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Notariato
Sommario
SOMMARIO
EDITORIALE
Notai
LA NUOVA PRESIDENZA DEL CNN E LA ‘‘CONSILIATURA DEL DIALOGO’’
di Salvatore Lombardo
329
ARGOMENTI
Unioni civili
UNIONI CIVILI E CONVIVENZE DI FATTO: UNA PRIMA LETTURA DEL TESTO NORMATIVO
di Carmine Romano
333
Concordato
liquidatorio
OFFERTE CONCORRENTI EX 163 BIS L.FALL. ED ESECUZIONE DEL CONTRATTO PRELIMINARE
di Vincenzo Gunnella
350
Ipoteca
L’INUTILITÀ DELL’IPOTECA NEL ‘‘PRESTITO VECCHIETTI’’
di Angelo Chianale
358
GIURISPRUDENZA
Legittimità
OSSERVATORIO DI GIURISPRUDENZA
a cura di Ernesto Briganti
362
Edilizia
convenzionata
I VINCOLI DI PREZZO NELL’EDILIZIA CONVENZIONATA: UNA QUESTIONE ANCORA CONTROVERSA
Cassazione civile, Sez. unite, 16 settembre 2015, n. 18135
il commento di Corrado De Rosa
365
369
Società
TRASFORMAZIONE ATIPICA DA SOCIETÀ DI PERSONE CON UNICO SOCIO
AD IMPRESA INDIVIDUALE
Cassazione civile, Sez. I, 14 gennaio 2015, n. 496
il commento di Giuseppe Margiotta
380
382
INTERNAZIONALE E COMUNITARIO
OSSERVATORIO
a cura di Marina Castellaneta e Cesare Licini
391
DISCIPLINARE
OSSERVATORIO
a cura di Andrea Di Porto, Mario Miccoli e Mario Molinari
394
FISCALE
Argomenti
Divisione
IMPOSTE SUI TRASFERIMENTI ED EFFETTI ‘‘DICHIARATIVI’’ DELLA DIVISIONE: PROBLEMATICHE APERTE
di Alice Bulgarelli
397
Giurisprudenza
OSSERVATORIO
a cura di Paolo Puri e Thomas Tassani
Notariato 4/2016
413
327
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Notariato
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Sommario
Contributo
repertoriale
I CONTRIBUTI REPERTORIALI ALLA CASSA NAZIONALE SONO COMPONENTI NEGATIVI DEL REDDITO
Commissione Tributaria regionale di Potenza, Sez. I, 13 gennaio 2016, n. 141
il commento di Francesco Cimmino
417
418
DOCUMENTI
Normativa
LA LEGGE PER IL ‘‘DOPO DI NOI’’
Legge 22 giugno 2016, n. 112
il commento di Emanuela di Maggio
423
427
LA ‘‘SOCIETÀ BENEFIT’’: UNA NUOVA FORMA SOCIETARIA RIVOLTA AL TERZO SETTORE
Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (stralcio)
il commento di Paolo Guida
433
434
TECNICHE CONTRATTUALI
Crowdfunding
CROWDFUNDING E START UP INNOVATIVE: TECNICA REDAZIONALE
di Luca Di Lorenzo
437
INDICI
453
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Notariato 4/2016
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Notai
Consiglio Nazionale del Notariato
La nuova Presidenza del CNN
e la “consiliatura del dialogo”
di Salvatore Lombardo (*)
Il 27 maggio 2016 si è insediato il nuovo Consiglio Nazionale del Notariato, uscito dalla tornata
elettorale del 27 febbraio.
Il neo-Presidente, Salvatore Lombardo, ha incontrato i Presidenti dei Consigli Notarili Distrettuali
il 23 giugno u.s. e, in quella prima “uscita”, ha presentato la squadra che lavorerà con lui nella
consiliatura appena iniziata, svolgendo alcune riflessioni sull’attuale momento storico e sulle sfide che il Notariato ha davanti.
La Rivista è particolarmente lieta di ospitare una sintesi del discorso pronunziato dal Presidente,
offrendo ai numerosi lettori, interni ed esterni alla Categoria, la possibilità di avere su quei temi
una più diffusa informazione direttamente da chi per il Notariato dovrà trattarli nel triennio che
abbiamo di fronte. Al Presidente e all’intero C.N.N. gli auguri più cordiali di buon lavoro.
Il Direttore, Giancarlo Laurini
Il primo messaggio che ho voluto lanciare nel corso dell’incontro con i Presidenti, ricordato dal Direttore, è quello che ritengo il più importante: lavorerò insieme a tutti i Consiglieri affinché questa
sia la “consiliatura del dialogo”.
La Categoria deve tornare ad essere orgogliosa del
proprio ruolo nel sistema Paese, e perché ciò avvenga ci sarà bisogno dell’aiuto dei presidenti dei
CND, dei Comitati regionali, delle diverse Associazioni e di tutti i notai. Ci metteremo in loro
ascolto per ricevere il più alto numero di proposte
necessarie per proiettare la categoria nel futuro.
Al centro della consiliatura, quindi, ci sarà innanzitutto la Categoria: vorremmo trasmettere e diffondere senso di appartenenza, identità e valori comuni, collanti per avere una Categoria compatta e
armi affilate da sfoderare davanti a qualsiasi attacco esterno. Ritengo sia questa la strada per riappropriarci della nostra dignità, manifestandola anche
con orgoglio, ma sempre in funzione dello Stato e
della collettività. Ma non solo. Quello che vogliamo è un Notariato che sia anche propositivo, attento alle dinamiche sociali, partecipativo e che
dovrà colmare, anche con nuovi linguaggi e contenuti, le lacune di norme di difficile interpretazione.
Per raggiungere questi obiettivi, abbiamo costruito
una squadra allargata nelle diverse Commissioni
consiliari, con il preciso intento di voler lavorare
per il Notariato e per gli interessi generali della
Categoria con spirito costruttivo e propositivo.
Il nuovo organigramma 2016-2019 del CNN prevede un Settore Legislativo affidato ai Consiglieri
Bernini, Giuliani e Sideri, con l’incarico di interfacciarsi con la politica e un Settore Propositivo,
affidato ai Consiglieri Amadeo, Rubertelli e Sironi,
che avrà il compito di preparare testi da sottoporre
al legislatore. Sarà inoltre creata una task force per
le emergenze che dovessero eventualmente presentarsi.
Nell’immediato l’attenzione sarà focalizzata sulle
modifiche alla disciplina del “deposito prezzo”, sulle conseguenze derivanti dalla omissione della dichiarazione di conformità catastale e sulla ricerca
di uno strumento legislativo specifico per la disciplina delle cosiddette “quotine”.
Il Settore Comunicazione continuerà ad avere un
valore strategico sia esterno che interno ed è stato
affidato ai Consiglieri Marcoz (per la comunicazione esterna, con particolare riferimento ai social),
Petraglia (settore interno), Cabiddu (comunicazione esterna, social ed eventi) e Abbate (Eventi).
(*) Presidente del CNN.
Notariato 4/2016
329
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Notai
Il Settore Deontologia, affidato ai Consiglieri Bernini, Cambareri, Macrì Pellizzeri e Petraglia, avrà
il compito di rivedere l’intero Codice deontologico, la cui riforma non è più rinviabile. Diversi i temi di cui si dovrà occupare: mandato professionale,
concorrenza e concentrazione del lavoro, personalità della prestazione, competenza regionale (ufficio
secondario e associazionismo).
Il Settore Ordinamento, che necessiterà della più
ampia disponibilità all’ascolto delle proposte che
dovranno provenire dai Presidenti del C.N.D., è
stato affidato ai Consiglieri Amadeo, Martino, Petraglia e Sironi. Su questo tema ci sono molte idee
da analizzare e valutare, che saranno poi approvate
dal CNN con una delibera quadro.
Il Settore Informatico, di fondamentale importanza
per il Notariato e per l’attività notarile, è affidato
ai Consiglieri Nastri e Marcoz. Ad esso è chiaramente collegata la Notartel, la cui presidenza è stata confermata al Consigliere Nastri e nel cui CDA
il CNN ha designato i notai Marcoz e Chibbaro.
Particolare attenzione sarà dedicata alla Fondazione e all’Ufficio Studi: il CNN vuole che la Fondazione sia il fiore all’occhiello della Categoria e
proietti la nuova immagine del Notariato nel futuro. Per questo potrà avvalersi della collaborazione
dell’Ufficio Studi e dovrà essere aggregata ad essa.
Non a caso i Consiglieri scelti per i due settori sono quasi coincidenti: Palazzo (Presidente), Martino
e Labriola per la Fondazione, e Palazzo, Martino,
Labriola e Sideri per l’Ufficio Studi.
Il Settore Aste è affidato al Consigliere Rubertelli.
Le aste hanno un ruolo sempre più rilevante nell’attività del Notariato, soprattutto ora che si è dato avvio alle aste fra privati.
I rapporti che abbiamo con le istituzioni pubbliche
nazionali sono in aumento e pertanto sarà necessario coinvolgere sempre di più la Categoria, seguendone comunque l’operato affinché sia sempre garantito un alto livello di prestazione.
Il Settore Accesso è affidato ai Consiglieri Labriola, Martino e Abbate. In questo ambito il Notariato è concentrato sul superamento del limite dei tre
tentativi al concorso e sul numero eccessivo di posti (ben 500) messi a concorso. Ho avuto modo di
parlare di entrambe le problematiche con il Ministro della Giustizia in un recente incontro ufficiale,
onde evitare uno scadimento della ‘qualità’.
Il Settore Assicurazione è affidato ai Consiglieri
Giglio e Macrì Pellizzeri. Si tratta di un settore
molto delicato, e va chiaramente di pari passo con
Assonotar, affidata a Giglio e Bernini. Bisognerà
ridiscutere del tema, soprattutto dopo l’approvazio-
330
ne della norma, chiesta dal CNN, che sgancia il
contributo per l’assicurazione da quello per il
CNN. Chiaramente fino al 2018, data di scadenza
dell’attuale contratto assicurativo, tutto resterà cristallizzato; nel frattempo toccherà al gruppo designato lavorare in funzione delle novità legislative.
Il Terzo Settore è affidato al Consigliere Abbate. Il
lavoro fatto fino ad oggi è stato motivo di grandi
soddisfazioni; abbiamo intenzione di continuare su
questa strada, per valorizzare sempre di più l’immagine del notaio quale professionista che opera anche nel sociale.
Il Settore Antitrust è affidato al Consigliere Macrì
Pellizzeri e sappiamo che anche nel recente passato
sono stati diversi i punti anche di scontro con
l’Autorità. Ho partecipato pochi giorni fa all’Assemblea annuale e, ascoltando la relazione del Presidente Pitruzzella, ho piacevolmente scoperto che
rispetto al passato i notai non sono più “nel mirino” dell’Autorità.
Il settore di coordinamento delle Coredi è stato affidato al Consigliere Giglio. È un’area fondamentale ed estremamente delicata, anche perché oggi
non si può più soprassedere sui comportamenti
scorretti dei Colleghi. Dovremo migliorare in particolare il flusso di informazioni tra le Coredi e la
Banca dati deontologia, sempre affidata al Consigliere Giglio, in modo da utilizzarla per creare una
rete e uniformare per quanto possibile l’attività e
le sentenze delle Coredi su tutto il territorio.
Il Settore innovazione è affidato ai Consiglieri Cabiddu e Marcoz, con il compito di cercare spazi per
l’attività notarile all’interno del sistema normativo
esistente.
Il CNN ha poi nominato il nuovo Comitato di
Gestione del Fondo di Garanzia, indicando Giglio
Presidente, Macrì Pellizzeri Vice Presidente e Consiglieri Bernini, Sideri e Martino. Il Fondo ha una
solida situazione economica, i crediti nei confronti
dei notai sono stati ridotti al minimo attraverso
un’azione di controllo capillare fatta insieme agli
Archivi notarili. Dovrà comunque mantenersi costante l’azione di controllo e comunicazione di
eventuali casi sospetti che, pur essendo fortunatamente in percentuale bassissima rispetto alla totalità della Categoria, dovranno essere perseguiti e puniti con assoluta determinazione.
Il Settore Antiriciclaggio è affidato ai Consiglieri
Nastri e Palazzo. I notai sono all’avanguardia in
questo campo, perché come noto il 91% (dato a fine 2015) delle segnalazioni proviene da notai: bisogna continuare su questa strada e soprattutto, an-
Notariato 4/2016
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Notai
che in caso di ispezioni, i notai devono dimostrare
di avere applicato la normativa.
Il tavolo di lavoro con l’ANAC è affidato al Consigliere Macrì Pellizzeri.
Il Settore che si occupa del rapporto con le Associazioni dei Consumatori, il cui lavoro è di ottimo
livello, è stato affidato al Consigliere Cabiddu.
Infine un’informativa su quanto realizzato nei primi giorni della consiliatura.
È stato bloccato il provvedimento contenuto sui
piccoli comuni, che prevedeva autentiche sui terreni anche solo presso il conservatore.
Si sta seguendo il lavoro dell’apposita Commissione istituita presso il Ministero della Giustizia per
l’elaborazione di una riforma organica degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, presieduta dall’ex presidente del CNF Guido
Alpa, alla quale partecipano i notai Amadeo e Raguso, che hanno presentato alcune nuove normative utili.
In relazione al DDL Concorrenza, come noto e come comunicato prontamente, sono stati soppressi
gli artt. 44 e 45. Al momento resta in piedi solo
l’art. 42, su cui si dovrà lavorare particolarmente
per quanto riguarda il numero dei notai che non
può essere sganciato da un parametro statistico.
Notariato 4/2016
La sospensiva per il ricorso al T.A.R. sulle start-up
innovative richiesta dal CNN non è stata accolta,
ma si farà una camera di Consiglio entro gennaio
2017.
Il Consiglio Nazionale del Notariato, infine, avrà
il piacere di essere ricevuto dal Presidente della
Repubblica il prossimo 18 luglio, a testimonianza
del valore del nostro ruolo per il Paese.
Concludo con quanto ho dichiarato all’inizio: questa Consiliatura avrà bisogno della collaborazione
di tutti, Presidenti CND, Associazioni, notai, assicurandovi che, da parte nostra, faremo tutto quanto sarà in nostro potere per la tutela del Notariato.
Come dicevo, ritengo il dialogo all’interno della
Categoria giusto e di fondamentale importanza, ma
pretendo che l’interlocutore della politica sia esclusivamente il CNN. Per troppo tempo alcuni colleghi si sono arrogati il diritto di presentare istanze a
politici in modo sparso e autonomo. Comportamenti del genere non saranno più tollerati, così come non sarà più tollerata la difesa dell’interesse
particolare o privato.
Dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi e del nostro ruolo, senza mai cadere nella presunzione; solo
così manterremo il rispetto che meritiamo. Lavoriamo tutti insieme per un Notariato finalmente
fiero ed unito.
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Argomenti
Legge n. 76/2016
Unioni civili e convivenze
Unioni civili e convivenze
di fatto: una prima lettura
del testo normativo
di Carmine Romano
A distanza di quattro anni dalla L. n. 219/2012, in materia di filiazione nata fuori dal matrimonio,
il legislatore disciplina ulteriori tasselli del complesso mosaico delle relazioni familiari.
La L. n. 76/2016 è strutturata in due parti: la prima è dedicata alle unioni civili tra persone dello
stesso sesso, definite “formazioni sociali” ai sensi degli artt. 2 e 3 Cost. Dopo la condanna subita nel 2015 ad opera della Corte Europea dei diritti dell’uomo, l’ordinamento italiano riconosce e
formalizza le unioni omoaffettive, con una disciplina in gran parte improntata all’estensione alle
unioni civili dei principi in materia di matrimonio, con la sola eccezione per i rapporti con i figli.
La seconda parte dell’impianto normativo è dedicata alle stabili convivenze di fatto, tra persone
di diverso sesso o del medesimo sesso. Trattasi di una “disciplina leggera” che, salvaguardando
la scelta di libertà compiuta dai conviventi, si limita alla positiva attribuzione di taluni diritti, in
un quadro di tutele minime, offrendo poi la possibilità di ampliare, su base convenzionale, le forme di tutela attraverso la stipula di un contratto di convivenza.
Considerazioni introduttive
La L. 20 maggio 2016, n. 76, entrata in vigore il 5
giugno 2016, detta la prima disciplina delle unioni
civili tra persone dello stesso sesso, nonché riconosce taluni diritti alle coppie di fatto, eterosessuali
ed omosessuali. A distanza di pochi anni dalla legge sulla filiazione (L. 10 dicembre 2012, n. 219),
l’attenzione legislativa si rivolge ad un altro, importante tassello del complesso mosaico rappresentato dalle relazioni familiari nell’attuale contesto
sociale.
Invero, gli interventi legislativi costituiscono conseguenza dei profondi mutamenti registratisi nel
tessuto sociale, con una prepotente diffusione di
nuove forme di relazioni familiari. Se la L. n.
151/1975, in attuazione dei principi sanciti dall’art.
29 Cost., ha quale cellula sociale di riferimento la
famiglia nucleare, progressivamente si assiste al diffondersi di nuove forme “ liquide e dinamiche” di
convivenza, per le quali non è più indefettibile la
presenza, quale titolo genetico, del matrimonio: il
pensiero va, in primo luogo, alle famiglie di fatto,
caratterizzate dalla serietà, riconoscibilità sociale,
tendenziale stabilità del vincolo tra conviventi. La
Notariato 4/2016
famiglia nucleare italiana, quale unità di affetti, regolata da norme pubblicamente sancite, profondamente tradizionale negli stili di vita e di consumo,
fondata su solidarietà collettiva, ordinata gerarchicamente per età e sesso, viene investita da una trasformazione inedita, tale da modificare i valori, le
regole, i modelli sociali di riferimento. In nome di
un imperante principio di libertà, vanno ad allentarsi i vincoli tradizionali: si registra una pluralità
di forme familiari ed una accentuata instabilità delle stesse.
Secondo le rilevazioni ISTAT, le famiglie di fatto
sono cresciute più del doppio dal 2008 al 2014 e di
quasi dieci volte rispetto agli anni 1993-1994, con
conseguente sensibile incremento della nascita di
figli di coppie non sposate. La realtà sociale pone,
ancora, all’attenzione il fenomeno delle famiglie ricomposte, che ricorre allorquando, a seguito di separazione o divorzio, si instauri una nuova unione
affettiva, con formazione di una diversa “famiglia”
cui partecipano i figli nati dal precedente matrimonio e figli nati dalla nuova unione. In questo processo di estrema “mobilità” ed eterogeneità dei modelli familiari, si inserisce la legge sul “divorzio breve” (L. 22 aprile 2015, n. 55), che riduce significa-
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Legge n. 76/2016
tivamente il termine necessario per la proponibilità
della domanda di scioglimento del matrimonio, rispettivamente da tre ad un anno per chi si separa
con rito giudiziale ed a sei mesi per le separazioni
consensuali. Il matrimonio non è più “patto vitalizio” che può essere rotto solo per colpa o morte; esso è negozio giuridico che le parti possono sciogliere su domanda ove sia insorta una intollerabilità
della prosecuzione del rapporto, e dunque il venir
meno dell’affectio coniugalis. Nella realtà sociale le
famiglie si scompongono e si ricompongono, costituiscono forme autopoietiche, sempre più gruppo e
meno istituzione, il che impone, ormai, una declinazione al plurale di un fenomeno che, plasmato
dalla storia, presenta un’ampia eterogeneità di manifestazioni.
Dinanzi ad una realtà così complessa, una normativa orientata unicamente alla tutela dei membri
della famiglia fondata sul matrimonio si rivelava
palesemente inadeguata, in quanto non in grado di
offrire una compiuta disciplina ai “modelli alternativi” di rapporti diffusisi nel tessuto sociale. Nel
complesso mosaico di relazioni familiari, troppe
tessere rimanevano prive di qualsivoglia attenzione
da parte dell’ordinamento, e sempre più inappagante appariva la tesi per cui una “scelta di libertà”, quale quella dei conviventi, non potesse essere
“imbrigliata” con regole legali. Nel 2012 il legislatore sancisce il principio di unicità di stato della filiazione, sganciato dall’appartenenza ad una comunità familiare di tipo tradizionale o comunque a
comportamenti che possano riguardare i genitori.
La L. n. 76/2016 prosegue in questo percorso di riconoscimento e disciplina di modelli familiari “alternativi”, con un impianto normativo strutturato
in due parti: la prima è dedicata alle unioni civili
tra omosessuali; la seconda riconosce taluni effetti
giuridici alla stabile convivenza tra coppie etero o
omosessuali. Trattasi di una legge che interviene
all’esito di un ampio dibattito culturale e politico
prima ancora che giuridico, che anche nel lessico
“tradisce” un atteggiamento cauto nel regolare la
materia: il legislatore disciplina le unioni civili sul
modello del matrimonio, pur senza parlare mai di
matrimonio tra persone dello stesso sesso (1); riconosce ai conviventi, eterosessuali o same sex, taluni
(1) Tale scelta è contestata da G. Casaburi, Il Sillabo delle
Unioni civili: giudici, etica di stato, obblighi internazionali, in Articolo 29.it., 2015. Nel quadro di un’ampia analisi della nuova disciplina, l’Autore sottolinea come “la ratio sia quella di prendere le distanze dal matrimonio, ed anzi dalla famiglia (anche nella loro portata simbolica), quindi quella di ridimensionare la
334
diritti, pur senza mai evocare la nozione di famiglia
di fatto.
Nelle pagine che seguono si tenterà di dare una
prima lettura del dato normativo, orientando l’analisi verso le principali ricadute applicative e le criticità del testo di legge, con un’attenzione principalmente rivolta a temi più vicini all’attività notarile.
Parte prima: le unioni civili
Le unioni civili. Il background
giurisprudenziale
La disciplina delle unioni civili tra persone dello
stesso sesso è contenuta nella prima parte della legge (commi 1-35). L’analisi ed il giudizio dell’impianto normativo non possono prescindere da una
considerazione di carattere preliminare: prima della
L. n. 76/2016, in Italia non era prevista alcuna formalizzazione delle unioni tra persone dello stesso
sesso, il che allontanava sensibilmente il nostro ordinamento dalle più moderne legislazioni della
maggior parte dei Paesi facenti parte dell’Unione
Europea e aderenti alla Convenzione Europea dei
diritti dell’uomo, taluni dei quali riconoscono il
matrimonio (secondo il modello condiviso da Inghilterra, Francia, Spagna, Olanda, Belgio) mentre
altri le cd partnership (Germania e Austria). Nel
nostro Paese mancava, dunque, qualsivoglia forma
di riconoscimento del valore e della dignità del
vincolo affettivo tra persone dello stesso sesso e
della solidarietà che ne consegue (2).
In assenza di un quadro normativo, le forti istanze
sociali hanno condotto a numerose pronunzie giurisprudenziali, che si possono raccogliere intorno a
tre formanti (Cedu; Corte costituzionale; Corte di
cassazione), alle quali va riconosciuto un decisivo
peso nella pur faticosa genesi della legge in commento. L’analisi del panorama giurisprudenziale
appare feconda di implicazioni, portando alla prepotente emersione dell’esigenza di dare adeguata
tutela alle relazioni omoaffettive.
La Corte di Strasburgo nel 2010, afferma che “il
diritto al matrimonio include anche quello al matrimonio tra persone dello stesso sesso quale nuovo
contenuto ermeneuticamente emergente dalla
Convenzione e dalla Carta, fermo restando che la
funzione - ed anzi la stessa identità - dell’istituto (strozzato,
quindi, sul nascere)”.
(2) Per un’ampia analisi, G. Ferrando, Le unioni civili. La situazione in Italia alla vigilia della Riforma, in www.juscivile.it,
2016, 3.
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sua garanzia è rimessa al potere legislativo dei singoli Stati ed il Parlamento è libero di scegliere sia
nell’an sia nel quomodo tra la possibilità di garantire tale diritto o prevedere altre forme di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali” (3). Dalla pronuncia in oggetto emerge l’indifferibile esigenza di tutela delle unioni same sex, rinviando ai
singoli ordinamenti la scelta delle garanzie e del
modo di declinare i diritti fondamentali delle coppie omosessuali. Dalla stessa Corte, l’Italia subisce
una condanna con la pronuncia 21 luglio 2015
(caso Oliari c. Italia) (4), per la quale “il mancato
riconoscimento nell’ordinamento giuridico italiano
delle unioni civili costituite da persone dello stesso
sesso viola il diritto di queste ultime al rispetto della loro vita familiare e si pone in contrasto con
l’articolo 8 della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. In particolare, si legge nella pronuncia,
in assenza di un interesse prevalente della comunità allegato dal governo italiano, con il quale bilanciare i fondamentali interessi dei ricorrenti, deve
concludersi che sia stato ecceduto, da parte del governo stesso, il proprio margine di apprezzamento,
rimanendo inadempiuta l’obbligazione positiva di
assicurare ai ricorrenti uno specifico quadro legale
che preveda il riconoscimento e la tutela delle
unioni omosessuali. La Corte Europea reputa, dunque, infondato l’argomento relativo all’esistenza
nella società di “diverse sensibilità” anche di ispirazione religiosa.
Quanto alla Corte costituzionale, nel 2010 viene
sancito il principio secondo il quale l’unione omosessuale, “intesa come stabile convivenza tra due
persone dello stesso sesso”, deve essere ricompresa
tra le formazioni sociali di cui all’art. 2 Cost.; pertanto, ai suoi componenti, “spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di
coppia, ottenendone, nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri” (5). Con tale
pronuncia la Consulta pone all’attenzione il tema
del libero sviluppo della persona nella vita di relazione, emergendo sullo sfondo la presa d’atto di un
modello pluralistico di famiglia. Invero, nella materia in oggetto, la Consulta ha dovuto affrontare
un problema inedito, elaborando un itinerario ar-
gomentativo diverso dal consolidato meccanismo
interpretativo attraverso il quale la Corte ha dato
tutela a diritti fondamentali non sanciti in una
precisa norma giuridica, ma implicita nel sistema,
tendente ad attuare il principio della “massima
espansione dei diritti”. Nel caso in oggetto, invero,
il diritto fondamentale (al matrimonio) esiste, ma
l’applicazione alle persone dello stesso sesso si
scontra con la secolare tradizione, dinanzi alla quale non rileva neppure il richiamo al principio di
eguaglianza (art. 3 Cost.) o di non discriminazione
(art. 14 Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo). Il percorso argomentativo della Corte è allora
più complesso, parte dalla insostenibilità del vuoto
normativo e pone il tema della compatibilità con
la Cost. (art. 2) della mancanza di una disciplina
che regoli e tuteli la coppia omosessuale (6).
Altro, interessante intervento dei Giudici della
Consulta si registra con la pronuncia n.
170/2014 (7), con la quale la Corte costituzionale
dichiara l’illegittimità costituzionale della normativa che fa seguire alla rettificazione del sesso lo
scioglimento o la cessazione degli effetti civili del
matrimonio preesistente, senza preoccuparsi di prevedere la possibilità, ove i coniugi lo richiedano, di
mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, secondo modalità da statuirsi dal legislatore.
Il tema nello stesso anno è oggetto anche di una
sentenza della Corte di Strasburgo (8), che, esaminando un’ipotesi di scioglimento del matrimonio
per rettificazione di sesso, evita la condanna della
Finlandia in quanto la relativa legislazione prevede
la conversione del matrimonio in unione civile registrata, secondo un modello in grado di offrire un
sistema di tutele affine a quello del matrimonio.
Il terzo versante giurisprudenziale vede come protagonista la Corte di cassazione attraverso diverse
pronunzie. In particolare, nella sent. 15 marzo
2012, n. 4184 (9) è possibile leggere che l’interpretazione dell’art. 12 Convenzione Europea dei diritti
dell’Uomo, offerta dalla Corte Europea, permette il
definitivo superamento della concezione tradizionale secondo la quale la diversità dei sessi dei nubendi sia presupposto indispensabile del matrimonio. Nella stessa pronuncia la S.C. ammette che i
componenti della coppia omosessuale abbiano di-
(3) Cedu 24 giugno 2010 relativa al noto caso Schalk and
Kops c. Austria, in Nuova giur. civ. comm., 2010, 1137.
(4) In Nuova giur. civ. comm., 2015, 918.
(5) Corte cost. 15 aprile 2010, n. 138, in Foro it., 2010, I,
1361; in Iustitia, 2010, 311.
(6) M. Fortino, Piccoli passi e cautele interpretative delle Cor-
ti sui diritti delle coppie omosessuali, in Nuova giur. civ. comm.,
2016, 1, 129 ss.
(7) In Foro it., 2014, I, 2685.
(8) Cedu 16 luglio 2014, in Nuova giur. civ. comm., 2014,
21.
(9) In Fam. e dir., 2012, 665.
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ritto ad agire a tutela di “specifiche situazioni” e in
relazione ad “ipotesi particolari” per rivendicare un
trattamento omogeneo a quello assicurato dalla
legge alle coppie coniugate.
La necessità di riconoscimento dell’unione omosessuale è ribadita dalla S.C. con la sent. n.
2400/2015 (10). In particolare, affermata la legittimità della mancata estensione del regime matrimoniale alle unioni omo - affettive, non rientranti tra
le ipotesi legislative di unione coniugale, si sottolinea come “il sicuro rilievo costituzionale ex art. 2
Cost. di tali formazioni sociali, e del nucleo affettivo - relazionale che le caratterizza, comporta che
queste unioni possano acquisire un grado di protezione e tutela, anche ad opera del giudice ordinario, tenuto ad una interpretazione della norma costituzionalmente e convenzionalmente orientata,
equiparabile a quella matrimoniale in tutte le situazioni nelle quali la mancanza di una disciplina
legislativa determini una lesione di diritti fondamentali”.
Ebbene, i principi espressi dalle diverse pronunzie
costituiranno la “spina dorsale” del nuovo testo
normativo.
La “matrimonializzazione” dell’unione civile
Il quadro programmatico della legge è espresso dall’art. 1, a norma del quale “la presente legge istituisce l’unione civile tra persone dello stesso sesso
quale specifica formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione e reca la disciplina
delle convivenze di fatto”. In questo modo, l’ordinamento riconosce giuridicamente le coppie omosessuali che ne facciano richiesta. Nel dettare una
disciplina di tali unioni, il legislatore costruisce
quasi interamente l’istituto sul modello del matrimonio, di talché in dottrina si è parlato di “matrimonializzazione dell’unione civile”, guardando all’esperienza tedesca (11). Il legislatore ha, tuttavia,
scelto di non estendere tout court il matrimonio
alle coppie omosessuali (matrimonio egualitario),
ispirandosi al modello separate but (un)equal. In
particolare, l’unione civile è equiparata al matrimonio tanto nei rapporti patrimoniali (regime patrimoniale, vicenda successoria, diritto al mantenimento) quanto nei rapporti con la pubblica amministrazione (graduatorie per alloggi e accesso a servizi, welfare, assegni familiari, etc.). L’equiparazio-
ne viene realizzata con la clausola di salvaguardia,
anche detta di equivalenza, di cui al comma 20:
“Al solo fine di assicurare l’effettività della tutela
dei diritti ed il pieno adempimento degli obblighi
derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso
sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti la parola ‘coniuge’,
‘coniugi’ o termini equivalenti, ovunque ricorrono
nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei
contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna
delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non
richiamate espressamente nella presente legge”.
Trattasi, come notato in dottrina, di disposizione
rivolta in primo luogo al giudice ed alla Pubblica
Amministrazione, che reca una regola sull’interpretazione e sull’applicazione di altre disposizioni normative. Dal sistema di rinvii operato dal legislatore
emerge che, per le disposizioni codicistiche, valgono quelle espressamente richiamate, restando
escluse, ad esempio, quelle relative ai rapporti tra
genitori e figli; per le leggi speciali vale invece il
principio opposto: esse, con la sola eccezione dell’adozione, si applicano anche ai partner same sex.
Il pensiero va, in primo luogo, alla disciplina in
materia previdenziale, pensionistica, sanitaria.
È facile immaginare come la disposizione del comma 20 sarà ben presto cruciale per delineare la portata applicativa della tutela delle parti delle unioni
civili; sul solco dell’acceso dibattito che ha accompagnato la genesi del testo normativo, il rinvio sarà
oggetto di differenti interpretazioni da parte dei sostenitori del matrimonio egualitario e di quanti, invece, continuano a sottolineare le differenze tra gli
istituti.
La principale differenza tra matrimonio e unioni
civili riguarda i rapporti con i figli: non sono richiamate la presunzione di paternità (art. 231), la
disciplina degli effetti del matrimonio nei rapporti
con i figli (artt. 147 e 148), le disposizioni in materia di adozione. Nel prosieguo dell’analisi si avrà
modo di tornare sull’argomento, tutt’altro che risolto dal “silenzio” legislativo.
L’impianto normativo può essere suddiviso in tre
parti: la prima concerne la costituzione dell’unione
civile (commi 2-10); la seconda disciplina gli effet-
(10) Cass. 9 febbraio 2015, n. 2400, in Corr. giur., 2015,
909.
(11) In Germania la legge entrata in vigore il 1° agosto
2001, sulla convivenza tra persone dello stesso sesso, è stata
successivamente modificata al fine di assimilare le partnerships al matrimonio, compresa la possibilità di adozione del figlio dell’altro Cfr., in argomento, S. Patti, Le unioni civili in Germania, in Fam. e dir., 2015, 958.
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ti, personali e patrimoniali (commi 11-21); la terza
regola lo scioglimento dell’unione (commi 22-27).
Dal testo normativo si desume che sono legittimati
a costituire l’unione civile unicamente i soggetti
maggiorenni: non viene richiamata la disposizione
dell’art. 84 c.c. in ordine alla possibilità di autorizzazione al matrimonio di ultrasedicenni.
Mediante dichiarazione all’ufficiale dello stato civile, le parti possono stabilire di assumere, per la durata dell’unione, un cognome comune, scegliendolo tra i loro cognomi; la parte può anteporre o posporre al cognome comune il proprio, se diverso,
facendone dichiarazione all’ufficiale dello stato civile (comma 10).
Il comma 4 è dedicato alla disciplina degli impedimenti, anch’essa costruita sul modello delle disposizioni dettate in materia di matrimonio. Il successivo comma 5 dispone che la sussistenza di una delle cause impeditive comporta la nullità dell’unione
civile; il comma 6 prevede che l’unione costituita
in violazione di una della cause impeditive possa
essere impugnata da ciascuna delle parti, dagli
ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da
tutti coloro che abbiano un interesse legittimo ed
attuale all’impugnativa.
Costituzione dell’unione civile (commi 2-10)
Il comma 2 dispone: “due persone maggiorenni
dello stesso sesso costituiscono un’unione civile
mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni”.
Il legislatore non definisce le Unioni Civili, che si
limita a qualificare in termini di “specifica formazione sociale ai sensi degli artt. 2 e 3 della Costituzione”. Il riferimento alle formazioni sociali riproduce l’art. 2 della Costituzione e si salda con la già
richiamata pronuncia della Corte cost. 15 aprile
2010, n. 138.
In merito alla costituzione tuttavia la disciplina appare lacunosa (12); nulla è precisato in merito alle
reciproche dichiarazioni delle parti ed al ruolo dell’Ufficiale dello Stato Civile (13). Diversamente
dal matrimonio, non sono previste pubblicazioni e,
a fronte dalla dichiarazione delle parti di voler costituire l’unione civile, non è prevista alcuna formula da parte dell’Ufficiale dello Stato Civile, il
quale sembra doversi limitare a prendere atto delle
dichiarazioni delle parti. Ciò stride con la solennità del rito matrimoniale e potrebbe dar luogo a
prassi difformi nei diversi Comuni Italiani.
Il comma 3 prevede che “L’ufficiale dello stato civile provvede alla registrazione degli atti di unione
civile tra persone dello stesso sesso nell’archivio
dello stato civile”. Non è chiaro in quale registro
vada riportata notizia dell’unione civile, essendo
scomparsa la previsione, presente nel disegno di
legge, di un registro delle unioni civili. Il tema è
estremamente delicato in ragione delle esigenze di
tutela dei terzi (interessati, ad esempio, al regime
patrimoniale prescelto dalla coppia). L’auspicio è
che il legislatore delegato, chiamato ad adeguare le
disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in
materia di iscrizioni, trascrizioni, annotazioni
(comma 28), possa rimediare alla lacuna normativa, riconoscendo l’autonoma configurazione del registro delle unioni civili.
A norma del comma 9, il documento anagrafico
attestante l’unione civile riporterà: a) i dati anagrafici delle parti; 2) l’indicazione del loro regime
patrimoniale; c) l’indicazione della loro residenza;
d) dati anagrafici e residenza dei testimoni.
Gli effetti personali e patrimoniali
Gli effetti dell’unione civile sono in larga parte simili a quelli del matrimonio, in alcuni casi in virtù
del diretto rinvio alle disposizioni codicistiche, in
altre ipotesi parafrasando i corrispondenti articoli
dettati in materia del matrimonio.
Vengono in considerazione i commi 11 e 12 della
legge. A norma del comma 11, “Con la costituzione dell’unione civile tra persone dello stesso sesso
le parti acquistano gli stessi diritti e assumono i
medesimi doveri; dall’unione civile deriva l’obbligo
reciproco all’assistenza morale e materiale ed alla
coabitazione. Entrambe le parti sono tenute, ciascuna in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale e casalingo, a
contribuire ai bisogni comuni”. Il comma 12 prevede che “le parti concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza comune; a
ciascuna delle parti spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato”. Con la sola eccezione per l’obbligo reciproco di fedeltà, presente nel disegno di
legge ma poi scomparso nel testo definitivo, il legislatore “guarda” alle disposizioni dettate dagli artt.
143 e 144 c.c. in materia di matrimonio: la posizione delle parti dell’unione civile, così come quella
(12) G. Casaburi, Il Sillabo delle Unioni Civili, cit., parla di “ricerca del rito perduto”.
(13) G Casaburi, Il nome della rosa (la disciplina italiana delle
unioni civili), in Articolo29.it, afferma che la mancanza di disciplina dell’atto di costituzione dell’unione civile comporterà difficoltà operative.
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dei coniugi, è di perfetta uguaglianza, morale e giuridica, nei rapporti personali e patrimoniali. L’obbligo reciproco di assistenza deve essere inteso come esteso a tutte le esigenze di vita del partner
quando questi non sia in grado di provvedervi da
solo, operando per stabilire e mantenere le condizioni più adeguate all’unità e continuità del gruppo
familiare, attraverso la concorde individuazione e
la soddisfazione solidale dei bisogni comuni. A tal
fine, ciascuno contribuisce in proporzione alla capacità di lavoro. I partner concordano, inoltre, attraverso un negozio giuridico di tipo familiare, l’indirizzo della vita familiare, che si concreta nelle
scelte sul tenore di vita della famiglia, la distribuzione dei compiti, la determinazione delle rispettive contribuzioni. Ciascuno si essi ha, poi, il potere
personale di attuazione dell’indirizzo concordato.
Sia consentito richiamare, in questa sede, la dottrina per la quale i diritti e i doveri di cui all’art. 143
c.c. si configurano quali clausole generali, il cui
contenuto specifico emerge in relazione alle dinamiche sociali e culturali del concreto momento in
cui trovano attuazione (14). La stessa abolizione
del dovere reciproco di fedeltà, come notato dai
primi commentatori (15), per quanto criticabile,
può ritenersi solo apparente, poiché si tratta di dovere connaturato all’essenza stessa del consorzio familiare, riconducibile all’assistenza morale, alla stabilità del rapporto, al comune indirizzo di vita.
Quale corollario del mutuo dovere di solidarietà,
vengono richiamate le disposizioni in materia di
alimenti (artt. 433 - 448 bis c.c.).
Sul piano patrimoniale, all’unione civile si applicano le disposizioni sul regime patrimoniale della famiglia: sono espressamente richiamate le disposizioni su comunione legale, separazione dei beni,
fondo patrimoniale, impresa familiare. A norma
del comma 13, il regime patrimoniale dell’unione
civile, in mancanza di diversa convenzione matrimoniale, è quello della comunione dei beni. Le
parti possono pattuire diversamente, con una convenzione matrimoniale soggetta alle stesse regole
formali operanti per le convenzioni matrimoniali
tra coniugi. La comunione è, dunque, effetto ex lege, derogabile dalle parti.
La disciplina in oggetto, unita alla previsione per
la quale le coppie unite civilmente possono scegliere un cognome comune, appare gravida di conseguenze nei suoi risvolti applicativi sull’attività notarile. In presenza di un trasferimento immobiliare,
(14) A. Parisi, I rapporti personali tra coniugi, 424.
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l’integrazione delle informazioni desumibili dai registri dello stato civile e di quelle dei registri immobiliari, dovrà appurare: a) l’identità delle parti,
che potranno aver assunto un cognome diverso da
quello indicato in precedenti rogiti; b) la sussistenza di un’unione civile; c) il regime patrimoniale
(legale, di comunione dei beni; pattizio, di separazione); d) l’eventuale sussistenza di un vincolo di
destinazione (fondo patrimoniale) finalizzato ai bisogni della famiglia fondata non sul matrimonio
ma sull’unione civile.
Sia consentito sottolineare come, al di là delle singole espressioni utilizzate dal legislatore, i richiami
alle disposizioni codicistiche sottendano la legittimazione del modello familiare tra persone dello
stesso sesso, avente origine dall’unione civile. In
siffatto contesto, è ammesso, e positivamente disciplinato, che i conviventi concordino l’indirizzo
della “vita familiare” (comma 12), o che taluni beni vengano destinati “a far fronte ai bisogni della
famiglia” (art. 167 c.c. come richiamato), o ancora
che il lavoro continuativo nella “famiglia” possa ricevere tutela nel quadro di un’impresa familiare. In
maniera più o meno consapevole, il legislatore del
2016, pur limitandosi a parlare di “formazione sociale”, attraverso una trama di rinvii che attengono
ai rapporti personali e patrimoniali riconosce la famiglia fondata sulle unioni civili.
In materia successoria, sono espressamente richiamate (comma 21) le disposizioni in tema di indegnità (capo III del Titolo I); legittimari (Capo X
del Titolo I); successioni legittime (Titolo II, richiamato interamente); collazione (Capo II del Titolo IV), patto di famiglia (Capo V bis del Titolo
IV).
Il richiamo alle disposizioni in materia di legittimari impone di ritenere che, a seguito di unione civile, sorga il diritto per i partners ad una quota di riserva, da far valere indipendentemente ed anche
contro la volontà del testatore. La disposizione, anche storicamente, assume significati particolarmente rilevanti. Il trattamento successorio dei più
stretti congiunti ha costituito, infatti, tradizionalmente fedele espressione dei modelli familiari riconosciuti dal legislatore nelle diverse epoche storiche. Così, il sistema successorio adottato dal Codice del 1942 era basato sulla famiglia parentale, fondata sui vincoli di sangue, di talché i naturali destinatari del patrimonio del defunto erano i figli, o, al
più i fratelli e le sorelle, mentre al coniuge veniva
(15) G. Casaburi, Il nome della rosa (la disciplina italiana delle unioni civili), cit.
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riconosciuto l’usufrutto uxorio, tale da assicurare il
godimento dei beni senza incidere sulla titolarità.
La riforma del 1975 pone la famiglia nucleare al
centro di un rinnovato sistema di regole che presiedono la devoluzione del patrimonio del defunto.
In ragione del principio di uguaglianza tra i membri della famiglia, il coniuge superstite consegue,
jure successionis, non più un diritto di godimento su
beni destinati ad altri, ma una quota in piena proprietà: non vi è ragione per escluderlo dalla piena
titolarità dei beni, giacché non è più considerato
estraneo alla famiglia del de cuius. Con la L. n.
76/2016 gli stessi diritti vanno riconosciuti alle
coppie dello stesso sesso che abbiano formalizzato
l’unione civile.
L’ampio rinvio operato dal legislatore impone, altresì, di ritenere che il partner superstite abbia diritto all’abitazione sulla casa già adibita a residenza
“familiare” ex art. 540, comma 2, c.c.
Quanto alla successione legittima, i profondi mutamenti sociali e giuridici sono testimoniati da una
considerazione: fino a qualche anno fa, il sistema
della vocatio ab intestato era fondato su quattro classi, in ragione della ratio giustificativa della vocazione. In particolare, era possibile individuare: la classe fondata jure familiae (parenti legittimi, cui venivano equiparati gli adottivi); la classe formata jure
coniugii; quella formata jure sanguinis (parenti naturali), ed infine quella jure imperii (Stato). Le profonde trasformazioni sociali, e gli interventi legislativi nel corso degli ultimi anni, hanno condotto ad
una riscrittura del descritto impianto: la riforma
della filiazione, introducendo il principio di unicità
di stato, ha sostanzialmente “svuotato” la classe
formata jure sanguinis, giacché il superamento del
principio di relatività del riconoscimento fa sorgere, anche rispetto ai figli nati fuori dal matrimonio,
un autentico rapporto di parentela (art. 74 c.c.,
nella rinnovata formulazione), con conseguente superamento del legame “minore” di consanguineità.
Sotto diverso profilo, a seguito del riconoscimento
“pieno” di diritti successori alle coppie omosessuali
legate da unione civile, può affermarsi che la classe
jure coniugii si arricchisca, essendo essa composta,
alternativamente, da coniugi (uniti da matrimonio) o da persone dello stesso sesso legate da unione civile.
Proseguendo, va sottolineato come, in ragione del
nuovo status, il partner rientra nel perimetro soggettivo delineato dal legislatore in materia di collazione ex artt. 737 ss. c.c.: essendo ormai considerato stretto congiunto del de cuius, le liberalità ricevute in vita vengono considerate acconti sulla fu-
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tura successione, di talché le stesse sono soggette
alla disciplina della collazione in sede divisionale.
Il legislatore effettua, inoltre, un rinvio alla disciplina del patto di famiglia, da interpretare tuttavia
considerando che, come detto più volte, l’equiparazione tra unione civile e matrimonio vale in “linea
orizzontale”, e quindi nei rapporti tra patners, ma
non ammette una declinazione della nuova forma
familiare che contempli i figli della coppia. Pertanto, le ipotesi configurabili sono quelle di assegnazione dell’azienda (o quota sociale) al figlio biologico del disponente, con obbligo per lo stesso di liquidare (anche) la persona unita civilmente al proprio genitore.
Infine, il comma 17, prevede che, in caso di morte
del prestatore di lavoro, le indennità previste dagli
artt. 2118 e 2120 c.c. devono corrispondersi anche
alla parte dell’unione civile.
Lo “scioglimento dell’unione civile”
Il regime di scioglimento dell’unione civile è stato
radicalmente riformato rispetto a quanto previsto
nel disegno di legge Cirinnà, venendo meno il rinvio al Capo V del Titolo VI del Libro primo del
codice civile, in materia di scioglimento del matrimonio e separazione dei coniugi. In forza della
nuova disciplina, si passa direttamente al divorzio
e non è previsto il preventivo periodo di separazione (da sei mesi ad un anno) imposto ai coniugi.
Il comma 22 contempla due distinte categorie di
cause del divorzio: una prima, di carattere obiettivo, rappresentata dalla morte, dalla dichiarazione
di morte presunta di uno dei partner, nonché dalle
ipotesi previste dall’art. 3, nn. 1 e 2, 2, lett. “a”,
“c”, “d” ed “e” della L. 10 dicembre 1970, n. 898
(trattasi di fattispecie connesse a pronunzie penali
o anche al divorzio ottenuto all’estero); a tali cause
il legislatore aggiunge una ulteriore fattispecie, di
carattere soggettivo: il comma 24 prevede, infatti,
che “l’Unione Civile si scioglie, inoltre, quando le
parti hanno manifestato anche disgiuntamente la
volontà di scioglimento dinanzi all’ufficiale dello
stato civile. In tal caso, la domanda di scioglimento dell’Unione Civile è proposta decorsi tre mesi
dalla data di manifestazione di volontà di scioglimento dell’unione”. La dichiarazione rilevante ai
fini dello scioglimento può essere sia congiunta sia
unilaterale, di carattere potestativo. Occorre notare come non sia previsto alcun dovere di motivazione; in particolare, non va dedotta la intollerabilità della convivenza o il venir meno della comunione spirituale e materiale, né è richiesto un controllo giudiziale, non potendosi reputare tale il ten-
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tativo di conciliazione condotto dal Presidente del
Tribunale ai sensi dell’art. 4, comma 7 della legge
sul divorzio, applicabile, ove ritenuto compatibile,
ai sensi del rinvio operato dal comma 25 della legge (16). Decorsi tre mesi da tale dichiarazione, sarà
possibile dare inizio alla procedura del divorzio,
con l’applicazione delle stesse norme in materia di
divorzio in sede matrimoniale. Il comma 25 richiama, infatti, quanto al procedimento, e nei limiti di
compatibilità, le disposizioni di cui agli artt. 4 e 5
della L. n. 898/1970, che fissano le disposizioni
procedurali in materia. Non è stato, pertanto, previsto un autonomo rito. Trovano, inoltre, applicazione i procedimenti semplificati (rectius, non giurisdizionali) di cui agli artt. 6 e 12 del D.L. n.
132/2014 convertito in L. n. 162/2014, relativi alla
convenzione di negoziazione assistita per le soluzioni consensuali di divorzio ed al cosiddetto divorzio
“municipale” innanzi al sindaco (17).
L’attenzione legislativa si rivolge, altresì, alla tutela
della parte economicamente più debole, con l’applicazione dei diritti riconosciuti dalla legge sul divorzio. Il comma 25 rinvia, infatti, pur con la clausola di compatibilità, a numerose disposizioni della
legge in materia, quali quelle relative all’assegno
divorzile (art. 5), alle garanzie a tutela di tale assegno (art. 8), al procedimento di revisione delle
condizioni di divorzio ed al riparto della pensione
di reversibilità (art. 9), all’assegno a carico dell’eredità (art. 9 bis), al diritto del coniuge divorziato ad
una quota del TFR dell’altro (art. 12 bis).
Infine, le disposizioni dei commi 26 e 27 disciplinano le conseguenze della rettificazione dell’attribuzione di sesso: a norma del comma 26, la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile; a norma del
comma 27, alla rettificazione anagrafica di sesso,
ove i coniugi abbiano manifestato la volontà di
non sciogliere il matrimonio o di non cessarne gli
effetti civili, consegue l’automatica instaurazione
dell’unione civile tra persone dello stesso sesso.
Anche sotto questo profilo, l’impianto normativo
appare fortemente influenzato dalla recente elaborazione giurisprudenziale.
Cenni sulla stepchild adoption
Si è detto, nelle considerazioni iniziali, che il rapporto con la filiazione costituisce la più rilevante
deroga alla piena equiparazione tra unione civile e
matrimonio. Se, infatti, i nati durante il matrimonio sono figli di entrambi i genitori, i figli nati durante l’unione civile saranno figli del solo genitore
biologico. Nel testo di legge sulle unioni civili è
stato stralciato l’art. 5 del ddl sulla “stepchild adoption”, ossia sulla possibilità di adozione del figlio
del partner (18). Il comma 20, art. 1, L. n. 76/2016
si limita a prevedere che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme
vigenti”. Al riguardo, va sottolineato come la disciplina in materia di adozione consente che, nel supremo interesse del minore, il giudice possa disporre l’adozione del figlio del proprio partner “anche
al coniuge convivente del genitore del minore, per
favorire il proseguimento dell’unità familiare e garantire, quindi, una crescita armonica del minore”
(così, art. 44, lett. b, L. n. 184/1983). È in forza di
siffatta previsione che taluni Tribunali per i minorenni hanno disposto l’adozione anche nell’ambito
di unioni omo-affettive. Così, il Tribunale per i
minorenni di Roma, con la pronuncia del 30 luglio
2014 (19), ha disposto l’adozione in casi particolari
(di cui alla L. n. 184/1983, art. 44, comma 1, lett.
“d”) di minore in tenera età da parte della compagna stabilmente convivente della madre, con il
consenso di quest’ultima, escludendo che la condizione omosessuale dell’adottante costituisse ostacolo all’adozione, essendo stata accertata la idoneità
genitoriale dell’adottante e quindi la corrispondenza all’interesse del minore. Il Tribunale per i minori di Bologna, con pronuncia del 10 novembre
2014 (20), ha dichiarato che non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 35 e 36 della L. 4 maggio 1983, n.
184, nella parte in cui dette norme non consentono al giudice di valutare, nel caso concreto, se risponda all’interesse del minore il riconoscimento
in Italia della sentenza straniera che abbia pronunciato la sua adozione in favore del coniuge dello
stesso sesso del genitore, indipendentemente dal rilievo che quel matrimonio, contratto all’estero,
non abbia prodotto effetti nel nostro Paese.
Le richiamate pronunzie sembrano far emergere un
orientamento giurisprudenziale che pone l’interesse
del minore al centro della valutazione dei singoli
casi, abbandonando remore di carattere ideologico;
è facile prevedere, allora, che, pur nel silenzio del
(16) Cfr. sul punto, G. Casaburi, Il nome della rosa (La disciplina italiana delle unioni civili), cit.
(17) Sul punto, si fa rinvio all’ampia analisi di G. Casaburi, Il
nome della rosa (la disciplina italiana delle unioni civili), cit.
(18) Cfr., sul punto, Schillaci, Un buco nel cuore. L’adozione
coparentale dopo il voto del Senato, in Articolo 29, 2016.
(19) In Foro it., 2014, I, 2743.
(20) In Foro it., 2014, I, 1078.
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La diffusione della “famiglia di fatto”
Nelle considerazioni iniziali si è posto l’accento
sull’ampia diffusione che progressivamente le unio-
ni affettive non matrimoniali hanno avuto nella
nostra società. Ebbene, la considerazione di forme
di convivenza non basate sul matrimonio cambia
già sul finire degli anni Sessanta: in particolare, un
ruolo di fondamentale importanza viene riconosciuto alle due pronunzie della Corte cost. (nn.
126 e 128 del 1968) che dichiarano incostituzionali le norme che prevedevano i reati di adulterio e
concubinato. Se in precedenza la convivenza fuori
del matrimonio veniva percepita, sul piano etico sociale, come il principale attacco all’istituzione familiare (all’epoca fondata ancora su rapporti di tipo gerarchico), successivamente cambia la considerazione verso le diverse scelte di relazioni interpersonali. La dottrina coglie una valenza ideologica
nel passaggio dal termine “convivente more uxorio”
a quello di “famiglia di fatto” (23), quale riconoscimento di un fenomeno ormai diffuso a livello sociale tanto da diventare realtà ontologicamente
autonoma sul piano dei rapporti. Si fa strada, allora, l’idea di due modelli alternativi che si distinguono per il modo di formazione. Sia consentito
sottolineare come in un primo momento, la morale
comune, tendenzialmente orientata verso un’immagine eterosessuale delle relazioni, riconosca meritevole di rilevanza soltanto le unioni tra persone
di diverso sesso; successivamente, come chiarito
nella prima parte dell’analisi, assurge all’attenzione
di sociologi e giuristi il tema delle unioni omoaffettive.
Gli interpreti ravvisano un preciso fondamento costituzionale della famiglia di fatto nell’art. 2 Cost.,
richiamandosi alla tutela offerta dall’ordinamento
a tutte le formazioni sociali ove è in grado di realizzarsi la personalità degli individui.
A fronte di ciò, l’atteggiamento del giurista è duplice: da un lato, vi sono quanti, dinanzi alla diffusione di nuove forme di relazioni affettive, invocano esigenze di regolamentazione, auspicando l’applicazione in via analogica delle disposizioni dettate per la famiglia legittima. Dall’altro, invece, si
pongono quanti sottolineano come una scelta di libertà, autonoma e responsabile, di quanti decidano
di vivere una vita in comune al di fuori del matrimonio, possa venire sostanzialmente tradita da interventi legislativi tesi ad inquadrare tale scelta entro schemi giuridici (24). Il differente approccio
ideologico porta a diverse posizioni nel dibattito su
(21) Cass. 22 giugno 2016, n. 12962, pubblicata su www.ilquotidianogiuridico.it del 23 giugno 2016 e su www.altalex.com del 22 giugno 2016.
(22) Cfr. F. Romeo - M.C. Venuti, Relazioni affettive non matrimoniali: riflessioni a margine del d.d.l. in materia di regola-
mentazione delle unioni civili e disciplina delle convivenze, in
Nuove leggi civ., 2015, 5, 971.
(23) Cfr. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, 5 ss.
(24) Per un’ampia analisi sull’argomento, C. Coppola, La
successione del convivente more uxorio, in Trattato di diritto del-
legislatore, la materia delle adozioni continui a costituire uno dei passaggi più delicati nel cammino
di piena equiparazione delle coppie omo - affettive
a quelle eterosessuali.
A testimonianza dell’attualità e delicatezza del tema, proprio mentre si affidavano a queste pagine le
prime riflessioni sul testo normativo, la Corte di
Cassazione, con la pronunzia n. 12962 del 22 giugno 2016, ha confermato la sentenza della Corte
d’Appello di Roma con la quale è stata accolta la
domanda di adozione di una minore proposta dalla
partner della madre, con lei convivente in modo
stabile (21).
Parte Seconda. La tutela dei conviventi
(commi 36 ss.)
Premessa
La seconda parte della legge, a partire dal comma
36, è dedicata al riconoscimento di diritti ai conviventi di fatto, eterosessuali o dello stesso sesso. Il legislatore si limita a prevedere taluni effetti della
convivenza: in dottrina si è parlato di una “disciplina leggera”, che, salvaguardando la scelta di libertà
compiuta dai conviventi, si indirizza verso la positiva attribuzione di taluni diritti, soprattutto nell’ambito dei rapporti esterni (22). In particolare, il legislatore prevede un quadro di tutele minime delle
parti di unioni affettive non matrimoniali (etero o
omosessuali), con riferimento soprattutto alla interazione con i terzi ed allo scioglimento del rapporto;
offre, poi, ai conviventi la possibilità di ampliare, su
base convenzionale, queste forme di tutela attraverso la stipula di un contratto di convivenza. Ciò che
colpisce, invero, è che il legislatore non detti una
trama, sia pure essenziale, di diritti e doveri tra conviventi durante la vita del rapporto e dunque non
riconosca agli stessi un autonomo status; la scelta è,
invece, quella di soffermarsi su temi particolari, quali i diritti derivanti dallo scioglimento dell’unione,
basandosi sulla copiosa giurisprudenza in materia.
L’impressione è che all’auspicata disciplina in materia di famiglia di fatto abbia nuociuto l’inserimento
nella legge sulle unioni civili.
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taluni temi sensibili, quali il diritto all’abitazione e
la materia previdenziale.
Numerosi, invero, sono gli indici di una crescente
attenzione verso questo fenomeno nei diversi formanti dell’esperienza giuridica. Così, sul piano legislativo, la riforma del 1975 introduce nel codice civile la disposizione dell’art. 317 bis, che riconosce
la potestà sui figli naturali ad entrambi i genitori
“se conviventi”: sotto il profilo dell’educazione della prole, si assimila la famiglia di fatto a quella legittima (25). In materia di amministrazione di sostegno, l’art. 408 c.c. prevede che, nella scelta, il
giudice tutelare preferisce, ove possibile, il coniuge
che non sia separato legalmente o, in alternativa,
la persona “stabilmente convivente”; l’art. 417 c.c.,
relativo all’istanza di interdizione e inabilitazione,
ammette che essa possa essere promossa dalla persona stabilmente convivente; in materia di semplificazione delle norme in materia di immobili di
proprietà degli Istituti Autonomi per le Case Popolari, l’art. 1, comma 598 della L. n. 266/2005, prevede che “in caso di rinunzia da parte dell’assegnatario, subentrano, con facoltà di rinunzia, nel diritto all’acquisto nell’ordine: il coniuge in regime di
separazione dei beni; il convivente more uxorio
purché la convivenza duri da almeno cinque anni,
i figli conviventi, i figli non conviventi”. Proseguendo, in materia di procreazione assistita l’art. 5
della L. n. 40/2004 prevede che possono accedere
alle tecniche di procreazione medicalmente assistita “coppie maggiorenni di sesso diverso, coniugate
o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi”.
Copiosa è, altresì, l’elaborazione giurisprudenziale
che qualifica le elargizioni tra conviventi dirette a
contribuire al normale svolgimento del menage familiare in termini di adempimento di obbligazione
naturale, con il conseguente effetto della soluti retentio (26). Esse trovano fondamento nella solidarietà familiare, e dunque nel dovere di contribuzione ai bisogni dell’altro convivente e della comunità domestica. Si afferma, in particolare, che dall’instaurazione del rapporto di convivenza discende
che “eventuali contribuzioni di un convivente all’altro vanno intese come adempimenti che la co-
Il comma 36 dell’art. 1 prevede che “Ai fini delle
disposizioni di cui ai comma da 37 a 67 si intendono per ‘conviventi di fatto’ due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e
di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione,
da matrimonio o da un’unione civile”; il successivo
comma 37 dispone che “Ferma restando la sussistenza dei presupposti di cui al comma 36, per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4
e alla lettera b) comma 1 dell’art. 13 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223”.
Elemento costitutivo della convivenza di fatto è,
dunque, la “stabile convivenza”, mentre strumento
di accertamento di detto requisito è la verifica anagrafica: la dichiarazione anagrafica non ha, dunque, valenza costitutiva del rapporto, né è, invero,
l’unico mezzo di accertamento. Esso sancisce l’emersione ufficiale dell’instaurata convivenza: in tal
senso si segnala l’intervento del Tribunale di Milano con ordinanza 31 maggio 2016 (28), ove si legge che “avendo la convivenza natura fattuale, e
cioè, traducendosi in una formazione sociale non
esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile
formale, la dichiarazione anagrafica è strumento
privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo”; con riferimento alla disposizione dell’art.
1, comma 36, l’Autorità Giudiziaria sottolinea come “la definizione normativa che il legislatore ha
introdotto per i conviventi è scevra da ogni riferimento ad adempimenti formali... In altri termini il
convivere è un “fatto” giuridicamente rilevante da
cui discendono effetti giuridici ora oggetto di regolamentazione normativa”.
le successioni e donazioni diretto da Bonilini, III, La successione
legittima, 47 ss.; C. Coppola, La successione del convivente more uxorio, in Il diritto delle successioni, Successione e diritti del
coniuge superstite e del convivente more uxorio diretto da Bonilini, 379 ss.: Dogliotti, Famiglia di fatto, in Dig. disc. priv., Sezione Civ., VIII, 190; Spadafora, Rapporto di convivenza more uxorio e autonomia privata, 22 ss.; Palermo, Convivenza more uxorio e famiglia naturale, in Giur. it., 1999, 1908 ss.
(25) C. Coppola, La successione del convivente more uxorio,
cit., 47 ss.
(26) Cfr. Cass. 12 luglio 2011, n. 15301, in Giust. civ., 2011,
11, 2582; Cass. 30 maggio 2008, n. 14481, in Mass. Giust. civ.,
2008, 5, 842.
(27) Così, Cass. 22 gennaio 2014, n. 1277, in Foro it., 2014,
I, 1149.
(28) Attualmente inedita.
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scienza sociale ritiene doverosi nell’ambito di un
consolidato rapporto affettivo che non può non
implicare, pur senza la cogenza giuridica di cui all’art. 143 c.c. comma 2, forme di collaborazione
e...di assistenza morale e materiale” (27).
L’analisi del testo normativo. La nozione di
stabile convivenza di cui al comma 36
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assistenza morale e materiale al compagno di vita.
Il riconosciuto dovere di solidarietà trova riscontro, come si vedrà, nella disciplina degli alimenti.
È interessante sottolineare come la stabilità non
dipenda necessariamente dalla durata del rapporto,
non essendo neppure previsto un termine minimo,
ma dalla sostanza e intensità dei comportamenti,
dall’impegno dei conviventi, se vogliamo anche
maggiore di quello dei coniugi se si considera che,
essendo esso connotato da perdurante precarietà, è
legato ad un consenso che può venir meno in ogni
momento.
In questa prospettiva, assumono rilievo talune pronunzie giurisprudenziali. Il pensiero va alla sentenza della Cass. 21 marzo 2013, n. 7214 (31), che ha
riconosciuto tutela possessoria all’ex convivente
non proprietario, estromesso dal godimento della
casa familiare senza la concessione di un congruo
termine per reperire altra adeguata sistemazione.
Le conclusioni dei giudici presuppongono che la
convivenza dia luogo ad un consorzio familiare,
con la possibile individuazione di una casa in cui si
concentri il programma di vita comune, sì che sorge, in capo al convivente non proprietario, un potere di fatto basato su un interesse proprio ben diverso dal rapporto derivante da mera ospitalità, tale da assumere i connotati di una detenzione qualificata. Significativa è, altresì, la pronunzia n. 6855
del 3 aprile 2015 che ha ravvisato nella sussistenza
di una convivenza connotata da “stabilità” e “continuità” una valida ragione per far venir meno definitivamente il diritto assegno di divorzio (32) .
Individuato, pur senza definirlo, il fenomeno sociale di riferimento, il legislatore detta alcune disposizioni, concernenti sia la sfera personale sia il profilo prettamente patrimoniale dei rapporti tra conviventi.
La disposizione del comma 36 individua, dunque,
quali conviventi di fatto soggetti maggiori di età
tra i quali deve sussistere, quale elemento positivo,
un vincolo affettivo costante e la reciproca assistenza morale e, in negativo, l’assenza di legami familiari e di rapporti di natura coniugale o derivante da unione civile con terzi (29).
Resta da definire cosa si intenda per convivenza
“stabile”, in assenza di una definizione legislativa (30). Invero, è il vivere insieme come “famiglia”
che distingue la stabile convivenza da rapporti episodici, assurgendo a rilevanza sociale e giuridica. Il
riferimento va, allora, alla “famiglia di fatto” quale
fenomeno socialmente rilevante, che ricorre nel
caso di stabile unione tra due persone, non necessariamente di sesso diverso, senza che l’unione
venga formalizzata (col matrimonio o, oggi, con
l’unione civile), col sostanziale rispetto dei doveri
matrimoniali in attuazione di un programma di vita comune. Il rapporto si fonda, allora, sulla spontaneità dei comportamenti dei conviventi, i quali
formano un nucleo affettivo di comunione di vita
ed interessi. Essi danno vita ad un’unione che realizza, pur nella costante revocabilità dell’impegno,
una comunione spirituale e materiale, un progetto
di vita comune che presuppone assistenza e protezione reciproca, in attuazione di un dovere di solidarietà posto a fondamento di qualsiasi comunità
di tipo familiare. Non ogni forma di convivenza
può essere, pertanto, inquadrata nel novero delle
famiglie di fatto. Dinanzi al proliferare di eterogenee forme di relazioni, si ritiene necessario il ricorrere di due essenziali requisiti, idonei a circoscrivere il fenomeno: a) il primo, attinente alla sfera soggettiva, consistente nell’affectio coniugalis, vale a dire nella volontà di modellare la relazione ad immagine del rapporto coniugale, con conseguente osservanza dei “doveri matrimoniali”, non essendo
sufficiente a tal fine la sola coabitazione; b) il secondo, di tipo oggettivo, si traduce nella serietà, riconoscibilità sociale, tendenziale stabilità del vincolo, il che esclude dal perimetro del fenomeno
tutte le relazioni di tipo occasionale.
Lo svolgimento in via fisiologica della relazione affettiva dà luogo al sorgere di un mutuo dovere di
solidarietà economica che, sul solco di quanto previsto per il matrimonio, si traduce nel dovere di
contribuzione ai bisogni della famiglia di fatto e di
La sfera personale
Le prime disposizioni attengono ad una sfera prettamente personale. Così, il comma 38 prevede che
“i conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento
penitenziario”; il comma 39 prevede che “in caso
di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza, nonché
di accesso alle informazioni personali, secondo le
regole di organizzazione delle strutture ospedaliere
(29) Romeo - Venuti, Relazioni affettive non matrimoniali, cit.
(30) G. Iorio, Il disegno di legge sulle “Unioni Civili” e sulle
“Convivenze di fatto”: appunti e proposte sui lavori in corso, in
Nuove leggi civ., 2015, 5, 1014, ritiene inopportuno e fonte di
dubbi il riferimento ad una unione fondata stabilmente su lega-
mi affettivi di reciproca assistenza senza indicare i criteri per
determinare detta stabilità: ancora una volta la valutazione è rimessa al giudice.
(31) In Corr. giur., 2013, 1532.
(32) In Fam. e dir., 2015, 553.
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o di assistenza pubbliche, private o convenzionate
previste per i coniugi e i familiari”; il comma 40
prevede che “ciascun convivente di fatto può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri
propri o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; b) in caso di morte,
per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie”. Il legislatore interviene, in tal modo, sul
delicato tema delle direttive anticipate di trattamento terapeutico nonché sulle disposizioni post
mortem, prevedendo che la designazione di cui al
comma 40 sia effettuata in forma scritta e autografa
oppure, in caso di impossibilità a redigerla, alla
presenza di un testimone. Tuttavia, la disposizione,
per come formulata, appare foriera di dubbi interpretativi. Difatti, la possibilità di nominare una
persona per il caso di malattia è già prevista dalla
disciplina sull’amministratore di sostegno, che prevede, come già detto in precedenza, che l’interessato possa designare l’amministratore in previsione
della futura incapacità (art. 408 c.c.). Pertanto, o
la disposizione del comma 40 riproduce quella dell’art. 408 c.c., peraltro con la rilevante particolarità
della possibilità di effettuare la scelta per scrittura
privata (laddove l’art. 408 prevede l’atto pubblico
o l’autentica delle sottoscrizioni), oppure deve concludersi che si riferisca a diversi ed ulteriori poteri
del convivente, tuttavia non chiariti dal legislatore. Non sembra, invero, che l’art. 40 abbia portata
tale da legittimare il testamento biologico, la cui
regolamentazione esige una collocazione diversa
nell’ambito della disciplina delle direttive di fine
vita. Quanto invece alla disciplina della donazione
degli organi, la disposizione va coordinata con la
L. n. 91/1999, ritenendo che, per effetto dell’art.
40, L. n. 2016, tutte le volte che la L. n. 91/1999
faccia riferimento al coniuge, sullo stesso piano vadano posti i conviventi di fatto.
Alla sfera personale può essere ricondotta anche la
previsione del comma 48, a norma del quale “Il
convivente di fatto può essere nominato tutore,
curatore o amministratore di sostegno, qualora l’altra parte sia stata dichiarata interdetta o inabilitata
ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all’art. 404 del codice civile”.
I diritti patrimoniali. I temi dell’abitazione e
dell’attività lavorativa
Sul piano dei diritti patrimoniali, il legislatore rivolge l’attenzione in primo luogo al tema dell’abitazione, risentendo in tal modo dell’elaborazione
giurisprudenziale registratasi sull’argomento. Assurgono a rilievo centrale, nell’impianto normativo,
tre disposizioni, tali da costituire un microsistema
normativo sul diritto all’abitazione.
Il comma 42 della legge prevede che “salvo quanto
previsto dall’art. 227 sexies c.c., in caso di morte
del proprietario della casa di comune residenza il
convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un
periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella
stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza
per un periodo non interiore a tre anni”; il successivo comma 43 prevede che “il diritto di cui al
comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa
di comune residenza o in caso di matrimonio, di
unione civile o di nuova convivenza di fatto”. Le
disposizioni in oggetto riecheggiano i diritti riconosciuti dall’art. 540, comma 2, al coniuge superstite;
i primi commentatori ritengono di riconoscere
analoga natura al diritto in oggetto, ravvisando un
legato ex lege di abitazione, con la precisazione che
quest’ultimo diritto non è, nel caso di specie, vitalizio ma necessariamente temporaneo.
Al tema abitativo si richiamano i commi 44 e 45
della legge; il primo (comma 44), in questo saldandosi con la previsione dell’art. 6 della L. n.
392/1978 prevede, che “nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione
della casa di comune residenza, il convivente di
fatto ha facoltà di succedergli nel contratto”.
Il comma 45 invece prevede che, “nel caso in cui
l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca
titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per
l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale
titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto”.
Sia consentito notare come il subingresso del convivente nel contratto di locazione abbia storicamente costituito oggetto di un ampio dibattito dottrinale e giurisprudenziale già prima dell’entrata in
vigore della L. n. 392/1978 (33). Vengono in con-
(33) Cfr. C. Coppola, La successione del convivente more
uxorio, in Il diritto delle successioni, cit., 379 ss.
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siderazione numerosi interventi legislativi diretti a
prorogare, di volta in volta, i contratti di locazione
o sublocazione in essere alla data di entrata in vigore del provvedimento. Già con legge del 1950 si
disponeva che, in caso di morte del conduttore, il
diritto alla proroga operasse in favore di coniuge,
eredi, parenti ed affini del defunto con lui abitualmente conviventi; nel 1974, l’elencazione degli
aventi diritto a proroga del contratto in caso di
morte del conduttore viene modificata, con l’eliminazione della vasta categoria degli eredi, ed il riconoscimento di tale diritto a coniuge, figli, genitori
e parenti entro il II grado abitualmente conviventi.
Ebbene, negli anni Settanta queste previsioni suscitano molteplici istanze nel senso della loro
estensibilità all’abituale convivente del conduttore
defunto. Sollevata questione di legittimità costituzion ale, con pronunzia n. 45 del 14 aprile
1980 (34) la Corte costituzionale decide per l’infondatezza della questione, sottolineando le profonde differenze intercorrenti tra la posizione giuridica del convivente e quella del coniuge, differenze
che la Corte ravvisa nella mancanza, nelle unioni
di fatto, dei caratteri di stabilità, certezza, reciprocità, corrispettività del vincolo.
Le questioni sorte in materia di proroga legale delle
locazioni si acuiscono a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 392/1978: l’art. 6, comma 1, per il
caso di decesso del conduttore, introduce nel nostro ordinamento una vocazione anomala, in forza
della quale si verifica una successione mortis causa
ex lege nel rapporto locatizio avente ad oggetto un
immobile urbano ad uso abitativo, fino alla scadenza prevista. Nell’originario dettato normativo, la
successione viene ammessa a beneficio del coniuge,
degli eredi, di parenti ed affini del de cuius. L’assenza, nel novero di coloro i quali possano succedere
nel contratto, del convivente determina il sorgere
di forti contrasti: nonostante la pronunzia della
Corte costituzionale in materia di proroga dei contratti, viene posta questione di legittimità costituzionale. Con la sent. n. 404 del 7 aprile 1988 (35),
la Corte costituzionale dichiara l’illegittimità dell’art. 6 della L. n. 392/1978 nella parte in cui non
prevede la successione, nel contratto di locazione,
del convivente more uxorio, sottolineando il contrasto tra tale disposizione e gli artt. 2 e 3 Cost.
Trattasi, come detto in precedenza, del primo
espresso riconoscimento di diritti successori a beneficio di chi, pur non essendo legato da un vincolo matrimoniale col de cuius, ha con questi un’unione di fatto. Nell’argomentare della Corte, il richiamo all’art. 2 Cost. non vale ad equiparare il
convivente al coniuge; tuttavia, viene sottolineata
l’incongruenza logica cui condurrebbe l’esclusione
del convivente dall’applicazione di una norma finalizzata alla tutela di una situazione di coabitazione, che proprio in ragione di ciò contempla espressamente tra i beneficiari gli eredi quand’anche essi
siano estranei al nucleo familiare (36).
Il comma 44 dell’art. 1, L. n. 76/2016 riproduce,
dunque, la norma dell’art. 6 della L. n. 392/1978
come risultante dall’intervento della Consulta. La
previsione appare, dunque, superflua per le coppie
eterosessuali, in ragione della perdurante vigenza
della detta norma in tema di locazioni; la portata
precettiva della norma sembra allora ridursi alle
coppie dello stesso sesso.
Al riconoscimento ed alla tutela dell’attività lavorativa prestata nell’ambito del “consorzio familiare”
dal convivente è dedicato il comma 46, che, aggiungendo un nuovo articolo al codice civile, riconosce i diritti del convivente alla partecipazione
agli utili ed alla gestione dell’impresa familiare. Per
il nuovo art. 230 ter c.c., “Al convivente di fatto
che presti stabilmente la propria opera all’interno
dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni
acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione
non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato”. La disposizione in oggetto chiude l’ampio dibattito svilup-
(34) In Foro it., 1980, I, 1564.
(35) In Giur. cost., 1988. 1789 e in Giust. civ., 1988, I, 1654.
(36) Cfr. C. Coppola, La successione del convivente more
uxorio, in Il diritto delle successioni, cit., 379 ss. L’autrice sottolinea come il bisogno abitativo costituisca altresì ratio di ulteriore riconoscimento dei diritti lato sensu successori del convivente, questa volta in materia di alloggi di edilizia residenziale
p u b b l i c a (o s s i a , s e c o n d o la d e f i n i z i o n e d e l d. P . R . n .
1035/1972, gli alloggi costruiti o da costruirsi da parte di enti
pubblici a totale carico o con il contributo dello Stato). Trattasi
di tipologia abitativa sottratta alla legge sull’equo canone, e
come tale non soggetta alla previsione dell’art. 6 della L.
382/1978. Ebbene, in materia, l’art. 12 del d.P.R. 1035/1972
prevede che in caso di decesso del concorrente, abbiano diritto ad ottenere l’assegnazione dell’alloggio, purché conviventi
con l’aspirante assegnatario al momento della sua morte, e inclusi nel nucleo familiare al momento della domanda, nell’ordine coniuge, figli legittimi, naturali riconosciuti, adottivi, affiliati,
ascendenti in primo grado. La figura del convivente more uxorio, il quale abbia stabilmente convissuto con l’aspirante assegnatario almeno due anni anteriori al bando per l’assegnazione, viene inserita in questo elenco in forza della delibera del
CIPE adottata nel 1981 in conformità all’art. 2, comma 2, n. 2,
L. n. 457/1978.
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Legge n. 76/2016
La mancanza di una disciplina “ordinaria” in
materia successoria
Al di là degli specifici interventi innanzi illustrati,
manca, nel nuovo testo di legge, un trattamento
“successorio” a regime per il convivente di fatto, il
che tradisce, in qualche modo, le attese riposte nel
nuovo testo normativo ed appare difficilmente
spiegabile in ragione dei precedenti testi di legge e
del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sul punto.
È interessante notare, al riguardo, come, nell’ambito del dibattito in materia di locazioni di immobili
urbani, all’indomani della citata pronuncia della
Corte cost. n. 404/1988 studiosi ed operatori pratici del diritto innalzano i toni del dibattito, invocando in maniera decisa un trattamento successorio ordinario in favore dei conviventi. In particolare, nello stesso anno, con pronunzia del 21 marzo
1988 il Tribunale di Roma (39) solleva questione
di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 582
c.c., nonché del comma 2, art. 540, facendo appel-
lo agli artt. 2 e 3 Cost. Le questioni sollevate dai
giudici di merito coinvolgono il cuore stesso del sistema successorio, ma la reazione della Corte costituzionale, nella pronunzia 26 maggio 1989, n.
310 (40), appare ancora improntata a logiche tradizionali. In particolare, in maniera analoga alle conclusioni in materia di proroga delle locazioni, i giudici della Consulta ribadiscono le peculiarità e le
chiare diversità della convivenza, quale unione sostanzialmente libera perché nata, per volontà degli
stessi membri, al di fuori di ogni schema, laddove
dal matrimonio nasce un rapporto stabile, certo,
qualificato da reciprocità e corrispettività. Con
specifico riguardo al tema del diritto di abitazione,
la Corte giudica inammissibile il ricorso: tali diritti
sono riconosciuti al coniuge in qualità di legittimario, di talché il convivente more uxorio potrebbe
essere inserito tra i beneficiari del legato soltanto a
seguito di una pronunzia additiva che gli riconosca
tale qualità, il che integrerebbe una indebita ingerenza nelle competenze legislative.
Nei diversi disegni di legge susseguitisi senza fortuna nel tempo, il tema del trattamento successorio
da riconoscere al coniuge appare costantemente affrontato, pur con differenti soluzioni. Nel corso degli anni fanno la loro comparsa, in sede parlamentare, diversi disegni legislativi (ddl Manconi 1996;
ddl Buffo dello stesso anno; ddl sulle “unioni affettive” del 1998). In alcuni casi, si propone la totale
equiparazione tra la condizione di convivente more
uxorio e quella di coniuge; in altri, il trattamento
successorio appare improntato al diritto ad un assegno vitalizio che in qualche modo evoca quanto
previsto per il coniuge separato con addebito o divorziato (41).
La scelta normativa conduce, tuttavia, a risultati
privi di coerenza sistematica. Riconosciuto il fenomeno della famiglia di fatto quale formazione sociale in cui si svolge la personalità dell’individuo, a
seguito degli interventi legislativi del 2012 (stato
unico di filiazione) e del 2016 (tutela delle convivenze), il risultato è quello di un pieno riconoscimento dei diritti dei figli, e di un riconoscimento
attenuato delle aspettative successorie del partner.
L’incoerenza del sistema acuisce sol che si consideri che, in omaggio a quella che è stata definita l’ultrattività del matrimonio, una piena tutela è rico-
(37) Sul punto, cfr. Prosperi, Art. 230 bis, in Commentario
Schlesinger, 2006, 145; Di Rosa, Dell’impresa familiare. Art.
230 bis, in Balestra (a cura di), Della famiglia, artt. 177-342 ter,
II, 2010, 361 ss.; Palmeri, Regime patrimoniale della famiglia, II,
Art. 230 bis, in Commentario Scialoja Branca, 2004, 66 ss.
(38) Cfr., sul punto, F. Romeo - C. Venuti, Relazioni affettive
non matrimoniali, cit., 971 ss.
(39) Trib. Roma 21 marzo 1988, in Giur cost., 1989, II, 474.
(40) Corte cost. 26 maggio 1989, n. 310, in Foro it., 1991, I,
446; in Vita not., 1989, 82.
(41) C. Coppola, La successione del convivente more uxorio,
cit., 47 ss.
patosi in passato in ordine alla applicabilità, in via
analogica, dell’art. 230 bis al convivente di fatto (37). Il testo normativo tuttavia, non è dato sapere se in modo consapevole, “disegna” il trattamento del convivente di fatto all’interno dell’impresa familiare in maniera diversa da quanto
espresso dalla predetta norma per i partecipanti alla famiglia tradizionalmente fondata sul matrimonio. Mettendo a confronto le due disposizioni, infatti, al di là del dato della prestazione lavorativa
(stabile, per il convivente, continuativa per i componenti della famiglia), va sottolineato come il
comma 46 della L. n. 76/2016 riconosca al convivente una partecipazione agli utili prodotti dall’impresa familiare, ma non il diritto al mantenimento
secondo la condizione patrimoniale della famiglia;
inoltre, manca qualsiasi riferimento al diritto di
partecipare all’assunzione delle decisioni gestionali
indicate dall’art. 230 bis c.c. (38). Invero, con una
soluzione più semplice e lineare, il legislatore
avrebbe potuto limitarsi ad aggiungere al novero
dei familiari contemplati dall’indicata norma codicistica il convivente di fatto, così attribuendogli
una tutela più ampia di quella che sembra emergere dal comma 46 della L. n. 76/2016.
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nosciuta al coniuge separato (equiparato al coniuge
non separato per effetto della disposizione dell’art.
585 c.c.), e diritti successori, in forma di assegno a
carico dell’eredità, vengono attribuiti altresì al coniuge separato con addebito ed al coniuge divorziato. In presenza di unioni di fatto, ove i conviventi
non vogliano consacrare il proprio legame nelle
forme del matrimonio o dell’unione civile, lo strumento testamentario diventa passaggio obbligato
per la devoluzione di sostanze, per il tempo successivo alla morte, al convivente; detta attribuzione,
tuttavia, non potrà spingersi oltre la quota disponibile, non potendosi riconoscere diritti riservati al
convivente di fatto. A testimonianza della perdurante anomalia del sistema, e per quanto la disciplina del divorzio breve abbia fortemente attenuato
l’impatto pratico di questa ipotesi, può accadere
che il testatore debba limitare le attribuzioni al
proprio convivente a ciò costretto dall’esigenza di
assicurare i diritti di legittima al coniuge separato.
In questo, la disciplina appare ancora fortemente
ispirata alla centralità del matrimonio e non in linea con le spinte evolutive della più recente legislazione.
Al di là del tema abitativo, la materia lato sensu
successoria è interessata da un’altra disposizione,
quella del comma 49 e sempre in una prospettiva
specifica: il riferimento va al caso di decesso del
convivente di fatto derivante da fatto illecito di un
terzo, stabilendosi il principio per il quale, nell’individuazione del danno risarcibile alla parte superstite, vanno applicati i medesimi criteri individuati
per il risarcimento del danno al coniuge superstite”. Anche in tal caso il legislatore risente del percorso giurisprudenziale in materia: la Corte di Cassazione, in diverse pronunzie (42) riconosce al convivente il diritto al risarcimento sia del danno non
patrimoniale (ex art. 2059 c.c., per un patema analogo a quello che si ingenera nella famiglia legittima) sia del danno patrimoniale (per la perdita del
contributo patrimoniale e personale apportato in
vita dal convivente defunto). Interessante, al riguardo, è una pronunzia della Corte d’Appello di
Firenze del 1996 (43), in cui, nell’ammettere la risarcibilità del danno a beneficio dell’abituale con(42) Per tutte, Cass. 28 marzo 1994, n. 2988, in Resp. civ.
prev., 1995, 564.
(43) App. Firenze 29 aprile 1996, inedita.
(44) Cfr. Gazzoni, Dal concubinato alla famiglia di fatto, 159;
Bernardini, La convivenza fuori dal matrimonio tra contratto e
relazione sentimentale, Padova, 1992; R. Senigaglia, Convivenza more uxorio e contratto, in Nuova giur. civ. comm., 2015, II,
671 ss.
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vivente, si afferma che, alla stregua del diritto vivente, la famiglia di fatto è considerata quale tipica
formazione sociale in cui si estrinseca la personalità
umana, e quindi deve essere adeguatamente tutelata, laddove risulti provata natura, qualità, e stabilità della relazione.
Il Contratto di convivenza
A norma del comma 50, “I conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un
contratto di convivenza”, i cui profili formali sono
regolati dal comma 51, a norma del quale “Il contratto di cui al comma 50, le sue modifiche e la sua
risoluzione, sono redatti in forma scritta a pena di
nullità, con atto pubblico o scrittura privata con
sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme
imperative ed all’ordine pubblico”, ferma restando
la competenza del notaio per gli atti di trasferimento di diritti reali immobiliari comunque discendenti dal contratto di convivenza (comma 60). I contraenti devono avere la maggiore età e la piena capacità di agire.
In via preliminare, sia consentito notare come la
legittimità del contratto di convivenza è stata ammessa in dottrina anche prima dell’entrata in vigore della legge in oggetto (44), sulla base del convincimento per il quale alla liceità del famiglia di
fatto debba necessariamente far riscontro anche la
liceità dell’atto volto a regolare i profili patrimoniali della stessa. La rilevanza giuridica della convivenza non può, infatti, non comprendere gli aspetti
privatistici del rapporto, atteso che ciascun partner
pone affidamento non solo nell’affetto e nella fedeltà dell’altro, ma altresì nella solidarietà patrimoniale, che contribuisce ineluttabilmente a garantire
la stabilità e la continuità della relazione (45). A
questo contratto si è riconosciuta autonomia causa,
ravvisabile nei doveri morali e sociali instaurati
dalla relazione familiare “di fatto” e dunque nella
solidarietà ad essa sottesa (46). I richiamati doveri
segnano il profilo assiologico del regolamento negoziale, chiamato a disciplinare interessi meritevoli
di tutela che si individuano nella volontà e nella
(45) R. Senigaglia, Convivenza more uxorio e contratto, cit.,
680.
(46) Per un’ampia analisi del tema, R. Bassetti, Contratti di
convivenza e di unione civile, Torino, 2014; B. De Filippis, Convenzioni matrimoniali e contratti di convivenza, Padova, 2014;
Oberto, I regimi patrimoniali della famiglia di fatto, Milano,
1991.
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necessità di dare un assetto equilibrato sul piano
patrimoniale alla relazione di convivenza, anche al
fine di prevenire ed evitare liti e giudizi (47), dando, da un lato, certezza ai rapporti economici tra i
componenti dell’unione, regolando dall’altro l’ipotesi in cui la convivenza abbia termine.
Proseguendo nell’analisi del dato normativo, il
comma 52 dispone che “ai fini dell’opponibilità ai
terzi, il professionista che ha ricevuto l’atto in forma pubblica o che ne ha autenticato le sottoscrizioni a norma del comma 51 deve provvedere entro i successivi dieci giorni a trasmetterne copia al
comune di residenza dei conviventi per l’iscrizione
all’anagrafe ai sensi degli articoli 5 e 7 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223”. Il legislatore, in
modo inusuale, adotta quale meccanismo di pubblicità di un negozio giuridico i registri anagrafici,
ai quali la legge di regola riconosce soltanto una
funzione di censimento della popolazione, il che
grava i terzi dell’onere di effettuare presso quei registri indagini normalmente condotte presso i registri dello stato civile nonché presso i registri immobiliari.
Il comma 53 delinea il “contenuto minimo” del
contratto di convivenza, che “può contenere: a)
l’indicazione della residenza; b) le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in
relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità
di lavoro professionale o casalingo; c) il regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III del capo VI del titolo VI del libro I del
codice civile”; dal contratto deve poi risultare l’indicazione dell’indirizzo indicato da ciascuna parte
al quale sono effettuate le comunicazioni inerenti
al contratto medesimo. Al contenuto del contratto
è, altresì, dedicato il comma 56, a norma del quale
esso non può essere sottoposto a termine e condizione; eventuali elementi accidentali si considerano non apposti.
Disciplina dell’obbligo di contribuzione e regime
patrimoniale costituiscono, invero, tratti fisionomici del contratto di convivenza. Quanto al primo,
essendo esso intimamente connesso all’assistenza
morale e materiale richiamata dal comma 36, e
dunque al dovere di solidarietà familiare, trattasi di
situazione giuridica soggettiva sottratta, nella sua
insorgenza, alla autonomia dei privati, assurgendo
ad elemento essenziale della famiglia di fatto, inde-
rogabile nell’an. La previsione del contratto di
convivenza può disciplinare, allora, il quomodo, ossia la fissazione delle modalità con cui ciascuna
parte contribuisce alle necessità della vita in comune (48).
Quanto al regime patrimoniale, la legge, sempre in
ragione dei canoni di solidarietà e reciprocità, offre
ai conviventi di fatto la possibilità di adottare il regime di comunione dei beni, che dunque assume
in tal caso una inusuale genesi pattizia, lasciando
all’interprete il compito di stabilire se da tale scelta
derivi una forma di comunione ordinaria o una comunione sul modello di quella legale.
Tentando un primo percorso sistematico, può dirsi
allora, che, nel caso di matrimonio o di unione civile tra persone dello stesso sesso, la comunione
dei beni costituisce effetto ex lege, derogabile dalle
parti; in caso di stabile convivenza, essa è frutto di
un accordo tra i partners consacrato nel relativo
contratto.
A norma del comma 54, “il regime patrimoniale
scelto nel contratto di convivenza può essere modificato in qualunque momento nel corso della convivenza, con le modalità di cui al comma 51”. Il legislatore non definisce né tipizza contenuto e direzione dell’accordo modificativo del regime patrimoniale: l’unica scelta che sembra ipotizzabile, anche in ragione dell’esigenza di tutela dei terzi, è
quella della separazione dei beni acquistati durante
la convivenza. Non appare possibile, invece, la
scelta di altri regimi quali il fondo patrimoniale.
Se il legislatore individua il contenuto minimo del
contratto di convivenza, non sembrano sussistere
ostacoli ad un contenuto più ampio: quale accordo
sorretto da causa lato sensu familiare, con cui i conviventi di fatto disciplinano i rapporti patrimoniali
relativi alla loro vita in comune, esso può riempirsi
di diversi contenuti, potendo le parti, ad esempio,
prevedere un assetto dei loro rapporti patrimoniali
in occasione della crisi del menage diverso da quello legale, in senso migliorativo per il partner economicamente svantaggiato (49). Stante il divieto
dei patti successori, non sembra invece possibile
ovviare, tramite il contratto di convivenza, al silenzio legislativo relativamente alla devoluzione
ereditaria del patrimonio del convivente.
Dal testo normativo sin qui delineato, emergono
talune criticità. Il regime pubblicitario, come detto
in precedenza, appare quanto meno oscuro. Fonte
(47) Così, Trib. Savona 24 giugno 2008, in Fam. e dir.,
2009, 4.
(48) Cfr., sul punto, F. Romeo - M.C. Venuti, Relazioni affetti-
ve non matrimoniali, cit., 971 ss.
(49) In tal senso, F. Romeo - M.C. Venuti, Relazioni affettive
non matrimoniali, cit., 971 ss.
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di dubbi interpretativi è, altresì, il regime dei contratti modificativi del regime patrimoniale adottato. Alla stregua delle considerazioni effettuate in
precedenza, l’unica modifica ipotizzabile è quella
relativa all’adozione del regime di separazione dei
beni. Ebbene, il legislatore reputa a tal fine succedanee le scritture private con sottoscrizioni autenticate da notaio o da avvocato, salvo ricordare che,
per i trasferimenti immobiliari, rimane l’esclusiva
competenza notarile. Ebbene, a parere di chi scrive
il combinato disposto dei commi 54 e 51 sulla forma delle modifiche ai contratti di convivenza può
operare solo allorquando i conviventi, scelto il regime della comunione dei beni, convengano di
adottare quello della separazione senza aver medio
tempore compiuto alcun acquisto immobiliare.
Ove, invece, un acquisto vi sia stato, e ritenendo
che a seguito di esso tra i conviventi si instauri
un’autentica comunione legale, il passaggio da quest’ultima alla comunione ordinaria implica una
modifica del regime giuridico della proprietà immobiliare che rende applicabile l’ultima parte del
comma 60, e dunque la competenza notarile per
vicende immobiliari comunque discendenti dal
contratto di convivenza.
Sul piano patologico, sono cause di invalidità insanabile del contratto, a norma del comma 57, a) la
presenza di un vincolo matrimoniale, di un’unione
civile o di un altro contratto di convivenza; b) la
violazione del comma 36 (relativo alla fattispecie
di riferimento della disciplina sulle stabili convivenze; c) la minore età, l’interdizione giudiziale di
uno dei contraenti; d) la condanna per il delitto di
cui all’art. 88 c.c. (a norma del quale non possono
contrarre matrimonio tra loro persone delle quali
l’una è stata condannata per omicidio consumato o
tentato sul coniuge dell’altra).
Di particolare interesse è la disciplina dei casi di risoluzione del contratto di convivenza, che coincidono, in larga misura, con le causa di cessazione
del rapporto.
Al comma 59, il legislatore individua quattro cause
di risoluzione: a) l’accordo tra le parti; b) il recesso
unilaterale; c) il matrimonio o unione civile tra i
conviventi o tra un convivente ed altra persona;
d) la morte di uno dei conviventi. Con riguardo al-
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le “cause volontarie” di risoluzione (accordo tra le
parti e recesso unilaterale) il legislatore impone il
rispetto delle forme di cui all’art. 51; la risoluzione
del contratto, nel caso in cui sia stato scelto il regime di comunione dei beni, implica lo scioglimento
della comunione e, in quanto compatibili, si applicano le disposizioni in materia di comunione legale
dei beni, in virtù del rinvio contenuto nel comma
60.
A norma del comma 61, in caso di recesso unilaterale, il professionista che riceve o che autentica
l’atto è tenuto, oltre agli adempimenti di cui al
comma 52, a notificarne copia all’altro contraente
all’indirizzo risultante dal contratto. Nel caso in
cui la casa familiare sia nella disponibilità esclusiva
del recedente, la dichiarazione di recesso deve contenere il termine, non inferiore a novanta giorni,
concesso al convivente per lasciare l’abitazione.
Trattasi di un’ipotesi di contenuto necessario richiesto dal legislatore per la validità del negozio
unilaterale di recesso, con prescrizione la cui ratio
è, ancora una volta, ravvisabile nella salvaguardia
del diritto fondamentale dell’abitazione.
La cessazione della convivenza di fatto e il
diritto agli alimenti
A norma del comma 65, “in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice stabilisce il diritto
del convivente di ricevere dall’altro convivente gli
alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia
in grado di provvedere al proprio mantenimento”.
Il legislatore definisce anche durata, misura, ordine
degli alimenti, prevedendo che essi siano assegnati
“per un periodo proporzionale alla durata della
convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 428, secondo comma, c.c.”. Ai fini della determinazione dell’ordine degli obbligati ai sensi
dell’art. 433 c.c., l’obbligo alimentare del convivente di cui al presente comma è adempiuto con
precedenza sui fratelli e sorelle.
La disciplina degli alimenti, che riconosce al convivente meno abbiente una tutela patrimoniale
proporzionata alla durata del rapporto, costituisce
il corollario, sul piano patologico, del dovere di solidarietà tra conviventi durante il corso del rapporto.
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Procedure concorsuali
Concordato liquidatorio
Offerte concorrenti ex 163 bis
l.fall. ed esecuzione
del contratto preliminare
di Vincenzo Gunnella (*)
Con l’entrata in vigore dell’ultima riforma delle procedure concorsuali si impone un procedimento di verifica della competitività per il compimento, da parte dello stesso imprenditore, di alcuni
atti di straordinaria amministrazione, nel periodo che va dalla presentazione dell’istanza di ammissione alla procedura di concordato preventivo, alla sua omologazione. Compiti e controlli del
notaio nell’eseguire, a valle della verifica di competitività, un contratto preliminare stipulato prima della presentazione dell’istanza: il preliminare può sopravvivere? Come interferisce il regime
del contratto con quello delle procedure concorsuali?
Introduzione
La L. 6 agosto 2015, n. 132 ha convertito il D.L.
27 giugno 2015, n. 83, determinando numerose
modifiche alla disciplina delle procedure concorsuali e della soluzione negoziale delle crisi d’impresa (1); parallelamente, ha iniziato il suo percorso
una legge delega per la riforma organica della materia (2), che raccoglie i lavori elaborati dalla commissione Rordorf, quindi è probabile che l’assetto
risultante dalla riforma portata dalla L. n. 132 venga ulteriormente modificato; tuttavia si segnala da
più di un autore la crisi nella quale sembra destinato ad entrare l’istituto del concordato liquidatorio,
in virtù dei vincoli portati dalla riforma.
Le novità che riguardano più da vicino l’attività
notarile (3), nella fase pre-omologazione, sono la
necessità (nuovo 163 bis) di aprire un procedimento competitivo, non solo per poter procedere al
trasferimento dell’azienda, di un suo ramo o di un
bene specifico, ma anche per l’affitto dell’azienda o
di un suo ramo, nonché per gli atti di straordinaria
amministrazione urgenti da autorizzare a norma del
161 (comma 7), vale a dire quelli da compiersi tra
la presentazione dell’istanza e il decreto di ammissione; altra novità portata dalla riforma, della quale
non tratteremo, è l’acquisizione al patrimonio del
fallimento dei beni oggetto di atti a titolo gratuito
nel biennio precedente, mediante trascrizione della
sentenza di fallimento contro il beneficiario (nuovo art. 64, comma 2).
Nella fase di esecuzione del concordato, possiamo
segnalare la nuova disciplina introdotta dai nuovi
comma, successivi al primo, dell’art. 195 l.fall., che
impone al debitore l’obbligo di compiere ogni atto
necessario a dare esecuzione alla proposta di concordato presentata da uno o più creditori, se omologata; ove il commissario giudiziale rilevi che il
debitore non sta provvedendo al compimento degli
atti necessari a dare esecuzione alla proposta o ne
sta ritardando il compimento, deve riferirne al tribunale (4), che, sentito il debitore, può attribuire
(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla
valutazione di un referee. Il presente lavoro riprende le argomentazioni svolte in occasione di un incontro formativo interdisciplinare tenutosi a Firenze il 18 aprile 2016.
(1) Risultano ancora pochi contributi editi; per una prima
rassegna, v. AA.VV., La nuova riforma del diritto concorsuale,
Torino, 2015, 1, in nota.
(2) Disegno di legge delega n. 3671 Camera dei Deputati,
approvato dal Consiglio de Ministri il 10 febbraio 2016.
(3) Tra le novità introdotte di interesse non prettamente no-
tarile si segnalano: i contratti pendenti del concordato, una
modifica in tema di accordi di ristrutturazione con intermediari
finanziari, una revisione dei requisiti per essere nominati curatori, la possibilità di chiudere il fallimento con cause pendenti
ed infine viene portato da sei a nove mesi (dalla presentazione
del ricorso) il termine entro il quale deve intervenire la omologazione. V. amplius AA.VV., op. cit.
(4) Parimenti il soggetto che ha presentato la proposta di
concordato approvata e omologata dai creditori può denunziare al tribunale i ritardi o le omissioni da parte del debitore.
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al commissario giudiziale i poteri necessari a provvedere in luogo del debitore al compimento degli
atti a questo richiesti; il tribunale può anche revocare l’organo amministrativo, se si tratta di società,
e nominare un amministratore, attribuendogli il
potere di compiere ogni atto necessario a dare esecuzione alla proposta, ivi inclusi, qualora preveda
un aumento del capitale sociale del debitore, la
convocazione dell’assemblea straordinaria dei soci
avente ad oggetto la delibera di aumento di capitale e l’esercizio del voto nella stessa (5).
Il procedimento concordatario in breve
Gli effetti dell’apertura del procedimento di concordato, iniziano a prodursi, per l’imprenditore,
dalla data di deposito del ricorso ex art. 161, e, per
i terzi, dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese (6); sembra ormai tramontata, la tesi che voleva far decorrere tali effetti dalla data di deposito
del decreto di ammissione alla procedura (7), argomentando dalla circostanza che la mancanza degli
organi (Giudice Delegato e Commissario Giudiziale) potrebbe portare alla paralisi dell’impresa; in tal
modo può allinearsi la data di produzione degli effetti protettivi della procedura, con il corrispondente “spossessamento attenuato” dell’imprenditore, e le limitazioni al suo potere dispositivo.
La procedura si apre con la presentazione della domanda di ammissione ex art. 161 l.fall., proposta
con ricorso sottoscritto dal debitore al tribunale
competente in ragione della sede dell’impresa; la
pubblicità della domanda è data dal deposito effettuato dal cancelliere nel registro delle imprese entro il giorno successivo al deposito in cancelleria.
Il Tribunale effettua una prima valutazione di ammissibilità del ricorso e provvede con decreto, di
cui allo stesso 161 (comma 6), a determinare alcuni obblighi per il debitore; in genere con lo stesso
decreto viene nominato il Commissario Giudiziale.
Spesso la domanda viene presentata “in bianco”,
vale a dire priva della proposta rivolta ai creditori,
(5) Quando è stato nominato il liquidatore a norma dell’art.
182, i compiti di amministratore giudiziario possono essere a
lui attribuiti.
(6) P.F. Censoni, in Trattato delle procedure concorsuali, IV,
Concordato Preventivo ecc., Milano, 2016, 76 ss.; in tal senso
sono ormai orientate la dottrina e la giurisprudenza maggioritarie; per tutti v. D. Spagnuolo, Il concordato preventivo e gli
accordi di ristrutturazione dei debiti, in Le nuove leggi dell’economia, Torino, 2014, 162.
(7) Per una rassegna delle teorie contrapposte, v. anche
Maffei - Alberti, Commentario breve alla Legge Fallimentare,
Padova, 2009, 963.
(8) Sul contenuto della proposta, la riforma ha previsto che
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del piano di liquidazione, e della relazione dell’attestatore, documentazione che può essere depositata entro un termine fissato dal giudice compreso
tra sessanta e centoventi giorni (8).
il Tribunale, con decreto ai sensi dell’art. 163,
comma 1, dichiara aperta la procedura, delega un
Giudice, ordina la convocazione dei creditori entro
centoventi giorni, e, se non nominato prima, nomina il Commissario Giudiziale, che deve redigere
un inventario e predisporre una sua relazione per
l’adunanza dei creditori da depositare in cancelleria
almeno quarantacinque giorni prima; il decreto ha
la stessa pubblicità della sentenza di fallimento
(art. 166).
La fase successiva vede l’approvazione del piano da
parte del comitato dei creditori; una volta approvato il piano, il Giudice Delegato riferisce al Tribunale che fissa l’udienza in Camera di Consiglio per
la comparizione delle parti e del Commissario Giudiziale.
Il concordato viene quindi omologato ex art. 180,
con decreto motivato del tribunale, che deve intervenire entro nove mesi dalla presentazione dell’istanza; il decreto ha la stessa pubblicità della sentenza di fallimento.
Gli effetti dell’apertura del procedimento
concordatario ed il regime autorizzativo
Per descrivere gli effetti che l’apertura della procedura ha nei confronti dell’imprenditore (9), si usa
il termine spossessamento attenuato (10): l’imprenditore mantiene la gestione dell’impresa, non perdendo né l’amministrazione né la disponibilità dei
suoi beni, tuttavia il suo patrimonio subisce una
sorta di segregazione, essendo destinato al nuovo
fine esclusivo della soddisfazione delle ragioni dei
creditori; lo spossessamento attenuato si manifesta
quindi come una limitazione dei poteri di amministrazione e disposizione, nel senso che vedremo.
Dalla data di pubblicazione del ricorso nel Registro
delle imprese e fino al momento di omologazione
essa debba assicurare il pagamento di almeno il venti per cento dei crediti chirografari (a meno che si tratti di concordato
con continuità); sul contenuto del piano, che illustra le modalità
ed i tempi di adempimento della proposta, viene ora previsto
che si debba individuare l’utilità specificamente procurata a
ciascun creditore.
(9) Sull’argomento, qui trattato in maniera necessariamente
sintetica, v. per tutti amplius, ibid., 394 ss.
(10) V. amplius, M. Fabiani, Concordato Preventivo, in Fallimento e Concordato Preventivo, II, in Commentario del Codice
Civile e codici collegati Scialoja - Branca - Galgano, a cura di
Giorgio De Nova, Bologna, 2014, 395 ss.
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tra il deposito del ricorso e l’omologazione, abbia
gli strumenti per verificare la regolarità del procedimento autorizzativo e di verifica della competitività, nell’interesse del debitore stesso e dei terzi
che si trovano a contrattare con il medesimo (11).
del concordato preventivo, i creditori (art. 168),
non possono, a pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive o cautelari; non possono inoltre
acquisire diritti di prelazione, salvo che vi sia autorizzazione del Giudice Delegato; le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la
pubblicazione del ricorso sono inefficaci rispetto ai
creditori anteriori al concordato.
Effetti riflessi nei confronti dei terzi sono previsti
dall’art. 67, comma 2, lett. e): non sono soggetti
all’azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie posti in essere in esecuzione del concordato
preventivo,... nonché ... legalmente posti in essere
dopo il ricorso di cui all’art. 161 tra il deposito e
l’ammissione.
Per effetto dello spossessamento attenuato, l’imprenditore deve sottoporre a vaglio gli atti di straordinaria amministrazione che intende compiere, sia
che la proposta sia rivolta ad ottenere l’omologa di
un concordato in continuità, che di concordato liquidatorio: prima del decreto di ammissione, è
competente il Tribunale e possono essere autorizzati solo gli atti urgenti; dopo, è competente il Giudice Delegato; nel concordato liquidatorio, dopo
l’omologazione, la competenza all’autorizzazione
per le vendite di aziende o rami, e di immobili, si
trasferisce al comitato dei creditori.
La riforma prevede che per questi atti sia, in genere, previsto un particolare procedimento di verifica
della competitività; in alcuni casi, essa prevede anche rimedi contro l’inerzia del debitore, indicando
chi possa compiere l’atto in sua sostituzione. Nulla
vieta che il debitore, che mantiene l’amministrazione dei suoi beni, possa compiere un atto di
straordinaria amministrazione senza l’autorizzazione
prescritta, ovvero trasgredendo il procedimento di
verifica della competitività, ma in questo caso il
compimento dell’atto espone a conseguenze sia il
debitore, che il terzo contraente.
Da qui la necessità che il notaio, chiamato a ricevere un atto di straordinaria amministrazione,
compiuto dal debitore, nel periodo intercorrente
La materia delle offerte concorrenti è trattata dall’art. 163 bis (12), che va letto alla luce del nuovo
quinto comma dell’art. 182 (13).
L’art. 163 bis dispone che, se il piano prevede il
trasferimento (anche non immediato) a titolo oneroso dell’azienda, di un suo ramo o di un bene specifico, a favore di un terzo, si deve aprire un procedimento competitivo; la stessa procedura si applica
anche all’affitto dell’azienda o di un suo ramo, ed
agli atti di straordinaria amministrazione urgenti,
da autorizzare nel periodo intercorrente tra il deposito dell’istanza e il decreto di ammissione, a norma del 161, comma 7.
L’art. 182, comma 5, prevede che alle vendite, alle
cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o
in esecuzione di questo, si applicano gli artt. da
105 ad 108 ter, in quanto compatibili (vendita
competitiva).
Una lettura, che potrebbe portare a conciliare il
dettato delle due norme, vede il 163 bis come norma che detta il procedimento, mentre il 182, comma 5, come norma che disciplina gli effetti dell’atto, nel senso di chiarirne la coattività e di prevederne l’effetto purgativo.
La rubrica dell’art. 163 bis “Offerte concorrenti” illustra bene l’obiettivo del legislatore: consentire la
presentazione, da parte di terzi interessati, di offerte migliorative rispetto a quella contenuta nella
proposta di concordato.
I commentatori della riforma hanno concordemente posto l’accento sulla circostanza che si è voluto
perseguire lo scopo di ottenere la maggiore perfor-
(11) Sulla rappresentanza della società in concordato preventivo v. D. Boggiali - A. Ruotolo, Quesito CNN n. 83-2015/I,
Concordato preventivo e rappresentanza della società, i quali
evidenziano che l’autorizzazione al compimento di una determinata operazione concessa nella fase anteriore all’omologazione del concordato impone un’ulteriore e successiva valutazione di merito in ordine alla legittimazione al compimento dell’atto, con soluzioni che dipendono dall’essere detta transazione ricompresa o meno nel piano omologato; v. anche D. Boggiali, Studio CNN n. 163-2012/I, I limiti all’attività negoziale del
debitore sottoposto a procedure concorsuali, in Studi e Materiali
CNN 2013-1, 171 ss.
(12) Per le interessanti notazioni sulle novità introdotte dalla
riforma, oltre a M. Ratti, in La nuova riforma del diritto Concorsuale, Torino, 2015, 156 ss. e R. Bogoni, ibid., 281 ss., v. anche
A. Farolfi, Concordato Preventivo le novità di Agosto, in www.ilfallimentarista.it, pubblicato in data 11 dicembre 2015, visitato
il 9 aprile 2016, L. Varotti, Riforma legge fallimentare: concordato preventivo, offerte concorrenti, contratti pendenti e atti a titolo
gratuito, in www.altalex.it, pubblicato in data 3 settembre
2015, visitato il 9 aprile 2016, Id., Appunti veloci sulla riforma
2015 della legge fallimentare, I Parte, in www.ilcaso.it, pubblicato in data 18 maggio 2015, visitato il 9 aprile 2016.
(13) Secondo P.F. Censoni, cit., 79, potrebbe esservi un
problema di raccordo tra le discipline previste dai due articoli
in questione.
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Le offerte concorrenti e la verifica di
competitività
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mance possibile dalla procedura di cessione, per
soddisfare al meglio le ragioni dei creditori; altra
notazione comune è che, con questa innovazione,
che trae spunto da ben note prassi virtuose (14), si
è inteso reagire alla consuetudine di proporre piani
concordatari preconfezionati, nei quali fossero già
individuati il soggetto cessionario e il corrispettivo
atteso; e ciò, sia nell’ipotesi in cui il piano fosse
supportato da una offerta del terzo per l’acquisto
dell’azienda o di asset significativi, sia nell’ipotesi
del vero e proprio “concordato chiuso” basato sull’adempimento di un contratto preliminare già stipulato dall’imprenditore prima della presentazione
dell’istanza.
Nel caso di proposte concordatarie cc.dd. “vincolate”, era infatti preclusa l’applicazione dell’art. 182
l.fall., in ossequio ad una impostazione che valorizzava il carattere dell’autonomia del debitore nella
formulazione della proposta di concordato (15),
controbilanciata dalla sola possibilità per il comitato dei creditori di approvare la proposta ovvero di
rifiutarla integralmente; con il difetto, però, di sottrarre alla procedura competitiva l’alienazione dell’azienda (o di uno o più dei suoi rami), attraverso
un uso distorto del meccanismo, che non consentiva di ottenere ricavi pienamente corrispondenti ai
valori di mercato (16).
L’introduzione dell’art. 163 bis risponde, quindi, alle istanze del ceto creditorio, introducendo l’obbligo di una procedura che garantisca la pubblicità
delle offerte ed il rispetto del principio di concorrenza (17).
Esaminiamo partitamente l’ipotesi dell’offerta concorrente (18) rispetto a quella della procedura
competitiva, da esperirsi nei confronti di un preliminare già stipulato, che tratteremo successivamente, in quanto portatrice di problematiche ulteriori e peculiari.
Esaminando le posizioni soggettive, e con riguardo
alla figura del legittimato alla presentazione della
offerta concorrente, si ritiene che esso potrebbe
anche essere un socio della società debitrice o un
soggetto legato in qualunque modo al debitore, sia
esso persona fisica che giuridica, poiché non dovrebbero valere le limitazioni poste dall’art. 163
(in materia di proposte concordatarie concorrenti);
la posizione soggettiva del soggetto “primo offerente” può invece dover essere modificata, ove egli intenda adeguarsi alle (eventualmente diverse) condizioni poste dal Tribunale con il decreto che dispone l’apertura del procedimento competitivo; in
questo caso la sua offerta, se così adeguata e munita di garanzia, diviene irrevocabile.
Venendo a trattare l’ambito di applicazione delle
offerte concorrenti, la lettura congiunta del comma
5 dell’art. 182 e dell’art. 163 bis, consente di ritenere applicabile l’ipotesi di offerta concorrente anche a tutte quelle ipotesi in cui il debitore, prima
di formulare la proposta, si è già impegnato a trasferire successivamente l’azienda o rami o asset significativi; tanto è vero che la eventuale successiva
cessione è assoggettata, sin dal momento del deposito dell’istanza, al regime di competitività ex artt.
105 ss., come disposto dal comma 5 dell’art. 182.
Il procedimento competitivo viene aperto e disciplinato dal Tribunale con decreto, si ritiene, con
ampia discrezionalità (19). Il decreto, appunto, stabilisce le modalità di presentazione di offerte irrevocabili, prevedendo che ne sia assicurata in ogni caso la
comparabilità, i requisiti di partecipazione degli offerenti, le forme e i tempi di accesso alle informazioni rilevanti, gli eventuali limiti al loro utilizzo e le modalità
con cui il commissario deve fornirle a coloro che ne
fanno richiesta, la data dell’udienza per l’esame delle
offerte, le modalità di svolgimento della procedura competitiva, le garanzie che devono essere prestate dagli offerenti e le forme di pubblicità del decreto.
Se l’offerta “di base” non presenta le medesime caratteristiche previste dal decreto, sia in termini di
garanzia che in termini di irrevocabilità, sarà onere
(14) Il riferimento è, tra l’altro, alle prassi dei Tribunali di Milano (concordato “Fondazione Centro San Raffaele del Monte
Tabor”) e di Bologna (concordato “La Perla”).
(15) V. M. Fabiani, op. cit., 60 ss. e Cass., Sez. I, 20 gennaio
2011, n. 1345, in DeJure, Fallimento - concordato preventivo.
(16) Nella prassi, segnalata da più voci (v. per tutti M. Greggio, Le offerte concorrenti nel nuovo art. 163-bis l. fall.: l’eteronomia prevale sull’autonomia?, in www.ilfallimentarista.it, pubblicato il 21 gennaio 2016, visitato il 9 aprile 2016), l’accordo
relativo al trasferimento dell’intera azienda o di asset particolarmente appetibili, veniva concluso con un soggetto vicino all’imprenditore in crisi ed a prezzi inferiori a quelli di mercato,
obbligando i creditori ad accettarne i termini (trasfusi poi nella
proposta di concordato), al fine di evitare la soluzione fallimentare.
(17) La previsione della necessità di esperire una procedura
competitiva, come vedremo, ha, tra l’altro, definitivamente
sciolto ogni dubbio in ordine alla natura di vendita coattiva della vendita in questione.
(18) L’Autore che tratta più diffusamente dell’argomento è
M. Ratti, op. cit.
(19) Per alcuni versi è una discrezionalità vincolata; ad
esempio, si deve ritenere che il tribunale debba prevedere un
miglioramento minimo nelle condizioni economiche offerte, tale da compensare le spese rimborsabili al primo offerente (che
possono essere liquidate fino ad un 3% come previsto dal
comma 4 dell’art. 163 bis), debba considerare i termini di
adempimento e le altre condizioni contrattuali, ivi comprese le
garanzie prestate, già previsti nel contratto preliminare, nell’ipotesi di ricerca di offerte migliorative rispetto all’offerta rappresentata da tale contratto, ecc.
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dell’offerente, che voglia partecipare all’eventuale
incanto con gli altri offerenti, di adeguare la propria offerta, che, a tal punto, diviene irrevocabile
anch’essa.
Anche nel caso in cui l’offerta di cui al comma 1
dell’art. 163 sia rappresentata da un contratto preliminare, potrebbe essere necessario riformulare
l’offerta nei termini previsti dal decreto (20), salvo
il caso in cui sia richiesta espressamente l’autorizzazione a dare esecuzione al preliminare, ed il decreto disponga solamente per la ricerca di un corrispettivo più favorevole.
Le offerte sono rese pubbliche all’udienza fissata per
l’esame delle stesse, alla presenza degli offerenti e di
qualunque interessato. Se sono state presentate più offerte migliorative, il giudice dispone la gara tra gli offerenti.
La complessità della valutazione in ordine al carattere migliorativo delle offerte, soprattutto nei casi
di trasferimenti di azienda, impone al Tribunale
l’individuazione di requisiti che garantiscano la
comparabilità delle offerte, anche in previsione di
dover esperire una gara tra gli offerenti.
Nel caso in cui l’aggiudicatario sia soggetto diverso
dall’offerente originario, quest’ultimo è liberato
dalle obbligazioni eventualmente assunte nei confronti del debitore e in suo favore il commissario
dispone il rimborso delle spese e dei costi sostenuti
per la formulazione dell’offerta entro il limite massimo del tre per cento del prezzo in essa indicato.
Stante l’ampia discrezionalità concessa al Tribunale, ed alla luce del disposto dell’art. 182, comma 5,
che richiama, in quanto applicabili, le norme in tema di vendita competitiva fallimentare, si ritiene
anche che l’esperimento della gara possa essere delegato dal Tribunale ad un professionista (21).
La prima letteratura sull’argomento segnala alcune
possibili difficoltà applicative: l’art. 172 l.fall. impone al commissario giudiziale di depositare la rela-
zione, sulla proposta di concordato, entro quarantacinque giorni dalla data fissata per l’adunanza dei
creditori; il mancato raccordo, della procedura introdotta dall’art. 163 bis con l’art. 172, rende quindi necessario che l’esperimento della gara avvenga
in tempi tali da consentire al commissario di conoscerne l’esito, entro il termine prescritto per il deposito della relazione.
Altra notazione riguarda la circostanza che l’art.
105, comma 3, l.fall. (22), combinato con il disposto dall’art. 47, comma 4 bis, L. n. 428/1990, delinea una complessa procedura sindacale finalizzata
alla conclusione di un accordo tra imprenditore,
terzo acquirente e sindacato, che consenta che il
trasferimento dell’azienda avvenga in deroga all’art. 2112 c.c., con l’evidente utilità per il terzo
acquirente di non onerarsi di tutto il passivo derivante dai rapporti di lavoro subordinati; sul punto
è stata manifestata (23) la preoccupazione che questa procedura paralizzi l’istituto introdotto dall’art.
163 bis, da un lato, per la difficile coincidenza tra i
tempi necessari per le consultazioni sindacali ed il
termine di 120 giorni stabilito per la convocazione
dell’adunanza dei creditori, e, dall’altro, per il possibile ostruzionismo operato dall’imprenditore in
crisi nei confronti dell’offerta concorrente del terzo
a lui potenzialmente “sgradito” (24).
(20) Si verifica una sospensione ex lege dei contratti preliminari pendenti, configurandosi una eccezione a quanto disposto dall’art. 169 bis. v. M. Greggio, op. cit., e Trib. Bergamo, Sez. II civ., circolare operativa n. 2/16 del 3 marzo 2016, in
www.avvocatidibergamo.it.
(21) Potrebbe soccorrere anche, per giustificare la delega al
notaio, il disposto dell’art. 68, comma 2, c.p.c., che consente
la delega di determinati atti, nei casi previsti dalla legge.
(22) Ai sensi del quale “nell’ambito delle consultazioni sindacali relative al trasferimento d’azienda, il curatore, l’acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell’acquirente e le ulteriori modifiche del rapporto di lavoro consentite dalle norme vigenti”.
(23) L. Varrotti, Appunti veloci sulla riforma 2015 della legge
fallimentare, I Parte, op. cit., 4 ss.
(24) In quest’ultimo caso la soluzione prospettata è l’attiva-
zione dei rimedi previsti dall’art. 185, commi 3 ss., oltre alla
possibilità di revoca dell’ammissione di cui all’art. 173, v. Greggio, op. cit.
(25) Per definire la vendita coattiva è utile ricordare che la
Cass. (n. 11729/1993) ha statuito che “il carattere giudiziale e
coattivo non dipende dalle modalità adottate per la liquidazione dell’attivo fallimentare, ma dall’essere l’atto inserito nel procedimento concorsuale, quale momento necessario per il conseguimento delle finalità espropriative”.
(26) La risposta a questa domanda incide profondamente
sulla disciplina formale e sostanziale della vendita, si pensi alle
menzioni urbanistiche e fiscali, alle allegazioni imposte per legge, al regime delle garanzie, e così via; si segnala peraltro una
recentissima Risposta a Quesito (Quesito di Impresa n. 2032015/I dell’Ufficio Studi del CNN, a firma di Daniela Boggiali e
Antonio Ruotolo) in senso difforme: gli Autori concludono, nel
senso di ritenere applicabile la normativa sulla conformità ca-
354
La successiva vendita (coattiva)
La riforma ha sciolto ogni dubbio in ordine alla
natura coattiva (25) della vendita concordataria;
non solo, ma, nel prevedere, che la vendita avvenga, in tutti i casi, a valle di un procedimento competitivo, ha coerentemente reso applicabile il regime della vendita coattiva anche alla vendita effettuata dallo stesso debitore sin dal momento in cui
si apre la fase concordataria con la presentazione
dell’istanza ex art. 161 l.fall. (26); in questo caso si
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tratterà di una vendita fatta non necessariamente
“contro” la volontà del debitore, ma indipendentemente dalla sua volontà, sussistendo comunque gli
altri requisiti tradizionalmente previsti per le vendite competitive (controllo dell’autorità giudiziaria,
esecuzione nell’interesse dei creditori, distribuzione
del ricavato sotto la sorveglianza dell’autorità giudiziaria).
Sarà così possibile effettuare la vendita anche in
pendenza di una procedura espropriativa in corso,
che deve ritenersi interrotta per effetto dell’apertura
del procedimento concorsuale; sarà inoltre possibile
ottenere (27) la purgazione dei gravami mediante
decreto del tribunale o del giudice delegato (28), delegare la vendita (l’udienza e gli atti che la precedono o la seguono) ad un professionista, escludere la
responsabilità dell’acquirente per i debiti sorti prima
del trasferimento (29).
Sembrano quindi sciolti i dubbi che esistevano sulla
possibilità di effettuare la vendita dell’azienda prima
della nomina del liquidatore, e su come coordinare
una tale vendita con il disposto dell’art. 2560, comma 2, che, a questo punto, dovrebbe ritenersi inapplicabile alla fattispecie in questione; non solo ma
l’esclusione dalla responsabilità dell’acquirente dovrebbe valere anche per i debiti, sorti in corso di
procedura, ammessi in prededuzione.
Infine, si può ritenere che la vendita effettuata a
valle del procedimento competitivo rimanga salva,
con tutela piena dei diritti del terzo acquirente, anche nell’ipotesi di declaratoria di inammissibilità
della domanda di concordato preventivo, e ciò anche alla luce del tenore dell’art. 67, comma 2, lett.
e); resta invece da esaminare la posizione giuridica
dell’aggiudicatario, ove il procedimento si interrompa prima del perfezionamento dell’atto di vendita (30).
L’esecuzione del contratto preliminare
Diversi problemi di coordinamento nascono nell’ipotesi in cui la ricerca di offerte concorrenti deve
tastale alla vendita effettuata prima della omologazione del
concordato preventivo, sia pure in senso prudenziale.
(27) Art. 182, comma 5, secondo periodo: “La cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione nonché delle
trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di
ogni altro vincolo sono effettuati su ordine del giudice, salva
diversa disposizione contenuta nel decreto di omologa per gli
atti a questo successivi”.
(28) Riporta R. Bogoni, op. cit., 281, la Relazione alla Camera al disegno di legge n. 3201: “si è provveduto a rimuovere
qualsiasi dubbio circa l’effetto purgativo anche delle cessioni
effettuate prima dell’ammissione alla procedura di concordato,
purché debitamente autorizzate, nonché delle cessioni attuate
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essere esperita relativamente alla esecuzione di un
contratto preliminare, già stipulato dall’imprenditore prima della presentazione dell’istanza di cui all’art. 161, e il cui ricavato costituisca elemento
portante per garantire l’adempimento della proposta di concordato; ai fini della disamina delle problematiche connesse considereremo l’ipotesi del
preliminare di vendita immobiliare redatto in forma notarile e quindi debitamente trascritto, in ordine al quale l’imprenditore richieda l’autorizzazione all’esecuzione.
Anche per questa fattispecie, stante il disposto dell’art. 163 bis, si pone, come necessario prius per la
sua esecuzione, la procedura di verifica di competitività; il decreto, con cui si dispongono le modalità
della procedura competitiva, dovrebbe esaurire anche la fase di autorizzazione alla vendita successiva,
e potrebbe disporre financo in ordine alla purgazione dei gravami.
La problematica, inerente alla fattispecie in questione, si inserisce nel più ampio contesto, non ancora sufficientemente esplorato, dell’esame dell’interferenza tra regime del contratto e regime delle
procedure concorsuali (31), ragion per cui le considerazioni di seguito illustrate tendono a proporre
questioni più che a risolverle.
Preliminarmente, occorre convenire se l’atto di
trasferimento che andrà a compiersi a favore dell’acquirente definitivo, sia esso l’originario promittente acquirente, ovvero colui che ha presentato
un’offerta migliorativa, ovvero ancora colui che sia
risultato aggiudicatario in esito ad una procedura
competitiva, possa mutare la sua natura (di atto di
adempimento del preliminare) e la sua disciplina, a
seconda dell’esito della procedura di ricerca di offerte migliorative di cui all’art. 163 bis.
Potrà infatti verificarsi che il decreto di apertura
della procedura competitiva modifichi o meno le
condizioni del preliminare, ed ancora, in entrambi
i casi, che la ricerca di una offerta migliorativa dia
o meno esito positivo; quid iuris, infatti, nell’ipotesi
che nessuno presenti offerte migliorative? La venin esecuzione del concordato omologato, ma a opera di un
soggetto diverso dal liquidatore giudiziale, come accade per
esempio quando la proposta non prevede la nomina di un liquidatore fiale o per le dismissioni previste ai sensi dell’articolo
186 bis primo comma nell’ambito di un concordato con continuità aziendale”. V. anche Ibid., 285 ss.
(29) Vi sono però perplessità per quanto riguarda i crediti
da lavoro subordinato; v. per tutti M. Varotti, op. cit., e M. Ratti, op. cit., 171.
(30) V. sul punto M. Ratti, op. cit., 174 ss.
(31) V. tra gli altri, il recente lavoro di G. Moreschini, I contratti pendenti nel concordato preventivo, Milano, 2016.
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dita stipulata in esecuzione del preliminare, che,
come già esaminato, ha natura di vendita coattiva,
costituirà atto di adempimento del preliminare,
con tutte le conseguenze del caso, o, per effetto
dell’apertura della procedura competitiva, deve ritenersi che il preliminare abbia perduto di effetto?
Forse questa seconda conclusione non è appagante,
in quanto sembrerebbe precludere la possibilità per
l’imprenditore (e quindi per la procedura) di chiedere l’adempimento al promittente acquirente che
non abbia inteso partecipare alla competizione,
eventualmente adeguando la sua offerta. Del resto,
leggendo il comma 4 dell’art. 163 bis, parrebbe che
la liberazione del primo offerente, in questo caso il
promittente acquirente, avvenga solo con la vendita o l’aggiudicazione, se precedente, a soggetto diverso da lui; argomentando a contrario, si dovrebbe
desumere che il preliminare originario rimanga valido ed efficace fino al verificarsi dell’evento dedotto, che dovrebbe operare, appunto, come una causa
di risoluzione ex lege.
E, se la vendita è esecuzione del preliminare, come
si concilia, ad esempio, il regime delle garanzie delle vendite coattive, con l’eventuale regime “standard” che fosse stato previsto nel preliminare? Ancora, se nel preliminare è prevista una destinazione
specifica del ricavato della vendita a beneficio solo
di alcuni creditori (ipotecari o meno), e ciò nello
specifico interesse del promittente acquirente, è legittimo dare attuazione a questa pattuizione, e in
che limiti? Collegata a questa domanda è la questione che può sorgere in generale in merito alla
destinazione del ricavato della vendita, vale a dire
se il prezzo possa essere versato a mani dell’imprenditore, ovvero se esso debba essere versato a mani
del commissario giudiziale, o, comunque, canalizzato in modo da assicurarne la disponibilità al fine
della soddisfazione dei creditori.
Ancora, quale è la sorte dell’eventuale caparra versata dal promittente acquirente? Nell’ipotesi in cui
si addivenga alla stipula con l’originario promittente acquirente, essa sarà ovviamente imputata in
conto prezzo, con l’obbligo per l’acquirente di versare il solo saldo; ma nell’ipotesi in cui sia altro
soggetto a procedere all’acquisto, l’originario promittente acquirente potrà pretendere la restituzione della caparra (che dovrebbe intendersi equivalente ad una cauzione prestata per la partecipazione alla gara) o dovrà essere considerato creditore
chirografario per tale titolo? In questa seconda ipotesi parrebbe così manifestarsi una convenienza,
per la procedura, nello stipulare con un soggetto
diverso dall’originario acquirente.
Come abbiamo visto, essendo già presente un contratto preliminare compiutamente formato, la procedura competitiva potrà riguardare solamente la
ricerca di una offerta migliorativa riguardo al prezzo, ma potrà riguardare anche la ricerca di offerte
migliorative riguardo alle condizioni complessive
della vendita (garanzie, dilazioni di pagamento,
ecc.) (32); il Tribunale, infatti, potrà disporre, a
sua discrezione, anche accogliendo le proposte del
debitore, sia in un senso che nell’altro; tuttavia, la
scelta non sembra priva di conseguenze, in quanto
nel primo caso (miglioramento del prezzo) si potrebbe ipotizzare un fenomeno di sostituzione del
contraente nel precedente contratto preliminare (33), mentre nel secondo caso (mutamento in
melius delle condizioni) mantenere in vita il precedente preliminare, con i suoi effetti, può apparire
più difficile; da qui una considerazione ulteriore, in
quanto, nella fattispecie che si esamina, il preliminare si suppone trascritto; quindi, ove si ipotizzi
una sostituzione del contraente nel precedente preliminare, saranno probabilmente salvi gli effetti
prenotativi della trascrizione, mentre nell’ipotesi
contraria potrebbe permanere più di un dubbio al
riguardo; di conseguenza, come regolare la fattispecie in cui tra la trascrizione del preliminare e l’apertura della procedura siano intervenute iscrizioni
ipotecarie a carico del bene promesso in vendita?
Questi gravami saranno in ogni caso purgabili, in
esito alla vendita coattiva, ma i creditori ipotecari
avranno privilegio sul ricavato?
Poiché in esito all’esperimento della procedura
competitiva del 163 bis il debitore può essere tenuto a rimborsare al precedente promittente acquirente le spese sostenute per la formulazione dell’offerta fino al tre per cento del prezzo indicato, si
può ritenere che l’offerta migliorativa debba rispettare una soglia minima di miglioramento superiore
al 3%?
Ove si ritenga che il successivo atto di vendita
non segua, come atto di adempimento, il precedente preliminare, come può provvedersi alla cancellazione della trascrizione del preliminare? Forse il decreto che autorizza la procedura e la successiva
vendita dovrebbe prevedere un ordine di cancella-
(32) Intuitivamente la fattispecie si complica notevolmente
quando il preliminare ha per oggetto il trasferimento di un’azienda.
(33) Supponendo che si aderisca alla tesi che il preliminare
sopravvive.
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Procedure concorsuali
zione per sopravvenuta inefficacia, o quale generico gravame da purgare ex art. 182, comma 5?
Da ultimo, quale è il regime degli eventuali oneri
di intermediazione pattuiti in sede di preliminare e
collegati alla vendita in questione? Occorre prevedere qualcosa nel disporre il regolamento della procedura competitiva?
La procedura competitiva dovrebbe avere forma libera, rispettando tuttavia i requisiti posti dalla norma in questione, che delinea i tratti di una asta, alla quale il primo offerente (promittente acquirente) avrà l’onere di partecipare, ove desideri entrare
nell’eventuale incanto; è legittimo ritenere che,
ove in sede di stipula del contratto preliminare il
promittente acquirente abbia provveduto al versamento di una caparra confirmatoria, il tribunale
possa “allineare” la cauzione richiesta per la presentazione dell’offerta concorrente all’importo già
versato dal promittente acquirente, mentre non
debba essere richiesta alcuna ulteriore forma di garanzia al promittente acquirente, la cui “proposta”
è già per definizione irrevocabile, in quanto contenuta in un contratto (34).
La natura di vendita coattiva del contratto definitivo porta anche a ritenere che, nell’ipotesi di inerzia dell’imprenditore nell’addivenire alla stipula del
contratto definitivo, il tribunale o il giudice delegato, a seconda delle ipotesi, possano provvedere
ai sensi dell’art. 185, commi 3 ss., dettato in materia di proposte concordatarie concorrenti, ma da ritenersi applicabili anche alla nostra fattispecie in
via di interpretazione analogica (35), e quindi “attribuire al commissario giudiziale i poteri necessari
a provvedere in luogo del debitore al compimento
degli atti a questo richiesti”.
Come abbiamo potuto vedere, sorgono molti dubbi
sulla ricostruzione della fattispecie; possiamo tuttavia trarre alcune conclusioni operative per si trovasse a dover predisporre un contratto preliminare
tra un imprenditore prossimo alla presentazione
dell’istanza di cui all’art. 161 l.fall., e che quindi
debba essere di ausilio alla proposta concordataria;
anzitutto potrebbe essere prevista una condizione
risolutiva collegata all’esito, sfavorevole per il promittente acquirente, della procedura competitiva
ex art. 163 bis l.fall., con ciò risolvendo anche la
problematica dell’annotamento di cancellazione a
margine dell’eventuale trascrizione; inoltre, mentre
il versamento di una somma a titolo di garanzia dovrebbe comunque essere previsto, per assicurare serietà alla proposta, purtuttavia, tale versamento potrebbe essere qualificato come deposito cauzionale
ed affidato al notaio rogante, in modo da consentirne la restituzione al promittente acquirente nel
caso in cui la procedura competitiva abbia per lui
esito sfavorevole; infine, i termini di adempimento
dovrebbero tenere conto della necessità di esperire
la procedura competitiva.
Parallelamente, nella predisposizione dell’istanza al
Tribunale affinché sia aperta la procedura competitiva ex art. 163 bis l.fall., e quindi, in esito alla stessa, sia concessa l’autorizzazione alla stipula del contratto definitivo relativo al preliminare, dovrebbero essere tenute presenti le considerazioni sin qui
svolte, soprattutto nell’ipotesi in cui, per ottemperare alla necessità, imposta dalla norma, di esperire
la verifica della competitività del preliminare sottoscritto, si possa correre il rischio di non poter più
pretendere dall’originario promittente acquirente,
l’adempimento del medesimo (36).
(34) È da ritenere infine che l’asta possa essere delegabile
e tenuta anche con le modalità dell’asta notarile telematica.
(35) V. L. Varotti, op. cit.
(36) Tutte le considerazioni qui svolte in merito al contratto
preliminare immobiliare possono essere utilizzate, mutatis mutandis anche per il preliminare di cessione di azienda, e per il
patto di opzione contenuto nell’affitto di azienda.
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Prestito vitalizio ipotecario
L’inutilità dell’ipoteca
nel “prestito vecchietti”
di Angelo Chianale (*)
Secondo la legge che lo disciplina, il prestito vitalizio ipotecario è garantito da ipoteca di primo
grado su immobili residenziali. In realtà questa ipoteca non svolge l’usuale funzione di garanzia,
ma serve per rendere opponibile ai terzi il mandato a vendere l’immobile, attribuito ex lege al finanziatore stesso, in base ad uno schema tipico di patto marciano.
Il prestito vitalizio ipotecario (regolato dalla L. 2
aprile 2015, n. 44) ha terminato la propria gestazione normativa con l’emanazione del regolamento
attuativo, in vigore dal 2 marzo 2016 (1). I giuristi,
con i notai in prima fila, iniziano ad interpretare le
nuove regole, cercano di inserirle nel sistema civilistico, ed individuano i numerosi problemi pratici
che ne derivano (2).
Un aspetto generale non deve essere trascurato.
A che cosa serve l’ipoteca, che deve assistere il
prestito vitalizio ipotecario?
La mia risposta è: non serve a nulla. O, per meglio
dire, non svolge affatto la funzione di garanzia,
normalmente assegnata ad un’ipoteca, ma viene
piegata ad altro scopo. Cioè a rendere opponibile
ai terzi il potere di vendita stragiudiziale dell’immobile, attribuito dalla legge al finanziatore.
Riassumendo la nuova (3) figura contrattuale: 1) il
finanziatore concede al consumatore (4) ultrasessantenne un mutuo, con capitalizzazione annua di
interessi e spese, e con rimborso integrale in unica
soluzione alla morte del finanziato (oppure in caso
di alienazione del bene, oppure ancora in presenza
di determinati eventi pregiudizievoli per il creditore stabiliti dal regolamento di attuazione (5)); 2) il
mutuo deve essere garantito da ipoteca di primo
grado su un immobile residenziale; 3) in assenza di
rimborso entro i dodici mesi dalla morte del finanziato (o dal trasferimento del bene, oppure ancora
da un evento pregiudizievole), il finanziatore vende l’immobile al prezzo di mercato, come da apposita perizia indipendente, trattiene le somme ricavate dalla vendita per estinguere il prestito, e versa
agli aventi diritto - normalmente gli eredi - l’eventuale eccedenza tra il prezzo incassato ed il debito,
per capitale, interessi e spese; 4) l’importo del debito residuo non può superare il ricavato della vendita dell’immobile, cosicché gli eredi del finanziato
non sono mai chiamati a sopportare il rischio di
cross-over (cioè di debito che viene a superare il
valore del bene), salvo intendano comunque conservare la proprietà dell’immobile; 5) il terzo acquirente è in sostanza protetto da ogni contestazione
sul trasferimento ereditario del bene, poi venduto
dal finanziatore.
(*) Mi permetto di utilizzare il termine “prestito vecchietti”
coniato, con allegra simpatia e viscerale (e condivisibile) insofferenza per gli istituti creati dal legislatore senza alcuna visione
sistematica, dal prof. Mazzamuto al Convegno di Taormina il
15 e 16 aprile 2016.
(1) Decr. MSE, 22 dicembre 2015, in G.U. del 16 febbraio
2016, n. 38.
(2) Cfr. l’approfondito studio di Mannella - Platania, Il prestito vitalizio ipotecario, nei Quaderni del Notariato, Milano, 2015.
(3) Non proprio nuova, in quanto già prevista, ma senza accurata regolamentazione, dalla L. 2 dicembre 2005, n. 248, di
conversione del D.L. 30 settembre 2005, n. 203, mediante inserimento del comma 12 all’art. 11 quaterdecies.
(4) Il finanziato deve essere una persona fisica, non profes-
sionista, con conseguente applicazione del Codice del consumo.
(5) Tra gli eventi pregiudizievoli il regolamento include: atti
compiuti con dolo o colpa grave, imputabili al finanziato, che
riducano significativamente il valore dell’immobile; costituzione sull’immobile di diritti reali di garanzia a favore di terzi; modifiche all’immobile rispetto allo stato originario, anche se
autorizzate dalla P.A.; revoca dell’abitabilità dell’immobile per
incuria o mancanza di adeguata manutenzione; presenza di altri soggetti residenti nell’immobile, esclusi familiari e personale
di servizio; iscrizione di ipoteche giudiziali; procedimenti conservativi od esecutivi per importo pari o superiore al venti per
cento del valore dell’immobile.
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Ipoteca
Quindi si tratta di una trasmissione di debito agli
eredi, limitato però al valore dell’immobile. Uno
strumento destinato, subito, a fornire liquidità agli
anziani (ed alle loro famiglie) proprietari della casa di abitazione, ma con reddito basso; poi, a sottrarre la proprietà del bene agli eredi, con tutta
probabilità privi dei mezzi per rimborsare il finanziatore; e, in generale, a premiare con lauti interessi e commissioni il rischio assunto dal finanziatore.
Siamo di fronte ad un legal transplant di modelli di
common law, in particolare dei non recourse mortgages diffusi negli Stati Uniti (alla base, giova ricordarlo, della crisi dei mutui subprime nel 2007),
mediati da precedenti esperienze di civil law, in
particolare da quella francese (artt. L. 314-1 ss. c.
cons.) (6). Il mutuatario ed i suoi eredi non rispondono del debito con tutto il proprio patrimonio, ma soltanto con l’immobile finanziato. Il risultato è una legge che interseca numerosi regole
e principi basilari del diritto civile, come la responsabilità del debitore estesa a tutti i suoi beni
presenti e futuri, la nullità del mandato post mortem, il divieto di anatocismo, il divieto del patto
commissorio, il patto marciano, la tutela reale del
legittimario. Ma, soprattutto, che utilizza istituti
tipici del nostro diritto civile, come l’ipoteca ed il
mandato ad alienare, forzandoli a riprodurre meccanismi operativi elaborati in altri contesti giuridici. Una maggiore consapevolezza avrebbe potuto
licenziare un testo di legge migliore; e nel futuro
potrà condurre l’interprete a soluzioni razionali,
anche al prezzo di rinunciare agli abituali criteri
ermeneutici.
Merita, dicevo, specifica attenzione il profilo dell’ipoteca, che si ritiene “rappresenti il perno centrale
dell’intera impalcatura del prestito vitalizio ipotecario”, anche a causa “dell’importanza che la garanzia ipotecaria riveste in questo contratto per il
finanziatore” (7). Ma, in realtà, così non è.
Vediamo come opera questa ipoteca.
a) La legge richiede l’iscrizione di ipoteca di primo
grado. Come tutti sanno, il grado dell’ipoteca rileva soltanto al momento della distribuzione della
somma ricavata in sede di espropriazione. Non esiste una “nota di iscrizione in primo grado”. La norma comunque significa che non può essere conces-
so un prestito vitalizio ipotecario, qualora l’immobile sia già gravato da precedenti ipoteche (volontarie, giudiziali, o legali).
b) Si ritiene che l’art. 2855, comma 2, c.c., che limita la prelazione ipotecaria a due annate di interessi, non sia applicabile al prestito vitalizio (8).
L’ipoteca infatti deve coprire tutte le annualità degli interessi, capitalizzati dal finanziatore, che in
base alla struttura del contratto vanno pagati in
unica soluzione al momento del rimborso.
c) C’è anche da chiedersi se sia derogata la regola
fondamentale posta dall’art. 2809 c.c. a tutela del
debitore e, soprattutto, del mercato immobiliare:
l’ipoteca si iscrive “per una somma determinata in
danaro”, e tale somma costituisce il massimo ricavo
coperto dalla prelazione ipotecaria in sede di espropriazione. Esiste invero un argomento letterale,
che conduce alla risposta negativa: la legge dichiara applicabile l’art. 39, comma 3, T.U.B., che nei
mutui fondiari con clausole di indicizzazione garantisce il creditore con l’ipoteca sino all’importo effettivamente dovuto in base a tali clausole, quale
eccezione al principio generale. Quindi l’adeguamento automatico della somma iscritta varrebbe
soltanto per il prestito vitalizio a tasso variabile, e
non anche per un prestito non indicizzato. E ciò
dimostrerebbe l’usuale funzione della somma iscritta, quale limite massimo della prelazione, anche
nel prestito vitalizio. Il che però contrasta con la
natura tipicamente aleatoria di questo contratto:
l’ammontare finale degli interessi capitalizzati, da
pagare al finanziatore, è necessariamente incerto
nel quantum, perché dipende dalla durata della vita
del finanziato. Credo si possa quindi ritenere che
l’intero credito sia protetto dalla prelazione ipotecaria, in virtù della specialità della normativa in
esame. Il richiamo all’art. 39, comma 3, T.U.B. va
quindi riferito al meccanismo di aumento automatico della somma ipotecaria, a copertura degli interessi del prestito vitalizio ipotecario, comunque essi
siano calcolati, anche senza indicizzazione.
d) Non sono applicabili invece, per mancato richiamo, le norme dettate dall’art. 39 T.U.B. per la
riduzione e la restrizione dell’ipoteca, e per il suo
frazionamento (9).
(6) Cfr. il panorama di diritto comparato in Mannella e Platania, op. cit., 15 ss., al quale merita aggiungere le soluzioni
sostanzialmente conformi del Québec, del Belgio, e della Spagna.
(7) Così con enfasi Mannella - Platania, op. cit., 118 e 126,
che aggiungono: “Nel contratto in questione l’ipoteca rappre-
senta non solo una tipica forma di garanzia ma costituisce un
requisito essenziale, strutturale che lo qualifica e concorre a
definirne la causa, una centralità espressa e valorizzata ancor
di più dalla nuova formulazione del prestito vitalizio” (118 s.).
(8) Mannella e Platania, op. cit., 122 s.
(9) Mannella - Platania, op. cit., 121 s.
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Ipoteca
e) La cancellazione dell’iscrizione può comunque
avvenire con le modalità semplificate di cui all’art.
40 bis T.U.B. (10).
Ma, in realtà, tutto questo sforzo ermeneutico sull’ipoteca è totalmente inutile, così come nella pratica si rivelerà del tutto inutile iscrivere e poi cancellare l’ipoteca stessa.
Infatti, si è detto, il finanziatore ha il potere di
vendere l’immobile per estinguere il debito, restituendo l’eccedenza. Nessun finanziatore, pur avendone la facoltà, ricorrerà all’esecuzione forzata ordinaria per far valere la prelazione ipotecaria. Anche per questa via, tra l’altro, il debito residuo non
può superare il prezzo ricavato dalla vendita giudiziale (11). Il potere del finanziatore di vendere il
bene scatta in caso di inadempimento, cioè quando
“il finanziamento non sia integralmente rimborsato
entro dodici mesi dal verificarsi degli eventi di cui
al citato comma 12”: morte del finanziato, trasferimento di diritti reali o di godimento sull’immobile,
altri eventi pregiudizievoli. Interviene qui il correttivo marciano: le “eventuali somme rimanenti, ricavate dalla vendita e non portate a estinzione del
predetto credito, sono riconosciute al soggetto finanziato o ai suoi aventi causa”. Si noti come la
legge qui menzioni gli aventi causa del finanziato,
non soltanto i suoi eredi (come nel periodo immediatamente precedente della norma, che consente
all’erede di vendere il bene in accordo con il finanziatore). Quindi il potere di vendere l’immobile
può essere esercitato dal finanziatore in ogni caso
di inadempimento, inclusa la vendita del bene.
L’avvenuta alienazione a terzi dell’immobile, da
parte del finanziato, non deve comportare l’estinzione del potere di rappresentanza, in deroga alle
usuali soluzioni in materia di procura e mandato.
In contrario si osserva che in caso di trasferimento
della proprietà (o della costituzione di un diritto di
superficie o di enfiteusi), la procedura elaborata
dalla legge diventerebbe impraticabile: “non trovando più il bene nel patrimonio del debitore il finanziatore non potrà neppure esercitare il suo potere rappresentativo (poiché è venuto meno l’oggetto dell’incarico)” (12). Soluzione senza dubbio
corretta secondo le categorie ordinanti del mandato, ma in contrasto sia con il dato letterale sopra
ricordato (l’eccedenza viene data agli aventi causa
del finanziato) sia con l’architettura generale della
legge. La coerenza dogmatica delle soluzioni deve
qui lasciare il passo ad una ricostruzione razionale
ed efficiente della nuova disciplina.
In realtà il meccanismo della legge ruota non certo
intorno all’ipoteca (con regole stiracchiate per
l’occorrenza), ma al mandato con rappresentanza,
di fonte legale, concesso al finanziatore in rem propriam (e quindi irrevocabile), esercitabile dopo la
morte del debitore, con le finalità e nei casi previsti dalla legge. Il prezzo della vendita estingue il
debito con restituzione dell’eccedenza agli aventi
diritto. Quindi il finanziatore non è affatto garantito dall’ipoteca, ma dal patto marciano, che dà sostanza al mandato legale a vendere e conforma il
relativo potere del finanziatore. Soluzione, questa,
del tutto simile al power to sell che spetta al mortgagee di common law (per il diritto inglese v. il Law
of Property Act, 1925, sects. 101-107).
Il legislatore italiano doveva trovare uno strumento idoneo a rendere opponibile agli aventi causa
del soggetto finanziato l’esercizio del potere di vendita da parte del finanziatore. Ed ha usato l’ipoteca,
che era a portata di mano e si trovava anche nell’equivalente francese - dove però, con maggiore
logica e coerenza, il creditore ha la scelta tra l’ordinaria esecuzione forzata ipotecaria e l’assegnazione
dell’immobile in pagamento, sia mediante sentenza
sia mediante un patto marciano traslativo eventualmente stipulato al momento del mutuo; ma
non gode del potere di vendere il bene -. Tra l’altro, nel sistema italiano l’ipoteca in taluni casi già
assume una funzione cautelare, anziché di garanzia.
Forse sarebbe stato meglio introdurre una nuova
estensione dell’art. 2645 c.c. (che dopo i bis, ter, e
quater, è diventata la sedes materiae di ciò che non
si sa bene dove inserire nel codice civile) per prevedere la trascrizione del patto marciano (anche
solo ad effetti obbligatori), relativo ad un immobile, affiancato dal mandato a vendere concesso a favore del creditore, anche esercitabile post mortem.
E comunque si sarebbe potuta stabilire, una volta
per tutte, all’interno dell’art. 2744 c.c., la validità
del patto marciano.
L’uso incoerente dell’ipoteca e del mandato a vendere, inoltre, impediscono di modulare l’attività
del finanziatore, come avviene nei modelli origina-
(10) Mannella - Platania, op. cit., 124.
(11) Mannella - Platania, op. cit., 178 s.
(12) Così Mannella e Platania, op. cit., 177 s.; ne segue una
spiegazione, oltremodo immaginifica, della regola che attribuisce agli aventi causa l’eccedenza tra prezzo incassato e debito:
si tratterebbe, oltre che degli eredi del finanziato, dei soggetti
a favore dei quali il finanziato stesso avrebbe disposto, inter vivos (quindi cessionari) o mortis causa (quindi legatari), del credito futuro alla liquidazione dell’eventuale eccedenza, e dei
quali il legislatore avrebbe avuto la lungimiranza di preoccuparsi.
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Ipoteca
ri di common law. In particolare manca ogni disciplina per il caso di successivi gravami e diritti sull’immobile, non opponibili al finanziatore: ad
esempio, contro il finanziato viene iscritta un’ipoteca giudiziale, oppure viene iniziata una procedura
esecutiva, oppure il finanziato stesso concede a terzi un diritto reale di godimento sul bene. Si verifica quindi l’evento, che per legge consente la vendita del bene. Il finanziatore (mandatario a vendere), dopo l’incasso del prezzo di vendita, dovrà conservare l’eccedenza, e gestirla a favore dei creditori
iscritti, di quelli procedenti, e degli acquirenti di
un diritto reale di godimento che vantano il credito per l’evizione? Dovrà attendere provvedimenti
giudiziari definitivi prima di effettuare i pagamenti?
Oppure verserà subito tutta l’eccedenza al finanziato? La prima soluzione in common law è ovvia,
poiché si assegna al creditore la qualifica di trustee
per la somma incassata a beneficio dei terzi che
vantano diritti sul bene, estinti a seguito della vendita (13). Anche con la nostra nuova legge si può
giungere a questo risultato, sia pure con evidenti
difficoltà operative, dando un significato, per così
dire, dinamico all’obbligo di “riconoscere” l’eccedenza “agli aventi diritto” (14).
Inoltre, lascia perplessi la scelta di configurare l’alienazione del bene da parte del finanziato quale
inadempimento, così da far scattare l’esecuzione
(diretta) da parte del finanziatore. Meglio sarebbe
stato prevedere l’inalienabilità del bene, con effetti
reali, salva l’estinzione anticipata del prestito. Più
semplice e coerente, per questo caso, pare la soluzione francese, che prevede appunto l’intervento
del finanziatore nella alienazione al terzo (art.
L313-14 c. cons.).
In conclusione, la vicenda del prestito vitalizio
ipotecario dimostra la difficoltà di recepire con le
usuali categorie ordinanti del diritto civile gli istituti nati in altri contesti giuridici. Mostra in particolare un’utilizzazione poco meditata dell’ipoteca, che viene chiamata a svolgere una funzione
ben diversa da quella di garanzia del credito. E soprattutto stimola l’interprete a superare le rigide
soluzioni fornite dalla dogmatica civilistica tradizionale, riconoscendo a categorie e istituti usati
dalle nuove norme la flessibilità che la povertà
concettuale del legislatore, unita ad una scarsa conoscenza del sistema privatistico, non ha consentito di elaborare.
(13) Questa soluzione è espressamente accolta in diritto inglese dal Law of Property Act, 1925, sect. 106.
(14) Mannella - Platania, op. cit., 214, nt. 191, segnalano
questo problema rispetto ai titolari di un diritto reale di godimento, con trascrizione successiva all’iscrizione di ipoteca, i
quali in applicazione dell’art. 2812 c.c. “sono ammessi a far
valere le loro ragioni sul ricavato”. Ma l’articolo citato riguarda
soltanto la vendita giudiziale e la formazione del piano di riparto ad opera del giudice, e non è applicabile alla vendita eseguita dal finanziatore/mandatario. La loro eventuale partecipazione sull’eccedenza dipende soltanto dall’interpretazione che
viene data alla nuova disciplina del prestito vitalizio ipotecario.
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Giurisprudenza
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Sintesi
Osservatorio di giurisprudenza
a cura di Ernesto Briganti
DIRITTI REALI
SERVITÙ DI PASSAGGIO
Cassazione Civile, Sez. II, 30 maggio 2016, n. 11158
Diritti reali - Servitù - Servitù di passaggio - Usucapione Rinuncia per iscritto
La rinuncia per iscritto all’usucapione della servitù di
passaggio fatta dal proprietario del fondo dominante che, dopo avere esercitato il possesso ultraventennale
della servitù, esprima al proprietario del fondo servente
la volontà di non avvalersi della causa di acquisto del
diritto reale minore a titolo originario maturata a favore
del proprio fondo - rileva di per sé, non potendo la sua
efficacia negoziale essere fatta dipendere né dall’avvenuta comunicazione al successivo acquirente, né dall’osservanza dell’onere della trascrizione.
ASSEGNAZIONE IN VIA ESCLUSIVA DEL POSTO MACCHINA
Cassazione Civile, Sez. II, 27 maggio 2016, n. 11034
Diritti reali - Area condominiale - Posto auto - Assegnazione in via esclusiva e a tempo indefinito - Lesione del
diritto di uso e godimento paritario del bene
L’assegnazione, in via esclusiva e per un tempo indefinito, di posti macchina all’interno di un’area condominiale è illegittima, in quanto determina una limitazione
dell’uso e del godimento che gli altri condomini hanno
diritto di esercitare sul bene comune. La predetta assegnazione è di per sé lesiva di un uso e godimento paritario del bene: uso e godimento che va apprezzato sulla
scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili
concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.
L’ART. 1102 C.C. IMPEDISCE AL COMPOSSESSORE
L’USUCAPIONE E LA TUTELA POSSESSORIA
compatibile con l’altrui possesso. Le concrete modalità
di godimento della cosa comune, desumibili dall’art.
1102 c.c., assurgono, dunque, a possibile contenuto di
una posizione possessoria tutelabile contro tutte le attività con le quali uno dei compossessori comproprietari
unilateralmente introduca una modificazione che sopprima o turbi il compossesso degli altri.
NOTAI
RESPONSABILITÀ DEL NOTAIO
Cassazione Civile, Sez. II, 9 maggio 2016, n. 9320
Notai - Istruttoria concernente un mutuo ipotecario - Preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene - Vincolo archeologico - Responsabilità del notaio
Con riguardo all’attività istruttoria concernente un mutuo ipotecario, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e le visure dei registri immobiliari,
in quanto funzionali alla corretta informazione del cliente sulla convenienza dell’atto, fanno parte dell’oggetto
della prestazione d’opera notarile e la redazione della
relazione preliminare comporta l’assunzione di obblighi
non soltanto nei confronti del mutuatario, il quale abbia
da solo dato incarico al notaio di effettuare le visure,
ma altresì nei confronti della banca mutuante e ciò indipendentemente dalla formale assunzione della qualità
di committente nel contratto di opera professionale. Il
vincolo archeologico incide in maniera consistente
quanto meno sul valore di mercato dei beni coinvolti e
rientra nel contenuto obbligatorio informativo della relazione notarile preliminare redatta nel corso dell’istruttoria di un mutuo bancario ipotecario, secondo i canoni
della diligenza qualificata di cui all’art. 1176, comma 2,
c.c.
OBBLIGAZIONI E CONTRATTI
Cassazione Civile, Sez. II, 23 maggio 2016, n. 10624
PRELAZIONE URBANA
Diritti reali - Art. 1102 c.c. - Diritto sulla cosa comune Compossessore - Usucapione - Tutela possessoria Esclusione
Cassazione Civile, Sez. III, 17 giugno 2016, n. 12536
La disposizione dell’art. 1102, comma 2, c.c., secondo la
quale il partecipante alla comunione non può estendere
il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri se
non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso, impedisce al compossessore, che abbia utilizzato la
cosa comune oltre i limiti della propria quota, non solo
l’usucapione ma anche la tutela possessoria del potere
di fatto esercitato fino a quando questo non si riveli in-
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Prelazione urbana - Offerta di acquisto - Comunicazione Esercizio della prelazione - Art. 38, comma 2, legge n.
392 del 1978
La comunicazione al conduttore di una offerta di acquisto cumulativa con l’appartamento confinante è idonea
a consentire l’esercizio della prelazione, anche limitatamente al solo immobile locato, che quindi deve essere
esercitata a pena di decadenza nei termini previsti dall’articolo 38, comma 2, L. n. 392 del 1978.
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Sintesi
ASSEGNO A GARANZIA DI UN DEBITO: NULLO IL PATTO DI
GARANZIA
Cassazione Civile, Sez. I, 24 maggio 2016, n. 10710
Emissione di un assegno in bianco o postdatato - Assegno a garanzia di un debito - Fine di garanzia - Principio
dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c. Patto di garanzia - Nullità
L’emissione di un assegno in bianco o postdatato, cui
di regola si fa ricorso per realizzare il fine di garanzia nel senso che esso è consegnato a garanzia di un debito e deve essere restituito al debitore qualora questi
adempia regolarmente alla scadenza della propria obbligazione, rimanendo nel frattempo nelle mani del
creditore come titolo esecutivo da far valere in caso di
inadempimento - è contrario alle norme imperative
contenute negli artt. 1 e 2 del R.D. 21 dicembre 1933,
n. 1736 e dà luogo ad un giudizio negativo sulla meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, alla luce
del criterio della conformità a norme imperative, all’ordine pubblico ed al buon costume enunciato dall’art.
1343 c.c. Pertanto, non viola il principio dell’autonomia contrattuale sancito dall’art. 1322 c.c. il giudice
che, in relazione a tale assegno, dichiari nullo il patto
di garanzia e sussistente la promessa di pagamento di
cui all’art. 1988 c.c.
REGIME PATRIMONIALE TRA CONIUGI
ESCLUSA LA CADUTA IN COMUNIONE DI UN IMMOBILE
PROMESSO IN VENDITA
Cassazione Civile, Sez. II, 3 giugno 2016, n. 11504
Cassazione Civile, SS.UU., 14 giugno 2016, n. 12190
Società - Società consortile - Scopo mutualistico - Attività
commerciale - Sussistenza
Lo scopo mutualistico non osta, anche ai fini fiscali, allo
svolgimento, da parte della società consortile, di una distinta attività commerciale a scopo di lucro, dovendosi,
in tale evenienza, accertare i rapporti intercorsi tra la
società consortile e le consorziate nell’assegnazione dei
lavori o servizi e nell’esecuzione delle commesse, sì da
poter determinare - con onere a carico del singolo consorziato - se sia o meno necessario il “ribaltamento” integrale o parziale dei costi e ricavi.
INESTENSIBILE ALLA S.R.L. LA DISCIPLINA PREVISTA
DALL’ART. 2367 C.C. IN TEMA DI S.P.A.
Cassazione Civile, Sez. I, 25 maggio 2016, n. 10821
Società - Società di capitali - Art. 2367 c.c. in tema di
S.p.a. - Inapplicabilità alla S.r.l.
È inestensibile alla S.r.l. la disciplina prevista dall’art.
2367 c.c. in tema di S.p.a., stante il mancato richiamo
nella disciplina novellata delle S.r.l. Per altro verso, la
norma parallela (art. 2487, comma, 2 c.c.) non può essere estesa oltre l’oggetto specifico, rubricato “nomina e
revoca dei liquidatori”. L’autonomia e potenziale onnicomprensività della normativa sulla S.r.l. induce ad
escludere l’estensione analogica del meccanismo procedurale di convocazione previsto dall’art. 2367 c.c.:
estensione, già in linea di principio, dissonante con la rigidità dei diversi tipi societari.
CESSIONE DI AZIENDA
Cassazione Civile, Sez. lav., 20 maggio 2016, n. 10541
Comunione dei beni - Art. 177 c.c. - Contratto preliminare
- Art. 2932 c.c. - Trasferimento coattivo dell’immobile Esclusione dalla comunione
Non cade in comunione legale l’immobile che, promesso in vendita a persona coniugata in regime di comunione legale, sia coattivamente trasferito ex art. 2932
c.c., a causa dell’inadempimento del promittente venditore, al promissario acquirente, con sentenza passata in
giudicato dopo che tra quest’ultimo ed il coniuge era
stata pronunciata la separazione.
La comunione legale fra i coniugi, di cui all’art. 177 c.c.,
riguarda gli acquisti, cioè gli atti implicanti l’effettivo
trasferimento della proprietà della “res” o la costituzione di diritti reali sulla medesima, non quindi i diritti di
credito sorti dal contratto concluso da uno dei coniugi,
i quali, per la loro stessa natura relativa e personale,
pur se strumentali all’acquisizione di una “res”, non sono suscettibili di cadere in comunione.
SOCIETÀ
SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ COMMERCIALI NELLE SOCIETÀ
CONSORTILI
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Cessione di azienda - Scorporo dal complesso cedente Autonomia funzionale - Sussistenza
La cessione di ramo d’azienda è ravvisabile quando
quest’ultima dimostri una propria autonomia funzionale già al momento dello scorporo dal complesso cedente e quindi sia in grado di provvedere con i propri mezzi
a uno scopo produttivo senza doversi appoggiare alla
precedente struttura. Il tutto da un punto di vista cronologico va rapportato al momento della cessione.
SUCCESSIONI
INDICAZIONE ERRONEA DELLA DATA NEL TESTAMENTO
OLOGRAFO
Cassazione Civile, Sez. II, 23 maggio 2016, n. 10613
Successione testamentaria - Testamento olografo - Indicazione errata della data - Errore materiale - Possibilità di
rettifica ad opera del giudice
L’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta, cioè ad errore materiale del testatore (per
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Sintesi
distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, però, come
tale, dal testatore, può essere rettificata dal giudice, av-
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valendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, così da rispettare il requisito essenziale della
autografia dell’atto.
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Giurisprudenza
Legittimità
Edilizia convenzionata
I vincoli di prezzo nell’edilizia
convenzionata: una questione
ancora controversa
Cassazione Civile, SS.UU., 16 settembre 2015, n. 18135 - Pres. Rovelli - Est. Bernabai - R.L. c.
RU. NU.
Il vincolo del prezzo massimo di cessione dell’immobile in regime di edilizia agevolata ex art. 35 della L. n.
865 del 1971, qualora non sia intervenuta la convenzione di rimozione ex art. 31, comma 49 bis della L. n. 448
del 1998, è opponibile ai successivi acquirenti dal costruttore, a titolo di onere reale, con efficacia indefinita,
attesa la “ratio legis” di garantire la casa ai meno abbienti, senza consentire operazioni speculative di rivendita. In tal caso, il preliminare di compravendita nel quale sia convenuto un prezzo superiore a quello imposto è
dunque parzialmente nullo, ai sensi dell’art. 1419 c.c., per contrarietà a norma imperativa, ed opera l’integrazione automatica della clausola di “prezzo imposto”, ex art. 1339 c.c.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. 2 settembre 1995, n. 9266, in Giust. civ., 1996, 1, 3265.
Difforme
In tema di legge Bucalossi parzialmente difformi: Cass. 4 aprile 2011, n. 7630, in Riv. not., 2011, 6, 2, 1417; Cass.
2 ottobre 2000, n. 13006, in Riv. not., 2001, 422.
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato il 18 gennaio 1997 la
sig.ra Ru. Nu. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma
la sig.ra R. L. e, premesso di aver stipulato con quest’ultima un contratto preliminare di compravendita avente
ad oggetto il proprio immobile sito in (omissis), comprensivo delle pertinenze della cantina e del posto auto,
edificato su area concessa in diritto di superficie dal Comune di Roma, da lei acquistato dall’impresa di costruzione Nuova Organizzazione Tecnologica s.r.l. nell’ambito di programmi di edilizia residenziale pubblica agevolata e convenzionata, e di aver inutilmente sollecitato la promissaria acquirente alla stipulazione dell’atto
pubblico, chiedeva la risoluzione del contratto con ritenzione della caparra versata.
Costituitasi ritualmente, la sig.ra R. eccepiva che l’appartamento, pur essendo alienabile in virtù dell’autorizzazione concessa dalla regione Lazio, era soggetto a vincolo di determinazione del prezzo: che non era libero,
bensì legato agli specifici parametri richiamati nella
convenzione tra il Comune di Roma e l’impresa costruttrice N.or.tecno.
Chiedeva, a sua volta, in via riconvenzionale, la costituzione in forma specifica del contratto, ex art. 2932
c.c., previa riduzione del prezzo d’acquisto; o in subordine, la risoluzione per inadempimento della promittente
venditrice, con restituzione della caparra e risarcimento
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del danno; o ancora in via gradata, l’annullamento del
contratto preliminare per errore su qualità essenziali del
bene.
Con sentenza 21 marzo 2001 il Tribunale di Roma dichiarava risolto il contratto per inadempimento della
promissaria acquirente, rigettando la domanda riconvenzionale, con diritto da parte della signora Ru. di
trattenere, a titolo di penale, la somma di lire 2 milioni
e condanna dell’attrice alla restituzione dell’ulteriore
somma di lire 100 milioni ricevuta in acconto.
In riforma della decisione, la Corte d’appello di Roma,
con sentenza non definitiva in data 11 novembre 2004,
accertava l’inadempimento della promittente venditrice
a stipulare il contratto, al prezzo da determinare nel
prosieguo del giudizio, secondo i parametri indicati nella convenzione tra il Comune di Roma e la società costruttrice.
Motivava:
- che appariva contraria alla ratio della normativa ed alla giurisprudenza di legittimità (Cass., sez.1, 2 settembre
1995, n. 9266) che l’autorizzazione a vendere l’immobile, per ragioni discrezionali attinenti il singolo acquirente, potesse comportare l’eliminazione, dopo poco tempo
dall’acquisto, di tutti i vincoli legali volti ad assicurare
a soggetti in condizioni economiche meno agiate l’acquisizione a titolo di proprietà piena o, come nella specie, di proprietà superficiaria, di alloggi costruiti con il
contributo dello Stato: in tal modo, consentendo che le
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agevolazioni concesse si trasformassero in uno strumento di speculazione;
- che pertanto il venir meno del vincolo di inalienabilità non aveva come effetto l’assoggettamento dell’immobile alle sole leggi di mercato: che nella specie avrebbero fatto levitare il prezzo di acquisto di lire 97 milioni
nel 1993 - di cui lire 27 milioni in contanti e lire 70
milioni per accollo di mutuo - al ben maggiore prezzo di
lire 315 milioni preteso dalla signora Ru..
- che era quindi nello spirito della legge di evitare ogni
sorta di speculazione commerciale, non solo in occasione della prima vendita, ma anche di quelle successive:
come confermato dalla stessa autorizzazione all’alienazione da parte della regione Lazio, ove era espressamente stabilito che restavano ferme le disposizioni di legge
sul mutuo agevolato a favore del subentrante, e quindi
il perdurante potere di verifica delle condizioni soggettive per la fruibilità del contributo pubblico, incompatibile con la tesi della immissione del bene sul libero mercato;
- che era dunque fondata la domanda di costituzione in
forma specifica del contratto, previa inserzione automatica del prezzo legale in luogo di quello pattuito con
clausola invalida, ai sensi dell’art. 1339 c.c.
All’esito del prosieguo istruttorio, dopo l’espletamento
di consulenza tecnica d’ufficio, la Corte d’appello di Roma, con sentenza 25 ottobre 2007, trasferiva alla sig.ra
R.L. la proprietà superficiaria dell’immobile, subordinatamente al versamento dell’importo di Euro 43.101,61 e
all’accollo di mutuo acceso presso la sezione del credito
fondiario della Cariplo per l’importo originario di lire
91 milioni; con compensazione delle spese di entrambi i
gradi di giudizio.
Avverso la sentenza, non notificata, la sig.ra R. proponeva ricorso per cassazione articolato in due motivi e
notificato il 4 dicembre 2008.
Deduceva:
1) la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.,
artt. 1339 e 1362 c.c. e L. 22 ottobre 1971, n. 865, art.
35, comma 8, (Programmi e coordinamento dell’edilizia
residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per
pubblica utilità; modifiche ed integrazioni alle L. 17
agosto 1942, n. 1150; L. 18 aprile 1962, n. 167; L. 29
settembre 1964, n. 847; ed autorizzazione di spesa per
interventi straordinari nel settore dell’edilizia residenziale, agevolata e convenzionata) nel condizionare l’effetto traslativo al pagamento di Euro 43.101,61 unitamente all’accollo del mutuo: in tal modo, maggiorando
il prezzo di compravendita liberamente pattuito;
2) la violazione dell’art. 92 c.p.c. e la carenza di motivazione nella compensazione delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
La sig.ra Ru.Nu. resisteva con controricorso e proponeva, a sua volta, ricorso incidentale, affidato a quattro
motivi.
Deduceva:
1) la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.,
artt. 1453- 1455 c.c. e L. n. 865 del 1971, art. 35, nonché la carenza di motivazione nel ritenere che il venir
meno del divieto di alienazione per effetto del decorso
366
del termine minimo previsto dalla legge dal primo acquisto non provocasse anche la caducazione degli altri
vincoli relativi alla determinazione del prezzo;
2) la violazione delle medesime norme e la carenza di
motivazione per non aver considerato che i limiti di cui
alla L. n. 865 del 1971, art. 35 restavano comunque
ininfluenti sul rapporto di diritto privato instaurato tra
le parti in causa;
3) la violazione di legge e la carenza di motivazione nel
ritenere nullo un prezzo superiore a quello legale e sostituibile con quest’ultimo;
4) la violazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. e
artt. 1385 e 1386 c.c. nella condanna alla restituzione
della caparra di lire 2 milioni, nonostante la R. non
avesse mai espresso la volontà di voler recedere dal contratto.
La seconda sezione civile di questa Corte, cui il ricorso
era stato assegnato, ravvisando una questione di massima di particolare importanza - se il vincolo del prezzo
massimo di cessione dell’immobile costruito in regime
di edilizia agevolata sia limitato al solo termine di vigenza del vincolo di inalienabilità e valga unicamente
per il concessionario, e non anche per i successivi sub
acquirenti - rimetteva la causa al primo presidente, che
la assegnava alle sezioni unite.
All’udienza del 26 maggio 2015 il Procuratore generale
e i difensori precisavano le rispettive conclusioni come
da verbale, in epigrafe riportate.
Motivi della decisione
Appare prioritaria, in ordine logico, la trattazione del
ricorso incidentale della sig.ra Ru., volto a sostenere la
libera commerciabilità a prezzo di mercato dell’alloggio
popolare, una volta autorizzatane la vendita dalla Regione.
In particolare, con il primo e secondo motivo, da trattare congiuntamente per affinità di contenuto, si deduce,
in sostanza, la connessione tra il divieto di alienazione
e la caducazione degli altri vincoli relativi alla determinazione del prezzo (simul stabunt, simul cadent) nei rapporti privati tra successivi contraenti.
Le censure sono infondate.
Il problema della vendita degli alloggi di edilizia convenzionata soggetti al vincolo sulla determinazione del
prezzo è stato oggetto, nel tempo, di un’interpretazione
ondivaga, che ha risentito della successione anche ad
intervalli di tempo molto brevi, di emendamenti della
disciplina legale.
Un primo indirizzo ha valorizzato soprattutto l’autonomia negoziale delle parti, quale principio informatore
generale in materia; pervenendo alla conclusione che
sia i divieti di alienazione, che i criteri normativi di determinazione del prezzo (o del canone di locazione) fossero applicabili, soggettivamente, solo al primo avente
causa; e cioè, al costruttore, titolare della concessione
rilasciata a contributo ridotto e parte della convenzione-tipo stipulata con il Comune: senza alcun riflesso sui
successivi subacquirenti (Cass., sez. 2, 4 aprile 2011, n.
7630; Cass., sez. 2, 2 ottobre 2000, n. 13006).
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Legittimità
Si contrappone ad esso l’opposta tesi secondo cui la disciplina vincolistica promana da norme imperative, anche se per il medio di convenzioni tra il Comune e il
concessionario (a contenuto, peraltro, predeterminato
dalla legge ed inderogabile): con la conseguenza che l’eventuale violazione dei parametri legali sul prezzo di
cessione sarebbero affetti da nullità ex art. 1418 c.c. e
sostituiti mediante inserzione automatica del corrispettivo imposto dalla legge (art. 1339 c.c. e art. 1419 c.c.,
comma 2).
A questa seconda opzione ermeneutica, fatta propria
dalla corte territoriale nella sentenza impugnata, sembra inclinare anche il collegio remittente della presente questione di massima di particolare importanza, richiamando principi ispiratori della legislazione in subiecta materia enunciati in un non più recente precedente di legittimità (Cass., sez. 1, 2 settembre 1995, n.
9266).
La ricostruzione ermeneutica della disciplina normativa è resa particolarmente laboriosa per effetto della ricordata stratificazione, ripetuta e ravvicinata nel tempo, di interventi legislativi che ne hanno modificato
profondamente l’impianto originario. Come rivelato,
del resto, dalle stesse oscillazioni giurisprudenziali sul
tema.
Ciò premesso, è però possibile delineare alcuni punti
fermi per la soluzione della controversia: primo fra tutti la distinzione delle convenzioni per la cessione del
diritto di superficie - quale quella pertinente alla controversia in esame - rispetto alle convenzioni per la
cessione del diritto di proprietà piena. Tale diversità
riguarda il regime di inalienabilità che, nel primo caso,
non è previsto dalla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art.
35, comma 8 (Programmi e coordinamento dell’edilizia
residenziale pubblica; norme sulla espropriazione per
pubblica utilità) quale contenuto necessario delle convenzioni: a differenza del successivo comma 15, che lo
contemplava, in origine, per la cessione del diritto di
proprietà.
Per contro, il vincolo alla determinazione del prezzo discende, in tutti i casi, direttamente dalla legge.
Un’ulteriore distinzione deve ravvisarsi tra le convenzioni L. n. 865 del 1971, ex art. 35 e quelle L. 28 gennaio 1977, n. 10, ex artt. 7 e 8 (Norme per la edificabilità dei suoli), non pertinenti, nella specie). Solo per
le seconde il titolare di alloggio su concessione edilizia
rilasciata con contributo ridotto non è obbligato a rispettare, in sede di vendita, il prezzo stabilito dalla
convenzione- tipo approvata dalla regione, ai sensi
della L. n. 10 del 1977, art. 7: e questo, perché destinatario dell’obbligo di contenere i prezzi di cessione
(od il canone di locazione) nei limiti fissati dalla detta
convenzione è soltanto il costruttore titolare della
concessione (Cass., sez. 2, 2 ottobre 2000, n. 13006).
Per gli immobili di edilizia convenzionata ex L. n. 10
del 1977 appare chiara, infatti, l’individuazione, in chi
abbia ottenuto la concessione edilizia a contributo ridotto, del destinatario degli obblighi assunti di contenere il prezzo di cessione degli alloggi, nei limiti indi-
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cati dalla stessa convenzione e per la prevista durata di
sua validità.
Ma soprattutto appare dirimente, ai fini della contraria
conclusione nella fattispecie concreta oggetto di scrutinio, la disposizione contenuta nel D.L. 13 maggio
2011, n. 70, convertito, con modificazioni, in L. 12 luglio 2011, n. 106 (Semestre Europeo - Prime disposizioni urgenti per l’economia 13 maggio 2011, n. 70):
che ha aggiunto al comma 49 dell’art. 31 (Norme particolari per gli enti locali) della L. 23 dicembre 1998,
n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) il comma 49-bis, del seguente testuale tenore: I vincoli relativi alla determinazione del
prezzo massimo di cessione delle singole unità abitative e loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di cui
alla L. 22 ottobre 1971, n. 865, art. 35, e successive
modificazioni, per la cessione del diritto di proprietà,
stipulate precedentemente alla data di entrata in vigore della L. 17 febbraio 1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di superficie, possono essere rimossi,
dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data
del primo trasferimento, con convenzione in forma
pubblica stipulata a richiesta del singolo proprietario e
soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche per le unità in diritto di superficie, in misura
pari ad una percentuale del corrispettivo risultante
dall’applicazione del comma 48 del presente articolo.
La percentuale di cui al presente comma è stabilita,
anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata residua del vincolo, con decreto di
natura non regolamentare del Ministro dell’economia
e delle finanze, previa intesa in sede di Conferenza
unificata ai sensi del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281,
art. 3).
Come si vede, la possibilità di rimuovere i vincoli relative alla determinazione del prezzo massimo di cessione
(nonché del canone massimo di locazione) contenuto
in una convenzione P.E.E.P. è subordinata a tre presupposti:
1) decorso di almeno cinque anni dalla data del primo
trasferimento;
2) richiesta del singolo proprietario;
3) determinazione della percentuale del corrispettivo,
calcolata secondo parametri legali da parte del Comune.
Dal testo normativo sopra riportato emerge, dunque,
con chiarezza che il vincolo del prezzo non è affatto
soppresso automaticamente a seguito della caduta del
divieto di alienare; ed anzi, in assenza di convenzione
ad hoc (da redigere in forma pubblica e soggetta a trascrizione), segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita.
Non senza aggiungere, in chiusura di analisi, che la soluzione adottata appare altresì conforme, sotto il profilo
teleologia), ad una politica del diritto volta a garantire
il diritto alla casa, facilitando l’acquisizione di alloggi a
prezzi contenuti (grazie al concorso del contributo pub-
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blico), ai ceti meno abbienti: e non certo quella di consentire successive operazioni speculative di rivendita a
prezzo di mercato.
Non risulta ex actis - né del resto viene allegato dalla ricorrente incidentale - che la procedura sopra descritta
sia stata seguita: onde, deve ritenersi tuttora sussistente
il vincolo del prezzo al momento della vendita stipulata
tra la sig.ra Ru. e la sig. R..
Con il terzo motivo si censura l’eterointegrazione del
contratto nella sua clausola determinativa del prezzo
(artt. 1339, 1419 c.c.).
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha più volte statuito che ai sensi della L.
22 ottobre 1971, n. 865, art. 35, che delega al Consiglio Comunale la fissazione dei criteri per la determinazione dei prezzi di cessione degli alloggi in materia
di edilizia convenzionata, gli atti amministrativi relativi, così come le convenzioni, in quanto promananti in
forza della predetta delega legislativa, traggono da quest’ultima, direttamente, il carattere di imperatività e
pertanto debbono ritenersi compresi nella previsione
dell’art. 1339 c.c.; cui si ricollega quella dell’art. 1419
c.c., comma 2 posto che la conseguenza tipica della
difformità di una clausola negoziale da una norma imperativa è la sanzione della nullità della clausola stessa:
senza riflessi invalidanti, peraltro, sull’intero contratto
in ipotesi di sostituzione di diritto (Cass., sez. 2, 10 febbraio 2010, n. 3018; Cass., sez. 2, 21 dicembre 1994, n.
11032; Cass. n. 5369 del 12.04.20002).
L’applicabilità dell’art. 1339 c.c. appare in linea generale giustificata, perché, quando detta norma allude alle “clausole” imposte dalla legge non si riferisce soltanto al caso nel quale la legge individui, essa stessa, la
clausola da interpolare nel testo negoziale (come sarebbe stato se il Codice avesse richiesto che la clausola
sia prevista “direttamente” o “espressamente” dalla legge), ma allude anche all’ipotesi in cui la legge preveda
che l’individuazione della clausola sia fatta da altra
fonte da essa autorizzata (nella specie, da una convenzione).
Sul punto, la venditrice Ru. deduce anche l’illegittima
inserzione automatica del corrispettivo vincolato, ex
art. 1339 c.c., sotto il profilo che non sarebbe mai stata richiesta dalla promissaria acquirente, limitatasi ad
invocare la riduzione del prezzo. L’argomentazione, peraltro, non ha pregio, risolvendosi in mera questione
nominalistica, dal momento che l’inserzione automatica del prezzo vincolato approda, appunto, nella riduzione di quello pattuito: onde sussistono i presupposti
per l’esecuzione in forma specifica del contratto ex art.
2932 c.c., sulla base del regolamento negoziale, così
integrato in applicazione di norme imperative.
Neppure appare convincente la tesi della necessaria
contestualità, in una stessa disposizione di legge, della
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sanzione di nullità parziale della clausola illegittima e
della sostituzione di diritto, stante il chiaro disposto dell’art. 1339, (rubricato come “Inserzione automatica di
clausole”), di contenuto generale ed astratto, suscettibile di applicazione diretta.
Non era quindi sbocco ineluttabile dell’accertata violazione del vincolo del prezzo la nullità dell’intero contratto, ai sensi dell’art. 1419 c.c., comma 1, come preteso dalla venditrice.
L’ulteriore eccezione riguardante il difetto dei presupposti per la costituzione in forma specifica del contratto,
in carenza di offerta della prestazione, appare nuova alla
luce del testo della sentenza impugnata, che non ne fa
menzione. Né la ricorrente incidentale allega, in contrario, i necessari riferimenti puntuali a propri atti difensivi dei pregressi gradi di merito, in ossequio al principio di autosufficienza.
Resta assorbito il quarto motivo relativo alla restituzione della caparra, da computare in conto prezzo.
Passando ora alla disamina del ricorso principale, si osserva come il primo motivo, con cui si lamenta che la
corte territoriale abbia condizionato l’effetto traslativo
al pagamento di Euro 43.101,61 unitamente all’accollo
del mutuo - in tal modo, maggiorando il prezzo - si palesi fondato.
In effetti, la determinazione del prezzo di vendita secondo i parametri legali, nella somma stimata dal CTU formalmente recepita in sentenza, non consente la maggiorazione derivante dall’accollo del mutuo fondiario, a
pena di violazione proprio di quella disciplina imperativa che la corte territoriale ha inteso applicare.
L’affermazione, espressa in motivazione, che la sentenza
ex art. 2932 c.c. deve comunque rispettare le pattuizioni
contenute nel preliminare (a parte quella sul corrispettivo, qui sostituito secondo parametri legali), appare in
contrasto con l’accollo del mutuo fondiario - quale voce
di prezzo aggiuntiva - che doveva coerentemente ritenersi già incluso nel corrispettivo pattuito.
Resta assorbito il secondo motivo relativo al regolamento delle spese di giudizio.
Il ricorso principale dev’essere dunque accolto, nei sensi
di cui sopra, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’appello di Roma, in
diversa composizione, anche per il regolamento delle
spese della fase di legittimità.
P.Q.M.
- accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo, e rigetta il ricorso incidentale;
- cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura
accolta e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma,
in diversa composizione, anche per le spese della fase di
legittimità.
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Legittimità
IL COMMENTO
di Corrado De Rosa (*)
Le Sezioni Unite confermano la sussistenza dei vincoli alla determinazione del prezzo in caso di
vendita di immobili costruiti in edilizia convenzionata, sia rientranti nelle cc.dd. convenzioni
P.E.E.P. sia edificati in forza di concessioni ex “legge Bucalossi”. Tali vincoli possono essere rimossi, ai sensi dell’art. 31, commi 49 bis e 49 ter, L. n. 448/1998, dopo cinque anni dalla prima
cessione, mediante atto pubblico trascritto, con pagamento di un corrispettivo al Comune. Il
contratto concluso in contrasto alle regole sul “prezzo imposto” è parzialmente nullo, ed opera
la sostituzione automatica della clausola di prezzo ex art. 1339 c.c.
Nel lontano 1997 la signora Nu. Ru. conveniva
dinnanzi al Tribunale di Roma la signora L.R., premettendo di aver stipulato un preliminare di compravendita di un suo immobile abitativo, edificato
su area concessa in diritto di superficie dal Comune
nell’ambito di un programma di edilizia residenziale pubblica (P.E.E.P.), e chiedendo al tribunale la
risoluzione del contratto per inadempimento della
controparte. La signora L.R. eccepiva che l’appartamento, nonostante l’autorizzazione alla vendita
concessa dalla Regione Lazio, era ancora soggetto
ad un vincolo di determinazione del prezzo, e chiedeva, in via riconvenzionale, l’esecuzione in forma
specifica del contratto, con riduzione del prezzo
d’acquisto (a quello imposto per legge).
La questione, dopo un travagliato iter processuale,
è stata rimessa al Primo Presidente di Cassazione
con ordinanza in data 4 luglio 2014, n. 15406 (1),
il quale ha assegnato la causa alle Sezioni Unite.
Nel ricorso per Cassazione la promittente venditrice, soccombente in Appello, controdeduceva:
- che il venir meno del divieto di alienazione dell’immobile (per effetto del decorso del termine di
legge dal primo acquisto) avrebbe prodotto anche
la caducazione degli altri vincoli relativi al prezzo;
- che i divieti, anche se ritenuti vigenti, non
avrebbero colpito la contrattazione privata tra l’avente causa dal costruttore e la promissaria acquirente, ma solo il soggetto che ha stipulato la convenzione col comune.
Sul primo punto i giudici affermano, anzitutto, una
completa autonomia tra le norme che prevedevano
divieti di alienazione degli immobili edificati in regi-
me di edilizia convenzionata e le norme che impongono vincoli alla determinazione del prezzo. L’art.
35, L. n. 865/1971 imponeva il divieto di alienazione solo con riferimento alle convenzioni per la
cessione del diritto di piena proprietà, mentre nessun divieto di vendita è mai stato imposto per le
convenzioni in superficie; al contrario la medesima
norma prevede limitazioni alla determinazione del
prezzo sia per la cessione in proprietà che per la
cessione di proprietà superficiaria. Da ciò le
SS.UU. desumono che la rimozione dei divieti convenzionali e di legge - relativi al trasferimento
immobiliare nulla ha a che vedere con le regole
che impongono (sia in caso di superficie che in caso di proprietà piena) prezzi calmierati per le cessioni di immobili in edilizia convenzionata.
Sul secondo aspetto, le Sezioni Unite rilevano un
conflitto dottrinale e giurisprudenziale tra due opposti orientamenti. Un primo indirizzo, valorizzando l’autonomia privata, ha affermato che i divieti
di alienazione e i vincoli sul prezzo fossero applicabili soggettivamente solo al primo avente causa
(sono citate a sostegno Cass. 4 aprile 2011, n.
76390 (2) e Cass. 2 ottobre 2000, n. 13006 (3)).
Un secondo indirizzo, cui ha aderito la Corte
d’Appello, conclude al contrario che si tratti di
norme imperative inderogabili, la cui violazione
comporta la nullità parziale del contratto ex art.
1419 c.c. e la conseguente inserzione automatica
del corrispettivo imposto, ai sensi dell’art. 1339
c.c. (in tal senso le SS.UU. richiamano un precedente di Cass. 2 settembre 1995, n. 9266 (4)).
Il collegio segue quest’ultima ricostruzione dogmatica, e respinge le domande della promittente ven-
(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla
valutazione di un referee.
(1) In www.dirittoegiustizia.it - ordinanza commentata da N.
Sciarratta, Rimessa alle Sezioni Unite la questione del prezzo
massimo di cessione di immobili costruiti in “edilizia convenzionata e agevolata”: la scadenza del vincolo quinquennale d’inalie-
nabilità determina il venir meno anche di quello relativo alla determinazione del prezzo?, in www.dirittocivilecontemporaneo.com, anno I, numero II, luglio/settembre 2014.
(2) Massimata in Riv. not., 2011, 6, 2, 1417.
(3) Massimata in Riv. not., 2001, 422.
(4) Massimata in Giust. civ., 1996, 1, 3265.
La sentenza
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sibile contestare che il prezzo è contenuto in una
convenzione, e non nella legge: le convenzioni “in
quanto promananti in forza [di] (...) delega legislativa, traggono da quest’ultima, direttamente, il carattere di imperatività e pertanto debbono ritenersi
compresi nella previsione dell’art. 1339 cod. civile”. Si costituirebbe cioè una relatio “autorizzata”
della legge all’accordo urbanistico.
Conclusione: è confermata l’esecuzione in forma
specifica dell’obbligo (della promittente venditrice) di concludere il contratto, con la sostituzione
automatica della clausola del prezzo con una somma calmierata e calcolata in base alla legge.
ditrice, sottolineando la differenza tra le convenzioni cc.dd. “P.E.E.P.” (art. 35 L. n. 865/1971) e la
c.d. “legge Bucalossi” (artt. 7 e 8, L. n. 19/1977,
oggi inseriti nell’art. 18, d.P.R. n. 380/2001). Solo
per quest’ultima sarebbe possibile affermare che
unico destinatario di obblighi e divieti è il costruttore/concessionario, per espressa formulazione di
legge; così non è per le convenzioni P.E.E.P., ove
la norma non indirizza gli obblighi al solo costruttore, bensì erga omnes. Da ciò si desumerebbe conclusivamente che, per le convenzioni P.E.E.P., i
prezzi imposti sarebbero vincolanti per tutti gli
aventi causa, a prescindere dal decorso del tempo.
Ultimo punto nodale, usato dai giudici a conferma
delle affermazioni sopra riportate, è la recente disposizione contenuta nell’art. 5, comma 3 bis, D.L.
n. 70/2011, conv. in L. n. 106/2011, che ha aggiunto i commi 49 bis e 49 ter all’art. 31, L. n.
448/1998. Tali norme ora prevedono espressamente la possibilità di rimuovere i vincoli di determinazione di prezzo sia per gli alloggi P.E.E.P (tanto
in superficie quanto in piena proprietà) che per gli
alloggi costruiti con convenzione “Bucalossi”, al ricorrere di determinate condizioni (decorso di cinque anni dalla prima alienazione, atto pubblico,
trascrizione) e previo pagamento di un corrispettivo al Comune.
Si è dunque introdotto nel sistema dal 2011 uno
strumento volto ad eliminare del tutto vincoli in
oggetto - ma è richiesto un procedimento e delle
condizioni specifiche: non si tratta di un automatismo.
La corte sottolinea che dagli atti non risulta che le
parti abbiano posto in essere tale procedura, e che
in ogni caso la norma dimostra che con la caduta
dei divieti di alienazione non sono venuti meno i
vincoli sul prezzo. Si afferma che il vincolo del
prezzo ha natura di onere reale, poiché “segue il
bene (...) con naturale efficacia indefinita”.
Ultimo passaggio logico-giuridico contenuto nella
sentenza è che la clausola sul prezzo convenuta dalle parti, esorbitante i limiti di legge, costituisca
una pattuizione nulla - ma che, trattandosi di una
nullità parziale, il contratto dev’essere eterointegrato (ex art. 1339 c.c.) con il prezzo che la legge
avrebbe imposto. Né, ritiene la Corte, sarebbe pos-
L’art. 25 della Dichiarazione ONU (5) dispone che
“ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio
e della sua famiglia, con particolare riguardo (...)
all’abitazione (...)”. La portata dell’affermazione è
assai vasta (6), e probabilmente ha rilievo programmatico.
Nella nostra Costituzione non c’è un espresso riconoscimento del diritto all’abitazione: le due norme
che più si avvicinano a questo ambito concettuale
sono l’art. 42, comma 2, che riconosce la funzione
sociale della proprietà privata, e l’art. 47, comma
2, secondo il quale la Repubblica “favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”. Non è quindi riconosciuto un diritto assoluto a possedere una casa - nonostante l’espansione
del novero dei diritti considerati fondamentali operato dalla Corte costituzionale (7) - ma certamente, quantomeno, un dovere di fornire a tutti gli uomini uno spazio individuale, sede degli affetti e
luogo di espressione della personalità.
Si può facilmente trarre una distinzione tra diritto
sull’abitazione e diritto all’abitazione (8): l’esigenza
naturale di uno spazio che si possa definire “casa” è
quindi realizzabile anche in modi diversi dalla attribuzione di un diritto reale.
Il passaggio non è scontato: altro è tutelare, attraverso incentivi pubblici, il diritto ad abitare in un
luogo (si pensi alle assegnazioni da parte dei Co-
(5) Dichiarazione Universale dei Diritti Umani 10 dicembre
1948, in www.ohchr.org.
(6) S. Civatarese Matteucci, L’evoluzione della politica della
casa in Italia, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 1, 163.
(7) Si ricordino le famose sentenze della Corte cost. n. 217
del 1998, in Riv. Giur. edil., 1988, 1, 264 (che parla dell’abitazione come di un “fondamentale diritto sociale”), n. 49 del
1987, in Foro it., 1987, 1, 2337 (“è indubbiamente doveroso da
parte della collettività intera impedire che delle persone possano rimanere prive di abitazione”) e n. 404 del 1987, in Giur.
it., 1988, 1, 1, 1627, nota di Trabucchi (sentenza che colloca il
diritto sociale all’abitazione “tra i diritti inviolabili dell’uomo”).
(8) S. Civatarese Matteucci, L’evoluzione della politica della
casa in Italia, in Riv. trim. dir. pubbl., 2010, 1, 163 ss.
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Ragioni dell’economia e ragioni della
costituzione
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muni di alloggi in uso gratuito ai più bisognosi) altro è favorire la costruzione e l’assegnazione di diritti reali alle fasce deboli della popolazione (art.
47, comma 2, Cost., anzi richiamato).
Si sta rispondendo a due esigenze diverse: solo la
prima riflette un diritto fondamentale dell’uomo,
mentre la seconda è una posizione che la Repubblica “favorisce”, ma non “garantisce” (9).
L’attribuzione di un diritto reale comporta effetti
giuridici fondamentali e noti: uno tra questi è il
consolidamento di una ricchezza tangibile nel patrimonio personale, suscettibile - tra l’altro - di trasferimento in forza di successione mortis causa; la
“facoltà di disporre” del bene (non solo alienandolo, ma anche ipotecandolo, o persino distruggendolo) è uno degli elementi intrinseci alla nozione della proprietà civilistica, insieme alla “facoltà di godere del bene” ex art. 832 c.c.
Da questi spunti si giunge a chiedersi se, e in che
circostanze, l’ordinamento possa limitare il diritto
di proprietà - nel caso in cui lo Stato stesso sia intervenuto allo scopo di favorirne il conseguimento.
Il legislatore ha risposto molte (troppe) volte a
questa domanda - con un grande novero di leggi, a
partire dai primi anni ’60 del secolo scorso, dirette
a favorire l’acquisto immobiliare e contestualmente
a limitarne la disponibilità, impedendone la vendita e/o imponendo un prezzo. Il limite alla circolazione dell’immobile è cioè inteso sia quale contrappeso del vantaggio attribuito, che quale garanzia
per lo Stato della durata nel tempo del vantaggio
sociale attuato col suo intervento.
Le Sezioni Unite si pronunciano sul punto (10),
sostenendo che l’obiettivo della politica del diritto,
sul tema, è quello di “favorire l’acquisizione di alloggi a prezzi contenuti (grazie al concorso del contributo pubblico), ai ceti meno abbienti: e non certo quella di consentire successive operazioni speculative di rivendita a prezzo di mercato”. Questa affermazione è trasversale in giurisprudenza e in larga
parte della dottrina (11): i divieti imposti dalle
norme sull’edilizia residenziale pubblica sono legittimi, perché volti a evitare speculazioni, interposizioni reali di persona e simulazioni - dirette esclusivamente ad ottenere gli alloggi ad un prezzo inferiore rispetto al valore di mercato.
E questa è certamente una parte della verità. Un
altro aspetto, forse meno considerato, è che il limite alla fruizione della proprietà (e, in particolare,
ogni limite alla circolazione della stessa) risulta,
sotto il profilo economico, un c.d. “fallimento del
mercato” (12). Si impedisce cioè la realizzazione
del c.d. “miracle of contract”: la collocazione delle
risorse nelle mani di coloro che le valutano di
più (13).
Divieti di alienazione e prezzi imposti sono, in ottica di lungo periodo, un freno all’economia, perché
minano, di diritto o di fatto, uno dei contenuti
principali del diritto di proprietà: la facoltà di disporre della cosa, e quindi anche di disinvestire, di
attribuirla a qualcuno che sia disposto a pagarla di
più di quanto il titolare la valuti (14). Questa limitazione non ha portata solo individuale: i suoi effetti si riverberano sulla collettività, complicando
la circolazione e penalizzando il mercato immobiliare.
Si deve rimarcare che il buon funzionamento del
mercato, e in specie una sicura e rapida circolazione dei beni immobili, è funzionale, sul piano generale, alla realizzazione delle medesime istanze sociali e politiche che le diverse normative in tema di
edilizia economica e popolare in commento erano
dirette ad assecondare.
Resterebbe quindi da trovare un bilanciamento tra
una crescente esigenza di libertà e di incentivo alla
circolazione immobiliare e il contenimento di condotte abusive e speculative in senso deteriore.
In tema di edilizia convenzionata, forse, se ne è accorto anche il Legislatore del 1992 e del 2011, che
in prima battuta ha rimosso i divieti di alienazione
e poi ha immaginato una procedura per liberare gli
immobili dai vincoli per la determinazione del
(9) C. Mazzù, Il diritto civile all’alba del terzo millennio, 2, Torino, 2011, 23; R. Rolli, la proprietà come diritto dell’uomo?, in
Contr. e impr., 2011, 4-5, 1014 ss.
(10) La sentenza in epigrafe è pubblicata, tra l’altro, in Giur.
it., 2015, 12, 2572 ss., con nota di C. Sgobbo, Urbanistica ed
edilizia -edilizia convenzionata: per le sezioni unite permangono i
vincoli sui prezzi - e massimata in D&G, 2015, 33, 44, con nota
di D. Galasso. Rileva segnalare il contributo di G. Rizzi, I prezzi
vincolati nell’edilizia convenzionata alla luce dell’ultima sentenza
delle sezioni unite, in Immobili e proprietà 2016, 2, 91 ss. avente a tema la pronuncia qui commentata.
(11) Ex aliis G. Casu, L’edilizia residenziale pubblica nell’attività notarile, Roma, 2010 passim.
(12) R. Cooter - U. Mattei - P.G. Monateri - R. Pardolesi - T.
Ulen, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile.
I. Fondamenti, Bologna, 2006, 61 ss.
(13) P. Gallo, Introduzione al diritto comparato, III, Analisi
economica del diritto, Torino, 1998, passim e 119.
(14) R. Cooter - U. Mattei - P.G. Monateri - R. Pardolesi - T.
Ulen, Il mercato delle regole. Analisi economica del diritto civile,
I, Fondamenti, cit., 79 ss. e Id., Il mercato delle regole. Analisi
economica del diritto civile. II. Applicazioni, Bologna, 2006, 41 e
42 (“Un tale atteggiamento fobico nei confronti dell’alienazione di mercato è particolarmente dominante nella cultura giuridica italiana. Tale atteggiamento preclude l’adozione e persino
la discussione di soluzioni istituzionali creative in molti campi”).
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prezzo - ma gli interventi non sono stati sempre
cristallini nella forma e nel contenuto e hanno
prodotto, come vedremo, diverse complicazioni.
L’evoluzione normativa nella seconda metà
del Novecento
Restringendo l’indagine al solo tema dell’edilizia
convenzionata, si deve ricordare il complesso panorama legislativo che conforma la materia.
Norma fondamentale è l’art. 35, L. 22 ottobre
1971, n. 865, che disciplina le cc.dd. “convenzioni
P.E.E.P.” (Piani di Edilizia Economica e Popolare).
La legge prevede un iter complesso: il Comune vara un piano, autorizzando l’espropriazione di determinate aree, che saranno concesse in diritto di superficie o in diritto di proprietà alle imprese costruttrici; con le imprese costruttrici viene stipulata
una convenzione che prevede, oltre ai contenuti
“standard”, anche vincoli e limitazioni alla trasferibilità dei beni. In particolare, nelle convenzioni
P.E.E.P. per la concessione del diritto di proprietà,
i commi 15-19 dell’art 35 prevedevano divieti di
alienazione per la durata complessiva di venti anni,
e - decorso tale termine - un vincolo sul prezzo di
cessione; le convenzioni P.E.E.P. per la concessione di alloggi in diritto di superficie prevedono invece, ai sensi dell’art. 35, comma 8, lett. e), l’imposizione di “criteri per la determinazione del prezzo
di cessione degli alloggi”.
Successivamente è intervenuta un’altra fonte di
legge ricompresa nell’edilizia convenzionata: la L.
28 gennaio 1997, n. 10 (c.d. “Legge Bucalossi”),
che ai suoi artt. 7 e 8 (oggi abrogati e inseriti nell’art. 18 d.P.R. n. 380/2001 - T.U. sull’Edilizia)
prevede la riduzione del contributo concessorio
qualora in concessionario si impegni ad applicare
prezzi di vendita e canoni di locazione determinati
ai sensi della convenzione-tipo.
In questo caso quindi, a differenza che nelle convenzioni P.E.E.P., il costruttore non acquista il
suolo dal Comune, ma semplicemente riceve un alleggerimento degli oneri concessori per l’edificazio(15) Come si dirà infra, questa implicazione sul tema dei
soggetti obbligati era pacifica fino all’introduzione del D.L. n.
70/2011, che potrebbe oggi condurre ad un’interpretazione
opposta.
(16) Si è aperta in dottrina e nella prassi un ampio dibattito
con riguardo ai divieti di alienazione che continuavano a persistere nelle convenzioni, a seguito dell’abrogazione dei divieti
di alienazione normativi. L’opinione che pare preferibile e prevalente afferma che se il divieto convenzionale si limita a riprodurre il tenore delle disposizioni normative anteriori, è da considerarsi patto implicitamente abrogato: solo qualora la con-
372
ne. Per questo tipo di interventi la legge imponeva
direttamente in capo al costruttore l’onere di vendere a prezzi calmierati, obbligo che - per opinione
condivisa - non si trasferiva in capo ai terzi aventi
causa dal costruttore/convenente/obbligato (15).
Il tema dei divieti di alienazione è stato (almeno
parzialmente) risolto con l’art. 23, comma 2, L. 17
febbraio 1992, n. 179 (in vigore dal 15 marzo
1992): la c.d. Legge Ferrarini-Botta ha abrogato i
commi 15-19 dell’art 35, L. n. 865/1971, e quindi
ha rimosso, nelle convenzioni P.E.E.P. per l’acquisto in piena proprietà, i divieti di alienazione ventennali (16).
Altra normativa importante è l’art. 3, commi 6064, L. 32 dicembre 1996, n. 662 (Finanziaria
1997): il comma 60 introduce il comma 78 bis all’art. 3 della L. n. 549/1995, così sottoponendo le
aree “P.E.E.P.” alle regole della “Legge Bucalossi”.
In seguito alla citata novella, in particolare, è modificato l’art. 35, comma 13, L. n. 865/71: per le
convenzioni successive al 1 gennaio 1997 si applicano le restrizioni sul prezzo di vendita contenute
nella legge “Bucalossi” (oggi inserita nel d.P.R. n.
380/2011 art. 18) (17). Restrizioni che (quantomeno fino all’entrata in vigore del D.L. 13 maggio
2011, n. 70), concernevano, quali destinatari
esclusivi, i concessionari: le successive rivendite
dovevano considerarsi libere da vincoli sul prezzo
anche per le convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà stipulate a partire dall’anno 1997.
Da ultimo si ricorda la L. 23 dicembre 1998, n.
448 (Finanziaria 1999), che ha introdotto (art. 41,
comma 46) la possibilità di sostituire le convenzioni “P.E.E.P.” per la concessione del diritto di proprietà con le convenzioni di cui alla “Legge Bucalossi”, a determinate condizioni, e previo versamento di un corrispettivo al Comune. La medesima norma, all’art. 31, commi 45, 47 e 48, prevede
anche la possibilità di “trasformare” il diritto di superficie (concesso con convenzione “P.E.E.P.”) in
piena proprietà, dietro corrispettivo.
venzione dica qualcosa di più o di diverso dalla legge P.E.E.P.
allora può discutersi di un divieto di alienazione convenzionale
a norma dell’art. 1379 c.c. Amplius G. Casu, L’edilizia residenziale pubblica nell’attività notarile, cit.
(17) Non è chiaro se la normativa del 1996, qui commentata, disponesse esclusivamente per il futuro, secondo il principio generale dell’art. 11 preleggi (come si ritiene preferibile) o
potesse avere efficacia retroattiva: anche questo dubbio può
aver contribuito a generare le incertezze applicative di cui si dirà in seguito.
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A partire dalla legge “Ferrarini-Botta”, e in seguito
alle successive normative di favore che si sono descritte, il mercato immobiliare, influenzato da atteggiamenti non sempre trasparenti delle Amministrazioni Comunali, ha assistito all’adozione di
prassi eterodosse sul tema dei vincoli di prezzo massimo (18).
Si deve ricordare che, in quegli anni, dottrina (19)
e giurisprudenza (20), analizzando le convenzioni
“Bucalossi”, avevano definitivamente concluso per
la non applicabilità dei vincoli di prezzo ai sub-acquirenti dal costruttore/concessionario. Ma, almeno in teoria, questa considerazione non avrebbe
dovuto influire sull’interpretazione dell’art. 35, L.
n. 865/71 (P.E.E.P.).
Al contrario, in questo arco temporale, nella percezione degli interpreti spesso si sono confuse e sovrapposte le due normative del 1971 e del 1977,
così da non valorizzarne le residue differenze.
È stata inoltre ripetuta l’affermazione (21) secondo
la quale l’abolizione del divieto di alienazione contenuto nelle convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà avrebbe comportato il venir meno di ogni vincolo sul prezzo - non tenendo in dovuta considerazione, così, il comma 8, lett. e), in materia di convenzioni P.E.E.P. in diritto di superficie, anzi esposto.
Risulta che queste ricostruzioni siano state condivise, ad esempio, dalla Regione Piemonte e dal Comune di Roma, anche in anni recenti, con note e
pareri scritti (22).
Si è riportato questo spaccato della prassi per sottolineare che il tema era letto, operativamente, in
modo meno nitido di quanto è possibile fare oggi,
ex post, alla luce del recente passato. Si può cioè affermare che, fino all’introduzione del D.L. n.
70/2011, una interpretatio abrogans dei vincoli di
prezzo massimo avrebbe potuto essere sostenuta e
argomentata. Ne consegue che gli operatori del diritto che in quegli anni - confortati da pareri e
orientamenti delle pubbliche amministrazioni (23)
- hanno consigliato o adottato soluzioni in deroga
ai vincoli di prezzo non paiono seriamente rimproverabili sotto il profilo professionale o disciplinare.
Non può certo ritenersi applicabile a quei casi l’art.
28 L.N. per il notaio rogante, trattandosi dell’applicazione di un intreccio complesso di normative,
condizionato da pareri e prassi amministrative disomogenee. Anche una responsabilità professionale
sembra di difficile affermazione, soprattutto nei casi in cui il notaio si sia confrontato con il comune
o abbia agito in forza di prassi e pareri scritti della
pubblica amministrazione.
Ma legislatore, con l’intento di risolvere una volta
per tutte questi problemi, ha emanato il D.L. 13
maggio 2011, n. 70 (convertito in L. 12 luglio
2011, n. 106). La norma introduce i commi 49 bis
e 49 ter all’art. 31, L. n. 448/1998, che dispongono:
“49-bis. I vincoli relativi alla determinazione del prezzo
massimo di cessione delle singole unità abitative e
loro pertinenze nonché del canone massimo di locazione delle stesse, contenuti nelle convenzioni di
cui all’articolo 35 della legge 22 ottobre 1971, n.
865, e successive modificazioni, per la cessione del
diritto dì proprietà, stipulate precedentemente alla
data di entrata in vigore della legge 17 febbraio
1992, n. 179, ovvero per la cessione del diritto di
superficie, possono essere rimossi, dopo che siano trascorsi almeno cinque anni dalla data del primo trasferimento, con convenzione in forma pubblica stipulata a
richiesta del singolo proprietario e soggetta a trascrizione per un corrispettivo proporzionale alla corrispondente quota millesimale, determinato, anche
per le unità in diritto di superficie, in misura pari
ad una percentuale del corrispettivo risultante dal-
(18) Una prassi che consta esser stata molto diffusa è quella di chiedere al Comune o alla Regione autorizzazioni a vendere immobili costruiti in edilizia convenzionata a un certo prezzo
di mercato convenuto dalle parti. Comportamento che equipara sostanzialmente il “nulla osta” del Comune o della Regione
a provvedimento capace di abrogare i vincoli normativi tutt’ora
vigenti.
(19) G. Rizzi, Le convenzioni urbanistiche: dall’edilizia convenzionata agli strumenti di pianificazione urbanistica, in Fondazione Italiana del Notariato, Strumenti negoziali di edilizia privata: l’esperienza del notariato tra tradizione e nuove soluzioni, Atti
del Convegno tenutosi a Messina 18 ottobre 2008 (n. 2/2009),
Milano, 2009.
(20) Cass. 2 ottobre 2000, n. 12006, cit., e in D&G, 2000,
317; Cass. 4 aprile 2011, n. 7630, in Riv. not., 2011, 6, 2, 1417.
(21) Obiter dictum in Consiglio Nazionale del Notariato, Studio n. 187-2007/C, a firma di G. Casu: “La legge 179 del 1992
ha abrogato tutti i divieti previsti dal citato art. 35 della legge
865 del 1971, ivi inclusi quelli che costringevano a tenere conto del prezzo di vendita stabilito dall’UTE e che prevedevano la
possibilità di vendita dell’alloggio soltanto a persone rivestenti
i requisiti soggettivi di legge.”; Parere della Regione Piemonte
n. 55/2010 in www.regione.piemonte.it (cfr. anche precedenti
pareri nn. 139/2009 e 115/2007).
(22) Parere della Regione Piemonte n. 55/2010 in www.regione.piemonte.it (e precedenti pareri nn. 139/2009 e
115/2007); Comune di Roma, nota 2 dicembre 2010, n. 71370
prot.
(23) Ed anche, da un certo punto di vista, dalla giurisprudenza: le massime anzi citate si riferiscono alle sole convenzioni “Bucalossi”, ma il loro contenuto, e la loro interpretazione,
ha portato spesso a credere che si trattasse di pronunce con
valore generale, i cui contenuti fossero applicabili anche alle
convenzioni P.E.E.P.
Prassi applicative e riforma dell’edilizia
convenzionata con il D.L. n. 70/2011
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l’applicazione del comma 48. La percentuale di cui
al presente comma è stabilita, anche con l’applicazione di eventuali riduzioni in relazione alla durata
residua del vincolo, con decreto di natura non regolamentare del Ministro dell’economia e delle finanze, previa intesa con la Conferenza unificata ai
sensi dell’articolo 3 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.
49-ter. Le disposizioni di cui al comma 49-bis si applicano anche alle convenzioni di cui all’articolo
18 del testo unico di cui al d.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380”.
L’effetto della normativa è - almeno a prima vista chiarificatore. I vincoli di prezzo imposto ci sono, e
sussistono, in tutti i casi di edilizia convenzionata
(P.E.E.P. in superficie, P.E.E.P. in proprietà, convenzioni “Bucalossi”). È possibile rimuoverli con
un atto pubblico trascritto, decorsi almeno cinque
anni dalla data del primo trasferimento, versando
un corrispettivo al Comune. Adempiuta questa
procedura, il bene torna pienamente libero (non
sussistendo più i divieti di alienazione, abrogati
con la legge Ferrarini-Botta).
Con l’entrata in vigore del provvedimento in esame, non paiono più fondate le prassi anzi accennate: il Notariato (24), e la maggioranza delle Amministrazioni Comunali si sono uniformati immediatamente all’applicazione della legge, richiedendo lo
svincolo degli immobili dal “prezzo imposto” prima
di procedere con il trasferimento, ex D.L. n.
70/2011.
Dal momento dell’entrata in vigore della norma
commentata si può concludere che il legislatore
non ha inteso abrogare tout court i vincoli di prezzo
imposto, proprio perché è stata indicata una prassi
da seguire per rimuoverli; ciononostante è evidente
che il tema è rimasto oggetto di dubbio, tanto nella ricostruzione teorica quanto nel suo portato pratico. Dimostrazione dell’esistenza di una diversità
di opinioni è proprio la rimessione della causa
commentata alle Sezioni Unite della Cassazione a fronte di un contrasto che fino a pochi mesi fa
non poteva dirsi superato.
(24) CNN Studio n. 521-2011/C, La disciplina sull’edilizia residenziale convenzionata dopo il Decreto sullo Sviluppo 2011, a
firma di G. Rizzi - approvato dalla Commissione Studi Civilistici
del 20 ottobre 2011, in Studi e Materiali, 2012, 1, Milano, 63
ss. e la successiva integrazione approvata dalla Commissione
Studi Civilistici del 17 gennaio 2013 dal titolo Ulteriori considerazioni in tema di edilizia residenziale convenzionata (ad integrazione dello studio n. 521-2011/C), in www.notariato.it e in Studi
e Materiali, 2012, 1, Milano, 63 ss.
(25) Cfr. note 19 e 20, supra.
374
Alla luce di ciò l’analisi di responsabilità del professionista deve essere sempre condotta caso per
caso, anche in seguito della novella: si segnala infatti che residuano alcuni margini di dubbio sulla
nuova normativa; su alcuni di essi si incentra il
prossimo paragrafo.
La complessa interpretazione del D.L. n.
70/2011
Il tenore letterale della norma in commento ha
condotto la dottrina che si è occupata del tema a
sottolineare due ordini di dubbi.
I) Anzitutto, un’interpretazione logico-sistematica
del testo normativo porterebbe a sovvertire l’interpretazione che dottrina e giurisprudenza (25) avevano offerto con riguardo agli artt. 7 e 8, L. n.
10/1977 (“Bucalossi”) (26).
Secondo l’opinione tradizionale, che dava rilievo
al tenore letterale della L. n. 10/1977, la normativa
“Bucalossi” avrebbe imposto il vincolo alla determinazione del prezzo al solo costruttore-concessionario, che rimaneva unico obbligato: pertanto le
vendite poste in essere dagli aventi causa dal costruttore sarebbero state libere da ogni limitazione.
A seguito del D.L. n. 70/2011, perché il bene sia
liberato dai vincoli a mezzo dell’atto pubblico con
il Comune, si richiede che siano decorsi almeno
cinque anni dalla prima cessione del bene. Se occorre che il costruttore abbia effettuato la prima rivendita da almeno cinque anni perché si possa liberare il bene, significa che, anche dopo la prima
cessione, il bene resta soggiogato a limiti di prezzo.
Il contrasto è evidente: sembra che la normativa
del 2011 abbia implicitamente esteso le regole sul
prezzo di cessione, in modo da renderle sempre opponibili erga omnes, anche per gli aventi causa dal
costruttore, e quindi anche per fattispecie (“Bucalossi” e P.E.E.P. in piena proprietà) che prima si ritenevano meno rigorose (27).
Non si crede che fosse questo l’intento del legislatore, ma ciò poco rileva: la norma attualmente prevede un processo di rimozione dei vincoli anche
per gli aventi causa dal costruttore in concessioni
(26) Oggi applicabile anche alle convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà, in forza del rinvio operato dall’art. 35, comma 13,
L. n. 865/1971 alla legge “Bucalossi”.
(27) In tal senso CNN Studio n. 521-2011/C, cit., e anche
G.M. Plasmati, La determinazione del prezzo di cessione di alloggi e relative sanzioni in caso di inosservanza, in Riv. not.,
2015, 2, 410 ss., G. Petrelli, Affrancazione dei vincoli riguardanti
il prezzo massimo di rivendita previsti da convenzioni urbanistiche, in www.gaetanopetrelli.it.
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“Bucalossi”, e questo comporta che, per coerenza
sistematica, gli alloggi costruiti in forza di convenzioni “Bucalossi” non siano cedibili liberamente a
prezzo di mercato.
Si nota che questo passaggio non è stato contemplato dalle Sezioni Unite: i giudici nel corpo della
sentenza hanno al contrario sottolineato la distinzione tra convenzioni P.E.E.P. e convenzioni “Bucalossi”, affermando che - nelle seconde - i vincoli
di prezzo massimo sono diretti al solo costruttore,
mentre - nelle prime - sono diretti anche a tutti gli
aventi causa. Come si dirà anche in seguito, questa
affermazione, ricorrente nella giurisprudenza tradizionale, a seguito del D.L. n. 70/2011 è da censurare, se si vuole mantenere una coerenza sistematica
tra D.L. n. 70/2011 e normativa “Bucalossi”.
II) La seconda problematica sollevata dalla normativa del 2011 concerne l’interpretazione dell’inciso
“convenzioni (...) [P.E.E.P.] per la cessione del diritto dì proprietà, stipulate precedentemente alla
data di entrata in vigore della legge 17 febbraio
1992, n. 179”. Il punto dubbio riguarda cioè le
convenzioni P.E.E.P. in proprietà (un tema non affrontato dalla sentenza in commento), ove la norma afferma che alle convenzioni stipulate prima
dell’entrata in vigore della legge Ferrarini-Botta è
applicabile la facoltà di rimozione dei vincoli di
prezzo, ma non si pronuncia sulle convenzioni successive.
La dottrina (28) rileva una incoerenza nella norma:
la legge “Ferrarini-Botta”, abrogando tra gli altri il
comma 16 dell’art. 35, L. n. 865/71, ha eliminato
del tutto i limiti legali alla determinazione del
prezzo concernenti le convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà; dopo il 15 marzo 1992 e fino all’introduzione dell’attuale comma 13 all’art. 35, L. n.
865/71 (29) non era quindi previsto per legge il
“prezzo imposto”, se non in caso di superficie (il
precedente comma 13 non richiedeva che la convenzione in piena proprietà prevedesse limiti al
prezzo di cessione (30)). Il “prezzo imposto” è tor-
nato quindi in vigore a partire dal 1997, con la riscrittura del comma 13 e la sottoposizione delle
“nuove” convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà alle regole della normativa “Bucalossi”.
La normativa del 2011, con riferimento alle convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà, pare cioè contraddittoria: permette la rimozione di vincoli di
prezzo che, per le convenzioni P.E.E.P. in proprietà, già sono stati abrogati dalla legge Ferrarini Botta, e non si occupa ex professio dei vincoli scaturiti
dalla Finanziaria del 1997.
Non si può neppure dubitare del fatto che, in ambito di edilizia convenzionata in piena proprietà, la
legge Ferrarini Botta abbia eliminato i vincoli alla
determinazione di prezzo anteriori alla sua entrata
in vigore: il D.L. n. 70/2011 non può essere interpretato in contrasto con questo dato inequivocabile. Né la pronuncia delle Sezioni Unite può essere
letta in questa direzione. Ove i giudici affermano
che “dal testo normativo soprariportato emerge,
dunque, con chiarezza che il vincolo del prezzo
non è affatto soppresso automaticamente a seguito
della caduta del divieto di alienare (...)” intendono
chiarire che la rimozione dei divieti di alienazione
e dei limiti al prezzo di rivendita relativi alle convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà non ha comportato l’abrogazione tacita di tutti i vincoli contenuti nella L. n. 865/1971, e in particolare l’abrogazione dei vincoli di prezzo relativi alle concessioni
P.E.E.P. in diritto di superficie (31). Ogni interpretazione diretta a far risorgere divieti di alienazione
o vincoli alla determinazione del prezzo per le convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà è estranea al
portato della sentenza, e certamente da respingere.
Né, ad avviso di chi scrive, sembra legittimo ritenere ancora sussistenti dei limiti pattizi non discendenti dalla legge, ma inseriti nelle convenzioni
quali contenuti negoziali (32). Non sembra cioè
che possano ritenersi vincolanti eventuali patti
contenuti in convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà, antecedenti alla legge “Ferrarini-Botta” (33),
(28) G.M. Plasmati, La determinazione del prezzo di cessione
di alloggi e relative sanzioni in caso di inosservanza, cit.; C.
Sgobbo, Urbanistica ed edilizia - edilizia convenzionata: per le
sezioni unite permangono i vincoli sui prezzi, cit.
(29) Ad opera dell’art. 3, L. 23 dicembre 1996, n. 662.
(30) Al contrario di quanto espresso dal comma 8, lett. e),
in tema di convenzioni P.E.E.P. in superficie.
(31) Giova ripetere che il vincolo alla determinazione di
prezzo relativo alle convenzioni P.E.E.P. in superficie è contenuto in un diverso punto dell’art. 35, L. n. 865/1971, il comma
8, lett. e), che non è stato abrogato dalla legge “Ferrarini Botta”.
(32) G.M. Plasmati, La determinazione del prezzo di cessione
di alloggi e relative sanzioni in caso di inosservanza, cit.
(33) Sul tema del contenuto pattizio delle convenzioni, cfr.
G.M. Plasmati, La determinazione del prezzo di cessione di alloggi e relative sanzioni in caso di inosservanza, cit. e gli Studi
del Consiglio Nazionale del Notariato anzi più volte citati. Riassuntivamente si può concludere che, ove la convenzione
P.E.E.P. in proprietà sancisca nel suo testo la sanzione della
nullità per l’alienazione a un prezzo superiore al “prezzo imposto” - a seguito della abrogazione dei commi 15-19 dell’art. 35
- la clausola va intesa come non apposta, perché meramente
riproduttiva di una legge ormai non più in vigore (lo stesso vale
per le clausole che richiamavano il divieto di alienazione: se
sono un mero richiamo alla legge abrogata non possono considerarsi autonomi patti ex 1379 c.c.).
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nelle quali in caso di rivendita siano previste sanzioni diverse dalla nullità: anche qualora tali convenzioni dovessero riscontrarsi nella prassi, ritengo
che le diverse sanzioni dovrebbero ritenersi decadute (o, per un’interpretazione tuzioristica, comunque eliminabili attraverso il procedimento previsto
dal comma 49 bis). (34)
In altre parole, attesa l’abrogazione dei commi da
15 a 19 dell’art. 35, L. n. 865/1971 da parte della
legge “Ferrarini Botta” - e quindi l’eliminazione dei
divieti di alienazione e dei vincoli di prezzo relativi
a immobili edificati in edilizia convenzionata in
piena proprietà - non dovrebbero più sussistere ulteriori limiti convenzionali in sede di rivendita. Il
D.L. n. 70/2011 potrebbe essere letto, al più, in
funzione tuzioristica e antiprocessuale, nel senso
che, con il nuovo comma 49 bis dell’art. 31, L. n.
448/1998, sia permessa la rimozione di eventuali
vincoli convenzionali relativi al prezzo di cessione
per convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà stipulate ante 15 marzo 1992, qualora questi vincoli pattizi dovessero ritenersi ancora attuali e vincolanti
(cosa che, in linea di principio, si dubita).
Resta da risolvere il problema per le concessioni
P.E.E.P. in piena proprietà successive all’entrata in
vigore della legge “Ferrarini-Botta”: il D.L. n.
70/2011 sul punto rimane silente. Potrebbe ritenersi pertanto impossibile rimuovere i vincoli di prezzo contenuti in convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà successive al 15 marzo 1992; una soluzione
del genere resterebbe, però, gravemente insoddisfacente.
Credo si possa affermare un’interpretazione intermedia della legge, già condivisa da parte della dottrina (35): premesso che le convenzioni P.E.E.P.
per la concessione della piena proprietà, a partire
dalla L. n. 662/1996, sono sottoposte alle regole
dettate dalla normativa “Bucalossi” (nuovo comma
13), e considerato che l’art. 31, comma 49 ter, L.
n. 448/1998 (36) sottopone le concessioni “Buca-
lossi” al procedimento di rimozione del prezzo imposto (mediante atto pubblico trascritto dopo i
cinque anni dalla prima rivendita), si può far discendere che anche per le convenzioni P.E.E.P. in
piena proprietà post L. n. 662/1996 valga la facoltà
di rimozione del prezzo imposto. E ciò non in forza
del comma 49-bis (che riguarda solo le convenzioni P.E.E.P. in proprietà anteriori al 15 marzo 1992)
ma in forza del comma 49-ter, che, modificando il
sistema normativo “Bucalossi”, implicitamente regola anche le convenzioni P.E.E.P. concernenti la
proprietà piena, in forza del richiamo effettuato
dall’art. 35, comma 13, L. n. 865/1971.
Per le convenzioni P.E.E.P. in piena proprietà, stipulate tra il 15 marzo 1992 e l’entrata in vigore
della L. n. 662/1996 si condivide l’idea che non
sussistano più limitazioni legali in tema di prezzo di rivendita, in quanto il comma 16 dell’art. 35, L. n.
865/1971 è stato abrogato (37). In via di principio
non si dovrebbero porre neppure limiti di natura
convenzionale alla successiva rivendita (38).
Si deve ripetere che tutti i dubbi enucleati colpiscono aspetti estranei a quelli trattati dalla sentenza delle Sezioni Unite, che si occupava di una convenzione P.E.E.P. in diritto di superficie; per queste
convenzioni non è mai stato previsto alcun divieto
di alienazione, mentre è sempre rimasto invariato
il comma 8, lett. e) dell’art. 35, che dispone la fissazione di un prezzo imposto per legge.
Ci si può chiedere, a margine delle note critiche
sull’applicazione del D.L. n. 70/2011, come operare
nel caso - purtroppo non infrequente - in cui la
convenzione P.E.E.P. in superficie, ponendosi in
contrasto alla legge, non preveda espressamente alcun limite nella determinazione del prezzo di rivendita del bene.
Sembra ragionevole sostenere che in tal caso il bene debba intendersi liberamente alienabile a prezzo
di mercato: la convenzione deve contenere “i criteri per la determinazione del prezzo di cessione”, ma
(34) Si pensi al caso in cui una convenzione, anteriore all’entrata in vigore della legge Ferrarini Botta, avesse previsto in caso di rivendita ad un prezzo diverso da quello “imposto” la sanzione della risoluzione dell’atto di cessione, a norma dell’art. 35, comma 13, lett. d), L. n. 865/1971. Si potrebbe ritenere tale sanzione del tutto inattuale, e disapplicabile; prudenzialmente si potrebbe comunque optare per il ricorso al comma
49 bis allo scopo di accertare la definitiva rimozione di ogni limite in sede di rivendita.
(35) G. Rizzi, I prezzi vincolati nell’edilizia convenzionata alla
luce dell’ultima sentenza delle sezioni unite, cit.; CNN Studio n.
521-2011/C, La disciplina sull’edilizia residenziale convenzionata
dopo il Decreto sullo Sviluppo 2011, cit., e la successiva integrazione approvata dalla Commissione Studi Civilistici del 17
gennaio 2013 dal titolo Ulteriori considerazioni in tema di edili-
zia residenziale convenzionata (ad integrazione dello studio n.
521-2011/C), cit.
(36) Introdotto con il D.L. n. 70/2011.
(37) CNN Studio n. 521-2011/C, La disciplina sull’edilizia residenziale convenzionata dopo il Decreto sullo Sviluppo 2011,
cit., e la successiva integrazione approvata dalla Commissione
Studi Civilistici del 17 gennaio 2013 dal titolo Ulteriori considerazioni in tema di edilizia residenziale convenzionata (ad integrazione dello studio n. 521-2011/C), cit.
(38) La nuova normativa del 2011 non permetterebbe, almeno testualmente, di rimuovere alcun limite alla rivendita
contenuto in convenzioni stipulate tra il 15 marzo 1992 e la finanziaria del 1997 - anche per questo è lecito dubitare della attuale sussistenza ed efficacia di tali limiti convenzionali.
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ove non li contenga non sembra possibile affermare la sussistenza di un vincolo opponibile in sede di
rivendita, in quanto non vi sarebbe modo di determinare il “prezzo imposto”.
È però oggi fortemente consigliabile, dopo l’entrata
in vigore del procedimento per la rimozione dei
vincoli ex D.L. n. 70/2011, una previa istanza al
Comune per avere la certezza che il bene sia libero,
e che non occorra, per una vendita a prezzo di
mercato, il previo esperimento della procedura anzi
descritta.
Portati innovativi e portati critici della
sentenza delle Sezioni Unite
Occorre ora soffermarsi su alcune considerazioni
svolte dalle Sezioni Unite, e in particolare sulla sostituzione automatica delle clausole ex art. 1339
c.c. e sulla qualificazione del “prezzo imposto” quale onere reale.
Applicazione dell’inserzione automatica di
clausole ex art. 1339 c.c.
Nel caso di specie i giudici hanno affermato che,
nel contratto preliminare di vendita avente ad oggetto il diritto di superficie su un immobile costruito in edilizia convenzionata, in cui il prezzo è fissato al di sopra del prezzo “imposto”, la clausola relativa al prezzo è da considerarsi nulla, perché in
contrasto con una norma imperativa (39).
Più in particolare si ricorda che la legge delega al
Consiglio Comunale la fissazione dei criteri per la
determinazione del prezzo; la convenzione che
contiene tali precisazioni, in quanto posta in essere
in esecuzione di una previsione di legge, acquisterebbe imperatività in forza delle stesse norme che
ad essa richiamano.
(39) E segnatamente l’art. 35, L. n. 865/1971.
(40) G. Rizzi (I prezzi vincolati nell’edilizia convenzionata alla
luce dell’ultima sentenza delle Sezioni Unite, cit.) analizza la
questione in altro modo: presupposto che per le convenzioni
“Bucalossi” l’art 18, comma 5, T.U.E. prevede che ogni pattuizione stipulata in violazione dei prezzi di cessione è nulla per la
parte eccedente, e che tale regola non è invece prevista per le
convenzioni P.E.E.P. in superficie distingue: i) se la convenzione prevede espressamente la sanzione da irrogarsi in caso di
violazione del prezzo imposto, è a quella che si deve fare riferimento: potrebbe trattarsi di una sanzione pecuniaria, che non
inficia la validità della vendita, o addirittura la decadenza, che
comporta l’estinzione dei diritti del concessionario e dei suoi
aventi causa; ii) se nulla la convenzione prevede, sarebbero
percorribili tre strade interpretative: la nullità dell’intero contratto (soluzione applicata per analogia dall’edilizia sovvenzionata), l’annullabilità del contratto (per errore essenziale ex art.
1429 c.c.) o infine la nullità parziale ex art. 1419 c.c., con sostituzione automatica della clausola nulla a norma dell’art. 1339
c.c. Tale ultima strada è quella ritenuta preferibile dall’Autore e
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Per questo le SS.UU. predicano la nullità del contratto in caso di violazione delle regole sul prezzo
“imposto”, e non propendono per l’applicazione di
un rimedio risarcitorio o per la nullità integrale del
contratto (40).
La nullità è qualificata dai giudici come parziale, ex
art. 1419, comma 2, c.c.: trova applicazione l’art.
1339 c.c., e quindi la sostituzione della clausola di
prezzo illecita con il prezzo calmierato, dettato dalla convenzione P.E.E.P.
La dottrina ricorda che l’inserzione automatica di
clausole, ex art. 1339 c.c., è uno strumento che
non incide sul contenuto del sinallagma, ma sulla
qualità e la misura degli effetti del contratto (41):
l’applicazione della norma al tema del “prezzo imposto” sembra dunque esatta e armonica.
La Corte si preoccupa di superare un primo argomento contrario, e afferma che l’art. 1339 c.c. è da
intendersi applicabile non solo quando è la legge
stessa ad individuare la clausola da interpolare nel
testo negoziale, ma concerne anche i casi in cui la
legge preveda che l’individuazione della clausola
sia fatta da altra fonte, da essa autorizzata. Pertanto
le convenzioni urbanistiche possono essere fonti di
etero-integrazione del contratto, ex art. 1339 c.c.,
quando è la legge a delegare alle stesse la precisazione di regole obbligatorie per futuri negozi da stipulare tra Comune e privati.
Tale affermazione è condivisa dalla giurisprudenza (42) e dalla dottrina (43) largamente prevalenti.
Si potrebbe trovare una seconda ragione contraria
all’applicazione dell’art. 1339 al caso in esame, proprio nella lettera dell’art. 1419, comma 1: la promittente venditrice, nel caso commentato, non
avrebbe in nessun caso concluso il contratto alle
condizioni di prezzo imposte dalla legge - pertanto
percorsa dalle Sezioni Unite.
(41) F. Messineo, Contratto (diritto privato), in Enc. dir., IX,
Milano, 1961, 936; Id., Dottrina generale del contratto, III ed.,
Milano, 1948, 365; isolata è la voce di chi (A. Romano, Limiti
dell’autonomia privata derivanti da atti amministrativi, cit., 179;
Cass. 14 febbraio 1974, n. 420, in Giust. civ., 1974, 1, 733), ritiene che la sostituzione opererebbe solo nel caso in cui la norma imperativa espressamente lo prevedesse.
(42) Cass. 10 febbraio 2010, n. 3018, in Giust. civ., 2010, 4,
1, 829, Cass. 21 dicembre 1994, n. 11032, in Giust. civ., 1995,
1, 1237, con nota di Costanza, Integrazione del contratto mediante inserimenti automatici di clausole e limiti dell’autonomia
privata.
(43) M. Psaro, L’integrazione del contratto, in Comm. Cendon, I, I contratti in generale, Torino, 2000, 200; G. Patti - S.
Patti, Responsabilità precontrattuale e contratti standard, in
Comm. Schlesinger, Milano, 1993, 249; contra A. Romano, Limiti dell’autonomia privata derivanti da atti amministrativi, cit.,
178.
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la nullità della clausola sul prezzo avrebbe dovuto
comportare la nullità dell’intero contratto.
La legge afferma cioè che il giudice, interpretando
il contratto, non potrebbe applicare la regola della
nullità parziale ex art. 1419 c.c., nel caso in cui l’esito complessivo dell’operazione conduca ad un risultato chiaramente contrastante con la volontà
dei contraenti. Il punto è confermato da una recentissima sentenza di cassazione (44): in caso di
nullità di una clausola del contratto, la parte deve
provare in giudizio che non si sarebbe concluso il
contratto senza quella parte affetta da nullità. Si
afferma infatti, nella sentenza del febbraio 2016:
“Ai fini della trasmissione del vizio da una parte
dall’intera clausola, ex art. 1419 c.c. (...) è richiesta
la prova che le parti non avrebbero concluso il
contratto senza quella parte affetta da nullità”.
Si deve però ricordare che lo stesso art. 1419 c.c.,
al comma 2, prevede che la nullità delle singole
clausole non importa la nullità del contratto quando opera la sostituzione di diritto con norme imperative, e cioè il meccanismo previsto dall’art. 1339
c.c. Sul punto, l’interpretazione prevalente in dottrina e giurisprudenza è conforme a quella operata
dalle Sezioni Unite: quando opera l’art. 1339 c.c. il
giudice non potrebbe affermare la nullità dell’intero contratto, neanche quando consta che le parti
non lo avrebbero concluso a quelle condizioni.
Si deve dar conto, però, di una posizione opposta,
riscontrata in parte della dottrina (45) e della giurisprudenza (46) (per quanto minoritarie): dando
maggiore rilievo alla volontà delle parti si afferma
che l’equilibrio sinallagmatico non potrebbe sopravvivere nel caso in cui si provi che le parti non
avrebbero concluso il contratto risultante dall’eterointegrazione imposta dall’art. 1339 c.c. (in common law si parla, in questi casi, di freedom from contract). La tesi è interessante, e certamente avrebbe
portato, nel caso di specie, ad un esito più equo,
ma non pare sufficientemente fondata dal punto di
vista normativo.
Sul solco di tali ragionamenti ci si potrebbe chiedere se non ci sia altro modo di dare rilievo al fatto
che il venditore non avrebbe concluso il contratto
se avesse saputo del “prezzo imposto”.
Il “prezzo imposto” come onere reale
Le Sezioni Unite dicono espressamente che “il vincolo del prezzo non è affatto soppresso automaticamente a seguito della caduta del divieto di alienare; ed anzi, in assenza di convenzione ad hoc (...)
segue il bene nei successivi passaggi di proprietà, a
titolo di onere reale, con naturale efficacia indefinita”.
L’onere reale è fattispecie non regolamentata dal
nostro codice civile, di elaborazione dottrinale (48).
L’orientamento unanime afferma che gli oneri reali
sono tipici, e rinviene quali unici esempi codificati
i contributi consorziali ex art 864 c.c. e l’art. 253
del Codice dell’Ambiente (49).
Senza pretesa di completezza, può ricordarsi che
l’onere reale è definito come un’obbligazione con
scadenza periodica, di dare o di fare, gravante sul
titolare di un fondo e connessa alla proprietà dello
stesso - il cui creditore non è, necessariamente, il
proprietario di fondi limitrofi, ma può essere anche
un terzo. Si riscontra la inoltre peculiarità che, in
caso di inadempimento dell’obbligazione, il creditore è legittimato ad esperire l’azione reale sul fon-
(44) Cass. 5 febbraio 2016, n. 2314, in www.dirittobancario.it.
(45) A. Romano, Limiti dell’autonomia privata derivanti da atti amministrativi, cit., 178.
(46) Tri. Milano 9 luglio 1992, in Giust. civ., 1993, 81; T.A.R.
Puglia 22 dicembre 1986, n. 1185, in Foro amm., 1987, 1220.
(47) Cass. 13 maggio 1983, n. 3293, in Lav. nella p.a., 1983,
1405.
(48) B. Biondi, Oneri reali e obbligazioni propter rem, in Foro
pad., 1953, 1, 163; L. Bigliazzi Geri, Oneri reali e obbligazioni
propter rem, Milano, 1984; C.M. Bianca, Diritto Civile, 4, L’obbligazione, Milano, 1990, 65-66.
(49) C.M. Bianca, Diritto Civile, 6, La Proprietà, cit., 143;
CNN Studio 108-2010/C, Onere reale e certificato di destinazione urbanistica nel Codice dell’ambiente, a firma di G. Trapani, in
Studi e Materiali, Milano, 2010, 2, 395 ss.
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Non vi sono spazi, in materia, per invocare l’annullabilità del contratto per errore di diritto, ex
art. 1429 comma 1, n. 4), c.c.; come ricordato da
una non recente sentenza di Cassazione (47), la
previsione dell’art. 1419, comma 2, c.c. impedisce
che si possa affermare l’annullabilità dell’intero
contratto per errore di diritto, anche se si tratta di
errore essenziale: la clausola sulla quale ricade l’errore è infatti oggetto della sostituzione automatica
ex 1339 c.c., che opera in forza di legge.
Residuerebbe piuttosto la possibilità di un rimedio
risarcitorio, qualora emergesse che la parte promissaria acquirente avesse conosciuto l’esistenza della
causa di invalidità parziale e non ne avesse dato
notizia alla promittente venditrice (art. 1338 c.c.).
Più discutibile l’ipotesi di una responsabilità della
Regione (che potrebbe forse affermarsi solo se, in
concreto, l’Ente Pubblico, oltre ad autorizzare l’acquisto, avesse anche negato l’esistenza di vincoli di
prezzo imposto).
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do e a soddisfarsi sul ricavato, con prelazione rispetto agli altri creditori dell’onerato (50).
Il vincolo grava l’immobile anche in caso di successivo trasferimento del bene: sussiste cioè il carattere dell’ambulatorietà dei diritti reali, pur non
trattandosi di un diritto reale, ma di una fattispecie
tipica di obbligazione reale (51).
Aderendo alle interpretazioni dottrinali anzi sintetizzate, le conclusioni delle Sezioni Unite sul punto
sembrano poco condivisibili: il vincolo di prezzo
imposto non è certo un dare né un fare, non ha carattere periodico e non garantisce prelazione al creditore sul bene. Ma la più attenta dottrina nota
che la giurisprudenza non distingue tra oneri reali
e obbligazioni propter rem, utilizzando le due espressioni come sinonime (52).
Si potrebbe quindi concludere che la Corte ha inteso qualificare il vincoli di prezzo massimo per la
cessione quale obbligazioni propter rem, e cioè quali
obblighi collegati alla proprietà o altro diritto reale
su immobili costruiti in edilizia convenzionata.
Questa ricostruzione è più convincente, dato che
le obbligazioni propter rem, al contrario degli oneri
reali, non hanno carattere periodico e possono
consistere anche in un non facere (come nel caso
di specie, in cui il proprietario è tenuto a non vendere al di sopra di un certo prezzo) (53).
Si deve sottolineare che, aderendo a questo indirizzo interpretativo, la possibilità introdotta dal D.L.
n. 70/2011 di eliminare i vincoli di prezzo dovrebbe considerarsi quale modo di estinzione dell’obbligazione propter rem: la trascrizione dell’atto pubblico col quale si finalizza la liberazione dell’immobile
potrebbe avere, a seconda delle interpretazioni,
funzione di pubblicità dichiarativa o di pubblicità
notizia (54) (a seconda che si intenda l’obbligazio-
ne propter rem come diritto avente natura mista (55) - reale e obbligatoria - o come mera obbligazione (56)).
Per quanto, in ultima analisi, la sentenza delle Sezioni Unite sia in larga parte condivisibile, e porti
chiarezza su un tema di grande rilievo pratico,
complicato dalla schizofrenia legislativa, non possono tacersi due ulteriori notazioni di chiusura.
Anzitutto, se è condivisibile il richiamo teorico effettuato dalla corte al D.L. n. 70/2011 quale norma
chiarificatrice, che giustifica la persistenza dei vincoli di prezzo imposto, sembra invece non condivisibile l’utilizzo della normativa del 2011 quale fonte di soluzione del caso concreto. I giudici affermano che “non risulta ex actis che la procedura sopra
descritta (...) sia stata seguita” dalla promittente
venditrice - non considerando che la facoltà di rimozione dei vincoli di prezzo è stata introdotta oltre quindici anni dopo l’inizio della causa: le parti
non avrebbero potuto porre in essere il procedimento oggi previsto dall’art. 31, comma 49 bis, L.
n. 448/98, perché la norma non esisteva ancora.
In secondo luogo, come già più volte accennato, la
Corte distingue tra convenzioni P.E.E.P., vincolanti per tutti gli aventi causa dal costruttore, e convenzioni “Bucalossi”, che ritiene vincolanti solo
per il concessionario/costruttore e non per i successivi acquirenti (57).
Si è visto che il D.L. n. 70/2011 ha comportato la
necessità logico-sistematica di interpretare in senso
opposto la normativa “Bucalossi”: se la legge prevede anche in questo caso la possibilità di rimuovere
le limitazioni di prezzo solo dopo cinque anni dalla
prima cessione, è fisiologico desumere che i vincoli
di prezzo gravino anche sugli aventi causa dal costruttore (58).
(50) Alcuni giungono a considerarlo quindi come una causa
di prelazione, pur mantenendolo distinto dai diritti reali di garanzia - C.A. Funaioli, Oneri reali e obbligazioni propter rem: a
proposito della distinzione fra diritti di credito e diritti reali, Milano, 1953, passim.
(51) F. Santoro-Passarelli, Dottrine generali del diritto civile,
Napoli, 2002, 82 contra C.M. Bianca, Diritto Civile, 6: La Proprietà, Milano, 1999, 142.
(52) F. Rolfi, Sulla tipicità delle obbligazioni propter rem, in
Corr. giur. 1997, 5, 556 ss.: “Tale distinzione non ha mai trovato accoglimento presso la giurisprudenza, che anzi utilizza le
due espressioni come se fossero fungibili, mentre la dottrina
ha sempre ribadito tale distinzione”.
(53) L. Bigliazzi Geri, Oneri reali e obbligazioni propter rem,
cit.; F. Rolfi, Sulla tipicità delle obbligazioni propter rem, cit.
(54) G. Petrelli, Affrancazione dei vincoli riguardanti il prezzo
massimo di rivendita previsti da convenzioni urbanistiche, in
www.gaetanopetrelli.it.
(55) M. Giorgianni, L’obbligazione, Milano, 1951, 101.
(56) Tesi prevalente: ex multis C.M. Bianca, Diritto Civile, 6,
La Proprietà, cit., 139.
(57) Con ciò seguendo l’opinione della giurisprudenza e della dottrina largamente maggioritarie, prima dell’introduzione
del D.L. n. 70/2011.
(58) In tal senso, come si è detto, G. Rizzi, I prezzi vincolati
nell’edilizia convenzionata alla luce dell’ultima sentenza delle Sezioni Unite, cit.; CNN Studio n. 521-2011/C, cit.; G.M. Plasmati,
La determinazione del prezzo di cessione di alloggi e relative
sanzioni in caso di inosservanza, cit., 410 ss.; G. Petrelli, Affrancazione dei vincoli riguardanti il prezzo massimo di rivendita previsti da convenzioni urbanistiche, cit.
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Società
Trasformazione atipica
da società di persone
con unico socio ad impresa
individuale
Cassazione Civile, Sez. I, 14 gennaio 2015, n. 496 - Pres. Rordorf - Est. Didone
Nel caso di recesso di un socio da una società in nome collettivo composta da due soli soci, qualora quello superstite non abbia ricostituito la pluralità della compagine sociale decidendo al contempo di continuare l’attività aziendale come impresa individuale - così determinandosi lo scioglimento della società, a norma dell’art.
2272, n. 4, c.c. -, non si realizza una trasformazione societaria ai sensi dell’art. 2498 c.c., ma solo una successione tra soggetti distinti, ossia tra colui che conferisce l’azienda (la società di persone in liquidazione) e la
persona fisica che ne è beneficiaria (il socio superstite).
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. 9 marzo 1996, n. 1876; Cass. 6 febbraio 2002, n. 1953; Cass. 16 febbraio 2007, n. 3670.
Difforme
Cass. 9 marzo 1996, n. 2226.
La Corte (omissis).
1. Con sentenza 16 marzo 2010 il Tribunale di Aosta
ha dichiarato il fallimento della s.n.c. Alfa di Caio &
C. e di Caio in qualità di socio illimitatamente responsabile. Nel corso della procedura per la dichiarazione di
fallimento, iniziata a seguito di istanza 3.9.2009 del PM
a cui si era poi aggiunta l’istanza 3.12.2009 della società
creditrice Delta s.r.l., era stata eccepita l’inammissibilità
di questo ricorso da parte della Beta Holding s.n.c. e,
che, costituendosi, aveva posto a fondamento dell’eccezione la propria ammissione alla procedura di concordato preventivo.
Il Tribunale, prima di esaminare questa eccezione, ha
ripercorso le vicende della società Alfa; tali vicende
possono essere sintetizzate come segue.
- Alfa s.r.l. fu posta in liquidazione con delibera assembleare del 16 luglio 2009; all’epoca i soci erano tre: Tizio, Caio e Beta Holding (d’ora in poi Beta H.) s.p.a.;
- il 4 agosto 2009 i fratelli Tizio e Caio cedettero le loro
quote a Beta H. s.p.a., che quello stesso giorno fu trasformata in s.r.l. per essere poi trasformata in s.n.c. il 15
settembre;
- il 16 settembre Alfa fu trasformata da s.r.l. in liquidazione in s.n.c. in liquidazione;
- il 1 ottobre Beta Hoding cedette la sua partecipazione
in Alfa a Caio il quale dichiarò in atto di voler rinun-
380
ciare alla ricostituzione della pluralità dei soci e di voler
esercitare l’attività in forma individuale;
- la Alfa s.n.c. in liquidazione fu cancellata dal registro
delle imprese in data 7.10.2009, avendo presentato richiesta il giorno prima;
- il giorno 8 ottobre fu revocato lo stato di liquidazione
della Beta H. s.n.c. e ad essa lo stesso giorno Caio, titolare della ditta individuale Alfa, conferì l’azienda.
Il Tribunale ha rilevato innanzitutto che non era trascorso l’anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese, con conseguente possibilità di dichiararne il fallimento; ha ritenuto irrilevante il fatto
che tale cancellazione non fosse stata preceduta dalla liquidazione del patrimonio sociale, trattenuto dall’unico
socio quindi conferito ad altra società; ha ritenuto quindi, in applicazione di quanto disposto dall’art. 2560 c.c.,
che il trasferimento dell’azienda non avesse liberato il
cedente dei suoi debiti e che di conseguenza non avesse
privato i creditori del diritto di agire nei confronti del
cedente, anche mediante istanza di fallimento; ha ritenuto poi irrilevante il fatto che il soggetto cui l’azienda
era stata conferita fosse stato ammesso alla procedura di
concordato preventivo.
1.1. Con l a s entenza i mpug nata (depositata i l
14.7.2010) la Corte di appello di Torino ha rigettato il
reclamo proposto dalla società Alfa e da Caio, osservando che la cancellazione di detta società dal registro era
avvenuta da meno di un anno e che la continuazione
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dell’attività aziendale ad opera dell’unico socio superstite non configurava, come sostenevano i reclamanti, una
trasformazione eterogenea della s.n.c. in impresa individuale, bensì una mera cessione d’azienda che non liberava la cedente dalle pregresse obbligazioni.
Contro la sentenza di appello la s.n.c. Alfa e Caio hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resistono con controricorso la curatela fallimentare
nonché la creditrice istante s.p.a. Gamma Banca.
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c. i ricorrenti hanno
depositato memoria.
2.1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione di norme di diritto (art. 2500-septies in combinato disposto con gli artt. 2498, 2500-quinquies, 2500sexies, 2500-octies e 2500-novies c.c.) lamentando che
erroneamente la corte di merito abbia ritenuto inammissibile la trasformazione eterogenea da società di persone in impresa individuale, con applicazione dell’art.
2498 c.c. Deducono che nella concreta fattispecie il
soggetto fallibile è l’impresa individuale Caio e non la
s.n.c. Alfa di Caio.
2.1.1. Il motivo è inammissibile.
Invero, ammessa pure la configurabilità di una trasformazione eterogenea da società di persone in impresa individuale (contro, peraltro, il dato testuale di cui all’art.
2498 c.c.: trasformazione di ‘ente’ in ‘ente’, mentre l’impresa individuale non è contemplata) se ne dovrebbe
dedurre che il soggetto giuridico ha mutato abito ma
non identità, tale essendo appunto il proprium dell’istituto della trasformazione, ed allora si tratterebbe al più
di correggere l’intestazione della dichiarazione di fallimento unificando quello sociale e quello personale dell’ex socio illimitatamente responsabile divenuto titolare
dell’impresa individuale, ma non certo di revocare il fallimento: donde il difetto di interesse del ricorrente a
sollevare una questione di sapore essenzialmente accademico.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione di norme di diritto (art. 2498 c.c. in combinato disposto con gli artt. 2500-septies, 2272 e 2308
c.c.) deducendo che una società di persone può trasformarsi in impresa individuale allorché viene meno la
pluralità dei soci e l’impresa in tal modo trasformata subentra ex art. 2498 c.c., conservando e proseguendo
tutte le situazioni giuridiche, sia attive che passive, della società.
2.2.1. In motivo è infondato.
La nascita di un’impresa individuale, cui quella collettiva trasferisca il proprio patrimonio, non preclude la dichiarazione del fallimento della società entro un anno
dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese (Sez. 1, n. 1593/2002. Principio affermato in una
fattispecie nella quale era stata dichiarata fallita una società disciolta, per mancata ricostituzione della pluralità
dei soci a seguito di recesso di uno di questi, con assorbimento integrale del patrimonio nell’impresa individuale del socio superstite).
Secondo la giurisprudenza di questa Corte nell’ipotesi
di assegnazione di azienda rientra l’atto con il quale
uno dei soci receda da una società in nome collettivo
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composta da due soli soci, dando quietanza dell’avvenuta liquidazione della quota, mentre l’altro contestualmente dichiari di non voler ricostituire la società, ma di voler proseguire in proprio, quale imprenditore individuale, l’attività d’impresa. Ciò in quanto lo
scioglimento della società, che a norma dell’art. 2272,
n. 4, c.c. si determina per la sopravvenuta mancanza
della pluralità dei soci, se la società non sia ricostituita nel termine di sei mesi, quando riguarda una società di persone non determina alcuna modificazione
soggettiva dei rapporti facenti capo all’ente, la titolarità dei quali si concentra nell’unico socio rimasto;
l’attesa semestrale dell’eventuale ricostituzione della
pluralità dei soci può essere anticipatamente interrotta dalla scelta del socio superstite di non trovare altri
soci, bensì di continuare l’attività come impresa individuale.
Una siffatta vicenda non integra una trasformazione nel
senso tecnico inteso dall’art. 2498 cod. civ., riferito alla
trasformazione di una società da un tipo ad un altro,
bensì un rapporto di successione tra soggetti distinti, distinguendosi, appunto, persona fisica e persona giuridica
per natura, e non solo per forma. L’“atipica trasformazione” in parola è preceduta dallo scioglimento della società e dalla liquidazione della stessa, concludentesi con
l’assegnazione del patrimonio sociale residuo al socio superstite ai fini della successiva estinzione della società
stessa (Sez. 5, n. 3670/2007).
Principio indubbiamente valido anche alla luce della
riforma del diritto societario, posto che, come innanzi
rilevato, l’art. 2498 c.c. riserva la disciplina della trasformazione a quella di un “ente” in altro “ente” (nella eterogenea da società in consorzi, società consortili, comunioni d’azienda, associazioni non riconosciute
e fondazioni e viceversa: artt. 2500-septies e 2500-octies).
È assorbente, peraltro, la circostanza che i ricorrenti
non censurano adeguatamente l’accertamento (in fatto)
operato dalla corte di merito, secondo cui l’atto posto
in essere con la c.d. trasformazione della s.n.c. in impresa individuale non implicherebbe affatto un intento di
trasformazione, bensì il semplice conferimento dell’azienda sociale al socio unico superstite come modalità
di liquidazione del patrimonio della società, dovendosi
prescindere dalla mera intestazione dell’atto notarile anche come “trasformazione”.
2.3. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 2498 c.c. in combinato disposto con
l’art. 2560 c.c. e 10 l. fall.
Deducono che, essendo stata poi la medesima azienda
ulteriormente trasferita dal socio unico superstite ad altra società che era stata ammessa a concordato preventivo, sarebbe venuta meno la possibilità di dichiarare il
fallimento del cedente.
2.3.1. La censura è inammissibile perché dalla sentenza
impugnata si evince che la questione relativa agli effetti
dell’ammissione della Beta H. al concordato preventivo,
mentre è stata affrontata dalla sentenza del tribunale,
non è stata riproposta, con specifico motivo di reclamo,
alla Corte di appello. Né i ricorrenti indicano in ricorso
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se e con quali modalità sia stata prospettata la censura
stessa alla corte di merito, in violazione del principio di
autosufficienza.
Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità - liquidate in dispositivo - seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di legittimità,
liquidate per ciascun controricorrente in Euro 5.200,00
di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese
forfettarie come per legge.
IL COMMENTO
di Giuseppe Margiotta
La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sulla trasformazione di una società di persone con
unico socio in impresa individuale, ipotesi non prevista dal legislatore. La Suprema Corte non ritiene ammissibile tale operazione in presenza di rapporti giuridici pendenti, dovendo essere preceduta dallo scioglimento e liquidazione della società e realizzandosi con essa un’assegnazione,
un conferimento o una cessione dell’azienda dalla società all’ex socio superstite. In assenza di
rapporti giuridici pendenti, considerata la derogabilità della fase di liquidazione nelle società di
persone, deve ritenersi ammissibile l’atto di scioglimento senza messa in liquidazione della società che di fatto realizza gli effetti della trasformazione della società in impresa individuale. Non
deve ritenersi ammissibile la trasformazione di una società di capitali con unico socio in impresa
individuale stante l’inderogabilità della fase di liquidazione delle società di capitali e l’impossibilità di applicare analogicamente l’art. 2500 novies c.c. alla luce della natura omogenea e non eterogenea di tale fattispecie di trasformazione.
La sentenza in rassegna consente di approfondire
un’ipotesi di trasformazione atipica non prevista
dal legislatore ossia da società di persone con un
unico socio ad impresa individuale.
Il D.Lgs. n. 5 del 2003 ha introdotto nel codice civile alcuni articoli (artt. 2500 septies c.c. e 2500 octies) che prevedono delle ipotesi di trasformazione
eterogenea, ma non la trasformazione da società ad
impresa individuale e viceversa.
Quantunque il legislatore della riforma del diritto
societario abbia esteso l’ambito di applicazione della trasformazione - oggi non più istituto endosocietario - occorre tuttavia tenere conto delle ipotesi
di trasformazione eterogenea espressamente previste che costituiscono dei limiti per l’interprete anche alla luce della tutela delle ragioni dei creditori
sociali (1).
Nel caso esaminato dalla S.C. si è verificato uno
scioglimento della società di persone ed una trasformazione in impresa individuale senza una pre-
ventiva definizione dei rapporti giuridici pendenti
facenti capo alla società, senza passare - quindi attraverso una fase di liquidazione.
Il socio superstite di una società in nome collettivo
in liquidazione nell’atto notarile di acquisto della
totalità delle quote dei restanti soci dichiarava che
non intendeva ricostituire la pluralità dei soci
(senza attendere il decorso del termine semestrale
di cui all’art. 2272, n. 4, c.c.) ed al contempo di
voler continuare l’attività sociale in forma di ditta
individuale.
Successivamente la società veniva cancellata dal
registro delle imprese e il giorno successivo alla
cancellazione l’ex socio superstite, divenuto titolare della ditta individuale, conferiva l’azienda in
un’altra società in liquidazione, previa revoca della
liquidazione medesima, con l’intento di sottrarre il
socio al fallimento della società poi fallita.
Quantunque la trasformazione decisa dal socio superstite di una società di persone possa apparire
meritevole di tutela ai sensi dell’art. 1322 c.c. sotto
(1) Nel senso contrario all’ammissibilità prima della riforma
del diritto societario di una trasformazione in senso tecnico da
società ad impresa individuale v. M. Sarale, Trasformazione e
continuità dell’impresa, Milano, 1996, 289; G. Cabras, Le trasformazioni, in Trattato delle società per azioni, diretto da Colombo - Portale, 7, Torino, 1997, 26 ss.; G. Tantini, Trasforma-
zione e fusione delle società, in Trattato di diritto commerciale e
diritto pubblico dell’economia, diretto da Galgano, VIII, Padova,
1985, 188, secondo il quale la trasformazione - prima della riforma - doveva intendersi quale modifica del contratto sociale
consistente nel cambiamento del tipo non idoneo a dar luogo
ad un mutamento causale.
Il caso
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il profilo della continuità dell’attività di impresa, il
legislatore della riforma del diritto societario non
ha previsto l’impresa individuale come punto di
partenza o di arrivo della trasformazione eterogenea delle società (2).
Nell’esame della fattispecie di trasformazione atipica di società con unico socio in impresa individuale occorre tenere conto delle ragioni di tutela dei
creditori sociali i quali - a seguito della trasformazione e della conseguente confusione del patrimonio della società con quello personale del socio corrono il rischio di vedere diminuita la garanzia
patrimoniale generica del loro debitore.
Occorre distinguere l’ipotesi in cui punto di partenza della trasformazione sia una società di persone da quella in cui sia una società di capitali.
Due appaiono le ragioni ostative alla trasformazione di società di persone in impresa individuale che
sono da rivenirsi: a) nella discontinuità soggettiva
del soggetto trasformando, in spregio al principio
di continuità dei rapporti giuridici previsto dall’art.
2498 c.c.; b) nella mancanza di tutela dei creditori
sociali che non potrebbero avvalersi del diritto
d’opposizione previsto dall’art. 2500 novies c.c.
In caso di passaggio da società di capitali ad impresa individuale ai predetti limiti si aggiunge l’inderogabilità della fase di liquidazione, momento im-
prescindibile ed ineludibile nelle società di capitali.
Il procedimento di liquidazione nelle società di capitali è inderogabile con la conseguente necessità
della nomina dei liquidatori e del rispetto delle disposizioni di legge in materia di liquidazione.
Con riferimento al profilo dell’assenza di continuità, l’art. 2498 c.c. prevede il principio di continuità
dei rapporti giuridici anche processuali facenti capo alla società in un’ottica evolutivo - modificativa
e non novativa - successoria dell’ente trasformato
che non si estingue ma continua seppur con una
diversa forma.
L’art. 2498 c.c. parla di ente trasformato, cosicché
la norma non può interpretarsi estensivamente fino
a ricomprendervi anche l’impresa individuale.
L’impresa individuale non può qualificarsi quale
ente dotato di soggettività giuridica, né configura
un fenomeno di autonomia patrimoniale o un patrimonio separato, stante le ipotesi tassative di cui
all’art. 2741 c.c. In realtà, anche nella trasformazione di società in comunione d’azienda non si è in
presenza di un passaggio da una società ad un altro
soggetto di diritto, da un ente ad altro ente, essendo la comunione d’azienda priva di soggettività
giuridica e di autonomia patrimoniale ed identificandosi in una mera comproprietà dell’azienda a
scopo di godimento (3). Nella trasformazione da
(2) In dottrina favorevoli alla trasformazione di società in
impresa individuale M. Maltoni in M. Maltoni - F. Tassinari, La
Trasformazione delle società, Milano, 2005, 290 ss.; G. Marasà,
Le trasformazioni eterogenee, in Riv. not., 2003, 585; A. Pisani
Massamormile, Trasformazione e circolazione dei modelli organizzativi, in Riv. dir. comm., 2008 I, 109 ss.; L. De Angelis, La
trasformazione nella riforma del diritto societario, in Società,
2003, 383; D. Boggiali - A. Ruotolo, Trasformazione di società
unipersonale in impresa individuale, Studio di Impresa n. 5452014/I, in Studi e materiali, 2014, 695 che ritengono ammissibile - pur sottolineando che la soluzione non sia del tutto pacifica - la trasformazione di società in impresa individuale, “tenuto conto del fatto che, diversamente opinando, si corre il rischio di pervenire a risultati incongrui riconoscendo una piena
continuità alla sola vicenda trasformativa che riguardi la contitolarità di un complesso di beni organizzati ma non concretamente utilizzati per l’attività di impresa, e negandola invece all’unico socio che intenda continuare ed utilizzare l’azienda in
veste di impresa individuale”; contra U. Santosuosso, La trasformazione eterogenea: La disciplina generale, le operazioni
straordinarie: questioni di interesse notarile e soluzioni applicative, in Fondazione italiana per il notariato, Milano, 2007, 236.
Con riferimento al tema specifico della trasformazione di società in impresa individuale sia consentito rinviare a G. Margiotta, La trasformazione della società in impresa individuale, in
Società, 2005, 980. Contraria all’ammissibilità di tale trasformazione è la prevalente giurisprudenza, v. Cass. 9 marzo
1996, n. 1876, in Foro it., 1996, I, 1, 2070 secondo cui “lo scioglimento della società in nome collettivo per mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel termine semestrale non provoca l’estinzione dell’ente né la sua trasformazione in impresa individuale”; nello stesso senso Cass. 6 febbraio 2002, n. 1953
secondo cui la trasformazione di una società in impresa individuale determina sempre un rapporto di successione tra soggetti distinti perché persona giuridica e persona fisica di distinguono per natura e non solo per forma; Cass. 16 febbraio
2007, n. 3670; App. Torino 14 luglio 2010, in Riv. not., 2011,
1445; Trib. Mantova 28 marzo 2006, in Giur. comm., 2007, II,
1132; a favore dell’ammissibilità della trasformazione di società in impresa individuale vedi Cass. 9 marzo 1996, n. 2226, in
Giur. comm., 1997, II, 615, che ha ritenuto che “con il venir
meno della pluralità dei soci, la società semplice, composta da
due soci, perde il carattere societario e si trasforma in impresa
individuale, con la concentrazione della titolarità dei rapporti già facenti capo alla società - nel socio superstite, che, quale
imprenditore individuale, risponde personalmente delle obbligazioni già sociali”; Trib. Torino 10 febbraio 1994, in Società,
1994, 673.
(3) Nel senso che nell’ipotesi di trasformazione della comunione d’azienda il legislatore eleva la conservazione del vincolo
di destinazione che connota giuridicamente l’azienda ad oggetto del principio di continuità, v. M. Maltoni - F. Tassinari,
op. cit., 298; secondo G. Marasà, op. cit., 596 il principio di
continuità dei rapporti giuridici andrebbe riferito ai beni di
compendio del patrimonio aziendale e non al soggetto. L’assenza di continuità soggettiva ha indotto a ritenere difficilmente compatibile con la trasformazione il passaggio da società a
comunione d’azienda e viceversa. Così L. De Angelis, Trasformazione eterogenee: sottintesi e reticenze della legge di riforma,
in Società, 2005, 10, secondo il quale la previsione della comunione d’azienda tra le ipotesi di trasformazione eterogenea è
stata ritenuta un errore del legislatore, dal momento che la comunione d’azienda è priva di soggettività giuridica e di qualsiasi forma di autonomia patrimoniale. La previsione della tra-
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società a comunione d’azienda e viceversa vi è una
continuità di rapporti giuridici riferibile al patrimonio, al complesso aziendale mentre vi è una discontinuità con riferimento ai soggetti. Si passa da
una società e quindi da un soggetto di diritto ad
una comproprietà dell’azienda col venir meno del
vincolo di destinazione relativo ai beni di proprietà
della società. Muta il soggetto titolare del patrimonio aziendale come avviene in ogni vicenda traslativa e circolatoria avente ad oggetto l’azienda. Nella trasformazione da società ad impresa individuale
- come nel passaggio da società a comunione d’azienda - manca la continuità dei rapporti giuridici
verificandosi una vicenda puramente traslativa dell’azienda dalla società ad una persona fisica, avvenendo il passaggio da società in impresa individuale in discontinuità soggettiva (4).
Tale discontinuità soggettiva del centro di imputazione e cioè il mutamento del soggetto cui riferire
l’attività aziendale sia nel passaggio da società a comunione d’azienda che in quello da società ad impresa individuale comporta il venir meno del regi-
me di autonomia patrimoniale cui è assoggettato il
patrimonio aziendale a vantaggio dei creditori sociali che subiscono il concorso dei creditori personali di ogni comproprietario e di quelli dell’ex socio divenuto titolare della ditta individuale (5).
Sebbene la continuità dei rapporti giuridici possa
anche riferirsi al patrimonio aziendale, occorre tuttavia considerare che la trasformazione anche dopo
la riforma del diritto societario resta un istituto di
carattere eccezionale. La trasformazione di società
in comunione d’azienda e viceversa, a differenza
della trasformazione di società in impresa individuale, è stata espressamente prevista dal legislatore
che ha ampliato le fattispecie di trasformazione,
ma con dei limiti laddove vengano in rilievo interessi di terzi soggetti. L’interprete deve partire dal
dato legislativo che non prevede il passaggio da società ad impresa individuale che non può essere inquadrata nell’ipotesi di trasformazione da o in comunione d’azienda prevista dagli artt. 2500 septies
e 2500 octies c.c., per la natura tipica e tassativa
dell’istituto della trasformazione (6). Con riguardo
sformazione da ed in comunione d’azienda ha messo in crisi le
tradizionali ricostruzioni del principio di continuità in chiave
soggettiva (continuità soggettiva con adozione di schemi causali diversi) ovvero in chiave oggettiva (cambiamento della forma organizzativa nella continuità della destinazione all’impresa). La comunione di azienda prescinde da qualsiasi entificazione, non essendo soggetto di diritto, ma un autonomo centro di imputazione di situazioni soggettive che si risolve nella
pluralità dei singoli partecipanti.
(4) In tal senso M. Maltoni, op. cit., 230, secondo il quale la
trasformazione della società unipersonale in impresa individuale si realizza nel segno della discontinuità soggettiva al punto
che pare possibile ravvisare in essa una soluzione alternativa
alla liquidazione estintiva dell’ente con assegnazione del complesso aziendale (trasformazione regressiva) o al conferimento
d’azienda (trasformazione progressiva). In tale trasformazione,
secondo l’autore, si verifica un cambiamento del soggetto cui
sono imputate le situazioni giuridiche attive e passive anche
se non avviene - come nel passaggio da società a comunione
di azienda - una modificazione della natura dell’attività esercitata. L’assegnazione dell’azienda al socio superstite in fase di
liquidazione così come la cessione dell’azienda sociale dalla
società unipersonale al socio superstite - sebbene mascherata
dal nomen iuris “trasformazione” - connota un fenomeno traslativo e non meramente modificativo come la trasformazione.
Per una simile ricostruzione v. Giudice Registro delle Imprese
Torino 22 ottobre 1993 in Giur. comm., 1994, II, 260, con nota
di Boero, Trasformazione” di società di persone in impresa individuale. M. Maltoni, op. cit., 296 ss. evidenzia che “dal punto
di vista giuridico nella trasformazione di società in impresa individuale il soggetto titolare muta come accade in ogni vicenda traslativa e a differenza di quanto avviene nelle altre ipotesi
di trasformazione, anche se la trasformazione non produce i
medesimi effetti di un contratto che opera il trasferimento di
proprietà immobiliare, né comporta la creazione di un nuovo
ente distinto dal primo, né determina un effetto circolatorio del
patrimonio sociale ma soltanto una modifica dell’organizzazione”. Una conferma in tal senso è data dalla non trascrivibilità
della trasformazione (vedi Cass., Sez. I, 12 novembre 1997, n.
11180, in Società, 1998, 656 secondo cui l’atto di trasformazio-
ne di società non è soggetto a trascrizione, considerata la tassatività degli atti elencati nell’art. 2643 c.c.).
(5) Nel senso che nell’impresa individuale il patrimonio
aziendale dell’imprenditore individuale si confonde col suo patrimonio personale senza che possa configurarsi un’ipotesi di
separazione patrimoniale, vedi G. Franch, Trasformazione eterogenea in società di capitali, commento all’art. 2500 octies c.c.,
in Trasformazione - fusione, scissione, a cura di L. A. Bianchi,
nel Commentario alla riforma delle società, dir. Marchetti - Bianchi - Ghezzi - Notari, Milano, 2006, 337. L’autore evidenzia il
differente grado di autonomia patrimoniale di società ed enti
associativi rispetto all’impresa individuale dove i creditori personali dell’imprenditore concorrono con i creditori aziendali
per i debiti contratti dall’imprenditore. Nell’impresa individuale
i beni destinati allo svolgimento dell’attività si confondono e
formano un tutt’uno col patrimonio personale dell’imprenditore. Per tali ragioni la trasformazione di società di persone unipersonale in impresa individuale potrebbe recare pregiudizio ai
creditori sociali che, a seguito del concorso con i creditori personali dell’imprenditore individuale ex socio, vedrebbero pregiudicate le loro ragioni. Il patrimonio aziendale dell’imprenditore individuale ex socio costituirà un tutt’uno col suo patrimonio personale non ricorrendo nella fattispecie dell’impresa individuale un’ipotesi di separazione patrimoniale.
(6) La trasformazione configura un’operazione straordinaria
che deroga al procedimento di estinzione e costituzione delle
società e dà luogo ad uno scioglimento senza liquidazione della società attuabile solo nelle ipotesi espressamente previste.
Per la natura tassativa delle ipotesi di trasformazione eterogenee vedi G. Palmieri, Autonomia e tipicità della nuova trasformazione, in Il nuovo diritto delle società. Scioglimento - Trasformazione - Fusione - Scissione - Società Cooperative, diretto da
P. Abbadessa - G.B. Portale, Torino, 2007, 104; G.F. Campobasso, Diritto Commerciale 2, Diritto delle società, a cura di M.
Campobasso, Torino, 2010, 632 che ritiene eccezionali le norme che consentono il passaggio da un tipo di società ad altro
ente con scopo istituzionalmente incompatibile con quello originariamente prescelto; A. Ruotolo, La trasformazione degli enti
no profit, in Studi e materiali, 2010, 825 ss. In giurisprudenza,
Trib. Sassari 13 luglio 2010, in Giur. comm., 2012, 1040, con
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al profilo della tutela dei creditori, occorre tener
presente la differente tutela dei creditori sociali in
caso di trasformazione eterogenea, in caso di trasformazione omogenea ed in caso di cessione e
conferimento di azienda.
La tesi dell’ammissibilità: sua confutazione
È stato sostenuto che il legislatore della riforma ha
disciplinato soltanto le fattispecie trasformative ritenute maggiormente significative, lasciando all’interprete il compito di regolamentare le altre (7).
Sarebbe configurabile un principio di generale trasformabilità che avrebbe quale limite soltanto
quello di interessi generali o degli interessi dei crenota di Carraro. Il Tribunale, ritenendo esistente un principio di
tassatività e tipicità delle ipotesi di trasformazione eterogenea,
afferma che “un primo elemento che porta a ritenere esistente
un principio di tassatività e tipicità delle ipotesi di trasformazione eterogenea è la constatazione che risulta difficile individuare, dall’esame complessivo delle norme in tema di trasformazione, un principio generale applicabile a tutte le fattispecie e
idoneo dunque a delimitare un’eventuale interpretazione
estensiva rispetto al dato letterale. Per la natura eccezionale
della trasformazione da società a comunione d’azienda e viceversa non applicabile analogicamente alla trasformazione passaggio da società ad impresa individuale vedi A. Bello, Trasformazione atipica di s.r.l. unipersonale in impresa individuale in
Società, 2012, 1013; C. Ungari Trasatti, Profili civili e fiscali della
continuazione dell’impresa individuale da parte dell’unico socio
superstite di società di persone, in Riv. not., 2009, 163; contra,
nel senso che la previsione della trasformazione di società in
comunione d’azienda e viceversa costituisca un implicito riconoscimento della possibilità di trasformare una società di capitali unipersonale in impresa individuale, vedi M. Sarale, sub
art. 2500-septies c.c., in Il nuovo diritto societario Commentario
Cottino - Bonfante - Cagnasso - Montalenti, Bologna, 2004; A.
Cetra, le trasformazioni “omogenee” ed “eterogenee”, in Il Nuovo diritto delle società. Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, dir. Abbadessa-Portale, Torino, 2006, 4, 185, il quale ritiene
che sarebbe possibile ricomprendere nella comunione d’azienda anche il fenomeno della semplice titolarità dell’azienda utilizzata da un soggetto per esercitare un’impresa individuale.
Secondo questo autore, la comunione d’azienda e la titolarità
dell’azienda si differenzierebbero solo per il numero di persone
coinvolte.
(7) In tal senso vedi la Massima n. 20 del 18 marzo 2004
del Consiglio Notarile di Milano, che ritiene applicabile la disciplina prevista per la trasformazione eterogenea di cui agli artt.
2500 septies ss. c.c. alla trasformazione da e in società di persone. Contra Trib. Mantova cit., secondo cui le trasformazioni
sono tassative, non essendo state previste per le società di
persone, anche alla luce del fatto che la ratio giustificatrice
della trasformazione eterogenee previste dal legislatore sarebbe data da un denominatore comune, l’autonomia patrimoniale che manca nell’impresa individuale. La massima K.A.27 in
Orientamenti del Comitato Triveneto dei notai in materia di atti
societari, settembre 2015, ritiene possibile nelle ipotesi di trasformazione previste dall’art. 2500 septies c.c. per le associazioni riconosciute anche la trasformazione delle associazioni
non riconosciute ai sensi dell’art. 1322 c.c..
(8) Cfr. R. Guglielmo, La trasformazione eterogenea da associazioni a società di capitali in Riv. not., 2007, 839; G. Marasà,
op. cit., 585; M. Maltoni, op. cit., 290 ss. Nel senso dell’ammissibilità della trasformabilità di impresa individuale in società
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ditori (8). In assenza di una definizione legislativa
di trasformazione, si è ritenuto che rientrerebbero
nella disciplina dell’istituto tutte le fattispecie che
producano effetti compatibili con quelli tipici delle
fattispecie di trasformazione espressamente disciplinate (9). La questione non è tanto la natura eccezionale o meno dell’istituto della trasformazione e
della relativa disciplina ed in particolare dell’art.
2500 septies c.c. che prevede la trasformazione di
società in comunione d’azienda, quanto piuttosto il
fatto che nel passaggio da società con unico socio
ad impresa individuale possono venire in gioco interessi di soggetti terzi come tali indisponibili senza
adeguata tutela. Se è pur vero, infatti, che il denominatore comune a tutte le ipotesi di trasformaziounipersonale e viceversa, vedi M. Maltoni, op. cit., 256. In senso favorevole alla trasformazione da società con unico socio in
titolarità individuale d’azienda da parte di una persona fisica e
viceversa, vedi Massima del Notariato del Triveneto K.A.37, in
Orientamenti del Comitato Triveneto dei notai in materia di atti
societari, settembre 2015, 363 ss., che ritiene ammissibile la
trasformazione di società con unico socio in titolarità individuale d’azienda da parte di persona fisica e viceversa invocando l’art. 3 Cost. che non consente una limitazione dell’autonomia dell’impresa in relazione ad uno strumento organizzativo
quale la trasformazione. Secondo la citata massima, “tale fattispecie, infatti, è analoga alla trasformazione da o in comunione d’azienda prevista dagli artt. 2500 septies e 2500 octies c.c.,
salvo che per il numero delle persone fisiche coinvolte, producendo tra le parti e nei confronti dei terzi gli stessi effetti di:
scioglimento senza liquidazione e confusione di patrimoni, nell’ipotesi di trasformazione da società; separazione di patrimoni, nell’ipotesi di trasformazione in società. Perché si verifichi
tale fattispecie è necessario che la trasformazione non faccia
venir meno l’azienda, intesa come l’insieme dei beni organizzati per l’esercizio dell’attività d’impresa, risultando, di contro,
indifferente che la persona fisica da o in cui viene trasformata
la società eserciti personalmente l’azienda oggetto di trasformazione. La massima ritiene che a tale fattispecie si applichi
l’art. 2500 novies c.c. Nella trasformazione da o in titolarità individuale d’azienda da parte di una persona fisica, come in
quella da o in comunione d’azienda, si verifica la continuazione dei rapporti giuridici prevista dall’art. 2498 c.c. Tuttavia, tenuto conto dello stato attuale della giurisprudenza di merito,
appare prudente, per fini tuzioristici, rispettare in detti atti le disposizioni di forma sui trasferimenti (ad esempio: normativa
urbanistica, certificazione energetica, conformità catastale,
ecc.)”. Nella motivazione della citata massima in Orientamenti
del Comitato Triveneto dei notai in materia di atti societari, settembre 2015, 369. si afferma che la tutela prevista dall’articolo
2500 novies c.c. non deve considerarsi norma eccezionale circoscritta alle sole ipotesi di trasformazione eterogenea e che il
differimento degli effetti dell’iscrizione previsto dall’art. 2500
novies c.c., appare l’unico strumento che può impedire, per 60
giorni, l’attuarsi dell’effetto “omnisanante” previsto dall’ultimo
comma dell’art. 2500 c.c. Per l’ammissibilità di tale trasformazione vedasi anche C. Casalini, La discussa trasformazione di
società con unico socio in impresa individuale o in titolarità individuale d’azienda, in La rivista delle operazioni straordinarie,
2015, 4; A. Busani, Scioglimento per passare a impresa individuale, in Lex 24, 14 febbraio 2015, 15; V. Rubertelli, Cassazione
no a trasformazione da società in impresa individuale, in Federnotizie 9 marzo 2015, http://www.federnotizie.it.
(9) Cfr. M. Maltoni, op. cit., 9 ss.
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ne disciplinate dal legislatore è dato dalla circostanza che essa riguarda di regola enti plurisoggettivi nella loro composizione, fondati su un rapporto
plurilaterale e connotati di regola da un patrimonio separato rispetto a quello dei singoli partecipanti, occorre, tuttavia, osservare che tale argomento appare un po’ debole in quanto l’assenza di
separazione patrimoniale e di plurisoggettività è
rinvenibile altresì nella trasformazione di società
con unico socio (implicita nel sistema) ed in quella
della comunione d’azienda. La questione decisiva
ed ostativa all’ammissibilità della trasformazione di
società in impresa individuale appare essere la seguente. Il passaggio da società di persone o di capitali in impresa individuale configura un’ipotesi di
trasformazione omogenea e non eterogenea. Società ed impresa individuale condividono la stessa
causa. Entrambe perseguono uno scopo di lucro.
Non si può sostenere che vi sia una diversità di
causa tra società ed impresa individuale essendo
entrambe connotate dallo scopo lucrativo. A svolgere un ruolo determinante ai fini dell’applicazione
della disciplina della trasformazione è pertanto l’omogeneità della causa, non dell’impresa (10). Sia
l’impresa societaria che quella individuale perseguono un lucro sia oggettivo che soggettivo. In entrambe la causa è la medesima e cioè la produzione
di ricchezza, la realizzazione di un guadagno da dividere tra i soci o da attribuire al titolare dell’impresa. Sebbene si sia sostenuto che dopo la riforma
del diritto societario il principio dell’omogeneità
causale sia stato abbandonato a vantaggio dell’omogeneità dell’impresa (11), occorre, tuttavia, rilevare che la natura omogenea della trasformazione
di società in impresa individuale non consente
l’applicazione estensiva della trasformazione eterogenea ed in particolare dell’art. 2500 novies
c.c. (12). Gli artt. 2500 septies e opties c.c. prevedono la trasformazione eterogenea di società in consorzi, società consortili, società cooperative, comunioni di azienda, associazioni non riconosciute e
fondazioni e viceversa. Si tratta di fattispecie in
cui si passa da uno scopo lucrativo ad uno scopo
differente non lucrativo (scopo consortile, scopo
cooperativo, scopo di godimento, scopo associativo, scopo altruistico). Nel passaggio da società ad
impresa individuale lo scopo lucrativo permane,
non cessa, con la conseguente qualifica omogenea
della divisata trasformazione. Una volta inquadrata
tale fattispecie nella trasformazione omogenea, la
tesi dell’ammissibilità, pertanto, non appare accettabile - non coniugandosi con le ragioni di tutela
dei creditori sociali, venendo in questione diritti
indisponibili dall’autonomia privata. Per tali ragio-
(10) Contra nel senso che la centralità dell’impresa e della
sua continuità hanno indebolito in maniera decisiva il criterio
causale quale limite di applicazione dell’istituto della trasformazione e della sua disciplina, vedi M. Maltoni, op. cit., 293,
secondo cui la causa rileverebbe non più come limite alla trasformazione, bensì quale criterio per selezionare i casi di legittimazione dei creditori a proporre l’opposizione; M. Sarale, op.
cit., 260, che ha ritenuto che “più che l’omogeneità di causa è
l’omogeneità di impresa a svolgere un ruolo scriminante”.
(11) Cfr. in tal senso M. Maltoni - E. Tradii, La trasformazione
eterogenea da società di capitali a comunione d’azienda e viceversa, in questa Rivista, 2004, 149.
(12) Per la natura omogenea di tale trasformazione, vedi F.
Tassinari, La trasformazione della società di persone con unico
socio, in Maltoni - Tassinari, Le trasformazioni delle società, Milano, 2011, 478, il quale non ritiene applicabile estensivamente
il diritto di opposizione di cui all’art. 2500 novies c.c., in quanto
la trasformazione di società di persone in impresa individuale
costituisce una trasformazione in senso tecnico di tipo omogeneo. Secondo l’autore la tutela dei creditori sociali sarebbe affidata ad altri strumenti di tutela nei confronti degli atti pregiudizievoli posti in essere a danno dei creditori, a cominciare dall’azione revocatoria; nel senso della non applicabilità analogica
alla trasformazione da società ad impresa individuale del rimedio dell’opposizione, sia consentito di rinviare a G. Margiotta,
la trasformazione di società in impresa individuale, in Società,
2005, 976; contra C. Casalini, op. cit., 9, che ritiene applicabile
alla trasformazione di società in impresa individuale la norma
di carattere procedimentale di cui all’art. 2500 novies c.c. che
prevede il diritto di opposizione dei creditori e subordina l’efficacia della trasformazione eterogenea in deroga a quanto ordinariamente disposto dall’art. 2500, comma 3, c.c. al decorso
del termine di sessanta giorni dall’ultimo degli adempimenti
pubblicitari previsti, salvo che consti il consenso dei creditori o
il pagamento dei creditori che non hanno dato il loro consenso. L’autore evidenzia che - affinché il rimedio di cui all’art.
2500 novies c.c. possa esplicarsi adeguatamente – occorre
che almeno uno degli schemi organizzativi coinvolti nell’operazione sia coinvolto a pubblicità. In giurisprudenza per la natura
eterogenea della trasformazioinversa da impresa individuale a
società a responsabilità limitata, vedi Trib. Padova 5 novembre
2015, in http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/cri.php?id_cont=13853.php - Il Tribunale, seppur incidentalmente,
ha ammesso la legittimità della trasformazione dell’impresa individuale in società, qualificandola trasformazione eterogenea
ed ha ritenuto applicabile la relativa disciplina ed il diritto di
opposizione ex art. 2500 novies c.c., attesa l’eadem ratio; tale
trasformazione avrà effetto, ex art. 2500 novies c.c., dopo sessanta giorni dall’ultimo degli adempimenti pubblicitari previsti
dall’art. 2500 c.c. (ossia la cancellazione dell’ente trasformato),
salvo che consti il consenso dei creditori. Il Tribunale non ha
ravvisato l’ostacolo che con tale trasformazione venga elusa
l’inderogabilità del procedimento di liquidazione delle società
di capitali avendo come punto di arrivo proprio una società capitalistica. Resta ferma l’assunzione di responsabilità anche
per le obbligazioni sorte anteriormente alla trasformazione di
cui all’art. 2500 sexies c.c. richiamato dall’art. 2500 septies c.c.
in senso favorevole a tale trasformazione, vedi anche quesito
CNN n. 187/2015 Trasformazione eterogenea da ditta individuale in S.r.l. limitata unipersonale. Per l’ammissibilità della
trasformazione da società di capitali con unico socio in ditta
individuale, vedi Trib. Bergamo 31 marzo 2015, n. 676, richiamato nella motivazione massima K.A.37. Orientamenti del Comitato Triveneto dei notai in materia di atti societari, settembre
2015 cit., 369.
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ni, in presenza di rapporti giuridici pendenti il socio unico di società di persone e di capitali non
potrà trasformarsi in impresa individuale essendosi
in presenza di una trasformazione omogenea - e
non eterogenea - alla quale non è applicabile in
via estensiva il disposto dell’art. 2500 novies c.c. I
creditori sociali, infatti, non avrebbero alcuna tutela non potendosi opporre alla confusione del patrimonio della società col patrimonio personale dell’imprenditore individuale ex socio. L’operazione
cui dovrà procedersi sarà inevitabilmente una costituzione di società unipersonale (newco) con conferimento dell’azienda di titolarità della società o
in alternativa un’assegnazione dell’azienda al socio
superstite o una cessione dell’azienda dalla società
all’imprenditore individuale ex socio. Di conseguenza, la tutela dei creditori sociali non potrà che
rinvenirsi nel disposto dell’art. 2560 c.c. secondo
cui l’alienante non è liberato dai debiti inerenti
l’esercizio dell’azienda ceduta, se non risulta che i
creditori vi hanno consentito. In caso di costituzione di società con conferimento di azienda destinata
all’esercizio di impresa individuale si verifica - invece - un fenomeno traslativo, cui non è applicabile la disciplina della trasformazione.
La tutela dei creditori nella trasformazione
Differente è la tutela dei creditori sociali in caso di
trasformazione eterogenea, in caso di trasformazione omogenea ed in caso di cessione, conferimento
o assegnazione d’azienda.
Nell’ipotesi di trasformazione eterogenea ai creditori sociali spetta il diritto d’opposizione ex art.
2500 novies c.c. con la facoltà di impedire l’operazione se loro pregiudizievole
Con l’opposizione il creditore sociale evita la confusione del patrimonio sociale con quello personale
del socio superstite, impedendo che sul patrimonio
della società gravato dal vincolo di destinazione a
favore dei creditori sociali concorrano i creditori
personali del socio.
Nelle società di persone il creditore particolare del
socio, finché dura la società, può far valere i suoi
diritti sugli utili spettanti al debitore, compiere atti
conservativi sulla quota spettante a quest’ultimo
nella liquidazione, fare opposizione in caso di proroga di società (cfr. artt. 2270 e 2307 c.c.) senza
poter aggredire il patrimonio sociale.
In caso di trasformazione omogenea progressiva (da
società di persone a società di capitali) non spetta
ai creditori sociali il diritto di opposizione, potendo
gli stessi soltanto dare il consenso alla liberazione
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dalla responsabilità illimitata dei soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni anteriori all’iscrizione della delibera di trasformazione senza
poter tuttavia impedire la trasformazione (cfr. art.
2499 c.c.).
Anche in caso di trasformazione omogenea regressiva (da società di capitali a società di persone) i
creditori sociali non possono opporsi, essendo garantiti dall’assunzione della responsabilità illimitata
da parte dei soci che daranno il consenso all’operazione.
La tutela dei creditori nella cessione e nel
conferimento d’azienda
In caso di cessione di azienda vale il principio per
cui ciascuno risponde dei debiti della propria gestione, fermo restando l’accollo cumulativo esterno
ex lege previsto dall’art. 2560 c.c.
I creditori dell’imprenditore cedente l’azienda non
possono impedire l’operazione, dovendosi ritenere
che l’inciso “vi” contenuto nell’art. 2560 c.c. debba riferirsi al consenso alla liberazione dalla responsabilità per i debiti pregressi (analogamente all’art. 2499 c.c.) e non intendersi quale consenso alla cessione d’azienda.
Un mutamento soggettivo del rapporto giuridico
obbligatorio sarà possibile solo in presenza del consenso del creditore il quale, in mancanza, vedrebbe
pregiudicate le sue ragioni.
La cessione o il conferimento dell’azienda non determina alcun trasferimento della situazione giuridica passiva, restando debitore colui al quale è imputabile il fatto costitutivo del debito e cioè il soggetto cedente. Qualora il cessionario dell’azienda
commerciale, in qualità di coobbligato in solido,
abbia pagato un debito aziendale pregresso risultante dai libri contabili obbligatori, potrà rivalersi nei
rapporti interni nei confronti del cedente. Non altrettanto potrà fare il cedente nei confronti del
cessionario, essendo il debito imputabile e pertinente alla sua gestione.
La differente disciplina relativa alla tutela dei creditori è una conferma che il conferimento di un’azienda in una società di capitali è una fattispecie
estranea alle ipotesi trasformative previste dagli
artt. 2498 ss. c.c., configurando un conferimento
in natura con la conseguente applicazione della relativa disciplina e l’acquisto dello status di socio da
parte del conferente l’azienda.
In caso di conferimento di azienda in società o di
cessione d’azienda troverà applicazione l’art. 2560
c.c. secondo cui il cedente non è liberato se non
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risulta che i creditori vi abbiano consentito, con la
conseguente responsabilità solidale di cedente e
cessionario nei confronti dei creditori senza alcuna
possibilità per i creditori di impedire l’operazione.
La trasformazione di società di persone in
impresa individuale
Con riferimento alla trasformazione di società di
persone in ditta individuale, occorre distinguere l’ipotesi in cui vi siano rapporti giuridici pendenti da
quella in cui manchino detti rapporti.
In quest’ultima ipotesi la trasformazione in senso
atecnico di società di persone con unico socio in
impresa individuale è di certo ammissibile, potendosi procedere allo scioglimento anticipato senza
messa in liquidazione della società con successiva
continuazione dell’attività in forma individuale da
parte dell’ex socio superstite, una volta cancellata
la società dal registro delle imprese.
Nella prassi notarile è frequente un atto di scioglimento anticipato della società di persone senza
messa in liquidazione purché non vi siano attività
da realizzare o passività da estinguere.
In tale ipotesi il socio superstite della società a seguito della cessione di quote da parte degli altri soci o dopo il verificarsi di una causa di scioglimento
parziale del rapporto sociale (recesso, esclusione o
morte), qualora non intenda ricostituire la pluralità dei soci, può decidere immediatamente e senza
attendere il decorso del termine di sei mesi di continuare l’attività sociale in forma di ditta individuale (13). Nelle società di persone, a differenza
che nelle società di capitali, la fase di liquidazione
è derogabile e facoltativa essendo posta nell’interesse dei soci i quali, mantenendo comunque la responsabilità solidale ed illimitata per le obbligazioni sociali, possono liberamente determinarne le
modalità senza dare avvio ad un procedimento formale di liquidazione con la nomina di uno o più liquidatori (14).
Alla luce della derogabilità nelle società di persone
del procedimento formale di liquidazione, qualora
non vi siano rapporti giuridici pendenti, il socio
superstite, in sede di atto notarile di scioglimento
senza messa in liquidazione della società, potrà assegnarsi l’azienda sociale a rimborso ed a tacitazione della quota sociale allo stesso spettante.
(13) In tal senso, V. Buonocore, Società in nome collettivo,
in Commentario Schlesinger, Milano, 1995, 411; in giurisprudenza, v. Trib. Torino, cit.
(14) G.F. Campobasso, Diritto commerciale, 2. Diritto delle
388
Decorso il termine previsto dall’art. 2272, n. 4,
c.c., il socio superstite, ove continui l’attività sociale, senza dare avvio al procedimento di liquidazione, manterrà la responsabilità illimitata per le
obbligazioni sociali e la società di persone resterà
unipersonale a tempo indeterminato analogamente
ad una società di capitali (15). Né a tal fine può
costituire un deterrente la disciplina relativa al divieto di nuove operazioni per le società in liquidazione prevista dagli artt. 2274 e 2279 c.c., in quanto nelle società di persone, diversamente che nelle
società di capitali, il socio amministratore è già illimitatamente e solidalmente responsabile per le obbligazioni sociali.
La trasformazione della società di persone - ove avvenga dopo il decorso del termine semestrale dal
verificarsi della causa di scioglimento - non sarà
impedita dallo stato di liquidazione in cui versi la
società, avendo il legislatore consentito la trasformazione di società anche in pendenza di procedure
concorsuali qualora compatibile con la finalità e lo
stato delle stesse (cfr. art. 2499 c.c.). In tale ipotesi
non sarebbe necessario procedere ad una revoca
espressa della liquidazione che avverrebbe implicitamente. A tal riguardo, occorre osservare che l’ufficio del Registro delle Imprese, qualora rilevi la
mancata ricostituzione della pluralità dei soci nel
termine di sei mesi dal verificarsi della causa di
scioglimento, avvierà il procedimento per la cancellazione della società di persone ai sensi dell’art.
3, d.P.R. 23 luglio 2004, n. 247 recante Regolamento di semplificazione del procedimento relativo
alla cancellazione di imprese e società non più operative dal Registro delle Imprese. In presenza di
rapporti giuridici pendenti, il socio superstite non
potrà decidere di trasformare la società di persone
in impresa individuale, dovendo prima procedere
alla liquidazione della società e soltanto dopo aver
estinto tutti i debiti sociali e proceduto alla cancellazione della società dal registro delle imprese, potrà compiere atti dispositivi dell’azienda sociale
quali il conferimento o la cessione. La continuazione dell’attività sociale da parte del socio superstite
sotto forma di ditta individuale presuppone la definizione dei rapporti giuridici con i creditori o la
mancanza di creditori e la successiva cancellazione
della società dal registro delle imprese. L’atto di
scioglimento senza messa in liquidazione della sosocietà, Torino 1995, 11; in giurisprudenza Cass. 22 novembre
1980, n. 6212, in Riv. not., 1981, 452.
(15) Così G. Margiotta, op. cit., 979.
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Legittimità
La trasformazione atipica di società di capitali con
unico socio in impresa individuale non può ritenersi ammissibile ostandovi l’inderogabilità del
procedimento di liquidazione volto a tutelare gli
interessi dei creditori sociali (18). La necessità del
procedimento di liquidazione delle società di capi-
tali è dettata dall’esigenza di evitare quell’effetto
concorrenziale dei creditori personali sui beni
aziendali (19). Anche in tale ipotesi non può applicarsi estensivamente l’art. 2500 novies c.c., essendosi in presenza di una trasformazione omogenea. Occorre tener presente, comunque, che è possibile la cancellazione d’ufficio dal registro delle
imprese delle società di capitali in liquidazione che
non hanno depositato il bilancio annuale d’esercizio per almeno tre anni consecutivi ai sensi dell’art. 2490, comma 6, c.c., raggiungendosi così di
fatto il medesimo effetto della trasformazione e
cioè la continuazione dell’attività sociale in forma
individuale da parte del socio superstite. Vi è, tuttavia, una differenza tra il procedimento di cancellazione d’ufficio dal registro delle imprese nelle società di persone e nelle società di capitali. Nelle
società di persone il procedimento di cancellazione
d’ufficio è avviato solo dopo il decorso del termine
di sei mesi in assenza della ricostituzione della pluralità dei soci, nelle società di capitali - invece - il
procedimento di cancellazione d’ufficio potrà avvenire solo dopo il decorso del termine triennale ex
art. 2490 c.c. In tale ipotesi, dopo la cancellazione
d’ufficio della società di capitali dal registro delle
imprese, il socio superstite potrà continuare l’attività sociale in forma di ditta individuale, ma tale
operazione non si potrà qualificare quale trasformazione in senso tecnico (20). La trasformazione di
società di capitali in impresa individuale non può
ritenersi ammissibile per l’inderogabilità della fase
della liquidazione e conseguentemente non sarà
applicabile estensivamente la disciplina di cui agli
artt. 2500 septies e 2500 octies c.c. In presenza del
venir meno del complesso aziendale e del corrispondente vincolo di destinazione sul patrimonio
sociale, potrà procedersi ad una cessione d’azienda
(16) Nel senso che il socio superstite, pur potendo derogare
alle norme sulla liquidazione, deve in ogni caso soddisfare i
creditori sociali prima di procedere alla ripartizione del patrimonio sociale residuo, vedi G. Maccarone, Estinzione della società di persone e continuazione dell’attività imprenditoriale da
parte del socio superstite, in Riv. not., 1996, 843.
(17) Vedi Formulario degli atti notarili A. Lovato - L. Iberati A. Avanzini, Milano, 2013, 588.
(18) in tal senso G. Palmieri, Autonomia e tipicità nella nuova
trasformazione, in Liber amicorum G. F. Campobasso, diretto da
P. Abbadessa e G.B. Portale, Torino - Milano, IV, 2007, 103,
che non ritiene ammissibile la trasformazione da società di capitali ad impresa individuale perché comporterebbe la disapplicazione delle norme sulla liquidazione in assenza di una
espressa disposizione normativa; L. De Angelis, La trasformazione nella riforma del diritto societario, in Società, 2003, 383
ss.; G. Franch, sub art. 2500-septies c.c., in L.A. Bianchi (a cura di), Trasformazione - fusione, scissione, Commentario alla riforma delle società, dir. Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2006, 260 ss.; contra, nel senso che la previsione della
trasformazione di società in comunione d’azienda e viceversa
costituisca un implicito riconoscimento della possibilità di trasformare una società di capitali unipersonale in impresa individuale, vedi M. Sarale, sub art. 2500-septies c.c., in Il nuovo diritto societario Commentario Cottino - Bonfante - Cagnasso Montalenti, Bologna, 2004; A. Cetra, le trasformazioni “omogenee” ed “eterogenee”, in Il Nuovo diritto delle società. Liber
Amicorum Gian Franco Campobasso, dir. Abbadessa - Portale,
Torino, 2006, 4, 140 ss. in giurisprudenza v. Trib. Piacenza 22
dicembre 2011, in Notariato, 2012, 270 ss., con nota di A. Bello, op. cit., e in Società, 2012, 1013, con nota di P. Divizia - L.
Oliveri, La trasformazione in impresa individuale; il Tribunale ha
ritenuto che “non è configurabile la trasformazione eterogenea
atipica di società di capitali in impresa individuale, dovendosi
escludere un’interpretazione estensiva delle norme in materia
di trasformazione che presuppongono pur sempre, come elemento comune, il passaggio da enti plurisoggettivi ad enti
connotati da patrimonio separato”.
(19) In tal senso M. Maltoni, op. cit., 231.
(20) Così G. F. Campobasso, op. cit., 33.
cietà di persone, qualora si verifichi una continuazione dell’attività sociale da parte del socio superstite a seguito dell’espletamento di tutti gli adempimenti burocratici pressi i competenti uffici (cancellazione della società dal registro imprese, iscrizione nel registro delle imprese della nuova ditta
individuale, voltura delle licenze ed autorizzazioni
a nome dell’imprenditore individuale) potrebbe in
realtà mascherare una trasformazione omogenea
atipica da società di persone in impresa individuale. In presenza di rapporti giuridici pendenti, l’operazione non sarà configurabile per la mancanza di
tutela dei creditori sociali, i quali non potranno
opporsi considerata la natura omogenea e non eterogenea di tale trasformazione. L’ammissibilità di
tale trasformazione nei limiti predetti è ammissibile
fermo restando il rispetto dell’art. 2280, comma 1,
c.c. - norma penalmente sanzionata - che vieta il
riparto anche parziale dell’attivo tra i soci fino a
quando non sono interamente pagati i creditori sociali o accantonate le somme necessarie per pagarli (16). L’assegnazione dell’azienda sociale in sede
di liquidazione al socio superstite potrà avvenire ad
opera dei liquidatori se nominati o in alternativa
in sede di atto di scioglimento anticipato della società senza messa in liquidazione solo dopo l’integrale pagamento dei creditori sociali (17).
La trasformazione di società di capitali in
impresa individuale
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Legittimità
La trasformazione di società in impresa individuale
- come ogni ipotesi trasformativa - è alternativa alla liquidazione ed estinzione della società ed in
quanto tale è un istituto - anche se non necessariamente endosocietario - caratterizzato dal principio
di tassatività e tipicità (22). Quantunque non manchino le argomentazioni sostanziali a favore dell’ammissibilità della trasformazione di società in
impresa individuale, solo nell’ipotesi di passaggio
da società di persone con unico socio in impresa
individuale - e soltanto in mancanza di rapporti
giuridici pendenti - è configurabile tale trasformazione omogenea atipica. Non altrettanto può sostenersi in caso di passaggio da società di capitali unipersonale in ditta individuale. È auspicabile un intervento del legislatore che disciplini la trasformazione omogenea da società ad impresa individuale
prevedendo per i creditori sociali la facoltà di esercitare il diritto d’opposizione ex art. 2500 novies
c.c. qualora la trasformazione rechi loro pregiudizio. In mancanza di tale intervento legislativo, la
trasformazione di società in impresa individuale de
iure condito non pare ammissibile in quanto pregiudizievole per i creditori sociali, pur non essendovi
in linea di principio sotto il profilo dello scopo e
della causa alcuna incompatibilità tra società ed
impresa individuale. Lo scopo di lucro perseguito
dalla società e dall’imprenditore individuale non
consentirà la qualificazione dell’operazione divisata
in termini di trasformazione eterogenea in senso
tecnico ed all’interprete non resterà che prendere
atto che il principio di autonomia privata ex art.
1322 c.c. è destinato a cedere il passo di fronte alle
esigenze di tutela dei creditori sociali.
(21) Contra Trib. Padova cit., secondo il quale “poiché la
trasformazione eterogenea ha effetto (salvo che consti il consenso dei creditori) decorsi sessanta giorni dall’ultimo degli
adempimenti pubblicitari previsti dall’art. 2500 c.c., consistente nella cancellazione dal registro delle imprese dell’ente, il termine dell’anno per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore individuale che abbia dato corso alla trasformazione in società a responsabilità limitata decorre dalla cancellazione dell’impresa individuale”. La prassi notarile ritiene ammissibile il
passaggio da ditta individuale a spa unipersonale con l’applicazione estensiva del rimedio dell’opposizione di cui all’art.
2500 novies c.c. e conseguente efficacia differita dell’atto, dopo 60 giorni dall’ultimo degli adempimenti previsti dall’art.
2500, nel presupposto - evidentemente - che si qualifichi quale
trasformazione eterogenea; per una tale applicazione pratica
vedi F 433, 1963, in Atti Societari Formulario Commentato - Società di persone - Società di capitali - Cooperative - Consorzi Start up - a cura di G. Bonfante - L. De Angelis - V. Salafia, Milano, 2014.
(22) Trib. Sassari 13 luglio 2010, in Giur. comm., 2012,
1040, con nota di Carraro. Anche la giurisprudenza amministrativa invoca il principio della tassatività delle forme trasformative al fine di non ritenere consentita la trasformazione tra
gli enti del libro I del codice civile. Per tutte, vedi Consiglio di
Stato, Sez. I, su richiesta del Ministero dell’Interno, che ha
espresso parere negativo sulla trasformabilità diretta di associazione in fondazione, aderendo alla tesi della tassatività delle
fattispecie trasformative di cui agli artt. 2498 e ss. c.c. (parere
del 30 gennaio 2015, n. 296 in CNN Notizie del 21 luglio 2014
con nota di Ruotolo - Boggiali, Trasformabilità diretta di associazione riconosciuta in fondazione). Il parere reso è conforme al
parere del medesimo Supremo Organo di Giustizia Amministrativa del 20 dicembre 2000, n. 288 che prima della riforma
del diritto societario non aveva ritenuto ammissibile la trasformazione diretta tra enti del libro I del codice civile. Nel medesimo senso T.A.R. Toscana (sent. del 24 novembre 2012, n.
1811), T.A.R. Lazio (ord. n. 460 del 29 gennaio 2009), T.A.R.
Piemonte (sent. del 31 maggio 2012, n. 781). Contra Cons.
Stato, Sez. V, sent. n. 5226 del 23 ottobre 2014 che ha ammesso la trasformazione tra gli entri del libro I (di associazione
non riconosciuta in fondazione) per la natura omogenea di detta trasformazione stante il comune scopo non lucrativo di associazione e fondazione. Il T.A.R. Lombardia (sent. 13 febbraio
2013, n. 445) ha invece ritenuto ammissibile la trasformazione
di un’associazione riconosciuta in fondazione sulla base del
principio di economia dei mezzi giuridici e della generale trasformabilità tra enti che rappresenta un principio generale del
nostro ordinamento giuridico.
al socio o all’assegnazione dell’azienda al socio medesimo in sede di liquidazione. In alternativa, il socio superstite, dopo la definizione di tutti i rapporti
giuridici pendenti e la cancellazione della società
dal registro delle imprese, potrà avviare una ditta
individuale con il conferimento dell’azienda sociale. La continuazione dell’attività aziendale ad opera del socio superstite in presenza di rapporti giuridici pendenti - non configura una trasformazione
eterogenea atipica di società di capitali in impresa
individuale, bensì una cessione o un conferimento
d’azienda. Il passaggio inverso da impresa individuale a società di capitali non potrà parimenti,
qualificarsi quale trasformazione, ma piuttosto darà
luogo alla costituzione di una società con conferimento dell’azienda di titolarità dell’imprenditore
individuale o in alternativa ad una cessione dell’azienda dal titolare della ditta individuale alla società (21). Deve, invece, ritenersi ammissibile la trasformazione di una società di persone con unico socio in società di capitali (S.p.a. ed S.r.l.) e quella
di società di capitali con unico socio in società di
persone unipersonale. In quest’ultima ipotesi, la società sarà posta in liquidazione qualora nel termine
di sei mesi non si sia ricostituita la pluralità dei soci.
Conclusioni
390
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Giurisprudenza
Sintesi
Osservatorio internazionale
e comunitario
a cura di Marina Castellaneta e Cesare Licini
UE - PARLAMENTO EUROPEO
LIBERA CIRCOLAZIONE DI CITTADINI E IMPRESE
Approvato, con la risoluzione del 9 giugno (P8_TAPROV(2016)0277), il progetto di regolamento che promuove la libera circolazione di cittadini e imprese semplificando
l’accettazione di alcuni documenti pubblici nell’UE e che
modifica il Reg. UE n. 1024/2012. Con il nuovo testo, saranno semplificate le regole per la circolazione di documenti pubblici, anche attraverso l’utilizzo di moduli standard multilingue rilasciati dalle autorità nazionali, che potranno poi essere presentati in un altro Stato membro. Al
modulo sarà allegato il documento nazionale, senza la traduzione dell’atto amministrativo, con un’evidente facilitazione - osserva il Parlamento europeo - “dell’iter burocratico del cittadino europeo mobile”.
In pratica, il nuovo testo accantona la legalizzazione di documenti pubblici come certificati di nascita, di matrimonio
o di morte, non più necessaria per dimostrare l’autenticità.
È opportuno sottolineare che il regolamento riguarda soltanto l’autenticità dei documenti pubblici, con la conseguenza che gli Stati membri “continueranno ad applicare
le norme nazionali sul riconoscimento del contenuto e degli effetti dei documenti pubblici rilasciati in un altro Paese
dell’Unione”.
Per quanto riguarda l’ambito di applicazione oggettivo, il
futuro regolamento si occuperà unicamente di taluni documenti come quelli che certificano: la nascita, l’esistenza in
vita, il decesso, il nome, il matrimonio, compresi la capacità di contrarre matrimonio e lo stato civile, il divorzio, la separazione legale e l’annullamento del matrimonio, le unioni
registrate, compresi la capacità di contrarre un’unione registrata e lo stato di unione registrata, lo scioglimento di
un’unione registrata, la separazione legale o l’annullamento di un’unione registrata, la filiazione, l’adozione, il domicilio e/o la residenza, la nazionalità, l’assenza di precedenti
penali, il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni amministrative e alle elezioni del Parlamento europeo.
Per tutelare cittadini e amministrazioni il regolamento prevede che l’autorità ricevente possa procedere, in caso di
dubbi ragionevoli sull’autenticità dell’atto, a una verifica
con l’autorità dello Stato di emissione nell’altro Paese utilizzando una piattaforma informatica ad hoc o il sistema di informazione del mercato interno.
È evidente che la verifica ha carattere eccezionale e, quindi, potrà essere predisposta solo in casi specifici, in cui sia
presumibile una falsificazione del documento.
SOCIETÀ
La Commissione giuridica del Parlamento europeo, nella
riunione del 13 giugno, ha approvato il testo della risoluzione sulla proposta di direttiva che modifica la direttiva n.
2007/36/CE per quanto riguarda l’incoraggiamento dell’im-
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p e g n o a l u n g o t e r m i n e d e g l i a z i o n i s t i e l a D i r. n .
2013/34/UE per quanto riguarda taluni elementi della relazione sul governo societario. La proposta è stata presentata dalla Commissione europea il 9 aprile 2014
(COM(2014)203). L’obiettivo principale è quello di colmare
le lacune che sono apparse con chiarezza nell’applicazione
delle due indicate direttive soprattutto con riguardo al governo societario delle società quotate e, in specie, con riguardo agli amministratori delle società, al ruolo degli azionisti sia investitori istituzionali sia gestori di attivi, ai consulenti in materia di voto. Come evidenziato dalla Commissione europea le carenze da superare riguardano soprattutto
due problemi: l’insufficiente partecipazione degli azionisti e
le lacune in materia di trasparenza. Per migliorare il quadro
normativo e la situazione nei vari Stati membri, il nuovo testo è articolato su diversi fronti: “1) aumentare il livello e la
qualità dell’impegno dei proprietari e dei gestori degli attivi
nei confronti delle società partecipate; 2) instaurare una
migliore correlazione tra la remunerazione e i risultati degli
amministratori delle società; 3) migliorare la trasparenza e
la sorveglianza delle operazioni con parti correlate da parte
degli azionisti; 4) garantire l’affidabilità e la qualità delle
consulenze dei consulenti in materia di voto; 5) agevolare
la trasmissione delle informazioni transfrontaliere (compreso l’esercizio del voto) attraverso la catena dell’investimento, in particolare mediante l’identificazione degli azionisti”.
CONSIGLIO UE
REGIMI PATRIMONIALI
Con la pubblicazione della decisione del Consiglio n.
2016/954 del 9 giugno 2016 che autorizza una cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di regimi patrimoniali delle coppie internazionali, con riferimento ai regimi patrimoniali tra coniugi e
agli effetti patrimoniali delle unioni registrate (G.U. UE del
16 giugno, L 159/16) si avvicina la definitiva operatività del
nuovo Reg. UE in materia di cooperazione giudiziaria civile.
Il nuovo testo si differenzierà rispetto alla proposta originaria della Commissione del 2011 sulla quale erano state mostrate molte contrarietà da parte degli Stati membri che, di
conseguenza, avevano spinto la Commissione, il 2 marzo
2016, a presentare una nuova proposta sui regimi patrimoniali delle coppie internazionali legate da matrimonio e una
sulle unioni registrate (si veda l’Osservatorio n. 3/2016). Il
testo è stato poi approvato dall’europarlamento con una risoluzione del 7 giugno. In particolare, il Parlamento europeo ha proceduto a unificare i due ambiti anche per non
violare il principio di non discriminazione come specificato
dal considerando n. 7 del Preambolo in base al quale è
chiarito che “Al fine di coprire l’intero ambito di applicazione della cooperazione rafforzata in materia di regimi patri-
391
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Sintesi
moniali delle coppie internazionali e garantire la non discriminazione dei cittadini, i due atti sostanziali di attuazione
dovrebbero essere adottati contemporaneamente”.
La decisione n. 2016/954 è stata adottata a seguito delle richieste di Svezia, Belgio, Grecia, Croazia, Slovenia, Spagna, Francia, Portogallo, Italia, Malta, Lussemburgo, Germania, Repubblica Ceca, Paesi Bassi, Austria, Bulgaria e
Finlandia che saranno vincolati dal nuovo regolamento. Altri Stati potranno aderire successivamente.
PROTEZIONE DATI
Dopo non poche difficoltà e ostacoli durante l’iter di approvazione, è stato pubblicato il nuovo quadro normativo dell’UE in materia di protezione dei dati personali. In particolare, la riforma, che modifica la Dir. n. 95/46, è composta da
tre atti che tengono conto delle più significative pronunce
della Corte di Giustizia UE, assicurando, almeno nelle intenzioni, un maggiore controllo dei dati. Si tratta, in particolare, del Reg. n. 2016/679 del Parlamento europeo e del
Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle
persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga
la Dir. n. 95/46/CE applicabile dal 25 maggio 2018; della
Dir. n. 2016/680 relativa alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte
delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine,
accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di
sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati e
che abroga la decisione quadro n. 2008/977/GAI del Consiglio da attuare, sul piano interno, entro il 6 maggio 2018 e
della Dir. n. 2016/681 sull’uso dei dati del codice di prenotazione (PNR) a fini di prevenzione, accertamento, indagine
e azione penale nei confronti dei reati di terrorismo e dei
reati gravi, da recepire entro il 25 maggio 2018.
Per quanto riguarda il regolamento, l’Unione si prefigge di
garantire, a ogni individuo, un accesso facilitato ai propri
dati, un iter più semplice per la portabilità dei dati, la cancellazione, la rettifica e l’esercizio del diritto all’oblio, codificato dall’articolo 17. Vantaggi anche per le aziende che potranno avvalersi di uno sportello unico: in pratica, una società con controllate in diversi Stati membri dovrà interagire solo con l’autorità preposta alla protezione dati nello Stato membro in cui ha lo stabilimento principale.
GIURISPRUDENZA UE - CORTE DI GIUSTIZIA UE
LOTTA AL RICICLAGGIO DI CAPITALI
Con la sentenza depositata il 10 marzo 2016 (causa C235/14, Safe Interenvíos SA) la Corte di Giustizia UE è intervenuta a chiarire taluni profili relativi alla normativa Ue in
materia di lotta al riciclaggio. Al centro della vicenda nazionale, che ha determinato il rinvio pregiudiziale, una controversia tra un istituto di pagamento, la Safe Interenvíos SA e
alcuni enti creditizi in relazione alla chiusura dei conti di cui
la Safe era titolare in ragione del sospetto di riciclaggio di
capitali. L’istituto di pagamento trasferiva fondi verso Stati
membri diversi da quello nel quale essa era stabilita o verso Stati terzi tramite conti di cui era titolare presso istituti
di credito. A seguito di alcune irregolarità, le banche avevano chiesto alcune informazioni che erano state rifiutate. Di
qui la chiusura dei conti. È venuta così in rilievo la Dir.
2005/60/CE concernente la prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di atti-
392
vità criminose e di finanziamento del terrorismo (tale atto,
dal 2017, sarà sostituito dalla Dir. n. 2015/849 sulla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a fini di riciclaggio o
finanziamento del terrorismo, che modifica il Reg. n.
648/2012 e che abroga la Dir. n. 2005/60/CE e la n.
2006/70/CE) e la Corte di Giustizia ha chiarito che gli artt.
5, 7, 11, par. 1, e 13 della Direttiva sul riciclaggio di capitali
consentono spazi agli Stati per una lotta rafforzata al riciclaggio. In particolare, la Corte ha precisato che gli articoli
in esame “devono essere interpretati nel senso che essi
non ostano ad una normativa nazionale che, da un lato,
autorizza l’applicazione di misure normali di adeguata verifica nei confronti della clientela in quanto quest’ultima sia
costituita da enti finanziari sottoposti a vigilanza per quanto
riguarda il loro rispetto degli obblighi di adeguata verifica,
allorquando esista un sospetto di riciclaggio di capitali o di
finanziamento del terrorismo ai sensi dell’articolo 7, lettera
c), di detta direttiva, e, dall’altro, imponga agli enti e alle
persone soggetti alla succitata direttiva di applicare, sulla
base della loro valutazione del rischio, misure rafforzate di
adeguata verifica della clientela nelle situazioni che, per loro natura, possono presentare un rischio più elevato di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo ai sensi
dell’articolo 13, paragrafo 1, della medesima direttiva, come il trasferimento di fondi”. Tra l’altro, la Corte ha stabilito
che anche in assenza di un sospetto l’art. 5 della direttiva
sul riciclaggio di capitali consente agli Stati membri, per
raggiungere l’obiettivo dell’atto Ue e rafforzare la lotta al riciclaggio di capitali, di adottare o di mantenere in vigore disposizioni più rigorose. Tuttavia, va segnalato che la Corte
di Giustizia, pur ammettendo ulteriori restrizioni alla libera
circolazione dei capitali e pur riconoscendo, in via generale, che il trasferimento di fondi da parte di un ente soggetto
alla direttiva da uno Stato membro all’altro è in sé più rischioso per il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo,
richiede che non si ecceda rispetto a quanto necessario
per raggiungere l’obiettivo perseguito. Pertanto, deve essere prevista la possibilità di confutare la presunzione in relazione ai trasferimenti di fondi che oggettivamente non presentino un rischio di tal genere.
SUCCESSIONI
La Corte di Giustizia UE, con la sentenza depositata il 26
maggio (causa C-244/15, Commissione europea contro Repubblica ellenica), ha avuto modo di chiarire che le norme
interne che prevedono l’esenzione dall’imposta di successione relativa alla residenza principale applicata unicamente ai cittadini Ue ma residenti in Grecia è incompatibile con
l’articolo 63 del Trattato sul funzionamento dell’UE. La Corte non ha accolto la tesi del Governo greco secondo il quale una disciplina come quella indicata poteva essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale, di natura
sociale e finanziaria. La Corte ha anche affermato che l’imposta riscossa sulle successioni rientra tra le questioni relative ai movimenti di capitale, salvo nel caso in cui gli elementi costitutivi della successione si trovino in un solo Stato membro. È evidente che la tassazione sulla successione
dei beni ha l’effetto di diminuire il valore della successione
di un residente di uno Stato membro diverso da quello in
cui sono ubicati i beni. Pertanto, la normativa di uno Stato
membro che condiziona l’applicazione di un’esenzione dall’imposta di successione in base al luogo di residenza del
de cuius o del beneficiario al momento del decesso alla residenza sullo Stato è una restrizione alla libera circolazione
dei capitali, vietata dall’art. 63 del TFUE. È vero - riconosce
la Corte - che in base all’articolo 65 gli Stati membri posso-
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Sintesi
no prevedere all’interno delle legislazioni nazionali in materia tributaria situazioni “in cui si opera una distinzione tra i
contribuenti che non si trovano nella medesima situazione
per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di
collocamento del loro capitale”, ma si tratta di un’eccezione da interpretare in modo restrittivo. Nel caso di specie, la
Corte esclude che la differenza imposta dal diritto greco
possa essere giustificata, così come esclude che la misura
possa essere motivata dalla necessità di prevenire la contrazione del gettito fiscale che si determinerebbe se l’esenzione dall’imposta di successione fosse estesa ai non residenti. Si tratta, in ogni caso, di una situazione che non è da
includere tra i motivi di interesse generale idonei a giustificare una restrizione a una libertà sancita dal TFUE.
CONSIGLIO D’EUROPA
RICICLAGGIO
La lotta al riciclaggio del denaro a Jersey è migliorata nel
corso degli anni ma, come scrivono gli esperti del Consiglio d’Europa sulla valutazione delle misure di lotta contro
il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo
(MONEYVAL), sono ancora poche le condanne per violazione delle regole. È quanto risulta dal rapporto, presentato
il 24 maggio dal gruppo di esperti, che contiene le conclusioni nell’ambito della visita a Jersey effettuata nel dicembre 2015. Nella dipendenza della Corona britannica il Comitato segnala la necessità di rafforzare le sanzioni applicabili
in questo campo soprattutto nei confronti degli istituti finanziari nonché l’esigenza di migliorare il livello e il numero
delle indagini con un incremento delle misure di sequestro
e di confisca. In ogni caso, il Comitato ha promosso il sistema normativo di Jersey che si è costituito anche grazie
all’effettiva applicazione delle convenzioni in materia da
parte della dipendenza britannica.
CEDU
RICONOSCIMENTO SENTENZE
La Grande Camera della Cedu si è pronunciata, con la sentenza Avotins contro Lettonia depositata il 23 maggio 2016,
sul rispetto delle regole dell’equo processo nel caso di esecuzione di una sentenza straniera in applicazione delle regole di diritto dell’UE con particolare riferimento al principio del mutuo riconoscimento. A rivolgersi alla Corte europea un consulente lettone che aveva firmato un atto notarile con il quale chiedeva un prestito a una società cipriota.
Nell’atto era indicata come legge applicabile quella cipriota
e come giudici competenti, non in via esclusiva, sempre
quelli di Cipro. La società aveva così adito i giudici ciprioti
che avevano riconosciuto l’obbligo del ricorrente di ripagare il debito con gli interessi. La società creditrice aveva cercato di ottenere l’esecuzione della sentenza in Lettonia, dove risiedeva il debitore, in base al Reg. n. 44/2001 sulla
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (sostituito
dal Reg. n. 1215/2015). Il debitore si era opposto e a seguito del rifiuto della sua istanza si è rivolto alla Cedu. In primo luogo, la Corte europea ha specificato che anche se
spetta alla Corte di Giustizia UE interpretare i Regolamenti
UE in materia di cooperazione giudiziaria civile, essa man-
Notariato 4/2016
tiene, anche quando è in gioco il diritto dell’Unione, la
competenza in ordine all’accertamento circa la violazione
dell’art. 6 della Convenzione, che assicura il diritto a un
equo processo. Gli Stati - osserva la Corte europea - sono
obbligati a rispettare la Convenzione, senza eccezioni, anche quando applicano il diritto Ue, tenendo conto di quanto stabilito nella sentenza Bosphorus e Michaud con le quali è stato affermato che, in linea di principio, la protezione
dei diritti fondamentali assicurata dall’ordinamento dell’Unione va considerata equivalente a quella convenzionale. Il
principio della presunzione della protezione equivalente
dell’ordinamento UE è sottoposto a due condizioni: l’assenza di margine di apprezzamento delle autorità nazionali
e lo sviluppo di un meccanismo di supervisione previsto
dal diritto Ue. Ed invero, in considerazione della circostanza che nel caso in esame la vicenda verteva sull’applicazione di un regolamento che lascia poco margine di intervento agli Stati e non di una direttiva e che le condizioni di cui
all’art. 34 del Reg. 44/2001 consentono il rifiuto al riconoscimento solo a condizioni prefissate e che la Corte Suprema lettone non ha fatto altro che applicare le regole europee derivanti dalla partecipazione all’Unione, è evidente
che si possono ritenere sussistenti le condizioni alla base
dell’applicazione del principio della presunzione della protezione equivalente perché manca un potere discrezionale di
applicazione per gli Stati. Rispettata anche la seconda condizione perché, grazie al regolamento, è assicurata la possibilità di un procedimento dinanzi alla Corte di Giustizia
UE attraverso il rinvio pregiudiziale e se è vero che spetta
al giudice nazionale effettuare il rinvio non c’è dubbio che
le parti in un procedimento possono sollevare alcuni problemi dinanzi al giudice nazionale, sollecitandolo al rinvio a
Lussemburgo. Così non aveva fatto il ricorrente che, per di
più, non aveva eccepito, pur avendo termini di ricorso
stretti, il mancato rispetto degli obblighi di notificazione, situazione che a suo dire aveva inciso sull’equo processo.
Pertanto, la Grande Camera, in modo analogo alla pronuncia della Camera, respinte le doglianze del ricorrente, ritiene che non è stato violato l’art. 6. I giudici internazionali,
inoltre, hanno precisato che la costituzione di uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia in Europa è del tutto legittimo
dal punto di vista della Convenzione europea, a condizione
che i metodi utilizzati non contrastino con i diritti umani
fondamentali. Di conseguenza, i tribunali nazionali devono
procedere a verificare che, pur applicando i meccanismi
propri del Reg. UE, i diritti convenzionali siano rispettati facendo attenzione alla circostanza che il mutuo riconoscimento non conduca a lacune nell’attuazione della Convenzione.
ACCORDI INTERNAZIONALI
APOSTILLE
In vista della Commissione speciale sulle attuazioni pratiche della Convenzione de L’Aia del 5 ottobre 1961 relativa
all’abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri
che si terrà presso la Conferenza dell’Aja di diritto internazionale privato dal 2 al 4 novembre 2016, è stato divulgato
il documento preliminare che contiene le risposte formulate dagli Stati sulla Convenzione in esame. La sessione sarà
preceduta dall’International Forum sull’e-APP (Electronic
Apostille Program) il 1° novembre. Sul sito della Conferenza sono disponibili le risposte al questionario fornite dagli
Stati (http://wwww.hcch.net/en/ublications-and-studies).
393
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Sintesi
Osservatorio disciplinare
a cura di Andrea Di Porto, Mario Miccoli e Mario Molinari (*)
ALLINEAMENTO CATASTALE
ART. 29, COMMA 1 BIS, L. 27 FEBBRAIO 1985, N. 52
E ART. 28 L.N. - INCOMPLETA DICHIARAZIONE DI
CONFORMITÀ CATASTALE - NULLITÀ - RIPETUTA
VIOLAZIONE - CUMULO DELLE SANZIONI - INAPPLICABILE
Cassazione Civile, Sez. II, 3 giugno 2016, n. 11507 Pres. Bucciante - Rel. Scarpa - J.P.R. c. Consiglio Notarile Distrettuale di Velletri Civitavecchia (Conforme
Cass., Sez. II, 11 aprile 2014, n. 8611)
Mancata dichiarazione di conformità dello stato di fatto ai
dati catastali - Nullità assoluta dell’atto - Responsabilità
del notaio ex art. 28 L.N. - Sussiste - Ripetuta violazione
della stessa norma in distinti atti - Applicabilità analogica
del cumulo previsto per gli illeciti amministrativi - Non
sussiste - Illegittimità costituzionale della mancata previsione del cumulo - Manifestamente infondata
L’atto notarile che contenga esclusivamente la dichiarazione di conformità alla planimetria e non anche ai dati
catastali è viziato da nullità assoluta, inequivoca ed indiscutibile, conseguendone la responsabilità disciplinare del notaio ai sensi dell’art. 28, comma 1, L. 16 febbraio 1913, n. 89. Le norme che prevedono il cumulo
delle sanzioni debbono essere considerate eccezionali e
quindi inapplicabili per analogia. Il notaio cui vengano
contestati più addebiti, non può giovarsi delle norme
eccezionali del Codice Deontologico Forense oppure
dell’art. 5, comma 2, D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109,
avendo contravvenuto più volte alla medesima disposizione di legge. È dunque manifestamente infondata la
questione di legittimità costituzionale degli artt. 135 e
138 L.N. nella parte in cui non prevedono l’applicabilità
di una sola sanzione, fino all’ammontare massimo previsto, in caso di plurime violazioni in atti diversi, rientrando nella discrezionalità del legislatore prevedere od
escludere il c.d. cumulo.
ART. 29, COMMA 1 BIS, L. 27 FEBBRAIO 1985, N. 52
E ART. 28 L.N. - DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ
OGGETTIVA INCOMPLETA - CONDOTTA CENSURABILE EX
ART. 136 L.N.
(*) In questo numero abbiamo focalizzato l’osservatorio disciplinare sul tema, di grande attualità, delle conseguenze disciplinari delle mancate o delle incomplete dichiarazioni di
conformità di planimetrie e dati catastali allo stato dei luoghi.
Una prima sentenza della Cassazione (Sez. II, 11 aprile 2014,
n. 8611) si era pronunziata per la nullità testuale e non equivoca dell’atto privo di una delle dichiarazioni di conformità, con
conseguente, inevitabile, applicazione dell’art. 28 L.N. Anche
in virtù di una circolare dell’Agenzia delle Entrate che riconosceva l’impossibilità per il contribuente/proprietario di giudica-
394
Co.Re.Di. Emilia Romagna 14 aprile 2016
Dichiarazione di conformità catastale incompleta - Conformità allo stato di fatto dell’immobile alla planimetria e
non ai dati catastali - Nullità inequivoca ex art. 28 L.N. Richiesta di formula sacramentale - Insussistenza - Applicazione delle sanzioni di cui all’art. 136 L.N. come fattispecie residuali - Censura - Sussistenza
Una clausola contrattuale sul c.d. “Allineamento catastale” del seguente tenore “dati catastali conformi all’intestazione anagrafica risultante dalla Conservatoria
dei Registri Immobiliari” deve considerarsi imprecisa,
nulla ma non in maniera inequivoca. Le clausole che
non comprendano anche la conformità dello stato di
fatto dell’immobile ai dati catastali, limitandosi alla sola
corrispondenza della planimetria, potrebbero essere viziati da nullità ma, secondo l’orientamento della stessa
Amministrazione Finanziaria (Agenzia delle Entrate), la
formula che includa anche la corrispondenza ai dati catastali è semplicemente auspicabile, in quanto sottratta
alla possibilità di rigoroso accertamento delle parti; non
può quindi, eventualmente che trattarsi di nullità priva
della caratteristica di inequivocità. Ne consegue l’inapplicabilità dell’art. 28 L.N. Conformemente al consolidato orientamento della Coredi emiliana in materia, ritenendosi l’art. 136 L.N. norma di chiusura applicabile a
tutte le fattispecie illecite ancorché non tipiche, è irrogata la sanzione della censura perché la clausola generica immette nel sistema un atto pubblico passibile di ingenerare equivoci sulla liceità urbanistica e fiscale dell’immobile.
ART. 29, COMMA 1 BIS, L. 27 FEBBRAIO 1985, N. 52
E ART. 28 L.N. - DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ
OGGETTIVA MANCANTE - ATTO NULLO PERCHÉ
ESPRESSAMENTE PROIBITO DALLA LEGGE
Co.Re.Di. Liguria 17 febbraio 2016
Dichiarazione di conformità catastale mancante - Richiesta di applicazione dell’art. 28 L.N. - Atto nullo per
espressa previsione di legge - Sussistenza
In considerazione della finalità della legge - che mira ad
un rilevamento ed ad un aggiornamento a fini fiscali dei
re la congruità dei dati catastali passibili di influenzare la rendita, alcune COREDI hanno tentato di evitare l’applicazione dell’art. 28 L.N. argomentando sulla equivocità del disposto legislativo e, pertanto, ritenendo la nullità formale non imputabile
- ovvero imputabile senza applicazione dell’art. 28 - al notaio.
La recentissima Cass. n. 11507/2016 del 3 maggio 2016 ribadisce il primo orientamento del S.C. testualmente ribadendo
che “trattasi, agli effetti dell’art. 28 della legge 16 febbraio n.
89, di nullità inequivoca ed indiscutibile, in quanto testuale”.
Notariato 4/2016
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Giurisprudenza
Sintesi
dati catastali corrispondenti all’effettiva consistenza patrimoniale degli immobili al dichiarato scopo di evidenziare eventuali vicende di elusione o di evasione fiscale
nell’ambito della proprietà immobiliare - viola l’art. 28
L.N., per aver ricevuto un atto nullo per contrasto
espresso alla citata legge, il notaio che ometta la dichiarazione di c.d. “conformità oggettiva”. Trattasi di atto
viziato da nullità testuale, formale, assoluta (per gli interessi pubblici e privati che intende garantire) e insanabile (non essendo prevista alcuna possibilità di conferma) disciplinata dagli artt. 1418 ss. c.c., la cui violazione dà luogo all’applicazione dell’art. 28 L.N. La intervenuta ripetizione degli atti può dar luogo soltanto al riconoscimento di circostanze attenuanti che consentono
l’irrogazione della sola pena pecuniaria. (Conforme Co.Re.Di. Liguria del 17 febbraio 2016)
ART. 29, COMMA 1 BIS, L. 27 FEBBRAIO 1985, N. 52
E ART. 28 L.N. - DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ
OGGETTIVA MANCANTE - ATTO NULLO PERCHÉ
ESPRESSAMENTE PROIBITO DALLA LEGGE DICHIARAZIONE INCOMPLETA - NULLITÀ NON INEQUIVOCA
Co.Re.Di. Emilia Romagna 27 gennaio 2016
Dichiarazione di conformità catastale mancante - Atto
nullo per espressa previsione di legge - Applicabilità dell’art. 28 l.n. - Sussistenza - Dichiarazione di conformità
catastale incompleta - Nullità non inequivoca - Responsabilità disciplinare insussistente
Nel caso di totale mancanza in un atto pubblico della
dichiarazione di conformità catastale, vi è nullità assoluta ed insanabile dell’atto con conseguente responsabilità del notaio incolpato ex art. 28 L.N. La reiterazione
dell’atto consente l’ammissione di circostanze attenuanti ex art. 144 L.N., con conseguente applicazione
della sola sanzione pecuniaria.
Allorché la dichiarazione del venditore abbia riguardato
la sola corrispondenza della planimetria allo stato di
fatto e non anche la corrispondenza dei dati catastali
non può ravvisarsi responsabilità disciplinare essendo
la materia altamente controversa, non ostante la pronunzia della Cass. n. 8611 del 2014.
ART. 29, COMMA 1 BIS, L. 27 FEBBRAIO 1985, N. 52
E ART. 28 L.N. - DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ
OGGETTIVA MANCANTE - ATTO NULLO PERCHÉ
ESPRESSAMENTE PROIBITO DALLA LEGGE
Co.Re.Di. Lazio 27 novembre 2015
Dichiarazione di conformità catastale incompleta - Allegata planimetria con l’aggiunta della dichiarazione conforme
allo stato dei luoghi - Mancata dichiarazione di conformità
dei dati catastali - Richiesta applicazione dell’art. 28 L.N.
- Atto nullo per espressa previsione di legge - Sussistenza
- Atto ripetuto - Circostanze attenuanti - Sanzione pecuniaria
Ove sia omessa o, comunque, sia incompleta la dichiarazione di conformità catastale, l’atto è nullo per esplicita previsione di legge, né rileva l’allegazione della sola
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planimetria con dichiarazione di rispondenza allo stato
dei luoghi; ne consegue l’applicazione dell’art. 28 L.N.
Se il notaio si attiva per eliminare le conseguenze dannose del suo atto, ripetendolo con l’osservanza delle
prescritte formalità, possono essere applicate le circostanze attenuanti con irrogazione della sola sanzione
pecuniaria.
ART. 29, COMMA 1 BIS, L. 27 FEBBRAIO 1985, N. 52
E ART. 28 L.N. - DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ
INSUFFICIENTE - INESISTENZA OBBLIGO FORMULE
SACRAMENTALI - OBIETTIVO DELLA NORMA E CONTENUTO
DELL’ATTO - NON SUSSISTE RESPONSABILITÀ DEL NOTAIO
Co.Re.Di. Lombardia 28 gennaio 2016
Incompleta dichiarazione di conformità catastale - Inesistenza di formule predeterminate - Dichiarazione di conformità fra planimetria allegata e stato dei luoghi, conseguimento dello scopo legislativo - Responsabilità disciplinare- Non sussiste
La dichiarazione di conformità della planimetria e dei
dati catastali non è soggetta a formule canoniche o prestabilite. Nella fattispecie l’obiettivo della norma è stato
raggiunto mediante la corretta ed esatta descrizione catastale del bene e il collegato riferimento alla planimetria allegata, vista e sottoscritta dalle parti. Dal documento emerge pertanto che l’obiettivo perseguito dal
legislatore è stato comunque raggiunto per cui non sussiste responsabilità del notaio.
DONAZIONE - ART. 29, COMMA 1 BIS, L. 27 FEBBRAIO
1985, N. 52 E ART. 28 L.N. - OMESSA
DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ RESPONSABILITÀ DEL
NOTAIO EX ART. 28 L.N.
Co.Re.Di. Toscana 14 dicembre 2015
Omissione della dichiarazione di conformità in atto di donazione - Responsabilità del notaio ex art. 28 L.N. - Sussiste - Ripetizione dell’atto nullo - Circostanza attenuante Sussiste - Irrogazione della semplice multa
Il notaio che riceve un atto di donazione avente ad
oggetto il diritto generale di usufrutto vitalizio relativamente ad un fabbricato urbano esistente senza che
nell’atto stesso sia stata inserita la dichiarazione del
donante (ovvero, in alternativa, la mancata attestazione rilasciata da un tecnico abilitato) circa la conformità dei dati catastali e della planimetria catastale
allo stato di fatto dello stesso fabbricato sulla base
delle disposizioni vigenti in materia catastale, viola
l’art. 19, comma 14, L. 30 luglio 2010, n. 122, che impone tale dichiarazione, e che prevede, per la relativa
omissione, la nullità dell’atto; conseguentemente, il
notaio incorre nella violazione dell’art. 28 della L. 19
febbraio 1913, n. 89, con l’ulteriore conseguenza dell’applicazione, nei suoi confronti, della sanzione della
sospensione prevista dal secondo comma dell’art.
138, comma 2, della stessa L. 16 febbraio 1913, n. 89.
Tuttavia, ricorrendo i presupposti di cui al primo
comma dell’art. 144 della L. 16 febbraio 1913, n. 89, la
395
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predetta sanzione della sospensione viene sostituita
dalla sanzione pecuniaria (nel caso di specie, il notaio
incolpato aveva già provveduto ad eliminare le con-
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seguenze dannose della violazione suddetta ricevendo un atto in rinnovazione di quello precedente affetto da nullità).
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Divisione
Imposte sui trasferimenti
ed effetti “dichiarativi”
della divisione: problematiche
aperte
di Alice Bulgarelli (*)
La scelta del legislatore in materia di imposta di registro per la natura dichiarativa della divisione
consente di valutare la compatibilità di certe fattispecie normative e interpretative. Sulla base di
questa teoria è stata analizzata l’imposizione dei conguagli rilevanti, delle cc.dd. masse plurime
e della collazione per imputazione. L’indagine secondo la dottrina dichiarativa ha consentito di
apprezzare la coerenza dell’applicabilità di certi istituti, quali il calcolo della base imponibile secondo il c.d. prezzo-valore e i cc.dd. benefici prima casa, e di valutarla in senso critico per altri.
Introduzione
L’analisi della disciplina tributaria della divisione,
nei tributi sui trasferimenti, conduce a ritenere che
il legislatore fiscale abbia accolto la natura dichiarativa di tale atto.
Tuttavia, le fattispecie dello scioglimento delle comunioni, proprio per la sua difficile collocazione
tassonomica, presentano varie problematiche, di tipo sia teorico sia applicativo, che l’interprete deve
cercare di inquadrare, analizzando taluni istituti
che tradizionalmente riguardano l’indagine dell’imposizione della divisione alla luce della teoria dichiarativa, per verificare la coerenza di certi assunti legislativi e interpretativi con il modello prescelto.
Nel presente studio, dopo un necessario approfondimento delle teorie sulla natura della divisione
emerse nella dottrina civilistica e un’analisi dell’impianto normativo di diritto tributario, si intendono esaminare taluni istituti e interpretazioni che
propongono interrogativi in merito alla propria
compatibilità con la teoria dichiarativa.
In primo luogo, sarà considerato il problema della
sottoposizione a imposta dei conguagli divisionali,
ponendo particolare attenzione nei confronti del
metodo di calcolo dei medesimi, della possibile applicabilità di alcuni regimi di favore previsti in caso di trasferimenti immobiliari e della liquidazione
degli stessi per mezzo di accollo dei debiti della comunione. In secondo luogo, si porrà l’attenzione
sulle cc.dd. masse plurime, tentando di comprendere le ragioni dell’origine e l’operatività dell’istituto.
Infine, sarà analizzata la fattispecie della collazione
per imputazione nella divisione e il suo ruolo differente per quanto riguarda il calcolo della base imponibile rispetto alla valutazione del rapporto tra
quota di fatto e quota di diritto dei condividenti.
Ciascuno degli argomenti citati vuole essere studiato alla luce della teoria dichiarativa della divisione,
così da poterne valutare la coerenza e addirittura,
in certi casi, la compatibilità.
La natura dichiarativa della divisione nel
diritto civile
Gli effetti giuridici della divisione comportano che
ciascun condividente sia considerato solo e immediato successore, dal dante causa della comproprietà, di tutti i beni componenti la sua quota e si re-
(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla
valutazione di un referee.
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puta che lo stesso non sia mai stato proprietario
degli altri beni facenti parte della comproprietà
stessa. Nonostante il codice civile si interessi del
fenomeno divisorio in due libri differenti, la fattispecie è da considerare unitariamente: essa è disciplinata espressamente dall’art. 757 c.c. per quanto
riguarda la divisione delle comunioni di origine
ereditaria, ma vale anche per lo scioglimento delle
comunioni ordinarie stante il rinvio di cui all’art.
1116 c.c. (1). L’indicata efficacia retroattiva del
negozio, inoltre, si manifesta sia in caso di divisione consensuale per mezzo di contratto, sia in forza
di divisione giudiziale grazie ad un provvedimento
del giudice (2).
Nonostante il dettato letterale dell’art. 757 c.c.,
parte della dottrina ha sostenuto la natura traslativa della divisione (3): con tale negozio si attribuirebbe, cioè, con efficacia traslativa benché retroattiva (4), la titolarità esclusiva del diritto a favore di
ciascun assegnatario, il quale diviene un vero e
proprio avente causa rispetto agli altri comproprietari. Si crea quindi una situazione giuridica nuova
rispetto a quella sussistente durante la comunione,
in modo non differente rispetto a quanto si farebbe
attraverso un negozio giuridico traslativo indipendente da qualsiasi progetto divisorio.
Gli effetti retroattivi della divisione così come previsti dal Codice, tuttavia, hanno condotto la maggior parte della dottrina (5) e la giurisprudenza a
considerare l’istituto in esame avente natura dichiarativa (6). Sia la dottrina, sia la giurisprudenza
hanno parlato, a tal proposito, di finzione legale che
consente di cancellare integralmente e sin dall’inizio lo stato di comunione, posto che il condividente riceve solamente quanto già aveva al momento
della creazione della comproprietà, mediante un
negozio che deve considerarsi di tipo liquidativo e
non sinallagmatico, dal momento che non si hanno alienazioni reciproche, né quindi prestazioni
corrispettive (7).
In altre parole, con la divisione quale contratto ad
effetti reali e non meramente obbligatori, la proprietà di una quota ideale del comproprietario (pars
quota) si traduce nella proprietà di beni determinati in capo all’assegnatario (pars quanta) (8).
(1) G. Mancinelli, Cessione di quote e inesistenza di masse
plurime, in questa Rivista, 2009, 294, in merito all’art. 757 afferma che “la disposizione, in quanto richiamata anche per la
divisione nella comunione ordinaria (art. 1116 c.c.), assume il
valore di un principio generale valido per qualunque contratto
divisorio.”.
(2) G. Capozzi, Successioni e donazioni (a cura di: A. Ferrucci - C. Ferrentino), IV ed., II, Milano, 1288.
(3) Oltre alle posizioni dottrinarie che sostengono la natura
costitutiva della divisione, si può osservare che esistono alcune fattispecie non perfettamente aderenti allo schema della
natura dichiarativa, quale la disciplina dei frutti separati e degli
incrementi oggettivi dei beni verificatisi durante la permanenza
della comunione i quali si presumono, salvo patto contrario,
acquisiti alla massa e, pertanto, nella titolarità pro quota di ciascun comproprietario.
(4) La retroattività generata in forza della divisione è da
considerare assoluta, poiché l’effetto ex tunc del negozio modificativo della situazione giuridica preesistente opera anche nei
confronti dei terzi.
(5) G. Gazzara, Divisione della cosa comune (voce), in Enc.
dir., XIII, Milano, 1964, afferma che “l’art. 757 c.c. va inteso
nel senso che alla divisione non deve essere attribuito carattere traslativo, perché essa non opera alcun trasferimento di beni, in quanto ciascun condividente si considera come titolare
della porzione assegnatagli, e soltanto di questa, sin dal momento in cui ebbe a costituirsi lo stato di comunione.”.
(6) Dal punto di vista dell’evoluzione storica, si osserva che
le origini della divisione quale istituto di carattere dichiarativo
non si trovano nel diritto romano, che la considerava quale atto avente efficacia traslativa per cui ciascun assegnatario trovava il proprio dante causa negli altri comproprietari, bensì in
motivi di carattere cautelativo e fiscale. Quanto al primo aspetto, si voleva evitare che eventuali ipoteche costituite a carico
di un comproprietario durante la vigenza della comproprietà
potessero gravare su beni assegnati ad altro condividente in
seguito alla divisione. Quanto al secondo aspetto, si deve riconoscere che le principali ragioni che hanno condotto a consi-
derare la divisione quale istituto a carattere dichiarativo sono
state di ordine fiscale poiché si voleva evitare una doppia imposizione sui trasferimenti, che si sarebbe verificata prima a
carico della comunione e poi a carico del coerede assegnatario. Entrambe le ragioni che hanno dato origine a una siffatta
caratterizzazione dell’istituto, tuttavia, risultano meno pregnanti nella vigenza dell’attuale ordinamento. Quanto alla funzione
di garanzia, infatti, soccorrono gli artt. 2646 e 2650, relativi alle
regole della continuità delle trascrizioni anche per le divisioni,
ma soprattutto l’art. 2825, il quale prevede che l’ipoteca costituita sulla quota di un comunista produce effetto solo sui beni
a lui assegnati e che, se nella divisione sono assegnati a un
compartecipante beni diversi da quello a suo carico ipotecato,
l’ipoteca si trasferisce sugli atri beni con il grado originario della precedente iscrizione e nei limiti del valore del bene precedentemente ipotecato, con le garanzie accordate dal quarto
comma a creditori ipotecari e cessionari. Quanto invece alle
ragioni di carattere fiscale, come si vedrà, la normativa di cui
al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, relativo all’imposta di registro,
regola in modo specifico il contratto di divisione (G. Musolino,
Natura ed effetti della divisione, in Riv. not., 2004, 3, 791 e
792).
(7) G. Musolino, op. cit., 791.
(8) Pure la teoria da ultimo citata è stata tuttavia criticata e
si è giunti ad affermare, con una visione che appare intermedia, che il dogma della dichiaratività può avere, quale unico significato, quello per cui ciascun condividente non può considerarsi quale avente causa degli altri comproprietari, intesi sia
come pluralità sia come singoli. Secondo tale impostazione, le
affermazioni, secondo cui con la divisione viene totalmente
cancellata la comunione e il condividente non riceve nulla che
già non avesse sin dal momento della sua formazione, potrebbero quindi accettarsi solo in termini descrittivi. Infatti la situazione giuridica preesistente rispetto alla divisione, cioè la contitolarità indivisa pro quota dei beni, è diversa dalla situazione
che si instaura successivamente al negozio divisorio, ovverosia
la proprietà esclusiva di taluni beni della massa (G. Macinelli,
op. cit., 294). Ulteriori dubbi in merito alla teoria dichiarativa
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Concludendo si può quindi osservare che la natura
della divisione, quale istituto di difficile collocazione tassonomica (9), è stata a lungo oggetto di studio sia da parte della dottrina sia da parte della giurisprudenza che si sono interrogate sulla preferenza
della teoria dichiarativa, secondo la quale il negozio divisorio rende effettiva e concreta una ripartizione già esistente, oppure costitutiva, la quale ritiene che si verifica il reciproco trasferimento tra i
comproprietari delle quote sui singoli beni. Se all’istituto in esame venisse riconosciuta natura dichiarativa, lo stesso individuerebbe solamente lo specifico oggetto di cui il comproprietario è titolare, rimanendo inalterato il diritto originariamente acquisito; se invece avesse natura costitutiva, al momento dell’assegnazione del bene il soggetto assegnatario diverrebbe titolare di un nuovo diritto (10). Ad oggi continua ad essere dominante la
teoria che predilige la natura dichiarativa della divisione ed è alla luce di tale assunto che occorre
valutare la rispondenza della normativa fiscale rispetto a quanto previsto in campo civilistico. Si
rende così necessario comprendere se la disciplina
tributaria conferma la teoria dominante in materia
di natura della divisione oppure se la stessa pone
discrasie, più o meno giustificabili alla luce di ciascuna fattispecie.
La teoria dichiarativa nella disciplina
tributaria della divisione
sono stati posti in merito alla sua operatività in tutti i tipi di divisione, poiché si è affermato che gli effetti dichiarativi avrebbero significato solo nel caso di divisione ereditaria, mentre
male si concilierebbero con lo scioglimento della comunione
ordinaria (G. Musolino, op. cit., 790).
(9) G. Mancinelli, op. cit., 293, afferma che “fino alla prima
metà del secolo scorso il contratto di divisione veniva confuso
con la permuta di quote indivise tra i coeredi”, precisando poi,
che Giommaria Deiana ha individuato la funzione tipica del
contratto di divisione, cogliendone l’autonomia rispetto ad altre tipologie contrattuali, in particolare la permuta alla quale la
pandettistica tedesca aveva assimilato la divisione in natura,
come da tradizione del diritto intermedio. Lo studioso affermava che per decidere se si tratti di divisione o di permuta è necessario indagare l’oggetto dell’accordo tra le parti: se si tratta
dello scambio dei diritti di comproprietà il contratto sarà una
permuta, se si tratta invece di negozio col quale ciascun comproprietario riceve, al posto della quota astratta sulla massa, la
proprietà esclusiva di una quantità di beni corrispondente sarà
una divisione.
(10) M. Magliulo - C. Sgobbo - S. Supino, La divisione: profili sostanziali, processuali e tributari, in Giuri. it., 2014, 7, 1771.
(11) Per un approfondimento si rimanda a: L. Rastello, Il tributo di registro, Roma: Società Abete, 1955; A. Berliri, Le leggi
di registro, Milano, IV ed., 1961; A. Berliri, Le imposte di bollo e
di registro: esposizione istituzionale della legislazione in materia,
Milano, III ed., 1970; A. Uckmar, Registro (tasse di), in Noviss.
Dig. it., Torino, 1969; A. Uckmar, La legge di registro, Padova,
1958; A. Uckmar - V. Uckmar, Registro (imposte di), in Noviss.
Dig. it., Torino, 1969; V. Uckmar - R. Dominici, Registro (imposta di), in Noviss. Dig. it., Torino, 1986; D. Jarach, Principi per
l’applicazione delle tasse di registro, Padova, 1936; F. Maffezzo-
ni, Gli effetti giuridici degli atti soggetti all’imposta di registro,
Padova, 1947; B. Santamaria, Registro (imposta di), in Enciclopedia del diritto, Milano, 1988; G. Donnamaria, L’imposta di registro nel Testo Unico D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Milano,
1987; M. P. Nastri, Il principio di alternatività tra imposta sul valore aggiunto e imposta di registro, Torino, 2012; E. Puma, Dizionario dell’imposta di registro: in base alla legge del registro e
alla tariffa, aggiornate al 31 maggio 1960, Roma, Enciclopedia
Trincaria, ed. di cultura professionale finanziaria, II ed., 1960;
G. Falsitta, Manuale di diritto tributario - Parte speciale, Padova,
2009; P. Russo, Manuale di diritto tributario - Parte speciale,
Milano, II ed., 2009; A. Fedele - G. Mariconda - V. Mastroiacovo (a cura di), Codice delle leggi tributarie, Torino, 2014.
(12) L’aliquota indicata si applica sul valore della massa comune che, ai sensi dell’art. 34 del TUR, si determina in modo
differente a seconda della provenienza dei beni. In caso di comunione ereditaria la massa è calcolata dal valore, riferito alla
data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato in
base alle norme dettate in materia di imposta di successione.
In caso di divisione ordinaria, invece, la massa è costituita dal
valore dei beni così come risultante da precedente atto che sia
stato sottoposto all’imposta sui trasferimenti. Nel caso in cui
la divisione si presenti nella forma del c.d. stralcio divisionale,
quando cioè si scioglie la comunione relativamente solo ad alcuni dei beni facenti parte della massa facendo cessare la
comproprietà solamente con riguardo a taluno dei condividenti, la base imponibile su cui applicare l’aliquota dell’1% è rappresentata esclusivamente dal valore della quota da stralciare,
da calcolarsi come sopra precisato, e non da quello dell’intera
massa in comunione. La questione è stata analizzata dalla
sent. n. 10857 della Cass., Sez. I, in data 17 dicembre 1994.
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L’aver accolto in via predominante la teoria che
assegna alla divisione natura dichiarativa comporta
effetti rilevanti per quanto riguarda il trattamento
fiscale dell’istituto. Il medesimo infatti, nella sua
accezione ordinaria, deve essere fatto rientrare tra
gli atti che vengono sottoposti a imposizione (11)
secondo l’art. 3 della Tariffa - Parte Prima allegata
al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (TUR) per gli atti
di natura dichiarativa relativi a beni o rapporti di
qualsiasi natura (12), salvi i casi previsti dall’art. 7.
Lo scioglimento delle comunioni, siano esse di origine ereditaria oppure contrattuale, neppure ai fini
fiscali deve essere considerato negozio traslativo,
ma rientra in quella categoria di atti che subisce la
più bassa imposizione proporzionale dell’1% accordata dalla citata norma agli atti aventi natura dichiarativa.
L’art. 34 TUR, specificatamente dedicato al trattamento fiscale della divisione, non esplicita in via
diretta tale interpretazione, ma consente di ricavarla in via indiretta. La norma detta taluni principi relativi ai casi in cui la fattispecie, pur prendendo origine da fenomeni divisori, si distacca in tutto
o in parte dall’operatività propria degli atti aventi
natura dichiarativa. L’art. 34 infatti determina le
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modalità di calcolo dei conguagli, qualora rilevanti, sulla base della tassazione prevista per i negozi
traslativi ed esplicita un’eccezione al fenomeno
delle masse plurime, in quest’ultimo caso facendo
rientrare nell’alveo della dichiaratività fattispecie
che altrimenti dovrebbero considerarsi negozi
aventi natura traslativa. La norma chiarisce, a contrario, che l’atto di divisione ha natura dichiarativa
nei casi in cui la pars quanta assegnata ai condividenti corrisponde alla pars quota rappresentata dalla quota di diritto che i medesimi vantano sulla
massa comune (13) e nei casi in cui l’ultima provenienza è di carattere ereditario, escludendosi in tale ultimo caso il fenomeno delle cc.dd. masse plurime.
Secondo taluni interpreti la divisione manifesterebbe solo in via indiretta la capacità contributiva,
la quale trova la propria diretta espressione a monte e, cioè, al momento dell’acquisto della massa comune (14). Altri ritengono invece che l’aliquota
dell’1% sottolinei la misura di una capacità contributiva che si manifesta all’atto dello scioglimento
della comunione e che è idonea a giustificare il
prelievo in misura proporzionale. La pressione più
limitata dell’aliquota risponderebbe quindi a una
logica impositiva coerente con il principio di cui
all’art. 53 Cost., perché un prelievo più gravoso rischierebbe di realizzare una doppia imposizione, sia
al momento dell’acquisto della massa comune sia
in quello della divisione effettuata su quella medesima massa. L’imposizione in misura proporzionale
quindi, seppur idonea a produrre un prelievo più
lieve rispetto ad altri tipi di negozi in rapporto con
un altrettanto lieve arricchimento, sottolinea la ri-
levanza del valore economico dell’effetto giuridico
del negozio (15).
A sostegno dell’interpretazione nel senso della teoria dichiarativa della divisione in campo tributario
si esprime l’Agenzia delle Entrate (16), che afferma
come la divisione sia il contratto con cui i contitolari di un diritto esistente su uno o più beni sciolgono lo stato di comunione esistente tra di essi. Essa precisa, richiamando la giurisprudenza della
Corte di cassazione (17), che il negozio con cui le
parti dividono beni in comproprietà ha natura dichiarativa perché i condividenti si limitano a trasformare l’oggetto del diritto di ciascuno da diritto
sulla quota ideale a diritto su un bene determinato,
senza che intervenga tra di loro alcun atto di cessione o di alienazione. L’Agenzia stessa riconosce
che anche le norme dettate in materia di imposta
di registro considerano la divisione quale atto
avente natura dichiarativa, sottoponendo detto negozio all’aliquota dell’1% prevista dall’art 3 della
Tariffa - Parte Prima allegata al TUR.
Si riscontrano talune fattispecie previste dalla disciplina tributaria che rendono evidenti criticità in
grado di penalizzare il momento distributivo cui il
legislatore accorda un regime di minima tassazione
secondo il criterio dettato per gli atti dichiarativi (18). Oltre alla previsione dell’imposizione per i
trasferimenti in caso di emersione del conguaglio,
infatti, occorre porre attenzione al fenomeno delle
cc.dd. masse plurime che impedisce di considerare
come congiunto lo scioglimento di una pluralità di
masse, nonché la funzione di apporzionamento in
relazione alla collazione e delle sue ripercussioni
sul fenomeno divisorio.
(13) M. Magliulo - C. Sgobbo - S. Supino, op. cit., 1779.
(14) G. Petteruti, Studio n. 24-2015/T, Divisione - Individuazione della massa nelle ipotesi successorie e non successorie Riflessi delle assegnazioni sulla configurabilità di conguagli fittizi,
Approvato dall’Area Scientifica - Studi Tributari il 25 febbraio
2015, Approvato dal CNN nella seduta del 6/8 maggio 2015,
4.
(15) Sentenza della Cass., Sez. I, 17 dicembre 1994, n.
10857; sul tema si veda, in generale: A. Di Pietro (a cura di),
Atti societari ed imposizione indiretta. Dalle Direttive comunitarie
alla nuova riforma tributaria, Padova, 2005; A. Di Pietro, Il consenso all’imposizione e la sua legge, in Rass. Trib., 2012, 1, 11;
A. Di Pietro, La crisi dell’armonizzazione delle imposte indirette,
in La finanza pubblica italiana - Rapporto 2007, Bologna, 2007,
301; T. Tassani, Il regime fiscale degli enti non commerciali e
delle ONLUS: questioni attuali, CNN Studio tributario n. 802009/T; T. Tassani, Permuta di bene presente con bene futuro e
imposte indirette, CNN Studio tributario n. 156-2008/T; T. Tassani, Osservazioni in merito alla tassazione del contratto preliminare per persona da nominare (nell’imposta di registro e nell’IVA), CNN Studio n. 32-2007/T; T. Tassani, Cessione onerosa di
beni e contratti d’impresa nell’imposizione indiretta, in Rass.
Trib., 2009, 6, 1673; T. Tassani, Profili fiscali della cessazione
della impresa, CNN Studio tributario n. 226-2011/T; T. Tassani,
Profili fiscali della cancellazione delle società dal Registro delle
imprese in presenza di beni immobili non liquidati, CNN Studio
tributario n. 550-2014/T.
(16) Circ. n. 18/E del 29 maggio 2013, relativa alla tassazione degli atti notarili, la quale precisa che “l’articolo 34, comma
1, del TUR, secondo periodo, detta i criteri per determinare la
cd. massa comune, distinguendo tra comunione derivante da
successione mortis causa e comunione derivante da titolo diverso dalla successione per causa di morte. Nello specifico,
nel caso di: - Comunione ereditaria, la massa comune è costituita dal valore, riferito alla data della divisione, dell’asse ereditario netto determinato a norma dell’imposta di successione.
Ai sensi dell’articolo 8, comma 1, D.Lgs. 31 ottobre 1990, n.
346 ‘Il valore globale netto dell’asse ereditario è costituito dalla
differenza tra il valore complessivo, alla data dell’apertura della
successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario, determinato secondo le disposizioni degli artt. da 14 a
19, e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri diversi da quelli indicati nell’art. 46, comma 3’; - Comunione ordinaria, la massa comune è rappresentata dai beni
risultanti da precedente atto che abbia scontato l’imposta propria dei trasferimenti.”.
(17) Cass. 25 ottobre 2005, n. 20645.
(18) G. Petteruti, op. cit., 4.
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Gli istituti citati sembrano escludere la dichiaratività della divisione in talune circostanze, come per
quanto riguarda il trattamento fiscale dei conguagli, oppure ve la fanno rientrare per espressa previsione normativa in casi di non perfetta aderenza
concettuale, come nel caso della finzione dell’unicità di masse per ultima provenienza ereditaria di
cui all’ultimo comma dell’art. 34.
Appare utile comprendere sia se l’esclusione dai
crismi della dichiaratività apportata in talune circostanze sia o meno giustificata da elementi oggettivi, sia le motivazioni che hanno condotto il legislatore a farvi rientrare fenomeni che non dovrebbero esserlo. L’indagine in tal senso deve avere il
compito di fornire un’adeguata interpretazione per
i casi non disciplinati o comunque di non facile soluzione.
L’art. 34 TUR, ai commi 1 e 2, disciplina le regole
per la sottoposizione a imposta di eventuali conguagli (19). La norma prevede che la divisione,
con la quale a un condividente sono assegnati beni
per un valore complessivo superiore a quello a lui
spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente. In questo
caso l’assegnatario è tenuto a versare agli altri, che
hanno subito una diminuzione rispetto alla propria
quota di diritto, un conguaglio che è assoggettato
all’imposta proporzionale prevista per i trasferimenti. I conguagli superiori al 5% rispetto al valore
della quota di diritto infatti, ancorché attuati mediante accollo di debiti della comunione, sono soggetti all’imposta con l’aliquota stabilita per i trasferimenti, indipendentemente dal concreto versamento della somma.
La divisione non effettua alcun trasferimento di
ricchezza solo nei casi in cui non sorgono conguagli rilevanti e, pertanto, esclusivamente in tali circostanze essa è estranea all’applicazione dell’artico-
lo 1 della Tariffa - Parte Prima allegata al TUR relativo ai negozi di attribuzione patrimoniale (20).
Nei casi, invece, di divisione con conguaglio le regole per i trasferimenti tornano ad operare, sebbene limitatamente alla quota relativa al conguaglio
stesso e con le regole peculiari dettate dalla normativa tributaria (21).
La divisione, pertanto, può essere considerata istituto avente natura meramente dichiarativa, anche
sotto l’aspetto fiscale, solo quando realizza l’assegnazione a ciascun condividente di beni aventi valori conformi alla propria quota di diritto. Nei casi
in cui, invece, l’assegnazione a un condividente superi la quota di diritto, idealmente quantificata al
momento della vigenza della comproprietà, accade
che quella parte di maggior valore così attribuita
venga sottoposta ad imposizione sui trasferimenti e
la divisione pare assumere, sebbene limitatamente
al conguaglio, natura traslativa (22).
A fronte della teoria, aderente al dato letterale dell’art. 34 TUR, la quale ritiene che in relazione alla
quota concernente il conguaglio si produce un effetto traslativo-costitutivo, come una vera e propria cessione con corrispettivo (23), sono emerse
talune interpretazioni che considerano la riqualificazione in oggetto operante esclusivamente ai fini
tributari. Secondo tali ultime posizioni la divisione
con conguaglio non si riqualificherebbe tout court
quale atto di trasferimento, perché il legislatore
equiparerebbe solo fiscalmente l’attribuzione dell’eccedenza all’assegnatario e il relativo conguaglio
a un negozio traslativo. Esso opererebbe un giudizio
di equivalenza tra fatti diversi dal punto di vista civilistico, la divisione con conguaglio e il negozio
traslativo, ma che sono comparabili per quanto riguarda la manifestazione di capacità contributiva (24). La Corte di cassazione ha avvallato tale
ultima impostazione, andando perfino oltre, poiché
ha affermato che la presunzione di cui al primo
comma dell’art. 34 è sancita solo ai fini dell’imposta di registro, restando invece inapplicabile con riferimento ad altre imposte (25).
(19) Per un approfondimento si rimanda a: G. Arnao, Manuale dell’imposta di registro: con massimario: le nuove tariffe in
vigore dal 1 febbraio 2005, Milano, V ed., 2005; A. Busani,
L’imposta di registro, Milano, 2009; N. D’Amati, La nuova disciplina dell’imposta di registro: il T.U. n. 131 del 26 aprile 1986
commentato articolo per articolo, Torino, 1989.
(20) A. Contrino, Note sulla nozione di “atto di natura dichiarativa” nel tributo di registro, in Rass. Trib., 2011, 3, 670.
(21) F. Batistoni Ferrara, Divisione. IV) Disciplina tributari (voce), in Enc. giur., XI, II, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata
da Giovanni Treccani, Roma, 1; F. Formica, Studio n. 73/2005/T,
Tassazione dei conguagli nelle divisioni, Approvato dalla Commissione studi tributari del CNN del 19 settembre 2005, 2.
(22) Conferma di tale interpretazione deriva anche da parte
dell’Agenzia delle Entrate, per mezzo della citata Circ. n. 18/E,
la quale afferma che la somma dovuta a titolo di conguaglio
deve essere assoggettata all’imposta proporzionale prevista
per i trasferimenti.
(23) Cass., Sez. trib., 23 aprile 2014, n. 9166 e Cass., Sez.
trib., 24 luglio 2000, n. 9659.
(24) M. Magliulo - C. Sgobbo - S. Supino, op. cit., 1779.
(25) Cass., Sez. trib., 22 marzo 2006, n. 6398 afferma, che
“nessuna disposizione contempla espressamente, fra gli atti
soggetti ad INVIM, l’ipotesi di presunta vendita immobiliare
(par. 10.1) sancita dall’articolo 34, comma 1 della legge di registro ai soli fini dell’omonima tassa.”.
La divisione con conguaglio e la sua
imposizione
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quale risulterebbe così svuotata di contenuto, dal
momento che, per non determinare effetti traslativi
e comportare la tassazione di favore, basterebbe infatti che i condividenti corrispondessero come conguaglio somme di denaro o altre prestazioni, anche
estranee all’asse ereditario (28). Basterebbe infatti
che i condividenti effettuassero davvero il pagamento di una somma relativa a quello scostamento tra
pars quota e pars quanta che la legge tributaria vorrebbe ad effetti costitutivi-traslativi. La giurisprudenza quindi, con questo discutibile orientamento,
riporta nell’ambito della dichiaratività proprio quelle fattispecie che ne sono testualmente escluse.
È quindi evidente l’importanza di un corretto inquadramento concettuale e tassonomico della divisione con conguaglio, per ritenere sì applicabili taluni regimi di favore, ma anche per analizzare e valutare istituti e interpretazioni.
Pur riconoscendo che la presenza del conguaglio
non può modificare la natura dell’istituto, appare
che la teoria dichiarativa della divisione possa valere senza sbavature solo nei casi in cui la quota di
fatto corrisponde alla quota di diritto, dal momento che l’assegnazione al condividente del bene come se non fosse mai stato della massa può considerarsi effettivamente lineare solo nei casi di cc.dd.
divisioni alla pari.
Lo studio della sottoposizione a imposta della divisione con conguaglio alla luce della teoria dichiarativa consente di leggere criticamente alcune interpretazioni giurisprudenziali. La Corte di cassazione (26) ha statuito in merito al caso di una divisione giudiziale in esito alla quale si è assegnato a
un condividente l’immobile oggetto della comunione con pagamento della corrispondente somma
a favore dell’altro condividente. In quella sede il
giudice ha affermato che coloro che erano destinatari di conguagli avevano ottenuto né più né meno
del valore delle rispettive quote. In altre parole, in
caso di scioglimento della comunione ereditaria
mediante assegnazione dell’intero bene ad alcuni
comproprietari e con versamento, da parte loro agli
altri condividenti di somme in denaro pari al valore delle quote, si applica l’aliquota propria degli atti di divisione e non la regola, prevista dall’art. 34
TUR, essendo irrilevante che la somma corrisposta
non provenga dalla massa ereditaria, atteso che la
norma non si occupa della provenienza dei beni assegnati, ma soltanto del loro valore.
L’orientamento giurisprudenziale citato non può
non destare perplessità dal momento che, al contrario della lettera dell’art. 34 TUR che si focalizza
sulla posizione del condividente che riceve una
quota di fatto di valore maggiore rispetto alla quota
di diritto che sarebbe a lui spettante e che è pertanto tenuto a versare il conguaglio, le sentenze in
oggetto analizzano la fattispecie partendo dall’ottica della dazione del conguaglio, giungendo così a
conclusioni che sembrano opposte rispetto a quanto voluto dalla norma fiscale (27).
Si può pertanto concludere che l’interpretazione
fornita dalla giurisprudenza in analisi non coincide
con la ratio della norma di cui all’art. 34 TUR, la
L’art. 34 TUR asserisce, al suo primo comma, che
la divisione con la quale a un condividente sono
assegnati beni per un valore complessivo superiore
a quello a lui spettante sulla massa comune è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente. Il comma secondo della medesima norma pone
poi una presunzione assoluta, secondo la quale il
conguaglio, qualora superi il 5% della quota di diritto spettante al condividente e ancorché attuato
mediante accollo di debiti della comunione, è soggetto all’imposta proporzionale dovuta per gli atti
traslativi e ciò indipendentemente dal concreto
versamento.
Il combinato disposto dei primi due commi dell’art.
34 consente di affermare che l’equiparazione alla
vendita, e la relativa necessità di sottoporre l’atto
alla più gravosa tassazione, vale unicamente per i
conguagli rilevanti, quali sono quelli superiori al limite del 5% (29). Pertanto, è opinione oramai pacificamente acquisita che i lievi scostamenti contenuti nell’ambito della predetta percentuale non
danno luogo all’applicazione dell’imposta sui trasferimenti (30).
(26) Cass. 16 novembre 2012, n. 20119, che richiama il proprio precedente n. 17866 del 30 luglio 2010.
(27) A. Montesano, Il regime di tassazione, ai fini dell’imposta di registro, di una particolare ipotesi di divisione, in Il fisco,
2011, 12, 1, 1865, D. Amendola, Scioglimento della comunione
ereditaria e imposta di registro, in Il fisco, 2013, 21, 1, 3198.
(28) M. Magliulo - C. Sgobbo - S. Supino, op. cit., 1780.
(29) S. Cannizzaro, La divisione nell’imposta di registro. Collazione ed emersione di conguagli fiscalmente rilevanti, in que-
sta Rivista, 2012, 5, 593; in merito a tale argomento la Risoluzione Dir. Gen. Tasse 25 marzo 1991, n. 260455, Registro Quota di diritto - Conguagli maggiori del 5%, ha affermato che
“è questa una buona norma equitativa intesa ad evitare la pretesa di una perfetta ed assoluta corrispondenza tra quota di diritto e quota di fatto”.
(30) F. Formica, op. cit., 4; M. Magliulo - C. Sgobbo - S. Supino, op. cit., 1780, affermano che “la disposizione ha assunto
nel TUR un nuovo e diverso significato rispetto alla previgente
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Il calcolo del conguaglio ai fini
dell’imposta di registro
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A tal proposito la dottrina ha affermato che, in
presenza di conguagli rilevanti, il trattamento fiscale maggiormente gravoso dovrebbe ritenersi applicabile solo alla parte di conguaglio superiore a
detta soglia e non all’intero valore. Se, nel caso di
superamento del limite previsto del 5%, si ammettesse una tassazione dell’intero conguaglio si accetterebbe infatti l’attuazione di un’ingiustificata disparità di trattamento tributario. Una divisione
con conguaglio non rilevante, infatti, sarebbe assoggettata esclusivamente all’aliquota del 1% da
applicarsi sulla massa, poiché il conguaglio inferiore deve considerarsi irrilevante ai fini dell’applicazione dell’aliquota proporzionale propria dei trasferimenti. Se si ammettesse l’applicazione dell’imposta sui trasferimenti all’intero conguaglio rilevante
si verificherebbe che il negozio, per la parte avente
natura dichiarativa, sarebbe sempre assoggettato all’aliquota del 1% secondo le ordinarie regole, mentre, per la parte relativa al conguaglio, si applicherebbe l’aliquota più gravosa relativa ai trasferimenti
non solo per la parte eccedente al 5%, ma anche
per quella inferiore, la quale, di norma, sarebbe fiscalmente irrilevante. In questo modo si introdurrebbe una ingiustificata disparità di trattamento relativamente a fattispecie che, almeno per quanto
riguarda la parte dei conguagli che non supera il
suddetto limite, sono tra loro assimilabili. Per evitare questa contraddizione la dottrina ha proposto
di ritenere che, in caso di divisione con conguaglio
rilevante, le aliquote più gravose relative agli atti
di trasferimento si applichino esclusivamente a
quella parte del conguaglio che supera il valore del
5%, mentre la parte non eccedente permarrebbe
nella sfera dell’irrilevanza ai fini tributari (31). Occorre tuttavia precisare che la prassi si muove in
tutt’altra direzione, continuando a prevedere l’imposizione per l’integralità del conguaglio, ovvia-
Coerentemente al carattere costitutivo-traslativo
dell’attribuzione relativa al conguaglio rilevante, si
ammette la possibilità di calcolare la base imponibile sulla base del metodo del c.d. prezzo-valore,
introdotto dall’art. 1, comma 497, L. 23 dicembre
2005, n. 266. La stessa Agenzie delle Entrate (32)
espressamente afferma che se ad uno dei condividenti sono assegnati beni immobili ad uso abitativo, per la determinazione della base imponibile si
può applicare suddetto metodo di calcolo. Il criterio in esame è riferibile solamente alla parte di valore dell’immobile la cui assegnazione dà luogo al
conguaglio, poiché si può parlare di cessione, così
come richiesto dalla norma concernente il c.d.
prezzo-valore, solo per quanto riguarda tale aspetto
del negozio, mentre per quanto riguarda la parte
della divisione ove la quota di fatto corrisponde alla quota di diritto la natura dichiarativa della stessa
non consente l’applicazione del regime in oggetto (33).
disciplina di cui al D.P.R. n. 643 del 26 ottobre 1972, che già
prevedeva una simile statuizione. In particolare, l’antevigente
art. 32 del D.P.R. n. 643 assoggettava ad imposizione i conguagli ‘se superiori’ al 5%, così configurandosi tale margine di
tolleranza come condizione di applicabilità della disciplina ivi
prevista (i.e., l’intero conguaglio è assoggettato ad imposizione solo se superiore al 5%). Nel nuovo TUR, il 5% de quo non
è più (soltanto) condizione, ma sembra piuttosto misura della
tolleranza: l’art. 34 assoggetta infatti ad imposizione i conguagli ‘superiori’ al 5% (i.e., il conguaglio è assoggettato a imposizione per la parte in cui supera il 5% della quota di diritto).”.
(31) F. Formica, op. cit., 5, precisa che “una delle prime osservazioni in tal senso è riscontrabile nel commento all’articolo
34 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, contenuto nella Risoluzione del Ministero delle Finanze, Direzione Generale Tasse, n.
1974 09 17 0301132, ove si legge che ‘Il co. 2 dell’art. 34
d.p.r. 131/1986 limita la tassazione del conguaglio solo all’ec-
cedenza rispetto al 5% della quota di diritto’”.
(32) Circ. n. 18/E citata, che richiama la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 136 del 14 giugno 2007.
(33) A. Montesano, Risoluzione n. 145/e del 9 giugno 2009.
Inammissibilità dell’atto integrativo ai fini dell’opzione per il sistema del “prezzo valore”, in Il fisco, 2009, 25, 2, 4160, afferma
che “il sistema in esame è applicabile, oltreché alle fattispecie
traslative in senso stretto, anche (...) a ogni altro negozio, assimilato al trasferimento, per il quale la base imponibile è determinata con riferimento al valore del bene oggetto dell’atto, ai
sensi dell’art. 43 del D.P.R. n. 131/1986 (...). La nozione di
‘cessioni’ ricomprende, altresì, gli acquisti derivativo costitutivi
quali (...) i conguagli divisionali dovuti dal condividente a cui
siano assegnati in proprietà esclusiva beni per un valore superiore alla quota spettantegli di diritto; il criterio del prezzo valore sarà, in quest’ultimo caso, riferibile esclusivamente alla quota parte del complessivo valore dell’immobile la cui assegna-
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mente qualora superiore al 5% del valore della
quota di diritto.
Assodata la misura in cui il conguaglio deve essere
sottoposto a imposizione, occorre analizzare più
nello specifico l’assimilazione delle divisioni con
conguaglio rilevante ai negozi traslativi. In altri
termini, ci si chiede se possano considerarsi attuabili, anche in tale fattispecie, i regimi di favore che
la legge accorda in talune ipotesi di trasferimento
dei diritti e, in particolare, il calcolo della base imponibile secondo il criterio del c.d. prezzo-valore
nonché l’aliquota prevista in materia di cc.dd. benefici prima casa.
La base imponibile relativa ai conguagli
rilevanti secondo il metodo del c.d.
prezzo-valore
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Quanto alla possibilità di utilizzare il metodo del
c.d. prezzo-valore nelle divisioni con conguaglio
derivanti da sentenza, è utile precisare che in passato l’Agenzia delle Entrate escludeva che il citato
meccanismo potesse trovare applicazione per i trasferimenti degli immobili ad uso abitativo avvenuti
a seguito di espropriazione forzata e, in generale,
per i trasferimenti coattivi di cui all’articolo 44 del
TUR. È stato pertanto affermato che la regola del
c.d. prezzo-valore dettasse una deroga esclusivamente rispetto all’articolo 43 TUR relativo ai trasferimenti negoziali a titolo oneroso tra privati e
non anche nei confronti dell’articolo 44. Quest’ultima, si è commentato, era condizione concernente
tutte le ipotesi di trasferimento giudiziale perché in
tali fattispecie non sussiste un atto negoziale tra le
parti e, pertanto, non sarebbe nemmeno astrattamente immaginabile la possibilità di un occultamento del corrispettivo, elemento patologico che
la norma di cui all’all’art. 1, comma 497, L. 23 dicembre 2005, n. 266 è diretta a contrastare.
Recentemente la medesima amministrazione (34)
affronta nuovamente il problema dell’applicabilità
del sistema del c.d. prezzo-valore ai trasferimenti
posti in essere in sede di espropriazione forzata e di
pubblici incanti, di cui all’art. 44 del TUR. Il documento richiama una recente pronuncia della
Corte costituzionale (35) la quale dichiara l’illegittimità costituzionale della norma di cui all’art. 1,
comma 497, L. n. 266/ 2005 “nella mancata previsione - a favore delle persone fisiche che acquistano a seguito di procedura espropriativa o di pubblico incanto - del diritto potestativo, al contrario riconosciuto all’acquirente in libero mercato, di far
riferimento, ai fini della determinazione dell’imponibile di fabbricati ad uso abitativo in materia di
imposte di registro, ipotecarie e catastali, al valore
tabellare dell’immobile”. La Corte rileva, infatti,
che la mera differenziazione del contesto acquisitivo del bene non è dunque sufficiente a giustificare
la discriminazione, in ordine al diritto concesso all’acquirente per il calcolo della base imponibile, di
due fattispecie caratterizzate da una sostanziale
omogeneità.
Da quanto esposto è possibile affermare che sia la
giurisprudenza sia l’Agenzia delle Entrate hanno
mutato orientamento in merito all’applicabilità del
criterio del c.d. prezzo-valore ai trasferimenti effettuati ope iudicis. Pertanto non si trovano ragioni
per escludere che, sussistendo gli altri requisiti richiesti dalla legge, la base imponibile per la determinazione dell’imposta relativa al conguaglio significativo, emergente in forza di una divisione giudiziale, possa essere calcolata sulla base del meccanismo del c.d. prezzo-valore.
Si pone, infine, un problema di non facile soluzione per quanto riguarda le formalità in ordine alla
richiesta di applicazione del meccanismo di calcolo
in oggetto. L’Agenzia delle Entrate (36) è chiara
nell’affermare che, in ragione della formulazione
letterale della norma e della finalità da essa perseguita che consiste, tra l’altro, nel far emergere i
reali corrispettivi delle contrattazioni immobiliari,
si deve escludere che la dichiarazione di cui all’art.
1, comma 497, possa essere contenuta in un atto
integrativo successivo al negozio traslativo. Questa
soluzione risponderebbe anche alla necessità di garantire la certezza nei rapporti giuridici e di tutelare il reciproco affidamento tra il contribuente e
l’Amministrazione finanziaria (37).
In armonia con taluni rilievi critici avanzati dalla
dottrina (38), non si può non evidenziare come la
zione dà luogo al pagamento del conguaglio. Viceversa, è stata esclusa l’applicabilità del sistema in questione alle divisioni
senza conguaglio, che non configurano, ai fini dell’imposta di
registro, ipotesi di ‘cessioni’ in senso stretto, ma atti aventi natura dichiarativa sottoposti, in quanto tali, a tassazione proporzionale con aliquota dell’1%”.
(34) Circ. dell’Agenzia delle Entrate n. 2/E del 21 febbraio
2014.
(35) Sentenza della Corte cost. n. 6 del 15 gennaio 2014.
(36) Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/E del 2013,
che richiama la propria Risoluzione n. 145 del 9 giugno 2009.
(37) A. Montesano, op. cit., 4162; su questo tema si veda,
in generale, A. Carinci, La rilevanza fiscale del contratto tra modelli impositivi, timori antielusivi e fraintendimenti interpretativi,
in Rass. Trib., 2014, 5, 961; T. Tassani, I confini dell’abuso del
diritto ed il caso del conferimento di azienda con successiva cessione delle partecipazioni, in Riv. dir. trib., 2011, 3, 329.
(38) A. Montesano, op. cit., 4162, contesta che “l’iter argomentativo seguito dall’Amministrazione finanziaria, in realtà,
suscita notevoli perplessità. Come si è visto, a sostegno della
tesi negativa l’Agenzia richiama, anzitutto, la formulazione let-
terale del citato art. 1, comma 497, L. n. 266/2005, secondo il
quale l’applicazione del meccanismo del prezzo valore deve
essere richiesta al notaio all’atto della cessione dalla parte acquirente. Si ricorda, però, che la stessa Agenzia delle Entrate
non ha ritenuto ostativa all’applicazione delle agevolazioni ‘prima casa’ la circostanza che le dichiarazioni previste dalla nt. II
bis all’art. 1 della Tariffa, Parte Prima, del d.P.R. n. 131/1986,
non fossero state inserite, per errore delle parti, nell’atto di acquisto. In tal caso, è stata riconosciuta, invece, la possibilità di
rendere tali dichiarazioni in un atto integrativo. Allo stesso modo, non sembra decisiva, a sostegno della tesi negativa seguita dal Fisco, l’argomentazione fondata sulla ratio legis, consistente nell’agevolare l’emersione dei corrispettivi nei trasferimenti immobiliari; questa, infatti, sarebbe ugualmente perseguita laddove la richiesta di applicazione del sistema del prezzo valore fosse contenuta in un atto integrativo; vi sarebbe un
mero ‘ritardo temporale’, ma la finalità sarebbe ugualmente
perseguita; anzi, la possibilità di integrare l’atto inizialmente
privo della richiesta di applicazione del meccanismo prezzo valore favorirebbe ulteriormente il perseguimento di detta finalità, attribuendo alle parti una maggiore ‘elasticità’ nella gestio-
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sopra esposta evoluzione della giurisprudenza e dell’Agenzia delle Entrate in materia di applicabilità
del criterio del c.d. prezzo-valore anche alle fattispecie di cui all’art. 44 TUR sembra aver temperato l’attenzione indiscriminata volta esclusivamente
ad evitare l’atteggiamento patologico relativo a
una possibile occultazione del corrispettivo; mentre, al contrario, i più recenti sviluppi ermeneutici
della Corte e dell’Agenzia pongono maggiormente
l’attenzione sulle nefande conseguenze di un’ingiustificata disparità di trattamento. Si ritiene pertanto plausibile che sia possibile richiedere l’applicazione del criterio del c.d. prezzo-valore anche con
atto successivo rispetto a quello traslativo, posto
che l’attenzione nell’evitare discriminazioni inizia
a essere un’esigenza forse addirittura prevalente rispetto a quella anti-evasiva e rispetto alla necessità
di garanzia della certezza nei rapporti giuridici nonché di tutela del reciproco affidamento tra contribuente e Amministrazione finanziaria.
Quanto all’applicazione dei cc.dd. benefici prima
casa alle divisioni con conguaglio occorre coordinare l’art. 34 TUR con la nota II bis dell’articolo 1
della Tariffa - Parte Prima della stessa legge la quale consente, previo il rispetto dei requisiti ivi indicati, la tassazione con aliquota agevolata degli atti
traslativi a titolo oneroso di case di abitazione non
di lusso e delle relative pertinenze. In virtù dell’equiparazione alla vendita delle divisioni con la
quale un condividente assegna all’altro beni per un
valore complessivo eccedente quello a lui spettante
sulla massa comune, di cui al primo comma dell’articolo 34, nonché della determinazione dell’aliquota quale quella stabilita per i trasferimenti immobiliari nel caso di conguagli eccedenti il limite del
5%, di cui al secondo comma, è pertanto possibile
considerare applicabile alla divisione con congua-
glio il regime agevolato previsto per l’acquisto delle
prime case (39).
Si precisa che nulla osta all’applicazione del presente regime anche in caso di divisione con conguaglio giudiziale dal momento che l’art. 8 della
Tariffa - Parte prima del TUR prevede che gli atti
dell’autorità giudiziaria in materia di controversie
civili che definiscono anche parzialmente il giudizio, compresi i provvedimenti di assegnazione, anche in sede di scioglimento delle comunioni, sono
sottoposti alle medesime imposte stabilite per i corrispondenti atti. A suffragio di questa tesi è possibile richiamare la posizione dell’Agenzia delle Entrate (40) che, analizzando la norma citata, ha voluto
stabilire se fosse possibile l’applicazione delle agevolazioni relative all’acquisto della prima casa in
sede di registrazione delle sentenze dichiarative
dell’acquisto di un immobile per usucapione. Il documento in esame giunge all’ammissibilità del regime agevolato purché sussistenti i necessari requisiti
di legge richiamando alcune pronunce della Corte
di cassazione (41), le quali avevano già constatato
che l’evoluzione della normativa relativa alle
cc.dd. agevolazioni prima casa ha comportato modifiche in termini di requisiti soggettivi e oggettivi
e di diritti oggetto del trasferimento, guardando
con favore anche agli acquisti non conseguenti ad
atti traslativi a titolo oneroso. Da quanto esposto si
desume che, a maggior ragione, sarà possibile applicare l’agevolazione in oggetto nel caso in cui la
sentenza concerna istituti che lo stesso legislatore
equipara a trasferimenti immobiliari. Se la sentenza
che dichiara l’usucapione viene equiparata anche
ai fini fiscali ai trasferimenti, potendosi quindi applicare le agevolazioni, lo stesso deve potersi dire
per la divisione con conguaglio, limitatamente alla
parte per cui la quota di fatto eccede la quota di diritto e per la quale quindi lo stesso legislatore tributario prevede l’assimilazione alla vendita. Infine
si deve precisare che lo stesso dato letterale della
nota II bis, relativa alle condizioni di applicazione
dei cc.dd. benefici prima casa, concerne generica-
ne della pratica. L’Agenzia delle Entrate, infine, cade in una
petizione di principio laddove afferma che la soluzione da essa
adottata risponde alla necessità di garantire la certezza nei
rapporti giuridici, in quanto non è ipotizzabile che l’attività di
accertamento sul valore avviata dall’Ufficio possa essere inibita dall’acquirente attraverso la presentazione di un atto integrativo. È evidente, infatti, come venga dato già per scontato
ciò che, invece, si intende dimostrare.”.
(39) Quanto alla possibilità di richiedere l’applicazione del
regime di favore c.d. prima casa anche successivamente al
perfezionamento dell’atto traslativo, occorre ricordare la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 18/E del 29 maggio 2013, la
quale, richiamando la Risoluzione n. 110 del 2 ottobre 2006 e
la Circ. n. 38 del 12 agosto 2005, ha affermato che qualora il
contribuente non abbia reso nell’atto di acquisto le necessarie
dichiarazioni ha la possibilità di rimediare mediante un successivo atto integrativo, redatto secondo le medesime formalità
giuridiche del precedente, nel quale dichiarare la sussistenza
dei presupposti soggettivi ed oggettivi richiesti per usufruire
delle agevolazioni.
(40) Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 25/E del 25
marzo 2012.
(41) Cass. 15 gennaio 2010, n. 581 e 16 dicembre 2008, n.
29371.
L’applicabilità dell’agevolazione c.d.
prima casa nell’imposizione dei conguagli
rilevanti
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mente gli atti traslativi a titolo oneroso quale presupposto per godere dell’aliquota agevolata.
Il pagamento del conguaglio mediante
accollo dei debiti della comunione
Nel caso in cui emergono conguagli significativi la
minore tassazione prevista per gli atti dichiarativi
non è voluta dalla legge nemmeno in presenza di
accollo di debiti della comunione, così come
espressamente previsto dall’art. 34, comma 2,
TUR. Ai fini fiscali, quindi, l’effetto dichiarativo
può riguardare solo gli elementi attivi dell’asse,
mentre le passività hanno solamente il limitato
ruolo nel calcolo della base imponibile delle comunioni ereditarie, purché non accollato a singoli
condividenti per il pareggio delle porzioni (42). La
presenza di debiti ereditari quindi non consente di
effettuare un abbattimento delle porzioni in relazione alle quote di diritto, dal momento che la presunzione assoluta di pagamento, insita nell’accollo
di cui alla norma citata, non consente di sommare
il valore negativo delle passività eventualmente accollate con il valore positivo della propria attribuzione.
La normativa fiscale, quindi, qualifica come conguaglio l’accollo dei debiti della comunione, ma,
allo stesso tempo, rinvia alle norme dell’imposta di
successione per la determinazione del valore della
massa. La dottrina cerca di dare un significato a
questa contraddizione della legge che, da un lato,
considera in ogni caso gli accolli dei debiti ereditari quali pagamento e, dall’altro lato, richiama le
metodologie di calcolo dettate in materia di imposte di successione che sicuramente tengono in considerazione le passività. In virtù di questo sembra
esistere una deroga alla determinazione della base
imponibile, in modo che nelle divisioni ereditarie
le passività possano essere dedotte. Secondo la dot(42) G. Petteruti, op. cit., 4.
(43) G. Petteruti, op. cit., 7 e 8.
(44) In materia si vedano anche: G. Marongiu (a cura di),
Commentario breve alle leggi tributarie, IV, Padova, 2011; G.
Giuliani, I notai e i tributi, Padova, 1998; S. Lanzillotti - F. Magurno, Il notaio e le imposte indirette: aspetti fiscali e civilistici,
Milano, 2014.
(45) Precedentemente la fattispecie in esame era comunque considerato come un’unica comunione. Fino al periodo
del secondo dopoguerra si faceva riferimento a un documento
di prassi datato 1880, la “Normale” n. 31 pubblicata nel Bollettino Ufficiale Direzione generale Demanio e Tasse, nel quale si
affermava che la comunione legittimamente esiste anche se si
è formata per diversi titoli e ragioni, essendo inconcepibile che
tra le medesime persone esitano più comunioni distinte; pertanto quando si effettua una divisione occorre ritenere che i
beni comuni costituiscano una comunione sola, nella quale è
406
trina le regole relative alle comunioni ereditarie
che richiamano le passività risultano dirette a mitigare il prelievo, che nelle comunioni ordinarie
concerne l’intero valore dei beni da dividere, e
non ad alterare la disciplina sostanziale che impone la tassazione in base all’intrinseca natura e agli
effetti degli atti.
Le passività deducibili sono solamente quelle presenti all’apertura della successione perché solo queste costituiscono il passivo relativo alla determinazione dell’asse ereditario netto ai sensi dell’art. 34
del TUR. Quando dette passività sono poste a carico dei singoli eredi, la porzione di questi ultimi
viene valorizzata per un importo superiore da cui,
sottraendo il passivo, si va a ottenere quello pari
alla quota di diritto. Per questo motivo, seguendo
l’idea che l’accollo sia mezzo di pagamento di un
corrispettivo, qualora ne sussistano i presupposti si
avrà l’applicazione delle norme per i trasferimenti
e non quelle per gli atti dichiarativi. Quando invece le passività sono solo richiamate, senza l’effettuazione di alcun accollo, esse diminuiscono la base imponibile dell’atto di divisione ereditaria (43).
Appare così che l’eventuale ulteriore negozio dell’accollo dei debiti da parte di solo alcuni dei condividenti provochi l’inapplicabilità degli effetti tributari della teoria dichiarativa relativamente alla
quota pagata mediante il suddetto accollo.
Il sistema delle masse plurime e il suo
rapporto con la teoria dichiarativa
Se i beni che fanno parte della massa da dividere
sono stati acquistati con titoli diversi, anche se i
comproprietari sono gli stessi e nelle medesime
quote, si verifica il fenomeno delle masse plurime (44). Il principio in esame, in contrasto con
quanto precedentemente affermato da dottrina e
giurisprudenza (45), deriva da una pronuncia della
lecito per i condividenti assegnare a uno di loro la sua quota
con una qualunque delle cose comuni senza che muti il carattere della divisione e da “declaratoria diventar per ciò attributiva”. La pronuncia della Cass. n. 1556 del 30 agosto 1947 ha
negato per la prima volta l’unicità della comunione in presenza
di provenienze dei beni sostanziantesi in titoli e tempi di acquisto diversi, precisando che un’eccezione si poteva rinvenire
nella circostanza che più masse comuni fossero assegnate tutte nelle stesse proporzioni ai condividenti. Nel caso da ultimo
descritto la c.d. masse plurime non si verificherebbero perché,
assegnando a ciascun condividente la quota di diritto e ripartendo così i beni comuni senza eccedenze, la pluralità dei titoli
di acquisto non comportava alcuna rilevanza nel trattamento
tributario. La dottrina così affermò che non si avrebbe necessariamente una pluralità di comunioni a fronte di una pluralità
di acquisti se questi sono effettuati sempre dai medesimi soggetti, perché il rapporto che si instaura tra questi ultimi è pur
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Corte di cassazione del 1961 (46), la quale ha affermato che in presenza di più titoli di provenienza
dei beni goduti in collettività, non si ha un’unica,
bensì una pluralità di comunioni: ossia si hanno
tante comunioni quanti sono i titoli di provenienza
dei beni. La pluralità di titoli, importando pluralità
di masse, fa sì che ciascun compartecipe non vanti,
sulla totalità dei beni, un diritto corrispondente alla somma delle singole frazioni bensì tanti diritti
quante sono le masse. La S.C. quindi ritiene che
in sede divisionale, attribuendo a ciascun condividente sopra una sola massa la somma delle quote
vantate sulle diverse comproprietà, gli si assegnano
su quella massa beni eccedenti la sua frazione di diritto, mentre lo si esclude dalle altre, e reciprocamente si opera nei confronti degli altri condividenti. Portando alle estreme conseguenze tale ragionamento la Corte arriva a sostenere che, anche in caso di eguaglianza delle quote dei condividenti su
ciascuna massa, si fuoriesce dalla categoria dei negozi di accertamento dichiarativo e si pone in essere un negozio che ha solo l’apparenza del negozio
dichiarativo, ma la vera sostanza di un negozio traslativo e, più specificatamente, di permuta. La pronuncia in oggetto quindi impone il principio della
pluralità delle comunioni a fronte della pluralità
dei titoli di acquisto anche se i comproprietari sono titolari di quote identiche su tutti i beni.
La giurisprudenza successiva si è quasi unanimemente conformata a tale impostazione, affermando
inoltre che in caso di scioglimento di masse plurime, per evitare la maggiore imposizione degli atti
aventi natura traslativa, è necessario procedere a
tante divisioni quanti sono i titoli di acquisto (47).
Tale interpretazione viene recepita anche dal legislatore fiscale (48) il quale prevede, all’ultimo comma dell’art. 34 TUR, che la comunione di beni,
originata da atti di provenienza differenti benché
esistente tra i medesimi soggetti, è considerata uni-
taria solo se l’ultimo acquisto deriva da successione
a causa di morte (49).
Pertanto, anche alla luce della disciplina positiva,
lo scioglimento delle cc.dd. masse plurime può avvenire in vari modi, ma non mediante un’unica divisione: è possibile effettuare tante divisioni quante sono le comunioni, oppure stipulare altri atti
estintivi della comproprietà, quali gli atti di permuta, di vendita con compensazione e altri, oppure
ancora porre in essere il c.d. negozio pre-unificatorio.
Il negozio c.d. pre-unificatorio, di origine giurisprudenziale (50), consente di procedere a una preliminare riconduzione a unità delle masse, in modo da
consentire lo scioglimento di una comunione formata da più masse riunificate in una sola, cosicché
solo quest’ultima, e non le masse anteriori all’unificazione stessa, è l’oggetto dello scioglimento (51).
Detto strumento può assumere una certa utilità solo se si esclude l’applicazione del trattamento fiscale previsto per gli atti traslativi, pena la palese
compromissione del principio di economia degli atti giuridici. Si deve in ogni caso considerare che il
trattamento fiscale, più o meno invasivo a seconda
della considerazione dichiarativa o traslativa del
negozio, deve rispecchiare quanto effettuato dal
punto di vista civilistico, indipendentemente dalle
intenzionalità soggettive. Sebbene la giurisprudenza della Corte di cassazione non fornisca un’interpretazione unanime, si deve riconoscere che vi sono casi in cui l’atto costitutivo dell’unica comunione, pur comportando la creazione di una nuova
condizione di compartecipazione rispetto alle comunioni pregresse, può rientrare tra i negozi aventi
effetti non traslativi. Ciò capita ogniqualvolta i
comproprietari acquisiscono, in virtù del negozio
c.d. pre-unificatorio, una quota sulla nuova massa
di valore pari alla somma dei valori delle quote di
partecipazione nelle precedenti comproprietà. In
sempre unico. Tuttavia, nonostante tali impostazioni, la Corte
di cassazione nelle sue pronunce successive eliminò anche
quest’ultima eccezione alla realizzazione delle cc.dd. masse
plurime (A. Pischetola, La divisione delle masse plurime: problemi antichi e proiezioni recenti, in Il fisco, 2013, 33, 1, 5087 e
5088).
(46) Cass., SS.UU., 18 ottobre 1961, n. 2224.
(47) M. Magliulo - C. Sgobbo - S. Supino, op. cit., 1782,
esemplifica presentando il “caso in cui due condividenti, comproprietari di due differenti beni acquistati inter vivos in forza
di titoli distinti, procedano contestualmente allo scioglimento
di entrambe le comunioni. In detta circostanza, si avranno due
comunioni e due distinte masse da dividere, di talché, ove nella contestuale divisione dei due beni l’uno sia assegnato per
intero al primo condividente e l’altro sia assegnato al secondo,
si verificherà in relazione a ciascuno dei due beni un fenomeno
traslativo (e si avrà di conseguenza una più gravosa imposizio-
ne, con tassazione dei relativi conguagli), “come se” il primo
condividente avesse ceduto al secondo una parte del bene assegnato in divisione a quest’ultimo e “come se” avesse da
quest’ultimo acquistato una parte del bene assegnatogli.”.
(48) A. Busani, op. cit., 836, riconosce che “l’oscuro disposto dell’articolo 34, comma 4, TUR (...) rappresenta la trasposizione, in campo fiscale, della nota tesi civilistica in base alla
quale se la comunione discende da più titoli, lo scioglimento
della comunione è una divisione solo per una parte delle assegnazioni effettuate in sede divisionale, in quanto, la restante
parte di assegnazioni va considerata come una permuta e, come tale, deve essere assoggettata a tassazione.”.
(49) Non sono mancate critiche a tale assunto; si veda A.
Pischetola, op. cit., 5089.
(50) Cass., Sez. II, 15 maggio 1992, n. 5798.
(51) A. Pischetola, op. cit., 5090.
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tal caso il negozio che consente di creare la nuova
comunione ha sempre contenuto meramente dichiarativo, poiché si assiste a una specie di surrogazione dei diritti vantati da ciascun comproprietario
su ogni singola massa rispetto a un unico diritto
sull’unico complesso dei beni che si vorrà poi dividere. Il negozio c.d. pre-unificatorio deve invece
considerarsi traslativo qualora, al termine del conferimento nell’unica comunione, risultino accresciuti a favore di alcuni compartecipi i valori delle
quote così attribuite rispetto a quanto di loro spettanza nel momento precedente all’unificazione e
sussistente sulle varie masse. In tal caso appare evidente come vi sia un trasferimento di diritti in capo ad alcuni a discapito di altri, che consente di
qualificare l’istituto tra quelli aventi natura traslativa da sottoporre a imposizione in base alle relative norme (52).
Quanto alla valutazione dell’esistenza o meno delle
cc.dd. masse plurime, occorre poi precisare che, così come affermato dalla giurisprudenza, il subentro
di un soggetto per qualsiasi causa e per qualsiasi titolo nella titolarità delle quote comporta una mera
modifica soggettiva nella linea proprietaria e, pertanto, non genera la fattispecie in analisi (53), poiché la pluralità delle masse deve attenere al rap-
porto funzionale tra titolo e massa e non tra titolo
e soggetto (54). Le vicende traslative concernenti
le quote della comunione, sia che riguardino gli
stessi comproprietari sia che comportino l’ingresso
di soggetti terzi, non producono quindi la creazione
di una massa distinta, restando la comunione identificata dal titolo di acquisto iniziale (55). Il trasferimento delle quote può determinare il venir meno
della comproprietà ma non l’insorgere di una nuova massa né, pertanto, una nuova comunione (56).
Tale interpretazione è confermata sia dalla giurisprudenza (57) sia dall’Agenzia delle Entrate (58)
la quale, discostandosi da un proprio precedente
orientamento (59), ritiene che non costituiscano
autonomo titolo gli acquisti di quote ideali degli
stessi beni della massa divisionale. Si deve osservare che nel documento di prassi detta affermazione
è inserita in un periodo distinto rispetto a quello
che delinea la possibilità e le regole per considerare
unica la massa per ultimo acquisto di carattere ereditario, come previsto dall’art. 34, comma 4, TUR.
Da tale rilievo si può ricavare che il principio
espresso operi sia nel caso di acquisti effettuati in
relazione a un’unica massa originata da un unico
titolo, sia nel caso di riunificazione fittizia in caso
di ultima provenienza successoria (60). Si deve in-
(52) A. Pischetola, op. cit., 5092, specifica che “il contratto
di ‘costituzione’ di comunione (...) va riguardato, per qualificarne esattamente gli effetti giuridici, con riferimento ai valori
concreti dei beni ‘conferiti’ nell’unica comunione, e se da un
giudizio di comparazione emerge la corrispondenza dei valori
‘assegnati’ nell’unica comunione a ciascun compartecipe rispetto a quelli dei diritti già di sua spettanza sulle plurime pregresse comunioni, andrebbe esclusa ogni rilevanza effettuale
traslativa e riconosciuta la funzione meramente ‘ricompositiva’
e quindi dichiarativa ed enunciativa dell’unica comunione così
formatasi con correlativo più tenue trattamento tributario.”.
(53) A. Busani, op. cit., 837, esemplifica nel seguente modo: “se Tizio e Caio comprano da Sempronio due appartamenti; poi Tizio muore e lascia come eredi Mevio e Calpurnia; Mevio vende per intero la sua quota a Cesare e Gracco; Calpurnia
vende parte della sua quota a Metello e Gaia; quando Caio,
Cesare, Gracco, Calpurnia, Metello e Gaia dividono i due appartamenti, la loro comunione origina da un unico titolo (e cioè
l’acquisto da Sempronio) e questa unicità del titolo originario
non è compromessa dal fatto che siano nel frattempo intervenute cessioni delle quote di partecipazione alla comunione
(pure è indifferente che cessionari siano soggetti già titolari di
quote della comunione oppure soggetti che divengono comunisti proprio per effetto di queste cessioni).”.
(54) A. Pischetola, op. cit., 5093.
(55) Il principio in analisi è ben esplicato dalla sentenza di
merito della Commissione tributaria provinciale di Pesaro, Sez.
I, n. 82 del 28 maggio 2008, la quale chiarisce il concetto affermando che “una massa originariamente unica non può dar vita a masse plurime per il fatto che ad un comunista se ne sia
sostituito o aggiunto un altro per un qualunque atto o fatto
giuridico che non attribuisca ai comunisti una nuova massa; i
successori o cessionari delle varie quote subentrano nella posizione del dante causa, sostituendosi a lui nella titolarità dell’unico titolo di comunione ed in ragione della quota acquista-
ta in quanto, a seguito di meri trasferimenti di quota, si considera come se alla comunione partecipi l’originario comunista”.
(56) G. Mancinelli, op. cit., 296.
(57) Cass., Sez. V, 6 novembre 2014, n. 27075, analizzata
da A. Lomonaco, Per la Cassazione le variazioni soggettive dei
comunisti non determinano masse plurime, CNN del 5 febbraio
2015, 1 ss., che afferma che “si pronuncia - a quanto consta
per la prima volta - sull’irrilevanza delle variazioni soggettive
dei comunisti ai fini dell’individuazione delle masse plurime.
(...) La sentenza in esame risulta conforme all’orientamento,
da tempo espresso in dottrina, secondo il quale non determinano masse plurime le mere variazioni soggettive dei comunisti.”. La giurisprudenza quindi, in materia di divisione ereditaria
ma che si ritiene operativo in qualsiasi ipotesi divisionale, ha
espresso al riguardo un principio di diritto valido sia per le imposte di registro sia per quelle ipotecarie e catastali. Essa ha
previsto che il quarto comma dell’articolo 34 del TUR suppone
doversi tener conto, ai fini della tassazione della divisione tra
coeredi, del rapporto genetico tra il titolo e la massa dividenda. Le cessione di una quota da un coerede a un altro, quindi,
non determinando acquisizione di nuovi beni alla massa dividenda, va intesa come semplice variazione di tipo soggettivo,
e, del momento che risulta inalterato l’oggetto della comunione, questo comporta che la comunione sia considerata fiscalmente unica e di origine successoria.
(58) Circ. n. 18/E citata.
(59) Risoluzione Dir. Tt. Aa. 5 Giugno 1990, n. 310823.
(60) A. Pischetola, La tassazione degli atti notarili: luci ed
ombre della circolare dell’agenzia delle entrate 29 maggio 2013,
n. 18/E, in questa Rivista, 2013, 5, 582, precisa che la rilevanza
del metodo di acquisto mortis causa ai fini dell’esclusione delle
masse plurime emerge solo se la tassazione più gravosa non
deve comunque escludersi a ragione delle mere modifiche
soggettive conseguenti ai subentri nell’unica linea proprietaria.
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fine precisare che un eventuale trasferimento delle
quote successivamente alla riunificazione in virtù
dell’acquisto successorio deve riguardare tutti i beni compresi nella massa da dividere, perché le variazioni soggettive di una parte soltanto della comunione impedirebbero l’unificazione del patrimonio e comporterebbero l’applicazione del regime
tributario relativo alle cc.dd. masse plurime.
La formulazione dell’art. 34, comma 4, TUR, relativa alla possibilità di considerare come una sola
comunione quella derivante da più titoli purché
l’ultimo derivante da successione a causa di morte,
si discosta da quella del precedente art. 32 del
d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634, la quale, con una
visione restrittiva della fattispecie in oggetto (61),
prevedeva che la riunificazione potesse operare solo se tutti i titoli di acquisto, e non solamente l’ultimo, avessero il carattere della successione mortis
causa (62). La norma nella sua formulazione attuale
è dettata perché in questi casi si prescinde dalla
volontà dei contraenti, escludendo così in principio eventuali fenomeni elusivi (63), e perché le comunioni di carattere familiare sono da sempre considerate un unico patrimonio anche se originate da
più titoli costitutivi (64).
L’applicazione della tassazione meno gravosa concessa dall’art. 34, comma 4, TUR per le provenienze mortis causa potrebbe essere messa in dubbio
nel caso in cui l’acquisto ereditario non riguardi
una quota di tutte le masse, ma una quota di una
sola delle masse da dividere. Il caso prospettato è
quello per cui Tizio e Caio comprano da Sempronio due appartamenti e poi comprano da Ottaviano altri due appartamenti: in tal caso operano senza dubbio le cc.dd. masse plurime. Se, invece, Tizio
e Caio ereditano da Mevio un altro appartamento
e poi procedono alla divisione, ci si potrebbe chie-
dere se l’ultimo acquisto successorio relativo al solo
quinto appartamento possa essere rilevante per gli
effetti dell’art. 34, comma 4, TUR. Si è a tal fine
affermato che, dal tenore letterale della legge, non
sembra doversi distinguere tra successione ereditaria che comprende le quote di tutte le masse rispetto a quella che riguarda le quote di solo una tra le
tante masse (65). In tale ultimo senso, con la conseguente applicazione del regime fiscale di favore,
depone l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate (66) la quale afferma che deve considerarsi come
una sola comunione quella formatasi in base a titoli diversi se l’ultimo acquisto è avvenuto per successione mortis causa e porta, quale esempio, il caso
in cui Tizio, Caio e Sempronio, già proprietari di
alcuni fabbricati acquistati con diversi titoli, ereditano in comunione un altro fabbricato.
L’ultimo acquisto di quote che, se derivante da
successione ereditaria, evita il fenomeno delle
cc.dd. masse plurime deve quindi considerarsi riferito all’acquisto della contitolarità di beni diversi
da quelli di cui gli stessi erano contitolari in forza
di altri titoli precedenti. La stessa Agenzia delle
Entrate infatti esprime l’applicazione di detta regola al fenomeno in esame dopo aver precisato, nel
periodo precedente, l’esclusione delle cc.dd. masse
plurime in caso di mere modifiche soggettive all’interno della stessa linea proprietaria. Se l’ultimo acquisto di quote si riferisse alle sole modifiche soggettive che, in forza di una successione mortis causa, possono manifestarsi in relazione a beni già in
contitolarità degli stessi comproprietari, non si
spiegherebbe la necessità di distinguere i due concetti mediante la loro inserzione in due periodi diversi (67).
A ben vedere quindi occorre interpretare al meglio
l’espressione “ultimo acquisto di quote” di cui al-
(61) Pischetola, La divisione delle masse plurime, cit., 5093
e 5094.
(62) A proposito del nuovo art. 34 TUR, la Circolare Dir. TT.
AA. n. 34 (prot. n. 220391) del 10 giugno 1986, dopo aver affermato che “tale disposizione (...) risolve l’annosa questione
della divisione delle comunioni che trovano origine in titoli diversi”, impone, per l’applicazione del regime di favore, due limitazioni: la successione a causa di morte deve riguardare tutti i condividenti e gli acquisti precedenti di qualsiasi tipologia
devono sempre riferirsi a tutti i condividenti. Il documento di
prassi giustifica poi questa impostazione affermando che “lo
spirito della legge, quindi, tende a favorire la definitiva attribuzione di beni a soggetti, di regola legati fra loro da vincoli di
parentela, che hanno proprietà comuni, seppure derivanti da
titoli diversi”.
(63) La sent. n. 5888 della Commissione tributaria centrale
del giorno 18 settembre 1990 chiarisce che “in base alle disposizioni contenute nel citato art. 32, le comunioni, derivanti
da più atti di acquisto inter vivos e costituenti più masse, non
possono considerarsi integrare una sola comunione, come le
comunioni derivanti da più masse ereditarie. (In tal senso è anche l’art. 34 del D.P.R. n. 131/1986, il quale ha soltanto precisato, nel comma 4, che le comunioni tra i medesimi soggetti
che trovano origine in più titoli, sono considerate come una
sola comunione se l’ultimo acquisto di quote deriva da successione a causa di morte). E ciò in quanto gli atti che danno origine alle comunioni inter vivos sono atti volontari, negoziali, di
autonomia privata, donde l’implicazione della volontaria costituzione di più masse, volutamente operanti, mentre i fenomeni
che originano le comunioni ereditarie sono dovuti ad eventa
mortis, che prescindono dall’elemento volontà e danno luogo
a masse, aventi, il più delle volte, medesima provenienza, come nel caso di eredità di genitori o di congiunti.”.
(64) M. Magliulo - C. Sgobbo, S. Supino, op. cit., 1782.
(65) A. Busani, L’acquisto ereditario evita la tassazione delle
masse plurime in sede di divisione, in Corr. trib., 2013, 26,
2088.
(66) Circ. n. 18/E citata.
(67) A. Pischetola, op. cit., 583.
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l’art. 34, comma 4, TUR poiché se si ritengono irrilevanti le variazioni soggettive come sopra dimostrato, per non essere ridondante essa deve considerarsi riferita proprio al titolo costitutivo di una
nuova massa comune nei confronti di tutti i comproprietari. Tuttavia, in generale, l’effetto unificante è riconosciuto anche qualora la successione
a causa di morte non aggiunga una nuova massa
ma determini solo un trasferimento di quote nei
confronti di tutti i comunisti (68), fattispecie che
escluderebbe le cc.dd. masse plurime anche per il
solo fatto di essere una mera modifica soggettiva.
Da quanto osservato pare che solo apparentemente
il fenomeno delle cc.dd. masse plurime si scontri
con la teoria dichiarativa della divisione comportando la sottoposizione alle imposte sui trasferimenti di atti che si vorrebbero di carattere divisorio e, come tali, tassati con l’aliquota propria degli
atti aventi natura dichiarativa. Tuttavia, se ci si
concentra sull’effettivo significato della teoria dichiarativa, sembra che il fenomeno in oggetto sia
destinato a confermare piuttosto che a contrastare
le ispirazioni che ne stanno alla base. Dal momento che il condividente è considerato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la quota assegnatagli, considerandolo come se non avesse
mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari, e
partendo dall’assunto che la divisione rende effettiva e concreta una ripartizione già esistente, l’escludere che più masse, molteplici perché derivanti da
più titoli, possano condurre ad un’unica divisione
pare essere la conferma più forte della predilezione,
anche in campo tributario, della teoria dichiarativa
della divisione. Il fatto poi che, testualmente, l’art.
34, comma 4, TUR preveda l’esclusione delle
cc.dd. masse plurime nei casi di riunione fittizia
per ultima provenienza successoria dimostra solamente che ragioni di opportunità hanno condotto
il legislatore a prevedere una minore imposizione
nei casi da lui prescelti.
Collazione per imputazione, calcolo della
base imponibile e delle quote nella
divisione
(68) A. Lomonaco, Quesito tributario n. 568-2013/T, Applicabilità dell’art. 34 ult. co. d.p.r. n. 131/1986 in caso di acquisto
di quote per successione mortis causa, CNN del 22 luglio 2014,
3, conclude: “in altri termini - seguendo questo orientamento
dottrinale - che appare in linea con quanto affermato dall’amministrazione finanziaria nella circ. 37 [del 10 giugno 1986],
pur non trovando un esplicito riscontro in precedenti giurisprudenziali o di prassi - andrebbe riconosciuto l’effetto unificante
non solo quando per effetto della successione mortis causa si
aggiunga un’ultima massa, ma anche quando per effetto della
successione mortis causa ad uno dei comproprietari succedano tutti i condividenti.”.
(69) La Risoluzione Dir. Tasse n. 250249 del 12 maggio
1987, in risposta a “un quesito formulato dall’Ispettorato in verifica presso l’Ufficio del registro di C., in merito al criterio impositivo da adottare nell’applicazione dell’imposta di registro
sulle divisioni di masse ereditarie, convenute tra coeredi destinatari di precedenti donazioni effettuate dal de cuius”, ha affermato che “in base alla normativa vigente (art. 34 del d.p.r. n.
131/1986), nelle comunioni ereditarie la massa comune da dividere va determinata secondo gli stessi criteri seguiti per l’individuazione del valore imponibile dell’asse ereditario ai fini
dell’imposta sulle successioni, astraendo cioè dalla collazione
disciplinata dal codice civile. (...) Le quote di diritto verranno
calcolate solo sulla base del valore dell’asse ereditario netto,
talché la rilevante sproporzione con le quote di fatto assegnate
darà luogo, ai sensi dell’art. 34, ad imposta proporzionale di
trasferimento.”.
(70) Cass. 10 aprile 2006, n. 8335.
(71) Sul tema si veda, in generale, S. Ghinassi, Imposte di
registro e di successione: profili soggettivi ed implicazioni costituzionali, Milano, 1996.
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Salvo dispensa effettuata dal defunto, che ha effetto solo nei limiti della quota disponibile, ai sensi
dell’art. 737 c.c. i discendenti e il coniuge che concorrono alla successione devono conferire agli altri
eredi ciò che hanno ricevuto per donazione da parte del defunto sia direttamente sia indirettamente.
La collazione dei beni immobili si può fare, a scelta
del conferente, in natura, rendendo cioè il bene
stesso, oppure per imputazione, considerando il valore dell’immobile al tempo dell’apertura della successione. Nel caso invece di beni mobili e di immobili alienati o ipotecati la collazione si può fare
solamente per imputazione, secondo le regole dettate dal Codice.
Tale fenomeno assume un ruolo particolare nello
studio della divisione perché quando la collazione
avviene per imputazione non si verifica un vero e
proprio aumento della massa ed è necessario chiarire le metodologie di calcolo per valutare le quote di spettanza dei vari coeredi. Nel silenzio della
legge, la prassi (69) e la giurisprudenza (70) affermano che il rinvio alla disciplina delle imposte di
successione per il calcolo dell’asse ereditario, di
cui all’art. 34, comma primo, ultimo periodo,
TUR, comporta l’esclusione dalla massa del valore
delle donazioni oggetto di collazione. Le donazioni infatti vengono in rilievo solo per stabilire se si
verifica il superamento delle franchigie e per la
determinazione delle aliquote ma non sono oggetto dell’imposta di successione, pertanto non riguardano l’individuazione della massa nei confronti della quale parametrare le quote in sede di
divisione (71).
Quanto affermato comporta che l’istituto della collazione, immaginato al fine di riequilibrare le posizioni dei familiari più stretti, finisce per avere effet-
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ti distorsivi in campo tributario (72). Infatti, facendo l’esempio di una divisione tra due coeredi aventi diritto alla metà del patrimonio ereditario ciascuno e per la realizzazione della quale uno dei due
effettui il conferimento per imputazione, ignorare
la collazione ai fini tributari comporta che l’assegno del conferente risulta minore mentre l’assegno
dell’altro condividente risulta maggiore; questo implica l’applicazione del primo periodo del comma
primo dell’art. 34 TUR e, in caso di scostamento
superiore al 5%, l’imposizione secondo le più gravose regole della vendita (73).
La dottrina (74) ha criticato tale impostazione affermando che l’equiparazione di collazione per imputazione e conguaglio non solo è erronea, ma è
anche incongrua nell’ambito dell’imposta di registro, dove devono distinguersi gli effetti legali tendenzialmente non rilevanti per l’applicazione del
tributo, come quelli attinenti alla collazione, dalle
vicende giuridiche conseguenti alla manifestazione
di autonomia negoziale che possono giustificare
una maggiore imposizione, come la formazione delle porzioni e la conseguente determinazione dei
conguagli. La collazione ha funzione meramente
restitutoria e, pertanto, si deve escludere qualsiasi
possibilità di ulteriori imposizioni in relazione ad
essa mediante l’applicazione dell’aliquota propria
dei trasferimenti in ordine alla formazione delle
porzioni (75). La dottrina ha quindi affermato che
la quota in astratto non comprende solamente una
frazione ideale di beni e diritti comuni, ma anche
altre fattispecie facenti capo a ciascun condividente, quali appunto anche quelle relative alla collazione. La massa rispetto alla quale valutare in concreto la congruità dell’assegnazione, sulla quale far
operare le regole proprie della teoria dichiarativa
come sopra analizzate, deve pertanto essere quella
effettiva della divisione e la quota spettante al condividente deve essere determinata in base ai criteri
civilistici, evitando cioè la divergenza derivante
dall’applicazione della legge fiscale (76).
Si può quindi ritenere che la determinazione del
valore della massa ai fini dell’imposta di registro
possa essere valutata secondo le regole del legislatore fiscale, quindi escludendo, ai soli fini della determinazione del valore imponibile, beni il cui acquisto alla comunione non risulta nei modi previsti
dall’art. 34, comma 1, TUR. Invece, con riferimento alle altre disposizioni del medesimo art. 34
TUR, dovrebbe darsi un’interpretazione che tenga
conto dei principi generali relativi all’applicazione
dell’imposta di registro e, quindi, considerare debitamente gli assetti sostanziali sottesi all’atto, senza
cioè che la divergenza tra i criteri fiscali e quelli civili possa dar luogo all’imponibilità di pretesi conguagli (77).
L’applicazione della teoria dichiarativa a divisioni
con collazione per imputazione, proprio perché dovrebbe valorizzare il momento della formazione
della massa, comprendente in tal caso anche il valore dei beni donati, dovrebbe portare a escludere
la sovrapposizione del concetto di collazione con
(72) G. Petteruti, op. cit., 14; su questo argomento si veda
anche, in generale: T. Tassani, La “nuova” imposizione fiscale
sui vincoli di destinazione”, in Giur. comm., 2015, 6, 1026; S.
Cannizzaro - T. Tassani, La tassazione degli atti di destinazione e
dei trust nelle imposte indirette, CNN Studio tributario n. 582010/T, in Studi e materiali, 2011; T. Tassani, Profili fiscali del
passaggio generazionale d’impresa, CNN Studio tributario n.
36-2011/T; T. Tassani, L’imposizione indiretta sui vincoli di destinazione: nuovi orientamenti e prospettive interpretative, CNN
Studio tributario n. 132-2015/T.
(73) S. Cannizzaro, op. cit., 594, spiega che tale impostazione comporta che “la differenza tra la quota di diritto, determinata non tenendo conto del donatum e la quota di fatto, integrata con i beni collazionati dal donatario condividente, dovesse considerarsi conguaglio”; G. Petteruti, Quesito n. 2362014/T - Tassazione di divisione preceduta da collazione e da
prelevamento attuato mediante compensazione volontaria, CNN
del 9 maggio 2014, 2, dopo aver evidenziato lo scostamento
tra regole civilistiche e regole tributarie, tanto più accentuato
quanto più rilevante sia il donatum, esemplifica mediante il caso di “una successione con due eredi, Mevio e Filano, nella
quale il relictum sia 100 ed anche il donatum, a favore di uno
solo dei coeredi (Filano), sia 100. Nel procedimento divisionale, una volta che il coerede donatario Filano imputi alla sua
porzione il donatum e lo trattenga come apporzionamento, il
relictum spetta interamente all’altro coerede Mevio. Ma, raffrontando la distribuzione al solo relictum (in quanto massa il
cui valore è l’unico che rileva per l’imposta di successione), si
verrebbe a considerare un fittizio conguaglio a favore del coerede donatario Filano e la divisione verrebbe tassata come
vendita per la metà del valore del relictum e cioè per 50.”.
(74) A. Fedele, La collazione e l’imposta di registro sulla divisione, in Rass. Trib., 1987, 3, 627, lamenta che “la risoluzione
(...) giunge a una conclusione talmente assurda da evidenziare
immediatamente un totale fraintendimento circa la natura della collazione e degli effetti in cui essa si realizza.”.
(75) A. Fedele, op. cit., 627, precisa che “se la collazione
avviene per imputazione (...), gli altri condividenti effettuano
“prelevamenti” (ex art. 750 del codice civile) che non possono
determinare assegnazioni di beni per un valore complessivo
eccedente quello spettante alla massa comune (art. 34, primo
comma, d.p.r. n. 131/1986), in quanto costituenti, appunto, il
mezzo tecnico per realizzare la corrispondenza fra le porzioni
assegnate ed i diritti a ciascuno spettanti; se, invece, la collazione avviene in natura, non potrà evidentemente, darsi alcuna
assegnazione eccedente i diritti dell’assegnatario, dovendosi
valutare la congruità delle porzioni rispetto alla quota con riferimento alla massa formata anche dal bene conferito.”.
(76) A. Fedele, op. cit., 629, afferma che grande cautela
“dovrà dunque essere utilizzata nel valutare qualsiasi altra tesi
che dalla mera rilevazione di una ‘divergenza’ fra i criteri fiscali
e quelli civili per l’identificazione della massa dividenda intendesse dedurre, senza alcuna dimostrazione della ‘razionalità fiscale’ della soluzione, l’imponibilità di pretesi ‘conguagli’”.
(77) S. Cannizaro, op. cit., 594.
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quello di conguaglio. La determinazione della massa dovrà calcolarsi sulla base di quanto espressamente previsto dall’art. 43, comma 1, secondo periodo, TUT, mentre la valutazione della quota di
diritto e di quella di fatto dovrà effettuarsi sulla base dei criteri civilistici, tenendo così conto di
quanto conferito per imputazione (78) e senza confonderlo con la dazione di un conguaglio.
Conclusioni
Dall’analisi svolta si può ricavare che le previsioni
tributarie in merito alla divisione sembrano confermare, anche quando appare il contrario, la teoria
dichiarativa in merito alla sua natura. La disciplina
ordinaria, che senza alcun dubbio sottopone all’imposizione propria degli atti aventi natura dichiarativa l’istituto in oggetto, ne è la prova più evidente. Tuttavia, anche quegli istituti, quali il trattamento fiscale dei conguagli rilevanti e il fenomeno
delle cc.dd. masse plurime, che sembrano più di
tutto distaccarsene, in realtà rientrano in una logi-
ca propria della fattispecie e non sono dettati
esclusivamente per fini fiscali. Dubbi possono invece sorgere per quanto riguarda l’accollo dei debiti
ereditari e la collazione per imputazione, dal momento che si verificano incongruenze all’interno
della stessa logica fiscale, prima ancora che nei
confronti della disciplina di diritto comune.
L’indagine in merito alle relazioni tra teorie di carattere civilistico e l’ambito tributario ha il merito
di portare alle estreme conseguenze le scelte compiute dal legislatore, consentendo all’interprete di
svolgere talune valutazioni anche in assenza del dato positivo. È infatti possibile considerare applicabili alle divisioni con conguaglio rilevante certi
istituti, quali il calcolo della base imponibile secondo il metodo del c.d. prezzo-valore e l’aliquota
beneficiata prevista per la c.d. prima casa. Infine
l’analisi in oggetto consente di valutare in senso
critico taluni assunti legislativi o interpretativi che
appaiono incoerenti con le premesse civilistiche,
prima ancora che tributarie.
(78) A. Busani, L’imposta di registro, Milano, 2009, 845.
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Sintesi
Osservatorio fiscale
a cura di Paolo Puri e Thomas Tassani
IMPOSTA DI REGISTRO
AGEVOLAZIONE PRIMA CASA
Cassazione Civile, Sez. V, 18 maggio 2016, n. 10192
Imposta di registro - Art. 1, Nota II Bis, Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131/86 - Trasferimento di immobile di lusso - Computo della superficie utile - Prova da
parte dell’Ufficio - Limiti
È illegittimo l’avviso di liquidazione con cui l’Ufficio disconosce il beneficio prima casa computando nella superficie utile anche la cantina dell’abitazione erroneamente accatastata con dichiarazione Doc-Fa del dante
causa.
Cassazione Civile, Sez. V, 27 aprile 2016, n. 8355
Il trasferimento del ramo di azienda comprendente un
immobile acquistato da una società fruendo dei benefici
previsti dall’art. 1, comma 6 della Tariffa Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131/1986, ratione temporis applicabile, non può essere assimilato, ai sensi dell’art. 20 del
medesimo d.P.R. n. 131/1986, alla rivendita dell’immobile nel triennio richiesta dalla legge per fruire del beneficio.
BASE IMPONIBILE
Cassazione Civile, Sez. V, 18 maggio 2016, n. 10218,
ord.
Imposta di registro - Determinazione della base imponibile - Art. 52 del D.P.R. n. 131/86 - Cessione di azienda Valore complessivo dei beni che compongono l’azienda Debiti - Inerenza - Limiti
Imposta di registro - Art. 1, Nota II Bis, Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131/86 - Trasferimento della residenza nel termine di 18 mesi - Svolgimento della attività
lavorativa nel luogo in cui è sito l’immobile - Rilevanza Non sussiste
È legittimo l’avviso di liquidazione con il quale l’Ufficio,
nella determinazione del valore complessivo di un’azienda ceduta, disconosce in quanto non inerenti le
passività rappresentate da un finanziamento infruttifero
erogato dalla controllante alla cedente il giorno prima
della cessione.
È legittimo l’avviso di liquidazione con cui l’Ufficio disconosce il beneficio prima casa in caso di mancato trasferimento nei 18 mesi dal rogito della residenza nel comune in cui è situato l’immobile, a nulla rilevando che
in tale luogo le parti svolgono la propria attività lavorativa.
Cassazione Civile, Sez. V, 18 maggio 2016, n. 10221,
ord.
Cassazione Civile, Sez. V, 27 aprile 2016, n. 8346
La motivazione di un avviso di rettifica e liquidazione
ha la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ufficio nella eventuale fase contenziosa consentendo al contribuente di esercitare il suo diritto di
difesa. Di conseguenza è sufficiente che essa enunci i
criteri astratti adottati nella determinazione del maggior valore attribuito ai beni senza ulteriori elementi.
Imposta di registro - Art. 1, Nota II Bis, Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131/86 - Trasferimento di più immobili costituenti un’unica unità abitativa - Risultanze catastali - Irrilevanza ai fini del godimento del beneficio
Beneficia dell’agevolazione prima casa il contribuente
che acquisiti due immobili accatastati su due particelle
catastali adiacenti a condizione che nell’atto la parte dichiari di adibirle a unica abitazione e che l’alloggio così
realizzato non rientri nella tipologia di lusso come previsto dall’art. 5 del D.M. 2 agosto 1969.
ABUSO DEL DIRITTO
Cassazione Civile, Sez. V, 11 maggio 2016, n. 9582
Imposta di registro - Art. 1, comma VI, Tariffa Parte Prima allegata al D.P.R. n. 131/86 - Acquisiti di fabbricati
effettuati in regime di esenzione IVA - Art. 10, comma 1,
n. 8 bis, D.P.R. n. 633/72 - Esenzione IVA - Rivendita del
bene entro il triennio - Trasferimento del ramo di azienda
- Assimilabilità alla cessione - Abuso del diritto - Limiti
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Imposta di registro - Determinazione della base imponibile - Art. 52 del D.P.R. n. 131/86 - Rettifica di valore degli
immobili - Motivazione - Art. 7 L. n. 212/200 - Limiti
APPLICAZIONE DELL’IMPOSTA
Cassazione Civile, Sez. V, 6 giugno 2016, n. 11600, ord.
Imposta di registro - Applicazione dell’imposta - Atti relativi ad operazioni soggette ad Imposta sul Valore Aggiunto - Art. 40 del D.P.R. n. 131/86 - Trasferimento di terreno - Qualifica del terreno come edificabile - Applicazione
dell’IVA - Requisiti
La cessione effettuata da un imprenditore agricolo di
un terreno divenuto edificabile a seguito della modifica
del piano regolatore deve considerarsi fuori del campo
di applicazione dell’IVA e pertanto è soggetta all’imposta di registro in misura proporzionale.
Cassazione Civile, Sez. V, 16 aprile 2016, n. 7241
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Sintesi
Imposta di registro - Applicazione dell’imposta - Atti relativi ad operazioni soggette ad Imposta sul Valore Aggiunto - Art. 40 del D.P.R. n. 131/86 - Trasferimento di terreno - Qualifica del terreno come edificabile - Applicazione
dell’IVA - Edificabilità di fatto - Rileva
Sconta l’IVA e non l’imposta di registro il trasferimento
di un terreno qualificato agricolo secondo gli strumenti
urbanistici vigenti all’epoca dell’atto ma di fatto edificabile, in considerazione di una serie di indici di edificabilità quali la vicinanza al centro abitato lo sviluppo edilizio delle aree adiacenti la presenza di opere di urbanizzazione primaria.
IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE
ACCERTAMENTO
Cassazione Civile, Sez. V, 6 giugno 2016, n. 11543
IRPEF - Redditi diversi - Art. 67, comma 1, lett. b del
D.P.R. n. 917/86 - Accertamento di valore basato sul valore definito ai fini dell’imposta di registro - Art. 5, comma
30, D.Lgs. n. 147/2015 - Applicabilità - Limiti
La disposizione di cui all’art. 5, comma 30 del Decreto
Internazionalizzazione D.Lgs. n. 147/2015 a norma del
quale l’esistenza di un maggior corrispettivo ai sensi
dell’art. 67 del d.P.R. n. 917/1986 non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato o accertato ai fini
dell’imposta di registro in quanto norma di interpretazione autentica si applica retroattivamente anche agli
avvisi di accertamento notificati prima della sua entrata
in vigore.
RISCOSSIONE
Cassazione Civile, Sez. V, 25 maggio 2016, n. 10794
IRPEF - Riscossione - Art. 77 D.P.R. n. 602/73 - Iscrizione di ipoteca - Beni costituiti in fondo patrimoniale - Art.
170 del c.c. - Limiti
venzione di lottizzazione stipulata dal Comune, rappresenta una modalità alternativa all’assolvimento dell’obbligo di pagamento degli oneri di urbanizzazione e non
è, pertanto, un’operazione imponibile ai fini IVA.
Corte di Giustizia delle Comunità Europee causa 28
aprile 2016, C-128/14
IVA - Direttiva 77/388/CEE del Consiglio Europeo - Armonizzazione delle legislazioni degli Sati membri relative
all’IVA - Sistema comune dell’Imposta sul Valore aggiunto - Enfiteusi - Canoni di enfiteusi - Costruzione di un fabbricato e successiva locazione - Determinazione della base imponibile comune ai fini IVA - Limiti
La concessione in locazione di un fabbricato effettuata
da una società di costruzione che ha acquistato un diritto di enfiteusi su di un terreno va qualificata come cessione rilevante ai fini IVA e nella determinazione della
sua base imponibile vanno computati oltre i canoni di
enfiteusi corrisposti anche i costi di costruzione dell’opera sostenuti.
GIURISPRUDENZA DI MERITO
IMPOSTA DI REGISTRO
Commissione Tributaria Regionale di Firenze, Sez. IX,
28 aprile 2016, n. 777/9/16
Imposta di registro - Agevolazione prima casa - Art. 1,
nota II Bis, comma 3 della Tariffa parte prima allagata al
D.P.R. n. 131/86 - Trasferimento entro 18 mesi dal rogito
- Acquisto del bene in comunione legale dei beni con il
coniuge - Trasferimento effettuato dalla moglie del contribuente - Decadenza - Non sussiste
Non decade dall’agevolazione prima casa il contribuente che non abbia trasferito nel termine dei 18 mesi dal
rogito la residenza nel comune in cui è sito l’immobile
nel caso in cui la moglie con cui aveva acquistato il bene in comunione legale abbia rispettato detto termine.
È legittima l’iscrizione di ipoteca effettuata ai sensi dell’art. 77 del d.P.R. n. 602/1973 su beni costituiti in fondo
patrimoniale. Tale misura cautelare non è atto dell’esecuzione e dunque per essa non valgono i limiti di impignorabilità sanciti dall’art. 170 c.c.
Commissione Tributaria Regionale di Milano, Sez. Brescia, Sez. LXV, 12 novembre 2015, n. 4904/65/15
IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO
È illegittimo l’avviso di liquidazione con cui l’Ufficio rettifica il valore di beni compravenduti sulla base del solo
scostamento rispetto ai dati forniti per la medesima zona dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare. Questi infatti hanno valore di presunzione e possono fondare la
rettifica solo laddove supportati da altri elementi.
OPERAZIONI IMPONIBILI
Cassazione Civile, Sez. V, 31 maggio 2016, n. 11344
IVA - Cessione a titolo gratuito di aree edificabili a favore
del Comune - Imponibilità ai fini Iva - Art. 51 della Legge
n. 342/2000 - Non sussiste
La cessione da parte di una società di costruzione di
aree per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, conclusa in attuazione di una con-
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Imposta di registro - Rettifica di valore dei beni - Art. 52
del D.P.R. n. 131/86 - Valori OMI - Presunzioni semplici Sussiste
Commissione Tributaria Regionale di Torino, Sez. XXII,
3 maggio 2016, n. 571/22/16
Imposta di Registro - Piccola Proprietà contadina - Certificato attestante il possesso dei requisiti - Omessa presentazione del certificato - Dichiarazione sostitutiva resa dal
professionista - Beneficio - Sussiste
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Giurisprudenza
Sintesi
Non decade dall’agevolazione della Piccola Proprietà
Contadina il contribuente che in luogo del certificato attestante il rispetto degli obblighi di legge produca in
giudizio una dichiarazione sostitutiva resa dal professionista avente il medesimo contenuto.
IMPOSTA SUL REDDITO DELLE PERSONE FISICHE E
GIURIDICHE
Commissione Tributaria di II grado di Bolzano, Sez. I,
25 marzo 2016, n. 25/1/16
IRPEF - Art. 67, comma 1, lett. b del D.P.R. n. 917/86 Cessione di fabbricato con annesso terreno pertinenziale Successiva demolizione e ricostruzione - Plusvalenza da
cessione di terreno edificabile - Abusi del diritto - Non
sussiste
dunque non sconta l’imposta di successione e donazione in misura proporzionale ma in misura fissa.
Commissione Tributaria Regionale di Milano, Sez. XLIX,
1° aprile 2016, n. 1853/49/16
Imposta di successione - Trust - Presupposti per l’applicazione dell’imposta ipotecaria e catastale - Trasferimento
della proprietà - Non sussiste
L’atto di conferimento di beni in Trust comportando un
vincolo di destinazione e non un trasferimento della
proprietà è soggetto solo alle imposte di successione e
donazione e non alle imposte ipotecarie e catastali.
PRASSI AMMINISTRATIVA
È illegittimo l’avviso di accertamento con cui l’Ufficio riqualifica la cessione di un fabbricato al trasferimento di
un terreno edificabile recuperando così la plusvalenza
tassabile sulla base del solo elemento che a seguito dell’acquisito le parti hanno demolito il manufatto per costruirne uno nuovo.
Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, Sez. V,
17 maggio 2016, n. 1279/03/16
IRPEF - Art. 67, comma 1, lett. b del D.P.R. n. 917/86 Plusvalenza da cessione di azienda - Mancato perfezionamento della cessione - Plusvalenza - Non sussiste
La risoluzione di un contratto di cessione di azienda per
mancato pagamento del corrispettivo non dà luogo ad
alcuna plusvalenza tassabile a norma dell’art. 67, lett.
b), d.P.R. n. 917/1986 mancando nel caso il requisito
dell’onerosità del trasferimento.
Commissione Tributaria Provinciale di Ancona, Sez. III,
16 maggio 2016, n. 1279/03/16
IRPEF - Verifica basata su presunzioni semplici - Omessa
fatturazione dei compensi - Mancata percezione di onorari - Rapporti di amicizia - Legittimità dell’accertamento
È legittimo l’avviso di accertamento notificato al Notaio
con il quale a seguito di una verifica effettuata presso
lo studio del professionista si contesta l’omessa fatturazione dei compensi. A tal fine a nulla rileva affermare
che la mancata percezione di onorari trova giustificazione nei rapporti di amicizia creati nel tempo tra il Notaio
e i suoi clienti.
IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI
Commissione Tributaria Regionale di Milano, Sez.
XXVII, 13 maggio 2016, n. 2845/27/16
Imposta di successione - Trust - Presupposti per l’applicazione dell’imposta - Arricchimento del beneficiario - Non
sussiste
L’atto di costituzione di un Trust non comporta alcun
trasferimento di ricchezza in capo al beneficiario il quale è titolare solo di una mera aspettativa giuridica e
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Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa Circ. 1° giugno 2016, n. 26/E
Agevolazioni fiscali - Assegnazione di beni ai soci - Trasformazione in società semplice ed estromissione dei beni
dell’imprenditore individuale - Chiarimenti applicativi
L’art. 1, commi da 115 a 120, L. n. 208/2015, ha introdotto un regime fiscale agevolato di carattere temporaneo
per consentire l’assegnazione e la cessione agevolata di
taluni beni immobili e beni mobili iscritti in pubblici registri, nonché per la trasformazione in società semplice
delle società che hanno per oggetto esclusivo o principale la gestione di tali beni.
La circolare contiene indicazioni interpretative ed applicative della disciplina agevolativa.
Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa Circ. 15 giugno 2016, n. 28/E
Agevolazioni fiscali - Premi di risultato e welfare aziendale
- Chiarimenti interpretativi
L’art. 1, commi 182-190, L. n. 208/2015 ha previsto misure fiscali agevolative per le retribuzioni premiali, anche in collegamento con la partecipazione dei dipendenti all’organizzazione del lavoro, nonché per lo sviluppo del welfare aziendale, che si sostanzia nell’attribuzione di opere, servizi nonché in alcuni casi somme
sostitutive (di seguito anche benefit), connotati da particolari rilevanza sociale.
La circolare contiene indicazioni interpretative ed applicative della disciplina agevolativa.
Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Catasto Circ. 13 giugno 2016, n. 27/E
Catasto - Questioni interpretative - Chiarimenti
La circolare contiene le risposte fornite alla stampa specializzata relativamente a tematiche attinenti il catasto
(tra cui quelle dei fabbricati collabenti, in corso di costruzione e di definizione, della telefonia mobile ed impianti eolici, degli imbullonati, degli impianti di risalita),
i contratti di locazione, le compravendite, il leasing abitativo, ristrutturazioni e bonus energetico.
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Sintesi
Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa Circ. 1° giugno 2016, n. 25/E
Interpello - Nuovi investimenti - Chiarimenti applicativi
Il D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147, nell’attuare la legge
delega 11 marzo 2014, n. 23, persegue l’obiettivo principale di rendere il Paese maggiormente attrattivo e competitivo per gli operatori economici, residenti o non residenti, che intendono operare in Italia, attraverso la
creazione di un quadro normativo sotto il profilo fiscale
quanto più certo e trasparente per gli investitori.
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In tale contesto, introduce una nuova tipologia di interpello (interpello sui nuovi investimenti), diversa da
quelle contemplate nell’art. 11, L. n. 212/2000, attraverso cui il soggetto che intenda effettuare in Italia rilevanti investimenti può rivolgersi all’Agenzia delle entrate
allo scopo di conoscere preventivamente il parere in
merito al corretto trattamento fiscale del piano di investimenti e delle operazioni straordinarie pianificate per
la conseguente esecuzione dello stesso.
La circolare contiene chiarimenti interpretativi ed applicativi.
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Fiscale
Irpef
I contributi repertoriali
alla Cassa nazionale
sono componenti negativi
del reddito
Commissione Tributaria regionale di Potenza, Sez. I, 13 gennaio 2016, n. 141 - Pres. Autera Rel. Mauriello
Il contributo repertoriale versato dal Notaio alla Cassa Nazionale del Notariato costituisce un componente negativo deducibile dal reddito professionale come previsto dall’art. 54, comma 1, d.P.R. n. 917/1986. Esso infatti, allo stesso modo delle altre componenti, costituisce una spesa inerente l’esercizio dell’attività professionale e non un onere deducibile dal reddito.
ORIENTAMENTI GIURISPRUDENZIALI
Conforme
Cass. 27 gennaio 2009, n. 1939.
Difforme
Cass. 12 marzo 2014, n. 13465.
La Commissione tributaria regionale (omissis).
Svolgimento del processo
L’Agenzia delle Entrate di Matera, ha proposto rituale
appello avverso la sentenza n. 240/01/14, depositata il
9.6.2014, con la quale la CTP di Matera aveva accolto
il ricorso proposto da D. A. avverso l’avviso di accertamento n. [Omissis] per l’IRAP 2008. L’Agenzia censura
la sentenza per erronea interpretazione relativamente
all’applicazione dell’art. 54, comma 1 del TUIR n.
917/86, come ritenuto dal primo Giudice ma, tali contributi, rientrerebbero tra gli oneri deducibili del reddito
complessivo del contribuente ex art. 10 del TUIR n.
917/86. Su tale assorbente eccezione e facendo riferimento a richiami giurisprudenziali a riguardo, l’ufficio
concludeva per l’accoglimento dell’appello con vittoria
di spese ed onorari di causa. Si è costituito, resistendo
in giudizio, il dr. D. Angelo, notaio, rappresentato e difeso come da mandato in atti, insistendo sulle circostanze positivamente già ritenute dai primo Giudice per cui
concludeva per il rigetto dell’appello, con vittoria di
spese ed onorari di causa. All’odierna udienza, la causa
veniva riservata a decisione. Osserva il Collegio che
l’appello appare infondato e pertanto esso va rigettato.
Posto che la discussione riguarda, essenzialmente, la natura del contributo repertoriale dovuto alla Cassa Nazionale del Notariato, si tratta di stabilire se esso debba
essere considerato un “componente negativo deducibile
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dal reddito professionale” ai sensi dell’art. 54 del TUIR,
ovvero un “onere deducibile” ai sensi dell’art. 10 dello
stesso TUIR. La giurisprudenza prevalente collocherebbe tale contributo versato dai notai alla cassa nazionale,
tra quelli deducibili in “sede di determinazione del reddito professionale ai sensi del D.P.R. 29 settembre n.
597, art. 50, comma 1, ora art. 54 comma 1” che, per
l’appunto consente, per la determinazione del reddito di
lavoro autonomo, la deduzione delle spese inerenti l’esercizio dell’arte o professione ed in tale contesto, comprendere non solo quelle necessarie per la produzione
del reddito, ma anche quelle che sono una immediata
derivazione del reddito prodotto (in tal senso Cass.
27.1.2009, n. 1939, ord.). Tale onere è posto dalla legge
direttamente a carico del professionista e non del cliente per cui, come afferma il convenuto, esso va corrisposto comunque e solo dal notaio indipendentemente dall’effettiva riscossione del corrispettivo della prestazione
nei confronti del cliente, ovvero della gratuità della
prestazione. La descritta strutturazione che vale ad evidenziare la stretta relazione intercorrente tra l’esercizio
della professione e l’obbligo nascente per il sol fatto di
aver iscritto l’atto a repertorio, con conseguente annotazione nelle scritture contabili ex art. 19 del D.P.R. n.
600/73. Dunque per la prevalente giurisprudenza i contributi in questione sono deducibili dal reddito di lavoro
autonomo per il sol fatto che l’art. 54, rimanda al principio “dell’inerenza” da seguire nella individuazione dei
costi da poter dedurre ai fini della determinazione del
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reddito professionale imponibile. In tal senso va confermata anche in questa sede la impostazione dettata dal
primo Giudice con conseguente rigetto delle tesi dell’Agenzia. Per la particolarità della questione trattata e
tenuto conto del forte contrasto in essere tra prassi “amministrativa” (Agenzia delle Entrate) e giurisprudenza
(Corte di Cassazione) configurandosi un’obiettiva incer-
tezza sulla portata della norma anche, il Collegio ha ritenuto compensare, interamente tra le parti, le spese e
gli onorari di causa.
P.Q.M.
Respinge l’appello dell’ufficio e compensa le spese.
IL COMMENTO
di Francesco Cimmino (*)
Appare condivisibile la sentenza della Commissione Tributaria Regionale di Potenza n.
6/01/2016 del 13 gennaio 2016, che, riferendosi al contributo repertoriale dovuto dai Notai alla
Cassa Nazionale del Notariato, ne riconosce la deducibilità dal reddito complessivo quale componente negativo ai sensi dell’art. 54 del T.U.I.R., d.P.R. n. 917/1986.
I giudici regionali, convalidando la tesi di quelli di primo grado, hanno stabilito che il predetto
art. 54 consente, per la determinazione del reddito di lavoro autonomo, la deduzione delle spese
inerenti l’esercizio della professione. In tale contesto vanno ricomprese non solo le spese che
sono necessarie per la produzione del reddito, ma anche quelle che ne sono un’immediata derivazione. Tra queste ultime vanno ricompresi i contributi repertoriali dovuti dai Notai.
Premessa
Con una interessante sentenza i giudici della Commissione Tributaria Regionale di Potenza affrontano la dibattuta questione attinente la natura del
contributo repertoriale dovuto dal Notaio alla Cassa Nazionale del Notariato.
Il caso affrontato vedeva protagonista un Notaio il
quale nella sua dichiarazione dei redditi aveva indicato delle somme quali componenti negativi portandoli così in diminuzione dal reddito professionale come previsto dall’art. 54 del T.U.I.R.
L’Agenzia delle Entrate di Potenza contesta la qualifica di tale posta effettuata dal Professionista ritenendo che tali contributi abbiano invece natura di
onere e dunque deducibili in virtù di quanto disposto dall’art. 10 del d.P.R. n. 917/1986.
Senza voler anticipare alcuna conclusione una prima
riflessione porta ad affermare che, in ogni caso, i contributi in oggetto, sia che si qualifichino come poste
negative di reddito ai sensi dell’art. 54 del T.U.I.R.,
sia invece che si qualifichino come oneri deducibili
ai sensi dell’art. 10 del T.U.I.R., ai fini I.R.P.E.F., sono comunque integralmente deducibili, il che indurrebbe a ritenere che si tratti di una “non questione”.
Tuttavia, va considerato che la vicenda non è priva
di effetti sulla determinazione del reddito in quanto
nel primo caso - a differenza che nel secondo - la
deduzione dei contributi determina l’emersione di
una minore base imponibile ai fine dell’I.R.A.P.
C’è poi un profilo procedurale non trascurabile. Se
infatti tali contributi sono qualificabili quali oneri
deducibili dal reddito complessivo la loro diversa
configurazione - come nel caso di specie - consente
di recuperare tali somme in sede di controllo dei
redditi derivanti dall’attività professionale ex art.
36 bis del d.P.R. n. 600/1973.
La natura del contributo repertoriale
versato dal notaio alla Cassa Nazionale del
Notariato
La Cassa Nazionale del Notariato è - come noto l’organo di previdenza dei Notai. Essa ha natura di
associazione senza scopo di lucro con finalità non
solo di previdenza, ma anche di assistenza degli appartenenti alla categoria.
Il suo funzionamento è regolato da apposito Statuto il cui art. 9 rinviando alle disposizioni di legge
che regolano la materia prevede proprio che tra i
mezzi di sostentamento della Cassa vi siano le contribuzioni obbligatorie versate da ogni professionista, i cc.dd. Contributi Repertoriali.
(*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla
valutazione di un referee.
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La sentenza in commento giunge a qualificare i
contributi repertoriali dovuti dai Notai quali com-
ponenti negativi deducibili dal reddito qualificandoli come costi inerenti all’esercizio della professione.
Sul punto i Giudici di Potenza si pongono in netto
contrasto con quella che è la posizione dell’Agenzia delle Entrate rispetto alla tematica in oggetto.
Infatti in più occasioni (5) l’amministrazione non
ha mancato di sottolineare che il contributo repertoriale dovuto dai Notai costituisce un onere deducibile dal reddito complessivo ai sensi dell’art. 10
del T.U.I.R.
La contraria posizione dell’Agenzia delle Entrate si
basa essenzialmente su una serie di considerazioni
per cui: a) i contributi previdenziali ed assistenziali
obbligatori - in quanto non considerati espressamente dall’art. 54 del T.U.I.R. quale spesa deducibile - ricadrebbero nel dettato dell’art. 10, comma
1, lett. a), T.U.I.R., secondo cui sono deducibili
dal reddito complessivo; b) gli stessi contributi atterrebbero alla sola sfera personale del soggetto tenuto al loro versamento in quanto sono corrisposti
con la finalità di garantire al medesimo un trattamento pensionistico e una assistenza personale al
verificarsi di determinati eventi (ad esempio la malattia o l’infortunio del professionista); 3) i contributi non rappresenterebbero una spesa inerente in
quanto sarebbero tali le sole spese che hanno un
collegamento immediato e diretto con il reddito
(rapporto di causa-effetto) (6).
Tali conclusioni sembrano basarsi su un presunto
criterio di tassatività dei componenti negativi deducibili che è, invece, estraneo al meccanismo di
determinazione del reddito da lavoro autonomo.
Infatti l’art. 10, comma 1, T.U.I.R. afferma espressamente che gli oneri ivi previsti sono deducibili
dal reddito complessivo se non sono deducibili nel-
(1) Si riporta testualmente l’art. 9 dello Statuto regolante il
funzionamento della Cassa Nazionale del Notariato (www.cassanotariato.it) a norma del quale: “Per assicurare lo svolgimento dei compiti istituzionali della Cassa Nazionale del Notariato,
il Notaio è tenuto al versamento in favore della Cassa, per gli
atti soggetti ad annotamento nei repertori, di una quota degli
onorari. ... La quota di onorario di cui al comma 1 è liquidata
dal Notaio sul totale complessivo degli onorari repertoriali di
ciascun mese, in un prospetto riepilogativo redatto in sostituzione dell’indicazione prevista dall’articolo 19 del regio decreto-legge 14 luglio 1937, n. 1666, convertito, con modificazioni,
dalla legge 30 dicembre 1937, n. 2358, e versata all’Archivio
Notarile del distretto, contemporaneamente alla presentazione
degli estratti mensili dei repertori”.
(2) Per completezza di esposizione si ricorda che come previsto dall’art. 62 della Legge Notarile n. 89 del 16 febbraio
1913 ciascun Notaio è tenuto ad annotare in apposito repertorio: “tutti gli atti ricevuti rispettivamente tra vivi e di ultima volontà, compresi tra i primi quelli rilasciati in originale, le auten-
ticazioni apposte agli atti privati, e i protesti cambiari”.
(3) Sul punto: A. Borgoglio, I contributi repertoriali sono deducibili dal reddito, in banca dati Eutekne notiziario di informazione del 26 febbraio 2016.
(4) Una precisa spiegazione sulla natura di tali contributi
viene fornita da: M. Tortorelli, Il contributo previdenziale obbligatorio e l’adempimento dichiarativo del professionista, ne Il Fisco, 2012, 16, Parte Prima, 1, 2421, in Banca Dati BIG Suite,
Milano.
(5) Cfr. Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 79/E del 8
marzo 2002 e Risoluzione Ministeriale n. 8/825 del 29 dicembre 1984. Per una esaustiva esposizione della posizione dell’Amministrazione finanziaria sul punto si veda G. Gavelli, Costituiscono oneri deducibili i contributi obbligatori versati alle
Casse professionali, in Corr. Trib., 2002, 16, 1452, in Banca Dati
BIG Suite, Milano.
(6) In questi termini S. Sottocasa, Deducibilità dei contributi
previdenziali obbligatori dei professionisti, commento alla sentenza della Cass. n. 1939/2009, in Banca Dati Il Fisco, Milano.
In particolare la legge prevede proprio che tali
contributi debbano essere versati obbligatoriamente dal Notaio per ogni atto soggetto ad annotamento nei repertori (1).
Ciò significa che il presupposto per il versamento
del contributo repertoriale non è la percezione dell’onorario per la prestazione professionale svolta,
ma la sola redazione di un atto per il quale la legge
notarile prevede l’obbligo di annotamento nei repertori (2).
Come giustamente fatto notare dai giudici della
Commissione Tributaria Regionale di Potenza tali
contributi sono posti dalla legge direttamente a carico del Notaio e non del cliente, per cui essi vanno corrisposti dal professionista indipendentemente dall’effettiva riscossione del corrispettivo della
prestazione nei confronti del cliente e o della gratuità della stessa.
La descritta strutturazione vale a evidenziare la
stretta relazione intercorrente tra l’esercizio della
professione e l’obbligo della contribuzione di cui si
discute nascente dal sol fatto di aver iscritto l’atto
a repertorio con conseguente annotazione nelle
scritture contabili (3).
L’adempimento relativo alla determinazione e al
versamento del contributo repertoriale deve ritenersi, quindi, non una conseguenza dell’attività
professionale svolta, ma un vero e proprio obbligo
che sorge nel momento in cui la prestazione professionale viene completata e si provvede all’iscrizione a repertorio dell’atto rogato (4).
La posizione dell’Agenzia delle Entrate
rispetto alla qualifica del contributo
repertoriale dovuto dai Notai
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la determinazione dei singoli redditi che concorrono a formarlo.
Va dunque prioritariamente verificato se i contributi di cui si discute siano o meno deducibili dal
reddito professionale. Per l’Agenzia delle Entrate
tale qualificazione non sarebbe corretta poiché
l’art. 54 non menziona espressamente tali contributi dalle spese deducibili. Tuttavia nella determinazione di tale categoria di reddito non trova applicazione alcun principio di tassatività quanto ai componenti negativi deducibili assumendo rilievo tutte
le spese che in generale risultano inerenti all’attività professionale.
Ne discende che l’unico criterio per determinare se
i contributi in oggetto siano o meno deducibili dal
reddito professionale è se gli stessi possano qualificarsi quale spesa inerente l’attività professionale (7).
Sul punto appare utile considerare che sono inerenti non solo le spese necessarie per la produzione
del reddito ma anche quelle che sono una conseguenza del reddito prodotto. I contributi previdenziali sono infatti connotati da un’intima correlazione con il reddito prodotto; soluzione tanto più
condivisibile se si interpreta il concetto di inerenza
non solo come legame causa-effetto tra costi e ricavi ma anche come nesso funzionale tra la spesa e la
produzione del reddito.
Sotto tale profilo una spesa è inerente in quanto
deriva o è sostenuta per porre in essere l’attività
che genera reddito tassabile (8).
Tale ultima posizione è stata confermata dalla stessa dottrina di derivazione ministeriale per la quale
le spese vanno correlate all’attività nel suo complesso e per la loro deducibilità non deve sussistere
un rigoroso nesso con altri compensi (9).
Allo stesso modo l’Ufficio Studi del Notariato in
vari interventi ha chiarito che nel caso dei contributi repertoriali è priva di fondamento la tesi dell’amministrazione finanziaria laddove la deducibilità fiscale delle spese sostenute non deve essere
espressamente autorizzata per legge e quindi anche
se l’art. 54, d.P.R. n. 917/1986 non prevede espressamente tra le spese deducibili i contributi repertoriali questo non significa che non possano essere
portati in deduzione (10).
In secondo luogo circa il concetto di inerenza sempre il Consiglio Nazionale del Notariato afferma
che i contributi sono dovuti sulla base degli atti
messi a repertorio dal Notaio e non sulla base degli
onorari percepiti. Si tratta infatti di oneri il cui
versamento è necessario al fine di partecipare alle
spese di funzionamento del Consiglio nazionale del
tutto assimilabili a quelli che altre categorie professionali (Dottori Commercialisti o Avvocati) versano annualmente ai rispettivi ordini di appartenenza (11).
Sotto tale profilo dunque è evidente che tali spese
sono costi che il professionista sostiene per lo svolgimento della sua attività e in quanto tali deducibili dal reddito.
(7) Sul concetto di inerenza: L. Lovecchio, I contributi previdenziali dei professionisti tra oneri deducibili e spese inerenti al
reddito di lavoro autonomo, in Bollettino Tributario, 2009, 9,
736.
(8) Sul punto F. Tesauro, Compendio di diritto tributario, III
ed., Torino, 2007 e ancora M. Tortorelli, cit.
(9) Si fa riferimento a M. Leo - Monacchi - M. Schiavo, Le
imposte sui redditi nel testo Unico, Milano, 1990, 505.
(10) La tematica della deducibilità dei contributi previdenziali è stata oggetto di numerosi interventi da parte dl Consiglio Nazionale del Notariato. In particolare si segnalano in ordine cronologico i seguenti studi: La gestione fiscale dello Studio
notarile: ulteriori spunti di riflessione, Studio n. 151-2012/T di N.
Forte approvato dalla Commissione Studi tributari del 24 ottobre 2012; Deducibilità dei contributi previdenziali corrisposti dai
Notai alla Cassa Nazionale del Notariato, Ufficio Studi Quesito
n. 154-2009/T di N. Forte; ed infine Il trattamento fiscale dei
contributi previdenziali versati alla Cassa Nazionale del Notariato, Studio n. 33/01/T approvato dalla Commissione Studi Tribu-
tari il 22 marzo 2002 e approvato dal Consiglio Nazionale del
Notariato in data 19 aprile 2002.
(11) Così Ufficio Studi Quesito n. 154-2009/T di N. Forte,
cit., il quale espressamente afferma che: “l’obbligo di contribuzione non costituisce un posterius rispetto all’attività professionale, ma nasce con essa, in quanto nel momento stesso in cui
il notaio roga un atto, a quella data è obbligato ad iscriverlo a
repertorio ed è tenuto a versare la quota di contributi previdenziali”. Il contributo, quindi, è dovuto indipendentemente dalla
percezione del corrispettivo che, al limite, potrebbe non essere
mai incassato a causa dell’insolvenza del cliente, per la gratuità della prestazione ovvero per altri motivi”.
(12) Ci si riferisce alle seguenti sentenze in ordine cronologico: Cass. 22 novembre 2000, n. 3595, in Banca Dati C.E.D.
Italgiure e Cass. 22 novembre 2000, n. 3596, anche questa in
Banca Dati C.E.D. Italgiure; Cass. 26 febbraio 2001, n. 2781, in
Boll. Trib. n. 10 del 2001 e infine Cass. 27 gennaio 2009, n.
1939, ord., in Banca Dati Il Fisco, Milano.
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L’orientamento della giurisprudenza di
merito e di legittimità sulla natura di onere
deducibile del contributo repertoriale
Il tema della deducibilità o meno dal reddito da lavoro autonomo delle somme versate dai professionisti a titolo di contribuzione obbligatoria è stato
affrontato più volte dalla Corte di cassazione (12).
Interessante sul punto è una recente pronuncia
con cui i Giudici di legittimità hanno chiarito che
il contributo previdenziale integrativo versato non
può essere considerato onere deducibile dal reddito
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ex art. 10 del T.U.I.R. laddove non grava sul reddito del professionista ma viene per legge ribaltato
sul cliente tramite una maggiorazione percentuale
del corrispettivo (13).
In tale sentenza i Giudici della Cassazione fanno
un importante precisazione in quanto chiariscono
che l’art. 10 del T.U.I.R. consente la deduzione dal
reddito degli oneri solo se sostenuti dal contribuente. Di conseguenza se il loro peso economico è supportato dal cliente anche attraverso il meccanismo
della rivalsa il professionista non avrà diritto alla
deduzione.
Tali contributi, infatti, non possono essere in nessun caso assimilati a quelli repertoriali versati dai
Notai che sono deducibili dal reddito professionale
ex art. 53 del T.U.I.R.
Nella parte conclusiva di tale sentenza in Giudici
di Piazza Cavour infine lasciano in sospeso un’ipotesi laddove affermano che nel particolare caso in
cui tali contributi integrativi non siano stati lasciati gravare sui clienti ma siano stati sostenuti dal
professionista, questa circostanza potrebbe determinare una conclusione diversa ai fini della loro deducibilità.
Tale ultima pronuncia non fa nient’altro che confermare quella che è la posizione univoca della
Cassazione la quale, in difformità rispetto alla prassi dell’Amministrazione finanziaria prima esaminata, ha sempre concordato sulla deducibilità dal reddito professionale dei contributi repertoriali dovuti
dai Notai.
Tale convincimento dei Giudici fa leva proprio sul
concetto di inerenza dei contributi repertoriali, ripreso anche dalla Commissione Tributaria Regionale di Potenza nella sentenza in commento, secondo cui la deducibilità di tali spese è assicurata
dal fatto che tali contributi rappresentano non solo
una spesa necessaria per la produzione del reddito
del professionista ma ne costituiscono anche una
immediata conseguenza.
L’indicato principio è da ritenere consolidato nella
giurisprudenza dei giudici di legittimità perché
conforme a precedenti arresti (14). A conferma di
quanto detto alcuni commentatori hanno fatto notare proprio che nell’assumere tale decisione i Giudici di legittimità hanno utilizzato lo strumento
processuale dell’Ordinanza adottata in camera di
consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c. anziché della
sentenza resa a seguito dell’udienza di trattazione.
Con il ricorso allo strumento dell’ordinanza, secondo tali autori, deve dedursi la ragionevole certezza
della conclusione raggiunta al punto tale da ritenere di non dover procedere alla discussione con le
parti in lite.
(13) Cass. 12 marzo 2014, n. 13465, in Banca Dati C.E.D.
Italgiure, che affronta il caso di un commercialista, che in sede
di dichiarazione dei redditi, aveva dedotto il contributo integrativo dal proprio reddito complessivo, ai sensi dell’art. 10, comma 1, lett. e), T.U.I.R., considerandolo un contributo previdenziale versato in ottemperanza a disposizioni di legge, secondo
il tenore dello stesso art. 10. L’Agenzia, in sede di controllo
formale della dichiarazione, ex art. 36 ter del d.P.R. n.
600/1973, aveva recuperato a reddito il contributo affermando
che l’onere non era stato sostenuto dal professionista ma dai
clienti. La tesi del contribuente risulta invece aver fatto perno
sul tenore del comma 5 dell’art. 11 della L. n. 21/1986, per il
quale, il contributo integrativo non concorre a formare il reddito professionale e non costituisce base imponibile agli effetti
dell’I.R.P.E.F. La sentenza decide con un semplice sillogismo:
gli oneri ex art. 10 del T.U.I.R. sono deducibili dal reddito complessivo in quanto siano stati sostenuti dal contribuente che
procede alla deduzione; nella specie l’onere fu sostenuto dai
clienti da cui fu ripetuta la maggiorazione; pertanto il contributo non è deducibile dal reddito complessivo.
(14) Tortorelli, Il contributo previdenziale obbligatorio e l’adempimento dichiarativo del professionista, cit.
Notariato 4/2016
Considerazioni conclusive
Pare di poter affermare che la questione è tutt’altro
che conclusa. Corte di cassazione da un lato e
Agenzia delle Entrate dall’altro hanno assunto nel
tempo posizioni tra loro inconciliabili e talvolta superficiali.
In tale contesto la sentenza dei giudici di Potenza
è allineata a quella della giurisprudenza di legittimità in quanto fa proprie le conclusioni che sul tema ha formulato la corte di Cassazione.
In particolare, a parere di chi scrive, è interessante
che la sentenza in commento sia arrivata a riconoscere la deducibilità dei contributi repertoriali in
forza della particolare natura che essi rivestono. Il
fatto che siano pagati per l’unica ragione che l’atto
stipulato dal Notaio sia inserito nel suo repertorio,
caratteristica unica nel genere dei contributi, e che
non sia legato ad alcuna forma di contribuzione ricevuta dal professionista lo fanno rientrare tra le
spese sostenute per lo svolgimento dell’attività professionale e dunque deducibile in conformità dell’art. 54, d.P.R. n. 917/1986.
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L. n. 112/2016
La Legge per il “dopo di noi”
Legge 22 giugno 2016, n. 112
Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare (G.U. 24 giugno 2016, n. 146, Serie Generale)
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica
hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
promulga
la seguente legge:
Art. 1.
Finalità
1. La presente legge, in attuazione dei princìpi stabiliti
dagli articoli 2, 3, 30, 32 e 38 della Costituzione, dagli
articoli 24 e 26 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dagli articoli 3 e 19, con particolare
riferimento al comma 1, lettera a), della Convenzione
delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, fatta a New York il 13 dicembre 2006 e ratificata
dall’Italia ai sensi della legge 3 marzo 2009, n. 18, è volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e
l’autonomia delle persone con disabilità.
2. La presente legge disciplina misure di assistenza, cura
e protezione nel superiore interesse delle persone con
disabilità grave, non determinata dal naturale invecchiamento o da patologie connesse alla senilità, prive
di sostegno familiare in quanto mancanti di entrambi i
genitori o perché gli stessi non sono in grado di fornire
l’adeguato sostegno genitoriale, nonché in vista del venir meno del sostegno familiare, attraverso la progressiva presa in carico della persona interessata già durante
l’esistenza in vita dei genitori. Tali misure, volte anche
ad evitare l’istituzionalizzazione, sono integrate, con il
coinvolgimento dei soggetti interessati, nel progetto individuale di cui all’articolo 14 della legge 8 novembre
2000, n. 328, nel rispetto della volontà delle persone
con disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di
chi ne tutela gli interessi. Lo stato di disabilità grave, di
cui all’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992,
n. 104, è accertato con le modalità indicate all’articolo
4 della medesima legge. Restano comunque salvi i livelli essenziali di assistenza e gli altri interventi di cura e
di sostegno previsti dalla legislazione vigente in favore
delle persone con disabilità.
3. La presente legge è volta, altresì, ad agevolare le erogazioni da parte di soggetti privati, la stipula di polizze
di assicurazione e la costituzione di trust, di vincoli di
destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile
e di fondi speciali, composti di beni sottoposti a vincolo
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di destinazione e disciplinati con contratto di affidamento fiduciario anche a favore di organizzazioni non
lucrative di utilità sociale di cui all’articolo 10, comma
1, del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, riconosciute come persone giuridiche, che operano prevalentemente nel settore della beneficenza di cui al comma 1, lettera a), numero 3), dell’articolo 10 del decreto
legislativo 4 dicembre 1997, n. 460, anche ai sensi del
comma 2-bis dello stesso articolo, in favore di persone
con disabilità grave, secondo le modalità e alle condizioni previste dagli articoli 5 e 6 della presente legge.
Art. 2.
Definizione delle prestazioni assistenziali da garantire in
tutto il territorio nazionale
1. Le regioni e le province autonome di Trento e di
Bolzano assicurano, nell’ambito delle risorse disponibili
a legislazione vigente, l’assistenza sanitaria e sociale ai
soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, anche mediante
l’integrazione tra le relative prestazioni e la collaborazione con i comuni. Nel rispetto delle disposizioni vigenti in materia e dei vincoli di finanza pubblica, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano
garantiscono, nell’ambito territoriale di competenza, i
macrolivelli di assistenza ospedaliera, di assistenza territoriale e di prevenzione. Nell’ambito del procedimento
di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
(LEP) e degli obiettivi di servizio di cui all’articolo 13
del decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68, sono definiti i livelli essenziali delle prestazioni nel campo sociale da garantire ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 2,
della presente legge in tutto il territorio nazionale, ai
sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.
2. Nelle more del completamento del procedimento di
definizione dei livelli essenziali delle prestazioni di cui
all’articolo 13 del decreto legislativo 6 maggio 2011, n.
68, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze,
previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n.
281, definisce con proprio decreto, da emanare entro
sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, gli obiettivi di servizio per le prestazioni da erogare ai soggetti di cui all’articolo 1, comma 2, nei limiti
delle risorse disponibili a valere sul Fondo di cui all’articolo 3.
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Normativa
Art. 3.
Istituzione del Fondo per l’assistenza alle persone con
disabilità grave prive del sostegno familiare
1. Per le finalità di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, e per
l’attuazione dell’articolo 2, comma 2, è istituito nello
stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo per l’assistenza alle persone con
disabilità grave prive del sostegno familiare, di seguito
denominato “Fondo”. La dotazione del Fondo è determinata in 90 milioni di euro per l’anno 2016, in 38,3
milioni di euro per l’anno 2017 e in 56,1 milioni di euro annui a decorrere dal 2018.
2. L’accesso alle misure di assistenza, cura e protezione a
carico del Fondo è subordinato alla sussistenza di requisiti da individuare con decreto del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali, da emanare entro sei mesi dalla
data di entrata in vigore della presente legge, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il
Ministro della salute, previa intesa in sede di Conferenza unificata di cui all’articolo 8 del decreto legislativo
28 agosto 1997, n. 281. Con le medesime modalità il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali provvede
annualmente alla ripartizione delle risorse del Fondo.
3. Le regioni adottano indirizzi di programmazione e definiscono i criteri e le modalità per l’erogazione dei finanziamenti, le modalità per la pubblicità dei finanziamenti erogati e per la verifica dell’attuazione delle attività svolte e le ipotesi di revoca dei finanziamenti concessi.
Art. 4.
Finalità del Fondo
1. Il Fondo è destinato all’attuazione degli obiettivi di
servizio di cui all’articolo 2, comma 2, e, in particolare,
alle seguenti finalità:
a) attivare e potenziare programmi di intervento volti a
favorire percorsi di deistituzionalizzazione e di supporto
alla domiciliarità in abitazioni o gruppi-appartamento
che riproducano le condizioni abitative e relazionali
della casa familiare e che tengano conto anche delle
migliori opportunità offerte dalle nuove tecnologie, al
fine di impedire l’isolamento delle persone con disabilità grave di cui all’articolo 1, comma 2;
b) realizzare, ove necessario e, comunque, in via residuale, nel superiore interesse delle persone con disabilità grave di cui all’articolo 1, comma 2, interventi per la
permanenza temporanea in una soluzione abitativa extrafamiliare per far fronte ad eventuali situazioni di
emergenza, nel rispetto della volontà delle persone con
disabilità grave, ove possibile, dei loro genitori o di chi
ne tutela gli interessi;
c) realizzare interventi innovativi di residenzialità per le
persone con disabilità grave di cui all’articolo 1, comma
2, volti alla creazione di soluzioni alloggiative di tipo familiare e di co-housing, che possono comprendere il pagamento degli oneri di acquisto, di locazione, di ristrutturazione e di messa in opera degli impianti e delle attrezzature necessari per il funzionamento degli alloggi
424
medesimi, anche sostenendo forme di mutuo aiuto tra
persone con disabilità;
d) sviluppare, ai fini di cui alle lettere a) e c), programmi di accrescimento della consapevolezza, di abilitazione e di sviluppo delle competenze per la gestione della
vita quotidiana e per il raggiungimento del maggior livello di autonomia possibile delle persone con disabilità
grave di cui all’articolo 1, comma 2.
2. Al finanziamento dei programmi e all’attuazione degli interventi di cui al comma 1, nel rispetto del principio di sussidiarietà e delle rispettive competenze, possono compartecipare le regioni, gli enti locali, gli enti del
terzo settore, nonché altri soggetti di diritto privato con
comprovata esperienza nel settore dell’assistenza alle
persone con disabilità e le famiglie che si associano per
le finalità di cui all’articolo 1. Le attività di programmazione degli interventi di cui al comma 1 prevedono il
coinvolgimento delle organizzazioni di rappresentanza
delle persone con disabilità.
Art. 5.
Detraibilità delle spese sostenute per le polizze assicurative
finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave
1. All’articolo 15, comma 1, lettera f), del testo unico
delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, dopo le parole: “o di invalidità permanente.” è inserito il seguente
periodo: “A decorrere dal periodo d’imposta in corso al
31 dicembre 2016, l’importo di euro 530 è elevato a euro 750 relativamente ai premi per assicurazioni aventi
per oggetto il rischio di morte finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge”.
2. Alla copertura delle minori entrate derivanti dal
comma 1, valutate in 35,7 milioni di euro per l’anno
2017 e in 20,4 milioni di euro annui a decorrere dal
2018, si provvede ai sensi dell’articolo 9.
Art. 6.
Istituzione di trust, vincoli di destinazione e fondi speciali
composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione
1. I beni e i diritti conferiti in trust ovvero gravati da
vincoli di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del
codice civile ovvero destinati a fondi speciali di cui al
comma 3 dell’articolo 1, istituiti in favore delle persone
con disabilità grave come definita dall’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata con
le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge,
sono esenti dall’imposta sulle successioni e donazioni
prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decretolegge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni.
2. Le esenzioni e le agevolazioni di cui al presente articolo sono ammesse a condizione che il trust ovvero i
fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero il
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vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del
codice civile perseguano come finalità esclusiva l’inclusione sociale, la cura e l’assistenza delle persone con disabilità grave, in favore delle quali sono istituiti. La suddetta finalità deve essere espressamente indicata nell’atto istitutivo del trust, nel regolamento dei fondi speciali
o nell’atto istitutivo del vincolo di destinazione.
3. Le esenzioni e le agevolazioni di cui al presente articolo sono ammesse se sussistono, congiuntamente, anche le seguenti condizioni:
a) l’istituzione del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al
comma 3 dell’articolo 1 ovvero la costituzione del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile siano fatti per atto pubblico;
b) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al
comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del
vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del
codice civile identifichino in maniera chiara e univoca
i soggetti coinvolti e i rispettivi ruoli; descrivano la funzionalità e i bisogni specifici delle persone con disabilità
grave, in favore delle quali sono istituiti; indichino le
attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la
soddisfazione dei bisogni delle persone con disabilità
grave, comprese le attività finalizzate a ridurre il rischio
della istituzionalizzazione delle medesime persone con
disabilità grave;
c) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al
comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del
vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del
codice civile individuino, rispettivamente, gli obblighi
del trustee, del fiduciario e del gestore, con riguardo al
progetto di vita e agli obiettivi di benessere che lo stesso deve promuovere in favore delle persone con disabilità grave, adottando ogni misura idonea a salvaguardarne i diritti; l’atto istitutivo ovvero il contratto di affidamento fiduciario ovvero l’atto di costituzione del vincolo di destinazione indichino inoltre gli obblighi e le modalità di rendicontazione a carico del trustee o del fiduciario o del gestore;
d) gli esclusivi beneficiari del trust ovvero del contratto
di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali
di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero del vincolo di
destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile
siano le persone con disabilità grave;
e) i beni, di qualsiasi natura, conferiti nel trust o nei
fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero i
beni immobili o i beni mobili iscritti in pubblici registri
gravati dal vincolo di destinazione di cui all’articolo
2645-ter del codice civile siano destinati esclusivamente
alla realizzazione delle finalità assistenziali del trust ovvero dei fondi speciali o del vincolo di destinazione;
f) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al
comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del
vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del
codice civile individuino il soggetto preposto al controllo delle obbligazioni imposte all’atto dell’istituzione del
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trust o della stipula dei fondi speciali ovvero della costituzione del vincolo di destinazione a carico del trustee
o del fiduciario o del gestore. Tale soggetto deve essere
individuabile per tutta la durata del trust o dei fondi
speciali o del vincolo di destinazione;
g) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al
comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del
vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del
codice civile stabiliscano il termine finale della durata
del trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3
dell’articolo 1 ovvero del vincolo di destinazione di cui
all’articolo 2645-ter del codice civile nella data della
morte della persona con disabilità grave;
h) l’atto istitutivo del trust ovvero il contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali di cui al
comma 3 dell’articolo 1 ovvero l’atto di costituzione del
vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del
codice civile stabiliscano la destinazione del patrimonio
residuo.
4. In caso di premorienza del beneficiario rispetto ai
soggetti che hanno istituito il trust ovvero stipulato i
fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero
costituito il vincolo di destinazione di cui all’articolo
2645-ter del codice civile, i trasferimenti di beni e di diritti reali a favore dei suddetti soggetti godono delle medesime esenzioni dall’imposta sulle successioni e donazioni di cui al presente articolo e le imposte di registro,
ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa.
5. Al di fuori dell’ipotesi di cui al comma 4, in caso di
morte del beneficiario del trust ovvero del contratto
che disciplina i fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 ovvero del vincolo di destinazione di cui all’articolo 2645-ter del codice civile istituito a favore di soggetti con disabilità grave, come definita dall’articolo 3,
comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata
con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge, il trasferimento del patrimonio residuo, ai sensi della
lettera h) del comma 3 del presente articolo, è soggetto
all’imposta sulle successioni e donazioni prevista dall’articolo 2, commi da 47 a 49, del decreto-legge 3 ottobre
2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge
24 novembre 2006, n. 286, e successive modificazioni,
in considerazione del rapporto di parentela o coniugio
intercorrente tra disponente, fiduciante e destinatari del
patrimonio residuo.
6. Ai trasferimenti di beni e di diritti in favore dei trust
ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo
1 ovvero dei vincoli di destinazione di cui all’articolo
2645-ter del codice civile, istituiti in favore delle persone con disabilità grave come definita dall’articolo 3,
comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, accertata
con le modalità di cui all’articolo 4 della medesima legge, le imposte di registro, ipotecaria e catastale si applicano in misura fissa.
7. Gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, nonché
le copie dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni posti in essere o richiesti dal trustee ovvero dal fiduciario del fondo speciale ovvero dal gestore del vincolo di destinazione sono
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esenti dall’imposta di bollo prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642.
8. In caso di conferimento di immobili e di diritti reali
sugli stessi nei trust ovvero di loro destinazione ai fondi
speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1, i comuni possono stabilire, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, aliquote ridotte, franchigie o esenzioni ai fini dell’imposta municipale propria per i soggetti passivi
di cui all’articolo 9, comma 1, del decreto legislativo 14
marzo 2011, n. 23.
9. Alle erogazioni liberali, alle donazioni e agli altri atti
a titolo gratuito effettuati dai privati nei confronti di
trust ovvero dei fondi speciali di cui al comma 3 dell’articolo 1 si applicano le agevolazioni di cui all’articolo
14, comma 1, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35,
convertito, con modificazioni, dalla legge 14 maggio
2005, n. 80, e i limiti ivi indicati sono elevati, rispettivamente, al 20 per cento del reddito complessivo dichiarato e a 100.000 euro.
10. Le agevolazioni di cui ai commi 1, 4, 6 e 7 si applicano a decorrere dal 1° gennaio 2017; le agevolazioni di
cui al comma 9 si applicano a decorrere dal periodo
d’imposta 2016.
11. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare, di concerto con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro sessanta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge, sono definite le modalità di attuazione del presente articolo.
12. Alle minori entrate derivanti dai commi 1, 4, 6 e 7,
valutate in 10 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2017, e dal comma 9, valutate in 6,258 milioni di
euro per l’anno 2017 e in 3,650 milioni di euro annui a
decorrere dall’anno 2018, si provvede ai sensi dell’articolo 9.
Art. 7.
Campagne informative
1. La Presidenza del Consiglio dei ministri avvia, nell’ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie
disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza
nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica,
campagne informative al fine di diffondere la conoscenza delle disposizioni della presente legge e delle altre
forme di sostegno pubblico previste per le persone con
disabilità grave, in modo da consentire un più diretto
ed agevole ricorso agli strumenti di tutela previsti per
l’assistenza delle persone con disabilità prive del sostegno familiare, nonché di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla finalità di favorire l’inclusione sociale delle
persone con disabilità.
Art. 8.
Relazione alle Camere
1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali trasmette alle Camere, entro il 30 giugno di ogni anno,
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una relazione sullo stato di attuazione delle disposizioni
della presente legge e sull’utilizzo delle risorse di cui all’articolo 9. La relazione illustra altresì l’effettivo andamento delle minori entrate derivanti dalle medesime disposizioni, anche al fine di evidenziare gli eventuali scostamenti rispetto alle previsioni.
Art. 9.
Disposizioni finanziarie
1. Agli oneri derivanti dall’articolo 3, comma 1, pari a
90 milioni di euro per l’anno 2016, a 38,3 milioni di euro per l’anno 2017 e a 56,1 milioni di euro annui a decorrere dal 2018, e alle minori entrate derivanti dagli
articoli 5 e 6, valutate complessivamente in 51,958 milioni di euro per l’anno 2017 e in 34,050 milioni di euro
annui a decorrere dal 2018, si provvede:
a) quanto a 90 milioni di euro a decorrere dall’anno
2016, mediante corrispondente riduzione del Fondo di
cui all’articolo 1, comma 400, della legge 28 dicembre
2015, n. 208;
b) quanto a 258.000 euro per l’anno 2017 e a 150.000
euro annui a decorrere dall’anno 2018, mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento
del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del
bilancio triennale 2016-2018, nell’ambito del programma “Fondi di riserva e speciali” della missione “Fondi
da ripartire” dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per l’anno 2016, allo scopo
parzialmente utilizzando l’accantonamento relativo al
medesimo Ministero.
2. Il Ministero dell’economia e delle finanze - Dipartimento delle finanze effettua il monitoraggio delle minori entrate recate dagli articoli 5 e 6. Le eventuali risorse
corrispondenti all’eventuale minore esigenza di copertura delle minori entrate di cui al primo periodo, valutata
in via strutturale sulla base delle risultanze del monitoraggio delle predette minori entrate e quantificata con
decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, confluiscono, a decorrere dall’anno di quantificazione, nel
Fondo di cui all’articolo 3.
3. Il Ministro dell’economia e delle finanze è autorizzato
ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni
di bilancio.
Art. 10.
Entrata in vigore
1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo
a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della
Repubblica italiana. È fatto obbligo a chiunque spetti di
osservarla e di farla osservare come legge dello Stato.
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IL COMMENTO
di Emanuela di Maggio
La L. n. 112 del 22 giugno 2016 “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone
con disabilità grave prive di sostegno familiare”, entrata in vigore il 25 giugno 2016, volta a disciplinare il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone con grave disabilità, prevede, accanto ad un Fondo stanziato per favorire lo sviluppo di nuove misure di assistenza, cura e protezione a favore delle persone con disabilità grave, alcune agevolazioni fiscali per
incentivare i trasferimenti immobiliari a favore dei medesimi soggetti. Tra gli istituti prescelti dalla legge in commento per raggiungere tali obiettivi di protezione e gestione di patrimoni per
conto di terzi c'è il trust. Ecco che, finalmente, questo istituto trova pieno riconoscimento normativo anche nel nostro ordinamento giuridico.
Nella G.U. dello scorso 24 giugno, serie generale
n. 146, è stata pubblicata la L. n. 112 del 22 giugno 2016 intitolata “Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave
prive di sostegno familiare”, la c.d. legge per il
“Dopo di Noi”.
Con un iter parlamentare decisamente contenuto,
quantomeno rispetto ai tempi di gestazione ordinari, e tutto sommato non troppo chiacchierato e
ostacolato, ma fortemente sostenuto dall’associazione “Il Trust in Italia” e dalle associazioni dei familiari con figli disabili, la proposta di L. n. 1352 a
firma, tra le altre, dell’Onorevole Ileana Argentin,
è stata definitivamente presentata alla Camera dei
Deputati l’11 luglio 2013 (1). La proposta, dopo un
primissimo e timido approccio datato 2009, e, con
qualche “lieve ritardo”, è stata approvata in un testo unificato dalla stessa il 4 febbraio 2016, è stata
quindi emendata sensibilmente (2) dal Senato della Repubblica il 26 maggio 2016 per poi entrare
definitivamente in vigore, così come previsto dall’art. 10 della stessa, il giorno successivo a quello
(1) La prima versione prevedeva la messa a disposizione di
un Fondo per disabili gravi senza genitori. Nel corso degli anni
l’ambito di applicazione è stato sensibilmente allargato sempre
tenendo come fulcro i disabili gravi ma estendendo le varie misure di protezione anche a quelli con famiglia. Nel corso del
tempo poi si è identificato nel Trust lo strumento più idoneo
quanto a duttilità e trasparenza per il perseguimento degli
obiettivi di protezione, gestione e godimento del patrimonio a
favore del disabile fino alla ulteriore agevolazione della sua defiscalizzazione.
(2) Tra le più rilevanti integrazioni portate dal Senato si annovera il riferimento al “superiore interesse” delle persone con
disabilità e soprattutto l’affiancamento al trust del vincolo di
destinazione e del contratto di affidamento fiduciario.
(3) Art. 3 Istituzione del Fondo per l’assistenza alle persone
con disabilità grave prive del sostegno familiare.
1. Per le finalità di cui all’art. 1, commi 1 e 2, e per l’attuazione dell’art. 2, comma 2, è istituito nello stato di previsione
del Ministero del lavoro e delle politiche sociali il Fondo per
l’assistenza alle persone con disabilità grave prive del soste-
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della sua pubblicazione nella G.U. e, pertanto, il
25 giugno 2016.
Finalità della legge
Di che si tratta? Quali gli obiettivi del presente intervento normativo? Così come espressamente indicato all’articolo 1 del medesimo, norma non
emendata in sede di approvazione al Senato, la legge in esame è “volta a favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l’autonomia delle persone
con (grave) disabilità”, non solo disciplinando misure di assistenza, cura e protezione, a favore delle
persone con disabilità grave nell’ambito dei loro
progetti individuali, interventi per i quali è stanziato un Fondo (3), ma altresì agevolando, a determinate condizioni, le erogazioni da parte di privati
soprattutto attraverso la defiscalizzazione del Trust
(e degli altri istituti per questi fini proposti in sede
di emendamento del Senato), quale strumento giuridico particolarmente adeguato, per le sue caratteristiche di duttilità e trasparenza, alla effettiva tugno familiare, di seguito denominato “Fondo”. La dotazione
del Fondo è determinata in euro 90 milioni per l’anno 2016, in
euro 38,3 milioni per l’anno 2017 e in 56,1 milioni di euro annui a decorrere dal 2018.
2. L’accesso alle misure di assistenza, cura e protezione a
carico del Fondo è subordinato alla sussistenza di requisiti da
individuare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di concreto con il Ministro dell’economia e delle finanze e con il Ministro della salute, previa intesa
in sede di Conferenza unificata di cui all’art. 8 del D.Lgs. 28
agosto 1997, n. 281. Con le medesime modalità il Ministro del
lavoro e delle politiche sociali provvede annualmente alla ripartizione delle risorse del Fondo.
3. Le regioni adottano indirizzi di programmazione e definiscono i criteri e le modalità per l’erogazione dei finanziamenti,
le modalità per la pubblicità dei finanziamenti erogati e per la
verifica dell’attuazione delle attività svolte e le ipotesi di revoca
dei finanziamenti concessi.
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tela patrimoniale ed assistenziale delle persone disabili.
Ratio della norma
Inquadrato in poche righe il duplice ambito dell’intervento legislativo in parola (stanziamento di
un Fondo per la promozione di misure di protezione e assistenza ai disabili e agevolazioni fiscali per
incentivare i trasferimenti immobiliari privati) voglio soffermarmi brevemente sul beneficiario di
questa novità legislativa, sì da circoscriverne esattamente la portata e, quindi, ripercorrere brevemente l’esegesi di tale norma per meglio individuarne la ratio, e fornire così al primo interprete la
lente attraverso la quale mettere a fuoco tale disciplina, per comprenderne meglio la struttura, le peculiarità, e la concreta operatività.
Non si può non notare, anche solo da una prima e
veloce lettura, che è ancora una volta la famiglia (4) che gode delle attenzioni del legislatore,
una famiglia, questa volta, colpita dalla drammatica problematica di dover “progettare” un’assistenza
materiale, affettiva e patrimoniale per i propri cari
affetti da disabilità grave. Disabilità che trova la
propria definizione normativa all’art. 3, comma 3,
L. 5 febbraio 1992, n. 104, più volte espressamente
richiamato dalla legge in commento, e la modalità
di accertamento al successivo articolo 4 della medesima L. n. 104/92.
Non basta quindi una “minorazione fisica, psichica
o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che sia causa
di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione”.
Questa minorazione deve essere tale da aver “ridotto l’autonomia personale” -...- “in modo da rendere
necessario un intervento assistenziale permanente,
continuativo e globale nella sfera individuale e in
quella di relazione” così da poter rientrare nella definizione, riportata al comma 3 sopra richiamato,
di disabilità grave.
Il punto di vista prescelto da questa legge è quello
dei genitori che si pongono il problema del “Dopo
di Noi”. Che fine farà mio figlio quando non ci sarò più? Chi si prenderà cura di lui quando io non
sarò più in grado di provvedervi? Ma anche, chi mi
potrà aiutare nel sostenere un compito così impegnativo e anche economicamente gravoso durante
la mia esistenza? Queste le domande a cui la presente legge ha cercato di dare una risposta.
In Italia il sostegno familiare ai disabili è pari almeno al 68,2% del sostegno complessivo ricevuto
dalle persone affette da disabilità grave. Queste, solo in Italia, in un recente sondaggio, sembrano superare la cifra dei 3 milioni: una realtà sicuramente
più ampia, tragica ed economicamente impegnativa di quanto si possa immaginare (5).
Assistenza da parte dei genitori significa, da un
punto di vista umano/assistenziale che quando questi non ci saranno più, i disabili rischiano di restare
soli e di finire in strutture lontane da casa che, anche se confortevoli possono risultare “scomode e
estranee” rispetto alla loro abituale quotidianità;
da un punto di vista giuridico/economico che un
eventuale patrimonio, vuoi dei genitori, o ancora
peggio se del disabile, rischia di non poter essere
correttamente amministrato o devoluto, stante
l’incapacità del disabile medesimo.
Di questa situazione si è fatta portavoce, come già
accennato, l’onorevole Argentin che, insieme ad
altri parlamentari, con la mozione 1-00243 del 14
novembre 2013 ha chiesto al Governo “di trovare
risorse finanziarie ed approvare un sistema di protezione sociale e di cura per le persone affette da disabilità grave, nonché ad assumere iniziative per
disciplinare, anche nel nostro ordinamento, per coloro che ne facciano richiesta, l’istituzione di Fondi
di Sostegno ‘Trust’ offendo così la garanzia di una
struttura blindata, esclusivamente diretta a garantire tutta l’assistenza necessaria e la migliore qualità
di vita, anche attraverso la tutela del patrimonio
familiare che si vuole destinare, prevedendo anche
regimi fiscali agevolati per la costituzione del fondo” (6).
(4) Il riferimento è agli ultimi dieci anni nei quali più volte il
legislatore è intervenuto per modificare, integrare, allargare e
diversamente disciplinare aspetti collegati alla famiglia. Basti
pensare alla disciplina dettata per l’Amministratore di sostegno introdotta con la L. n. 6 del 2004; a seguire il Patto di famiglia volto al passaggio generazionale familiare introdotto
dalla L. n. 55 del 14 febbraio 2006; quindi il Vincolo di destinazione di cui all’art. 2645 ter c.c. creato nel marzo 2006. È del
2012 (L. n. 219/2012, modificato con L. n. 14 del 12 luglio
2013) la riforma della filiazione. Di pochi giorni fa la legge sulle
unioni civili (L. n. 76 del 20 maggio 2016).
(5) “Un disabile grave costa allo stato 200 euro al giorno e
il cittadino che provvede a lui toglie un vero peso alla comunità” tratto da “Famiglia Cristiana” del 13 dicembre 2014 articolo di Rosanna Banfi riportante una intervista all’avv. F.R. Lupoi
e all’on. Argentin.
(6) Tale richiesta doveva e voleva permettere da un lato, a
fronte dello stanziamento di fondi destinati all’assistenza di
Il disabile grave
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Ma facciamo un piccolo passo indietro. Perché
proprio il trust?
“A riempire il vuoto normativo in questi anni è
stato l’istituto del Trust” (8) come più volte affermato dall’avv. F.R. Lupoi, vice presidente dell’asso-
ciazione “Il Trust in Italia”, utilizzato più di qualche volta, con crescente sensibilità sia dai giudici
di volontaria giurisdizione che dagli organi giudicanti di volta in volta coinvolti, sia dai rappresentanti legali nominati dai nostri istituti nazionali a
tutela degli incapaci quali tutori, curatori e amministratori di sostegno.
Con questo atto “i disponenti, in genere i genitori,
affidano a un terzo le proprie volontà per il futuro
del figlio disabile. Gli affidano un programma. Per
la realizzazione di questo programma, che si costruisce “durante noi” per il “dopo di noi”, la morte
del genitore non incide sulla qualità della vita del
soggetto debole, perché una terza persona, il trustee, o fiduciario, subentrerà non solo nella gestione del patrimonio a ciò destinato ma altresì nella
cura e nella assistenza materiale del beneficiario incapace. Il disabile rimarrà a casa sua e sarà curato.
Chi si assume il compito di gestire il fondo in trust,
si assume obblighi giuridici per la violazione dei
quali sono previsti rimedi ed azioni. In questo modo, il genitore crea una rete di assistenza ad hoc
per il figlio. Il Trust non è per grandi patrimoni:
nel settore dei soggetti deboli, riguarda la casa e
ciò che rimane in banca” (9).
Forte di tali considerazioni l’Associazione “Il Trust
in Italia”, più volte sentita dalla Commissione affari sociali della Camera, ha quindi sostenuto, in perfetto accordo con l’onorevole Argentin, la necessità di sostituire dei generici originari “Fondi di Sostegno” con i veri e propri Trust a vantaggio dei disabili. Trust nei quali la famiglia può e deve essere
e restare al centro dell’interesse del disabile sia finché esiste e può agire in tal senso, sia quando non
ci sarà più e si renderà necessario l’affidamento di
questo programma di sostegno a terzi scelti dalla famiglia stessa o da chi si prende cura del disabile, il
tutto in perfetta sintonia con la ratio e le finalità
della norma.
“I disabili non sono tutti uguali e i provvedimenti
a loro destinati devono tener conto di questa diversità” (10).
Da qui, la necessità di utilizzare uno strumento che
per la sua flessibilità e duttilità potesse permettere
persone con disabilità grave, ad associazioni e a organismi, inizialmente individuati genericamente, “senza scopo di lucro” di
prendersi cura del disabile preferibilmente nell’abitazione dove
lo stesso fosse cresciuto e in più di sviluppare programmi privati per il recupero della capacità di gestione della vita quotidiana del disabile in vista del momento in cui i genitori non
avrebbero più potuto aiutare i loro cari e dall’altro, a fronte di
agevolazioni e sgravi fiscali, di incentivare erogazioni in favore
dei disabili da parte di soggetti privati.
(7) M. Lupoi, Atti istitutivi di trust e contratti di affidamento fi-
duciario, Milano, 2010. M. Lupoi, Il contratto di affidamento fiduciario, Milano, 2014.
(8) Tratto da “Famiglia Cristiana” del 13 dicembre 2014 articolo di Rosanna Banfi riportante una intervista all’avv. F.R. Lupoi e all’on. Argentin.
(9) Cfr. Trust e dopo di noi, La sintesi, brani tratti dai quaderni della rivista Trusts e Attività Fiduciarie, Milano, 2013, aggiornato al 2016.
(10) Cfr. intervista all’onorevole Argentin del 13 marzo
2015.
La legge per il dopo di noi
Obiettivi tutti fatti pienamente propri dalla legge
in commento e che trovano lettera al secondo e
terzo comma dell’art. 1 “Finalità” e più compiuta
disciplina ai successivi artt. 4, 5 e 6 dell’intervento
normativo in parola.
L’articolo 4 “Finalità del Fondo”, infatti, tra le finalità, appunto, a cui il Fondo è destinato annovera in varie lettere l’attenzione per l’alloggio per il
disabile, il potenziamento di programmi di supporto alla domiciliarità, l’attivazione di interventi necessari a far fronte ad eventuali situazioni di emergenza e la realizzazione di interventi innovativi relativi a nuove soluzioni sempre collegate al problema abitazione del disabile nonché lo sviluppo di
programmi di accrescimento della consapevolezza
dell’abilitazione e dello sviluppo delle competenze
per la gestione della vita quotidiana.
L’art. 5 “Detraibilità delle spese sostenute per le
polizze assicurative finalizzate alla tutela delle persone con disabilità grave” disciplina un incentivo
fiscale per agevolare erogazioni private a titolo di
polizze assicurative; ed infine l’art. 6 “Istituzione di
trust, vincoli di destinazione e fondi speciali composti di beni sottoposti a vincolo di destinazione”
che, sicuramente, più incuriosisce e interessa noi
professionisti, il quale richiedendo una serie di
condizioni la cui presenza risulta necessaria al solo
fine di ottenere sgravi fiscali e agevolazioni dà, per
la prima volta, se pur incidentalmente, ma pienamente, legittimazione e cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico non solo all’istituto del, tanto
amato e al contempo criticato, trust ma anche al
contratto di affidamento fiduciario (7) quali strumenti tra i più idonei a perseguire alcune tra le finalità poste da questa legge.
Non solo il trust
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al singolo disabile la realizzazione di progetti di vita
il più possibile autonomi e specifici e in linea con
le possibilità fisiche, psichiche della persona: il
Trust.
Questo il background della presente legge che propone, come già accennato, accanto a generali misure di assistenza, cura e protezione del disabile, debitamente finanziate, e di non immediato interesse
per noi giuristi, l’utilizzo di alcuni istituti, invece,
di rilevante interesse professionale quali il trust, a
cui, come già accennato, in sede di emendamento
da parte del Senato, è stato affiancato il vincolo di
destinazione ex art. 2645 ter c.c. e il contratto di
affidamento fiduciario che disciplina i fondi speciali, quali strumenti non solo idonei ma decisamente
“necessari” a proteggere, amministrare, gestire e assistere la persona affetta da grave disabilità, “nel
suo superiore interesse, qualora priva di sostegno
familiare in quanto mancante di entrambi i genitori o perché gli stessi non sono in grado di favorire
l’adeguato sostegno genitoriale - o altresì - in vista
del venir meno del sostegno familiare, il tutto attraverso la progressiva presa in carico della persona
interessata già durante l’esistenza in vita dei genitori.”.
I traguardi raggiunti
Senza voler entrare in tematiche squisitamente
tecnico-giuridiche che esulano dall’obiettivo di
questo primo lavoro, che più che commento si potrebbe qualificare quale presentazione di questa
legge, voglio ora solo porre l’attenzione su alcuni
importati traguardi raggiunti, sulle condizioni richieste ai fini del godimento delle agevolazioni
concesse e, infine su alcune forse pratiche criticità
delle disposizioni in commento, per poi tirare le fila di questo primo intervento.
Il punto di forza della legge è, sicuramente, quantomeno triplice: umano, economico e giuridico.
Il traguardo umano è dato da un lato dalla costante
attenzione riservata dalla presente normativa al
“superiore interesse della persona con disabilità” e
alla permanente richiesta di integrazione delle misure di assistenza di cui in parola con il coinvolgimento dei soggetti interessati e nel rispetto della
loro volontà, se possibile, dei loro genitori o di chi
ne tutela gli interessi, e dall’altro dalla previsione
espressa e alquanto peculiare di specifici obblighi
posti a carico del trustee, del fiduciario e del gestore, con espresso riguardo al progetto di vita e agli
obiettivi di benessere che “il fiduciario” deve promuovere in favore delle persone con disabilità gra-
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ve. Con queste precisazioni il legislatore è riuscito
a rendere ancora più “su misura” un istituto, il
Trust, scelto e apprezzato proprio per la sua duttilità e flessibilità. Tale attenzione al progetto di vita
e agli obiettivi “personali” non fa che dar “voce”
(come più volte affermato dall’avv. F.R. Lupoi, vice presidente dell’associazione “Il trust in Italia”)
al disabile anziché “ammutolirlo” come, spesso,
fanno invece i nostri istituti nazionali che con la
tutela, curatela e anche con l’amministrazione di
sostegno spesso si sostituiscono freddamente e totalmente all’incapace.
Dal punto di vista economico è una legge finanziata! E questo è un grande traguardo perché dispone
già di alcuni fondi da impiegare per le finalità da
raggiungere.
Dal punto di vista giuridico si assiste ad una normativa che impatta in modo forte sullo scenario
dottrinale e giurisprudenziale del momento, prendendo drasticamente posizione per l’ammissibilità
della separazione/segregazione patrimoniale di fonte negoziale.
Senza fronzoli né premesse, infatti, l’articolo 1) in
primis, seguito da ogni singolo comma dell’art. 6),
affianca, con una ingenua eleganza, al Trust, istituto in realtà non disciplinato da alcuna legislazione
materiale italiana ma riconosciuto negli effetti in
Italia solo dalla legge di ratifica della Convenzione
internazionale dell’Aja, oltre che da alcune disposizioni in materia fiscale e, comunque, pur sempre
regolato da una legge, straniera, ma pur sempre
una legge, in conformità a quanto previsto dall’art
6 della Convenzione, il vincolo di destinazione di
cui all’art. 2645 ter c.c., istituto questo sì codificato, ma di difficile e dubbia esatta configurazione e
applicazione. E da questo passa poi al contratto di
affidamento fiduciario, allo stato attuale “figlio solo
di una dottrina sia pur autorevole ma ancora solitaria”; contratto questo non codificato né definito né
disciplinato da alcuna normativa sostanziale.
Il legislatore quindi non si preoccupa né di definire
né di spiegare né di disciplinare tali istituti. Li dà
per scontati e si limita a porre delle condizioni, alla
struttura degli stessi, la cui presenza si evidenzia
necessaria solo per poter usufruire di alcune agevolazioni. Condizioni che, pertanto, non devono essere rispettate né per la valida nascita del rapporto
“genericamente fiduciario” prescelto né per la sua
efficacia.
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Condizioni e agevolazioni
L’art. 6 della legge in parola, tra le altre agevolazioni prevede l’esenzione dall’imposta di successione e
donazione indipendentemente dal rapporto personale esistente tra disponente e beneficiario e l’imposizione fissa per registro, ipotecarie e catastali
per i trasferimenti di beni e diritti in Trust o gravati da vincoli o destinati a fondi speciali di cui al
comma 3, (ed estende le stesse agevolazioni anche
al caso di premorienza del beneficiario disabile al
“disponente” (con ciò intendendo anche l’affidante
e il costituente il vincolo) ai trasferimenti di beni
e diritti a favore dei “disponenti” stessi) a condizione che il Trust, il vincolo di destinazione ex art.
2645 ter c.c. e i fondi speciali, composti di beni
sottoposti a vincolo di destinazione e disciplinati
con contratto di affidamento fiduciario, perseguano
come finalità esclusiva l’inclusione sociale, la cura
e l’assistenza delle persone con disabilità grave, in
favore delle quali sono istituiti e che tale finalità
sia espressamente indicata nell’atto istitutivo di
Trust, nel regolamento dei fondi speciali o nell’atto istitutivo del vincolo di destinazione.
Per poter usufruire di tali esenzioni ed agevolazioni
il comma 3 dell’art. 6 richiede altre condizioni la
cui presenza deve essere congiuntamente garantita:
- che tali atti siano fatti per atto pubblico;
- che vengano identificati in maniera chiara e univoca i soggetti coinvolti e i rispettivi ruoli, che
vengano descritte le funzionalità e i bisogni specifici delle persone con disabilità grave in favore delle
quali sono istituiti;
- che vengano indicate le attività assistenziali necessarie a garantire la cura e la soddisfazione dei bisogni delle stesse;
- che vengano indicati gli obblighi del trustee, del
fiduciario e del gestore con particolare riguardo al
progetto di vita e gli obiettivi di benessere che lo
stesso deve promuovere, nonché gli obblighi e le
modalità di rendicontazione;
- che gli esclusivi beneficiari del Trust, del contratto di affidamento fiduciario che disciplina i fondi
speciali di cui all’art. 3 della legge in commento e
del vincolo di destinazione ex art. 2645 ter c.c. siano le persone con disabilità grave;
- che i beni di qualsiasi natura vincolati a tali programmi e finalità devono essere esclusivamente destinati alla realizzazione di tali finalità assistenziali;
- che deve essere individuato ed individuabile per
tutta la durata del rapporto un soggetto preposto al
controllo delle obbligazioni imposte a carico del
trustee, o del fiduciario, o del gestore;
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- che deve essere stabilito un termine finale del
Trust, o del contratto di affidamento fiduciario che
disciplina i fondi speciali di cui all’art. 1, comma
3, o del vincolo di destinazione nella data della
morte della persona con disabilità grave, con contestuale individuazione della la destinazione del patrimonio residuo.
Dubbi e criticità
Non è questa la sede per analizzare una per una le
condizioni indicate e le situazioni dubbie nelle
quali, di fatto il giurista si troverà ad operare nell’applicare tale normativa e nel rendere di fatto
operativi il trust dopo di noi, il vincolo di destinazione dopo di noi e il contratto di affidamento fiduciario dopo di noi, ma alcune prime immediate
considerazioni vanno fatte.
Tra queste appare rilevante segnalare che la reale
portata del regime agevolativo è più dubbia di
quanto apparentemente non sembri da una prima
lettura della norma.
La previsione fiscale più importante è sicuramente
l’esenzione dall’imposta di successione e donazione
sopra richiamata perché prevista indipendentemente dal rapporto familiare esistente tra disponente/affidante/vincolante e beneficiario e l’imposizione fiscale fissa per ipotecarie e catastali. Questo significa che chiunque potrà godere di tale agevolazione qualora doti il trust, il fondo gestito dal
contratto di affidamento fiduciario o assoggetti a
vincolo di destinazione uno o più beni.
Alcune incertezze però non si possono tacere.
Come si pone questa esenzione con la previsione
già da tempo esistente della franchigia di euro
1.500.000 prevista nel caso di trust a favore di portatori di handicap? Disciplinano la stessa fattispecie?
Si può considerare il beneficiario disabile grave come effettivo beneficiario finale del patrimonio in
trust stante la sua necessaria esclusività ai sensi
dell’art. 6, lett. d) o prevedendosi la necessaria devoluzione del fondo in trust alla morte dello stesso
a favore di qualcun altro ai sensi della successiva
lettera h) la franchigia in parola non troverebbe
applicazione nel trust dopo di noi?
Tenuto conto che una buona fetta di utenti sarà
rappresentata da genitori e figli non necessariamente proprietari di un ingente patrimonio, cosa
aggiunge questa esenzione alla franchigia di euro
1.000.000 di già prevista per i trasferimenti a titolo
gratuito tra i soggetti legati da vincoli di coniugio
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e parentela in linea retta, oltre evidentemente all’imposizione fissa per ipotecarie e catastali?
Sicuramente tale previsione, però permette di risolvere a monte e, una volta per tutte, spero, i problemi ultimamente posti dall’ultimo orientamento
della Cassazione che impone l’applicazione dell’aliquota residuale massima dell’8% in ipotesi di trust
autodichiarato o di apposizione di vincolo senza
trasferimento di diritti (11) quantomeno qualora il
trust o il vincolo sia un dopo di noi, e si inserisce
nel recente dibattito giurisprudenziale e dottrinale
in ambito fiscale avente ad oggetto la qualificazione dell’imposta di successione e donazione applicabile ai trust e ai vincoli di destinazione, su cui la
Cassazione sta creando non pochi problemi.
Né si può tacere il fatto che nessuna agevolazione
è invece prevista in ipotesi di trasferimento del patrimonio residuo ai sensi della lett. h) del comma
3 del medesimo art. 6. Trasferimento che verrà tassato in considerazione del rapporto di parentela o
di coniugio esistente tra disponente, fiduciante e
destinatari del patrimonio residuo.
Altri dubbi sorgono in ipotesi di trust a favore di
figlio disabile gravato di una disabilità minore destinata però sicuramente ad aggravarsi nel tempo o
qualora si sia in presenza di un Trust inizialmente
istituito a favore di un figlio sano successivamente
diventato disabile grave per malattia sopravvenuta
o incidente non prevedibile, se e quali agevolazioni
in questi casi?
Ultima preoccupazione, non strettamente inerente
la legge in esame ma alla stessa direttamente collegata riguarda la normativa antiriciclaggio, oggi
sempre più simbiotica con quella dei negozi che
comportano una qualche “segregazione patrimoniale”. È in corso il recepimento (12) della c.d. IV Direttiva antiriciclaggio (Dir. UE 2015/849) relativa
tra le altre disposizioni anche al trust e ai trustee
che prevede, l’obbligo per gli Stati di assicurare determinati requisiti di professionalità dei trustee che
agiscono nell’ambito della propria attività professionale nonché la previsione di un registro generale dei trust che renda accessibili i dati dei titolari
effettivi dei trust stessi. Da una prima lettura del
disegno di legge delega in corso di approvazione in
questi giorni sembrerebbe fortemente a rischio una
interpretazione volta a concentrare la funzione di
trustee in favore di trustee professionali e tra questi
Istituzione di un Fondo per l’assistenza alle persone
con disabilità grave prive di sostegno materiale,
previsione di agevolazioni fiscali ed esenzioni per
l’utilizzo di strumenti volti alla protezione e gestione del patrimonio degli incapaci, collaborazione
tra pubblico e privato in vista della tutela degli interessi superiori in favore di persone affette da disabilità grave ... queste le maggiori conquiste economico sociali della L. n. 112 del 22 giugno 2016,
ma accanto a queste una importante conquista giuridica: il legislatore italiano, riconoscendo e indicando tra gli istituti utilizzabili ai fini della protezione e gestione dei patrimoni dei o a favore dei
disabili il Trust, il vincolo di destinazione ex 2645
ter c.c. e il contratto di affidamento fiduciario, ha
riconosciuto, più o meno volontariamente, più o
meno consapevolmente, ma comunque legislativamente, all’autonomia negoziale la forza di prevedere quella segregazione patrimoniale tanto discussa e
osteggiata ma tanto necessaria per la protezione e
gestione di un patrimonio che nasce targato per un
determinato fine. Starà ora alla coscienza e responsabilità professionale del notaio e dell’avvocato o
comunque dell’operatore giuridico approfondire,
studiare e verificare le diverse utilità e duttilità di
tali rapporti fiduciari comportanti patrimoni separati/segregati e di utilizzarli per fini che, almeno in
questo caso, sono sicuramente meritevoli di tutela.
(11) Cass., Sez. VI, Pres. e Rel. Cicala, 24 febbraio 2015, nn.
3735/2015 e 3737/2015 nonché del 25 febbraio 2016, n.
3886/2015 e n. 5322/2015 del 18 marzo 2015 nonché, da ultima, n. 4482/2016 del 7 marzo 2016.
(12) Il disegno di legge delega S2345, la c.d. Comunitaria
2015, approvata dalla Camera e licenziata senza modifiche
dalla 14 Commissione permanente al Senato e in discussione
in Assemblea nei prossimi 5 e 6 luglio 2016.
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di relegarne l’esercizio esclusivamente al sistema
bancario e delle fiduciarie con pregiudizievole evidente esclusione, soprattutto per i trust di famiglia
e dopo l’approvazione del “trust dopo di noi” di
quest’ultimo, dei trustee “familiari” o più tecnicamente non professionali. La previsione poi contenuta all’art. 15 del disegno di legge delega, relativa
all’istituzione del registro dei trust esclusivamente
presso il registro delle imprese rischierebbe inoltre
di compromettere con il proprio sistema di pubblicità la salvaguardia di quei diritti della persona
che, invece, all’art. 30 della Direttiva risultano fortemente tutelati, soprattutto laddove si tratti di
minori e disabili, con l’evidente rischio di una sistematica esposizione degli stessi a qualsiasi possibilità di circonvenzione o raggiro.
Vedremo se il legislatore sarà sensibile a tale problematica.
Conclusioni
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Società benefit
La “società benefit”: una nuova
forma societaria rivolta al terzo
settore
Legge 28 dicembre 2015, n. 208
Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità
2016) (G.U. 30 dicembre 2015, n. 302, Supplemento Ordinario) (stralcio)
Omissis
La Camera dei deputati ed il Senato della Repubblica
hanno approvato;
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
promulga
la seguente legge:
Art. 1.
Omissis
376. Le disposizioni previste dai commi dal presente al
comma 382 hanno lo scopo di promuovere la costituzione e favorire la diffusione di società, di seguito denominate “società benefit”, che nell’esercizio di una attività
economica, oltre allo scopo di dividerne gli utili, perseguono una o più finalità di beneficio comune e operano
in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni
ed attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri
portatori di interesse.
377. Le finalità di cui al comma 376 sono indicate specificatamente nell’oggetto sociale della società benefit e
sono perseguite mediante una gestione volta al bilanciamento con l’interesse dei soci e con l’interesse di coloro
sui quali l’attività sociale possa avere un impatto. Le finalità possono essere perseguite da ciascuna delle società di cui al libro V, titoli V e VI, del codice civile, nel
rispetto della relativa disciplina.
378. Ai fini di cui ai commi da 376 a 382, si intende
per:
a) “beneficio comune”: il perseguimento, nell’esercizio
dell’attività economica delle società benefit, di uno o
più effetti positivi, o la riduzione degli effetti negativi,
su una o più categorie di cui al comma 376;
b) “altri portatori di interesse”: il soggetto o i gruppi di
soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente, dall’attività delle società di cui al comma 376, quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica
amministrazione e società civile;
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c) “standard di valutazione esterno”: modalità e criteri
di cui all’allegato 4 annesso alla presente legge, che devono essere necessariamente utilizzati per la valutazione
dell’impatto generato dalla società benefit in termini di
beneficio comune;
d) “aree di valutazione”: ambiti settoriali, identificati
nell’allegato 5 annesso alla presente legge, che devono
essere necessariamente inclusi nella valutazione dell’attività di beneficio comune.
379. La società benefit, fermo restando quanto previsto
nel codice civile, deve indicare, nell’ambito del proprio
oggetto sociale, le finalità specifiche di beneficio comune che intende perseguire. Le società diverse dalle società benefit, qualora intendano perseguire anche finalità di beneficio comune, sono tenute a modificare l’atto
costitutivo o lo statuto, nel rispetto delle disposizioni
che regolano le modificazioni del contratto sociale o
dello statuto, proprie di ciascun tipo di società; le suddette modifiche sono depositate, iscritte e pubblicate
nel rispetto di quanto previsto per ciascun tipo di società dagli articoli 2252, 2300 e 2436 del codice civile. La
società benefit può introdurre, accanto alla denominazione sociale, le parole: “Società benefit” o l’abbreviazione: “SB” e utilizzare tale denominazione nei titoli
emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni
verso terzi.
380. La società benefit è amministrata in modo da bilanciare l’interesse dei soci, il perseguimento delle finalità di beneficio comune e gli interessi delle categorie
indicate nel comma 376, conformemente a quanto previsto dallo statuto. La società benefit, fermo quanto disposto dalla disciplina di ciascun tipo di società prevista
dal codice civile, individua il soggetto o i soggetti responsabili a cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle suddette finalità.
381. L’inosservanza degli obblighi di cui al comma 380
può costituire inadempimento dei doveri imposti agli
amministratori dalla legge e dallo statuto. In caso di
inadempimento degli obblighi di cui al comma 380, si
applica quanto disposto dal codice civile in relazione a
ciascun tipo di società in tema di responsabilità degli
amministratori.
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Normativa
382. Ai fini di cui ai commi da 376 a 384, la società benefit redige annualmente una relazione concernente il
perseguimento del beneficio comune, da allegare al bilancio societario e che include:
a) la descrizione degli obiettivi specifici, delle modalità
e delle azioni attuati dagli amministratori per il perseguimento delle finalità di beneficio comune e delle
eventuali circostanze che lo hanno impedito o rallentato;
b) la valutazione dell’impatto generato utilizzando lo
standard di valutazione esterno con caratteristiche descritte nell’allegato 4 annesso alla presente legge e che
comprende le aree di valutazione identificate nell’allegato 5 annesso alla presente legge;
c) una sezione dedicata alla descrizione dei nuovi obiettivi che la società intende perseguire nell’esercizio successivo.
383. La relazione annuale è pubblicata nel sito internet
della società, qualora esistente. A tutela dei soggetti beneficiari, taluni dati finanziari della relazione possono
essere omessi.
384. La società benefit che non persegua le finalità di
beneficio comune è soggetta alle disposizioni di cui al
decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, in materia di
pubblicità ingannevole e alle disposizioni del codice del
consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005,
n. 206. L’Autorità garante della concorrenza e del mercato svolge i relativi compiti e attività, nei limiti delle
risorse disponibili e senza nuovi o maggiori oneri a carico dei soggetti vigilati.
Omissis
(Articolo 1, comma 378)
Allegato 4
Standard di valutazione esterno
Lo standard di valutazione esterno utilizzato dalla società benefit deve essere:
1. Esauriente e articolato nel valutare l’impatto della società e delle sue azioni nel perseguire la finalità di beneficio comune nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni ed attività culturali e sociali, enti
e associazioni e altri portatori di interesse;
2. Sviluppato da un ente che non è controllato dalla società benefit o collegato con la stessa;
3. Credibile perché sviluppato da un ente che;
a) ha accesso alle competenze necessarie per valutare
l’impatto sociale e ambientale delle attività di una società nel suo complesso;
b) utilizza un approccio scientifico e multidisciplinare
per sviluppare lo standard, prevedendo eventualmente
anche un periodo di consultazione pubblica.
4. Trasparente perché le informazioni che lo riguardano
sono rese pubbliche, in particolare:
a) i criteri utilizzati per la misurazione dell’impatto sociale e ambientale delle attività di una società nel suo
complesso;
b) le ponderazioni utilizzate per i diversi criteri previsti
per la misurazione;
c) l’identità degli amministratori e l’organo di governo
dell’ente che ha sviluppato e gestisce lo standard di valutazione;
d) il processo attraverso il quale vengono effettuate modifiche e aggiornamenti allo standard;
e) un resoconto delle entrate e delle fonti di sostegno
finanziario dell’ente per escludere eventuali conflitti di
interesse.
(Articolo 1, comma 378)
Allegato 5
Aree di valutazione
La valutazione dell’impatto deve comprendere le seguenti aree di analisi:
1. Governo d’impresa, per valutare il grado di trasparenza e responsabilità della società nel perseguimento delle
finalità di beneficio comune, con particolare attenzione
allo scopo della società, al livello di coinvolgimento dei
portatori d’interesse, e al grado di trasparenza delle politiche e delle pratiche adottate dalla società;
2. Lavoratori, per valutare le relazioni con i dipendenti
e i collaboratori in termini di retribuzioni e benefit, formazione e opportunità di crescita personale, qualità dell’ambiente di lavoro, comunicazione interna, flessibilità
e sicurezza del lavoro;
3. Altri portatori d’interesse, per valutare le relazioni
della società con i propri fornitori, con il territorio e le
comunità locali in cui opera, le azioni di volontariato,
le donazioni, le attività culturali e sociali, e ogni azione
di supporto allo sviluppo locale e della propria catena di
fornitura;
4. Ambiente, per valutare gli impatti della società, con
una prospettiva di ciclo di vita dei prodotti e dei servizi,
in termini di utilizzo di risorse, energia, materie prime,
processi produttivi, processi logistici e di distribuzione,
uso e consumo e fine vita.
Omissis
IL COMMENTO
di Paolo Guida
La “società benefit” è una società che - oltre allo scopo di lucro - persegue una o più finalità di
beneficio comune. Si tratta, cioè, di una nuova forma societaria che tende a promuovere le attività a sfondo sociale coinvolgendo le società commerciali - ed il capitale - ed incrementandone
le ricadute sociali positive.
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La L. 28 dicembre 2015, n. 208, all’art. 1, commi
376 ss., ha introdotto nel nostro ordinamento la
cosiddetta “società benefit” che si caratterizza per
la peculiarità della propria attività economica, destinata al terzo settore.
In sintesi, la “società benefit” è una società che oltre allo scopo di lucro - persegue una o più finalità di beneficio comune. Si tratta, cioè, di una nuova forma societaria che tende a promuovere le attività a sfondo sociale coinvolgendo le società commerciali - ed il capitale - ed incrementandone le ricadute sociali positive.
La nuova normativa va accolta, quindi, con favore
in quanto si colloca nelle iniziative a favore del cosiddetto terzo settore e va incoraggiata e promossa
per le delicate finalità per le quali nasce. Diventa,
quindi, interessante individuarne le peculiarità giuridiche ed applicative - per offrirne agli operatori una agile interpretazione e cogliere le nuove opportunità offerte.
Il nostro Legislatore deve essere, perciò, considerato all’avanguardia, in quanto attualmente il nostro
paese è l’unico europeo ad aver creato tale figura
innovativa: negli Stati uniti le società benefit sono
nate nel 2010, e secondo le prime statistiche, le
cosiddette benefit corporation sono circa 1.400 in
diversi paesi del resto del mondo.
Va, però, precisato che, purtroppo, allo stato non
risultano introdotte le agevolazioni fiscali necessarie per stimolare la nascita di tali soggetti, restando
così a vantaggio della “nuova” società soltanto una
ricaduta di immagine.
Potremmo sostenere, quindi, che la nuova forma
societaria si inserisce nel filone della cosiddetta
“impresa sociale”, sulla quale la dottrina si è lungamente soffermata ma che, viceversa, anch’essa trova ostacoli nell’assenza di vantaggi fiscali (1).
Passando all’analisi della normativa, dobbiamo rilevare che la società benefit si caratterizza per la
peculiarità della propria attività economica, la quale, appunto, da un lato è finalizzata al tradizionale
scopo di dividere gli utili, e dall’altro persegue una
o più finalità di beneficio comune, operando in
modo responsabile, sostenibile e trasparente nei
confronti di una serie di soggetti considerati meritevoli di interessi dall’ordinamento: persone, comunità, territori, ambiente, beni ed attività cultu-
rali sociali, enti ed associazioni, altri portatori di
interesse.
Per poter rientrare nella fattispecie proposta dalla
legge, la società deve esercitare un’attività con precise ricadute sociali, ma deve avere requisiti tecnico/giuridico, per cui anche il Notaio ha notevoli
responsabilità nella nascita e nella vita della fattispecie.
Preliminarmente va chiarito che la nascita delle
società benefit non comporta la creazione di un tipo sociale, ma una caratterizzazione di ciascuno dei
tipi già esistenti, ed a tal proposito, al comma 377
di detto articolo 1, si precisa che le finalità di cui
alla presente legge possono essere perseguite da ciascuna delle società di cui al libro V, titoli V e VI
del codice civile, nel rispetto della relativa disciplina.
Tale precisazione sgombra, quindi, il campo da
qualsiasi difficoltà interpretativa, avendo il legislatore stesso effettuato una interpretazione autentica
della norma.
Dal punto di vista tecnico, e quindi di notevole interesse notarile, esistono peculiarità normative che
devono risultare dallo statuto.
Volendo schematizzare, devono essere, quindi, segnalati i seguenti punti:
a) Tipo sociale. La individuazione del tipo di sociale (ai sensi del comma 377, II parte), che può assumere la caratteristica di società benefit, è rappresentato da tutti i tipi sociali previsti dal Libro V,
Titoli V e VI;
b) Denominazione. La denominazione, ai sensi del
comma 379, II parte, può contenere le parole “società benefit” oppure la abbreviazione “SB”, utilizzando tali termini negli eventuali titoli emessi, nella documentazione e nelle comunicazioni verso terzi;
c) Oggetto sociale. L’oggetto sociale (ai sensi del
comma 379, I parte) deve indicare le finalità specifiche di beneficio comune che intende perseguire;
d) Amministrazione/gestione. L’amministrazione
della società (ai sensi del comma 380), in linea
con le peculiarità della finalità sociale, deve essere
effettuata in modo da bilanciare:
- l’interesse dei soci;
- il perseguimento delle finalità di beneficio comune;
(1) Vedi l’interessante contributo di G. Racugno, L’Impresa
sociale, in Riv. dir. comm., 2009, 49.
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- gli interessi delle categorie previste dal comma
376, sopra ricordate.
Va, poi, specificato che la norma prevede - in aggiunta e/o sostituzione all’Organo Amministrativo
- la presenza di un ulteriore soggetto responsabile a
cui affidare funzioni e compiti volti al perseguimento delle finalità in oggetto.
In tale ambito, nel comma 381 si precisa che l’inosservanza ai detti obblighi può addirittura costituire inadempimento dei doveri imposti agli amministratori dalla legge e/o dallo statuto, e quindi in
tali ipotesi, si applicheranno le norme previste dal
codice civile in tema di responsabilità degli amministratori.
e) Relazione annuale. Il comma 382 dispone che
l’organo amministrativo deve predisporre una relazione annuale avente ad oggetto l’attività svolta
dalla società, redatta secondo precise modalità, e
pubblicata sul sito internet della società qualora
esistente.
f) Sanzioni. Il comma 384 prevede l’intervento
dell’autorità garante della concorrenza in caso di
inosservanza delle norme previste per le società benefit.
Spostandoci nell’ambito delle caratteristiche di tipo sociale della figura, va specificato che al fine di
rientrare nella previsione della norma, occorre che
la società utilizzi uno standard di valutazione esterno per valutarne l’impatto generato in termini di
beneficio comune.
Detto standard di valutazione esterno deve essere
predisposto secondo modalità e criteri di cui all’allegato 4 al presente comma, e deve essere:
a) sviluppato da un ente, non controllato né collegato alla società, e comunque credibile, in quanto
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deve avere le competenze necessarie ed il necessario approccio scientifico e multidisciplinare;
b) esauriente, in quanto finalizzato a valutare nel
complesso l’impatto della società;
c) trasparente, in quanto deve fornire tutte le informazioni necessarie con particolare riferimento a:
- i criteri utilizzati;
- l’identità degli amministratori della società e dell’ente che ha sviluppato lo standard di valutazione;
- un resoconto dell’entrate e delle fonti di sostegno
finanziario per escludere conflitti di interessi.
Detta valutazione dell’impatto sociale della attività
deve essere effettuata tenendo presente alcuni parametri:
1) il governo della impresa, onde valutare la responsabilità della società nel perseguimento delle
finalità di beneficio comune;
2) la individuazione dei lavoratori, per soppesare le
relazioni tra dipendenti e collaboratori circa retribuzioni e benefit, nonché l’ambiente di lavoro;
3) gli altri portatori di interesse, individuati come
il soggetto, e/o i gruppi di soggetti coinvolti, direttamente o indirettamente dall’attività delle società
in oggetto, quali lavoratori, clienti, fornitori, finanziatori, creditori, pubblica amministrazione e società civile, nonché comunità locali, ed in particolare
le associazioni di volontariato, operanti sia in campo culturale che sociale.
4) l’ambiente in cui viene esercitata l’attività, in
termini di utilizzo di risorse, energie e processi produttivi.
5) il “beneficio comune”, che individua il perseguimento - nell’esercizio dell’attività economica delle
società benefit - di uno o più effetti positivi, o la
riduzione degli effetti negativi, su una o più categorie di cui al comma 376.
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Start up
Crowdfunding
Crowdfunding e start up
innovative: tecnica redazionale
di Luca Di Lorenzo
Il crowdfunding, o finanziamento dalla folla, rappresenta una delle soluzioni di finanza alternativa più innovative sul mercato, che apre infinite occasioni di filantropia e investimento in progetti
imprenditoriali a soggetti dotati di disponibilità finanziarie minime. La raccolta del capitale di rischio tramite portali online rappresenta una delle modalità su cui il Legislatore si è mosso al fine
di promuovere e agevolare la raccolta di capitali da parte delle start up che, del resto, non potendo essere quotate sui mercati regolamentati o sui sistemi multilaterali di negoziazione, possono riscontrare difficoltà di reperimento del capitale.
Il crowdfunding
Il crowdfunding (1), (dall’inglese crowd, folla e funding, finanziamento) o finanziamento collettivo, è uno
dei più recenti sviluppi del social web, che punta a
utilizzare una rete di contatti virtuali per raccogliere del denaro per un fine esplicito di tipo culturale,
sociale o imprenditoriale.
Il soggetto alla ricerca di fondi si rivolge alla “folla”
(crowd appunto), proponendo la propria idea imprenditoriale, il proprio obiettivo filantropico o i
propri fabbisogni di credito.
La raccolta può essere effettuata da persone o organizzazioni tramite la rete di contatti esistente (che
siano amici, follower o fan) o rivolgendosi a un
pubblico più ampio (potenzialmente pari all’intera
popolazione mondiale). Qualunque sia il mercato
di riferimento, il progetto di finanziamento tenderà
a sfruttare la cosiddetta viralità di internet e i nuovi comportamenti caratteristici dei social media.
Le persone contattate mettono in comune il loro
denaro per sostenere gli sforzi di persone ed organizzazioni.
Dal lato dei contribuenti, il crowdfunding è visto
come un fenomeno democratico, in quanto apre
infinite occasioni di filantropia e investimento in
progetti imprenditoriali a soggetti dotati di disponibilità finanziarie minime ma di valide idee.
(1) Il fenomeno del crowdfunding in Italia è in realtà un fenomeno non recente, la prima piattaforma (Produzioni dal basso, ancora attiva) nacque nel 2005, ma negli ultimi anni ha
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Dal lato dei promotori dei progetti, la possibilità di
ottenere poco da molti, accresce le leve disponibili
per il fund raising (raccolta fondi).
Con il crowdfunding si passa a un processo di finanziamento dal basso che mobilita persone e risorse
correlando quattro elementi: amici, fondi, fiducia e
passaparola.
Al crowdfunding si può ricorrere per progetti di
qualsiasi genere, dall’aiuto in occasione di tragedie
umanitarie, al sostegno all’arte (figurativa, musica,
cinema), alle attività culturali ed educative, alla
conservazione dell’ambiente, al giornalismo partecipativo, alle campagne politiche, allo sviluppo di
software gratuito, alla realizzazione di progetti civici, al microcredito verso categorie o Paesi svantaggiati, fino all’imprenditoria innovativa e alla ricerca scientifica.
I principi fondamentali del modello del crowdfunding sono riuniti nel Kapipalist Manifesto, scritto
dall’italiano Alberto Falossi di Kapipal, e sono:
I tuoi amici sono il tuo capitale;
I tuoi amici realizzano i tuoi sogni;
Il tuo capitale dipende dal numero di amici;
Il tuo capitale dipende dalla fiducia;
Il tuo capitale aumenta col passaparola.
Nella sua versione di base il crowdfunding coinvolge principalmente due figure di partecipanti: la
persona o l’organizzazione che propone l’idea o il
avuto il suo boom: attualmente le piattaforme attive sono 39,
di cui 23 hanno aperto da novembre 2012 ad oggi.
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Start up
progetto da finanziare (il proponente) e l’insieme
dei soggetti che supportano la proposta (i contribuenti).
Di recente, si sono affiancati efficaci fornitori di
servizi che organizzano le raccolte di fondi, agendo
come intermediari e coordinatori della condivisione di informazioni e risorse tra il proponente e i
potenziali contribuenti. Questa terza figura del processo di crowdfunding è detta piattaforma.
Idealmente le piattaforme dovrebbero regolare gli
scambi informativi ed effettuare una verifica preventiva sulla serietà dei proponenti, al fine di fornire un minimo di protezione ai possibili contributori di denaro. Le piattaforme impiegano talora
tecniche fantasiose per coinvolgere i possibili contributori, arrivando a offrire premi, creare dei giochi o delle raccolte, accettare contributi operativi
o creativi e non solo monetari o creando delle comunità di soggetti facoltosi che poi vengono portati verso gli imprenditori (in pratica invertendo il
flusso “abituale”). In alcuni casi, offrono la possibilità di diffondere la conoscenza di un progetto presso i contatti anche quando il visitatore del sito decidesse di non finanziarlo (o non potesse farlo).
Le piattaforme di crowdfunding si è soliti ripartirle
in quattro categorie, in funzione del ritorno atteso:
- modello donazioni: versione virtuale della beneficienza, con soggetti che chiedono contributi per
progetti sociali e finanziatori che effettuano liberalità pure, senza alcun corrispettivo o riconoscimento materiale;
- modello reward-based (ricompensa-base): questo
modello prevede che i finanziatori ricevano qualche forma di premio per il loro contributo. La remunerazione dell’investimento è rappresentata da
una ricompensa comunque diversa dalla partecipazione al capitale societario e che spesso consiste in
una sorta di prenotazione sul prodotto che nascerà
dall’iniziativa;
- modello social lending (prestito tra privati, da to lend
= prestare, noto anche come Peer-to-Peer, o P2P,
lending): consistente nella raccolta di fondi tramite
microprestiti. Questo modello prevede che una comunità di prestatori metta a disposizione dei finanziamenti a medio termine a un gruppo di richiedenti. In Italia le società gerenti delle piattaforme
che svolgono questa forma di crowdfunding devono
essere iscritte presso registri tenuti dalla Banca d’Italia;
- modello equity-based (equità basata): consiste nella
raccolta di capitale on line a fronte di una partecipazione al capitale di rischio. Mira, dunque, a raccogliere risorse monetarie sotto forma di capitale
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di rischio, decretando così la configurazione di un
elevato grado di coinvolgimento degli operatori
(che - in tal modo - diventano azionisti oppure titolari di quote) nelle prospettive di redditività futura dell’attività finanziata.
In particolare l’equitycrowdfunding
Mentre il Crowdfunding è una raccolta fondi (“funding”) di tipo collettivo, realizzata on-line, in cui
molte persone (“crowd” - folla) effettuano contribuzioni in denaro, anche di modesta entità, al fine
di favorire lo sviluppo di un progetto o di una iniziativa che ritengono interessante sostenere, talvolta anche prescindendo da un ritorno economico;
l’equity è una tipologia di crowdfunding nella quale
gli investitori entrano nel capitale sociale (“equity”) di una società, condividendo in tal modo il
“rischio d’impresa” con il socio o i soci già esistenti. Tramite l’investimento si acquisisce un vero e
proprio titolo di partecipazione nella società ed i
relativi diritti amministrativi e patrimoniali che ne
derivano, ivi compresi eventuali dividendi futuri o
realizzo di plusvalenze a seguito della cessione della
partecipazione.
L’equitycrowdfunding rappresenta un canale alternativo alla raccolta di capitali, fondamentale soprattutto per le imprese innovative che faticano a reperire capitali di rischio, nelle fasi iniziali della
propria attività.
Tale meccanismo di raccolta di capitale trova origine dall’esigenza (riscontrabile in capo ai risparmiatori ed alle imprese) di individuare un’alternativa (seppur limitata agli operatori di piccole dimensioni) al tradizionale sistema di intermediazione creditizia; rappresenta un’efficace soluzione alle
turbolenze derivanti dalla crisi economica e dalle
carenze nell’erogazione del credito da parte degli
operatori bancari.
Si tratta di un possibile sistema per finanziare progetti imprenditoriali, che si pone come alternativa
o complemento ad altre strutture imperniate su
soggetti non istituzionali (i business angel e le persone cui siamo legati da parentela o amicizia, i cosiddetti family and friends) o istituzionali (i venture
capitalist e i fondi locali legati soprattutto ai BIC,
Business Innovation Center).
Si è in presenza, dunque, di una peculiare fattispecie di ‘disintermediazione creditizia’, laddove l’agere degli operatori bancari e finanziari si risolve
esclusivamente nell’implementazione delle attività
di gestione dei portali e di perfezionamento degli
ordini di acquisto delle quote.
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L’equity based crowdfunding è particolarmente indicato per l’avvio di nuovi progetti imprenditoriali in settori high-tech o ad alta connotazione
emotiva (cinema, musica...), come pure quando
si propongono nuove soluzioni a problemi ambientali.
I capitali raccolti sono generalmente quelli necessari per coprire gli investimenti legati alla creazione dell’impresa (trasformando un’idea o un prodotto in una società), affidandosi a fonti differenti per
reperire i fondi addizionali mirati a finanziare la
(sperata) crescita successiva.
L’Italia è il primo Paese a essersi dotato di una normativa dedicata (2).
L’impresa start-up innovativa è una società di capitali, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione, che ha quale oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto
valore tecnologico.
Costituita nella forma di società di capitali di diritto italiano, ovvero una “Societas Europaea”, residente in Italia, tale tipologia di società è di interes-
se anche per il mondo cooperativo (le start-up innovative possono assumere anche la forma giuridica di società cooperativa) e per quello del Terzo
Settore (una sotto-tipologia di start-up innovativa
è infatti la start-up innovativa a vocazione sociale) (3).
A seguito delle modifiche recate al D.L. n.
179/2012 dal D.L. n. n. 3/2015 le start-up innovative devono possedere tutti i seguenti requisiti obbligatori:
• essere costituite e operare da non più di 48 mesi (4);
• essere residenti in Italia ai sensi dell’art. 73 del
T.U.I.R., o in uno degli stati membri dell’Unione
Europea o in stati aderenti all’accordo sullo spazio
economico europeo, purché abbiano una sede produttiva o una filiale in Italia;
• avere, a partire dal secondo anno di attività, un
totale del valore della produzione annua, risultante
dall’ultimo bilancio approvato entro 6 mesi dalla
chiusura dell’esercizio non superiore a 5 milioni di
euro;
• non distribuire o aver distribuito utili;
• avere quale oggetto sociale esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore
tecnologico;
• non essere costituite per effetto di una fusione,
scissione societaria (5) (6) o a seguito di cessione
(2) In Italia la normativa sull’equity crowdfunding è entrata
in vigore prima di ogni altro paese Europeo; la raccolta del capitale di rischio dalla folla è stata regolamentata dal c.d. “Decreto Crescita 2.0”.
(3) Il Ministero dello Sviluppo Economico con decreto 17
febbraio 2016 (GU, Serie Generale, n. 56 dell’8 marzo 2016), in
deroga a quanto previsto dall’art. 2463 del codice civile, ha
stabilito che i contratti di società a responsabilità limitata,
aventi per oggetto esclusivo o prevalente, lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico e per i quali viene richiesta l’iscrizione nella sezione speciale delle start-up di cui all’art. 25,
comma 8, D.L. 19 ottobre 2012, n. 179, sono redatti in forma
elettronica e firmati digitalmente a norma dell’art. 24 del
C.A.D., da ciascuno dei sottoscrittori, nel caso di società pluripersonale (in caso di atto plurilaterale, infatti, è richiesta la sottoscrizione da parte di tutti i contraenti), o dall’unico sottoscrittore nel caso di unipersonale, in totale conformità allo standard allegato sotto la lettera A al detto decreto. Il procedimento di sottoscrizione deve completarsi entro dieci giorni dal momento dell’apposizione della prima sottoscrizione. Non è richiesta alcuna autentica di sottoscrizione. L’atto costitutivo e
lo statuto, ove disgiunto, sono redatti in modalità esclusivamente informatica e portano l’impronta digitale di ciascuno
dei sottoscrittori apposta a norma dell’art. 24 del C.A.D. L’eventuale atto sottoscritto in maniera diversa da quanto suddetto, non è iscrivibile nel registro delle imprese.
(4) Per le società costituite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 179/2012
il dies a quo, e cioè il termine da cui decorre il computo dei
quarantotto mesi nei quali si può fruire della qualifica di start
up innovativa, è quello della data di costituzione della società
stessa.
(5) Resta ammessa, invece, l’ipotesi della trasformazione.
L’Agenzia delle entrate nella circolare n. 16/E dell’11 giugno
2014 sottolinea come, in aderenza alla logica tendente ad agevolare l’avvio di nuove attività imprenditoriali a contenuto innovativo e a creare un volano per la crescita delle nuove attività
(logica alla quale va ricollegato l’orizzonte temporale di 48 mesi dalla costituzione per l’applicazione della disciplina start up)
“si ritiene che il riferimento alle operazioni di ‘fusione’, ‘scissione societaria’, ‘cessione di azienda o di ramo di azienda’, quali
presupposti ostativi ai fini del riconoscimento dello status di
start-up innovativa, debba essere inteso in generale, come divieto di costituzione di imprese agevolabili per effetto di un’operazione di riorganizzazione aziendale, ivi compresa quella di
conferimento d’azienda o di ramo d’azienda”. Diversamente
invece si ritiene per le operazioni di trasformazione, le quali
non sono di ostacolo al riconoscimento della suddetta disciplina, come anche espressamente chiarito dal Ministero dello
Sviluppo Economico con nota prot. n. 0164029 dell’8 ottobre
2013. Ed al riguardo l’Agenzia precisa come “in particolare,
con la sopracitata nota, il MiSE, in risposta ad uno specifico
quesito della Camera di Commercio di Rimini, ha riconosciuto
la possibilità di accedere al regime delle start-up innovative ad
una società a responsabilità limitata unipersonale costituita
per effetto della cessione di un’azienda individuale, titolare di
una privativa industriale, al fine di non ‘creare un regime di discriminazione nei confronti di quei soggetti imprenditori individuali, che pur titolari di una privativa industriale, non potrebbero avvalersi del disposto normativo previsto dall’articolo 25 e
seguenti, in quanto non costituiti in forma societaria, ed in
Start up innovative: definizione e
disciplina
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di azienda o di ramo di azienda (7). Oltre ai requisiti sopra esposti, le start-up devono possedere almeno uno dei seguenti requisiti “alternativi” (art.
25, comma 2, lett. h, D.L. n. 179/2012):
• Volume di spesa in ricerca sviluppo almeno pari
al 15% del maggior valore fra costo e valore totale
della sua produzione risultante dall’ultimo bilancio
di esercizio della società (8);
• Impiegare personale altamente qualificato:
- in percentuale uguale o superiore ad 1/3 della forza lavoro complessiva, per personale in possesso di
titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo
un dottorato di ricerca presso un’università italiana
o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno 3 anni, attività di ricerca
certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all’estero;
- ovvero, in percentuale uguale o superiore a 2/3
della forza lavoro complessiva, personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell’art. 3 del D.M.
22 ottobre 2004, n. 270 (9);
• Possedere almeno una privativa industriale. La
società deve essere titolare o depositaria o licenziataria di almeno una privativa industriale relativa a
una invenzione industriale, biotecnologica, a una
topografia di prodotto a semiconduttori o a una
nuova varietà vegetale ovvero titolare dei diritti
relativi ad un programma per elaboratore originario
registrato presso il Registro pubblico speciale per i
programmi per elaboratore, purché tali privative
siano direttamente afferenti all’oggetto sociale e al-
quanto (al contempo) impediti a trasformarsi in società’”. Il citato parere sembra prendere atto delle difficoltà di ricondurre
alla trasformazione il passaggio da impresa individuale in società e, al fine di evitare un trattamento discriminatorio per
l’imprenditore individuale (che non potrebbe trasformarsi, a
differenza di una società di persone, in società di capitali), considera, per tale ipotesi, data la ricorrenza della medesima ratio,
il conferimento dell’azienda non ostativo ai fini dell’accesso allo status di start up innovativa.
(6) Ci si è chiesti se un’associazione culturale senza scopo
di lucro, costituita prevalentemente per attribuire data certa al
logo, al nome e all’oggetto, possa trasformarsi in Start-Up con
stesso oggetto. Al riguardo, se si tratta di un’associazione non
riconosciuta, va tenuto distinto:
- il profilo della trasformabilità in società (sul quale: Ruotolo,
La trasformazione degli enti no profit, in Studi e materiali, 2010,
840, ove si esaminano sia la questione della trasformabilità di
un’associazione non riconosciuta, sia quella dei limiti previsti
dagli artt. 2500 octies c.c. e 223 octies disp. att. c.c. ove l’associazione abbia ricevuto contributi pubblici oppure liberalità e
oblazioni del pubblico.);
- da quello dell’accesso alla disciplina delle start up, prevista dagli artt. 25 ss. del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 convertito, con modificazioni, dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221.
Quanto alla trasformazione, sulla base della mancata configurabilità della start-up innovativa come tipo autonomo, non vi
è spazio per un’applicazione dell’istituto con riferimento alla
qualifica di start-up innovativa (e cioè non ci si trasforma in - o
da -start-up innovativa); viceversa, non sembrano sussistere
ostacoli a consentire l’acquisto della qualifica ad una società
risultante da trasformazione (ad es. da un tipo personalistico non ammesso all’acquisto della qualifica - in tipo capitalistico;
o tra tipi capitalistici; o da società di capitali in cooperativa);
naturalmente, sempre che ciò avvenga entro i 48 mesi dalla
costituzione (in questo senso, recentemente, anche la Direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la
vigilanza e la normativa tecnica - Divisione VI - Registro delle
Imprese, professioni ausiliarie del commercio e artigiane e riconoscimento titoli professionali, del Ministero dello Sviluppo
economico con nota del 19 gennaio 2015, prot. 6057, Oggetto: Start-up. Conferimento di impresa individuale in S.r.l. unipersonale). Con specifico riguardo alla trasformazione di
un’associazione culturale senza scopo di Lucro in Start-Up
con stesso oggetto, va sottolineato come lo stesso art. 25 del
D.L. n. 179 contempli le cc.dd. start-up a vocazione sociale,
cioè le start-up innovative che operano in via esclusiva nei settori indicati all’art. 2, comma 1, D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155;
per cui nella divisata operazione l’ente di partenza potrebbe
anche cambiare il solo scopo senza mutare l’oggetto sociale,
inteso come attività svolta.
(7) È da ritenersi ammissibile la richiesta di iscrizione come
start-up innovativa della società che affitta un’altra azienda
portatrice del core business dell’iniziativa imprenditoriale; infatti, come chiarito dal Ministero dello Sviluppo economico,
con parere n. 155183 del 3 settembre 2015, la mancata previsione dell’affitto d’azienda o ramo d’azienda, tra le cause di
esclusione della qualifica di impresa start-up, va interpretata
come una specifica eccezione operata dal legislatore che, dunque, consente l’iscrizione della società affittuaria nella categoria delle start-up innovative se ricorrono gli altri requisiti previsti dalla norma. Del resto sotto il profilo sostanziale lo stesso
Codice civile (art. 2562) nel disciplinare l’affitto d’azienda o ramo d’azienda rimanda alla disciplina dell’usufrutto d’azienda e
non a quella generale della cessione d’azienda (o suo ramo),
stante la natura provvisoria del trasferimento, il differente animus (possesso nel caso della cessione, godimento nel caso
dell’affitto), e l’obbligo di restituzione finale, oltre agli obblighi
ricorrenti; da ciò la complessiva differenza tra cessione e affitto d’azienda che esclude la possibilità di assimilazione.
(8) In caso di start-up innovative di nuova costituzione o
che non abbiano ancora depositato il primo bilancio presso la
Camera di Commercio, ai fini della loro iscrizione all’apposita
Sezione speciale del Registro delle imprese, è sufficiente una
dichiarazione del legale rappresentante che attesti la previsione dettagliata delle spese in ricerca e sviluppo che la start-up
innovativa intende sostenere nel corso del primo esercizio di
attività (attribuibili al primo esercizio secondo il principio di
competenza).
(9) Al riguardo, l’Agenzia delle entrate, con risoluzione n.
87/E del 14 ottobre 2014, ha chiarito che, ai fini della verifica
della percentuale di un terzo o di due terzi:
- il calcolo deve essere necessariamente eseguito “per teste” e non in base alla remunerazione;
- rientra, in linea generale, qualsiasi lavoratore percipiente
un reddito di lavoro dipendente, ovvero a questo assimilato;
- i soci amministratori possono considerarsi come forza lavoro soltanto se anche soci-lavoratori o comunque aventi un
impiego retribuito nella società “a qualunque titolo”. Al contrario, qualora gli stessi avessero la sola amministrazione della
società ma non fossero in essa impiegati, non potrebbero essere considerati tra la forza lavoro;
- gli stagisti possono essere considerati forza lavoro solo se
retribuiti;
- i consulenti esterni titolari di partita IVA non possono essere annoverati tra i dipendenti né possono considerarsi collaboratori “impegnati” nella società.
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Start up
l’attività di impresa (art. 25, comma 2, lett. h, punto 3, D.L. n. 179/2012) (10).
Anche le società già costituite (11) alla data di entrata in vigore della L. n. 221/2012 (19 dicembre
2012) e in possesso dei requisiti previsti dalla stessa, possono iscriversi alla Sezione speciale del Registro delle imprese e accedere ai benefici previsti
per le start-up innovative per un periodo limitato,
e precisamente:
• 4 anni (fino al 18 dicembre 2016) per le imprese
costituitesi dal 20 ottobre 2010 fino al 18 dicembre
2012;
• 3 anni (fino al 18 dicembre 2015) per le imprese
costituitesi dal 20 ottobre 2009 fino al 19 ottobre
2010;
• 2 anni (fino al 18 dicembre 2014) per le imprese
costituitesi dal 20 ottobre 2008 fino al 19 ottobre
2009.
Una sub-tipologia di start-up innovativa è la startup innovativa a vocazione sociale (c.d. SIAVS).
Si considerano start-up innovative a vocazione sociale quelle che, oltre a soddisfare i requisiti previsti dalla normativa sopra esposti, operano in via
esclusiva nei settori indicati dall’art. 2, comma 1,
D.Lgs. n. 155/2006, recante la disciplina dell’impresa sociale (art. 25, comma 4, D.L. n. 179/2012).
Il riconoscimento del relativo status rappresenta
per i soggetti che vi investono motivo di maggiorazione delle detrazioni/deduzioni fiscali fruibili; a tal
fine il legale rappresentante della società deve presentare un’autocertificazione con cui dichiari:
• di operare in via esclusiva in uno o più dei settori del sociale sopra elencati (indicandoli specificatamente);
• di realizzare, operando in tale/i settori, una finalità d’interesse generale;
• di impegnarsi a dare evidenza dell’impatto sociale prodotto (12).
In questo momento storico, tra le sub-tipologie di
start-up innovativa di maggior rilievo vi è la startup innovativa tech- based.
Le startup tech-based rappresentano una opportunità per le imprese tecnologiche, sia in termini di
business che di investimenti e creazione di posti di
lavoro.
Attualmente le nuove opportunità per le startup
tecnologiche da tenere sotto osservazione sono:
1) Internet Of Things: oggi Internet è un’infrastruttura tecnologica che ha rappresentato, ed ancora rappresenta, una vera e propria rivoluzione
tecnologica e socio-culturale nonché uno dei motori dello sviluppo economico mondiale. Con il
crescente sviluppo dell’Internet Of Things e l’aumento dei prodotti connessi ad internet, infatti,
cresce di pari passo la domanda di software e altre
tecnologie di supporto.
2) Security And Access Control: con lo sviluppo
delle tecnologie internet-based sta aumentando la
necessità di sicurezza e controllo degli accessi, sia a
livello domestico che per uffici, aziende, veicoli.
3) Digital Payments: le tecnologie di pagamento
digitale stanno crescendo in maniera esponenziale
già da qualche anno.
(10) Il Ministero dello Sviluppo economico, con parere n.
147532 del 22 agosto 2014, ha chiarito che la sola presentazione della domanda di registrazione del brevetto, senza conoscenza dell’esito, permette l’iscrizione dalla società come startup innovativa nella Sezione speciale del Registro delle imprese. I marchi, invece, sono esclusi dalle forme di tutela della
proprietà intellettuale, non essendo invenzioni industriali, rilevanti ai fini del requisito oggettivo.
(11) Si ritiene possibile modificare l’oggetto sociale di una
società di capitali o cooperativa già costituita alla data di entrata in vigore della legge di conversione del D.L. n. 179/2012
per adeguarlo alla normativa sulle startup innovative benché
sia decorso il termine di 60 giorni previsto per l’iscrizione alla
sezione speciale del registro delle imprese, stante le modifiche
apportate dall’art. 9, comma 16 bis, D.L. 28 giugno 2013, n.
76, convertito, con modificazioni, dalla L. 9 agosto 2013, n. 99
al testo del comma 3 dell’art. 25. Nella vecchia formulazione,
infatti, era possibile considerare start up innovative anche società già costituite alla data di conversione in legge del decreto
179, purché entro 60 giorni dalla stessa data depositassero
presso l’Ufficio del registro delle imprese, di cui all’art. 2188
c.c. una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale
che attestasse il possesso dei predetti requisiti. L’attuale testo
del comma 3 citato prevede invece che “Le società già costituite alla data di entrata in vigore della legge di conversione
del presente decreto e in possesso dei requisiti previsti dal
comma 2, sono considerate start-up innovative ai fini del presente decreto se depositano presso l’Ufficio del registro delle
imprese, di cui all’articolo 2188 del codice civile, una dichiarazione sottoscritta dal rappresentante legale che attesti il possesso dei requisiti previsti dal comma 2.”. È pertanto divenuto
irrilevante il decorso del termine di 60 giorni originariamente
previsto nella disciplina. In senso favorevole alla possibilità che
una società di capitali o cooperativa già costituita adotti successivamente la qualifica di start up innovativa sembra esprimersi l’Orientamento 41-2014 dell’Osservatorio sul Diritto Societario del Consiglio Notarile di Firenze (secondo cui “È legittimo prevedere nell’atto costitutivo di una s.r.l. che aspiri programmaticamente alla qualificazione di ‘start up innovativa’ la
conversione automatica delle partecipazioni di alcuni soci in
‘quote di categoria’ di valore standardizzato, oggettivamente
dotate di diritti particolari, ai sensi dell’art. 26 comma 2 D.L.
179/2012, subordinatamente alla condizione dell’iscrizione della società nella sezione speciale del registro delle imprese ai
sensi dell’art. 25, comma 8, D.L. 179/2012”).
(12) Quest’ultimo adempimento si concretizza attraverso la
redazione del “Documento di descrizione di impatto sociale”,
da redigere secondo le indicazioni contenute nella apposita
guida predisposta dal Ministero dello Sviluppo economico. Tale Documento deve essere trasmesso, con cadenza annuale,
per via telematica alla Camera di Commercio competente territorialmente.
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4) Offline/Online Integration: sono molti i casi di
successo di startup che si adoperano per l’integrazione tra Offline e Online.
5) Increased Cloud-Based Products and Services: il
mercato sta entrando in una nuova era caratterizzata da soluzioni cloud-based, in cui sia la tecnologia
che il numero di utenti crescono esponenzialmente
assieme ad una nuova variegata gamma di opportunità di business, grazie a prodotti e soluzioni innovative e inaspettate.
6) Smart Wellness: sempre di più si va nella direzione di soluzioni internet-based per il personal fitness e il benessere. Gli smartphone possono infatti
aiutare le persone a mangiare meglio, a monitorare
il sonno, a fare la spesa alimentare in maniera più
intelligente e salutare.
7) New Communications: internet permette una
vasta gamma di nuove funzionalità di comunicazione, oggi infatti è possibile affiancare alla comunicazione testuale anche i video e la voce. Le comunicazioni, inoltre, dai dispositivi fissi si spostano
sempre di più sul mobile aprendo una serie di nuove opportunità di business per startup e imprese in
grado di creare innovazioni nell’ambito delle telecomunicazioni.
8) Smart Government: la tecnologia innovativa in
ambito governativo e delle forze dell’ordine si sposta sempre più dal ristretto ambito dei siti web e
della connettività mobile, aggiungendo nuove funzionalità e applicazioni internet-based che consentono di modificare l’utilizzo, ad esempio, dei veicoli
o delle informazioni e dei dati.
9) Green Tech/Clean Tech/Cause Tech: la tecnologia può rappresentare una valida risoluzione ai
problemi inerenti le energie green o problemi a livello mondiale come lo spreco di cibo.
10) Education: la tecnologia può aiutare a migliorare le esperienze di apprendimento.
Le start-up innovative, per beneficiare della disciplina di favore prevista dagli artt. 26-30 del D.L. n.
179/2012, devono iscriversi nel Registro delle imprese nella Sezione speciale a loro dedicata (13).
L’iscrizione avviene trasmettendo in via telematica
alla Camera di Commercio territorialmente com(13) Nell’ambito delle agevolazioni previste per le start up
innovative e gli incubatori certificati l’Agenzia chiarisce che l’esonero, a decorrere dall’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese, dal pagamento dell’imposta di bollo è da
intendere come “esonero generale, relativo a tutti gli atti posti
in essere dalle start up innovative, successivi all’iscrizione nel
registro delle imprese, quali gli aumenti di capitale agevolati”.
L’esonero suddetto vale non solo per la domanda d’iscrizione
442
petente una dichiarazione di autocertificazione di
possesso dei requisiti su esposti.
Nel caso di una nuova società, l’impresa deve comunicare l’inizio dell’attività contestualmente alla
costituzione. In caso contrario non può chiedere
l’iscrizione nella Sezione speciale, con la conseguenza che l’atto costitutivo viene iscritto nella
Sezione ordinaria, con l’assolvimento dell’imposta
di bollo e dei diritti di segreteria.
I dati forniti al momento dell’iscrizione nella Sezione speciale devono essere aggiornati con cadenza non superiore a 6 mesi (art. 25, comma 14, D.L.
n. 179/2012), anche nel caso in cui non vi siano
aggiornamenti da segnalare, infatti in tale ultima
ipotesi la società start-up deve comunque confermare che le informazioni già depositate sono aggiornate.
In particolare: start up e disciplina societaria
La disciplina delle start up deroga in più punti a
quanto dettato dal legislatore in materia societaria
in considerazione della peculiare caratteristica di
tali società, in particolare:
Nelle start up innovative il termine entro il quale
la perdita deve risultare diminuita a meno di un
terzo stabilito dagli artt. 2446, comma 2 e 2482 bis,
comma 4, c.c., è posticipato al secondo esercizio
successivo.
Il vantaggio consiste quindi nel posticipare di 12
mesi il periodo previsto dal codice civile per le
S.p.a. e le S.r.l.
Nelle start up innovative che si trovino nelle ipotesi previste dagli artt. 2447 o 2482 ter c.c., ossia nel
caso di perdite che comportino la riduzione del capitale al di sotto del minimo legale, l’assemblea,
convocata senza indugio dagli amministratori, in
alternativa all’immediata riduzione del capitale e al
contemporaneo aumento del medesimo a una cifra
non inferiore al minimo legale, può deliberare di
rinviare tali decisioni, in merito alla ricapitalizzazione, alla chiusura dell’esercizio successivo. Fino
alla chiusura di tale esercizio non opera la causa di
scioglimento della società per riduzione o perdita
del capitale sociale.
alla sezione speciale ma anche “per la presentazione della domanda d’iscrizione in cui si presenta la costituzione” (cfr. La
start up innovativa, Guida sintetica per utenti esperti sugli adempimenti societari, redatta dalle Camere di Commercio con il
coordinamento del Ministero dello sviluppo economico, in
http://startup.registroimprese.it). Ne deriva, quindi, che l’esonero dall’imposta di bollo non possa valere per l’atto costitutivo.
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Start up
Alle start up innovative costituite nella forma di
“Società a responsabilità limitata” è consentito
che: l’atto costitutivo possa creare categorie di
quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti
dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie anche in deroga a quanto previsto dall’art. 2468, commi 2 e 3, c.c.
Non sembra, ad esempio, preclusa la creazione di
categorie di quote fornite di diritti diversi il cui
contenuto, derogando a quanto previsto dall’art.
2468, commi 2 e 3, c.c., consista proprio nella
spettanza della facoltà di co-vendita (14), ciò in
quanto l’ampio margine di deroga consentito alle
start up innovative rispetto alla disciplina generale
del diritto societario permette, con la categorizzazione delle partecipazioni, la creazione di quote
obiettivate che si differenziano anche sotto il profilo della spettanza o meno del diritto di co-vendita (15).
L’atto costitutivo, inoltre, può creare categorie di
quote che non attribuiscono diritti di voto o che
attribuiscono al socio diritti di voto in misura non
proporzionale alla partecipazione da questi detenuta ovvero diritti di voto limitati a particolari argomenti o subordinati al verificarsi di particolari condizioni non meramente potestative.
È possibile l’inserimento nell’atto costitutivo di
una S.r.l. start-up innovativa di una clausola che
preveda che l’attribuzione ex novo a singoli soci di
particolari diritti ex art. 2468, comma 3, c.c., sia
approvata con la maggioranza del 51% del capitale
sociale nonché che la modifica e la eliminazione di
quelli già esistenti avvenga con il consenso dei soci
rappresentanti i 2/3 del capitale sociale, stante il
disposto ex comma 4 dell’art. 2468, c.c., il quale,
sebbene in via di principio, stabilisca che i diritti
particolari possono essere modificati solo con il
consenso di tutti i soci (16), ha una portata dispositiva, perché viene fatta salva una diversa previsione nell’atto costitutivo - previsione la cui introduzione richiede essa sì il consenso unanime dei
soci (17) - sì che è possibile che la modifica (o introduzione o soppressione) sia statutariamente rimessa alla maggioranza (18).
In presenza di simile clausola si pone il dubbio se,
in caso di deliberazione a maggioranza spetti o meno il diritto di recesso, stante la previsione per cui
viene fatto salvo in ogni caso quanto previsto dal comma 1 dell’art. 2473, che, tuttavia, si riferisce non al
caso di modifiche dirette, ma al compimento di operazioni che comportano (...) una rilevante modificazione dei diritti attribuiti ai soci a norma dell’art. 2468,
(14) Una recentissima giurisprudenza di merito ha precisato
come le clausole di co-vendita che obblighino i soci di minoranza, che non intendano esercitare il diritto di prelazione ad
essi spettante, a cedere a terzi acquirenti la propria partecipazione agli stessi termini e condizioni cui i soci di maggioranza
intendano trasferire le proprie quote, possano esser legittimamente introdotte, anche a maggioranza, negli statuti di S.r.l. (v.
Trib. Milano, Sez. VIII, 22 dicembre 2014, decr., in CNN Notizie
del 21 aprile 2015, con Segnalazione novità di Ruotolo - Boggiali, Introduzione a maggioranza di una clausola statutaria di
esclusione e di covendita forzata nella s.r.l.).
(15) La pronuncia del Tribunale di Milano (Trib. Milano,
Sez. VIII, 22 dicembre 2014, decr.) che ha affermato la legittimità della clausola di co-vendita (in quanto la ragione costitutiva di una simile previsione statutaria corrisponde all’esigenza
di tutela di un legittimo interesse al disinvestimento, che è anch’esso ricompreso nella causa del contratto di società), appare precludere una diversificazione fra soci quanto alla co-vendita poiché sottolinea la necessario che tutti quanti i soci vengano a trovarsi nella medesima posizione rispetto all’evento
futuro di una possibile cessione totale a terzi, ad esclusione
dunque di qualsivoglia vantaggio o peso attribuito a singoli soci; ciò si traduce nella necessità che la co-vendita riguardi tutti
i soci (e, sotto tale profilo sembra escludersi che la clausola
possa inquadrarsi nell’ambito dei particolari diritti) che devono
esser “posti nella medesima posizione”. Ma la citata pronuncia del Tribunale di Milano si riferisce ad una S.r.l. “ordinaria”,
nella quale il particolare diritto ex art. 2468, c.c. rimane nei
confini tracciati da tale disposizione. Laddove ci si sposta nell’ambito delle deroghe al diritto societario previste dall’art. 26
del decreto legge N. 179/2012 per le start up innovative, non
sembra preclusa la creazione di una categorie di quote il cui
contenuto, derogando a quanto previsto dall’art. 2468, commi
2 e 3, c.c., consista proprio nella spettanza della facoltà di covendita.
(16) La ratio della previsione - che richiede il consenso di
tutti i soci e non solo di quello il cui diritto particolare sia modificato - sembra rinvenirsi nella possibile sussistenza di un interesse specifico, di natura non individuale ma organizzativa, al
mantenimento delle pattuizioni originarie oltre che nel rilievo
più marcatamente contrattualistico del diritto particolare. Si ritiene che il riferimento alla modificazione dei diritti debba interpretarsi estensivamente, con riferimento, quindi, tanto all’introduzione (Marasà, Maggioranza e unanimità nelle modificazioni dell’atto costitutivo della s.r.l., in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum Gian Franco Campobasso, III, Torino, 2006,
710; Santus - De Marchi, Sui “particolari diritti” del socio nella
nuova s.r.l., in Riv. not., 2004, 95) quanto alla soppressione dei
particolari diritti (Cagnasso, La società a responsabilità limitata,
in Tratt. Cottino, V, Padova, 2007, 130; Cavanna, Partecipazione e “diritti particolari” dei soci, in Sarale, Le nuove s.r.l., Bologna, 2008, 102 s.; Daccò, I diritti particolari del socio nelle s.r.l.,
in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G. F. Campobasso, III, Torino, 395 ss.; Santus - De Marchi, cit., 95 s.).
(17) Così: Trib. Trento, in Società, 2005, 1157.
(18) Invero, proprio con riguardo all’introduzione, taluni
hanno espresso dubbi sulla possibilità che una generica clausola che rimetta alla maggioranza la modificazione dei particolari diritti possa di per sé interpretarsi estensivamente anche
come riguardante l’introduzione di “nuovi” particolari diritti,
perché il socio non sarebbe posto in grado di conoscere preventivamente quale sia il grado di compressione della propria
sfera individuale derivante dalla introduzione di un diritto particolare ex novo, mentre maggiore consapevolezza, se non altro
dell’ambito operativo, vi sarebbe con riguardo alla modifica o
soppressione a maggioranza. Non sembra tuttavia possibile
differenziare tra le tre fattispecie della modifica, della soppressione e dell’introduzione, salvo a consigliarsi comunque l’espressa loro enunciazione nella clausola.
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comma 4. A riguardo, secondo alcuni Autori, il diritto di recesso opererebbe quale correttivo della
previsione del potere della maggioranza di incidere
sui diritti sociali (19); dall’altra parte, tuttavia, altri
ritengono che in caso di attribuzione del potere di
modificazione a maggioranza dei diritti particolari
il legislatore non abbia inteso riconoscere il diritto
di recesso, in virtù dell’adozione volontaria, da parte dei soci, di una regola organizzativa in deroga a
quella dell’unanimità (20).
- Sebbene sia discusso se, a seguito di vicende circolatorie della partecipazione, sia inter vivos che
mortis causa, i diritti particolari possano seguire
dette vicende, trasferendosi con la partecipazione,
o se, viceversa, necessariamente si estinguano (21),
una clausola che preveda che “i diritti particolari
alla morte dei soci si trasferiscano agli eredi di questi” sembra adottabile in una S.r.l. soggetta al regime speciale delle start up innovative, in cui, in deroga alla disciplina ordinaria, è possibile la creazione di categorie di quote, e nella quale v’è maggior
spazio per l’oggettivizzazione della partecipazione
sociale.
- Ancora, l’atto costitutivo può prevedere, a seguito dell’apporto da parte dei soci o di terzi anche di opera o servizi, l’emissione di strumenti fi-
nanziari forniti di diritti patrimoniali o anche di
diritti amministrativi, escluso il voto nelle decisioni dei soci, ai sensi degli artt. 2479 e 2479
bis c.c.
In deroga a quanto previsto dall’artt. 2468, comma 1, c.c., le quote di partecipazione in start up
innovative costituite in forma di S.r.l. possono
costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso portali per la
raccolta di capitali, nei limiti previsti dalle leggi
speciali.
In presenza di S.r.l., il divieto di operazioni sulle
proprie partecipazioni stabilito dall’art. 2474 c.c.
non trova applicazione qualora l’operazione sia
compiuta in attuazione di piani di incentivazione
che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti, collaboratori o componenti
dell’organo amministrativo, prestatori di opera e
servizi anche professionali.
In favore delle start up innovative è anche prevista l’esenzione dal pagamento dell’imposta di
bollo e dei diritti di segreteria dovuti per gli
adempimenti relativi alle iscrizioni nel registro
delle imprese, nonché dal pagamento del diritto
annuale dovuto in favore delle camere di commercio (22).
(19) Secondo gli autori sarebbe irragionevole attribuire il diritto di recesso a seguito di una modificazione “indiretta” del
diritto particolare, e non riconoscerlo a seguito di una modificazione diretta (in questo senso, ad esempio, Maltoni, sub art.
2468, in Comm. Maffei Alberti, Padova, 2005, 1829; Perrino, La
“rilevanza del socio nella s.r.l.: recesso, diritti particolari, esclusione, in Santoro, La nuova disciplina della società a responsabilità limitata, a cura di Santoro, Milano, 2003, 130).
(20) Cosi, Guglielmo - Silva, I diritti particolari del socio. Vicende della partecipazione tra regole legali ed autonomia statutaria, in Studi e materiali, 2011, 1299 ss.
(21) Secondo una prima opinione, il diritto particolare non
sarebbe suscettibile di trasferimento, anche in assenza di clausole limitative della circolazione delle quote, della partecipazione del socio titolare di particolari diritti: intrasferibilità che deriverebbe dalla inerenza dei particolari diritti non alla partecipazione sociale in quanto tale - che darebbe luogo ad una oggettivizzazione e, in definitiva, alla creazione di categorie di quote
- ma esclusivamente alla persona del socio. Secondo altri, invece, “l’atto costitutivo può liberamente stabilire sia il regime
di circolazione delle partecipazioni, sia la sorte dei particolari
diritti in caso di alienazione parziale o totale delle partecipazioni medesime, nonché l’eventuale deroga alla norma dettata
nell’art. 2468, comma 4, c.c., in base alla quale i particolari diritti “possono essere modificati solo con il consenso di tutti i
soci”; la possibilità di estendere la portata della norma in questione trova ragione nel fatto che, diversamente, si introdurrebbe un limite all’autonomia statutaria in contrasto con uno
dei principali tratti caratterizzanti la “nuova” s.r.l., limite che,
viceversa, non sarebbe ravvisabile nell’ambito delle S.p.A. ove,
come è noto, non solo l’art. 2348 c.c. lascia ampia libertà nel
“modulare” i diritti delle azioni di categoria, ma è anche possibile interpretare in senso estensivo la previsione in tema di
strumenti finanziari, di cui all’art. 2346 c.c., che legittima l’at-
tribuzione (ai suddetti strumenti finanziari) di diritti patrimoniali
o anche di diritti amministrativi. (In tal senso, recentemente,
anche Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 46, secondo
cui “l’art. 2468 - nel regolare l’ipotesi in cui l’autonomia negoziale voglia introdurre deroghe al principio di uguaglianza e di
proporzionalità del contenuto delle partecipazioni sociali, le
quali, difatti, nel modello legale, attribuiscono ai soci i medesimi diritti, in misura proporzionale alla misura della partecipazione - chiarisce anzitutto che, in linea di principio, l’eventuale
deroga all’uguaglianza ed alla proporzionalità dà luogo all’attribuzione di particolari diritti a singoli soci e non già alla creazione di partecipazioni sociali di per sé dotate di diritti diversi rispetto alle altre. Da ciò dovrebbe conseguire che, in mancanza
di appositi patti in diverso senso, non solo i diritti particolari
sono immodificabili se non all’unanimità - come espressamente dispone il comma 4 - ma essi sono anche intrasferibili insieme alla partecipazione, la cui alienazione, pertanto, dovrebbe
comportare l’estinzione dei medesimi. La massima, pertanto,
conclude che l’atto costitutivo può altresì liberamente stabilire
sia il regime di circolazione delle loro partecipazioni, sia la sorte dei particolari diritti in caso di alienazione parziale o totale
delle partecipazioni medesime, nonché l’eventuale deroga alla
norma dettata nell’art. 2468, comma 4, c.c., in base alla quale
i particolari diritti “possono essere modificati solo con il consenso di tutti i soci”).
(22) L’esenzione è dipendente dal mantenimento dei requisiti previsti dalla legge per l’acquisizione della qualifica di start
up innovativa e di incubatore certificato e dura comunque non
oltre il quarto anno di iscrizione. Con circ. n. 16/E dell’11 giugno
2014, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che l’esonero dal versamento dell’imposta di bollo va inteso come esonero generale, relativo a tutti gli atti posti in essere dalle start-up innovative, successivi all’iscrizione nel registro delle imprese, quali gli
aumenti di capitale agevolati.
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Equitycrowdfunding e start up innovative
Il legislatore nazionale, sulla scia di quanto già realizzato negli Stati Uniti con l’introduzione del
JOBS Act (Jumpstart Our Business StartupsAct) dell’aprile 2012, col D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, denominato “Crescita bis” e convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, ha provveduto ad inserire la disciplina dell’equity crowdfunding (nonché la relativa applicazione ai processi di
finanziamento destinati alle cd. start-up innovative) nell’ambito di specifiche misure volte a rilanciare la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture nazionali e la competitività del mercato interno,
in vista di un loro efficace utilizzo nell’ambito delle
operazioni di finanziamento di aziende start-up.
La raccolta del capitale di rischio tramite portali
online, comunemente conosciuta come crowdfunding, rappresenta una delle modalità su cui il Legislatore si è mosso al fine di promuovere e agevolare
la raccolta di capitali da parte delle start up che,
del resto, non potendo essere quotate sui mercati
regolamentati o sui sistemi multilaterali di negoziazione, potevano riscontrare difficoltà di reperimento del capitale.
L’equitycrowdfunding offre un’efficace soluzione alle
turbolenze derivanti dalla crisi economica e dalle
carenze nell’erogazione del credito da parte degli
operatori bancari.
In Italia la normativa sull’equity crowdfunding è entrata in vigore prima di ogni altro paese Europeo;
la raccolta del capitale di rischio dalla folla è stata
regolamentata dal c.d. “ Decreto Crescita 2.0”.
La Consob, in ossequio a quanto previsto dall’art.
50 quinquies del TUB come introdotto con Decreto
crescita bis, ha dapprima pubblicato, in data 29
marzo 2013, sul proprio sito internet la bozza di regolamento, adottandolo poi in via definitiva con la
delibera n. 18592.
Con il regolamento in oggetto viene istituito il registro dei gestori del portale come previsto dall’art.
50 quinquies, comma 2, D.Lgs. n. 58/1998 (il Testo
unico bancario o TUB), ne vengono disciplinati
contenuto, requisiti richiesti e modalità di iscrizione, modifiche e revoche, nonché, e forse aspetto
più rilevante, sono individuate le informative che
debbono essere rese sia in tema di start up oggetto
dell’investimento che di offerte promosse e modalità di adesione.
In particolare, l’attività di gestione dei portali online per la raccolta del capitale di rischio è riservata
alle imprese di investimento e alle banche autorizzate ai servizi di investimento che confluiscono in
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una sezione speciale del registro, e ai soggetti iscritti nel registro disciplinato dal Regolamento di cui
alla delibera Consob n. 18592.
Tali ultimi soggetti per espressa previsione normativa di cui all’art. 50 quinquies, comma 2, D.Lgs. n.
58/1998, possono gestire i portali solamente a condizione che trasmettano gli ordini riguardanti la
sottoscrizione e la compravendita di strumenti finanziari rappresentativi di capitale solo a banche e
imprese di investimento.
Il registro si compone anche di una sezione speciale dove sono rilevate le imprese di investimento e
le banche autorizzate ai relativi servizi di investimento che comunicano alla Consob, anteriormente all’avvio dell’operatività, lo svolgimento dell’attività di un portale secondo le regole stabilite nell’Allegato 1 al Regolamento.
L’iscrizione al registro dei gestori presuppone il
possesso di alcuni requisiti che derivano dal combinato disposto dell’art. 50 quinquies, comma 3, TUB
e degli artt. 8 e 9 del Regolamento Consob.
L’art. 13 del Regolamento individua gli obblighi
generali posti in capo al gestore del portale che deve svolgere la propria attività con trasparenza ed
evitando possibili conflitti di interesse.
In particolare, è fatto obbligo di rendere disponibili
tutte le informazioni necessarie ai possibili investitori per comprendere appieno tipologia e caratteristiche dell’investimento proposto.
Le informazioni devono essere aggiornate e accessibili almeno per i 12 mesi successivi alla chiusura
delle offerte e per 5 anni, sempre dalla chiusura, a
chi ne facesse esplicita richiesta.
A tutela degli investitori, limitatamente ai soggetti
diversi dagli investitori istituzionali, il gestore deve
fare presente il rischio dell’investimento e deve assicurare il diritto al recesso dall’ordine di adesione,
senza oneri, entro comunque 7 giorni dalla data
dell’ordine.
Come previsto dall’art. 24, comma 2, è necessario
che almeno il 5% degli strumenti finanziari offerti
sia sottoscritta da investitori professionali, da fondazioni bancarie o da incubatori di start up innovative di cui all’art. 25, comma 5 del Decreto crescita
bis.
Inoltre, il gestore deve effettuare le dovute verifiche nei confronti della start up innovativa e in particolare verificare che l’atto costitutivo o lo statuto
prevedano la pubblicità dei patti parasociali (i quali devono essere noti sia alla società sia al pubblico attraverso il sito internet della start up innovativa), il diritto di
recesso dalla società o il diritto di co-vendita della partecipazioni e le relative modalità di esercizio, nell’i-
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potesi che successivamente all’investimento, i soci
di controllo trasferiscano il controllo a terzi, in favore di soggetti diversi da quelli che al momento
dell’investimento detenevano il 5% del capitale
come previsto dal comma 2. I diritti testé individuati devono sussistere per almeno 3 anni dalla
conclusione dell’offerta.
L’art. 25, comma 2, inoltre, prevede il diritto di revoca nell’ipotesi in cui tra il momento dell’adesione e quello di effettiva chiusura sopravvengano fatti nuovi o siano rilevati errori materiali nelle informazioni offerte sul portale in relazione all’investimento stesso. Il diritto deve essere esercitato entro
7 giorni dalla data in cui le nuove informazioni sono state portate a conoscenza dell’investitore.
È fatto obbligo al gestore del portale fornire le necessarie informazioni in merito alla gestione dello
stesso.
In aggiunta alle informazioni di carattere generale,
il Regolamento, a tutela dell’investitore, prevede
specifiche informazioni in riferimento alla singola
offerta presentata sul portale.
Dovranno essere fornite informazioni specifiche
sulla start up emittente, sulla tipologia e le caratteristiche degli strumenti emessi e sull’offerta stessa.
È, infine, necessario fornire le dovute informazioni
sulle banche e le imprese di investimento che gestiranno il flusso di ordini e sulle eventuali modalità di restituzione dell’investimento in caso di giusto esercizio di recesso e/o revoca.
di operazioni volte a vendere al pubblico le azioni
della società da costituire).
La costituzione mediante pubblica sottoscrizione
consiste in un procedimento complesso che si compone di fasi diverse:
a) i promotori hanno il compito di redigere un programma dal quale devono risultare gli elementi che
caratterizzano la società (es.: attività sociale, capitale della società); tale programma deve essere sottoscritto dai promotori, autenticato e depositato
presso un notaio;
b) l’ulteriore fase consiste nell’individuare i soggetti
che acquistano le azioni sociali.
L’atto che comprova la sottoscrizione delle azioni
sociali deve inoltre contenere le informazioni necessarie ad individuare i futuri soci.
Analogamente all’equitycrowdfunding, la pubblica
sottoscrizione raccoglie capitale di rischio ed entrambi possono definirsi un “finanziamento dalla
folla”.
Tuttavia l’equitycrowdfunding per la raccolta del capitale di rischio si avvale dell’impiego del web, dei
social media e dei sistemi di pagamento elettronici;
l’attività e la raccolta fondi, quindi, avviene su
piattaforme che operano da match makers (responsabili delle partite).
Equitycrowdfunding: una assoluta
novità?
A) I Ipotesi
Il modello dell’equitycrowdfunding, prima del D.L.
18 ottobre 2012, n. 179, (denominato “Crescita
bis”), convertito con modificazioni dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221, non può dirsi del tutto sconosciuto al nostro ordinamento.
Un retaggio dell’istituto in esame può infatti trovarsi nel disposto di cui all’art. 2333 c.c. (23).
La norma considera l’ipotesi in cui la costituzione
della società per azioni avvenga attraverso il procedimento di pubblica sottoscrizione, attraverso cioè
una sollecitazione al pubblico risparmio (si tratta
(23) Art. 2333 c.c. “Programma e sottoscrizione delle azioni
- [1] La società può essere costituita anche per mezzo di pubblica sottoscrizione sulla base di un programma che ne indichi
l’oggetto e il capitale, le principali disposizioni dell’atto costitutivo e dello statuto, l’eventuale partecipazione che i promotori
si riservano agli utili e il termine entro il quale deve essere stipulato l’atto costitutivo.
[2] Il programma con le firme autenticate dei promotori, pri-
446
Tecnica redazionale
Alla luce di quanto sopra illustrato, di seguito si
procederà ad enucleare, in maniera schematica, alcuni suggerimenti pratici.
Ove il notaio sia richiesto di ricevere l’atto costitutivo di una società di capitali avente ad oggetto
“l’attività di raccolta di capitali per le start-up innovative, c.d. crowdfunding, prevista dall’art. 50quinquies del TUF”:
Quanto all’oggetto sociale, premesso che:
sebbene tale attività risulti riservata alle imprese di
investimento e alle banche, tuttavia, può essere
svolta anche da soggetti iscritti in apposito registro
tenuto dalla Consob a condizione che gli ordini riguardanti la sottoscrizione e la compravendita di
strumenti finanziari rappresentativi di capitale siama di essere reso pubblico, deve essere depositato presso un
notaio.
[3] Le sottoscrizioni delle azioni devono risultare da atto
pubblico o da scrittura privata autenticata. L’atto deve indicare
il cognome e il nome o la denominazione, il domicilio o la sede
del sottoscrittore, il numero delle azioni sottoscritte e la data
della sottoscrizione”.
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no trasmessi esclusivamente a banche e ad imprese
di investimento (art. 50 quinquies TUF);
non sembra essere corretto prevedere quale oggetto
sociale “l’attività di raccolta di capitali per le start
up innovative”, posto che la raccolta di capitali resta soggetta alle riserve di cui al TUB e al TUF;
l’oggetto sociale dovrebbe essere del seguente tenore letterale:
“il servizio di gestore di portali per la raccolta di
capitali per le star up innovative” (24).
Quanto all’ammontare del capitale sociale:
- poiché né nel TUF né nel Regolamento CONSOB risultano previsti dei minimi di capitale sociale, ne consegue che si applicherà la disciplina attualmente vigente per il tipo sociale (e cioè il capitale minimo di legge).
B) II Ipotesi
Ove, invece, il notaio sia richiesto di ricevere l’atto costitutivo/ modificativo di una start up che decida di avvalersi dell’istituto del crowdfunding.
In primo luogo, l’atto costitutivo deve prevedere:
- la normativa dettata dal D.L. n. 179 del 18 ottobre 2012, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n.
221, in materia di start up innovative (e precisamente la disciplina della raccolta del capitale di rischio tramite Crowfunding);
- la pubblicità dei patti parasociali (i quali devono
essere noti sia alla società sia al pubblico attraverso
il sito internet della start up innovativa);
- il diritto di recesso dalla società o il diritto di covendita della partecipazioni;
- la possibilità di riservare l’aumento dì capitale a
terzi.
Ove l’atto costitutivo nulla preveda è opportuna
una previa modifica statutaria che recepisca i punti
suddetti.
Formula tipo:
“...
ORDINE DEL GIORNO
Adozione di un nuovo testo dello statuto sociale;
...
Prende la parola il Presidente, il quale propone di adottare un nuovo testo dello statuto sociale che preveda,
tra l’altro, di recepire le nuove opportunità introdotte
dalla normativa dettata dal D.L. 18 ottobre 2012, n.
179, convertito dalla Legge 17 dicembre 2012, n.
221, in materia di start up innovative (e precisamente
la disciplina della raccolta del capitale di rischio tramite
Crowdfunding), nonché di introdurre la clausola di covendita e la previsione della pubblicità dei patti parasociali.
Il Presidente passa pertanto ad illustrare, in modo ampio ed approfondito, il nuovo testo dello statuto sociale
che propone all’assemblea di adottare e indi ne dà lettura.
A questo punto l’assemblea, dopo adeguata discussione, con voto espresso mediante alzata di mano, all’unanimità
DELIBERA
I
- di approvare il nuovo testo dello statuto sociale come
illustrato e letto dal Presidente, prevedendo, tra l’altro,
di recepire le nuove opportunità introdotte dalla normativa dettata dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla Legge 17 dicembre 2012, n. 221, in materia di start up innovative (e precisamente la disciplina
della raccolta del capitale di rischio tramite Crowdfunding), nonché di introdurre la clausola di co-vendita e
la previsione della pubblicità dei patti parasociali.
Di modificare, pertanto:
- l’articolo ...) dello statuto nel modo seguente:
‘ ARTICOLO ...’ AUMENTO E RIDUZIONE
DEL CAPITALE
Per le decisioni di aumento e riduzione del capitale sociale si applicano gli artt. 2438 (se SPA) / 2481 (se
SRL) e seguenti del codice civile.
(SOLO PER LA SRL: ‘Salvo il caso di cui all’art.
2482-ter codice civile’), gli aumenti del capitale possono essere attuati anche mediante offerta di partecipazioni di nuova emissioni a terzi; in tal caso, spetta ai
soci che non hanno concorso alla decisione il diritto di
recesso a norma dell’art. 2437(SE SPA)/2473 (SE
SRL) codice civile’.
(SOLO PER LA SRL: ‘In deroga a quanto previsto
dell’art. 2468, comma primo, del codice civile’), le
quote di partecipazione della società possono costituire
oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, in
Italia o all’estero, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali di cui all’articolo 30 del D.L. n. 179
del 18.10.2012, convertito con modificazioni nella L.
n. 221 del 17.12.2012 e successive modificazioni ed
integrazioni.
Il diritto di sottoscrizione può essere escluso dall’assemblea in riferimento a quote da liberarsi in natura o a
quote offerte in sottoscrizione a dipendenti e/o a collaboratori in attuazione di piani di incentivazione che
prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a
dipendenti, collaboratori, componenti dell’Organo Am-
(24) Così Quesito CNN n. 850-2014/I.
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ministrativo, prestatori d’opera e di servizi anche professionali).
(SOLO PER SRL: ‘In attuazione di piani di incentivazione che prevedano l’assegnazione di quote di partecipazione a dipendenti e/o a collaboratori, componenti
dell’Organo Amministrativo, prestatori d’opera e di
servizi anche professionali la società può anche effettuare operazioni su quote proprie, anche escludendo il
diritto di sottoscrizione, in deroga al disposto dell’articolo 2474 codice civile, come previsto dall’art.26,
comma 6 del D.L. n. 179 del 18.10.2012, convertito
con modificazioni in L. n. 221 del 17.12.2012 e successive modificazioni ed integrazioni.’);
- di introdurre l’articolo ...) dello statuto sociale avente
il seguente tenore testuale:
‘ARTICOLO ...’ CLAUSOLA DI CO-VENDITA
1.1 Nel caso in cui i ‘Soci di Controllo’ - per tale intendendosi il socio persona fisica o giuridica, ovvero
più soci congiuntamente, che dispongono, direttamente
o indirettamente, anche tramite patti parasociali, della
maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria, ovvero dispongono di voti sufficienti per esercitare
un’influenza dominante nell’assemblea ordinaria - decidano dì cedere le proprie partecipazioni sociali per l’effetto di trasferire il controllo della società a terzi, deve
osservarsi la seguente disciplina.
1.2 I ‘Soci di Controllo’ dovranno procurare che il cessionario della loro partecipazione sociale offra irrevocabilmente di acquistare per iscritto, anche le partecipazioni sociali di tutti gli altri soci titolari del diritto di covendita, ad un prezzo unitario identico a quello offerto
dall’acquirente ai ‘Soci di Controllo’ stessi.
1.3 Il diritto di co-vendita è attribuito a tutti i soci,
escluse le fondazioni bancarie, gli incubatori di start up
innovative previsti dall’art. 25 del D.L. n. 179 del
18.10.2012, convertito con modificazioni in L. n.
221 del 17.12.2012 e successive modificazioni ed integrazioni, gli investitori professionali privati di diritto,
individuati nell’Allegato 3, punto I, del Regolamento
Consob in materia di intermediari, adottato con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 e successive modifiche, nonché gli investitori professionali pubblici di diritto previsti dall’articolo 2 del decreto ministeriale 11 novembre 2011, n. 236 emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze.
1.4 I ‘Soci di Controllo’, ai fini di consentire l’esercizio
del diritto di co-vendita agli altri soci, comunicheranno
agli stessi, per e-mail, al loro indirizzo risultante dal
Registro delle Imprese, 1’intenzione di cedere la loro
partecipazione sociale insieme ad una copia dell’offerta
scritta dì acquisto irrevocabile delle quote di tutti gli altri soci, formulata dal terzo acquirente.
448
1.5 Ogni socio, potrà comunicare la propria intenzione
di esercitare il diritto di co-vendita, entro e non oltre
20 giorni dalla data nella quale avrà ricevuto la relativa
comunicazione dai ‘Soci di Controllo’. I soci che non
eserciteranno il loro diritto di co-vendita nel termine
suddetto si intenderanno decaduti dal relativo diritto,
fermo restando il loro diritto di esercitare il diritto di
co-vendita in relazione a qualsiasi successiva cessione
di partecipazioni sociali che ricada nell’ambito di applicazione del presente articolo.
1.6 Qualora 1’acquirente si rifiutasse di acquistare anche le quote messe in vendita dagli altri soci insieme a
quelle dei ‘Soci dì Controllo’, la vendita al terzo sarà
inefficace nei confronti degli altri soci e della società,
salvo il caso in cui i ‘Soci di Controllo’ non procedano
loro stessi, contestualmente, all’acquisto dì tutte le
quote messe in vendita dagli altri soci al medesimo
prezzo unitario offerto dal terzo acquirente.
1.7 La vendita della quota dei ‘Soci di Controllo’ insieme alle quote offerte in vendita dagli altri soci che hanno esercitato il diritto di co-vendita, ed il pagamento
del relativo prezzo, dovranno avere luogo entro e non
oltre 15 giorni dalla data in cui sarà cessato il periodo
per l’esercizio del diritto di co-vendita, nel luogo ed all’orario fissati dall’acquirente.
Ove i soci non diano corso alle formalità necessarie per
il trasferimento della quota a favore dell’acquirente entro il predetto termine, si considereranno decaduti dall’esercizio del diritto di co-vendita che, conseguentemente, non potranno più vantare in relazione all’operazione di trasferimento delle partecipazioni sociali agli
stessi già comunicata ai sensi del precedente paragrafo
11-bis.4. In tal caso 1’acquirente sarà libero di dare
corso all’acquisto di tutte le altre partecipazioni sociali
e nessun diritto potrà essere vantato dai soci decaduti
dal diritto dì co-vendita nei suoi confronti, in relazione
alla predetta compravendita.
1.8 Laddove il trasferimento di partecipazioni sociali
da parte dei ‘Soci di Controllo’ che determini la perdita
del controllo sulla società, abbia luogo nell’ambito di
una serie di cessioni, compiute nell’arco temporale dei
precedenti 12 mesi a favore del medesimo acquirente o
di più acquirenti diversi, l’offerta di acquisto irrevocabile avente ad oggetto le quote degli altri soci dovrà essere
promossa dagli stessi ‘Soci di Controllo’ al prezzo unitario più alto pagato nel corso delle predette transazioni.
1.9 La società ed i suoi amministratori non daranno
corso ad annotazioni di trasferimenti di partecipazioni
sociali che abbiano avuto luogo in violazione del presente articolo.
1.10 Nel caso in cui i soci diversi dai ‘Soci di Controllo’ non intendano usufruire del diritto di co-vendita
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previsto dall’art. 11-bis del presente Statuto, e l’offerta
di acquisto formulata dall’acquirente abbia ad oggetto
1’intero capitale sociale della società come condizione
di efficacia dell’offerta di acquisto, deve osservarsi la
seguente disciplina.
1.11 Tutti i soci diversi dai ‘Soci di Controllo’, titolari
o meno del diritto di co-vendita, sono tenuti a cedere la
loro partecipazione sociale all’offerente che abbia offerto irrevocabilmente per iscritto di acquistare l’intero capitale sociale della società, ad un prezzo unitario identico a quello offerto dall’acquirente ai ‘Soci di Controllo’
stessi.
1.12 L’obbligo di co-vendita è espressamente attribuito
anche ai soci che non sono titolari del diritto di co-vendita, e cioè le fondazioni bancarie, gli incubatori di
start up innovative previsti dall’art. 25 del D.L. n.
179 del 18.10.2012, convertito con modificazioni in
L. n. 221 del 17.12.2012 e successive modificazioni
ed integrazioni, gli investitori professionali privati di diritto, individuati nell’Allegato 3, punto I, del Regolamento Consob in materia di intermediari, adottato con
delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007 e successive
modifiche, nonché gli investitori professionali pubblici
di diritto previsti dall’articolo 2 del decreto ministeriale
11 novembre 2011, n. 236 emanato dal Ministero dell’economia e delle finanze.
1.13 Ove il prezzo offerto dall’acquirente sia inferiore
al valore che spetterebbe al socio dall’esercizio del diritto di recesso, il socio può esercitare il recesso, secondo
la procedura prevista dall’art... . In tale caso il termine
per l’esercizio del recesso è il medesimo fissato per l’esecuzione dell’obbligo di co-vendita.
1.14 Ove il processo di valutazione della partecipazione del socio recedente conduca ad un valore inferiore
rispetto a quello che il socio avrebbe ottenuto eseguendo
l’obbligo di co-vendita, egli non potrà reclamare alcuna
differenza o maggior valore, assumendosi il rischio inerente la valutazione prevista dal secondo comma dell’art. 2437-ter c.c. (SE SPA)/terzo comma dell’art.
2473 c.c. (se SRL).
1.15 La vendita della quota dei soci diversi dai ‘Soci di
Controllo’ in esecuzione dell’obbligo di co-vendita previsto dal presente articolo o, alternativamente, l’esercizio da parte degli stessi del diritto di recesso, dovranno
avere luogo entro e non oltre 30 giorni dalla data in
cui sarà cessato il periodo per l’esercizio del diritto di
co-vendita nel luogo ed all’orario fissati dall’acquirente.
1.16 La società ed i suoi amministratori non daranno
corso ad annotazioni di trasferimenti di partecipazioni
sociali che abbiano avuto luogo in violazione del presente articolo.’;
- di introdurre l’articolo ...) dello statuto sociale avente
il seguente tenore testuale:
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‘ARTICOLO ...’ PATTI PARASOCIALI
In caso di sottoscrizione di patti parasociali i soci devono consegnare all’Organo Amministrativo una copia
integrale dei patti parasociali sottoscritti e l’Organo
Amministrativo è tenuto a curarne la pubblicazione sul
sito internet della società. In caso di violazione del presente obbligo, oltre alle conseguenze di legge, i patti parasociali sono inopponibili alla società e ai soci non paciscienti.
In caso di offerta al pubblico del diritto di sottoscrizione
del capitale sociale, i soci possono formulare un’offerta
al pubblico di patti parasociali, che vengono stipulati
automaticamente per adesione, mediante la semplice
sottoscrizione del capitale sociale.
I patti così stipulati vincolano i soci offerenti il patto rispetto a ciascun singolo investitore che vi abbia aderito,
ma non gli investitori terzi tra loro.
II
- di delegare l’Organo Amministrativo a dare esecuzione alle delibere testé assunte.
Null’altro essendovi da deliberare e nessuno avendo
chiesto la parola il Presidente dichiara chiusa 1’assemblea essendo le ore ...
Si allega sub ‘...’ lo statuto nella sua versione aggiornata.
I comparenti mi esonerano dalla lettura degli allegati
dichiarando di ben conoscerli.
Richiesto, ricevo il presente atto, scritto parte di mio
pugno e parte a macchina da persona di mia fiducia su
facciate ...di fogli ... viene da me notaio letto ai comparenti, che lo approvano e, con me notaio, lo sottoscrivono alle ore ...”.
La delibera di aumento del capitale mediante il cd
crowdfunding potrebbe essere del seguente tenore:
Formula tipo
Start up con forma di S.P.A.:
“...
ORDINE DEL GIORNO
1) Approvazione della situazione patrimoniale aggiornata al...;
2) Aumento di capitale a pagamento, inscindibile, da
Euro... ad euro..., e quindi per effettivi euro..., con
sovrapprezzo complessivo di Euro..., da offrire in sottoscrizione ai terzi, anche mediante il sistema dell’Equity Crowdfunding, da eseguire mediante emissione di
azioni ordinarie da liberarsi con conferimento in denaro, con termine finale di sottoscrizione al...;
...
Prende la parola il Presidente il quale procede ad illustrare all’adunanza la situazione patrimoniale aggiorna-
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ta al..., dando atto che dalla data di redazione ad oggi
non sono intervenuti fatti di rilievo.
A questo punto l’assemblea, dopo adeguata discussione, con voto espresso mediante alzata di mano, all’unanimità
DELIBERA
I
- di approvare la situazione patrimoniale aggiornata al
giorno...
Passando alla trattazione del successivo punto all’ordine del giorno, il Presidente precisa che la società per
poter sviluppare i progetti tecnologici all’avanguardia
che le attribuiscono la caratteristica di start up innovativa, ha la necessità di raccogliere capitali di rischio da
soggetti terzi interessati a contribuire all’evoluzione ed
alla realizzazione di tali progetti mediante finanziamenti
destinati all’acquisto di una partecipazione sociale.
A tal fine, la società intende avvalersi della possibilità
dì raccogliere tali capitali anche mediante il sistema dell’Equity Crowdfunding, come disciplinato dal D.L. del
18 ottobre 2012, n. 179, convertito nella L. 17 dicembre 2012, n. 221 e successive modifiche ed integrazioni, e dal Regolamento Consob n. 18592.
Il Presidente propone pertanto di procedere ad un aumento del capitale sociale a pagamento, inscindibile, da
Euro ... ad euro..., e quindi per effettivi euro..., con
sovrapprezzo complessivo di Euro..., da eseguire mediante emissione di azioni ordinarie da offrire in sottoscrizione ai terzi, anche mediante il sistema del Crowdfunding, con termine finale di sottoscrizione al...
Per quanto riguarda il prospettato aumento del capitale, il Presidente dichiara che nulla osta al medesimo in
quanto l’attuale capitale sociale di Euro ... risulta interamente versato ed esistente nelle casse della società,
che la società non versa nelle condizioni di cui agli articoli 2446 e 2447 c.c.
Ricorda, inoltre, che ai sensi dell’articolo 2441, comma 5, c.c. sulle azioni di nuova emissione il diritto di
opzione è escluso il tutto come meglio illustrato nella
relazione dall’organo amministrativo, relazione questa
che è stata comunicata dall’organo amministrativo al
Collegio Sindacale ed al soggetto incaricato della revisione legale dei conti nei trenta giorni precedenti la presente adunanza. Nei quindici giorni successivi il Collegio Sindacale ha espresso parere favorevole sulla congruità del prezzo di emissione delle azioni; parere questo che è rimasto depositato nella sede della società durante i quindici giorni precedenti la presente assemblea
affinché i soci potessero prenderne visione.
Il Presidente fa altresì presente che il valore del sovrapprezzo, come sopra indicato, è stato determinato sulla
base della valutazione della società effettuata tenendo
450
conto del suo attuale stato patrimoniale e delle sue prospettive economiche a breve termine.
A questo punto l’assemblea, dopo adeguata discussione, con voto espresso mediante alzata di mano, all’unanimità
DELIBERA
II
- di aumentare il capitale a pagamento, in maniera inscindibile, da Euro... ad euro..., e quindi per effettivi
euro..., con sovrapprezzo complessivo di Euro..., da
eseguire mediante emissione di azioni ordinarie da offrire in sottoscrizione ai terzi, anche mediante il sistema
del Crowdfunding, con termine finale di sottoscrizione
al...
III
- di delegare l’Organo Amministrativo a dare esecuzione alle delibere testé assunte.
Null’altro essendovi da deliberare e nessuno avendo
chiesto la parola il Presidente dichiara chiusa l’assemblea essendo le ore ...
Richiesto, ricevo il presente atto, scritto parte di mio
pugno e parte a macchina da persona di mia fiducia su
facciate ...di fogli ... viene da me notaio letto ai comparenti, che lo approvano e, con me notaio, lo sottoscrivono alle ore ...”.
Start up con forma di S.R.L.:
“...
ORDINE DEL GIORNO
1) Approvazione della situazione patrimoniale aggiornata al...;
2) Aumento di capitale a pagamento, inscindibile, da
Euro... ad euro..., e quindi per effettivi euro..., con
sovrapprezzo complessivo di Euro..., da offrire in sottoscrizione ai terzi, anche mediante il sistema dell’Equity Crowdfunding, da eseguire mediante emissione di
quote ordinarie da liberarsi con conferimento in denaro, con termine finale di sottoscrizione al...;
...
Prende la parola il Presidente il quale procede ad illustrare all’adunanza la situazione patrimoniale aggiornata al..., dando atto che dalla data di redazione ad oggi
non sono intervenuti fatti di rilievo.
A questo punto l’assemblea, dopo adeguata discussione, con voto espresso mediante alzata di mano, all’unanimità
DELIBERA
I
- di approvare la situazione patrimoniale aggiornata al
giorno...
Passando alla trattazione del successivo punto all’ordine del giorno, il Presidente precisa che la società per
poter sviluppare i progetti tecnologici all’avanguardia
che le attribuiscono la caratteristica di start up innova-
Notariato 4/2016
Sinergie Grafiche srl
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Tecniche contrattuali
Start up
tiva, ha la necessità di raccogliere capitali di rischio da
soggetti terzi interessati a contribuire all’evoluzione ed
alla realizzazione di tali progetti mediante finanziamenti
destinati all’acquisto di una partecipazione sociale.
A tal fine, la società intende avvalersi della possibilità
dì raccogliere tali capitali anche mediante il sistema dell’Equity Crowdfunding, come disciplinato dal D.L. 18
ottobre 2012, n. 179, convertito nella L. 17 dicembre
2012, n. 221 e successive modifiche ed integrazioni, e
dal Regolamento Consob n. 18592.
Il Presidente propone pertanto di procedere ad un aumento del capitale sociale a pagamento, inscindibile, da
Euro ... ad euro..., e quindi per effettivi euro..., con
sovrapprezzo complessivo di Euro..., da eseguire mediante emissione di quote ordinarie da offrire in sottoscrizione ai terzi, anche mediante il sistema del Crowdfunding, con termine finale di sottoscrizione al...
Per quanto riguarda il prospettato aumento del capitale, il Presidente dichiara che nulla osta al medesimo in
quanto l’attuale capitale sociale di Euro ... risulta interamente versato ed esistente nelle casse della società,
che la società non versa nelle condizioni di cui agli articoli 2482-bis e 2482-ter c.c..
Ricorda, inoltre, che la possibilità di riservare l’aumento dì capitale a terzi è espressamente prevista all’art...
dello statuto sociale e che in tal caso spetta ai soci che
non consentono alla presente decisione il diritto di recesso a norma dell’art. 2473 c.c.
Notariato 4/2016
Il Presidente fa altresì presente che il valore del sovrapprezzo, come sopra indicato, è stato determinato sulla
base della valutazione della società effettuata tenendo
conto del suo attuale stato patrimoniale e delle sue prospettive economiche a breve termine.
A questo punto l’assemblea, dopo adeguata discussione, con voto espresso mediante alzata di mano, all’unanimità
DELIBERA
II
- di aumentare il capitale a pagamento, in maniera inscindibile, da Euro... ad euro..., e quindi per effettivi
euro..., con sovrapprezzo complessivo di Euro..., da
eseguire mediante emissione di quote ordinarie da offrire in sottoscrizione ai terzi, anche mediante il sistema
del Crowdfunding, con termine finale di sottoscrizione
al...
III
- di delegare l’Organo Amministrativo a dare esecuzione alle delibere testé assunte.
Null’altro essendovi da deliberare e nessuno avendo
chiesto la parola il Presidente dichiara chiusa 1’assemblea essendo le ore ...
Richiesto, ricevo il presente atto, scritto parte di mio
pugno e parte a macchina da persona di mia fiducia su
facciate ...di fogli ... viene da me notaio letto ai comparenti, che lo approvano e, con me notaio, lo sottoscrivono alle ore ...”.
451
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Indici
Notariato
INDICE DEGLI AUTORI
Thomas Tassani
Osservatorio fiscale .......................................
413
Ernesto Briganti
Osservatorio di giurisprudenza...........................
362
Alice Bulgarelli
Imposte sui trasferimenti ed effetti ‘‘dichiarativi’’
della divisione: problematiche aperte ...................
397
Normativa
Marina Castellaneta
Osservatorio internazionale e comunitario .............
INDICE CRONOLOGICO
DEI PROVVEDIMENTI
391
Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (stralcio) ............
Legge 22 giugno 2016, n. 112...........................
Angelo Chianale
358
Giurisprudenza
Francesco Cimmino
Corte di Giustizia delle Comunità Europee
I contributi repertoriali alla cassa nazionale sono
componenti negativi del reddito .........................
418
Corte di Giustizia delle Comunità Europee 28 aprile
2016, n. C-128/14 ..........................................
L’inutilità dell’ipoteca nel ‘‘prestito vecchietti’’........
Cassazione, Sez. I, 14 gennaio 2015, n. 496 ..........
369
Cassazione, Sez. V, 27 aprile 2016, n. 8346...........
437
427
394
Paolo Guida
La ‘‘società benefit’’: una nuova forma societaria rivolta al terzo settore .......................................
Cassazione, Sez. V, 25 maggio 2016, n. 10794 ......
350
Cassazione, Sez. I, 25 maggio 2016, n. 10821 .......
Cassazione, Sez. II, 27 maggio 2016, n. 11034.......
391
Cassazione, Sez. II, 30 maggio 2016, n. 11158.......
Cassazione, Sez. V, 31 maggio 2016, n. 11344 ......
Cassazione, Sez. II, 3 giugno 2016, n. 11504 .........
329
Cassazione, Sez. II, 3 giugno 2016, n. 11507 .........
Cassazione, Sez. V, 6 giugno 2016, n. 11543 .........
Giuseppe Margiotta
Trasformazione atipica da società di persone con
unico socio ad impresa individuale......................
Cassazione, Sez. II, 23 maggio 2016, n. 10624.......
Cassazione, Sez. I, 24 maggio 2016, n. 10710 .......
Salvatore Lombardo
La nuova presidenza del CNN e la ‘‘consiliatura del
dialogo’’ .....................................................
Cassazione, Sez. V, 18 maggio 2016, n. 10221, ord.
Cassazione, Sez. II, 23 maggio 2016, n. 10613.......
434
Cesare Licini
Osservatorio internazionale e comunitario .............
Cassazione, Sez. V, 18 maggio 2016, n. 10218, ord.
Cassazione, Sez. lav., 20 maggio 2016, n. 10541 ....
Vincenzo Gunnella
Offerte concorrenti ex 163 bis l.fall. ed esecuzione
del contratto preliminare ..................................
Cassazione, Sez. V, 11 maggio 2016, n. 9582 ........
Cassazione, Sez. V, 18 maggio 2016, n. 10192 ......
Andrea Di Porto
Osservatorio disciplinare..................................
Cassazione, Sez. V, 27 aprile 2016, n. 8355...........
Cassazione, Sez. II, 9 maggio 2016, n. 9320..........
Emanuela di Maggio
La legge per il ‘‘dopo di noi’’ .............................
Cassazione, Sez. un., 16 settembre 2015, n. 18135.
Cassazione, Sez. V, 16 aprile 2016, n. 7241...........
Luca Di Lorenzo
Crowdfunding e start up innovative: tecnica redazionale ...........................................................
414
Corte di cassazione
Corrado De Rosa
I vincoli di prezzo nell’edilizia convenzionata: una
questione ancora controversa ...........................
433
423
Cassazione, Sez. V, 6 giugno 2016, n. 11600, ord. ..
382
Cassazione, Sez. un., 14 giugno 2016, n. 12190 .....
Cassazione, Sez. III, 17 giugno 2016, n. 12536.......
Mario Miccoli
380
365
413
413
413
362
413
413
413
413
363
363
362
363
414
363
362
362
414
363
394
414
413
363
362
394
Commissioni Tributarie
394
Commissione Tributaria Regionale di Milano, sez.
Brescia, Sez. LXV, 12 novembre 2015, n. 4904/65/
15.............................................................
414
Commissione Tributaria regionale di Potenza, Sez. I,
13 gennaio 2016, n. 141 ..................................
417
Carmine Romano
Commissione Tributaria di II grado di Bolzano, Sez.
I, 25 marzo 2016, n. 25/1/16 .............................
415
Unioni civili e convivenze di fatto: una prima lettura
del testo normativo ........................................
Commissione Tributaria Regionale di Milano, Sez.
XLIX, 1 aprile 2016, n. 1853/49/16 ......................
415
Osservatorio disciplinare..................................
Mario Molinari
Osservatorio disciplinare..................................
Paolo Puri
Osservatorio fiscale........................................
Notariato 4/2016
413
333
453
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Indici
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Notariato
Commissione Tributaria Regionale di Firenze, Sez.
IX, 28 aprile 2016, n. 777/9/16 ...........................
414
Commissione Tributaria Regionale di Torino, Sez.
XXII, 3 maggio 2016, n. 571/22/16 ......................
414
Divisione
Commissione Tributaria Regionale di Milano, Sez.
XXVII, 13 maggio 2016, n. 2845/27/16 .................
415
Commissione Tributaria Provinciale di Ancona, Sez.
III, 16 maggio 2016, n. 1279/03/16......................
Imposte sui trasferimenti ed effetti ‘‘dichiarativi’’
della divisione: problematiche aperte di Alice Bulgarelli ...........................................................
415
Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, Sez.
V, 17 maggio 2016, n. 1279/03/16 ......................
415
Co.Re.Di.
Co.Re.Di. Lazio 27 novembre 2015 .....................
Co.Re.Di. Toscana 14 dicembre 2015 ..................
Co.Re.Di. Emilia Romagna 27 gennaio 2016 ..........
Co.Re.Di. Lombardia 28 gennaio 2016 .................
Co.Re.Di. Liguria 17 febbraio 2016......................
Co.Re.Di. Emilia Romagna 14 aprile 2016 .............
395
395
395
395
394
394
Prassi
Agenzia delle Entrate
Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa
- Circ. n. 25/E del 1/6/2016 ...............................
416
Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa
- Circ. n. 26/E del 01/06/2016 ............................
415
Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Catasto Circ. n. 27/E del 13/06/2016..............................
415
Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa
- Circ. n. 28/E del 15/6/2016..............................
415
Consiglio Nazionale del Notariato
329
Concordato liquidatorio
Offerte concorrenti ex 163 bis l.fall. ed esecuzione
del contratto preliminare di Vincenzo Gunnella .......
350
Contributo repertoriale
I contributi repertoriali alla Cassa nazionale sono
componenti negativi del reddito (Commissione Tributaria regionale di Potenza, sez. I, 13 gennaio
2016, n. 141) di Francesco Cimmino ...................
394
397
Edilizia convenzionata
I vincoli di prezzo nell’edilizia convenzionata: una
questione ancora controversa (Cassazione civile,
Sez. unite, 16 settembre 2015, n. 18135) di Corrado
De Rosa .....................................................
365
Ipoteca
L’inutilità dell’ipoteca nel ‘‘prestito vecchietti’’ di Angelo Chianale ...............................................
358
Internazionale e comunitario
Parlamento europeo, Libera circolazione di cittadini
e imprese ...................................................
Parlamento europeo, Società ............................
Consiglio Ue, Regimi patrimoniali .......................
Consiglio Ue, Protezione dati ............................
Corte Di Giustizia dell’Unione Europea, Lotta al riciclaggio di capitali ...........................................
Corte Di Giustizia dell’Unione Europea, Successioni
Consiglio d’Europa, Riciclaggio ..........................
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Riconoscimento
sentenze.....................................................
Accordi internazionali, Apostille .........................
391
391
391
392
392
392
393
393
393
Società
INDICE ANALITICO
La nuova Presidenza del CNN e la ‘‘consiliatura del
dialogo’’ di Salvatore Lombardo ........................
28 gennaio 2016;Co.Re.Di. Toscana 14 dicembre
2015) .........................................................
Trasformazione atipica da società di persone con
unico socio ad impresa individuale (Cassazione civile, Sez. I, 14 gennaio 2015, n. 496) di Giuseppe Margiotta .........................................................
La ‘‘società benefit’’: una nuova forma societaria rivolta al terzo settore (Legge 28 dicembre 2015, n.
208 (stralcio)) di Paolo Guida.............................
380
433
Trust
La legge per il ‘‘dopo di noi’’ (Legge 22 giugno
2016, n. 112) di Emanuela di Maggio ..................
423
Unioni civili
417
Unioni civili e convivenze di fatto: una prima lettura
del testo normativo di Carmine Romano ..............
333
Crowdfunding
Crowdfunding e start up innovative: tecnica redazionale di Luca Di Lorenzo ...................................
437
Disciplinare notarile
Allineamento catastale (Cassazione civile, sez. II, 3
giugno 2016, n. 11507; Co.Re.Di. Emilia Romagna
14 aprile 2016; Co.Re.Di. Liguria 17 febbraio 2016;
Co.Re.Di. Emilia Romagna 27 gennaio 2016; Co.Re.
Di. Lazio 27 novembre 2015; Co.Re.Di. Lombardia
454
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LE TRASFORMAZIONI
ETEROGENEE
ATIPICHE
L’istituto della trasformazione ha subito un profondo cambiamento a
seguito della riforma del diritto societario.
delle altre, ha contribuito ad innovare l’intero istituto e la concezione
che la dottrina aveva di esso. Sebbene anche prima della riforma
del diritto societario, si fossero verificati degli isolati episodi di
apertura ad opera della giurisprudenza e della legislazione speciale,
l’orientamento dottrinale maggioritario considerava la trasformazione
un istituto endosocietario, vincolato al limite dell’omogeneità causale.
L’Autore, partendo dalla propria esperienza professionale, analizza
in modo approfondito e pratico le varie situazioni di trasformazioni
di società in riferimento a imprese individuali, società di persone,
associazioni riconosciute e non riconosciute, società cooperative,
consorzi, società consortili, enti non societari oltre che la trasformazione
eterogenea atipica delle società da e in figure non societarie.
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atti notarili, distinguendole tra quelle in vigore fino al 31 dicembre 2013, ormai abrogate
(la cui disciplina interessa per eventuali decadenze o formalità che dovessero ancora
intervenire), e quelle in vigore dal 1° gennaio 2014.
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