III° Translation Course, Dott.ssa Judith Evans, University of Bergamo, Anno accademico 2016/2017 Ogni autunno, migliaia di ragazzi e ragazze provenienti da ogni angolo della Gran Bretagna e della Terra, emozionati e impacciati, piombano tra le torri e le gotiche figure che adornano la più gloriosa cittadella universitaria d’Europa con l’obiettivo di ‘scoprire se stessi’ e incamminarsi verso un luminoso futuro. Ad attirarli, oltre alla fama del luogo, al valore dei docenti e alle ricchezze delle risorse, è un sistema educativo forgiato nei secoli, che nel 1894 uno studente Robert Marett così descriveva: “Oxford basa il suo metodo sull’uso della dialettica socratica, ovvero sul dialogo come mezzo attraverso cui una persona più anziana intraprende uno scambio di punti di vista con una persona più giovane avendo come comune obiettivo la ricerca della verità.” Ogni primavera, molte migliaia di ragazzi e ragazze aspettano con trepidazione di trovare nella posta una lettera con l’intestazione ‘Oxford University’ per scoprire se sono stati accettati. Il rifiuto può essere devastante. Un ragazzo russo sta ancora cercando di capire perché l’università abbia respinto la sua domanda d’iscrizione a giurisprudenza. Superata la prima selezione basata su curriculum e raccomandazioni scritte (almeno tre, obbligatorie) è stato convocato per un colloquio. Un anziano professore, schiaritosi la gola, gli ha domandato, “Nel 1973, la Corte Suprema degli Stati Uniti legittimò l’aborto. E’ giusto secondo lei che la Corte Suprema legiferi su questioni simili o dovrebbero essere lasciate alle legislazioni dei singoli stati?” Qualcosa, nella sua pur argomentata risposta, non deve avere convinto il professore. “In nessun’altra università l’ambiente è più stimolante,” commenta Paola, torinese. “A Oxford vai a pranzo in mensa, a tavola parli casualmente della tua tesi con un professore e quando torni sui libri hai già capito qualcosa di più.” Il metodo socratico, insomma, anche col boccone tra i denti. Enrico Franceschini, 26/03/06, La Domenica di Repubblica Gli scienziati non se l’aspettavano proprio un risultato tanto clamoroso e preoccupante. La sorpresa è stata notevole analizzando i dati della temperatura dell’aria sull’Antartide a 4-5 chilometri d’altezza, pubblicati dalla rivista americana Science. Lassù il riscaldamento dell’atmosfera è molto più accelerato rispetto alla superficie: il termometro è salito, in tre decenni, di quasi tre gradi, cioè poco meno di un grado per decade. In nessun altro luogo del pianeta si è finora scoperto un aumento della temperatura tanto intenso e veloce. Tutto ciò ha gettato nel panico i fisici dell’atmosfera per diversi e gravi motivi. Innanzitutto perché i modelli teorici adoperati si dimostrano inadeguati nel decifrare quanto accaduto. In secondo luogo, un riscaldamento tanto consistente causerà uno scioglimento dei ghiacci molto più rapido di quanto si pensasse con un aumento del livello degli oceani più ravvicinato. Questo significa, inoltre, che il riscaldamento globale sta influenzando il pianeta su larga scala colpendo particolarmente le zone polari perché sono aree più isolate rendendo il loro equilibrio più fragile, più facilmente vulnerabile. Proprio la scorsa settimana gli scienziati avevano riferito della situazione disastrosa dei ghiacciai della Groenlandia: dal 1996 al 2005 stanno perdendo circa 225 chilometri cubi di ghiaccio all’anno. Compiendo una simulazione storica, gli studiosi hanno visto che 130 mila anni fa la Groenlandia era una terra calda. Inserendo dati più recenti si sono resi poi conto che la tendenza per quell’area sarebbe un ritorno all’epoca remota anche per un ciclo naturale che si verifica ogni centomila anni. Ma quanto sta accadendo può accelerare il ritorno al passato non nell’arco dei millenni ma nel giro di appena un secolo. Giovanni Caparra, Corriere della Sera 1/04/06 10