04-Piccaluga (286-288) - Giornale Italiano di Cardiologia

EDITORIALE
Conoscere è proteggersi: i rischi dell’esposizione
a basse dosi di radiazioni ionizzanti
Emanuela Piccaluga
U.O. Cardiologia, Ospedale L. Sacco, Milano
G Ital Cardiol 2014;15(5):286-288
La principale fonte artificiale di radiazioni nel mondo occidentale è rappresentata dalle radiazioni ionizzanti utilizzate in medicina a scopo sia diagnostico che terapeutico1, di cui la maggior parte attribuibile a quelle impiegate in ambito cardiologico. Il recente documento di posizione, frutto di una collaborazione multidisciplinare e coordinato da Eugenio Picano, sotto
l’egida della Società Europea di Cardiologia, sottolinea l’importanza di far crescere tra i medici prescrittori o esecutori la
cultura dell’appropriatezza delle indicazioni alle procedure di
imaging, attraverso la consapevolezza e la conoscenza delle
problematiche di salute legate all’impiego di radiazioni2. È noto che spesso i medici, cardiologi inclusi, che prescrivono una
determinata indagine diagnostica sottostimano o non hanno
un’idea del livello di radiazioni ionizzanti erogate con gli esami
più comunemente richiesti3, con la possibilità di esporre in modo improprio il paziente ai rischi a breve e a lungo termine in
assenza di reali benefici.
Negli ultimi 20 anni il numero delle procedure cardiologiche
percutanee interventistiche è significativamente aumentato e
grazie alle metodiche e ai dispositivi attualmente disponibili è
possibile trattare pazienti affetti da patologie coronariche, cardiache, valvolari, extracardiache o aritmiche sempre più complesse. La maggiore complessità si traduce necessariamente in
una maggiore durata degli interventi, in un aumento dei tempi di fluoroscopia, del numero di immagini acquisite, nell’utilizzo di proiezioni estreme, e quindi in una quantità più elevata di dosi erogate al paziente4.
L’elettrofisiologo, lo staff di laboratorio (infermieri e tecnici) e, in particolare, il cardiologo interventista che deve operare a distanza ravvicinata dal paziente, principale sorgente di radiazione diffusa, sono quindi le figure mediche con la più alta
esposizione professionale a radiazioni ionizzanti e possono ricevere nel corso della loro vita lavorativa dosi cumulative significative5. La dose annuale di un operatore che lavori in un centro ad alto volume può essere circa 5 mSv, cioè 2 o 3 volte superiore a quella di un radiologo non interventista. Nel corso
della propria vita lavorativa un cardiologo interventista potrà
quindi essere esposto a una dose cumulativa di 100 mSv con un
rischio stocastico modesto ma definito di soffrire di una pato-
© 2014 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 24.04.2014; accettato 05.05.2014.
L’autore dichiara nessun conflitto di interessi.
Le opinioni espresse in questo articolo non riflettono necessariamente
quelle dell’Editor del Giornale Italiano di Cardiologia.
Per la corrispondenza:
Dr.ssa Emanuela Piccaluga U.O. Cardiologia, Ospedale L. Sacco,
Via G.B. Grassi 74,20157 Milano
e-mail: [email protected]
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logia neoplastica6. Inoltre, la parte sinistra del corpo, la testa e
le mani, a causa della particolare disposizione del laboratorio di
emodinamica in cui il primo operatore è obbligato a lavorare alla destra del paziente, risultano essere le meno radioprotette7.
In assenza di adeguate barriere di protezione, come le paratie
pensili, le dosi misurate alla parte sinistra della testa dell’operatore sono 10-20 volte superiori a quelle rilevate sotto il camice di piombo, con dosi cumulative a fine carriera lavorativa
che possono essere nell’ordine di 1-3 Sv8. Mentre esistono consistenti evidenze epidemiologiche del legame tra un aumento
del rischio di neoplasie ed esposizioni a dosi >50 mSv, e studi
sui sopravvissuti alle bombe atomiche hanno dimostrato che la
singola esposizione a dosi <1 mSv si associa ad un aumento
dell’incidenza di tumori del sistema nervoso9, la relazione causale tra esposizione professionale cronica a basse dosi di radiazioni ionizzanti e future neoplasie è controversa e suggerita solo da casi aneddotici di tumori cerebrali, del sistema ematopoietico e in altre sedi. La recente pubblicazione di 31 casi di medici interventisti, con una lunga carriera professionale e alte dosi cumulative, colpiti da tumore cerebrale con localizzazione
prevalente a livello dell’emisfero sinistro e della parte sinistra
del collo ha rilanciato l’ipotesi o comunque la preoccupazione
di una possibile relazione tra l’esposizione professionale e l’insorgenza di tumori cerebrali10. Inoltre è stato dimostrato che
l’esposizione cronica a basse dosi di radiazioni ionizzanti determina nei soggetti esposti una significativa maggiore presenza di micronuclei a livello dei linfociti circolanti, micronuclei che
rappresentano un biomarcatore cromosomico di cancerogenesi a lungo termine11.
La riduzione del rischio di sviluppare negli anni una neoplasia fatale è quindi alla base del sistema di radioprotezione sia
per il paziente sia per gli operatori dello staff della cardiologia
interventistica. Oltre ai fenomeni stocastici, la categoria professionale degli interventisti presenta un rischio maggiore rispetto ai soggetti non esposti di sviluppare diverse alterazioni
multiorgano come fenomeni neurodegenerativi, cataratta precoce o opacità del cristallino, turbe della fertilità, aterosclerosi
precoce.
Studi epidemiologici recenti hanno dimostrato un’associazione significativa tra esposizione cronica a basse dosi di radiazioni ionizzanti ed altri potenziali effetti clinici diversi dal tumore, in particolare per eventi cardiovascolari (infarto del miocardio e ictus)12.
Un’attenzione particolare è stata rivolta alla ridefinizione
della dose occupazionale limite al cristallino, dato che l’insorgenza precoce di opacità o cataratta coinvolge circa il 30% dei
cardiologi o radiologi interventisti13. Uno studio osservazionale
multicentrico ha dimostrato una significativa, maggiore inci-
I RISCHI DELL’ESPOSIZIONE ALLE RADIAZIONI IONIZZANTI
denza di cataratta subcapsulare posteriore, localizzazione insolita nella popolazione generale, nei cardiologi interventisti rispetto a un gruppo di controllo. Il rischio di sviluppare questa
complicanza era correlato con il numero di anni di lavoro nel laboratorio di cardiologia invasiva e si riduceva in modo significativo con il corretto e costante utilizzo delle barriere pensili di
protezione e degli occhiali piombati14. Nel 2011, sulla base di
queste evidenze, l’International Commission on Radiological
Protection (ICRP) ha drasticamente ridotto i limiti di dose annuale al cristallino da 150 a 20 mSv.
L’importanza di un corretto e costante utilizzo di tutti i dispositivi e delle strategie di radioprotezione è quindi di fondamentale importanza, come recentemente ribadito in un documento di posizione promosso dalle principali società scientifiche
internazionali di cardiologia invasiva15. Tutto il personale che
opera nel laboratorio di emodinamica deve essere cosciente del
fatto che riducendo la dose al paziente si riduce la radiazione
diffusa e quindi l’esposizione di tutto lo staff: la cosiddetta situazione “win-win”, vantaggi per il paziente e vantaggi per
l’operatore. L’impiego dei diversi tipi di barriere di radioprotezione dovrebbe essere la norma nel laboratorio dal momento
che ciò consente di ridurre in modo sensibile la dose all’operatore. L’attuazione e l’implementazione della cultura della radioprotezione necessita di un’adeguata e continua formazione
e training del personale di sala16, ma anche della possibilità di
avere a disposizione appropriati sistemi di radioprotezione e apparecchiature radiologiche aggiornate che consentano di ridurre, con l’utilizzo di opportuni protocolli di acquisizione delle immagini, le dosi erogate.
Lo studio Healthy Cath Lab promosso dalla Società Italiana
di Cardiologia Invasiva (GISE) in collaborazione con l’Istituto di
Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IFCCNR) è il primo studio caso-controllo nazionale disegnato allo
scopo di valutare i potenziali effetti clinici dell’esposizione a radiazioni ionizzanti sul personale dei laboratori di cardiologia invasiva, medici, infermieri e tecnici. Nello studio sono inclusi 500
soggetti con un’attività lavorativa nel laboratorio di emodinamica >3 anni, e quindi con una consistente esposizione professionale a radiazioni ionizzanti, confrontati con un gruppo di
soggetti non esposti simili per età e sesso. In occasione dei congressi nazionali GISE del 2011 e 2012 sono stati eseguiti test clinici – valutazione ecografica dello spessore intima-media carotideo, test neuro-olfattivi e attitudinali – e prelievi ematici. A livello nazionale sono state inoltre raccolte, tramite questionario,
informazioni sul tipo di apparecchiature angiografiche a disposizione nei laboratori di emodinamica, sulla tecnica di acquisizione delle immagini comunemente usata, sulle barriere protettive a disposizione e sul loro utilizzo, oltre alla raccolta di dati dosimetrici. Inoltre a ciascun partecipante è stato fornito un
questionario di salute generale per la valutazione delle abitudini
Questionario strutturato
via web
Dati dosimetrici
Rischio di cancro
Esposti>Controlli
Sinistro>Destro
Aberrazioni cromosomiche
Effetti riproduttivi Basso peso alla nascita
Aborti, infertilità
Danno al DNA spermatico
Informazioni
demografiche e
personali (stili di vita)
Effetti aterosclerotici
IMT
Accorciamento telomeri
EPC
Effetti cognitivi
Test di valutazione
olfattiva
Dosaggio di BDNF
Polimorfismi genetici
Figura 1. Disegno dello studio Healthy Cath Lab.
BDNF, fattore neurotrofico cerebrale; EPC, cellule endoteliali progenitrici; IMT, spessore intima-media carotideo.
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personali (fumo, consumo di alcool, farmaci), di eventuali patologie pregresse, oltre a domande sui livelli di conoscenza e di
applicazione dei principi di radioprotezione e sul monitoraggio
delle dosi ai pazienti.
Attraverso la valutazione di una serie di consistenti biomarcatori di danno cellulare precoce, quali la presenza di aberrazioni cromosomiche dei linfociti circolanti, marker surrogati
di rischio neoplastico11, l’accorciamento dei telomeri e l’aumentato spessore intima-media, la presenza di disturbi olfattivi, lo studio Healthy Cath Lab si prefigge di fornire una migliore interpretazione degli effetti dell’esposizione cronica e
se possibile individuare, attraverso l’analisi del polimorfismo
genetico, elementi di suscettibilità individuale alle radiazioni
(Figura 1).
L’obiettivo finale dello studio è quello di migliorare la sorveglianza sanitaria dell’esposizione cronica a basse dosi di radiazioni ionizzanti allo scopo di definire programmi di prevenzione e sorveglianza clinica a livello individuale. “Il cardiologo
intelligente non deve essere spaventato dall’utilizzo delle radiazioni ma piuttosto dall’ignoranza delle conseguenze potenzialmente negative di una loro scorretta applicazione” (Eugenio
Picano).
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