Federico De Rossi, Via Nazario Sauro 80/1 Borgio Verezzi (SV) 17022. Tel: 339-6885243 e-mail: [email protected] Premio Letterario Editoriale "L'Autore" - anno 34° Sezione Saggistica. TITOLO Le prime riforme politico-istituzionali del Fascismo: il “Progetto Bianchi” nel dibattito della Stampa italiana – Gennaio 1923 -. 1 Indice per Argomenti. - Introduzione: una premessa storica sul quadro politicoistituzionale tra la fine del 1922 e il Gennaio 1923. - La riforma elettorale e la riforma organica dello Stato: alle origini delle riforme istituzionali fasciste nell’ambito del “Progetto Bianchi”. - Il “Corriere della Sera” e parte della “carta stampata” italiana di fronte al primo Riformismo istituzionale del fascismo. - Conclusione. - Riferimenti bibliografici, Documentazione di organi di stampa e Fonti istituzionali. 2 Introduzione: premessa storica sul quadro politicoistituzionale tra la fine del 1922 e il Gennaio 1923. Gli storici del fascismo considerano la presa di potere di Mussolini – Ottobre 1922 – un atto rivoluzionario (Volpe), o, nel giudizio di Gobetti, una rottura della legalità statutaria anche da parte della Monarchia parlando di Colpo di Stato monarchicofascista, mentre altri ancora indicano il rispetto della legalità statutaria poiché non si pose immediatamente fine alla forma di governo parlamentare (Ghisalberti e Paladin). Assumendo come paradigma istituzionale di riferimento una forma di governo parlamentare, la presa di potere di Mussolini fu certamente illegale, così come fu non legittimo il comportamento istituzionale della Corona: non legale fu il rifiuto del re di firmare il decreto del governo Facta sullo stato d’assedio per bloccare le squadre d’azione fasciste durante la Marcia su Roma, e altrettanto illegale fu l’attribuzione dell’incarico di governo a Mussolini, leader di una minoranza parlamentare. Se invece adottiamo come paradigma istituzionale la variante monarchica, come assunzione piena delle responsabilità del governo verso il Re detentore del potere esecutivo (Art 5 e 65 dello Statuto), possiamo invece affermare una sostanziale legittimità costituzionale nella presa di potere di Mussolini. Non bisogna dimenticare che sette anni prima il Re aveva affidato l’incarico di formare il Governo a Salandra, esponente di una minoranza parlamentare, che guarda caso assieme alla Corona spinse l’Italia all’intervento nella Prima Guerra Mondiale nonostante una maggioranza parlamentare, guidata da Giolitti, schierata 3 apertamente su posizioni di neutralità. Del resto, il modello parlamentare, nell’ambito della prassi statutaria incentivata dall’ultimo Giolitti, si era rivelata esclusivamente una “versione politica” senza alcun riconoscimento giuridicoformale, vale a dire senza un vincolo costituzionale come Fonte giuridica primaria. Le basi costituzionali dello Stato liberale risiedevano nelle prerogative regie assunte nel loro status di “nucleo fondamentale”, dunque non modificabili nel nome di quello stesso Statuto Albertino considerato “Legge perpetua ed irrevocabile”. Mussolini capì perfettamente le ambiguità della Forma di Stato e Governo vigente e, fino alla Legge del 24 Dicembre 1925 N° 2263, il Fascismo, pur intervenendo sulla forma dello Stato liberale con la legge limitativa della libertà di stampa del ’23, cercò di accreditare la tesi secondo cui il governo Mussolini si fosse instaurato al potere per un “ritorno allo Statuto” (invocato già da Sidney Sonnino nel 1897), ripristinando l’autorità del “governo del re”. Il Corriere della Sera, quotidiano liberal-moderato di Milano diretto da Luigi Albertini, il più rilevante giornale in termini di tiratura e lettori, e parte della stampa italiana che a quel tempo rappresentava ancora la principale fonte di influenza sull’opinione pubblica, si schierarono su tale visione politico-istituzionale, ignari che dietro tale “interpretazione costituzionale” si celava una precisa e accurata strategia politica di Mussolini e del Fascismo. Anche se ciò non impedì loro di animare un dibattito pubblico riguardo al Governo Mussolini, con critiche e riserve secondo le diverse sfumature orientative delle testate giornalistiche in questione. Un dibattito che venne sostenuto proprio dai vari organi di stampa in merito alle comunicazioni ufficiose e semi-ufficiali diramate dal Governo sulle sue volontà di modificare 4 l’impianto politico ed istituzionale italiano, così come era stato filtrato e commentato il Progetto Bianchi nel Gennaio del ’23. La posizione del Corriere, e di altri quotidiani e organi d’informazione italiani, mostrava infatti forti critiche e rimostranze verso i mali e le derive del parlamentarismo, incapace di raccogliere i frutti della vittoria nella Prima Guerra Mondiale e di dare al Paese un governo stabile che fosse in grado di fornire all’Italia un costante indirizzo politico, reso assai indispensabile per incanalare la drammatica situazione post-bellica su binari di ordine e normalità, specie dopo la Rivoluzione d’Ottobre e il Biennio rosso del ’19 -’20. Ma allora, cambio di governo o regime? La crisi politica dell’Italia si era risolta in modo certamente ambiguo. I fascisti urlarono alla vittoria convincendo il Paese che avevano attuato una rivoluzione che in realtà era solo menzognera, i moderati si rallegrarono per il sostanziale mantenimento della legalità costituzionale che, se violata nei fatti, si era salvata nelle forme – riferendosi soprattutto alla prerogativa del Re di nomina del Presidente del Consiglio e nella successiva fase di composizione del governo -. La sinistra massimalista e i comunisti si abbagliarono nel credere che nella sostanza dei rapporti economici e sociali nulla fosse cambiato, dal momento che secondo la loro visione un governo borghese rimane sempre e comunque una dittatura di classe. In generale, gli italiani e una parte della stessa opinione pubblica rimasero tra un misto d’impassibilità e accettazione, e pochi compresero che il sistema liberale aveva subito un duro scacco: ciò che si era verificato non era un “legale” cambio di governo, ma un cambio di regime: dal sistema politico-istituzionale liberale a quello fascista! 5 La riforma elettorale e la riforma organica dello Stato: alle origini delle riforme istituzionali fasciste nell’ambito del “Progetto Bianchi”. Nel Gennaio del ’23 esplose un pubblico dibattito in merito alle volontà del Fascismo di riformare le istituzioni dello Stato, un proposito espresso agli organi di stampa tramite abili veline informative e comunicati stampa diramati dall’Agenzia Italiana per le comunicazioni del Governo, costituita in attesa del potenziamento dell’Ufficio di Stampa Centrale della Presidenza del Consiglio sotto la direzione di Cesare Rossi (secondo la tipica concezione di un apparato centralizzato per l’ Informazione di Stato inaugurata da Napoleone), e prima che lo stesso Mussolini esercitasse un controllo assoluto sull’informazione primaria italiana con l’insediamento nel 1924 dell’amico Manilo Morgagni alla direzione dell’Agenzia Stefani, che fin dalla sua nascita per volontà di Francesco Crispi (1853), ha sempre prodotto una attività informativa funzionale alle comunicazioni ufficiali del Governo. Il primo passo del progetto politico-istituzionale del Fascismo fu il ripristino di una legge elettorale in senso maggioritario con correttivo proporzionale, creato ad hoc per il dominio del Partito Fascista: si assegnava un premio di maggioranza – 2/3 dei seggi in Parlamento - alla lista che avesse ottenuta una maggioranza relativa del 25%. La legge elettorale fu approvata nel Luglio del ’23 – Legge Acerbo, dal nome del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio. Fin dall’inizio di quel fatidico anno trapelavano continuamente indiscrezioni sulle velleità della Dirigenza 6 fascista di modificare la legge proporzionale del ’19, che a detta di molti aveva peggiorato la situazione poiché tendeva a rafforzare l’istituzione parlamentare, considerata fin da subito il vero nemico istituzionale del regime fascista, e non solo per la matrice di democraticità insita nel suo ordinamento. Il Fascismo si costituisce infatti come movimento contro i partiti politici, espressione di una perenne instabilità parlamentare e dunque governativa; la contraddizione di fondo era però che anche il medesimo Fascismo trovava espressione nell’organizzazione politica per eccellenza, il Partito, unica struttura politica in gradi di penetrare con forza nei meccanismi sociali e culturali che si stavano manifestando con l’instaurarsi di una vera società di massa, mettendo a nudo quindi quello strano paradosso che ne svelava il chiaro desiderio di farsi Partito Unico garante e plasmante della volontà nazionale. Per questo obiettivo era fondamentale rivedere l’architettura istituzionale dello Stato e la medesima costruzione e interpretazione giuridica e costituzionale dell’intero impianto statutario. In quello stesso periodo, altre notizie infatti filtravano…Il Fascismo necessitava di una Riforma organica dello Stato in senso politico-costituzionale, senza la quale non si sarebbe potuto diramare una direttrice accentratrice e autoritaria della Pubblica Amministrazione, in linea con quanto testimoniavano gli immediati desideri e volontà politiche dei vertici del Fascismo. Ad uno dei protagonisti politici e morali della Marcia su Roma, il quadrumviro Comm. Michele Bianchi, uomo di fiducia di Mussolini, fu affidato un primo compito rivolto a quanto sopra indicato. Già nel contesto dell’adozione di una nuova legge elettorale, il quadrumviro ebbe la meglio su un altro importante dirigente fascista, Roberto Farinacci: questi aveva proposto un ripristino della legge elettorale maggioritaria con collegi uninominali e con un eventuale turno di 7 ballottaggio (un sistema abbastanza vicino all’attuale sistema elettorale francese, maggioritario ma a doppio turno come garanzia di governabilità), mentre il primo spingeva affinché alla formazione politica che avesse ottenuto il maggior numero di voti spettasse un premio di maggioranza, considerato non a caso dal Comm. Bianchi come la riforma elettorale più funzionale alle possibilità del PF di ottenere una ampia maggioranza, evitando così che “questioni parlamentari” incidessero nella governabilità del potere esecutivo durante tutto il corso della legislatura. In tale contesto di dibattito sulla riforma elettorale come primo input di cambiamento politico del Fascismo da poco al potere, Michele Bianchi svolse un parallelo lavoro comunicativo riguardo al suo Progetto istituzionale, con il preciso obiettivo di “saggiare” una ancora giovane, provinciale e ingenua opinione pubblica italiana, e per essa i grandi organi di stampa, riguardo alla riforma organica dello Stato, veicolando i suoi primi messaggi non solo sulla riforma elettorale, ma anche sulla più generale riforma delle Istituzioni statali, con la precisa finalità di contestualizzare fin da subito un “continuum di valore” che accomunava le due possibili Riforme. E’ da ritenere che difficilmente egli avrebbe potuto animare la discussione politica ed istituzionale di allora senza essere d’accordo con Mussolini o senza averne, quanto meno, il consenso, come evidenziano i rapporti diretti di estrema visibilità delle comunicazioni diramate dall’Agenzia di stampa Italiana, non solo per illustrare il Progetto Bianchi e i suoi vantaggi per la stabilità politica dell’Italia, ma anche, e forse soprattutto, in risposta alle primissime critiche che alcuni organi di stampa pubblicarono riguardo alle notizie contenute nelle “veline”, nelle “note” e nei “comunicati” del Governo che pervenivano alle varie redazioni, sottolineando come gli obiettivi politici e istituzionali del Governo 8 Mussolini si ponevano in una linea antitetica rispetto alla Legge Costituzionale quale espressa dallo Statuto Albertino. Nella specificità politica e nello sbilanciamento tra i poteri istituzionali dello Stato, il noto Progetto Bianchi focalizzava con particolare attenzione la Forma di Governo: con la nuova legge elettorale, gli elettori avrebbero eletto liberamente le due Camere, da queste sarebbe uscito un partito dominante con una maggioranza dominante guidata da un leader – Mussolini -, che sarebbe stato nominato dal Re conformemente alla procedura sulla composizione del Governo prevista dallo Statuto, e poi si sarebbe verificata la conferma del Governo di fronte alle Camere, forte di una maggioranza assoluta che sarebbe durata tutta una legislatura, in cui il controllo del Parlamento sull’Esecutivo si sarebbe solamente esplicato nell’ambito di una fiducia iniziale e preventiva svuotata di qualsiasi valore politico, venendo mancare il rapporto democratico di controllo e verifica del Parlamento sull’Esecutivo. L’obiettivo era chiaro e duplice: impedire al Parlamento ogni intromissione negli affari del Governo e ridurre al minimo il ruolo della Monarchia: entrambi gli organi costituzionali non avrebbero potuto rimuovere il Governo dal suo incarico. Il Governo, nel corso della Legislatura, aveva di fatto tutte le prerogative per esercitare una vera e propria “Dittatura”, una tirannia della maggioranza senza alcuna tutela per un confronto parlamentare con l’opposizione. In ogni caso, per la riforma costituzionale ideata dal Comm Michele Bianchi, è necessario considerare il termine “progetto” in senso lato, poiché nella realtà testuale dei documenti e delle relazioni politiche ufficiali, era mancante sia delle prerogative di organicità che di precisione di contenuti proprie di ogni progetto teso 9 a riformare il quadro costituzionale di uno Stato nell’ambito del bilanciamento di poteri sui cui si basa l’architettura istituzionale complessiva. Tra un ping-pong di note ufficiose, veline e comunicati stampa emanati dall’Agenzia Italiana – Agenzia di Stampa per la Comunicazione Ufficiale del Governo -, i partiti liberal-democratici, quelli delle sinistre e la maggior parte dei medesimi organi di stampa della pubblica opinione insorsero sul primo Riformismo fascista. Eloquenti sono i giudizi del Corriere della Sera e di altri organi della carta stampata italiana – Il Mondo di Marco Cianca della sinistra liberale vicina a Giovanni Amendola, o Il Lavoro, quotidiano genovese di ispirazione socialista diretto da Giuseppe Canepa -: tutti o quasi, seppur con sfumature e tonalità di commento differenziate, sottolineavano il “link” istituzionale tra la Legge elettorale e la Riforma costituzionale del Comm Bianchi, entrambe inquadrate come una rottura evidente con il costituzionalismo liberale e risorgimentale, mettendo a nudo le volontà impetuose dell’apparato fascista di procedere ad uno smantellamento dello Stato liberale per le finalità del Partito Fascista. La corretta interpretazione dell’opinione pubblica era giustificata da una stessa considerazione comune delle due Riforme da parte del Fascismo. E’ la stessa Comunicazione ufficiale di quel periodo che avallava la tesi qui esposta: riforma elettorale e riforma costituzionale raffiguravano un primo e immediato Riformismo politico-istituzionale fascista, dunque dovevano essere messe in una medesima “cornice istituzionale” rivolta ad alterare prima e a cambiare completamente poi tutto il costituzionalismo liberale. Alla fine dei conti, non ci fu una proposta di legge sul Progetto Bianchi, anche perché nella pratica non c’era, almeno agli inizi, la volontà di cambiare le istituzioni statutarie. Vi era invece il desiderio di monitorare la reazione dell’opinione 10 pubblica italiana sulle future iniziative del Riformismo istituzionale fascista. Quest’ultimo si richiamava alle critiche di Sonnino sulle derive del parlamentarismo: il nemico era il Parlamento, il punto di riferimento rimaneva, in teoria, sempre la Corona. Il Fascismo, consapevole del riscontro che la posizione di Sonnino aveva a quel tempo sull’opinione pubblica, la riprese solo per finalità propagandistiche, nel senso che vi era un’evidente contraddizione tra la valutazione di Sonnino e quella fascista sulla figura del Premier e sulla più generale concezione della Forma di Governo. Per Sonnino doveva infatti essere limitato in relazione alla sua dipendenza costituzionale verso il Re, in relazione ad un pieno ripristino del regime costituzionale puro che interpretava l’art 67 dello Statuto nella esclusiva responsabilità dei ministri verso la Corona. Il Fascismo, al contrario, non poteva accettare questa impostazione giuridico-formale, poiché il Premier era il capo del Fascismo e quindi era indispensabile produrre un doppio salto: il primo nella piena autonomia dalla Corona per l’indirizzo politico del Capo del Governo, il secondo verso la collegialità dell’Esecutivo tramite il rafforzamento delle prerogative del Premier al di là del sua funzione di semplice primus inter pares... Il Corriere della Sera, in linea con la sua concezione liberale e conservatrice di matrice ottocentesca, colse tale contraddizione, diffidando con un tipico approccio moderato dal Progetto di Riforma costituzionale del Comm. Bianchi. Comunque, i perni di cultura politica e istituzionale fondamentali di quel Progetto, specie in merito alla Forma di Governo, verranno ripresi dalla Legge del 24 Dicembre 1925 N° 2263 sulle attribuzioni e prerogative del Capo di Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato; d’altronde, vedere nel Progetto Bianchi un preludio delle effettive riforme costituzionali del fascismo è lecito, anche perché è lampante un fondo di filosofia 11 costituzionale comune: far oscillare il pendolo tra Capo del Governo e Re a favore del primo, e ridurre con forza il ruolo del Parlamento e dunque dei partiti antifascisti. Uno dei principali giuristi della cultura costituzionale liberale, Vittorio Emanuele Orlando, mette chiaramente in luce come con questa Legge non si poneva fine solo alla prassi parlamentare, poiché a sostituzione di tale fiducia si collocava come base di consenso del Governo il “complesso di forze economiche, politiche e morali” che risultava dominante nel Paese. L’obiettivo del Fascismo, per Orlando, era fin troppo visibile: sostituire nella formazione del Governo la tradizionale, ragionevole e moderata capacità di influenza e di mediazione della classe politica parlamentare per consegnarla nella mani del partito dominante, a quel partito che stava proprio riorganizzando le forze economiche, politiche e morali dell’Italia. Qui siamo già al di là di una libera discussione in seno all’opinione pubblica italiana, le volontà autoritarie del Governo Mussolini sono ormai evidenti. Il 3 Gennaio del ’25 il discorso di Mussolini alla Camera aveva tolto i residui dubbi riguardo sull’involuzione autoritaria dell’ Esecutivo fascista, e giustamente la data del 3 Gennaio 1925 è considerata in sede storiografica la data periodizzante assunta a spartiacque tra il periodo “liberal-conservatore” del Governo Mussolini, e appunto la successiva fase politico-istituzionale della “dittatura a viso aperto”. Non è un caso quindi come già che nel ‘23 ci furono l’allontanamento di Albertini dalla Direzione del Corriere della Sera e di Alfredo Frassati dalla Direzione del quotidiano torinese La Stampa. Così titola centralmente il Popolo d’Italia nell’edizione dell’8 Luglio 1923: “Senatore Albertini, a Noi!”, riportando di seguito un’aggressiva minaccia: 12 Senatore, vi sopportiamo da troppo tempo, e vi diciamo apertamente che basta! Senatore Albertini, ci sono tanti fascisti (tanti tanti, tanti, noti, notissimi e ignoti) in molte città d’Italia, che solo domandano per iscritto – assumendo in pieno l’onore e la responsabilità del gesto – di essere prescelti a radere al suo la vostra “indegna baracca”. Ciò sostanziava la conferma di un Fascismo che aveva sostituito la classe dirigente liberal-moderata nella guida del blocco conservatore del Paese, inglobando le medesime componenti nazionaliste. Il ’25 è l’anno in cui gli organi di stampa, d’informazione e i partiti d’opposizione furono impossibilitati a operare liberamente tramite violenze, pressioni e azioni repressive da parte dello squadrismo, instaurando quella “dittatura a viso aperto” che nei dibattiti del Gennaio del ’23 si era ancora ostili a percepire, o perlomeno, se si aveva realizzato che il fascismo al potere avrebbe rappresentato una svolta politica per l’Italia, non si comprese nella pienezza della sua potenzialità consequenziale, o forse ancora non esistevano le condizioni di maturità politica, culturale e di opinione pubblica per comprendere fino in fondo cosa significasse davvero il Governo Mussolini e le volontà politiche ed istituzionali della Dirigenza fascista. 13 Il “Corriere della Sera” e parte della “carta stampata” italiana di fronte al primo Riformismo istituzionale del Fascismo. Il dibattito sul Progetto Bianchi era cominciato nei primi giorni del Gennaio ’23, non appena il pensiero dell’esponente fascista – allora Segretario generale del Ministero dell’Interno -, era stato reso pubblico da una nota ufficiosa dell’Agenzia italiana del 2 Gennaio. Francesco Paoloni ha scritto che già in una intervista rilasciata al Popolo d’Italia del 22 Dicembre 1922 Michele Bianchi dichiarava “di condividere il criterio di una prima riforma che sottrasse il Governo all’alea delle sorprese parlamentari durante la Legislatura, dopodiché questa ne avesse approvato il programma politico iniziale”. Qualche anticipazione si era già diffusa con un articolo tratto da L’Italia che diceva così: “Il Mondo che non lascia alcun provvedimento governativo di une certa importanza senza sottoporlo a una critica quasi pedante, questa volta tace”. In realtà, il giornale democratico si occupa lungamente dell’intervista rilasciata da Michele Bianchi, criticando la riforma che impedirebbe al Parlamento di rovesciare il Governo con il voto politico (democraticamente inteso come voto di sfiducia). “ Si tratterebbe di abbattere il sistema parlamentare, di rovesciare cioè quel Governo di Gabinetto che si fonda non sulla lettera della legge ma sulle consuetudini e che nel nostro sistema politico è venuto dalla grande tradizione inglese”. Un approccio culturale alle istituzioni di stampo storicistico? Beh l’Inghilterra era ancora paese amico e parimenti vittorioso nella Prima Guerra Mondiale e l’influenza del costituzionalismo inglese non si era certo affievolita., anche se forse un richiamo alla cultura istituzionale britannica 14 rappresentava più una difesa che una proposta valida e sostenibile per l’Italia di allora. La risposta della stampa non si era fatta quindi attendere, ed eloquente era la chiosa che proprio Il Mondo pubblicava nell’edizione del 3 Gennaio in merito al dispaccio diramato dall’Agenzia Italiana: “la funzione dell’assemblea elettiva di controllo sul Governo sarebbe infatti soppressa, perché la continua fiducia nei governati e la valutazione delle loro capacità e dei loro metodi di fronte ai fatti ed ai problemi concreti non avrebbe più alcun valore…Il Capo dello Stato sceglierebbe il presidente del Consiglio in base al responso delle urne, e quindi la designazione del Capo del Governo verrebbe dal corpo elettorale, per quanto per via indiretta, e non dal Parlamento…Insomma un sistema rigido e antirappresentativo che sfocerebbe in casi di conflitto tra Parlamento e Governo nell’assolutismo e all’insurrezione”. L’articolo “Riforma elettorale e Riforma costituzionale” apparso sul Corriere della Sera il 3 Gennaio 1923, riportava per esteso la nota ufficiosa resa pubblica dall’Agenzia italiana filo-governativa. Il Governo, per il tramite dell’Agenzia, esprimeva la sua critica su come i giornali avevano interpretato il tentativo di riforma elettorale del governo fascista, ripetendo che una nuova Legge era necessaria per evitare ulteriormente l’instabilità parlamentare e ministeriale. Il comunicato indicava una linea di continuità e omogeneità tra la stessa riforma elettorale e una possibile riforma costituzionale a cui stava lavorando il Comm. Bianchi. La riforma elettorale era indicata come elemento fondamentale per una stabilità di governo, che avrebbe potuto contare su una maggioranza ampia e solida, di cui l’Italia aveva bisogno dopo il drammatico periodo post-bellico. Dopo avere 15 riportato tra virgolette il comunicato, l’articolo concludeva con un commento in cui spiegava la possibile nuova legge elettorale: una legge maggioritaria con un correttivo proporzionale che assegnava un premio di maggioranza –2/3 dei seggi parlamentari – alla lista che avesse raggiunto una maggioranza relativa di almeno il 25%. L’articolo pone in rilievo più di ogni altra cosa l’adozione della “cancellazione”, vale a dire che l’elettore avrebbe potuto sostituire il nominativo della persona della lista prescelta inserendo quello della lista avversaria. Con tale forma di scelta elettorale integrativa, si voleva un controllo della maggioranza sulla minoranza per impedire una forte opposizione parlamentare, poiché la procedura della cancellazione non avrebbe rappresentato alcun pericolo per i candidati della maggioranza, i quali sarebbero comunque risultati eletti grazie al trionfo della lista maggioritaria. Altro elemento indicativo era il fatto che il suddetto premio di maggioranza era ripartito in un collegio unico nazionale, mentre i seggi per la rimanente minoranza all’interno di collegi suddivisi territorialmente, modificando in maniera evidente i criteri di proporzionalità di una giusta ed equa rappresentanza politica. Anche il giornale socialista unitario La Giustizia riprendeva le critiche del Corriere e de Il Mondo, e nel fondo “Un Parlamento automatico. Il geniale progetto del comm. Bianchi” del 3 Gennaio si diceva che “non solo il Governo farà le elezioni coi metodi che si conoscono, ma quando si è creato la sua Camera e questa ha dato il suo battesimo al programma di governo, sarà severamente vietato al cervello dei singoli e dei gruppi politici di mutare opinioni o di subire e riflettere quelle influenze di carattere politico che non sono altro se non…la vita che si muove. Il 16 che significa non solo parificare i signori deputati agli automatici dei bar, ma proclamare perfino l’infallibilità del Governo”. L’edizione del 4 Gennaio del Corriere conteneva un editoriale di prima pagina dal titolo “Progetti”. Anche in questo caso, si poneva in correlazione la riforma elettorale con quella costituzionale che il Comm. Bianchi stava preparando. Riprendendo articoli apparsi su altri giornali e riviste, si evidenziava subito una contrarietà dell’opinione pubblica italiana per ogni tentativo di riforma rivolto ad una modifica della Costituzione Statutaria. Il Corriere della Sera sottolineava come ad una rigenerazione nazionale non si arrivi con tramite improvvise scorciatoie costituzionali o attraverso arguti tecnicismi giuridici, ma attraverso una rinnovata coscienza nazionale e uomini nuovi che possano ridar vita e nuova linfa politica alle istituzioni liberali già esistenti, in crisi non per le nefandezze dell’impianto istituzionale, ma per la litigiosità e incapacità delle classi dirigenti che operavano in tali istituzioni. Il Corriere dichiarava la sua chiara tradizione liberal-conservatrice, indirizzata verso un’appassionata difesa della patria risorgimentale e della Costituzione statutaria. Il progetto Bianchi modificherebbe la Costituzione, e la medesima estensione della circoscrizione alla Regione sarebbe un pericolo per la Rappresentanza nazionale. L’articolo sosteneva che tale riforma andrebbe a vantaggio dei partiti di massa e della loro sbagliata disciplina meccanica, così come a vantaggio del stesso Governo e dunque del Partito Fascista. Non a caso, i partiti di massa e un possibile rafforzamento del Governo ai danni della Monarchia, erano i due pericoli maggiori nei pensieri della corrente liberal-moderata dell’Italia di allora e che la testata di Albertini rappresentava pressoché per intero. L’articolo proseguiva con una precisazione assai intuitiva: la riforma costituzionale 17 nell’ambito dei poteri dell’Esecutivo, sarebbe indubbiamente più grave di una riforma elettorale, e questo naturalmente per quello che concerne le modifiche alla Forma di Governo. Il Corriere però continuava a considerarle assieme, evidenziando come le Camere indicherebbero al Re l’uomo di fiducia per la formazione del Governo, e la compagine ministeriale, sicura del voto di fiducia iniziale, sarebbe stata a posto per tutta la legislatura, senza più la necessità di dover rendere conto al Parlamento della sua azione. L’articolo accusava: “con il progetto di Riforma costituzionale del Comm Bianchi avremmo una Costituzione sul modello di quella imperiale germanica incentrata sulle figura del Cancelliere, la Monarchia perderebbe di fatto il potere esecutivo che costituzionalmente gli spetta, così come la Parlamento sarebbe tolto qualsiasi possibilità di mutare il Governo in carica”. Il Corriere continuava con toni ancora più polemici, asserendo che Corona e Camere diventerebbero solo organi consultivi del Governo, anzi due “mediocri Accademie”. L’articolo spiegava a chiare lettere come la riforma elettorale lederebbe a sua volta la rappresentanza politica nazionale, nel senso che si verificherebbe un’elezione a doppio grado: gli elettori avrebbero eletto le Camere e indirettamente il Governo. Inoltre, con nuove elezioni fissate tra quattro anni il Governo avrebbe tutto il tempo di crearsi una Parlamento asservito ai suoi voleri. L’editoriale sfogava un appassionato richiamo ai valori costituzionali del Risorgimento, indicando solo l’importanza di alcuni accorgimenti tecnici e non politici all’impianto statutario, evitando quindi di svuotarne le prerogative essenziali, cioè quelle regie. Il finale dell’articolo indirizzava, quasi inevitabilmente, con retorica giornalistica, un ultima esortazione al Governo, il quale potrà avere l’appoggio del Paese “solo se saprà 18 agire all’interno degli istituti costituzionali esistenti e attraverso quindi le libertà di confermargli tale consenso”. Nella seconda pagina della stessa edizione del 4 Gennaio, era inserito un secondo articolo sullo stesso tema dal titolo “Riforma elettorale e Parlamento”. L’inizio metteva in rilievo il legame intrinseco tra riforma elettorale e riforma costituzionale, citando proprio l’Agenzia Italiana. Prosegue poi riportando le considerazioni espresse sul tema dal giornale Il Mondo, il quale sottolineava come la riforma elettorale cui il Fascismo sta pensando ridurrebbe fortemente le prerogative del Parlamento con un’approvazione iniziale e irrevocabile del Governo e del suo Programma, e il Presidente del Consiglio diverrebbe espressione diretta del corpo elettorale in un’accezione plebiscitaria solamente iniziale, che escluderebbe una fiducia parlamentare “continua” nel corso della Legislatura. Poiché la testata assumeva come paradigma di riferimento una forma di governo parlamentare, non può stupirci una lettura del Progetto Bianchi del tipo… “rigido e antirappresentativo”. Il Mondo del 4 Gennaio titolava “Un sistema equivoco”, in cui considerava nuovamente la continuità di intento politico tra la riforma elettorale e quella costituzionale. La prima renderebbe inamovibile il Governo durante la Legislatura “anche se gli orientamenti della maggioranza si modificassero, o se alla maggioranza stessa gli atti del Governo non sembrassero nel loro svolgimento conformi al programma con cui il Governo si era presentato alle Camere per il voto di fiducia iniziale…non siamo persuasi che il metodo di maggioranza relativa applicata non in un collegio unico ma in singole circoscrizioni può raggiungere gli effetti di un Governo stabile e garante di una continuità di indirizzo politico”. Il 19 Mondo condivideva sia la critica al sistema proporzionale, sia il fatto che la soluzione migliore possa essere il ripristino del maggioritario con collegi uninominali. Il giornale, vicino alla sinistra liberale di Giovanni Amendola, proseguiva sulla riforma costituzionale in questi termini: “con la maggioranza parlamentare che si prospetta, si dovrebbe evitare governi di coalizione…si vorrebbe cristallizzare al situazione emersa dalle urne…Secondo il comm Bianchi la Camera elettiva non dovrebbe potersi più sottrarre all’obbligo di rimanere costantemente fedele interprete del pensiero e della volontà del Paese attraverso il verdetto elettorale”. Il Mondo chiudeva riportando come esempio i risultati delle elezioni del Novembre del ’13, nelle quali il Re avrebbe dovuto scegliere l’On. Giolitti; a pochi mesi si supponeva che arrivasse la Guerra e che il Governo Giolitti fosse contrario alla partecipazione dell’Italia, mentre la grande maggioranza della Camera avrebbe potuto essere favorevole all’intervento. Ebbene “la volontà del Parlamento sarebbe risultata nulla di fronte all’inamovibilità del Governo”. Anche se poi così avvenne, con l’asse Corona-Governo ad affievolire tramite una campagna di stampa e mobilitazione propagandistica fortissima le volontà della maggioranza parlamentare schierata su posizioni di neutralità all’intervento. Ancora il giorno successivo il Corriere della Sera conteneva un articolo dedicato alla riforma costituzionale. In questo caso riporta le posizioni espresse nel Giornale d’Italia, il quale, sulla linea di altre autorevoli voci dell’opinione pubblica italiana, si esprimeva con toni preoccupati in merito al Progetto Bianchi: una riforma costituzionale che sottrarrà al Parlamento l’indicazione del Presidente del Consiglio e ogni forma di controllo sul Governo. Particolarmente significativa era la riflessione finale: “si creerebbe una figura mista tra il cancelliere della Germania 20 imperiale di cui avrebbe l’inamovibilità, e quella del Presidente del Consiglio in regime parlamentare democratico, del quale avrebbe…solo il nome. Il Parlamento verrebbe ridotto ad una sorta di club politico-sportivo”. Un altro giornale antifascista e di ispirazione socialista come Il Lavoro di Genova pubblicò in data 5 Gennaio un articolo titolato “Il Cancellierato”, con il quale si associava alle critiche espresse da alcuni giornali ritenendole però tardive, ricordando come i fascisti non avessero mai celato la loro intenzione di modificare l’assetto costituzionale dello Stato; un’aspirazione che si era già rivelata nei primi dibattiti parlamentari con il neonato governo fascista, quando alcuni dirigenti avrebbero chiaramente indicato la volontà di liquidare il sistema parlamentare in favore di un modello simile al Cancellierato tedesco, in cui il Presidente del Consiglio sarebbe stato scelto dal Re e sarebbe poi rimasto in carica anche in mancanza della fiducia parlamentare. Il Lavoro illustrava che fin da prima della presa di potere, il Fascismo e Mussolini avevano espresso il loro disprezzo verso il Parlamento e il suffragio universale, un Parlamento tollerato a patto di trasformarlo in un “innocuo giocattolo”. Il giornale di Genova constatava la fine del governo parlamentare, oltre alla pesante violazione di tre articoli “fondamentali” dello Statuto Albertino: l’art 2 – Lo Stato è retto da un Governo monarchico e rappresentativo -, l’art 3 – Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e dalle Camere – ed infine l’art 10 – Ogni legge ed imposizione di tributi o di approvazione di bilanci e dei conti dello Stato, sarà presentata prima alla Camera dei deputati -. Il 6 Gennaio il Giornale di Roma commentava che “era da negare a priori che La Riforma Bianchi significasse dittatura di un uomo solo o di un partito. Significherà 21 invece la restaurazione di un regime costituzionale contro quel regime parlamentare che al primo si è andato sovrapponendo fino a giungere alla intollerabile situazione di questi ultimi anni”. Il quotidiano romano sembrava quasi una voce fuori dal coro…considerando la necessarietà di un’azione riformatrice del Fascismo per il ripristino di una forma di governo costituzionale pura capace di garantire la stabilità dell’esecutivo. Il giorno stesso, Il Mondo non tardò a manifestare nuovamente le sue opinioni, arrivando ad auspicare la presentazione del disegno di legge del Progetto Bianchi al fine di sgomberare il campo da ambiguità e oscillazioni a suo dire dimostrate dalla maggioranza. Ecco come il giornale scriveva con l’articolo “La Riforma costituzionale. Attendendo idee precise”: “oggi un giornale ufficioso ci fa sapere che il punto saliente della riforma sarebbe fissare la durata delle Camere per un numero definito di anni, dopo che abbia ottenuto un primo voto iniziale di fiducia ed in seguito alla nomina della Corona. Appena ieri, il medesimo giornale asseriva che quando fosse venuta meno al Governo la fiducia del Parlamento, la via d’uscita si sarebbe trovata o nel mutamento di Governo per parte della Corona o in nuovo appello al Paese”. Ai sensi di tale interpretazione, l’opinionista rilevava che la riforma Bianchi sarebbe stata inutile, poiché in niente sarebbe mutata la dinamica del sistema parlamentare. Il Mondo poi mostrava una certa contraddizione, poiché nonostante il richiamo alle prerogative regie di nomina e revoca dei ministri, mirava in realtà a rivendicare la natura quasi esclusivamente parlamentare della forma di governo prevista dalla Costituzione vigente e dalla sua prassi evolutiva quale si era accelerata nell’ “epoca giolittiana” di inizio Novecento. L’opinionista aveva due interpretazioni della Riforma Bianchi da contrastare: sia l’interpretazione di una 22 forma di governo presidenziale, sia quella di restaurare, contro la prassi parlamentare, la monarchia costituzionale pura coadiuvata dall’istituzione del Cancellierato di tipo germanico. Per la prima era utile un richiamo alle prerogative regie, mentre per la seconda si constatava l’incompatibilità tra le prerogative regie nella forma di governo e la tradizione di un governo parlamentare di Gabinetto di settantacinque anni. Arriviamo al 9 Gennaio, giorno in cui il Corriere della Sera pubblicava una nota ufficiosa emessa dall’Agenzia italiana a proposito delle critiche espresse dalla Stampa italiana sul Progetto di Riforma Bianchi. L’Agenzia replicava secondo quattro principali argomentazioni, i famosi “quattro punti dell’Agenzia italiana” apparsi l’8 Gennaio: - sull’accusa di ridurre la Monarchia a semplice funzione decorativa (preoccupazione di gran parte dell’opinione pubblica, che tirava in ballo le primissime simpatie repubblicane del movimento fascista), rispondeva che “la Corona rappresenta i supremi valori nazionali ed è la continuità storica della Nazione, il Re sceglie i ministri come recita l’art 65 dello Statuto e può revocare il Ministero, mentre il Parlamento mediante il meccanismo della fiducia sanziona la scelta del sovrano. Sono invece i proporzionalisti popolari che vogliono ridurre la Monarchia a semplice funzione decorativa”. - Sull’accusa che la nuova legge elettorale renderebbe impossibile mutare il Governo “se non con la rivolta”, la risposta era tesa a sottolineare il disastro dell’instabilità dei governi, ed il fatto che il cambiamento dell’indirizzo politico 23 possa essere determinato da mutamenti nell’opinione pubblica ben prima della fine della Legislatura. - Si diceva infine che la Riforma Bianchi tenderebbe a istituire in Italia una costituzione sul modello della defunta imperiale germanica. “La censura è avventata poiché non si nega al Parlamento la facoltà di sanzionare la scelta della Corona, infatti il voto di fiducia iniziale non è prevista nel sistema del Cancellierato germanico”. - Altri critici affermavano che la Riforma Bianchi trasporterebbe in Italia la costituzione americana. L’Agenzia risponde: “anche tale censura è avventata, perché nella Costituzione americana il Capo dello Stato è responsabile, mentre nella Riforma Bianchi il Re rimane irresponsabile, poiché la responsabilità di ogni atto spetta ai suoi ministri”. La nota ufficiosa terminava con la considerazione della Riforma Bianchi nell’ambito della presa di potere del Fascismo, “una rivoluzione portata avanti da uomini nuovi per creare una coscienza nuova e una nuova forma politica”. Il 10 Gennaio l’edizione del Corriere della Sera offriva tre articoli particolarmente importanti: - “La nostra Collaborazione” era un fondo di risposta della testa diretta da Albertini alle critiche che il regime fascista aveva rivolto al Corriere e ad altri giornali per la discussione sulla riforma elettorale e costituzionale. Il Corriere colse l’occasione per precisare la sua posizione di fronte al Governo Mussolini. Si richiamava la posizione favorevole della testata all’intervento nella Prima Guerra 24 Mondiale, il giudizio positivo su quanto di nuovo poteva portare il movimento fascista nella politica italiana, cosi come il giudizio negativo espresso sulle violenze delle squadre fasciste, fino all’inutilità dello stesso colpo di mano di Mussolini…”senza per questo essere contro il Governo per puro partito preso. Anzi, Mussolini ha il compito della rigenerazione nazionale e noi gli daremo la nostra collaborazione, leale e cordiale, ma non per questo faremo adorazioni, genuflessioni o adulazioni. Una collaborazione attraverso la discussione e il dialogo, non l’accettazione incondizionata”. Uno sfogo di un’anima liberalmoderata ? La parte finale trattava come tema dominante la libertà di stampa nei confini della legge (art 28 dello Statuto, che prevedeva una ampia riserva di legge sul tema), secondo quella tipica concezione statualistica nella Fonte dei diritti e delle libertà, che del resto si riallacciava a pieno titolo con la tradizione liberale ottocentesca. “Ci adattiamo ad una dittatura di fatto, politica ma non giuridica. Rispetto alla Costituzione e plaudiamo alle parole espresse dall’on.Finzi a Gallarate contro la Riforma Bianchi che sovvertirebbe la legalità statutaria. La libertà di stampa è fondamentale e spetta alla magistratura vedere possibili abusi nel suo esercizio, mentre elevare la Polizia a giudice ci riporterebbe indietro di secoli. Noi serviamo la patria con la pubblica discussione e portiamo a Mussolini un contributo di idee”. In mancanza di una Costituzione rigida e di un sindacato di costituzionalità, il garante di diritti e libertà è il giudice che agisce e applica la Legge dello Stato, secondo la tipica dottrina dello Stato liberale di diritto. - “La riforma costituzionale” si apriva con una difesa della Costituzione liberale italiana, che non meritava una riforma in senso imperiale germanico, “che riporterebbe il Paese lontano da quelli civili europei (all’epoca, ed in un clima 25 post-bellico non ancora completamente esaurito, vi era una forte diffidenza dell’opinione pubblica italiana verso possibili imitazioni delle Istituzioni Tedesche). Il desiderio di superare le crisi ministeriali dello Stato liberale è patriottico, ma la colpa non è delle istituzioni statutarie bensì di raggruppamenti politici, uomini e circostanze. La legge elettorale del ’19 ha peggiorato le cose, dunque una riforma elettorale è necessaria. Le crisi ministeriali hanno riguardato fattori che vanno al di là della Costituzione: stati d’animo post-bellici e conseguenti forti disordini parlamentari. La Costituzione ha bisogno di uomini nuovi. La Costituzione ha consentito alla Monarchia di andare oltre gli impicci parlamentari (in riferimento alla presa di potere di Mussolini come iter conclusivo alla crisi politica dell’Italia post-bellica)”. - “Note di giornali italiani sulla proposta di riforma costituzionale” ricomponeva invece le posizioni di altre testate della Capitale. Il Mondo ripeteva che la prerogativa regia di scelta del Presidente del Consiglio sarebbe stata molto limitata, nel senso che la scelta dovrà per forza ricadere sul capo del partito vittorioso nelle elezioni, e che sarà poi lo stesso che le avrà indette o imposte. Altra posizione era quella indicata dal Corriere d’Italia, il quale metteva in luce l’importanza politica della Riforma Bianchi per una stabilità del Governo e del Paese. Anche Il Mondo del 10 Gennaio riprendeva il tema della riforma costituzionale con un articolo titolato “Difesa del Governo di Gabinetto”. Il Mondo fece seguire al testo della nota ufficiosa dell’Agenzia italiana una propria chiosa, nella quale si ribadiva innanzitutto la propria fedeltà al sistema parlamentare, aggiungendo una considerazione sull’impossibilità pratica di governare senza il consenso del 26 Parlamento. A ciò si aggiungeva la denuncia di automatismi semplicistici che rendevano implicito nel Progetto Bianchi il costante pericolo di rigidità e cortocircuiti istituzionali: “il Governo di Gabinetto ha realizzato il congegno più perfetto per mantenere in equilibrio e conseguire l’accordo dei poteri pubblici…Il Parlamento ha funzionato male in Italia negli ultimi anni. Nessuno ne dubita. Ma vano è cercare rimedio nel tentare di rendere il Governo autonomo dal Parlamento. Infatti o nel Parlamento esiste una maggioranza che sostiene con fiducia un determinato governo ed esso rimarrà al potere e svolgerà tranquillamente la sua opera anche se non ha un periodo prestabilito per la sua esistenza, oppure quella maggioranza è venuta a mancare ed allora intralcerà talmente l’azione del Governo che, per l’esistenza della Nazione, sarà assai peggio che se, con un voto di sfiducia si potesse determinare il mutamento del Gabinetto, a meno che, s’intende, non si voglia governare senza Parlamento. Ma con ciò si va fuori dalla Costituzione e non si eleva l’organo della rappresentanza popolare: lo si svilisce e se ne sopprime praticamente l’efficienza”. L’idea nazionale del 10 Gennaio pubblicava un fondo: “Riforma necessaria”. Qui il giornale dei nazionalisti replicava alla testata di Amendola sul Governo di Gabinetto, il quale sarebbe il frutto di particolari circostanze storiche e politiche che avevano permesso il buon funzionamento del sistema in Inghilterra. “Occorre pensare a sostituire al vecchio un nuovo sistema che assicuri organicità e continuità al governo. Sarebbe assurdo pensare alla ricostruzione della vita nazionale senza cominciare dalla ricostituzione della funzione di governo. Bisogna cominciare dal togliere alla Camera la facoltà di essere arbitra della vita dei gabinetti e ridarla, conformemente allo Statuto, al Re, il quale rappresenta la 27 continuità storica della Nazione e la sua volontà di potenza nel mondo. Il sistema proposto da Michele Bianchi non è più un sistema parlamentare poiché sottrae il Governo all’arbitro del Parlamento…E’un sistema nel quale possono riscontrarsi degli elementi di altri tipi di Costituzioni straniere, ma non può essere confuso con nessuna di esse”. Anche il giornale genovese Il Lavoro usciva nell’edizione del 10 Gennaio con un articolo dal titolo: “A proposito della riforma costituzionale. Ve ne accorgerete?” Anche in questo caso vi era un forte tono polemico verso la risposta dell’Agenzia italiana per la discussione sul Progetto Bianchi, il quale veniva ancora una volta associato al tentativo di annullare ogni potestà parlamentare di controllo sul Governo. Poi si rivolgeva ai liberali del Corriere della Sera, restii a considerare i fatti dell’Ottobre ’22 come una “rivoluzione”: “dovranno ricredersi”, ammoniva il quotidiano socialista di Genova. L’articolo riprendeva nuovamente quanto aveva affermato Filippo Turati dalle pagine di La Giustizia del giorno prima, in cui si dichiarava che “non di rivoluzione si tratti ma bensì di involuzione”. Il Lavoro sosteneva invece che di rivoluzione bisogna parlare, poiché Turati aveva ragione solo se consideriamo rivoluzione come “balzo in avanti”... In realtà di rivoluzione si trattava, perché, storicamente parlando, bisognava intendere un cambiamento di regime in qualsiasi senso, positivo o negativo che sia, “nella repentinità dello cambiamento” tra un recente passato, il presente e un immediato futuro politico ed istituzionale. L’articolo si concludeva con una riflessione non lontana dalla verità di quel Gennaio ’23: “Mussolini pensa che varare il Progetto Bianchi sia un passo avventato. Non bisogna dimenticare che da principio il Progetto Bianchi fu annunciato come intimamente connesso con la riforma elettorale e l’abolizione 28 della proporzionale. Le due riforme dovevano essere sancite dalla Legislatura n°26. Ed ecco che l’Agenzia italiana, lasciando alla Legislatura n°26 l’abolizione della proporzionale, sostiene che la riforma costituzionale sarà compito della Legislatura n°27 ”. Sempre Il Lavoro nell’edizione dell’11 Gennaio pubblicava un articolo, “Il dovere della stampa”, in risposta all’editoriale del Corriere della Sera “La nostra collaborazione”, pubblicato il giorno prima. La testata genovese riprendeva le tematiche sviluppate dal Corriere, in difesa delle libertà statutarie sancite dalla Costituzione liberale e dalle sue evoluzioni politiche. Si pronunciava una forte avversione al regime fascista, con toni più polemici rispetto al giornale di Albertini. Così riportava l’articolo in questione: “sappiamo che il governo fascista non sarà una meteora…Dall’opera del governo fascista dipenderanno i destini della nazione e dunque non possiamo augurare che la sua opera sia tale da risolversi in un male per tutti; non possiamo fare nostro il muoia Sansone con tutti i filistei, perché con Sansone ed i filistei crollerebbe tutto il tempio, cioè la nazione e con essa tutto il proletariato. Il solo modo per di non volere il danno per la patria è quello di segnalare gli errori del governo attraverso una discussione serena ed obiettiva. Se non facessimo ciò, se non dicessimo quello che riteniamo utile e necessario per viltà o amore di quieto vivere, allora sì che ci macchieremmo di tradimento verso la patria, e quindi nei confronti della classe operaia”. Come nel Corriere, era palese un chiaro richiamo alla libertà di stampa nei confini della legge, e allo stesso modo veniva ribadito il ruolo della pubblica opinione per una discussione libera in seno all’Italia che proprio gli organi di informazione erano chiamati, per dovere istituzionale, a portare avanti per il bene della nazione. 29 Il giornale di Amendola, Il Mondo, si collegava al medesimo argomento con “La Costituzione e la libertà di stampa”, anch’esso in risposta al articolo del Corriere già commentato da Il Lavoro. Pure in questa circostanza, si respirava una evidente preoccupazione dei principali organi di stampa verso le critiche che il fascismo ed i giornali minori ad esso affiliati avevano rivolto agli articoli di commento sulle note ufficiose aventi come elemento di fondo i desideri di riforma costituzionale del governo fascista. Dopo aver riportato le argomentazioni del Corriere, veniva riproposto un altro articolo di fondo che esprimeva le diffidenze verso una possibile modifica della Costituzione liberale, tanto più se le modifiche avrebbero condotto ad uno slittamento della Costituzione italiana sull’esempio della “defunta” Costituzione imperiale germanica. Infine l’appello alla libertà di stampa, sottolineando come una vera ed efficace collaborazione ad un Governo si debba manifestare con “austere critiche obiettive che, ricordando al Governo le difficoltà e le responsabilità del suo compito, lo sostengono e lo rafforzano nell’opera di resistenza alle aspirazioni miracolistiche e alla ingorde pretese di quelle coalizioni di interessi che dall’avvento del fascismo al potere s’illudono di trarre particolari vantaggi, che nulla ebbero mai in comune con l’interesse nazionale”. Del tutto diversa fu la posizione dell’organo nazionalista L’idea nazionale, che in merito ai 4 Punti dell’Agenzia italiana constatava nel Progetto Bianchi un provvido disegno di cambiamento della forma di governo, tale da restituire alla Camera dei Deputati il suo unico, legittimo ruolo, quello di esercitare la funzione legislativa, sottraendole il potere di determinare la formazione e la caduta delle compagini ministeriali, con il ritorno di siffatta potestà nelle mani del Re conformemente allo Statuto. Di sicuro interesse era l’interpretazione che il giornale nazionalista fornisce 30 al Progetto Bianchi: non parlamentare, ma neppure costituzionale puro alla tedesca, perché caratterizzata dall’armonica distribuzione di potestà tra Corona e Parlamento nel momento della formazione del Governo, dovendo il secondo pur sempre dare la propria fiducia al Gabinetto. Nemmeno presidenziale, in quanto rispettosa della distinzione tra Capo del Governo e Capo di Stato necessaria in ogni regime monarchico. Per L’idea nazionale la proposta del comm. Bianchi non prevedeva l’inamovibilità del Governo, ma avrebbe cancellato la responsabilità ministeriale nei confronti del Parlamento, così da rendere l’organo esecutivo responsabile esclusivamente verso il Re, titolare della facoltà di revocarlo. Questo è quello che il giornale nazionalista sosteneva nell’articolo “Democrazia e realtà” del 12 Gennaio, nel quale si poneva in chiara polemica verso la stampa non fascista che si era accanita sulle comunicazioni ufficiali dell’Agenzia italiana. Il Corriere della Sera del 13 Gennaio presentava un articolo dal titolo “La riforma costituzionale. Il sondaggio dell’opinione pubblica”, nel quale veniva riportato una nota ufficiosa apparsa sul giornale L’Epoca in merito alla positività della discussione pubblica sul Progetto Bianchi. Citando una fonte vicina alle sfere ufficiali, che non è menzionata, si dice che “il Progetto Bianchi non è all’ordine del giorno del Governo, anche se una riforma costituzionale sarà necessaria come sviluppo e consolidamento del Fascismo. Il comm. Bianchi sta semplicemente elaborando un sondaggio dell’opinione pubblica da buon giornalista quale è, una pubblica discussione per favorire una corrente di opinione favorevole”. Si negava una riforma sul modello imperiale del cancellierato tedesco, evidenziando l’essenziale preparazione delle correnti d’opinione secondo canoni di gradualità e prudenza, assunta a stessa esigenza pratica del Governo. Attraverso i comunicati 31 stampa e le note ufficiose dell’Agenzia italiana, Mussolini aveva l’intento di monitorare le reazioni dell’opinione pubblica in merito alle velleità riformistiche del Fascismo sull’architettura istituzionale dello Stato, intuendo le sicure critiche che gli organi di stampa avrebbero riversato sulla Riforma Bianchi. Per le riforme costituzionali fasciste sarà quindi imprescindibile una svolta in senso autoritario. Per la comprensione del quadro politico di inizio ’23, risulta interessante l’articolo apparso sul Corriere della Sera del 14 Gennaio, intitolato “Le deliberazioni del Gran Consiglio fascista per la milizia, l’accordo con il nazionalismo, l’azione del partito”. L’articolo esponeva cinque argomentazioni tematiche: - lo scioglimento delle squadre d’azione fasciste, inserite nella milizia per la sicurezza nazionale - relazione del Gen. De Bono -. - Istituzione di una Commissione di dirigenti del PF e dell’Associazione nazionalistica per studiare i rapporti fra i due. - Il Sindacalismo fascista esprime la sua contrarietà alla lotta di classe e all’organizzazione proletaria contro quella dei datori di lavoro, scontro che avrebbe conseguenze nefaste per la produzione economica nazionale, proponendo Corporazioni fasciste per ogni ramo di attività. - Il Gran Consiglio del Fascismo delibera che la Direzione del Partito va divisa in due parti. Una politica diretta dal comm. Michele Bianchi, ed una amministrativa. - Dopo un richiamo di devozione alla Monarchia come suprema espressione dei valori nazionali che la deriva parlamentaristica aveva minato, Michele Bianchi ha proposto una mozione in cui si ammonisce che “gli avversari della rivoluzione fascista verranno inesorabilmente schiacciati”. 32 Sempre in data 14 Gennaio Il Lavoro conteneva un articolo dal titolo eloquente sull’atmosfera di quel periodo. “Lo sgambetto a Cavour” riferiva appunto di un articolo apparso nel giornale popolare il Corriere d’Italia, il quale, sulla nota intervista pubblicata su L’Epoca (vedi sopra), riproponeva le analisi non certo positive sul Progetto di riforma costituzionale di Michele Bianchi. Cosìl’articolo: “il Partito fascista vuole la Riforma costituzionale. Una riforma costituzionale è necessaria, ma non nei termini del comm. Bianchi. Un governo di fatto assoluto con elezione a doppio grado e un Parlamento consultivo. E’ esatto ciò che indicava il Corriere, cioè si darebbe uno sgambetto non agli uomini di ieri ma a Cavour…”. “Dichiarazione storica” era invece il fondo di apertura dell’edizione del 16 Gennaio contenuta nel giornale nazionalista L’idea nazionale. Era un articolo particolarmente importante, poiché metteva in evidenza la nuova alleanza che si stava profilando tra i nazionalisti e il gruppo dirigente fascista, il quale aveva affermato la sua piena fiducia e fedeltà alla Monarchia dopo le primordiali simpatie repubblicane che avevano impedito l’alleanza con i nazionalisti, favorevoli alla concezione monarchica dello Stato. Il titolo dell’articolo era quindi relazionato nel nuovo quadro politico di convergenza istituzionale tra fascisti e nazionalisti. Quest’ultimi poi vedevano di buon occhio il riformismo costituzionale fascista, teso da un lato nel preservare l’organo monarchico al vertice dello Stato e dall’altro a sanare definitivamente i mali del parlamentarismo, incapace di dare quella stabilità al paese fondamentale per ottenere i benefici di una nazione uscita comunque vincitrice dal primo conflitto bellico mondiale. Il 18 Gennaio il Corriere della Sera pubblicava un articolo dal titolo “Il Governo e la riforma costituzionale. La nuova funzione del fascismo”, nel quale erano 33 riprese tutte le perplessità che il giornale Il Mondo aveva manifestato sulla riforma costituzionale così come indicata dal Progetto Bianchi, la quale svilirebbe il Parlamento a semplice strumento dell’esecutivo. Attaccava un Governo che era in realtà organo non dello Stato ma del Partito Fascista, così come testimoniava la compatibilità tra cariche di governo e di dirigenti di partito. Citava poi il Giornale d’Italia e lo scrittore Ettore Ricotti, che dava risalto allo strumento dei Fasci come funzionale al Fascismo nell’inculcare il suo spirito innovatore in ogni aspetto della vita nazionale, con il preciso intento di offrire alle forze produttive, sociali e culturali dell’Italia un progetto politico, istituzionale nonché culturale di grande mobilitazione per le masse e le sue componenti sociali. In conclusione alle argomentazioni fin qui esposte, assai esplicativa risulta la prima pagina de Il Popolo d’Italia nella pubblicazione del 9 Settembre del 1921, contenente l’articolo: “Un forte e chiaro discorso ammonitore di Mussolini su l’azione e la dottrina fascista dinnanzi alle necessità storiche della Nazione”, il noto e decisivo discorso di Mussolini a Udine proprio per la presa di posizione del futuro Duce e del movimento fascista nei confronti della Monarchia, dopo un primo periodo di frenetico fermento repubblicano. Mussolini si dichiarava monarchico, ma con una clausola molto chiara e certamente non troppo in conformità con la legalità statutaria: il Re non dovrà contrapporsi ad una prese del potere del Fascismo. Sarà poi soprattutto la figura politica di De Vecchi a fare da collante tra Fascismo e Monarchia. Nel contesto politico ed istituzionale relativo a una cultura liberale conservatrice di natura molto vicina allo storicismo di matrice britannica, si confermava una Corona come espressione autentica della continuità storica della Nazione; si ribadiva, anche in questo caso all’interno di una cultura istituzionale 34 tipicamente liberale, l’imprescindibile sovranità dello Stato. Il discorso riportato dall’articolo esprimeva parimenti le considerazioni di Mussolini sulla crisi dello Stato liberale, risultato della deficienza della classe politica, senza per questo ripudiare la borghesia italiana di stampo giolittiano di cui cercava naturalmente consenso elettorale e politico. La parte conclusiva del discorso fu invece dedicato alla volontà di perseguire una Politica Economica liberista, che successivamente alla presa di potere del Fascismo, venne attuata fino al ’25 grazie all’azione del Ministro delle Finanze De Stefani. Conclusione. Analizzando i principali nuclei tematici che costituirono il pubblico dibattito del Corriere della Sera e di altri giornali all’inizio del ’23, si conclude attraverso l’analisi testuale dagli articoli assunti a fonte di indagine, una discussione che certamente esprimeva con letture e chiavi interpretativi evidentemente dissimili, la volontà dell’opinione pubblica di pronunciare le sue riserve, considerazioni e idee sulle volontà del Fascismo e del nuovo Governo di modificare le istituzioni liberali e l’insieme dei percorsi evolutivi quali si erano sviluppati con la prassi parlamentare inaugurata nel primo Novecento italiano, e quindi con l’instaurazione “politica” della forma di governo parlamentare. 35 Indubbiamente, per organi di informazione come L’idea nazionale, Il Giornale di Roma o naturalmente Il Popolo d’Italia, le riforme andavano connotate nell’ambito di una “nuova legislazione” che, anche se protesa verso sostanziali modifiche, rimaneva nella “continuità legale” dello Stato liberale, o in ogni modo erano conseguenza delle importanti novità riformatrici della nuova classe dirigente al potere. Nel contesto di semi-ufficialità, con la quale il Governo comunicava agli organi d’informazione, esplicitamente impostata come strategia di monitoraggio dell’opinione pubblica sui fermenti politici e costituenti di Mussolini e della Dirigenza fascista, la stampa italiana individuò in linea generale tutte le problematiche costituzionali e i pericoli che la riforma costituzionale del Comm. Bianchi e la riforma elettorale avrebbero prodotto sull’impianto istituzionale statutario. Non si percepì completamente un Fascismo intento a smantellare lo Stato Liberale e sostituirlo con lo Stato Fascista. D’altronde, la prima bozza di legge limitativa della libertà di stampa arriverà nel Luglio successivo di quell’anno, così come una prima visibilità pubblica della “svolta autoritaria” risulterà palese solo dall’omicidio Matteotti in avanti. Il Corriere della Sera e altri organi di stampa erano ancora su posizioni ambivalenti e non propriamente definite sulla figura di Mussolini e sulla stessa presa di potere del Fascismo, il quale aveva conquistato il Governo solo da pochissimo tempo. Certamente Il Mondo e Il Lavoro furono tra i più preoccupati nel intravedere una sostanziale alterazione della legalità costituzionale, e non solo per linee editoriali completamente antiteche al governo di Mussolini. Il tutto però rimaneva ancora in una fase puramente embrionale, non pienamente consapevole delle strategie che il Partito Fascista stava dispiegando per 36 la conquista dell’Italia, al momento ignari della reale valenza comunicativa delle “veline” e dei “comunicati stampa” fatti diramare e pervenire alla Stampa italiana. Probabilmente il quadro storico e politico del Paese non permetteva all’epoca una lettura attenta dei fatti, dei movimenti e degli uomini. Assolvere con formula piena il Corriere della Sera e la stampa italiana? Questa è una valutazione di storiografia giornalistica assai difficile da elaborare. Avere ancora una cultura liberale e conservatrice tipica dell’Ottocento non permise di capire per esteso le dinamiche sociali ed economiche di una nuova e inquietante società di massa appena lacerata dal Primo Conflitto bellico, dunque considerare con Mussolini il mantenimento della legalità statutaria almeno nelle forme e porre nella sua persona le speranze di un nuovo funzionamento delle istituzioni liberali fu comunque una “svista” interpretativa. Si pensava ad un Fascismo che avesse esaurito l’input di violenza e di prevaricazione, e questo fu un errore. Si difese una Monarchia che certamente non si era dimostrata troppo rispettosa della legalità statutaria e tanto meno delle maggioritarie correnti d’opinione che animavano l’Italia. Per comprendere appieno il quadro politico-istituzionale di allora, è necessario compiere quella fondamentale operazione nella ricerca storica tesa a ragionare con le teste e i paradigmi mentali e cognitivi della tradizione liberral-moderata del Corriere, ma si sa come alcune visioni ideologiche portino ad avere paraocchi persino di fronte all’evidenza dei fatti e del divenire storico e sociale. Forse al Corriere e a gran parte della borghesia italiana, apparve già un miracolo la salvezza “dall’abisso bolscevico”, con la fine del biennio rosso. Considerando la concezione politica e istituzionale del Corriere, Mussolini era certamente meglio di Lenin…Mantenere gli interessi della borghesia era del resto funzionale al Corriere medesimo, così come era funzionale alla 37 borghesia la risoluzione della profonda crisi politica dell’Italia post-bellica; una classe borghese che strizza l’occhio al Fascismo al potere e alle sue velleità di fare dell’Italia una grande potenza e vedere cosa si possa prendere con la spartizione coloniale di un mercato che già allora produceva immaginari espansivi in termini planetari. Saranno comunque il rapido corso degli eventi a ritorcersi contro le pur comprensibili “miopie” della testata di Albertini e di altri organi di stampa moderati, dalla legge limitativa della libertà di stampa, alla “fascistizzazione” dell’opinione pubblica, fino allo stesso allontanamento del Direttore dal giornale. Organi d’informazione avversi al Fascismo e assai critici nel giudizio sui primi passi politici ed istituzionali del potere fascista, vedi Il Mondo o Il Lavoro, si erano indubbiamente caratterizzati per una polemica più forte ed incisiva verso il nuovo Governo Mussolini, intuendo prima di altri le possibili derive assolutistiche nel desiderio, che loro avvertivano imminente, di un esplicito sovvertimento delle istituzioni liberali e delle stesse libertà allora in vigore. Il Popolo d’Italia era l’organo di stampa ufficiale del partito Fascista (con la nomina di Mussolini come Capo del Governo la Direzione passò al fratello Arnoldo, poi nel 1931 al figlio di Arnoldo, Vito Mussolini), dunque non certo attendibile per una analisi istituzionale di cronistica “pura” del Progetto Bianchi e della riforma elettorale. Con la svolta monarchica del Fascismo, anche L’idea nazionale lascerà alle spalle le sue riserve sul movimento fascista, sostenendo la questione di una riforma delle istituzioni liberali senza intaccare le prerogative regie, indirizzando la propria linea nel porre un freno nei confronti di un parlamentarismo incapace di fornire una guida stabile e ordinata al Paese. 38 In ultima analisi, per comprendere il dibattito che animò l’opinione pubblica italiana in quel frenetico Gennaio 1923 e per analizzare le medesime inquietudini che la maggior parte degli organi di stampa avevano manifestato sul Progetto di riforma del Comm. Bianchi, risulta significativa una valutazione comparata tra quel Progetto senza seguiti legislativi e la vera e propria Riforma del ’25 sulle Attribuzioni e prerogative del Capo di Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato. Abbiamo già messo in luce le similitudini tra le due, animate da una filosofia politica ed istituzionale comune: riformare la Forma di Governo per rafforzare la figura del Presidente del Consiglio e capo del Fascismo, alterando la medesima forma di Stato, non nella forma ma nei fatti, facendo oscillare la diarchia Re-Duce al vertice dello Stato a favore del secondo, e contemporaneamente limitare ogni possibile influenza del parlamento e delle forze politiche antagoniste al Partito Fascista. Tra le discussioni sul Progetto Bianchi e l’attuazione della Legge del ’25, vediamo un’opera pubblicata nel 1924 intitolata Programma della destra fascista, in cui l’autore Volt ammoniva il partito di Mussolini a non tralasciare di attuare una propria riforma costituzionale, vista come “l’arma di cui ogni nuova classe dirigente che arriva al potere, se non vuole essere ricacciata in breve volger d’anni deve impugnare”. Volt citava autori del suo tempo, tra cui l’esponente nazionalista Enrico Corradini, il quale non esitava a dichiarare che “ogni rivoluzione ha da sboccare in una costituzione…”. Poiché anche il Partito Fascista era nato nell’ambito di una concezione di cultura politica propria del partito di massa, era chiara la rinnovata riproposizione di una volontà costituente di cui il cambiamento politico doveva essere protagonista, in evidente contrasto con le avversioni del costituzionalismo liberale verso un potere costituente “dal basso”: ponendosi in 39 rottura con il passato, si ridava spolvero con le moderne teorie dell’organizzazione politica diramata nei diversi ambiti e settori della società, indirizzate esclusivamente per le finalità egemoniche del Fascismo, proponendo una nuova forma di volontarismo politico-costituente delle forze politiche, sociali ed economiche del Paese. Tale sensazione fu certamente avvertita dal Corriere, provocando appunto le critiche della testata milanese. Ma quali sono allora le linee di continuità tra il Progetto Bianchi e la Legge del ’25? Riassumiamo brevemente quanto trapelava riguardo al Progetto Bianchi in termini politici ed istituzionali: - successivamente alle elezioni politiche il Re avrebbe avuto la responsabilità di incaricare della formazione di governo la personalità che si fosse trovata alla testa delle forze politiche dimostratesi più rispondenti alle aspirazioni e al sentire della nazione. - Il Capo del Governo, nominato dalla Corona ma designato, indirettamente, dal suffragio popolare, si sarebbe quindi presentato alla Camera dei deputati per richiederne la fiducia iniziale. L’assemblea non avrebbe poi più avuto il diritto di revocare la fiducia al governo per tutto il corso della legislatura. Coerentemente, il governo non avrebbe in seguito più avuto bisogno della fiducia della Camera, impedendo l’eventualità di crisi ministeriali cagionati da manovre parlamentari in corso di legislatura. Nell’ambito dell’architettura istituzionale complessiva e nel conseguente bilanciamento dei poteri costituzionali dello Stato, lo schema riformatore mirava ad incidere profondamente sui rapporti tra potere esecutivo e potere legislativo, 40 alterando in senso restrittivo le libertà di manovra del secondo. La proposta di Michele Bianchi non contemplava alcuna modifica esplicita delle prerogative regie, tuttavia qualsiasi innovazione concepita per modificare i rapporti tra gli organi costituzionali, con al centro in questo caso la Forma di Governo, non avrebbe potuto non riguardare, anche solo indirettamente, il Capo dello Stato. Il fatto che una modifica della Forma di Governo avrebbe inevitabilmente interessato il più generale assetto della Forma di Stato era stata in ogni modo già delineata da alcuni commenti dell’opinione pubblica precedentemente analizzati. La questione comunque rimaneva ancora sottesa tra rivelazioni, indiscrezioni, smentite e successive prese di posizione, un quadro certamente poco chiaro, ma che di lì a poco si sarebbe esplicitato in maniera fin troppo evidente. In generale, le concezioni espresse nel Progetto Bianchi erano da ascrivere ad un periodo di vivace progettualità costituzionale vissuta dal Fascismo subito dopo l’insediamento del Governo Mussolini, una progettualità che arriverà a compimento solo con la Legge del 24 Dicembre 1925 N° 2263. Con tale Legge, di valenza costituzionale, i rapporti tra Governo e Corona restavano quelli definiti dallo Statuto, il Re racchiudeva in sé l’unità dello Stato ed era capo e partecipe dei tre Poteri, nonché Capo Supremo del Potere esecutivo come recitava l’articolo 5 dello Statuto. La Corona esercitava il potere esecutivo per mezzo dei suoi ministri, i quali erano costituiti in un Gabinetto che operava unitariamente sotto la direzione di un Capo, il Primo Ministro. Si parlava ancora di “Governo del Re” – articolo 1 della Legge. L’articolo 2 poneva sì la responsabilità di Primo ministro e ministri verso il Re, ma i ministri stessi, agendo sotto la direzione del Capo di Governo, erano parimenti responsabili verso di lui, il quale a sua volta era responsabile verso la Corona dell’indirizzo generale politico del Governo. I rapporti 41 tra ministri e Primo Ministro rimanevano quelli sanciti dal decreto Zanardelli del 1901, ma con precisazioni che tendevano a rafforzare la figura del Premier, capo dei ministri, non più solo “primus inter pares”, bensì con il compito di dirigere l’azione del Gabinetto e dei ministri che ne facevano parte e di essere responsabile dell’andamento politico generale del Governo – articolo 3 della Legge. Ognuno dei componenti del Governo era soggetto politico in una direzione di collegialità e di continuità dei componenti medesimi. Sembrava vagheggiare una variante del regime costituzionale puro in senso presidenziale. I rapporti diretti tra Re e Ministri esistevano, ciò nonostante erano confinati nella sfera di ciascun ministero. Il punto era che l’organo che forniva unità e organicità all’azione dei ministri era il Primo Ministro e non il Consiglio dei Ministri, al quale veniva affidato una connotazione di semplice organo consultivo della Corona, il cui parere era obbligatorio nei casi determinati per legge e dai regolamenti. L’articolo 6 della Legge esplicava invece una nuova sistemazione dei rapporti tra Governo e Parlamento: rafforzare la posizione del governo contro l’abuso di discussioni meramente politiche e i tranelli delle questioni procedurali trovava riscontro nella fissazione dell’ordine del giorno da parte del Governo. Fare poi le Legislature di una sola sessione e il fatto di non ripetere inutilmente discussioni già fatte una volta, erano due arguzie giuridiche suggellate dalla norma per cui il Governo poteva ripresentare un progetto di legge che fosse stato respinto da una delle due Camere quando siano trascorsi tre mesi, senza bisogno perciò di chiudere la sessione, e dalla norma per la quale un progetto già discusso verrà dibattuto solo nei punti eventualmente emendati. Viene a compimento quindi la volontà del Fascismo di escludere un continuativo rapporto fiduciario tra Camere e 42 Governo, elemento strutturante di qualsiasi sistema politico democratico fondato sulla forma di governo parlamentare. Riferimenti bibliografici, documentazione di organi di stampa e informazione e fonti istituzionali. Documentazione di Organi di Stampa e Informazione. Bobine relative al Corriere della Sera - Gennaio ’23 – Biblioteca Civica Berio di Genova. La stessa documentazione è disponibile presso l’Istituto mazziniano di Genova: - “Riforma elettorale e Riforma costituzionale”, in Corriere della Sera, 3 Gennaio 1923. - “Progetti”, in Corriere della Sera, 4 Gennaio 1923. - “Riforma elettorale e Parlamento”, in Corriere della Sera, 4 Gennaio 1923. - “La riforma costituzionale. Una nota ufficiosa”, in Corriere della Sera, 9 Gennaio 1923. 43 - “La nostra Collaborazione”, in Corriere della Sera, 10 Gennaio 1923. - “La riforma costituzionale”, in Corriere della Sera, 10 Gennaio 1923. - “Note di giornali romani sulla proposta di riforma costituzionale”, in Corriere della Sera, 10 Gennaio 1923. - “La riforma costituzionale. Il sondaggio dell’opinione pubblica”, in Corriere della Sera, 13 Gennaio 1923. - “Le deliberazioni del Gran Consiglio fascista per la milizia, l’accordo con il nazionalismo, l’azione del partito”, in Corriere della Sera, 14 Gennaio 1923. - “Il Governo e la riforma costituzionale. La nuova funzione del fascismo”, in Corriere della Sera, 18 Gennaio 1923. Da Il Mondo ( quotidiano romano diretto da Marco Cianca, organo della sinistra librale di Giovanni Amendola): - “Un sistema equivoco”, 4 Gennaio 1923. - “La riforma costituzionale. Attendendo idee precise”, 6 Gennaio 1923. - “Difesa del Governo di Gabinetto”, 10 Gennaio 1923. - “La Costituzione e la libertà di stampa”, 11 Gennaio 1923. Da Il Lavoro ( quotidiano socialista di Genova diretto da Giuseppe Canepa): - “Il Cancellierato”, 5 Gennaio 1925. - “Difesa ufficiosa del nuovo sistema elettorale, il “secondo tempo del fascismo”, 9 Gennaio 1923. - “A proposito della riforma costituzionale. Ve ne accorgerete?”, 10 Gennaio 1923. 44 - “Il dovere della stampa”, 11 Gennaio 1923. - “Lo sgambetto a Cavour”, del 14 Gennaio 1923. Da L’idea nazionale (quotidiano nazionalista diretto da Enrico Corradini): - “Il valore della progettata riforma costituzionale”, 9 Gennaio 1923. - “Riforma necessaria”, 10 Gennaio 1923. - “Democrazia e realtà”, 12 Gennaio 1923. - “Dichiarazione storica”, 16 Gennaio 1923. Da La Giustizia (quotidiano socialista riformista fondato da Treves e Turati dopo la scissione del 1922 e la nascita del PSU – Partito Socialista Unitario): - “Un Parlamento automatico. Il geniale progetto del comm. Bianchi”, 3 Gennaio 1923. Per giustificare quanto riferito sulle discussioni riportate negli articoli sopra menzionati, ho ritenuto opportuno inserire nella parte finale la prima pagina l’editoriale pubblicato su “Il Popolo d’Italia” del 21 Settembre 1921: un forte e chiaro discorso ammonitore di Mussolini su l’azione e la dottrina fascista dinnanzi alle necessità storiche della Nazione, il quale riporta il famoso discorso di Mussolini a Udine e sopratutto la nuova posizione del Fascismo di fronte alla Monarchia. Quasi certamente fu lì la chiave di tutto, l’input iniziale che giustifica la foto della prima pagina di questa mia argomentazione. 45 Riferimenti bibliografici. - Il saggio di Stefano Merlini Il Governo Costituzionale in Storia dello Stato italiano. - Manuale di Storia contemporanea di Giardina – Sabbatucci – Vidotto. - Le dottrine dello Stato costituzionale di M. Fioravanti. - Storia costituzionale italiana. Dallo Statuto alla Repubblica, Carocci Editore, 2002, paragrafo 5.2.4, Il Fascismo “neosonniniano”: il progetto Bianchi del 1923, di Federico Quaglia. Fonti istituzionali. - Legge del 24 Dicembre 1925 sulle “Attribuzioni e prerogative del Capo del Governo, Primo Ministro e Segretario di Stato”, riportata nel bollettino parlamentare ufficiale. - Alle origini delle riforme costituzionali fasciste: il progetto Bianchi, tratto da il “Giornale di Storia costituzionale” del Febbraio 2001 – saggio del Dott. Federico Quaglia. 46 47