06-Maffe (445-455) - Giornale Italiano di Cardiologia

RASSEGNA
Cardiotossicità da erbe selvatiche
Stefano Maffè1, Paola Paffoni1, Maria Laura Colombo2, Franca Davanzo3, Pierfranco Dellavesa1,
Lorenzo Cucchi1, Franco Zenone1, Anna Maria Paino1, Nicolò Franchetti Pardo1, Luca Bergamasco1,
Fabiana Signorotti1, Umberto Parravicini1
1
Divisione di Cardiologia, Ospedale SS. Trinità, ASL NO, Borgomanero (NO)
Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco, Facoltà di Farmacia, Università degli Studi, Torino
3
Centro Antiveleni, A.O. Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano
2
Accidental or deliberate ingestion of poisonous herbs has become an increasingly common phenomenon
over the last years. From existing literature data and case reports from emergency room visits or poison control centers, an overview is presented of the potential cardiotoxic manifestations following intoxication by
wild herbal plants of the territory. The effects of the consumption of cardiac glycoside-containing plants
(e.g., digitalis) are discussed along with tachyarrhythmias induced by Aconitum napellus L., Atropa belladonna L., Mandragora officinarum L. or Ephedra distachya L. herbs, and hypertensive crises associated
with licorice abuse.
For each plant, a brief historical and botanical background is provided, focusing on pathophysiology of intoxication and cardiotoxic effects on the basis of the most recent literature. Finally, medical management
of intoxication, from both a general and cardiological viewpoint, is reviewed.
Key words. Cardiotoxicity; Herbs; Poisoning.
G Ital Cardiol 2013;14(6):445-455
INTRODUZIONE
Le esposizioni e le possibili intossicazioni da assunzione accidentale o volontaria di erbe selvatiche rappresentano un fenomeno in evoluzione in tutto il mondo1. Spesso si cade nell’equivoco che tutto ciò che è naturale non sia pericoloso o sia
un rimedio blando e privo di effetti collaterali, non considerando che gran parte dei farmaci che prescriviamo nella pratica
quotidiana sono costituiti da principi attivi che, almeno in origine, sono estratti da erbe o piante medicinali. Già Paracelso,
nella prima metà del XVI secolo, aveva intuito che ogni sostanza può essere un veleno e che nessuna è perfettamente innocua; soltanto la quantità e la via di assorbimento ne determinano la tossicità. È quindi consigliabile evitare sempre di assumere erbe o decotti senza il consiglio di un professionista
(medico, farmacista o erborista laureato)2.
L’epidemiologia delle esposizioni e delle intossicazioni acute è scarsamente rappresentata nella letteratura medica nazionale ed internazionale, confinata per lo più a pubblicazioni sull’infortunistica pediatrica3. Le fonti principali di notizie relative
all’epidemiologia delle intossicazioni, vere o presunte, da tossine vegetali sono i dati pubblicati dai Centri Antiveleni, che però fatalmente non registrano il non trascurabile numero dei casi trattati direttamente dai medici di famiglia e dai farmacisti.
Le intossicazioni da piante costituiscono il 3.7-5.2% del numero totale delle richieste di informazioni relative ad avvelena-
© 2013 Il Pensiero Scientifico Editore
Ricevuto 19.03.2013; accettato 15.04.2013.
Gli autori dichiarano nessun conflitto di interessi.
Per la corrispondenza:
Dr. Stefano Maffè Via Sesalli 15, 28100 Novara
e-mail: [email protected]
menti, nelle casistiche armonizzate dei Centri Antiveleni italiani
relative all’ultimo decennio4. Dati simili, anche se con stime leggermente inferiori, sono estrapolabili dall’analisi dei dettagliati
report annuali dell’American Association of Poison Control Centers, da cui emerge che nel periodo 2002-2010 il numero di
consulenze richieste relative ad esposizioni a piante varia tra il
2.2% e il 3.6% del totale1. Dati altrettanto omogenei sono quelli indicativi sia dell’età dei pazienti, in quanto in circa l’80% dei
casi coinvolge bambini al di sotto dei 5 anni, sia di come le piante di appartamento rappresentino la maggiore fonte di esposizione. Fortunatamente la maggior parte di questi incidenti
(80%) rimane asintomatica, mentre nel 15% dei casi risultano
soltanto effetti minori da irritazione delle mucose oro-faringee
e gastrointestinali. Nel 7% dei casi è necessario ricorrere ad un
trattamento medico, ma in meno dell’1% sono osservabili segni
transitori (ipertermia, ipotensione, disorientamento) di intossicazione sistemica. In realtà poche specie botaniche (Nerium oleander, Digitalis purpurea, Ricinus communis, Cicuta maculata,
Solanum pseudocapsicum, Nicotiana glauca, Datura stramonium, Veratrum spp., Senecio longilobus, Colchicum autumnale, ecc.) sono in grado di indurre una intossicazione grave
(0.02% dei casi) e rari sono i casi fatali (0.001%) riportati annualmente nelle casistiche internazionali. Il relativo impatto clinico delle intossicazioni da piante emerge dal confronto con i
dati relativi al totale generale delle intossicazioni, che indicano
un’incidenza di quadri clinici minori nel 22.3% dei casi, moderati nel 2.3%, gravi nello 0.3%, mortali nello 0.04%5.
Una buona parte delle piante coinvolte nei casi di intossicazione determinano effetti sull’apparato cardiovascolare; sulla
base di queste considerazioni introduttive abbiamo redatto questo contributo, con il quale si vuole fare il punto sulle piante con
potenziali effetti cardiotossici presenti nel nostro territorio, sulle conseguenze relative ad una loro ingestione accidentale, apG ITAL CARDIOL | VOL 14 | GIUGNO 2013
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S MAFFÈ ET AL
CHIAVE DI LETTURA
Nome
Digitalis purpurea L.
Ragionevoli certezze. Le esposizioni ed i
possibili avvelenamenti che seguono l’assunzione
accidentale o volontaria di erbe selvatiche sono
un fenomeno in crescita negli ultimi anni, che
coinvolge soprattutto i bambini. Spesso si ritiene
erroneamente che tutto ciò che è naturale sia
innocuo o privo di effetti collaterali,
dimenticando che la maggior parte dei
medicamenti in commercio prende origine da
principi estratti dalle piante.
Questioni aperte. L’epidemiologia delle
esposizioni e delle intossicazioni acute è
scarsamente rappresentata nella letteratura
medica nazionale ed internazionale, per lo più
confinata alle casistiche ottenute dai Centri
Antiveleni. Buona parte delle piante coinvolte nei
casi di intossicazione determinano effetti
sull’apparato cardiovascolare, effetti che possono
essere transitori e reversibili, ma anche gravi e
potenzialmente letali. Non ci sono lavori di
revisione che abbiano raccolto, ricapitolato e
organizzato con taglio “cardiologico” tali
situazioni.
Le ipotesi. Abbiamo cercato di fare il punto sulle
piante con potenziali effetti cardiotossici presenti
nel nostro territorio, sulle conseguenze relative ad
una loro ingestione accidentale, approfondendone
il meccanismo d’azione e gli eventuali approcci
terapeutici. Sono state preparate delle schede
riassuntive corredate di fotografie che possano
essere d’aiuto al cardiologo che, di fronte ad una
sintomatologia di probabile origine cardiaca
spesso con disturbi del ritmo ed anamnesi
sospetta per ingestione di piante selvatiche, possa
arrivare ad una diagnosi precoce e ad una rapida
risoluzione di situazioni altrimenti pericolose per
il paziente.
profondendone il meccanismo d’azione e gli eventuali approcci terapeutici. La suddivisione nei gruppi descritti in seguito è
basata sulle segnalazioni presenti in letteratura di potenziali effetti cardiotossici legati alle erbe e/o a casi verificatisi in pronto
soccorso che hanno stimolato attenzione e interesse6,7.
DIGITALIS PURPUREA L.
La digitale non era conosciuta né dai Latini né dai Greci; il primo ad occuparsene fu Leonhard Fuchs nel 1542 che la chiamò
Digitalis per la forma dei suoi fiori che somigliano ad un ditale.
L’impiego della digitale in terapia si deve al medico e botanico
inglese William Withering (1785) il quale, avendo appreso da
una vecchia guaritrice l’uso della pianta e dopo averlo sperimentato per 10 anni, ne divulgò l’impiego nel trattamento dell’insufficienza cardiaca8.
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Nomi volgari
Digitale rossa
Forma pianta
Pianta erbacea
Altezza
30-150 cm
Descrizione del fiore
Racemo allungato con fiori
penduli. Corolla rosso porpora
Habitat
Steppe, pascoli sassosi
Altitudine dove cresce
500-1700 m
Periodo di fioritura
Maggio-luglio
Diffusione
Sardegna, Mediterraneo occidentale,
Asia, raro
Sostanze cardiotossiche Glicosidi cardioattivi (digitossina,
digitossigenina)
Effetti cardiotossici
Bradicardia sinusale, extrasistolia
atriale, tachicardia atriale parossistica,
tachicardia giunzionale, aritmie
ventricolari semplici o complesse
legate alla bradicardia, blocco
atrioventricolare completo
Inquadramento botanico
La classificazione botanica del genere Digitalis, appartenente alla famiglia delle Plantaginaceae, comprende una trentina di specie. Solo Digitalis lanata Ehrhart e Digitalis purpurea L. sono utilizzate per l’estrazione dei principi cardioattivi e la loro somministrazione richiede particolare attenzione da parte del medico.
La principale causa delle intossicazioni da digitale è correlata ad una peculiarità della pianta. Si tratta di una pianta erbacea annuale. Ciò significa che nel corso del primo anno di
vita, questa pianta erbacea produce soltanto un cuscinetto di
foglie basali, senza fusto e senza fiori. Ed è proprio questo il
momento in cui più facilmente le persone possono confondersi, poiché scambiano le foglie pelose della digitale per quelle
della borragine (pianta invece commestibile). Ed in effetti, anche verificando i dati delle intossicazioni e/o esposizioni dei
Centri Antiveleni, solitamente, quando la pianta fiorisce e presenta uno scapo fiorifero con grandi fiori colorati (2 x 4/5 cm),
le persone non la raccolgono.
I costituenti principali sono i glucosidi cardioattivi (cardenolidi), come digitossina e digitossigenina, digitalossigenina; i
digitanol-eterosidi, tra cui digitalonina, diginoside, digifoleina;
glucosidi saponifici, come digitonoside, tigonoside, gitonoside
(maggior concentrazione nei semi); i flavonoidi (luteolina, luteolin-7-glucoside, ecc.); acido caffeico, acido p-cumarico (tracce), acidi citrico e isocitrico, acido ascorbico8.
Attività biologica e manifestazioni cliniche
Le sostanze cardiotoniche sono in grado di aumentare il rendimento cardiaco; il loro bersaglio è la sodio/potassio ATPasi connessa alla pompa del calcio nel reticolo sarcoplasmatico9. L’ATPasi
viene inibita da questi farmaci, con conseguente ingresso nella
cellula di sodio e fuoriuscita di potassio. L’ingresso del sodio fa-
ERBE CARDIOTOSSICHE
vorisce l’accumulo di calcio nel reticolo sarcoplasmatico; una
maggior quantità liberata durante la fase di depolarizzazione aumenta la forza contrattile (effetto inotropo positivo)10. La perdita di potassio invece è all’origine degli effetti collaterali.
Queste sostanze agiscono specificamente sul cardiomiocita,
sul tessuto di conduzione e sui centri automatici del sistema
nervoso vegetativo interessati all’attività cardiaca; oltre all’effetto inotropo, rallentano il ritmo del nodo seno-atriale e diminuiscono il periodo refrattario con aumento della conducibilità
cardiaca per indiretta stimolazione del vago.
L’azione dei cardiotonici non è immediata, ognuno ha un
caratteristico tempo di latenza e anche il metabolismo della sostanza si svolge lentamente, e ne derivano fenomeni di accumulo; alla dose tossica aumenta il periodo refrattario negli atri
e diminuisce nei ventricoli; questo spiega la comparsa di disturbi del ritmo cardiaco, associati a vomito di natura riflessa
ed a disturbi dello stato di coscienza.
Non sempre all’ECG è presente la medesima alterazione; si
possono osservare bradicardia sinusale, extrasistolia atriale, tachicardia atriale parossistica, tachicardia giunzionale, aritmie
ventricolari semplici o complesse legate alla bradicardia, blocco
atrioventricolare completo che può portare ad arresto cardiaco
e richiedere il posizionamento di un pacemaker temporaneo6.
È importante il riconoscimento precoce della causa che può
essere aspecifica o a presentazione subdola. La dose tossica in
grado di determinare intossicazione è di 3 mg nell’adulto e 1
mg nel bambino. A concentrazioni terapeutiche i glicosidi cardioattivi diminuiscono la frequenza di depolarizzazione del nodo seno-atriale e la velocità di conduzione nel nodo atrioventricolare con conseguente aumento dell’automatismo delle fibre del Purkinje. L’intossicazione digitalica comporta manifestazioni cardiache e sistemiche che possono essere diverse se
l’intossicazione è acuta o da accumulo cronico. Nelle intossicazioni acute i primi sintomi sono costituiti da nausea, vomito,
dolore addominale, vertigini, confusione, sopore. Nelle intossicazioni croniche invece i sintomi sono più sfuggenti e per questo molto più pericolosi. Anche nell’intossicazione da accumulo sono presenti nausea, vomito, dolori addominali, delirio, disorientamento, confusione, allucinazioni, disturbi visivi. Nelle
intossicazioni acute fattore prognostico importante è l’iperkaliemia11; nelle intossicazioni croniche invece il potassio potrebbe essere normale o addirittura basso.
Trattamento dell’intossicazione acuta
Il trattamento dell’intossicazione acuta da digitale prevede la
decontaminazione gastrointestinale e la somministrazione di
carbone attivato il più precocemente possibile; il trattamento
delle aritmie è specifico e dipende dal tipo; nelle forme con bradicardia estrema è necessario il posizionamento di pacemaker
temporaneo. Nei casi più gravi o nei casi dove le concentrazioni plasmatiche di digossina sono molto elevate è indicato l’utilizzo di specifici anticorpi anti-digitossina (Fab fragment)7.
Mentre l’intossicazione digitalica in pazienti che utilizzano
una terapia farmacologica contenente digossina è abbastanza
frequente, rari sono invece i casi di intossicazione digitalica da
assunzione accidentale di foglie di digitale. In letteratura sono
pubblicati casi di alterazioni lievi del ritmo cardiaco, con blocchi atrioventricolari di primo grado e bradicardia12, oppure casi con blocchi atrioventricolari avanzati, con necessità di elettrostimolazione temporanea13 e, in taluni casi, letali14.
Le foglie e le piante di digitale possono essere raccolte per
errore confondendole con le foglie di altre specie, come ad
esempio la borragine, e possono essere mangiate come verdure cotte, frittate, gnocchi o ripieno per ravioli; la cottura non
inattiva le molecole cardioattive presenti, con possibilità di grave intossicazione13. Nei paesi asiatici sono pubblicati casi in cui
le foglie di Digitalis purpurea sono state scambiate con foglie di
Consolida maggiore (Symphytum officinale), utilizzate tradizionalmente per preparare infusi con effetti ritenuti antinfiammatori e disintossicanti15.
In tutti i lavori pubblicati si sottolinea come l’iperkaliemia indotta dall’intossicazione digitalica sia l’elemento prognosticamente più pericoloso per il rischio aritmico; tuttavia nell’unico
caso pubblicato che si è concluso con l’exitus del paziente i valori di kaliemia erano normali (4.3 mmol/l)14. Lo stretto monitoraggio dei livelli di potassio e la loro correzione sono comunque
l’elemento cardine per scongiurare i rischi di pericolose aritmie.
Altre piante contengono glucosidi cardioattivi, anche se appartenenti a differenti sottoclassi chimiche come bufanolidi e
cardenolidi; tra esse vanno citate la scilla [Urginea maritima (L.)
Baker] e il mughetto (Convallaria majalis L.) delle Asparagaceae; l’elleboro detto anche rosa di Natale (Helleborus niger L.) e
l’adonide (Adonis vernalis L.) delle Ranuncolaceae; l’oleandro
ornamentale (Nerium oleander L.), l’oleandro giallo [Thevetia
peruviana (Pers.) K. Schum.], lo strofanto (Strophanthus kombe’ Oliver, Strophanthus hispidus DC., Strophanthus gratus
Wall. & Hook-Baill.) da cui si ricava la ouabaina o strofantina
delle Apocynaceae.
Di alcune di queste tratteremo nel dettaglio, per l’estesa
diffusione nel nostro territorio e per l’elevato numero di segnalazioni di intossicazioni.
CONVALLARIA MAJALIS L.
La Convallaria majalis L., la cui etimologia significa “giglio delle valli”, comunemente conosciuta come mughetto, è una
pianta perenne che presenta dei fiori bianchi che erano consi-
Nome
Convallaria majalis L.
Nomi volgari
Mughetto, giglio delle convalli,
giglio di maggio
Forma pianta
Pianta erbacea
Altezza
20-30 cm
Descrizione del fiore
Racemo a grappolo, corolla
candida
Descrizione del frutto
Bacca rossa subsferica
Habitat
Boschi e boscaglie
Altitudine dove cresce
0-1200 m
Periodo di fioritura
Maggio-giugno
Diffusione
Alpi e Appennino settentrionale,
Abruzzo, comune
Sostanze cardiotossiche Glicosidi cardioattivi (convalotossina)
Effetti cardiotossici
Vedi digitale
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derati simbolo di purezza in quanto secondo una leggenda cristiana nati dalle lacrime versate dalla Madonna ai piedi della
Croce16. Nel mese di maggio (da cui “majalis”) è usanza in molti paesi offrire il giglio delle valli come augurio di buona fortuna e felicità per l’anno successivo. La relativa brevità del periodo di fioritura e di maturazione dei frutti spiega probabilmente perché i casi di intossicazione coinvolgano per lo più bambini che ingeriscono le bacche rosse17.
Poco conosciuta presso i popoli mediterranei come droga
cardiotonica, era usata empiricamente in Russia fin dai tempi
remoti ma fu soltanto in seguito alle ricerche eseguite intorno
al 1880 che venne introdotta nella terapia medica come succedaneo della digitale e dello strofanto18.
Inquadramento botanico
Appartiene alla famiglia di piante contenenti glicosidi cardioattivi, ma merita di essere trattata a parte per la sua grande diffusione anche nel nostro Paese. L’intera pianta è tossica e contiene
due tipi di sostanze tossiche: le saponine, responsabili dei disturbi digestivi, ed i glicosidi. I glicosidi più importanti sono la convallatossina (ramnoside della k-strofantina), la convalloside, la majaloside, estratti dalle foglie ma soprattutto dai fiori della pianta.
Attività biologica e manifestazioni cliniche
I glicosidi contenuti nel mughetto hanno un’azione simile alla digossina, determinano anch’essi un’inibizione della pompa sodio/potassio ATPasi connessa alla pompa del calcio nel reticolo
sarcoplasmatico, hanno un effetto cronotropo negativo ed inotropo positivo, con aumento della pressione arteriosa e della diuresi; determinano inoltre un’azione sedativa. Gli effetti clinici sono quelli che si riscontrano negli anziani con intossicazione digitalica: disturbi digestivi, bradicardia, rialzo pressorio ed aritmie19.
Gli studi condotti nell’Est Europa ed in particolare in Russia
hanno mostrato una somiglianza d’azione della convallatossina con la strofantina, con un’azione più rapida e con un inferiore effetto cronotropo negativo18, che ne ha permesso un utilizzo nella terapia dello scompenso cardiaco.
Oltre a casi di ingestione accidentale da parte di bambini17 o
anziani20 sono segnalati casi di intossicazione per aver bevuto
acqua in cui era stato precedentemente a bagno del mughetto,
in un caso addirittura letale21. Sono inoltre segnalati casi di intossicazione legati alla raccolta delle foglie (all’inizio della primavera, quando i fiori non ci sono ancora), scambiandole per
quelle dell’aglio selvatico Allium ursinum; nel periodo 1995-2006
si sono avuti 29 casi di intossicazione da foglie di mughetto20.
Trattamento delle intossicazioni
Il trattamento dell’intossicazione da convallatossina è simile a
quello da intossicazione digitalica, cui si rimanda per i dettagli.
NERIUM OLEANDER L. E THEVETIA PERUVIANA L.
La specie Nerium oleander L. (oleandro comune, oleandro bianco o oleandro rosa) e la Thevetia peruviana (Pers) K. Schum. (oleandro giallo) meritano una trattazione a parte poiché rappresentano le piante più frequentemente coinvolte in casi di intossicazione, in base alle casistiche riportate in letteratura. Infatti, nel periodo 1995-2006 sono stati registrati 505 casi di intossicazione
correlata ad oleandro in Italia e, secondo i dati del Toxic Exposure Surveillance System (database contenente informazioni sulle
chiamate ai Centri Antiveleni americani) solo nel 2002 sono stati registrati 847 avvelenamenti da oleandro negli Stati Uniti6.
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Nome
Nerium oleander L.
Nomi volgari
Oleandro comune, oleandro rosa,
oleandro selvatico
Forma pianta
Arbusto cespuglioso o alberello
sempreverde
Altezza
Fino a 5 m
Descrizione del fiore
Foglie picciolate e lanceolate lunghe
9-12 cm, fiori su cime multiflore dei
rami, dal rosso porpora al rosa al
bianco
Descrizione del frutto
Follicolo cilindrico di 10-15 cm, ricco
di semi
Habitat
Boschi rivieraschi e greti dei torrenti
Altitudine dove cresce
0-500 m
Periodo di fioritura
Maggio-luglio
Diffusione
Regioni subtropicali, spontaneo
in Italia
Sostanze cardiotossiche Glicosidi cardioattivi (digitossigenina,
oleandrina)
Effetti cardiotossici
Vedi digitale
Inquadramento botanico
Il Nerium oleander è nativo delle regioni mediterranee dell’Africa e dell’Europa, è una pianta sempreverde, con foglie lineari verde-scuro, fiori di colore che varia dal bianco al rosa al
rosso scuro, a grappolo, con frutti a baccello stretto, contenente molti semi, e linfa chiara e gommosa22. La Thevetia peruviana è una pianta diffusa nelle zone tropicali americane, un
arbusto molto ramificato con foglie verde scuro, fiori a gruppi
di colore dal giallo all’arancione/pesca, con frutto carnoso, di
colore che vira dal verde al giallo al nero22, presente nel nostro
Paese come pianta ornamentale.
Tutte le parti delle piante contengono glicosidi cardioattivi,
soprattutto semi e radici. I glicosidi estratti da Nerium oleander
sono digitossigenina e oleandrina, da Thevetia peruviana sono
thevetina A e B e thevetossina; tutte queste sostanze sono
strutturalmente simili alla digitossina23.
ERBE CARDIOTOSSICHE
bambini sono più frequenti per la Thevetia peruviana, dal momento che le foglie di Nerium oleander hanno un gusto fortemente amaro; sono descritti casi di blocchi atrioventricolari pediatrici anche fatali32, e casi di intossicazione risolti con l’uso di
anticorpi anti-digossina anche nei bambini33. Sono segnalati anche casi di tossicità in corso di gravidanza, con bradicardia nel
neonato, fortunatamente transitoria, risoltasi senza conseguenze34.
Nome
Thevetia peruviana L.
Nomi volgari
Oleandro giallo
Forma pianta
Arbusto cespuglioso o alberello
sempreverde
Altezza
Fino a 6-7 m
Descrizione del fiore
Foglie verdi picciolate e lanceolate,
fiori su cime multiflore dei rami, di
colore giallo con 5 petali
Descrizione del frutto
Globosi, di 4-5 cm di diametro, verdi,
contenenti liquido lattiginoso e semi
Habitat
Zone tropicali, molto soleggiate,
ricche di acqua
Altitudine dove cresce
0-500 m
Periodo di fioritura
Estate
Diffusione
Regioni tropicali e subtropicali
dell’America Centro-meridionale,
in Italia come pianta ornamentale
Sostanze cardiotossiche Glicosidi cardioattivi (thevetina A e B)
Effetti cardiotossici
Vedi digitale
Attività biologica e manifestazioni cliniche
Le proprietà fisiopatologiche dei glicosidi cardioattivi contenuti in queste piante sono identiche a quelle presentate nel paragrafo relativo alla digitossina.
L’esposizione umana a queste piante avviene per ingestione accidentale od intenzionale, assunzione di preparati medicamentosi o avvelenamento criminale24. L’ingestione di foglie di
oleandro ha causato avvelenamenti fatali25,26, tanto da far pensare che l’ingestione di una sola foglia possa essere tossica per
un bambino; tuttavia la maggior parte dei casi pubblicati si è
conclusa con una moderata tossicità e con un pieno recupero
del paziente27, grazie anche al trattamento con anticorpi Fab
fragment.
Gli effetti cardiotossici si manifestano soprattutto con la
comparsa di bradiaritmie, con blocchi sinusali e blocchi atrioventricolari completi28; nei casi più gravi, con intossicazioni fatali per il paziente, sono state registrate forme di fibrillazione
ventricolare resistenti a defibrillazione ripetuta e forme di shock
cardiogeno refrattario a trattamento intensivo29. Sono descritti casi letali caratterizzati da bradicardia marcata e arresto cardiaco conseguenti all’ingestione di più di cinque foglie o utilizzate per preparare tisane e decotti30,31. Le intossicazioni nei
Trattamento delle intossicazioni
Il trattamento di queste intossicazioni, così come per la Digitalis purpurea, prevede una terapia di supporto, sintomatica, con
monitoraggio e correzione degli squilibri idroelettrolitici, in particolare l’iperkaliemia, l’eventuale elettrostimolazione temporanea in caso di blocchi atrioventricolari completi, e l’uso degli
anticorpi anti-digossina nei casi più gravi, che hanno dimostrato la loro efficacia anche nell’accelerare la regressione di bradiaritmie importanti35. Da ricordare è che la ricerca in laboratorio dei principi attivi di queste piante viene eseguita con il kit per
la ricerca della digossina, con cui tali sostanze cross-reagiscono;
i livelli dosati quindi non sempre sono attendibili e la somministrazione dei Fab fragment deve essere guidata da una scrupolosa raccolta anamnestica e dalla gravità del quadro clinico,
con l’aiuto di un Centro Antiveleni.
ACONITUM NAPELLUS L.
Il termine Aconitum deriva dal greco e significa “pianta velenosa”. Questa pianta, appartenente alla famiglia delle Ranunculaceae, è conosciuta fin dai tempi di Omero, quando veniva
usata come simbolo negativo (maleficio o vendetta) nella mitologia dei popoli mediterranei. L’estratto spalmato su frecce,
dardi e giavellotti trovava molte applicazioni in campo militare;
nel Medioevo veniva usato, insieme a Belladonna e Mandragora, nella preparazione di unguenti ad azione psicotropa o di
bevande velenose.
Nome
Aconitum napellus L., 1753
Nomi volgari
Napello, aconito
Forma pianta
Pianta erbacea
Altezza
50-150 cm
Descrizione del fiore
Fiore solitario a racemo violetto
cupo
Habitat
Boschi e pascoli
Altitudine dove cresce
600-2600 m
Periodo di fioritura
Luglio-agosto
Diffusione
Alpi, Corsica, monti asiatici,
relativamente raro
Sostanze cardiotossiche Alcaloidi (aconitina, mesaconitina)
Effetti cardiotossici
Tachiaritmie, effetto ipotensivo
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Inquadramento botanico
Alcuni autori suddividono questa specie in più sottospecie in
base ai caratteri delle foglie e alla dimensione e forma dell’elmo presente nel fiore36. Le specie appartenenti al genere Aconitum sono protette, e quindi non si devono mai raccogliere.
Specie simili:
–
–
Aconitum paniculatum Lam. - Aconito pannocchiuto: si differenzia per l’infiorescenza a pannocchia e l’elmo più allungato;
Aconitum variegatum L. - Aconito screziato: con infiorescenza a pannocchia ramosa e fiori con striature chiare.
I composti chimici presenti nella pianta sono aconitina, mesaconitina, neopellina, delfinina, ipaconitina, indaconitina, acido aconitico, acido malico e acido acetico, tutti alcaloidi.
Nel genere Aconitum così come nel Delphinium (Ranunculaceae), nella Garrya (Garryaceae) e nella Inula royleana DC.
(pianta indiana delle Asteraceae) si trovano alcaloidi diterpenici. Gli alcaloidi di Aconitum napellus sono esteri in cui l’alcamina aconina è esterificata con acido acetico e benzoico.
Viene utilizzato nella medicina tradizionale per le sue proprietà antinevralgiche, analgesiche e sedative (ad esempio è
contenuto in sciroppi per la tosse). Le parti usate sono le radici, raccolte in autunno, che sono la parte della pianta maggiormente ricca in alcaloidi. I giovani germogli possono essere
confusi con quelli del radicchio di montagna Lactuca alpina (L.)
A. Gray [un tempo detta Cicerbita alpina (L.) Wallr.]. È da rilevare che la velenosità delle parti aeree è inferiore a quella delle radici, ma sufficiente per causare la morte del soggetto che
ha ingerito la dose tossica36.
Attività biologica e manifestazioni cliniche
Il meccanismo d’azione cardiotossico e neurotossico è legato
agli alcaloidi che agiscono sui canali del sodio voltaggio-dipendenti delle membrane cellulari dei tessuti eccitabili compreso il
miocardio, i nervi e i muscoli. L’aconitina e la mesaconitina si legano con alta affinità a tali canali quando sono aperti causandone un’attivazione permanente che li rende refrattari all’eccitazione37.
La mesaconitina presenta un effetto vasodilatatore, il cui
meccanismo d’azione non è chiaramente noto; attiva l’ossido
nitrico-sintasi endoteliale aumentando la concentrazione di ossido nitrico con vasodilatazione dei tessuti periferici; ha un’azione antinocicettiva ed un’attività antinfiammatoria con azione
mediata dal sistema nervoso centrale.
Può manifestarsi un effetto ipotensivo e bradicardizzante
legato all’attivazione del nucleo ventro-mediale dell’ipotalamo.
L’ingestione provoca numerosi sintomi anche extracardiaci:
poco dopo l’ingestione compaiono parestesie e bruciori alla
bocca che si estendono a tutto il corpo, molto dolorose al viso,
stato d’ansia, bradipnea, acufeni, disturbi della vista, cefalea,
contrazione dei muscoli laringei con possibile morte per asfissia; l’azione sul midollo provoca in un primo momento eccesso di motilità, con contrazioni tonico-cloniche, seguite in maniera improvvisa da paralisi con possibile esito letale.
Sul cuore isolato di mammifero piccole dosi di aconitina determinano un aumento della diastole ed una riduzione della
contrazione sistolica; a dose tossica si ottiene la permanenza
del cuore in contrazione, assumendo il caratteristico aspetto di
“cuore a morula”, con arresto dei ventricoli ed atri che continuano a pulsare18. L’azione sul muscolo cardiaco determina aritmie ipercinetiche; Aconitum sp. può causare tachicardia ven-
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tricolare dapprima sensibile a manovre vagali e all’adenosina,
successivamente le aritmie diventano ricorrenti con solo transitoria soppressione, poco responsive a farmaci e anche alla cardioversione elettrica fino all’exitus38. Il meccanismo elettrofisiologico dell’aritmia è legato ad attività triggerata da post-potenziali.
Trattamento delle intossicazioni
Sono sufficienti quantità di aconitina di 2 mg per causare la
morte di un uomo adulto, corrispondenti a 5 ml di tintura di
aconitina39; 1 g di Aconitum napellus fresco può contenere da
2 a 20 mg di aconitina. Non esistono antidoti e il trattamento
dell’intossicazione è sintomatico e di supporto; è stato descritto l’uso precoce di bypass cardiopolmonare se lo shock cardiogeno è refrattario37.
È importante ricordare che l’utilizzo delle radici di aconito è
molto diffuso nella medicina tradizionale dei paesi asiatici, e
grazie ai flussi migratori delle popolazioni asiatiche, alla crescente popolarità ed alla facile accessibilità alle erbe medicinali, l’avvelenamento da aconitina è un fenomeno registrato in
tutto il mondo40. Le radici della pianta sono utilizzate dopo essere state bollite, processo che fa perdere il 90% del contenuto di alcaloidi, ma sono segnalati casi di intossicazione per inadeguata preparazione dell’erba medicinale41 e l’utilizzo di tinture di aconito ha causato molti casi fatali per insorgenza di tachiaritmie refrattarie42, tachicardie ventricolari ed asistolia40.
ATROPA BELLADONNA L.
Pianta erbacea conosciuta e utilizzata a scopo cosmetico già
dai Greci, che conoscevano anche i suoi effetti letali tanto che
con il nome Atropo era stata identificata una delle tre Moire,
personificazione mitologica del destino ineluttabile dell’uomo,
Nome
Atropa belladonna L., 1753
Nomi volgari
Belladonna
Forma pianta
Pianta erbacea
Altezza
Fino a 2 m
Descrizione del fiore
Fiore solitario con corolla
campanuliforme, brunovioletta
Descrizione del frutto
Bacche simili a mirtilli
Habitat
Boschi di faggio e querce
Altitudine dove cresce
0-1300 m, fino a 1800 m in
Sicilia
Periodo di fioritura
Giugno-settembre
Diffusione
In tutta Italia, non frequente
Sostanze cardiotossiche Alcaloidi (atropina, scopolamina,
L-josciamina)
Effetti cardiotossici
Tachicardia sinusale, ipertensione
ERBE CARDIOTOSSICHE
per la precisione quella con il compito di recidere il filo della vita e segnarne la fine. Nel Medioevo la Belladonna era l’erba
magica per eccellenza e costituiva uno degli ingredienti principali delle pozioni ad azione psicotropa di maghi e streghe; da
questa pianta si ricavava un preparato ad uso cosmetico, da cui
il nome “belladonna”; esso, applicato come collirio, provocava
la dilatazione delle pupille e rendeva gli occhi più belli, secondo le credenze del tempo, nonostante impedisse la messa a
fuoco della visione.
Inquadramento botanico
Nota comunemente come Belladonna, Atropa belladonna è
una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle
Solanaceae, dall’odore sgradevole, che presenta un frutto a
bacca sferica di colore nero, che assomiglia ad una piccola melanzana.
Le parti usate della pianta sono le radici e le foglie, che contengono diversi alcaloidi, in particolare atropina, scopolamina,
L-josciamina, aconina, belladonnina.
Nella pianta vivente l’atropina è assente ed è presente solo
josciamina, la cui racemizzazione con formazione di atropina
avviene dopo il raccolto e dopo l’essicazione della pianta18.
Attività biologica e manifestazioni cliniche
Le sostanze tossiche contenute nella pianta sono soprattutto
atropina e scopolamina, le quali bloccano in modo reversibile
l’azione dell’acetilcolina sui recettori muscarinici, determinando
un effetto vagolitico; a livello cardiaco gli atri sono diffusamente
innervati da fibre vagali, pertanto il blocco del rallentamento
vagale sulla frequenza cardiaca causa tachicardia. I ventricoli
sono poco innervati da fibre vagali e risentono pertanto meno
degli effetti di queste sostanze. A livello periferico sui vasi sanguigni l’innervazione parasimpatica non è particolarmente sviluppata, tuttavia l’azione vagale determina una vasodilatazione del letto vascolare; la vasocostrizione susseguente all’azione dell’atropina può causare un modesto aumento della pressione arteriosa43. Tutti gli organi ed i sistemi sotto il controllo
parasimpatico vengono influenzati dalle sostanze, con comparsa di midriasi, di diminuzione della secrezione salivare, gastrica e sudorifera.
L’ingestione accidentale di Belladonna causa una sindrome
tipica in Tossicologia: la sindrome anticolinergica centrale, caratterizzata da midriasi, congestione del viso, secchezza della
cute e delle mucose, ipertermia allucinazioni, agitazione, convulsioni, possibile il coma; diminuzione della peristalsi intestinale, globo vescicale da spasmo dello sfintere vescicale; a livello cardiaco, aumento della pressione arteriosa e tachicardia43.
Trattamento delle intossicazioni
Il trattamento dell’intossicazione da atropina è per lo più sintomatico e di supporto, vista anche la breve emivita della sostanza (circa 2h); gli effetti del farmaco sulla funzione parasimpatica diminuiscono pertanto abbastanza rapidamente in
tutti gli organi tranne che per l’occhio, dove effetti su iride o
muscoli ciliari possono persistere fino a 72h. Solo nei casi estremamente gravi si può lentamente utilizzare la fisostigmina salicilato per via endovenosa lenta, ma l’utilizzo di questo antidoto recettoriale non è scevro da rischi. Esso deve essere utilizzato con estrema prudenza per il suo basso indice terapeutico:
la sua emivita è più breve dell’azione farmacologica del tossico,
inoltre non è disponibile in tutti gli ospedali e il suo utilizzo è
controverso43.
In letteratura sono riportati moltissimi casi di intossicazione
da Atropa belladonna; nella maggior parte sono coinvolti bambini, che ingeriscono erroneamente i frutti della pianta. In una
casistica di 43 bambini che avevano ingerito le bacche l’intossicazione raramente è letale, e i sintomi presentati sono stati soprattutto a carico del sistema nervoso centrale (letargia, coma, eloquio senza senso, allucinazioni) e solo raramente sintomi cardiaci come la tachicardia44.
Talvolta si è verificato che i frutti di Atropa belladonna,
scambiati per mirtilli, siano stati posti nella grappa per aromatizzarla. In questo modo, poiché l’alcool presente nel liquore è
un solvente di estrazione degli alcaloidi, la grappa si arricchisce
in alcaloidi e diventa tossica30.
Dalla revisione della letteratura, nonostante i casi di assunzione accidentale o volontaria (con intento autolesivo) di
Atropa belladonna siano numerosi, non sono segnalati casi
mortali.
EPHEDRA DISTACHYA L.
L’efedra è una pianta impiegata nella medicina cinese fin dalla
più remota antichità (2700 a.C.), con il nome di “Ma Huang”,
per la sua azione antipiretica, stimolante circolatoria e sedativa
della tosse45.
Inquadramento botanico
L’efedrina, molecola ricavata da diverse specie appartenenti
al genere Ephedra, è un alcaloide che costituisce il principio attivo caratteristico delle specie, circa 50, appartenenti al genere Ephedra L., famiglia delle Ephedraceae. Si tratta di un arbusto delle Gymnospermae contenente l’alcaloide efedrina
nelle foglie e nei rami, in quantità variabile (circa 1%, con dosi che aumentano con l’invecchiamento della pianta), di cui
esistono diverse specie diffuse in Italia meridionale, soprattutto in Sicilia46.
Nome
Ephedra distachya L.
Nomi volgari
Efedra fragile, uva marina,
in Cina “Ma Huang”
Forma pianta
Pianta erbosa frutice o
arbusto
Altezza
50-150 cm
Descrizione del fiore
Piccole pigne solitarie con squame a
forma di campanula bruno-violetta
Habitat
Greti e sponde, rupi e loro fessure
Altitudine dove cresce
0-300 m
Periodo di fioritura
Marzo-giugno
Diffusione
Diffusa in Italia meridionale, isole
comprese, spontanea in Mongolia,
Cina, Giappone
Sostanze cardiotossiche Efedrina, benzilmetilamina
Effetti cardiotossici
Tachiaritmie, ipertensione, infarto
miocardico
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Attività biologica e manifestazioni cliniche
L’efedrina ha caratteristiche simili all’adrenalina rispetto alla
quale ha un’azione meno rapida ma più vigorosa e protratta
nel tempo, pur essendo somministrabile per via orale. Ha un
effetto vasocostrittore simpaticotonico, rilascia la muscolatura
liscia bronchiale, riduce la congestione delle mucose delle vie
respiratorie ma aumenta l’eccitabilità e la frequenza di contrazione miocardica oltre a determinare ipereccitabilità nervosa.
Trova la sua applicazione terapeutica negli stati allergici gravi,
nelle crisi bronchitiche asmatiche, nelle gravi forme ipotensive
ed anche nei casi di blocco atrioventricolare avanzato o blocco
seno-atriale43.
Se l’efedrina viene assunta in concomitanza con caffeina gli
effetti sono notevolmente potenziati. È stato condotto uno studio di supplementazione con efedrina e caffeina su modello
animale che ha dimostrato lesioni cardiotossiche quali emorragia, necrosi e apoptosi sul muscolo cardiaco43.
L’intossicazione da efedrina può determinare a livello cardiovascolare, soprattutto in soggetti a rischio, fenomeni come
ipertensione mal controllabile, tachicardia, aritmie ipercinetiche,
infarto miocardico acuto. Il trattamento è solo sintomatico.
Sono descritti casi di cecità transitoria in corso di sindrome
da encefalopatia posteriore reversibile, legata a crisi ipertensive protratte in pazienti che assumevano integratori dietetici a
base di efedra47. Gli effetti simpaticomimetici dell’efedrina possono determinare cardiomiopatie dilatative simili a quelle indotte da eccesso di catecolamine48.
La supplementazione di diete dimagranti con prodotti a base di efedra e caffeina è stata molto utilizzata fino a pochi anni fa, quando nel 2004 la Food and Drug Administration ha
bandito l’associazione di queste sostanze per gli effetti cardiotossici pericolosi49; sono infatti pubblicati casi di fibrillazioni ventricolari refrattarie alla defibrillazione in pazienti che avevano
assunto questi prodotti in quantitativi eccessivi50.
GLYCYRRHIZA GLABRA L.
Nota nella medicina dell’antico Egitto e dell’antica India, la liquirizia era ben conosciuta anche nella medicina greco-romana, dove veniva utilizzata per medicare le ferite, come sedativo
della tosse, contro i bruciori di stomaco18.
Inquadramento botanico
La liquirizia Glycyrrhiza glabra L., appartenente alla famiglia delle Fabaceae, cresce spontaneamente nel bacino del Mediterraneo, è normalmente in uso nell’industria dolciaria e farmaceutica; della pianta si utilizzano le radici e i rizomi. I suoi costituenti sono flavonoidi e saponine, in particolare glicirrizina, cumarine e fitosteroli51. Viene anche oggi utilizzata come sedativo della tosse e per facilitare le funzioni digestive51.
Attività biologica e manifestazioni cliniche
Il meccanismo d’azione della liquirizia consiste nel blocco della
reduttasi epatica dei corticosteroidi e in uno stimolo alla produzione di ormoni surrenalici con azione sui recettori gluco- e
mineralcorticoidi; questo può comportare ipopotassiemia, ritenzione di sodio, ipertensione arteriosa e nei casi di abuso, anche di difficile controllo.
Vi sono persone che sono portatrici di alterazioni dei geni
responsabili dell’azione su tali recettori. Varianti delle unità
ENaC (epithelial sodium channel) possono rendere i soggetti
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Nome
Glycyrrhiza glabra L.
Nomi volgari
Liquirizia comune,
regolizia
Forma pianta
Pianta erbacea perenne
Altezza
40-100 cm
Descrizione del fiore
Racemo a grappolo,
corolla bianco-azzurrina
Descrizione del frutto
Legume glabro
Habitat
Steppe, pascoli sassosi
Altitudine dove cresce
0-1000 m
Periodo di fioritura
Giugno-luglio
Diffusione
Importata dall’Asia,
spontanea nell’Italia
meridionale e isole,
coltivata in Calabria, ha
ottenuto riconoscimento
DOP europeo
Sostanze cardiotossiche Glicirrizina, cumarine, fitosteroli
Effetti cardiotossici
Ipokaliemia, aritmie cardiache,
ipertensione
più sensibili ad alterazioni metaboliche responsabili della risposta ipertensiva alla liquirizia51.
La liquirizia è controindicata se è già nota un’ipopotassiemia52, in caso di ritenzione idrosalina, sindrome premestruale,
sovrappeso, insufficienza epatica e renale. Gli effetti cardiotossici sono soprattutto legati all’ipokaliemia indotta dalla liquirizia,
con allungamento dell’intervallo QT e rischio di aritmie ventricolari. Proprio in Italia sono stati descritti casi di arresto cardiaco
con torsione di punta degenerata in fibrillazione ventricolare in
un paziente cardiopatico che assumeva 100 g di liquirizia al giorno53. Sono stati descritti casi di rabdomiolisi e miopatie da abuso di liquirizia con aumento degli enzimi muscolari ed anche cardio-specifici, che possono far sospettare una sofferenza miocardica ischemica, quindi è necessario fare una corretta diagnosi differenziale52. Proprio a causa del suo meccanismo d’azione la liquirizia può interferire con diuretici, lassativi, antiaritmici e insulina, e pertanto andrebbe evitata nei soggetti cardiopatici52.
MANDRAGORA OFFICINARUM L.
La mandragora è una pianta alla quale nel Medioevo venivano
attribuite qualità magiche e non è un caso che fosse inclusa
nella preparazione di varie pozioni. È raffigurata in alcuni testi
di alchimia con le sembianze di un uomo o un bambino, per
l’aspetto antropomorfo che assume la sua radice in primavera.
Da ciò ne è derivata la leggenda del pianto della mandragola ritenuto in grado di uccidere un uomo, quando veniva strappata alla terra. Veniva considerata una creatura a metà tra regno
vegetale e animale54.
ERBE CARDIOTOSSICHE
Nome
Mandragora officinarum L.
Nomi volgari
Mandragola
Forma pianta
Pianta erbacea perenne
Trattamento dell’intossicazione acuta
Come già visto a proposito delle intossicazioni da Atropa belladonna, il trattamento è per lo più sintomatico e di supporto,
con l’eventuale utilizzo di fisostigmina nelle forme più gravi.
Nei casi di sindrome anticolinergica di dubbia origine si sottolinea l’utilità del dosaggio urinario degli alcaloidi josciamina e
scopolamina56.
Altezza
5 cm
Descrizione del fiore
Foglie oblunghe picciolate,
con fiori al centro della
rosetta, azzurro-violacei
Descrizione del frutto
Bacca giallo-rossastra
Habitat
Zone rocciose, calcaree,
soleggiate
Altitudine dove cresce
0-600 m
Periodo di fioritura
Primavera
Diffusione
Coste mediterranee,
Grecia, in Italia in Calabria,
Puglia e Isole maggiori
Sostanze cardiotossiche Atropina, mandragorina, josciamina,
scopolamina
Effetti cardiotossici
Tachicardia sinusale, tachicardie
sopraventricolari, ipertensione
Inquadramento botanico
Appartenente alla famiglia delle Solanaceae, Mandragora officinarum è una pianta erbacea perenne con una spessa radice
biforcuta che le dà una vaga sembianza antropomorfa. I frutti,
tondi e rossastri, vengono denominati “mele del diavolo”. Tutte le parti della pianta, in particolare le sue parti verdi e i semi,
contengono alcaloidi tropanici (josciamina, atropina, scopolamina e composti simili).
Attività biologica e manifestazioni cliniche
Gli alcaloidi presenti nella mandragora possono causare la classica sindrome anticolinergica, gravata da sintomi sia centrali
che periferici, con aumento del ritmo cardiaco, inibizione della
secrezione gastrica e pancreatica, diminuzione della peristalsi
intestinale, ritenzione urinaria acuta, secchezza delle fauci, arrossamento e secchezza della cute, ipertermia, eccitazione, disorientamento e confusione mentale17. Sono descritti casi di tachicardie sopraventricolari persistenti e refrattarie in seguito ad
intossicazione da mandragora, assunta come alimento e confusa con borragine55. Sono inoltre descritti casi di persone che
hanno assunto le bacche della pianta nella convinzione di accrescere le proprie prestazioni sessuali56. In effetti i suddetti alcaloidi producono una specie di stato ipnotico nell’individuo,
simile a quello riscontrabile nella fase REM del sonno, cioè quella in cui si sogna; la radice, una volta polverizzata e sciolta nel
vino, in quantità di circa 30 granuli, produceva questi effetti, e
per tale motivo veniva considerata una droga ad effetto afrodisiaco54.
PRINCIPI GENERALI DEL TRATTAMENTO
DELLE INTOSSICAZIONI
L’approccio terapeutico nei confronti delle esposizioni a piante
non si discosta da quello codificato per tutte le altre noxae tossicologiche. Indispensabile è la loro identificazione per valutare il rischio cui il soggetto è sottoposto e indicare una terapia
idonea di trattamento. Qualora sia identificato un rischio tossicologico, si ricorre alle manovre di decontaminazione o, qualora
disponibili, alla somministrazione degli antidoti. Il cardine del
trattamento rimane comunque la terapia sintomatica e di supporto delle funzioni vitali.
Decontaminazione
Nei casi di ingestione la decisione di svuotare lo stomaco dipende dalla potenziale tossicità della pianta, dalla sintomatologia presentata, dal tempo trascorso dall’esposizione. In
realtà è difficile rimuovere dal tratto gastrointestinale foglie,
bacche, ramoscelli, perfino usando sonde oro-gastriche di
diametro maggiore. Non secondario il rischio dell’induzione
di emesi nelle situazioni di ingestione di notevole quantità di
materiale vegetale che potrebbe provocare ostruzione delle
vie aeree. È invece raccomandato l’uso del carbone attivato57.
Depurazione
Il tentativo di aumentare l’eliminazione delle tossine vegetali assorbite, ricorrendo a tecniche di depurazione non invasive (diuresi forzata) ed invasive (emoperfusione, emodialisi),
non è generalmente di utilità a causa dell’alto volume di distribuzione di molte di queste molecole. L’uso del carbone
attivato in dosi multiple su indicazione del Centro Antiveleni,
rappresenta un’alternativa valida, presentando un rischio limitato8.
Antidotismo
Pochi antidoti sono in effetti disponibili per il trattamento delle intossicazioni da veleni vegetali, salvo in alcune intossicazioni potenzialmente letali quali quelle da piante contenenti glucosidi cardioattivi (Digitalis purpurea, Nerium oleandrum: Fab
anti-digitale), alcaloidi anticolinergici (Atropa belladonna, Datura stramonium: fisostigmina)57-59. Sull’eventuale indicazione
alla somministrazione di antidoti e sulla relativa posologia è
sempre bene consultare un Centro Antiveleni.
Terapia sintomatica e di supporto
In qualsiasi intossicazione è una priorità indispensabile il mantenimento delle funzioni vitali qualora siano deficitarie, mantenendo una corretta pervietà delle vie aeree, il sostegno della
funzione cardiovascolare anche con l’utilizzo di pacemaker
temporaneo, il controllo delle convulsioni e dell’ipertermia, la
previsione e il trattamento delle eventuali complicanze da interessamento multiorgano60.
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CONCLUSIONI
Le specie descritte in questa breve revisione della letteratura sono piante che crescono spontaneamente nella nostra flora e
arricchiscono i nostri ambienti. Poiché molte persone, soprattutto nella stagione primaverile, sono attratte dalla raccolta di
piante anche per uso alimentare, non va dimenticato che l’accesso al pronto soccorso per una sintomatologia di sospetta
origine cardiaca, spesso con disturbi del ritmo, deve fare sospettare anche questa possibile eziologia; una diagnosi precoce può portare a una rapida risoluzione del problema, che, se
non indagato, può esitare in gravi danni per il paziente.
Per ciascuna pianta viene riportato un breve inquadramento storico e botanico, un paragrafo sulla fisiopatologia dell’intossicazione
e sugli effetti cardiotossici, evidenziando le più recenti pubblicazioni in letteratura. Infine, viene presentato un capitolo sul trattamento dei casi di intossicazione, sia dal punto di vista generale che
dal punto di vista più strettamente cardiologico.
Parole chiave. Avvelenamento; Cardiotossicità; Erbe.
RINGRAZIAMENTI
Un sentito ringraziamento al prof. Mario Parravicini, primario emerito dell’Ospedale di Varese, per i preziosi consigli.
Si ringraziano inoltre:
–
RIASSUNTO
Le esposizioni ed i possibili avvelenamenti che seguono l’assunzione
accidentale o volontaria di erbe selvatiche sono un fenomeno in crescita negli ultimi anni. Partendo dalle segnalazioni presenti in letteratura e dai casi occorsi nei vari pronto soccorso o che hanno coinvolto i Centri Antiveleni, presentiamo in questa rassegna i potenziali
effetti cardiotossici derivanti dall’intossicazione di piante molto diffuse sul territorio. Tratteremo in breve gli effetti legati all’assunzione
della digitale e di altre piante contenenti glicosidi cardioattivi, le tachicardie da piante contenenti alcaloidi come l’Aconitus napellus L.,
l’Atropa belladonna L. o la Mandragora officinarum L., le crisi ipertensive che seguono l’uso di liquirizia, le tachiaritmie da Ephedra distachya L.
–
–
–
l’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza sul Lavoro
(ISPESL) per le immagini di Atropa belladonna L. e Digitalis purpurea L., tratte da: Le piante degli orti e dei giardini: prevenzione del rischio. Quaderni Tecnici per la Salute e la Sicurezza.
Novembre 2008.
Mario Parravicini e Umberto Parravicini per le immagini di Aconitus napellus L., Atropa belladonna L., Convallaria majalis L.,
tratte da: Flora del Campo dei Fiori e delle Prealpi Lombarde.
Fotoatlante di specie comuni e rare. Stresa: Andrea Lazzarini
Editore, 1999.
Sandro Perego - Gruppo Botanico Milanese per le immagini di
Nerium oleander L. e Mandragora officinarum L.
Creative Commons Attribution - Share Alike per le immagini
di Ephedra distachya L. e Thevetia peruviana L.
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G ITAL CARDIOL | VOL 14 | GIUGNO 2013
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