificamente presentarsi
lo stesso fenomeno, non essendo a ciò di ostacolo la singolare ripartizione dell’onere della prova tra le parti, che grava inizialmente anche
sull’Amministrazione finanziaria in sede di istruttoria primaria amministrativa nella fase di formazione dell’atto, nonostante possa apparire
incombere sul solo ricorrente in sede di avvio del contenzioso e di svolgimento in tale fase della successiva istruttoria giudiziale di secondo
grado. Sulla ripartizione dell’onere della prova tra Fisco e contribuente, sia in sede amministrativa che giudiziale, vedi ad esempio per la
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occorre dire che, secondo una autorevole dottrina 82, l’esistenza di un giudicato di rigetto non impedisce però alla
autorità stessa di annullare il proprio atto anche per gli stessi motivi disattesi dal giudice.
Invero, in primo luogo per una ragione di coerenza, visto che i ricorsi giurisdizionali (quello
amministrativo, come quello tributario) sono sottoposti ad un rigoroso termine perentorio di decadenza, allora
nessun nuovo motivo che fosse proponibile in sede di impugnazione dell’atto può essere più proposto dopo la
scadenza del termine; pertanto, l’Autorità pubblica non potrebbe rinunciare alla propria pretesa nemmeno per
motivi diversi da quelli su cui si è pronunciato il giudice su ricorso di parte.
Vero è, inoltre, che tale rilievo è rafforzato dalla considerazione che tra i principi sul giudicato civile
applicabili a quello amministrativo (o tributario) vi è quello secondo cui il giudicato copre il dedotto e il
deducibile, per cui nemmeno si potrebbe più dichiarare la illegittimità dell’atto contestato, né per i motivi dedotti,
né per quelli che erano deducibili, ma che non furono dedotti83.
Accade però che l’Amministrazione non solo può, ma anzi è tenuta a rinunciare anche alla parte della
pronuncia che dichiara la legittimità di un atto in base alla valutazione della causa petendi rispetto al petitum, sempre
che riconosca l’illegittimità dell’atto; inoltre, l’Amministrazione, ferma restando la dichiarazione giudiziale di
legittimità dell’atto, senza cadere in eccesso di potere, potrebbe rinunciare a realizzarne il contenuto, adducendo
motivi di merito (inutilità, inopportunità). In sostanza, “se si ammette che la P.A. possa rinunciare all’efficacia del
giudicato, anche prescindendo da motivi di merito, deve necessariamente riconoscersi la possibilità in essa di
considerare illegittimo l’atto e di rinunciare a conseguirne gli effetti per il solo fatto di ritenere doverosa la
dichiarazione di illegittimità di esso”84(unica eccezione a questa regola è il caso del rapporto processuale trilatero
– ricorrente, Amministrazione, uno o più controinteressati, in cui l’efficacia del giudicato si estende
incontestabilmente anche ai controinteressati, ragion per cui la P.A. non può addivenire all’annullamento
dell’atto, né per i motivi dedotti, né per quelli deducibili) 85.
Per quanto appena detto, quindi, siccome nel processo tributario è parte necessaria del giudizio
l’Amministrazione, potrebbe estendersi in detto settore giuridico l’applicazione della teoria esposta, come in
effetti è avvenuto con le recenti disposizioni sulla c.d. autotutela (di cui appresso si dirà più diffusamente)86; tra
l’altro, non sarebbe di ostacolo a tale applicazione nemmeno la eventualità dell’ipotesi derogatoria alla tesi
descritta, ravvisabile nel giudicato favorevole a eventuali controinteressati costituiti in giudizio, considerato che
nel rito tributario è difficile riscontrare una simile situazione 87.
5. (SEGUE): L’EFFICACIA E I LIMITI SOGGETTIVI DEL GIUDICATO
Sul dibattuto tema dell’efficacia della sentenza passata in giudicato la dottrina processualcivilistica ha
attinto dei traguardi notevoli e pregnanti. Anche se a lungo è stato controverso se dovesse imporsi sulla natura
del giudicato la teoria processuale (da far risalire all’art. 324 c.p.c.) o quella sostanziale (da far risalire all’art. 2909
c.c.) 88, è ormai da ritenersi esaurito tale dibattito, non costituendo altro le dette teorie se non due aspetti della
loro incisività: G.A. Micheli, Amministrazione finanziaria, giustizia tributaria e giurisdizione volontaria, in Opere minori di diritto tributario, I, cit., pp.
33-41; F. Tesauro, L’onere della prova nel processo tributario, in C.Glendi-S.Patti-E.Picozza, (a cura di), Le prove nel diritto civile,amministrativo e
tributario, Torino, 1986, p. 237 ss.; S. LA China, Riflessioni ed esperienze di un processualista nel processo tributario, in Dir. prat. trib., 1993, I, p. 1385
ss.; R. Lupi, L’onere della prova nella dialettica del giudizio di fatto, in A. Amatucci (diretto da), Trattato di diritto tributario, vol. III, Padova,1994,
pp. 308-312; V.Azzoni, Il nuovo processo tributario. Natura del rito e onere della prova, in Boll. trib.,1996, pp.1093-1096.
82 R. Galli, Corso di diritto amministrativo, 3° ediz., Vol. II, Padova, 2001, pp. 1711-1713; l’A. riporta, sostanzialmente aderendovi, le teorie di
S. Lessona, espresse nella nota Giudicato di legittimità dell’atto amministrativo e potere di autoimpugnativa, in Foro it., 1949, III, col. pp. 172-176.
83 La dottrina processualcivilistica e la giurisprudenza ammettono di conserva la riapertura del discorso, chiuso con la sentenza al
momento della precisazione delle conclusioni per la decisione, solo per fatti sopravvenuti verificatisi successivamente a tale momento
preclusivo (vedi le citazioni di cui alla precedente nota n. 62).
84 R. Galli, op. cit., Vol. II, p. 1713.
85 In senso conforme, vedi: M. Clarich, Giudicato e potere amministrativo, cit., p. 10.
86 Esprimono lo stesso avviso nell’analisi del rapporto tra giudicato di rigetto ed esercizio del potere di autotutela da parte
dell’Amministrazione finanziaria: A. Chizzini , Primi spunti sul tema delle parti, delle azioni e del giudicato nel nuovo processo tributario, in L. Tosi-A.
Viotto (a cura di), Il nuovo processo tributario, cit., p. 36; C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, pp. 596-598; D. Stevanato,
L’autotutela dell’amministrazione finanziaria, cit., pp. 180-181, il quale invero auspica che questa tesi sia recepita anche dal legislatore.
Seguono invece l’indirizzo prevalente che vede nel giudicato un limite invalicabile per l’autotutela, se non fondata su nuovi e diversi
motivi: V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., pp. 227 ss.; S. Muscara’, Riesame e rinnovazione degli atti nel diritto tributario,
cit., pp. 440-441; G. Fransoni, op. cit., pp. 216-218.
87 Cfr. ad esempio sul punto: D. Stevanato, L’autotutela dell’amministrazione finanziaria, cit., pp. 230 e 298.
88 Vedi: S. Satta-C. Punzi, op. cit., p. 236; C. Vocino, Considerazioni sul giudicato, cit., p. 37.
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stessa realtà giuridica, cioè la sentenza, una volta che è passata in giudicato ed ha acquistato piena efficacia
sostanziale 89.
In effetti, la previsione del codice di rito sulla “cosa giudicata formale”, di cui all’art. 324 c.p.c., è stata
ravvisata una superfetazione, sul rilievo che il legislatore intendesse descrivere il momento produttivo
dell’efficacia del provvedimento giudiziale nel mondo sostanziale dei diritti, per cui sarebbe stato più opportuno
collocare la norma nel codice civile, a fianco dell’art. 290990. Tale disposizione, infatti, se da un lato riproduce, ma
con toni diversi (cioè, non descrivendo dettagliatamente gli elementi del giudicato: parti, res, causa petendi),
l’analoga norma esistente nel codice civile del 1865 (art. 1351), dall’altro evidenzia più chiaramente il nucleo
centrale della sentenza (l’accertamento in essa contenuto), che è destinato a produrre effetti sostanziali; in tal
modo si attribuisce alla cosa giudicata la qualificazione di risultato della funzione giurisdizionale, individuando
meglio l’opera del giudice rispetto alla legge, mentre in precedenza la cosa giudicata era annoverata quale
semplice presunzione di verità (secondo l’art. 1350 c.c. del 1865)91.
In ultima analisi, il giudicato, processualmente formatosi su di un provvedimento eminentemente
decisorio (sentenza), espone concettualmente la stabilità assunta dalla pronuncia giudiziale, dopo l’avverarsi della
preclusione di cui all’art. 324 c.p.c., come regola che disciplinerà d’ora innanzi la res controversa (art. 2909 c.c.)92,
incidendo in modo vincolante, quindi, sulla situazione giuridica iudicata sì da rendere irrilevanti le precedenti
condizioni della stessa, anteriori, cioè, all’origine del processo (c.d. efficacia retroattiva dell’accertamento)93.
Questa è la vera efficacia, con effetti sostanziali, della sentenza passata in cosa giudicata; essa è assicurata
dall’ordinamento, in base al combinato disposto degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c., in primo luogo per il giudizio
civile ordinario, ma vale poi per ogni altro giudizio di cognizione in cui trovino compiuta attuazione e la garanzia
del diritto di difesa e l’esercizio del diritto al contraddittorio94.
Diversa cosa è l’efficacia esecutiva, o l’esecutività, della sentenza, anche in pendenza dei termini per le
impugnazioni ordinarie (art. 282 c.p.c.; art. 33, comma 1 L. n. 1034 del 6 dicembre 1971; art. 35, comma 3 D.lgs.
n. 546 del 1992)95. Secondo alcuni, sarebbe manifestazione di un effetto della sentenza che si produce prima del
passaggio in giudicato e da ricondursi alla caratteristica della imperatività del provvedimento decisorio, per la sua
promanazione dalla autorità giurisdizionale 96; perciò, l’autorità della sentenza, scaturente dal suo passaggio in
giudicato, verrebbe solo a consolidare e raffermare gli effetti che possiede fin dalla pronuncia da parte del
giudice.
La provvisoria esecuzione della sentenza, viceversa, non è prova di una pretesa produzione degli effetti
del giudicato, collegati alla sentenza, ancor prima del suo formarsi, in quanto la ragione dell’immediata efficacia
esecutiva della sentenza risiede nella considerazione utilitaristica, tenuta presente dal legislatore, che il processo
deve assicurare l’effettività della tutela giurisdizionale, onde la sua durata non deve andare a danno della parte che
ha ragione (creditore) 97; perciò, quando la posizione giuridica di una parte processuale ha già acquistato un certo
grado di certezza, attraverso l’accertamento giudiziale, il provvedimento emanato può già produrre alcuni effetti a
scopi pratici. Ma questa non è una manifestazione preventiva di taluni aspetti dell’efficacia della cosa giudicata;
prova ne sia che nel rito civile e amministrativo l’esecutività di alcuni accertamenti è assicurata anche con
provvedimenti non idonei al giudicato (le ordinanze emesse ex artt. 186-bis, 186-ter e 423 c.p.c. ed ex art. 21,
commi 8 e 9 L. n. 1034 del 1971, come novellato dalla L. n. 205 del 2000).
Nel rito tributario, poi, l’esecuzione della sentenza, in pendenza delle impugnazioni, avviene
progressivamente, passandosi da una esecuzione parziale della decisione di primo grado ad una completa per la
sentenza d’appello (art. 68 D.lgs. n. 546 del 1992)98; anche questa peculiare forma di esecuzione provvisoria non
ha che un fondamento pratico, quello di tentare di assicurare l’utilità richiesta alla parte che ha avuto riconosciuta
una pretesa, facendosi però dipendere l’effetto esecutivo della sentenza dal maggior grado di stabilità
dell’accertamento, che diventa immutabile solo col passaggio in cosa giudicata. Vi è, poi, un’ulteriore peculiarità
nel processo tributario, data dal fatto che la forza esecutiva promana sempre dall’atto impositivo impugnato
(accertamento) e non veramente dalla sentenza, in quanto dopo il giudicato rimangono o vengono eliminati
Vedi: E.T. Liebman, op. cit., vol. II, 424-426; E. Allorio, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, p. 1935, ristampa del 1992, 18-22; C.
Vocino, op. cit., 53-54; S. Satta, Commentario al codice di procedura civile, vol.II, parte 2°, Milano, 1962, pp. 26-28; V. Andrioli, Diritto processuale
civile,vol. I, cit., pp. 991-996. Su queste stesse tematiche, ma con riferimento al contenzioso tributario, vedi: G. Fransoni, op. cit., pp. 43 ss.
90 Vedi: S. Satta, Commentario …, vol.II, parte 2°,cit., pp. 25-26.
91 Vedi: P. D’Onofrio, Commento al codice di procedura civile, vol. I, Torino, 1953, p. 460; V. Andrioli, Diritto processuale civile, vol. I, cit., p. 994.
92 Vedi: G. Verde, Profili del processo civile.Parte generale, Napoli, 1994, p. 338.
93 Vedi: L. Montesano, op. cit., p. 217.
94 Vedi: L. Montesano, op. cit., p. 221; G. Verde, op. cit., p. 337.
95 Vedi: C. Vocino, op. cit., 46-49; A. Quaranta, Lineamenti di diritto amministrativo, Novara, 1987, pp. 542-543; B. Cocivera, op. cit., p. 504.
96 E.T. Liebman, op. cit., vol.II, pp. 400-402; vedi pure: G.A. Micheli, Corso di diritto processuale civile, vol. I, cit., p. 291.
97 G. Chiovenda, op. cit., p. 203.
98 Vedasi supra le citazioni di cui alla nt. n. 59; vedi inoltre sulla c.d. riscossione frazionata o graduata: S. LA Rosa, op. cit., 228; F. Tesauro,
Processo tributario, in Digesto IV Edizione - Discipline privatistiche - sez. commerciale, vol. di Aggiornamento, cit., 589, e vol. XI, cit., p. 358.
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(totalmente o parzialmente) proprio gli effetti dell’atto amministrativo (si pensi, del resto, che alla disciplina della
esecutività provvisoria dell’accertamento provvede la normativa sostanziale sulla riscossione, agli artt. 15 e 17
D.P.R. n. 602 del 1973)99.
Ma l’efficacia della sentenza passata in giudicato resta tuttavia relativa, anche se si sostanzia in effetti
esecutivi, e non solo perché sono sempre proponibili le impugnazioni straordinarie.
Infatti, sotto un primo rilievo, non dovendo il giudice conoscere necessariamente il giudicato esterno 100,
seppure si ritiene più correttamente che la precedente cosa giudicata sia rilevabile non solo in via di eccezione
dalle parti, ma anche di sua iniziativa dal giudice se emerge dagli atti (come accade sistematicamente per il
giudicato interno), quindi, ben può verificarsi che sia pronunciata una nuova sentenza sulla stessa domanda e tra
le stesse parti e che essa passi in giudicato. Ciò può avvenire più di rado nel processo tributario, giacchè gli atti
impugnabili sono sottoposti ad un perentorio termine decadenziale, ma può sempre immaginarsi una ipotesi di
rinnovazione o rinotificazione dello stesso atto. In tal caso, sempre che non sia ancora proponibile la revocazione
ordinaria ex art. 395, n. 5 c.p.c., per stabilire quale dei due giudicati contrastanti sia prevalente occorre rifarsi al
criterio temporale, in base alla regola generale del ditterio lex posterior derogat priori; perciò, il secondo giudicato
prevale in ogni caso sul primo101.
Sotto altro rilievo, poi, pur operando il giudicato tra le parti, per cui non è più riproponibile la stessa
questione in futuro dinanzi ai giudici, tuttavia sul piano giuridico strettamente sostanziale è sempre ammesso che
esse possano rinunziarvi, regolando spontaneamente tra di loro il rapporto controverso anche in modo difforme
rispetto alla sentenza, ovvero addivenendo ad un nuovo negozio giuridico di accertamento102. Nell’ordinamento
tributario si può ritenere sia una esplicazione di quest’ultimo principio il comportamento della Amministrazione
che rinunci al giudicato di rigetto ad essa favorevole, per aver ravvisato nel caso concreto l’illegittimità dell’atto,
procedendo quindi al suo annullamento in via di c.d. autotutela (su cui si dirà avanti).
E’ ammissibile, infine, l’effetto riflesso del giudicato tributario rispetto ai terzi, nell’ipotesi di più
condebitori solidali della stessa imposta (si pensi alla figura del sostituto d’imposta)103; in tal caso, in applicazione
del principio generale di cui all’art. 1306, comma 2 c.c., in tema di obbligazioni solidali, gli effetti del giudicato più
favorevole si estendono anche agli altri coobbligati, sempre che non sia fondato su ragioni personali e che
l’interessato non abbia provveduto al pagamento dell’imposta, consumando così la facoltà di far valere
l’eccezione 104. L’opponibilità all’Amministrazione finanziaria del giudicato favorevole, determinatosi nei confronti
di altro condebitore, non è impedita neanche dalla definitività dell’atto per preclusione della relativa impugnativa,
dato che l’applicazione della citata norma trova ostacolo solo nella formazione di un giudicato diretto105.
Diversa questione, poi, è quella della rilevanza del giudicato tributario formatosi in altro processo su
identici presupposti di fatto, comuni a più accertamenti emanati a diversi fini fiscali (si pensi ai c.d. processi
verbali di constatazione) 106. Infatti, non essendoci un unitario quadro di riferimento per le diverse imposte
(dirette o indirette), separatamente disciplinate dal nostro ordinamento, e dovendosi inoltre tener conto della
individualità della responsabilità tributaria e della periodicità delle imposte (tutte limitazioni frapponentesi a che il
giudicato interagisca de plano tra più situazioni giuridiche soggettivamente differenziate, o anche relative ad una
stessa parte), pertanto, gli influssi del giudicato formatosi su di un determinato atto di accertamento andranno
direttamente valutati in concreto, con indagine a posteriori, in relazione all’oggetto degli accertamenti in esso
racchius 107.
6.G IUDICATO TRIBUTARIO ED AUTOTUTELA
In precedenza abbiamo mostrato come si adattino al processo tributario i principi enucleati intorno al
giudicato, che si è cercato di escerpire dalla elaborazione della disciplina processualcivilistica 108.
In tal senso chiaramente: F. Tesauro, Lineamenti del processo tributario, cit., pp. 139-143 e pp. 157 ss.
Vedi: G. Verde, op. cit., p. 340.
101 Vedi, in giurisprudenza: Cass. civ., sez. 2°, sent.25 gennaio 1993 n. 833; Cass. civ., sez. lav., 27 gennaio 1993 n. 997; Cass. civ., 29
agosto 1986 n. 5311); in dottrina: L. Montesano, op. cit., pp. 228-229, nelle nt.; F. P. Luiso, Diritto processuale civile, vol.II, cit., p. 464.
102 Vedi: G. A .Micheli, Corso di diritto processuale civile, vol.I, cit., p. 293; S. Satta-C. Punzi, op. cit., pp. 244-245.
103 Vedi: B.Cocivera, op. cit., 503; V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., pp. 261-262; G. Fransoni, op. cit., 3; C. ConsoloP. D’Ascola, Giudicato tributario, cit., pp. 480-482; P. Russo, Giudicato IV) Diritto tributario, cit., 1; ID, Solidarietà tributaria ed art. 1306 cod. civ.:
l’equivoco perdura, in Riv. dir. trib., 1995, II, pp. 599-600; F. Picciaredda, Rinasce la supersolidarietà tributaria?, ivi, 2001,II, pp. 866-889;G.
Boletto, Sui limiti di operatività dell’art.1306,c. 2, c.c. in ambito tributario, in Rass. trib., 2003, p. 743.
104 Vedi: Cass. civ., sez. 1, 09 aprile 1992 n. 4350.
105 Vedi: Cass. civ., sez. 1, 01aprile 1992 n. 3928; contra: Cass. civ., sez. 1, 11 aprile 1989 n. 1725.
106 Vedi: M. Nencha, Gli effetti del giudicato esterno nel nuovo processo tributario, cit., p. 1345.
107 Vedi: Cass. civ., sez. 2, 23 giugno 1992 n. 7697.
108 Vedi più in generale: A. Chizzini, I rapporti tra codice di procedura civile e processo tributario, in AA. VV. Il processo tributario, cit., pp. 3 ss.
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100
17
Resta da affrontare da vicino un tema di attualità che è sorto proprio con riguardo al giudicato tributario
ed attiene al suo rapporto con l’esercizio del potere di c.d. autotutela da parte dell’Amministrazione finanziaria 109.
L’istituto è stato legislativamente definito come il “potere di annullamento d’ufficio o di revoca, anche in
pendenza di giudizio o in caso di non impugnabilità, degli atti illegittimi o infondati”, il cui esercizio è devoluto ai
competenti organi dell’Amministrazione finanziaria, pure legislativamente individuati; il quadro normativo di
riferimento, quindi, è costituito: dall’art. 68, comma 1 D.P.R. 27 marzo 1992 n. 287 (Regolamento degli uffici e
del personale del Ministero delle Finanze), articolo ora abrogato dall’art. 23, co. 1, lett. mm), n.9 del D.P.R. 26
marzo 2001, n. 107 (Regolamento di organizzazione del Ministero delle Finanze); dall’art. 2-quater D.L. 30
settembre 1994 n. 564 (Misure urgenti in materia fiscale), convertito con modificazioni nella L.30 novembre 1994
n. 656 (Disposizioni urgenti in materia fiscale), modificato ancora dall’art. 27 della L.18 febbraio 1999 n. 28
(Disposizioni in materia tributaria); dal D.M. 11 febbraio 1997 n. 37 (Regolamento recante norme relative
all’esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell’amministrazione finanziaria).
In tali disposizioni si passa successivamente dalla affermazione di principio dell’ammissibilità della c.d.
autotutela (istituto di stampo amministrativo) in materia tributaria, alla previsione di decreti attuativi con
l’indicazione dei criteri cui attenersi nella emanazione degli stessi, alla adozione, infine, del decreto recante la
regolamentazione circa le modalità di esercizio in concreto della autotutela. A queste disposizioni di natura
normativa è da aggiungere, poi, l’interpretazione autentica fornita dal Ministero delle Finanze nella circolare n.
198/S del 5 agosto 1998, intitolata “Esercizio del potere di autotutela. Applicazione delle disposizioni di cui al
Regolamento approvato con D.M. 11 febbraio 1997 n. 37”.
L’autotutela, quindi, intesa in questa più ristretta accezione di facoltà di annullamento dell’atto emanato
in via di autoimpugnazione da parte della Autorità pubblica titolare del potere esercitato, è stata comunque
oggetto di studi ed approfondimenti tesi a chiarire la portata e l’estendibilità all’ordinamento tributario dei tipici
principi regolatori dell’attività pubblica elaborati da dottrina e giurisprudenza in diritto amministrativo110. In
particolare, sono stati delucidati due primari capisaldi che presiedono all’attuazione dell’istituto nell’ordinamento
tributario: 1- la discrezionalità dell’amministrazione nel valutare l’esistenza o meno delle condizioni di legge che
consentono l’applicazione dell’autotutela, quindi, la libertà del volere dell’Amministrazione nel pronunciarsi sulla
questione controversa111; 2- l’inesistenza di un termine finale per l’esercizio dell’autotutela, per cui non è di
impedimento alla stessa la definitività dell’atto impositivo (avutasi per acquiescenza, cioè, per mancata
opposizione, o per esaurimento dei mezzi di impugnazione), non potendosi concettualmente far discendere dalla
definitività l’immodificabilità dell’atto da parte della stessa P.A.. Un problema particolare è, però, sorto in
Sull’autotutela in diritto civile, vedi: E. Betti, Autotutela (diritto privato), in Enc. dir., vol. I, Milano, 1957, pp. 529 ss.; C.M. Bianca,
Autotutela, in Enc. dir., Aggiornamento, vol. IV, Milano, 2000, pp. 130 ss.
Per un’analisi in diritto amministrativo, vedi: F. Benvenuti, Autotutela (diritto amministrativo), in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, pp. 537 ss.;
G. Ghetti, Autotutela della Pubblica Amministrazione, in Digesto IV edizione-discipline pubblicistiche, vol II, Torino, 1987, pp. 80 ss.; G.
Coraggio, Autotutela I)Diritto amministrativo, in Enc.giur.it., vol. IV, Roma, 1988.
Sull’autotutela in diritto tributario vedi, senza voler essere esaustivi, oltre le opere citate supra in nt. n. 4: S. Muscara’, Autotutela V) Diritto
tributario, in Enc. giur. it., vol. IV, addenda, 1996; D. Stevanato, Autotutela (diritto tributario), in Enc. dir., Aggiornamento, vol. III, Milano, 1999,
pp. 295 ss.; R. Lupi, La nuova normativa sull’annullamento d’ufficio degli atti impositivi illegittimi: spunti per una discussione , in Boll. trib., 1992, pp.
1799 ss.; S. Muscara’, Poteri di autotutela dell’Amministrazione Finanziaria in ipotesi di difetto di motivazione del provvedimento impositivo, in Rass. trib.,
1990, I, pp. 381 ss.; M. Loche, Autotutela dell’A.F. e … tutela del contribuente, in Il Fisco, 1994, pp. 7858 ss.; D. Batti, L’esercizio del potere di
autotutela da parte dell’Amministrazione Finanziaria tra diritto amministrativo e costituzionale, in Il Fisco, 1994, pp. 9634 ss.; R. Lupi, Atti definitivi e
decadenze: se l’autotutela non arriva, cosa può fare il contribuente?, in Rass. trib., 1994, pp. 750 ss.; V. Ficari, Il potere di autotutela dell’A.F. nei recenti
chiarimenti ministeriali, in Riv. dir .trib., 1994, III, pp. 391 ss; P. Palladino - M. A. Sassani, L’annullamento d’ufficio degli atti dell’A. F., in Il Fisco,
1995, pp. 483 ss.; V. Ficari, Pregi e difetti della disciplina regolamentare dell’autotutela dell’A.F., in Rass.trib., 1997, pp. 343 ss.; A. Mifsud, Il potere di
autotutela da parte dell’A.F., in Il Fisco, 1997, pp. 11654 ss.; P. Russo, Riflessioni e spunti in tema di autotutela nel diritto tributario, in Rass. trib., 1997,
pp. 552 ss; U. Perrucci, Il regolamento sull’autotutela, in Boll. trib., 1997, pp. 1765 ss.; S. La Rosa, Autotutela e annullamento d’ufficio degli accertamenti
tributari, in Riv.dir.trib., 1998, I, pp. 1131 ss.; E. Grassi, L’autotutela tributaria, in Il Fisco, 1999, pp. 6034 ss.; M. Stipo, Osservazioni in tema di
autotutela dell’A.F. a favore del contribuente, in Rass. trib., 1999, pp. 705 ss.; V. Azzoni, L’autotutela come diritto del contribuente, in Boll. trib., 2000,
pp. 171 ss.; G. Valente-A. LA Manna, L’esercizio dell’autotutela da parte dell’A.F., in Il Fisco, 2000, pp. 12300 ss.; K. Scarpa, L’autotutela
tributaria, in Riv. dir. trib., 2001, I, pp. 441 ss.; S. Capolupo, Autotutela. Diritto del contribuente o facoltà dell’ufficio?, in Il Fisco, 2002, pp. 7743 ss.;
E. Rosini, L’autotutela tributaria: un ricorso in opposizione?, in Rass. trib., 2002, pp. 831 ss.
110 Vedi esemplificativamente: A.Quaranta, L’autotutela nell’attività dell’amministrazione finanziaria e i diritti del contribuente, in Tributi, n. 67/1994, pp. 609-616; F. M. Fioretti, Autotutela.Poteri dell’amministrazione e garanzie del cittadino, ivi, pp. 621-622; R.Lupi, Manuale professionale di
diritto tributario, cit., 197-207; F. Bellini, Definitività dell’imposizione inesistente o difforme e possibili rimedi, cit., 42 e ss., il quale A., peraltro, fa il
punto sugli orientamento dottrinali e ministeriali pregressi. Da ultimo hanno scritto sull’argomento: T. Tassani, L’annullamento d’ufficio
dell’Amministrazione finanziaria tra teoria ed applicazione pratica, in Rass. trib., n. 4/2000, 1189-1215; T. Morina, Lo statuto del contribuente e le altre
forme di tutela.Autotutela – Concordato – Ravvedimento, Milano, 2000; S. Sebastiani, Invalidità dell’atto di accertamento e ius poenitendi
dell’amministrazione finanziaria, in Riv.dir.trib., 2002, I, pp. pp. 981 ss.; R. Bonavitacola, L’autotutela dell’amministrazione finanziaria, ivi, 2002, II,
pp. 552 ss.
111 Alcuni ammettono la facoltatività della sola autotutela spontanea, mentre esprimono dei dubbi circa quella ad istanza di parte (ritenuta
obbligatoria se legittimata dalla normativa fiscale a carattere vincolante), cfr.: E. Rosini, L’autotutela tributaria: un ricorso in opposizione?, cit.,
pp. 840 ss.
109
18
margine alla relazione tra la possibilità di autotutela dell’Amministrazione e la pendenza del processo tributario
sulla materia controversa 112, circostanza questa che in linea di prima approssimazione non crea difficoltà, in
quanto in tale situazione di pendenza della lite fiscale è correntemente ammesso l’esercizio dell’autotutela, non
essendosi ancora verificata neppure una causa di definitività dell’atto impugnato. Il problema, invero, attiene alla
configurabilità dell’autotutela dopo il passaggio in giudicato (ex artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c.) della sentenza che si è
pronunciata sul rapporto giuridico tributario in sede giurisdizionale; tale possibilità, esclusa in un primo tempo
per definizione dall'art. 68,comma 1 D.P.R. n. 287 del 1992, il quale genericamente esclude l’ipotesi che “sia
intervenuto giudicato”, è stata, poi, normativamente ammessa, ai sensi dell’art. 2, comma 2 D.M. n. 37 del 1997;
quest’ultima norma con una formulazione in negativo, che implicitamente contiene una generale affermazione di
praticabilità dell’autotutela in tutte le altre ipotesi non escluse, dispone che “non si procede all’annullamento
d’ufficio, o alla rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento, per motivi sui quali sia intervenuta sentenza
passata in giudicato favorevole all’amministrazione”. Tale statuizione, allora, è stata intesa come superamento del
principio processuale secondo cui la cosa giudicata copre il dedotto e il deducibile senza distinzioni tra ragioni
formali e sostanziali (effetto preclusivo del giudicato, che germina dal ricordato principio del ne bis in idem, in
funzione di efficacia negativa, fronteggiato dal criterio del giudicato implicito, in funzione di efficacia positiva),
giustificata dall’attuale favor legis per l’esercizio dell’autotutela in diritto tributario, rinvenibile nella vigente
normativa113. Nel dettaglio, poi, è stato chiarito, in molteplici circolari e direttive ministeriali114, che le sole
sentenze escluse dal divieto sarebbero quelle a contenuto processuale o di solo rito (intervenute su competenza,
giurisdizione o altri presupposti processuali), mancando in siffatti casi un qualunque accertamento di merito
vincolante per l’Amministrazione, in virtù della forza obbligatoria propria della cosa giudicata; difatti, l’efficacia
sostanziale del giudicato è tale da rendere immutabili le statuizioni contenute nella sentenza, la quale vale come
legge del caso concreto (valore normativo della sentenza), tanto che neppure lo ius superveniens è idoneo a
modificarne gli effetti. Resta, quindi, esperibile il rimedio dell’autotutela da parte dell’Amministrazione, per
comune e dominante opinione, nonostante sia stata emanata una decisione di merito passata in giudicato ad essa
favorevole (cioè, di rigetto dei motivi del ricorso di parte), soltanto per motivi diversi da quelli accertati o valutati
dal giudice. E questa non è che la ripetizione di un noto precetto amministrativo, secondo cui è da ritenersi che,
poiché il provvedimento amministrativo può apparire illegittimo sotto svariati profili (vizi di nullità dell’atto),
pendendo ancora il termine decadenziale per una eventuale opposizione, possono essere prospettati altri motivi
con un nuovo ricorso, oppure successivamente la stessa P.A. può procedere all’annullamento o al ritiro dell’atto,
ritenuto illegittimo nonostante la pronuncia giudiziale di reiezione del ricorso, sempre per diversi motivi115.
Si è detto già come, sia pure con riguardo al diritto amministrativo, questa piana impostazione dei
rapporti tra giudicato ed autotutela (intesa nel senso suddetto) non sia stata ritenuta pienamente convincente,
asserendosi anzi all’opposto che il ritiro dell’atto, se illegittimo, è da ammettere anche per gli stessi motivi sui
quali si basa la pronuncia di rigetto del ricorso; per sostenere ciò, poi, si è affermata l’esistenza di un generale
principio di doverosità del rilievo dell’illegittimità dei propri atti da parte della P.A., che è determinazione dei
costituzionali principi di imparzialità e di buona amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.
In effetti, è agevole concepire che l’autotutela, quale espressione di un generale potere pubblico
immanente nell’ordinamento, travalichi la stessa previsione normativa di natura tributaria cimentatasi
nell’elencazione di una casistica di settore (cioè, l’art. 2, comma 1 D.M. n. 37 del 1997), alla quale non è affatto
conferito il carattere di tassatività, stando alla stessa formulazione verbale usata nella citata norma116. In specie,
poi, quanto alla relazione col giudicato, pur sussistendo l’esplicito divieto di cui all’art. 2, comma 2 D.M. n. 37
del 1997, tuttavia sembra più corretto ritenere che di fronte ad un atto illegittimo la preclusione pro iudicato non
debba operare; invero, dato che il richiamato principio dell’art. 97 Cost. si completa nell’ordinamento tributario
con quello della capacità contributiva (per il quale le imposte sono soggette a legge e al criterio di
progressività) 117, pur esso sancito a livello costituzionale (artt. 23 e 53 Cost.), è da ritenersi che qui valga anche
maggiormente la tesi che ammette l’esercizio dell’autotutela pure per gli stessi motivi oggetto del ricorso, su cui è
Vedi sull’argomento: F. M. Fioretti, Rapporti tra autotutela e procedimento contenzioso, in “Notiziario S.C.T. Vanoni”,1994, pp. 37-51; G.
Chiantera, Rapporto tra autotutela e procedimento contenzios o, in Tributi, n. 1/1999, pp. 30-34.
113 Vedi il documento riportante la “Bozza di decreto ministeriale in materia di autotutela”, approvato dal Consiglio superiore delle Finanze il 10
maggio 1996, pubblicato in Tributi, n. 6-7/1996, pp. 759-764.
114 Tra cui: Circ. Direzione Entrate per la Provincia autonoma di Trento – Serv. I – Div.I – 9282 del 12 marzo 1997, in Il Fisco, n.
30/1997, pp. 8578-8581, e da ultimo la Direttiva n. 72483/00/T1 dell’11 ottobre 2000 della Dir. Reg. Entrate per la Toscana, ivi, n.
41/2000, pp. 12386-12390.
115 Vedi in tal senso gli Autori citati supra alla nota n. 86ed inoltre: D. Stevanato, Autotutela (dir. Trib.), cit., pp. 302-303; V. Ficari, Pregi e
difetti della disciplina regolamentare dell’autotutela dell’A. F. , cit., p. 353; per i sostenitori della tesi opposta si vedano sempre gli Autori citati
supra alla nt. n. 86. .
116 Vedi, ad esempio: V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., p. 254; A. M. Gaffuri, Appunti sul potere di accesso degli Uffici
finanziari, in Rass. trib., n. 2/2000, pp. 550-551.
117 Vedi, ad es.:R. Lupi, Diritto tributario.Parte generale, vol.I, cit., pp. 39 ss.
112
19
intervenuta sentenza passata in giudicato, ai sensi degli artt. 324 c.p.c. e 2909 c.c. (le quali sono ad ogni modo
previsioni di leggi ordinarie a cospetto dei suddetti principi di rango costituzionale).
Ma si possono addurre ulteriori valide argomentazioni a sostegno dell’indirizzo in esame.
In primo luogo, vertendosi in tema di sentenze di rigetto, quando si parla di giudicato favorevole
all’Amministrazione, deve notarsi che, per costante orientamento giurisprudenziale, in assenza di una pronuncia
di accertamento (o di condanna, o costitutiva), non può reputarsi formato il giudicato sulla motivazione relativa
ad un dispositivo carente di statuizione di merito. Ragion per cui se, come di solito accade per le sentenze di
rigetto nel processo tributario, il giudice si limita a respingere il ricorso, senza esprimere alcun accertamento
positivo sul rapporto giuridico controverso, è vero che è fatta salva l’efficacia dell’atto impositivo non annullato,
ma nel contempo non può negarsi che la sentenza non contenga alcun accertamento giudiziale concreto
favorevole all’Amministrazione. Pertanto, non dovrebbe ritenersi coperto da giudicato il merito della pretesa
fiscale controverso, neppure sotto i soli profili prospettati con i motivi del ricorso; si pensi che, siccome oggetto
del processo tributario è tutto il rapporto giuridico in contesa, originatosi con l’emanazione dell’atto impositivo, il
giudice, nel rigettare i motivi del ricorso, potrebbe accertare anche elementi della fattispecie non evidenziati dal
ricorrente, ma comunque versati in causa attraverso i motivi dell’atto impugnato (senza perciò scontrarsi col
divieto di ultrapetizione). In definitiva, il giudicato produce rispetto alla controversia effetti preclusivi nei limiti
degli accertamenti contenuti nella sentenza adottata 118. Un lampante esempio dimostrativo di questo criterio si ha
nell’ipotesi di sentenze che rigettano il ricorso, ritenendolo totalmente sfornito o non sufficientemente
supportato da prove, fattispecie questa che pure ricorre nella prassi giudiziaria tributaria 119. In questa particolare
ipotesi l’esercizio dell’autotutela anche per gli stessi motivi del ricorso rigettato con sentenza passata in giudicato
è indubbiamente possibile120, trattandosi di un caso in cui non vi è stato alcun accertamento nel merito. In
sostanza, in queste evenienze, secondo principi processuali generali, è assolutamente vietata la reinstaurazione di
un nuovo giudizio sullo stesso rapporto (individuato da petitum e causa petendi) e tra le medesime parti, ma non è
affatto escluso che, poi, sul piano di diritto sostanziale venga adottata una diversa disciplina del caso sull’accordo
delle parti o, quando una delle parti è l’Autorità pubblica, sulla base del ritiro (totale o parziale) dell’atto
impugnato; ciò accade se il provvedimento venga ravvisato comunque illegittimo dall’Amministrazione
nell’esercizio del potere di controllo sui propri atti, che è una facoltà insopprimibile, la cui giustificazione è da
vedersi ispirata ad una ragione di diritto sostanziale nell’interesse dei cittadini, a prescindere dalle risultanze
processuali occorse. Il fatto, poi, che occasionalmente la parte sia carente nell’allegazione di prove in giudizio
non deve apparire inverosimile, in quanto può dipendere da negligenza, da assoluta imprudenza difensiva, da mal
riposta sicumera nelle sole analisi difensive descrittive del contendere121, ovvero ancora dalla impossibilità
materiale di produrre prove documentali 122; in presenza di una di queste eventualità, quindi, l’atteggiamento della
parte, irresponsabile o meno che sia, non deve però ridondare a suo danno, non essendo l’Amministrazione una
qualunque parte privata nel processo, per cui dovrebbe sempre riconoscere l’illegittimità dei propri atti, anche
quando la situazione giuridica si sia determinata in senso ad essa favorevole.
Ma considerando meglio quest’ultima circostanza si può offrire, in secondo luogo, un altro argomento a
supporto della tesi avanzata. Infatti, non è ragionevole e coerente col sistema ordinamentale generale l’esclusione
dell’autotutela da parte del Fisco nel caso in cui la stessa disciplina processuale consente ancora la possibilità di
mettere in discussione il giudicato attraverso lo strumento dell’impugnazione straordinaria per revocazione di cui
all’art. 395, n. 2-3 c.p.c., ricorrendo le condizioni ivi previste (giudicato basato su prove riconosciute o dichiarate
false dopo la sentenza o che la parte soccombente ignorava fossero state riconosciute o dichiarate tali prima; se
dopo la sentenza sono stati trovati documenti decisivi che la parte non aveva potuto produrre in giudizio per
causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario). Pertanto, sotto questo profilo ed alle condizioni suddette non
si vede perché dovrebbe essere vietata l’autotutela del Fisco anche per gli stessi motivi su cui si è formato il
giudicato; il più ampio potere di annullamento della P.A. sui propri atti non può non ricomprendere, tra le sue
ragioni giustificatrici, anche quella più limitata sfera di motivi, che potrebbero provocare l’insorgenza di un
Si veda quanto esposto sopra in Premessa sulla valenza del nucleo di accertamento contenuto nel giudicato (o motivi della decisione) di
rigetto anche al fine di stabilire i limiti del riesercizio del potere da parte dell’Autorità pubblica; su ciò vedi: B. Sassani, op. cit., pp. 158 ss. e
in specie p. 168 e p. 175; E. Capaccioli, Per la effettività della giustizia amministrativa, in Diritto e processo, cit. , pp. 456-57 e 477-478; ID, Le
Commissioni tributarie e l’atto di decisione, in Diritto e processo, cit., p. 693, che fa discendere l’effetto di accertamento del diritto promanante dalle
decisioni delle Comm. trib. dal carattere giurisdizionale delle stesse.
119 Vedi: V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., pp. 232-233.
120 Vedi: A. Buscema, Giudicato di merito della Commissione tributaria e autotutela del Fisco, in Il Fisco, n. 13/1999, p. 4471; C. Glendi, op. cit., pp.
596-598; G. Fransoni, op. cit., pp. 214-218, che sottolinea come, secondo il tenore letterale dell’art. 2,comma 2 D. M. n. 37 del 1997, il
giudicato ha limitata influenza sulla determinazione all’esercizio del potere di autotutela da parte dell’amministrazione finanziaria; D.
Stevanato, L’autotutela dell’ammninistrazione finanziaria, cit., p. 181; A. Chizzini, Primi spunti sul tema delle parti, delle azioni e del giudicato nel nuovo
processo tributario, in L. Tosi-A. Viotto (a cura di), Il nuovo processo tributario, cit, p. 36.
121 Vedi: F. Bellini, op. cit., p. 29.
122 Vedi: R. Lupi, La nuova normativa sull’annullamento d’ufficio degli atti impositivi illegittimi:spunti per una discussione, cit., p. 1802.
118
20
giudizio ad iniziativa di parte ex art. 395, n. 2-3 c.p.c., per far esaminare le proprie doglianze disattese
dall’Amministrazione. Ciò non può disconoscersi, però, anche tenendo conto che l’autotutela non è uno
strumento necessariamente previsto a fini deflattivi del contenzioso; essa deve comunque mirare ad evitare
pregiudizi o svantaggi alla parte che solleva l’illegittimità dell’atto impugnato.
In terzo luogo, occorre riferire di un’ultima argomentazione in favore della tesi sostenuta.
Gli atti di accertamento tributario, che in genere costituiscono la massima parte degli atti oggetto di
impugnazione nel processo tributario, si avvalgono soprattutto di presunzioni (per lo più relative), che esprimono
il caratteristico modus operandi dell'Amministrazione finanziaria; tali provvedimenti vengono definiti, a volta a
volta, accertamento sintetico, induttivo, analitico-induttivo (cfr.: artt. 38, 39 D.P.R. n. 600 del 1973, sulle imposte
dirette; artt. 54, 55 D.P.R. n. 633 del 1972, sull’IVA) 123 . Valgono in proposito anche per il diritto tributario i
principi generali sulle presunzioni contenuti nel codice civile (artt. 2726-2729), tra cui per primo quello per il
quale la presunzione (relativa) può essere superata solo con una prova diretta e contraria. Pertanto, la parte che si
è visto respingere il ricorso dalla Commissione nel merito, dopo che evidentemente non sono stati riscontrati
nemmeno vizi formali inerenti il procedimento di formazione dell’atto o il provvedimento stesso, dovendo, per
tutelarsi, chiedere un riesame della controversia, non può che riproporre sempre la tesi contraria a quella
sostenuta in via presuntiva dall’Ufficio sulla ricostruzione dei fatti, magari arricchendola con argomenti prima
non sostenuti o con mezzi di prova non utilizzati in precedenza. A ciò è costretta dalla necessità di vincere la
prova per presunzioni accampata dall’Ufficio e non può sottrarvisi, cercando altrove le ragioni di una sua difesa,
appuntandosi gli eventuali motivi di annullamento dell’atto sempre sull’identica circostanza dell’inesistenza della
presunzione formulata nell’accertamento 124.
A siffatte condizioni, allora, dire che l’autotutela è inibita dal giudicato formatosi sui motivi del ricorso,
respinto nel merito, equivale a denegare assolutamente ogni residua forma di tutela giuridica, non potendo per
l’appunto la parte invocare altri motivi di annullamento se non quelli stessi formulati nel ricorso, arricchiti con
nuova e migliore documentazione probatoria. Per scongiurare questa conclusione, quindi, non resta che
ammettere la generale possibilità di esercizio dell’autotutela, anche per gli stessi motivi già coperti dal giudicato
favorevole all’Amministrazione, la quale sola è arbitra nella sua valutazione discrezionale (non vincolata nell’agire
se non dai principi di legalità e di buona amministrazione) di accertare la sussistenza di vizi di nullità dei suoi atti,
prescindendo pure dagli esiti processuali dei giudizi esperiti anteriormente.
Se allora la tesi promossa troverà seguito125, può prevedersi sarà invocata la caduta del divieto
normativo, di cui all’art. 2, comma 2 D.M. n. 37 del 1997, per espressa abrogazione legislativa. L’utilità di un
intervento chiarificatore sulla questione appare tanto più urgente ed auspicabile, in quanto avverso il rifiuto di
autotutela da parte dell’Amministrazione è stata ritenuta praticabile la strada del ricorso giurisdizionale al T.A.R.
per la tutela della posizione giuridica (interesse legittimo) facente capo al soggetto che si ritiene leso da un atto
Vedi: A.E.Granelli (a cura di), Le presunzioni in materia tributaria.Atti del Convegno Nazionale di Rimini del 22-23 febbraio 1985, Rimini, 1987,
ivi in particolare i contributi di: F. Tesauro, G. Falsitta, P. Filippi, C. Glendi.
124 Si pensi ad esempio ad un accertamento sintetico del reddito di una persona fisica, che non può essere annullato nel merito se non
esclusivamente sulla base della dimostrazione della infondatezza dei presunti elementi o indici di maggior capacità contributiva; essa, poi,
secondo l’art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973, deve attenere al fatto della provenienza da una fonte già tassata o intassabile della ricchezza
imponibile accertata; vedi: G.Froselli (a cura di), Autotutela: monitoraggio su relazioni annuali delle Direzioni Regionali e Compartimentali. Anni
1997 e 1998, in Tributi, n. 7/1999, 861, con particolare riferimento alle esperienze rilevate nelle regioni Emilia Romagna e Liguria.
125 Di recente taluno si è opposto a questa opinione, sulla base dell’assenza di una testuale disposizione normativa ad hoc ed anche perché
altrimenti verrebbe incrinato l’irrinunciabile principio dell’indisponibilità dei crediti tributari (cfr. : E. Rosini, L’autotutela tributaria: un
ricorso in opposizione?, cit., p. 844).
Siccome però la tesi sostenuta nel testo presuppone ovviamente la illegittimità e/o la infondatezza dell’atto opposto (di accertamento o di
riscossione), non si vede come potrebbe giustificarsi la permanenza nel mondo giuridico di un pretesa fiscale che, racchiusa evvero in un
atto imperativo, risulti per evenienza formalmente legittima, ma sostanzialmente ingiusta, perché infondata nel merito (cioè, carente del
presupposto d’imposta). Del resto, lo stesso ordinamento attuale appresta dei mezzi (l’autotutela, appunto) per rimediare a tali situazioni;
infatti, ai sensi dell’art. 2, comma 1, lett. C) del D.M. n. 37 del 1997, l’Amministrazione può sempre formarsi un diverso convincimento
(negativo) sulla ricorrenza del presupposto d’imposta così come individuato in un atto, magari già confermato in giudizio (sia prima, che
dopo il giudicato), sulla base di argomenti e prove forniti anche tardivamente dalla difesa del contribuente. Elargire l’autotutela, a fini
giustiziali, in tali casi non significa disporre del credito fiscale ad libitum. Invero, qui il principio di indisponibilità dei crediti tributari si erge
a limite invalicabile solo col consolidarsi in capo al Fisco di diritti quesiti non più ritrattabili (si pensi ad esempio al contribuente che
chieda un rimborso a notevole distanza di tempo dall’adempimento; viceversa non si vede quale ostacolo si frapponga, in linea di logica,
all’autotutela, se lo stesso soggetto si muova a richiederla ancor prima di pagare alcunché). Quanto poi al rilievo della presenza di un dato
normativo inattaccabile, quello cioè dell’art. 2, comma 2 del D.M. n. 37 del 1997, di cui si è discorso nel testo, si pensi che lo stesso viene
ormai comunemente superato, anche se con riguardo alle sole sentenze di rigetto (cioè favorevoli all’Amministrazione) in rito, come già
pure detto; allora non si vede perché non possa superarsi anche in riferimento alle sentenze di rigetto in merito, la cui motivazione si
risolva nella decisione del caso in senso sfavorevole al contribuente in base alla sola formale regola di giudizio dell’onere della prova, di
cui all’art. 2697 c.c., senza aver accertato l’effettiva esistenza del presupposto d’imposta. Si pensi ,peraltro, che quando il legislatore ha
voluto riservare un diverso trattamento alle decisioni in rito o in merito lo ha detto espressamente (cfr., ad esempio, l’art. 16, commi 1 e 3,
lett. A), della L. 27 dicembre 2002 n. 289 e succ. modif.).
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illegittimo del Fisco 126, ovviamente in alternativa ormai a quella dell’ordinario ricorso alle Comm. trib., la cui
giurisdizione è stata generalizzata a tutte le controversie tributarie, ai sensi dell’art. 12, comma 2 delle L. 28
dicembre 2001 n. 448127. Eliminato il divieto normativo, si ridurrebbe evidentemente la causa del probabile
innescarsi di un ulteriore contenzioso che vedrebbe come parte l’Amministrazione finanziaria, proprio nel
momento in cui tutti i suoi sforzi sono protesi, secondo lo spirito della normativa vigente, in direzione opposta,
cioè a combattere l’incremento del contenzioso tributario con strumenti preventivi delle liti (concordato), o
genericamente conciliativi (autotutela, conciliazione giudiziale).
7. OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Pur non disconoscendosi la generale efficacia (formale-sostanziale) della cosa giudicata, la relatività di
questo concetto, nei modi in cui si è vista manifestarsi nel processo civile ed amministrativo, ritorna anche nel
processo tributario, interagendo i principi generali del processo in tutto l’ordinamento. A volte il soddisfacimento
del bisogno di tutela dei diritti o interessi giuridicamente rilevanti passa anche attraverso l’opportunità di inficiare
la certezza e la stabilità dei rapporti acquisite col giudicato. Del resto, le esigenze sottese alla manifestazione di
efficacia del giudicato sono di natura eminentemente pratica, non intangibili; detta nozione, poi, è pure
storicamente variata in modo sensibile.
Lo stato attuale della giustizia tributaria 128 non lascia ben intravvedere le linee future del suo prossimo
sviluppo. Le alternative percorribili sono queste: una sua più accentuata giurisdizionalizzazione in senso ordinario
(come quella civile o amministrativa); una sua maggiore residualità, a causa dell’insorgere di sempre più forti ed
efficaci strumenti di tutela (preventiva o successiva) in via amministrativa, che spingono all’abbandono del
contenzioso. In ultima analisi, risente del difetto genetico di essere comunque una giurisdizione speciale, non
compiutamente omogenea con le giurisdizioni ordinarie, per molteplici difformità persistenti.
Se ne è tratta conferma anche discorrendo del giudicato, punto cruciale per verificare l’effettività della
tutela garantita dall’ordinamento ai privati.
Giancarlo Settimio Toto
Dottore di ricerca in diritto finanziario
presso l’Università di Napoli “Federico II”
Vedi: S. Muscara’, Autotutela V) diritto tributario, cit., 4-5; D. Stevanato, L’autotutela dell’Amministrazione Finanziaria, cit., pp. 95 ss.; ID,
Autotutela (diritto tributario), cit., pp. 306 ss.; V. Ficari, Autotutela e riesame nell’accertamento del tributo, cit., pp. 260 ss.; F. Bellini, op.cit., pp. 69 e
ss.; R. Lupi, Atti definitivi e decadenze: se l’autotutela non arriva, cosa può fare il contri contribuente?, cit., pp. 750 ss; U. Perrucci, L’autotutela tributaria e
il suo diniego di fronte alla verifica giurisdizionale, in Il Fisco, 2000, pp. 4471 ss.; F. Casoria, I limiti applicativi dell’autotutela e i rimedi giurisdizionali al
silenzio–rifiuto e al diniego espresso, in Il Fisco, 2001, pp. 10618 ss. Contra, sul rilievo che la posizione individuale tutelabile sia inquadrabile
nello schema del mero interesse e non dell’interesse legittimo: S. La Rosa, op.cit., pp. 86-87, cui adde: E. Rosini, L’autotutela tributaria:un
ricorso in opposizione?, cit., p. 843, sul diverso rilievo della doverosità dell’autotutela se l’istanza del contribuente è fondata, il che escluderebbe
de plano l’illegittimità del rifiuto (espresso o tacito) ; P. Russo, Sulla sindacabilità e suul’impugnabilità dell’atto di riesame, in Riv.dir.trib., I, 2002,
pp. 699 ss., sull’ulteriore rilievo dell’inammissibilità di una duplicazione di tutela per il contribuente decaduto dai termini.
127 Vedi in tal senso: M. Cantillo, Aspetti problematici dell’istituzione della giurisdizione generale tributaria, in Rass.trib., 2002, pp. 812-813; E. Rosini,
L’autotutela tributaria: un ricorso in opposizione?, cit., p. 845; più in generale vedi: P. Russo, I nuovi confini della giurisdizione delle C.T., in Rass. trib.,
2002, p. 415 ss.;G. Marongiu, La rinnovata giurisdizione delle Commissioni tributarie, ivi, 2003, pp. 115 ss.
128 Vedi: Q. Botrugno, Il contenzioso tributario del 2000, in Tributi, n. 8/1999, pp. 956-965; G. Marongiu, La Corte Costituzionale, la Commissione
Bicamerale e le Commissioni Tributarie, in Tributi, n. 4/1998, pp. 295-297; E.F. Russo, Le prospettive della giustizia tributaria in Italia, in Il Fisco,
1994, pp. 8366-8378.
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