“Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) Alcune osservazioni su una regola algebrica Giuseppe Iurato Università di Palermo, IT E-mail: [email protected] (Pervenuto in redazione il 30 Marzo 2013) Sunto. Questa nota vuole raccogliere iniziali osservazioni critiche di diversa natura circa la regola algebrica dei segni secondo cui – – per ogni Ripercorrendone brevemente la storia, di questa regola sarà possibile fornire alcune possibili giustificazioni fisiche e fisico-matematiche, inquadrarla nel generale contesto epistemologico, nonché raffrontarla criticamente con altri schemi formali, indi prospettare eventuali risvolti didattici. Abstract. This note wish to gather some first and various critical remarks about the sign algebraic rule according to which – – for each Retracing, in a sketchily manner, the related history, it will be possible to provide some possible physical and physical-mathematical justifications of this rule, laying out it into the general epistemological context, as well as critically comparing it with other formal schemes, hence present possible educational implications. 1. Introduzione Contrariamente a quanto possa sembrare da una prima, superficiale riflessione circa eventuali ripensamenti sulla possibile ragion d’essere di alcune (ritenute quasi dogmaticamente scontate) regole algebriche, come quelle dei segni, in questa nota si vuol semplicemente mostrare come, invece, notevoli argomentazioni, tutt’altro che ovvie o banali, possono scaturire da una più approfondita disamina critica di un tal tipo di questioni; le conclusioni che si addurranno, si evinceranno essere altresì utili e proficue anche a fini didattici oltre che epistemologici, in quanto mettono, tra l’altro, in più chiara luce i precipui ed inscindibili rapporti fra Matematica e Fisica, con reciproca comprensione della loro natura disciplinare e metodologica. E ciò nello spirito dell’opera precorritrice di Federigo Enriques in pedagogia delle scienze. La regola algebrica al centro dell’attenzione è una delle note regole dei segni inerenti la moltiplicazione di numeri interi, ovvero . Da un punto di vista più propriamente storicoepistemologico, si dice che tale regola non può venir dimostrata nell’usuale senso del termine. A tale scopo, semplicemente riportiamo, testualmente, alcuni passi tratti da alcune opere che diacronicamente accennano a tale questione fondazionale, nonché alla natura convenzionale di tali regole. Le argomentazioni invocate per essa grosso modo varranno, mutatis mutandis, anche per le rimanenti. Nel noto manuale Morris Kline, Storia del pensiero matematico, Volume I, Giulio Einaudi Editore, Torino, 1991, Capitolo I, p. 20, si dice che «[…] I procedimenti aritmetici ed algebrici e le regole geometriche erano il risultato finale di osservazioni fisiche, di tentativi seguiti da errori e da intuizioni particolari. Il fatto che i metodi funzionassero era per i Babilonesi una giustificazione sufficiente per continuare ad usarli. Il concetto di dimostrazione, la nozione di sistema logico fondato su principi che ne giustificano l’accettazione e la considerazione di questioni quali quella di deter- 1 “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) minare le condizioni sotto cui possono esistere le soluzioni dei problemi, non sono reperibili nella matematica babilonese». Ciò solo allo scopo di richiamare quali ragioni storiche sottostavano alla nascita della matematica. Nel testo divulgativo Bianca Ghiron, La matematica, i numeri e gli uomini, Editori Riuniti, Roma, 1982, pp.105-106, si ribadisce che «[…] Queste regole [cioè, quelle dei segni], come le abbiamo esposte, possono fare l’effetto di giochetti, nei quali si codifichino a caso le regole del gioco: in realtà non è così. La difficoltà che oggi i bambini incontrano nell’assimilare questi algoritmi corrisponde ad una difficoltà storica; quanto oggi possiamo riassumere in due o tre pagine di semplici regole, ha creato difficoltà, anche per gli specialisti, sino a pochi secoli fa, perché la differenza tra l’addizione, come algoritmo, e la moltiplicazione, diviene particolarmente evidente con i numeri relativi. Infatti, mentre una somma di numeri negativi è sempre un numero negativo, un prodotto di numeri negativi non è sempre un numero negativo: è negativo quando il numero dei fattori è dispari, mentre è positivo quando il numero dei fattori è pari. Di fronte a tali regole, anche molti laureati, con lauree scientifiche, trovano difficoltà, restano perplessi. Perché? Perché la regola del prodotto non è dimostrabile. I numeri relativi sono stati usati in modo sistematico dai matematici indiani circa duemila anni fa. Ora, per potersi servire dei numeri negativi, applicando a tali numeri le proprietà formali delle operazioni valide per numeri naturali, deve essere . Infatti per la proprietà distributiva; applicando le regole prima enunciate, si ha quindi ovverosia onde ; e, in generale, se e sono due numeri qualsiasi ; ma se moltiplicato è l’opposto di , deve anche essere moltiplicato l’opposto di , quindi . Insomma, la regola «meno meno = più», che sembra misteriosa, è soltanto una convenzione ragionevole, necessaria per un calcolo sui numeri relativi che sia una estensione – e non uno ‘’sconvolgimento!’’ – del calcolo sui numeri naturali». Da qui risultano chiaramente evidenti quali risvolti didattici può avere una discussione storicocritica di tali regole. Inoltre, ci si ricollega pure a cruciali e dibattute questioni riguardanti i tuttora non chiari rapporti fra ontoepigenesi e filogenesi in un ambito più propriamente psicopedagogico applicato all’insegnamento dell’algebra: a tal uopo, vedasi l’ottimo lavoro [29]. Ancora, nel celebre testo Richard Courant, Herbert Robbins, Che cos’è la matematica? Introduzione elementare ai suoi concetti e metodi, Paolo Boringhieri Editore, Torino, 1971, pp. 107-108, si asserisce che: «[…] Per includere i nuovi simboli in un’aritmetica più estesa che comprenda i numeri interi sia positivi che negativi, dovremo, naturalmente, definire le operazioni su di essi in maniera tale che siano mantenute le proprietà originarie delle operazioni aritmetiche. Per esempio, la regola che si stabilisce per la moltiplicazione dei numeri interi negativi, è una conseguenza del desiderio di mantenere la proprietà distributiva . Infatti, se si fosse stabilito che , allora, ponendo , si avrebbe , mentre d’altra parte si ha . Molto tempo dovette passare prima che i matematici si accorgessero che la ‘’regola dei segni’’ [di cui sopra] e le altre definizioni che regolano i numeri interi negativi e le frazioni, non possono essere ‘’dimostrate’’. Esse sono state create da noi per avere libertà nelle operazioni e mantenere le proprietà fondamentali dell’aritmetica. Ciò che può – e deve – essere dimostrato è soltanto che, sulla base di queste definizioni, si mantengono le proprietà commutativa, associativa e distributiva dell’aritmetica. Perfino il grande Eulero ricorse ad un ragionamento niente affatto convincente per 2 G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) dimostrare che ‘’deve’’ essere uguale a sere o o , e non può essere perché . Tale prodotto – così egli ragionò – deve es». Si resta colpiti, stante la figura di Eulero, da queste sue argomentazioni. Comunque, quest’ultime considerazioni verranno riprese alla sezione 3. Poi, in Friedrich Waismann, Introduzione al pensiero matematico, Paolo Boringhieri editore, Torino, 1971, p. 53, si conclude come «[…] Ne risulta che tali regole [quella dei segni, nella fattispecie ] provengono dalla definizione del prodotto di due coppie1; la quale è per sé arbitraria, e venne da noi stabilita nel modo sopra esposto soltanto perché potesse godere delle principali proprietà di cui gode la moltiplicazione nel campo dei numeri naturali. Questo fatto era già noto a Gauss, che nel 1811 scriveva infatti a Bessel: ‘’Non si dovrebbe mai dimenticare che le funzioni, come tutte le combinazioni matematiche di concetti, sono soltanto nostre creazioni; e che là, dove la definizione di partenza cessa di aver senso, bisogna chiedersi non che cosa di debba, ma che cosa convenga accettare per rimanere sempre conseguenti con sé medesimi. Ciò accade per esempio a proposito del prodotto meno per meno’’. E Hankel, nella sua opera già menzionata, scrive intorno alla regola dei segni: ‘’ Non si dirà mai abbastanza chiaramente, contro un’opinione generale molto diffusa, che queste regole non saranno mai oggetto di dimostrazione nell’aritmetica formale; esse sono convenzioni arbitrarie, scelte allo scopo di conservare il formalismo del calcolo». Di nuovo, riprenderemo quest’ultime argomentazioni alla sezione 3. D’altra parte, storicamente non esiste una esatta fonte storica cui far risalire l’istituzione ufficiale di tale regola, ma non essendovi certezze storiografiche, forse implicitamente qualche uso ne è stato già fatto da Diofanto nel III secolo d.C., e da Euclide nei suoi Elementi (vedi [18, Cap. III] e [19, Cap. 1, § 1.8]). In quanto segue, si riporteranno semplici, ma più che valide, argomentazioni sia fisiche che fisicomatematiche giustificanti pragmaticamente tale regola che, per quanto appena detto, è chiaro essere indimostrabile ma, al più, nello spirito dell’Enriques, giustificabile pragmaticamente tramite le suddette argomentazioni tratte dalle scienze fisiche. 2. Alcune argomentazioni fisiche e fisico-matematiche In questo paragrafo, si riportano argomentazioni fisiche e fisico-matematiche che, il più delle volte, avvalorano, ovvero giustificano, la statuizione di tale regola dei segni. Consideriamo, dapprima, un semplice caso, tratto dalla termologia, che può giustificare tale regola. Siano la variazione termica e la variazione in lunghezza di una sbarra di materiale molto sensibile alle variazioni termiche ( per dilatazioni, per contrazioni, rispetto ad una lun2 ghezza standard ). Allora, dalla legge delle dilatazioni termiche lineari (vedi [1, Cap. 2, § 2-1]), caratterizzata da una proporzionalità diretta, si hanno proporzioni del tre semplice del tipo Vedi la prova rigorosa alla sezione 3. Ad esempio, si può prendere, come riferimento di confronto, un’altra sbarra campione, di materiale differente, di cui, però, sia nota l’entità della sua dilatazione. Su ciò, sostanzialmente, si basa il principio del metodo dei dilatometri differenziali per le misure delle dilatazioni lineari. 1 2 G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica 3 “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) . Dunque, per esempio, se a variazioni termiche di corrispondono variazioni di lunghezza di , quale variazione di lunghezza corrisponderà ad una variazione termica di Si avrà donde , come effettivamente si può appurare sperimentalmente. Se non fosse, quindi, ammessa una convenzione del tipo , avremmo, ad esempio, , che non è quanto osservato. Quest’ultimo ragionamento sussiste tale sia che il coefficiente di dilatazione termica sia negativo (come per esempio nel caso del caucciù teso – vedi [1, Cap. 2, §§ 2-1, 2-2, 2-3]) che positivo, oltreché nell’ambito della relatività ristretta, poiché, in quest’ultimo caso (vedi [2, Cap. 6, § 46]), è e per lunghezze e temperature rispettivamente, dove , con ( riferimento in moto rispetto a quello fisso ), è il noto fattore di Lorentz. Tenendo in debito conto queste considerazioni, da un punto di vista metodologico sembrerebbe che la temperatura e la lunghezza siano due grandezze dipendenti l’una dall’altra, o, comunque, in stretta correlazione fra loro in quanto, per esempio, la prima interviene nell’approntare quell’insieme di regole impiegate per misurare la seconda. Più particolareggiato, invece, risulta essere il seguente caso concernente la relatività generale, tratto da [31] che, a sua volta, si rifà alla più approfondita e completa trattazione data in [32, Capp. IX, X, XV, XVI e XVII]. A parità di tutti gli altri parametri fisici influenzanti (quali, per esempio, la temperatura), la legge di contrazione/dilatazione di un regolo materiale statico di massa trascurabile sotto l’azione del campo gravitazionale generato da un corpo di massa , è3 essendo una costante universale positiva molto piccola (dell’ordine di ), la distanza intercorrente fra il baricentro del regolo e quello del corpo generatore del campo gravitazionale, e l’angolo formato dal regolo con la congiungente questi due baricentri. Con un’approssimazione al secondo ordine, si ha cioè il confronto delle variazioni di lunghezza rispetto a due differenti posizioni 3 e , è dato da Vedi soprattutto [32, Cap. XVI]. 4 G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) donde, scegliendo in modo che sia , riesce per cui, per il suddetto prefissato valore di (ed a parità di tutti gli altri parametri interessati), il segno del prodotto del primo membro potrebbe dipendere dal segno del fattore di fase angolare del secondo membro. È pure possibile considerare una formula che determina l’entità di una tale contrazione statica anche in funzione delle variazioni termiche, precisamente la seguente e, quindi, in seconda approssimazione in , abbiamo ovvero da cui è possibile, sempre ragionando seguendo la falsariga della precedente discussione, pervenire alle medesimi conclusioni di cui sopra ma con una maggiore arbitrarietà nella scelta delle regole dei segni dovuta stavolta alla presenza non di una soltanto ma di due variabili indipendenti, temperatura e fase angolare. Abbiamo, perciò, un altro significativo rapporto di reciproco influenzamento epistemologico fra realtà fenomenica (misurazioni di in dipendenza di e , ed eventualmente ) e regole formali che, a sua volta, si inquadra nel più generale e complesso rapporto fra geometria e leggi della fisica, storicamente stigmatizzato dal paradigma della relatività einsteiniana. Un altro caso che giustifica tale regola è tratto dall’elettrologia ed il magnetismo. Consideriamo la nota legge elettrostatica di Coulomb (1785) inerente la forza esercitantesi fra due cariche elettrostatiche approssimabili puntiformi, diciamo e , poste a reciproca distanza . In [3, Cap. XVI, § 230], si riporta la seguente espressione per tale legge dove il segno corrisponde al caso della repulsione, mentre il segno – a quello dell’attrazione, essendo, poi, una costante universale positiva. Precisamente, seguendo [4, Cap. IV, § 489], se è positivo, rappresenterà (in modulo) una forza repulsiva, mentre se è negativo, una forza attrattiva. Queste stesse conclusioni sono parimenti riportate in [5, Cap. 1, §§ 1-3 a), 1-6 a), e)], dove peraltro si sottolinea come queste regole sugli effetti delle cariche elettriche non conducono mai a conseguenze contrarie all’esperienza. A tal riguardo, tenendo conto della loro natura vettoriale, quest’ultime regole corrispondono a quelle stabilite all’interno dell’aritmetica dei numeri relativi G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica 5 “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) esposta secondo la teoria sintetica4 come, per esempio, svolta in [6, Articolo II, Parte IIIa, Capitolo II, Sezione A, §§ 62-64]. In [7, Capitolo VI, § 6.1.3], si ribadisce come tale forza elettrostatica sia diretta secondo la retta congiungente le due cariche puntiformi e sia applicata, in senso inverso, in una delle due cariche, ovverosia è repulsiva se e sono dello stesso segno, attrattiva se di segno opposto. Allora, per esprimerne il carattere vettoriale, possiamo scrivere (ponendo ) essendo il vettore la cui origine è sulla carica e l’estremità sulla carica , per la forza che si esercita sulla carica , o il vettore opposto per la forza che si esercita sulla carica . D’altra parte, seguendo [8, Cap. I, § 1], posto si ha che, se le cariche sono omonime/eteronime, allora si ottiene l’espressione vettoriale della forza agente sulla carica da parte della carica (forza repulsiva/attrattiva), che avrà direzione parallela ed equiversa/opposta a ; per esempio, nel caso repulsivo, schematicamente abbiamo una situazione così raffigurabile Nelle stesse notazioni, seguendo [9, Cap. 1, § 1.3], si verifica subito che, quando e sono dello stesso segno, il loro prodotto è positivo e la forza, espressa dalla penultima relazione vettoriale, è repulsiva (come nell’ultimo schema); quando, invece, esse sono di segno opposto, allora il loro prodotto è negativo e la forza è attrattiva. Infine, scrivendo la stessa espressione vettoriale per la forza agente sulla carica da parte della carica , è immediato constatare come , cioè l’interazione fra cariche elettriche soddisfa la terza legge di Newton; e ciò, grazie alle usuali regole dei segni e . Tuttavia, quest’ultima legge newtoniana risulta essere non valida per l’interazione di cariche in moto5, la cui dinamica risulta essere molto complicata (all’uopo, vedi [10, Cap. VIII] e [11, Introduzione, b)]); alcuni aspetti inerenti quest’ultima situazione verranno, tuttavia, appresso accennati. Tenendo conto di quanto riportato in [12, Cap. 7, § 7.3] ed assumendo che sia data da la forza esercitantesi fra le due cariche elettrostatiche puntiformi e , si ha che, se e sono di segno opposto, allora il loro prodotto è negativo ed è diretta in senso opposto a , cioè è attratCon questo aggettivo suol denotarsi una teoria costruita su classi di grandezze aventi un sostrato geometrico, nella fattispecie, la retta (vedi [6, Articolo II, Introduzione, § 5]). 5 In generale, tale legge è valida solo in assenza di effetti relativistici, ovvero quando questi siano trascurabili (vedi [12, Cap. 8, § 8.3]). 4 6 G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) tiva, mentre se e sono di ugual segno, allora il loro prodotto è positivo ed è diretta nello stesso senso di , cioè è repulsiva. Ciò come che sia orientato . Dunque, la forza elettrostatica può essere repulsiva od attrattiva a seconda del segno delle cariche, in rispetto alle anzidette regole dei segni, e ciò coerentemente a quanto sperimentalmente si appura (per esempio, tramite la bilancia di torsione di Ch. A. Coulomb, rievocandone storicamente l’esperienza originaria – vedi [13, Cap. 3, § 3.4]). Infine, seguendo [14, Vol. I, Cap. IV, § 100; Vol. II, Tomo I, § 212], osserviamo come le considerazioni di cui sopra sussistano invariate anche nel caso che la legge elettrostatica di Coulomb venga applicata a due magneti nell’approssimazione puntiforme, diciamo ed . Rammentiamo come, in generale, la forza sia un vettore assiale, cioè la sua direzione orientata è indipendente dal fatto che il relativo sistema di riferimento sia destrorso o sinistrorso (contrariamente ai vettori polari), per cui il suo verso ha un diretto senso fisico; per cui, la regola dei segni, come visto direttamente correlata al verso della forza elettro/magnetostatica, può anch’essa avere, se si vuole, un diretto senso fisico tramite la legge di Coulomb. Infine, si ribadisce come quest’ultima sia altresì strettamente correlata all’isotropia dello spazio ambiente euclideo tridimensionale in quanto la summenzionata forza elettrostatica si esercita lungo la congiungente le due cariche in questione (vedi [15, Cap. 1, § 1.4]), per cui, ne risulta, a sua volta, che pure le anzidette regole dei segni sono, in un certo qual senso, correlate a questa proprietà geometrica. Da quest’ultime considerazioni, tenuto anche conto del fatto che questa regola è strettamente correlata alla teoria sintetica dei numeri reali mediante il metodo vettoriale (sulla retta reale) come sopra ricordato, si vorrebbe avanzare un’eventuale correlazione fra tali regole e le proprietà (geometriche) della retta reale ordinata, che, tuttavia, in questa sede, rimane solo ad un livello congetturale, eventualmente riproponendoci, in altro luogo, di approfondire ed ulteriormente chiarire tale possibile questione, peraltro, nella sua complessità e significatività, già adombrata sopra in merito alla breve discussione sulla contrazione/dilatazione di un regolo in un campo gravitazionale. Dunque, abbiamo sopra discusso alcuni elementari aspetti formali della legge elettrostatica di Coulomb che sembrano giustificare, nell’ambito dei numeri reali, le usuali regole algebriche dei segni. Abbiamo, altresì, accennato come tutto questo rimanga valido nell’ambito statico ma non in quello dinamico, come ora avremo modo di constatare con altrettanto semplici argomentazioni. Invero, nel contesto del magnetismo, si consideri l’interazione fisica che si esercita fra due correnti elettriche. Seguendo [8, Cap. VII, § 31], [16, Cap. IX, §§ 64, 65 e 65*], la forza esercitantesi fra due correnti parallele d’intensità e , percorrenti fili di lunghezza posti a reciproca distanza , è data da risultando attrattiva per correnti di verso concorde, repulsiva per correnti discordi. Quindi, assegnando un verso di percorrenza convenzionale alle correnti, comunque sia orientato , risulta che il verso di tale forza ponderomotrice, rispetto a quello di , risponde a regole dei segni del tipo e , opposte, dunque, alle precedenti. Invero, considerando il segno dei portatori lineari di carica formanti tali correnti, nel caso immaginario (Gedankenexperiment) in cui pensassimo queste ferme od istantaneamente congelate, allora si otterrebbe una repulsione elettrostatica nella configurazione corrispondente all’attrazione ponderomotrice, ovvero un’attrazione elettrostatica nella configurazione corrispondente alla repulsione ponderomotrice. Quindi, le corrispondenti forze elettrostatiche risultano opposte a quelle magnetiche G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica 7 “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) ponderomotrici, il cui rapporto dei moduli è pari a (con fattore di Lorentz); dunque, le seconde sono effetti (relativistici) di second’ordine, trascurabili nell’ambito ordinario, in cui prevalgono le prime. Peraltro, tenendo conto dei segni delle cariche elettriche dei componenti elementari 6 dell’atomo, si può incorrere in casi in cui tali regole algebriche sui segni possono non essere quelle corrispondenti alla legge elettrostatica di Coulomb, nonostante questa, nella sua forma funzionale scalare, abbia limiti di validità in un intervallo di distanze che vanno da circa fino a distanze astronomiche (vedi [15, Cap. 1, § 1.4]). Questa legge, nella sua dipendenza da , non vale nel campo mesonico di Yukawa (che, in teoria quantistica dei campi, con una certa approssimazione descrive la fenomenologia nucleare): invero, seguendo [13, Cap. 2, § 2.2; Cap. 9, § 9.2, Oss. 1], per quest’ultimo risulta essere non valido il teorema vettoriale di Gauss che, assieme all’ipotesi geometrica della simmetria sferica (di campo centrale), formalmente equivale alla legge di Coulomb (nella sua forma funzionale scalare – vedi [17, Cap. 1, § 1.5]), per cui, in particolare, questa risulta non valida per il suddetto campo di Yukawa, il cui potenziale non varia come bensì è proporzionale a , essendo il raggio d’azione nucleare. Infine, in [21, pp. 56-57], a proposito della moltiplicazione algebrica, si riporta un esempio pratico, concernente la Cinematica macroscopica unidimensionale, le cui soluzioni proprio comportano necessariamente l’accettazione di tali regole dei segni. Seguendo [30], l’autore (di [21]), Aureliano Faifofer (1843-1909), allievo ed assistente di Giusto Bellavitis a Padova, fu, come ebbe a definirlo Federigo Enriques, un ‘’insigne didatta’’ che ebbe, fra gli altri, Guido Castelnuovo e Guido Fubini come allievi al Liceo Foscarini di Venezia. Scrisse fra i più apprezzati, validi ed importanti testi didattici italiani di matematica fino agli inizi del XX secolo, tradotti pure in Germania, Inghilterra e persino in Giappone, a tal punto da divenire uno dei più importanti trattatisti e didatti della matematica italiana postunitaria. Il Faifofer pone il seguente problema di cinematica (al N. 72 del suo testo, aprendo la sezione sulla moltiplicazione algebrica) come base di giustificazione della moltiplicazione algebrica. L’esempio non è casuale: invero, la velocità media è cinematicamente definita dal rapporto di due ben precise grandezze fisiche, lo spazio ed il tempo che, nel caso unidimensionale, entrambe possono essere rappresentate su una retta, per cui possono naturalmente essere suddivise in due classi disgiunte e complementari in base alle due possibili direzioni in cui può orientarsi una retta. Allora, si pone il problema di moltiplicare (spazio per il reciproco del tempo) due grandezze fisiche indipendenti ed orientate, da cui la necessità pragmatica di istituire convenzioni per il prodotto di segni, necessità proprio dovuta alla intrinseca dualità insita nella struttura ordinata di una retta. Per attendere ad una inevitabile corrispondenza con i dati dell’evidenza sperimentale (del dato problema cinematico), è indispensabile adottare proprio quelle regole dei segni, e non altre, per cui, l’autore conclude affermando come l’esempio precedente giustifica (ma non dimostra) l’usuale moltiplicazione algebrica. Infine, lo stesso autore, in [21, p. 58, nota a piè di pagina n. (1)], ancora ribadisce che, «perché sia giustificata l’introduzione delle quantità positive e negative, e le conseguenti convenzioni, basta l’esistenza di anche un solo tipo di grandezze suscettive di direzioni contrarie. Appunto come, perché fosse giustificata l’introduzione delle frazioni in Aritmetica, basterebbe esistesse una sola specie di grandezze divisibili comunque in parti. Può darsi che, in una determinata questione, uno soltanto dei fattori appaia accompagnato da segno; in tal caso è facile riconoscere che l’altro fattore si comporta come fosse una quantità positiva. Il calcolo algebrico si può applicare anche a questioni su grandezze di cui si considerano soltanto i valori assoluti, come L’aggettivo qualificativo ‘elementare’ và, qui, contestualizzato in dipendenza della teoria quantistica di campo adottata. 6 8 G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) in aritmetica si possono applicare le regole del calcolo con frazioni a problemi su grandezze che non si possono decomporre in parti». Dopodiché, sulla base di ciò, l’autore introduce l’usuale definizione (al N. 73) di moltiplicazione algebrica. Quindi, un’altra giustificazione fisica di tali regole algebriche, riportata da uno dei testi di algebra più autorevoli dell’inizio del XX secolo, redatto secondo una tradizione didattica italiana tipica dell’epoca per lo più conforme ai dettami della didattica epistemologica dell’Enriques in cui non si prescinde mai, laddove possibile, dai biunivoci rapporti fra matematica e fisica. Dunque, nella nostra esperienza fenomenica macroscopica, in certi casi si devono ammettere valide tali convenzioni sui segni, in altri no, se non si vuole incorrere in discordanze fra teoria ed esperienza. In generale, le usuali regole algebriche dei segni sussistono tali, tranne casi particolari eccezionali (perché rientranti, come visto, nell’ambito relativistico e nucleare) che non concernono l’esperienza macroscopica ordinaria. Quindi, si potrebbe asserire come tali regole formali siano state, in un certo qual senso, più o meno esplicitamente suggerite dall’ordinaria realtà fenomenica macroscopica esterna. I modelli fisici sopra riportati ad avvalorare, più o meno, tali convenzioni sui segni, mostrano un ineludibile legame (irragionevole, nella pittoresca ma pregnante espressione di E.P. Wigner – vedi [18]) fra la realtà fenomenica e la sua descrizione formale, che poi è pure, se si vuole, alla base dell’essenza del metodo scientifico galileiano nato quando, nel XVII secolo, metodo sperimentale e analisi matematica, furono vicendevolmente e proficuamente impiegati, per la prima volta, congiuntamente. Tuttavia, è necessario ulteriormente precisare alcuni aspetti cruciali dei rapporti fra Fisica e Matematica invocati nelle esemplificazioni coinvolte nella discussione critica di cui sopra, ed incentrati, perlopiù, sull’interazione statica e dinamica di cariche elettriche e magnetiche. Seguendo testuali parole di [15, Cap. 1, § 1.1], «una delle proprietà fondamentali della carica elettrica è quella di esistere in due varietà che, ormai da molto tempo, sono state chiamate positiva e negativa. Il fatto sperimentale osservato è che tutte le particelle cariche possono dividersi in due classi tali che tutti i componenti di una classe si respingono l’un l’altro mentre attraggono quelli dell’altra. Se due corpuscoli elettricamente carichi e , posti ad una certa distanza l’uno dall’altro, si respingono, e se attrae un terzo corpuscolo elettrizzato , si trova sempre che attrae . Del perché di una tale legge universale non si riesce a dare una spiegazione sicura. Oggigiorno, però, i fisici tendono a considerare le cariche positive e negative fondamentalmente come manifestazioni opposte di una certa qualità, così come ‘’destra’’ e ‘’sinistra’’ sono due manifestazioni opposte di ‘’verso’’: infatti, il problema della simmetria coinvolto nella ‘’destra’’ e ‘’sinistra’’ sembra intimamente legato a questa dualità della carica elettrica e ad un’altra simmetria fondamentale, le due direzioni del tempo. La fisica delle particelle elementari cerca di far luce su questi problemi7. Ciò che noi chiamiamo carica negativa potrebbe benissimo venire chiamata positiva, e viceversa: la scelta è stata solo un accidente storico. La carica di un comune elettrone non ha niente di intrinsecamente negativo. Una volta definita la moltiplicazione, un intero negativo difChe entrano nell’importante teorema CPT della teoria quantistica dei campi. Per esempio, in meccanica quantistica, la parità P e la carica C variano come , essendo un numero intero non negativo legato al momento angolare orbitale totale ed allo spin totale, secondo le di cui sopra usuali regole algebriche dei segni, in accordo con i dati sperimentali relativi ad esperimenti di determinazione di parità e carica. Dunque, un altro caso di giustificazione pragmatica (fisica) di tali regole (si veda [33, Cap. 13, § 13.1]). Su tali questioni concernenti la parità, si ritornerà a discuterne in altra sede. 7 G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica 9 “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) ferisce da un intero positivo essenzialmente per il fatto che il suo quadrato è un intero di segno opposto. Ma il prodotto di due cariche non è una carica; non vi è alcuna corrispondenza». Ciò è quanto dice l’autore, Edward M. Purcell, illustre fisico e premio Nobel. Tuttavia, vista la discussione critica di cui alla sezione 1, qualche perplessità potrebbe sorgere verso le sue ultime affermazioni circa la caratterizzazione dei numeri interi negativi e positivi proprio mediante la regola qui sotto esame, cioè . Secondo il nostro punto di vista, è chiaro che le cariche elettriche (o magnetiche), prese in sé, non hanno, diremo quasi ontologicamente, nulla a che vedere con tali segni. Pur tuttavia, certe convenzioni su quest’ultimi inevitabilmente devono istituirsi allorché si considereranno eventuali relazioni formali descriventi le loro interazioni, sulla base del summenzionato metodo scientifico attraverso cui si potrà constatare la loro corrispondenza galileiana con la datità sperimentale. Oramai, in fisica delle particelle ha senso parlare solo di interazioni fra particelle, di cui proprio quest’ultime (quanti) ne determinano l’entità. Nel caso delle cariche elettriche e magnetiche, poi, tali interazioni si esercitano lungo le rette loro congiungenti (ciò che è possibile, vista l’adozione dell’ipotesi dell’approssimazione puntiforme), stante l’ipotesi dell’isotropia dello spazio ambiente in cui agiscono. Quindi, nuovamente subentra la considerazione di una retta e le sue dualistiche proprietà d’ordine. Ancora, dalle discussioni finora svolte si può rilevare come i tentativi dei fisici di ricondurre l’anzidetta dualità delle cariche alle due direzioni del tempo possano mettersi in relazione alla orientazione della retta reale sulle cui proprietà d’ordine si basano proprio le regole dei segni qui in disamina. Si ritorna, insomma, alle proprietà geometriche della retta, coerentemente alla definizione dei numeri reali seconda la teoria sintetica di cui sopra, per cui è presumibile affermare che tali convenzioni siano strettamente legate ad essa ed alle sue proprietà. In conclusione, da quanto sopra detto, da un punto di vista più propriamente epistemologico, ne discende una visione in certo senso pragmatica della matematica che, storicamente, caratterizzò l’origine stessa di una buona sua parte. In ogni modo, di tali regole dei segni ne è invalso l’uso secondo una praxis analoga al caso riguardante l’istituzione di una fonte giuridica per consuetudine, cioè in senso pragmatico ed utilitaristico. Molte regole indimostrabili della matematica assumono un loro esplicito ‘status’ ontologico-operativo8 riconosciuto solo dopo un lungo lasso di tempo in cui esse vengono implicitamente usate e messe alla prova, la qual cosa potendosi, appunto, paragonarsi proprio all’istituzione, teleologicamente (cioè, finalisticamente) pragmatica, delle norme giuridiche per consuetudine, e ciò sulla base della stessa storia delle loro fonti. Peraltro, proprio in quest’ottica di giustificazione pragmatica tratta dalla Fisica, in [22, pp. 253-261] vengono riportati interessanti metodi fisici per risolvere generali equazioni algebriche, tramite cui sarebbe ulteriormente possibile giustificare la sussistenza pragmatica di tali regole, sulla falsariga della filosofia matematica appena sopra accennata. Ciò che verrà fatto in altra sede. Infine, visto che, dal punto di vista storico, poco si conosce, con certezza, sull’uso ufficiale di tali regole dei segni, non sarebbe del tutto immotivata una ulteriore, più approfondita ricognizione storiografica inerente l’introduzione dei segni per le cariche elettriche chiamate in causa dalla legge di Coulomb, fatto, questo, che, come lo stesso Purcell dice, fu, secondo lui, un ‘accidente storico’. Un altro caso, fra i molteplici dunque, di possibile incontro dei percorsi evolutivi delle due discipline qui chiamate in causa, ovvero Fisica e Matematica. 8 Vale a dire, operazionisticamente nel senso di P.W. Bridgman. 10 G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) 3. Considerazioni formali Seguiamo la rigorosa esposizione data in [24, Capp. 1, 2]. Sia il sistema algebrico dei numeri naturali. In definiamo una relazione binaria interna come segue. Per convenzione, denotiamo la coppia ordinata con – : attenzione, però, questa espressione, per ora, non significa ‘’ meno ’’ poiché non è ancora stata definita l’operazione ‘’meno’’, ma, solo per comodità, leggeremo ‘’ meno ’’. Dunque – – . Definiamo, poi, la seguente relazione binaria interna su : – – . Allora, è immediato provare come essa sia una relazione di equivalenza in , e definiamo come l’insieme dei numeri interi, in cui, poi, si definiscono le seguenti operazioni binarie interne addizione: – moltiplicazione: – – – – , – , con elementi neutri rispettivamente – (zero) e – (uno), dove (successivo di ). L’opposto di – è, per definizione, dato da – – , per cui definiamo ‘’ meno ’’ in come segue – – La convenzione, poi, di porre formalmente come – discende storicamente dalla costruzione dei numeri interi mediante il metodo vettoriale sintetico sopra menzionato. E’ immediato dimostrare sussistenti le usuali leggi associativa e commutativa dell’addizione e della moltiplicazione, nonché la relativa legge distributiva. In particolare, a noi interessa provare la seguente regola dei segni – – All’uopo, se – – e – – – . , allora riesce – – – – – In modo analogo si provano tutte le altre regole dei segni. Quindi, a conferma di quanto già rammentato alla sezione 1, si è ottenuta una prova di tali regole, prendendo le mosse dalla definizione di moltiplicazione e tenendo conto delle altre già sussistenti proprietà dell’addizione e della moltiplicazione in La suddetta definizione è, fra le tante altre possibili, quella che garantisce, più di tutte, la permanenza delle regole e proprietà formali già stabilite per il sistema algebrico . Ma, di certo, non sarebbe l’unica. La situazione è analoga a quella che si presentò quando si volle istituire un prodotto fra matrici: come noto, ne esistono diversi, principalmente quattro, precisamente righe per righe, colonne per colonne, colonne per righe e righe per colonne. Quale scegliere? S’è optato per quello che garantisce la ‘’permanenza’’ del maggior numero di proprietà formali (fra cui le proprietà commutativa, associativa, distri- G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica 11 “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) butiva, etc), ovverosia quello righe per colonne, nonostante i rimanenti fossero formalmente altrettanto leciti9. Proprio in virtù di quanto appena detto, si palesò la necessità di istituire il cosiddetto principio di conservazione (o permanenza) delle leggi e regole formali, dovuto proprio a Hermann Hankel nel 1867 (vedi [6, Articolo II, Introduzione, § 5]), giustappunto sulla base di quanto egli disse a proposito della suddetta regola dei segni (e brevemente ricordato alla sezione 1). Secondo tale principio, data una qualsiasi classe di enti, diciamo , in cui si definisce, mediante un dato procedimento , una certa operazione la quale gode di certe proprietà caratteristiche , allora, ogni volta che la classe viene ampliata in una più vasta classe in cui viene meno l’iniziale definizione ma si può, nondimeno, definire un’altra operazione la quale in gode delle stesse proprietà e si riduca ad quando applicata agli elementi di , allora, a tale operazione , si attribuisce la stessa denominazione in voga per la . In tal caso, si dice che estende dalla classe alla classe . Dunque, entro il contesto di questo principio deve inquadrarsi la rigorosa prova formale di cui appena sopra, e che essenzialmente si regge sulla definizione , a sua volta motivata proprio in virtù di questo importante (quanto poco noto) principio hankeliano. Quindi, tali regole possono autonomamente giustificarsi, internamente allo stesso ambito matematico, proprio in forza di tale principio. Se poi, ci si chiedesse pure del perché si vuole mantenere valido il maggior numero di regole e proprietà formali, allora l’unica risposta che si può fornire è, appunto, quella pragmatica, come abbiamo fatto sopra circa la regola dei segni sotto esame, invocando argomentazioni fisiche – dunque pratiche – anche se, come visto, tale giustificazione non ha carattere assoluto, visto che abbiamo pure riportato altrettanti esempi fisici di una sua non validità, sebbene relegati ad una realtà esperienziale non ordinaria (campo nucleare ed ambito relativistico). Tuttavia, possiamo dire che, nella realtà fenomenica macroscopica ordinaria, grosso modo v’è una corrispondenza, secondo il metodo scientifico galileiano, fra le basi fisico-sperimentali e le strutture formali che modellizzano tale realtà. Tutto ciò vale pure per il mondo microscopico, anche se non in modo direttamente percepibile: per esempio, la Meccanica delle Matrici, nella formulazione datagli da M. Born, P. Jordan e W. Heisenberg negli anni ’20 dello scorso secolo (vedi [24]), è proprio formalmente basata su un’algebra matriciale (non commutativa) imperniata sul prodotto matriciale righe per colonne. Essa fornisce un’accettabile formulazione coerente della Meccanica Quantistica che descrive, in modo soddisfacente, la realtà fenomenica microscopica, cosa, peraltro, che, molto probabilmente, non si avrebbe se si usasse un’algebra matriciale con un altro prodotto matriciale. Dunque, anche in questo caso, si ha una certa corrispondenza fra strutture formali e realtà esterna. Tuttavia, a certi livelli didattici, soprattutto a quelli preuniversitari, pensiamo sia forse poco opportuno, per la sua astrattezza e profondità, invocare tale principio di Hankel per rispondere a quell’eventuale discente che, più smaliziato o con maggior senso critico, possa domandare quali eventuali ragioni pratiche sottostanno alla base di tali regole. In tal senso, l’ambito delle scienze naturali sembra essere (come lo è stato storicamente) il più adatto a fornire giustificazioni e/o motivazioni a ciò, ancora nello spirito dell’Enriques, pur non dimenticando mai, però, la natura convenzionale ed autonoma della matematica che deve, in fin dei conti, rispondere solo ad esigenze di coerenza logica interna e rigore formale. I rapporti fra scienze naturali e matematica sono stati, lo sono e saranno sempre indissolubili nonché reciprocamente fruttuosi e chiarificatori, stante sempre l’autonomia delle rispettive parti, nonostante l’aura di affascinante ‘mistero’ che avvolge tali rapporti. 9 Anche se, persino al solo livello formale, essi sono stati abbastanza poco considerati. 12 G. Iurato, Alcune osservazioni su una regola algebrica “Quaderni di Ricerca in Didattica (Mathematics)”, n. 23, 2013 G.R.I.M. (Department of Mathematics, University of Palermo, Italy) In questo contesto, emblematica è l’analisi matematica non standard, che nella forma, per esempio, data da H.J. Keisler in [25], metodologicamente abbina, in un efficace modo, il rigore matematico ad una più intuitiva maniera di esposizione, acquisizione e chiarificazione dei fondamenti dell’analisi matematica, facendo frequente ricorso a nozioni ed idee tratte dalla fisica e dall’economia, semplificando di molto l’iniziale e potente metodo logico di A. Robinson del 1961. Da un punto di vista didattico, questa via meriterebbe di essere ulteriormente approfondita, oltre ai primi studi di [26] fino agli ultimi di [27] e [28], da cui emerge, nel complesso, una certa proficua utilità didattica di tale insegnamento, opportunamente impostato. 4. Conclusioni Da un punto di vista filosofico, la problematica sopra discussa rientra nella vexata quæstio riguardante i rapporti fra una scienza naturale ed il linguaggio formale attraverso cui si essa si esprime; questa avendo indi dato luogo a diversi indirizzi epistemologici, tra i quali il convenzionalismo, il nominalismo, il realismo, l’induttivismo, il pragmatismo ed il deduttivismo, alcuni in netta posizione antitetica fra loro, altri aventi punti più o meno comuni (si veda [34, Capitolo 4]). La loro varietà è spiegabile attraverso una sorta di relativismo epistemologico, che, a volte, porta ad orientarsi verso un indirizzo, cert’altre verso un’altra corrente di pensiero, come sovente abbiamo sopra implicitamente fatto. Lasciando, in questa sede, da parte le eventuali (ed interessanti ancorché complesse) discussioni filosofiche10, il nostro principale intento è stato anzitutto fondazionale e didattico: nel primo caso, per poter chiarire la natura di certi aspetti matematici, nel secondo, per facilitare l’acquisizione di questi, per esempio pragmaticamente, mediante il ricorso alla Fisica, e viceversa. Ringraziamenti. L’idea della stesura di questa breve nota storico-critica è da ricondurre ad una interessante discussione avuta con la Prof.ssa Antonella D’Amico, del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Palermo, circa le origini e le possibili motivazioni sottostanti le usuali regole algebriche dei segni. Referenze [1] P. Fleury, J.P. Mathieu, Trattato di fisica generale e sperimentale, Volume 2, seconda edizione Nicola Zanichelli editore, Bologna, 1970. [2] W. Pauli, Teoria della Relatività, Paolo Boringhieri editore, Torino, 1974. [3] G. 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