RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI QUADERNO 2006/2 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS W W W. A I A F - A V V O C A T I . I T ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI QUADERNO 2006/2 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS ATTI DEL CONVEGNO TENUTOSI A COMO IL 23-24 GIUGNO 2006 SUPPLEMENTO AL N° 2/2006 DI AIAF RIVISTA ANNO XI NUOVA SERIE QUADRIMESTRALE Redazione GALLERIA BUENOS AIRES 1, 20124 MILANO TEL. E FAX 02.29535945 EMAIL: [email protected] WEB: WWW.AIAF-AVVOCATI.IT Direttore responsabile MILENA PINI Stampa TIPOGRAFIA QUATRINI A. & FIGLI SNC V. S.LUCIA 43-47, 01100 VITERBO villa Balbianello, sul lago di Como 3 AVVERTENZE Gli Autori dei testi pubblicati, avendo collaborato con l’AIAF al fine di sostenere la Sua attività associativa, di promozione culturale e formativa nel campo del diritto di famiglia e minorile, hanno autorizzato l’AIAF all’utilizzo del loro contributo, a mezzo stampa o con ogni altro tipo di supporto, compreso cd-rom o altri supporti elettronici, senza richiedere alcun corrispettivo e con rinuncia a richiedere e percepire da parte della stessa Associazione, i diritti di autore conseguenti all’eventuale pubblicazione, utilizzazione economica, distribuzione e commercializzazione, a mezzo stampa o altro tipo di supporto elettromagnetico. Conseguentemente, l’AIAF a tutela degli Autori e dei loro elaborati, comunica ad ogni effetto di legge, che l’utilizzo del materiale che viene messo a disposizione dell’Utente è permesso solamente per scopi personali e privati, e ne è vietata la riproduzione anche parziale. In caso di violazione di tale divieto, AIAF e i singoli Autori si riservano il diritto di agire in sede giudiziaria per il risarcimento dei danni subiti. SOMMARIO 9 Introduzione 11 Lo status o gli status di filiazione? GIOVANNI BONILINI 23 Per una disciplina unitaria del rapporto di filiazione MARINA MARINO 31 Lo status del figlio nato in costanza di matrimonio MARIA DOSSETTI 41 I presupposti del riconoscimento del figlio naturale ELISA CECCARELLI 51 Il disconoscimento di paternità GILDA FERRANDO 63 L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ALBERTO FIGONE 67 Il curatore del minore nelle azioni di stato CARLA MARCUCCI 77 Procreazione medicalmente assistita e status del figlio MICHELE SESTA 93 Modificazioni dello status del figlio e conseguenze sul cognome MIMMA MORETTI 99 La disciplina internazional-privatistica dell' accertamento dello status di filiazione FILIPPO CORBETTA 105 La disciplina dell’accertamento dello status nei principali Paesi europei MARIA GIOVANNA CUBEDDU APPENDICE_ 127 Le proposte di legge (XIV e XV Legislatura) in tema di filiazione e cognome 5 AIAF 6 QUADERNO NUMERO 2005/2 SOMMARIO INDICE AUTORI Bonilini Giovanni PROFESSORE ORDINARIO Ceccarelli Elisa MAGISTRATO, GIÀ Corbetta Filippo AVVOCATO IN DI PRESIDENTE PROFESSORE ASSOCIATO DOCENTE DI DIRITTO DI Ferrando Gilda PROFESSORE ORDINARIO Figone Alberto AVVOCATO IN Marcucci Carla AVVOCATO IN Marino Marina AVVOCATO IN Moretti Mimma DOCENTE DI DEL TRIBUNALE MILANO, DIPARTIMENTO Cubeddu Maria Giovanna Dossetti Maria DIRITTO CIVILE, UNIVERSITÀ DI DI PER I DI MINORENNI DI BOLOGNA STUDI INTERNAZIONALI, UNIVERSITÀ DIRITTO PRIVATO, UNIVERSITÀ FAMIGLIA, UNIVERSITÀ DI ISTITUZIONI DI PARMA DI DEGLI STUDI DI DEGLI STUDI DI MILANO TRIESTE MILANO BICOCCA DIRITTO PRIVATO, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA GENOVA, DIRETTIVO NAZIONALE AIAF LUCCA, DIRETTIVO NAZIONALE AIAF ROMA, CONSIGLIO DIRITTO DI DI PRESIDENZA AIAF FAMIGLIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Sesta Michele PROFESSORE ORDINARIO DI DIRITTO PRIVATO, UNIVERSITÀ DI BOLOGNA (DIRETTORE DEL CORSO INTENSIVO DI DIRITTO DI FAMIGLIA) 7 AIAF 8 QUADERNO 2006/2 INTRODUZIONE I l convegno sul tema “La filiazione: verso un unico status”, di cui pubblichiamo gli atti in questo Quaderno, è nato dall'esigenza di approfondire le questioni attinenti la filiazione legittima e la filiazione naturale, in riferimento all'attribuzione dello stato, al rapporto che si instaura tra genitori e figli, ai profili sostanziali e processuali delle azioni di stato, in un momento in cui risulta sempre più evidente lo scollamento tra le scelte operate dalle persone all'interno della famiglia e delle relazioni interpersonali, e la normativa vigente che disciplina i rapporti familiari. I numerosi interventi della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale, in particolare dal 2003 ad oggi, su diverse questioni attinenti la filiazione, corrispondono ad una domanda che emerge da un disagio che sale dalla società, e che cerca "giustizia" e nuovi percorsi giurisprudenziali e legislativi, più consoni alle esigenze reali delle persone. Strade peraltro che altri Paesi europei hanno da tempo già intrapreso, mentre il nostro Paese è ancora pervicacemente teso alla difesa della famiglia legittima, come unico modello riconosciuto, impedendo così, anche sul piano culturale oltre che giuridico, la totale rimozione di qualsivoglia residua differenza tra prole legittima e prole naturale. Nelle ultime due Legislature sono stati presentati, alla Camera e al Senato, numerosi progetti di legge sulla filiazione legittima e naturale e sul cognome da attribuire ai figli e alla famiglia, ma giacciono senza alcuna previsione di dibattito parlamentare. L'AIAF, associazione di avvocati che quotidianamente trattano tali questioni, confrontando le esigenze e le domande delle persone con le risposte dei giudici e del Legislatore, ha voluto con questo convegno approfondire i temi più attuali che riguardano la filiazione, anche riferiti al panorama europeo, con la collaborazione di docenti universitari, magistrati e avvocati. Gli atti qui pubblicati, evidenziano la ricchezza ed importanza dei contributi portati dai Relatori, cui va il nostro più sincero ringraziamento. INTRODUZIONE Un ringraziamento particolare alla Collega, Avv. Mirella Quattrone, del Foro di Como e del Direttivo Nazionale AIAF, al Collega Avv. Alessandro Patelli, Presidente del Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Como, e al Dott. Pietro Giuffrida, Presidente del Tribunale di Como, non solo per la collaborazione al Convegno, ma anche per la simpatica oltre che ottima accoglienza sulla ridente sponda del Lago di Como. Milena Pini 9 AIAF 10 QUADERNO 2006/2 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS L’ inventario delle ipotesi di filiazione ci consegna una moltitudine di fattispecie; del resto, l’ammirevole varietà della natura, combinata ai progressi della tecnica e alla fantasiosa ricchezza distintiva del giurista, non può che portare a registrare la molteplicità delle condizioni in cui avviene la nascita d’un figlio, e la sua considerazione da parte del diritto. In ciò risiede una delle ragioni che hanno spinto gli Organizzatori di quest’incontro di studio a titolare il mio intervento in forma interrogativa, singolare e plurale, sebbene non si possa dimenticare che il titolo del Convegno: “La filiazione verso un unico status”1, racchiude già in sé affermativamente, quanto meno sotto la veste del vóto, l’idea dell’unicità dello status filiationis. ******* Non si può negare che, almeno nell’interpretazione tradizionale, si è soliti accompagnare al rilievo, secondo cui la filiazione, come fatto giuridicamente rilevante, si presenta in differenti forme 2, l’affermazione che si hanno più status filiationis. Si sostiene, ad esempio, che lo status familiare non è necessariamente collegato al matrimonio, ché anche la filiazione fuori del matrimonio dà luogo, ove si tratti di filiazione riconosciuta o giudizialmente accertata, ad un vero status3. Non si può dimenticare, inoltre, che, accanto allo status di figlio legittimo, ed a quello di figlio naturale, si colloca lo status di figlio adottivo. Altra, recente, dottrina osserva come l’attuale regime della filiazione - vale a dire la circostanza che la condizione di figlio legittimo e quella di figlio naturale non presentano sostanziali differenze, ché il contenuto del rapporto tra genitori e figli è identico - permetta di affermare che non vi sono più “due status filiationis – legittima e naturale -, ma un unico status di figlio al quale corrispondono diversi sistemi di accertamento a seconda che la procreazione avvenga da genitori coniugati tra loro o da genitori non coniugati tra loro”4. In definitiva: le differenze nei sistemi d’accertamento della filiazione, non sembrano da sole sufficienti a dimostrare l’esistenza di due status diversi, ove non vi si accompagni “una differenza del contenuto degli status”5. Ad analogo risultato giunge chi rileva, anzitutto, che, nell’odierno ordinamento, la famiglia legittima non rappresenta più l’unico modello di convivenza familiare approvato dal legislatore, e, proprio al fine di rimarcare l’unitarietà che il LO STATUS O GLI STATUS DI FILIAZIONE? 1 2 3 4 5 GIOVANNI BONILINI PROFESSORE ORDINARIO DI DIRITTO CIVILE NELL’UNIVERSITÀ DI PARMA Traccia della Relazione introduttiva, corredata di essenziali richiami bibliografici, tenuta al Convegno: “La filiazione verso un unico status”, svoltosi a Como il 23-24 giugno 2006. V. M. Trimarchi, voce Filiazione legittima, in Enc. dir., vol. XVII, Milano, s. d., ma 1968, (p. 456 ss.), p. 456. P. Rescigno, voce Status. I) Teoria generale, in Enc. giur. Treccani, vol. XXX, Roma, 1993, (p. 1 ss.), p. 4. V. inoltre, fra gli altri: G. Crifò – A. Pezzana, voce Filiazione naturale, in Enc. dir., vol. XVII, Milano, s. d., ma 1968, (p. 475 ss.), p. 475; F. Galgano, Diritto civile e commerciale, vol. IV, Padova, 2004, IV ed., p. 5 s. e p. 87. G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, in Tratt. dir. priv., dir. da P. Rescigno, IV, t. 3, Torino, s. d., ma 1997, II ed., p. 131 ss., spec. p. 133. G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, cit., p. 133. 11 AIAF QUADERNO 2006/2 sistema oggi riconosce al rapporto giuridico genitore-figlio, sceglie, per l’esposizione della materia, di partire proprio dalla ricostruzione della condizione giuridica del figlio – cognome, potestà, diritti, doveri, etc. –, facendo poi seguire la trattazione della disciplina dell’accertamento del rapporto di filiazione, reputato “meramente funzionale a quella dello status sostanziale”6. Dottrina, questa, che si discosta dunque, consapevolmente, dalla sistematica codicistica, osservando come il legislatore dovrebbe proiettare le proprie norme sul rapporto genitorefiglio. In definitiva, la richiamata dottrina sostiene la “tendenziale unitarietà dello status di filiazione”7. Giova non dimenticare, nondimeno, come quella stessa dottrina abbia messo in luce che è sì vero che il figlio riceve oggi, indipendentemente dalla natura della filiazione, piena tutela giuridica nei confronti del genitore, “di guisa che il rapporto di filiazione si presenta sostanzialmente omogeneo, indipendentemente dal vincolo matrimoniale tra i genitori”8, e permane variegato il sistema d’accertamento della filiazione, ma è altresì vero che il differente sistema di formazione del titolo di stato, dal quale dipende il dispiegarsi degli effetti del rapporto di filiazione, “lungi dal costituire un aspetto meramente “ tecnico ”, ha un notevole significato sostanziale e sottintende una precisa politica del diritto, rimasta invariata nonostante la Costituzione e la riforma del diritto di famiglia”9. In definitiva: è viva la sensazione che la filiazione naturale permanga un “affare privato” e, quindi, che ci si trovi di fronte a scelte coerenti con il vecchio sistema, in cui la forte differenziazione tra figli legittimi e figli naturali era ed è conseguenza della volontà di “enfatizzare il valore del matrimonio e dell’unione matrimoniale rispetto a quella libera”10. Un’apparente conferma della tratteggiata impostazione di fondo, sembra emergere, altresì, da una recente pronunzia della Corte costituzionale, la quale ha ribadito che la “condizione dei figli deve essere considerata come unica, a prescindere dalla qualificazione del loro status, e non può incontrare differenziazioni legate alla circostanza della nascita”, giusto il principio di responsabilità genitoriale, proclamato dall’art. 30 Cost.11. Conferma, a ben vedere, apparente, ché l’inciso: “a prescindere dalla qualificazione” dello status dei figli, riafferma, seppur per implicito, la persistenza, a mò di predicato dello status, almeno sul piano del linguaggio, della qualifica di legittimo e di naturale, e, giova non dimenticarlo, di adottivo. Va rilevato, nondimeno, e ben è stato messo in luce dalla dottrina, che la giurisprudenza della Corte costituzionale ha il merito, in ogni caso, di invitare i giudici ordinari all’utilizzo, senza timidezze, dell’interpretazione diretta a confermare l’avvenuta ricezione, nell’ordinamento giuridico, “del principio dell’unicità della condizione dei figli rispetto a coloro che li hanno generati”12. Le norme che tutelano i figli, dunque, debbono trovare un’applicazione diretta, indipendentemente dal loro status, e senza che sia necessario il (fuorviante) ricorso al M. Sesta, Diritto di famiglia, Padova, 2005, II ed., p. 431 ss. M. Sesta, Diritto di famiglia, cit., p. 432. M. Sesta, voce Filiazione, in Enc. dir. Aggiornamento, vol. IV, Milano, s. d., ma 2000, (p. 569 ss.), p. 569. M. Sesta, voce Filiazione, cit., p. 570. M. Sesta, voce Filiazione, cit., p. 570, testo e nota 5, in cui richiami di dottrina. Corte cost., 21 ottobre 2005, n. 394, in Famiglia, persone e successioni, 2006, p. 416 ss., con nota di M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato. 12 M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., p. 419. 6 7 8 9 10 11 12 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS procedimento analogico, ché si “realizza una tutela molto più efficace e immediata che non l’applicazione analogica”13. Non si può dimenticare, peraltro, che, proprio recentemente, un ulteriore passo in avanti lo ha fatto lo stesso legislatore, là dove stabilisce che le norme sul così detto affidamento condiviso dei figli (L. 8 febbraio 2006, n. 54), si applicano ai “procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati” (art. 4, cpv., L. cit.). D’altra parte, che la nascita, come evento di natura, sia un avvenimento neutro14, dovrebbe oggi ricavarsi anche dalla proclamazione dell’art. 21, primo comma, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 – la cui disposizione è stata riprodotta nell’art. II-81 Cost. europea -, ai sensi del quale, è vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, fra l’altro, sulla nascita. Si può rammentare, infine, come attenta dottrina auspichi l’abolizione d’ogni distinzione fondata sullo stato dei genitori, chiamando in soccorso le esperienze straniere, in ispecie quella tedesca e francese, ché la permanente discriminazione tra i figli scaturisce, altresì, dalla conservata distinzione formale tra filiazione naturale e filiazione legittima. Ne discende, che non sono bastevoli le enunciazioni che conferiscano al figlio naturale i diritti e i doveri del figlio legittimo, “dovendosi piuttosto cancellare la stessa distinzione tra filiazione legittima e filiazione non legittima”15. ******* Non si può che registrare, dunque, una molteplicità di posizioni degli interpreti, che non è che un aspetto, come direbbe Borges, “di questa confusione che è la vita”16. Unicità dello status filiationis, dunque, o pluralità degli stessi? Domandiamoci, anzitutto, quale concetto di status sia accoglibile, e se lo stesso possa ancora dirsi giovevole. Esso, com’è noto, è tra i più sfuggenti, e vaghi, dell’intera scienza del diritto17. 13 M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., p. 422, ad avviso della quale, peraltro, la circostanza che non deve neppure guardarsi alla convivenza more uxorio dei genitori, rende evidente che, in tal modo, non si corre il rischio di escludere dalla tutela i figli naturali di genitori non conviventi, o quelli che hanno un solo genitore naturale, evitando, così, di riprodurre una disparità di trattamento tra figli naturali. In definitiva: il problema della disciplina dei rapporti tra conviventi more uxorio, per quanto rilevante, è indipendente dall’esigenza di tutela dei figli naturali. Basti pensare, del resto, alla circostanza, che la disciplina della convivenza more uxorio, qualsivoglia saranno le scelte legislative, esigerà che le parti accettino che il loro rapporto sia sottoposto ad una forma di riconoscimento, laddove la tutela dei figli naturali, nel senso d’una loro piena parificazione ai figli legittimi, deve essere attuata, in modo completo, in qualsivoglia situazione. 14 G. Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, s. d., ma 2006, IV ed., p. 232. 15 C. M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, IV ed., p. 316 ss., spec. p. 317. 16 L. Borges, Il manoscritto di Brodie, Trad. di L. Lorenzini, Milano, 1999, p. 19. 17 Al riguardo, si vedano, almeno: A. Corasaniti, voce Stato delle persone, in Enc. dir., vol. XLIII, Milano, s. d., ma 1990, p. 948 ss.; P. Rescigno, voce Status. I) Teoria generale, cit., p. 1 ss.; L. Lenti, voce Status, in Dig. IV, vol., Torino, s. d., ma, p. 29 ss. Cfr. inoltre, utilmente: P. Zatti, voce Status, in A. Belvedere – R. Guastini – P. Zatti – V. Zeno Zencovich, Glossario, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, s. d., ma 1994, p. 391 ss.; V. Scalisi, Lo status di figlio legittimo da adozione, ora in Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, (p. 365 ss.), spec. p. 380 ss. Di recente, è importante il contributo di G. Alpa, Status e capacità. La costruzione giuridica delle differenze individuali, s. l. e s. d., ma Bari, 1993. V., inoltre: P. Rescigno, Status e capacità, in I mobili confini dell’autonomia privata. Atti del Convegno di studi in onore di C. Lazzara, a cura di M. Paradiso, Milano, 2005, p. 15 ss.; F. D. Busnelli, Nascere per contratto?, ibid., p. 31 ss., spec. p. 41 ss. Sugli status familiari, inoltre, v. la recente riflessione di D. Messinetti, Diritti della famiglia e identità della persona, in Riv. dir. civ., 2005, I, p. 137 ss., spec. p. 146 ss. 13 AIAF QUADERNO 2006/2 Gode di un considerevole grado di condivisione, l’opinione secondo la quale gli status “della persona sono le posizioni giuridiche fondamentali che essa assume nell’ambito della società e del nucleo familiare […] Gli stati sono posizioni soggettive che rilevano come presupposti di diritti e doveri della persona [...]”18. Inoltre: “Lo stato familiare è presupposto e titolo di una pluralità di specifici diritti, poteri e doveri”19. Non manca chi precisa: “La posizione di figlio costituisce uno stato familiare, e cioè una posizione giuridica fondamentale di diritto familiare […] In un primo significato, precisamente, lo stato di figlio indica la titolarità sostanziale del rapporto di filiazione. A questa titolarità, che nasce dal fatto stesso della procreazione, sono collegati diritti e obblighi verso il genitore, a tutela di una essenziale esigenza di solidarietà della persona. In un secondo significato lo stato di figlio indica invece la titolarità formale del rapporto di filiazione, e cioè la titolarità del rapporto giuridicamente accertato”20. Non meno efficace, è l’idea dello status come trasposizione, in termini giuridici, del complesso dei diritti e dei doveri del singolo, secondo la sua collocazione verso lo Stato, la famiglia, etc. In ogni caso, esso è giuridicamente fondato, se rivolto alla tutela del singolo: così detto status di protezione, contrapposto agli status-privilegio dell’epoca feudale e pre-rivoluzionaria21. Da altra angolazione, si può ritenere che il concetto sia frutto dell’ambizione dell’ordinamento giuridico a ridurre in schemi formali rapporti fondati su affetto, stati d’animo, complicità, speranze, ma anche sofferenze, lacerazioni, contrasti, contrapposizioni22. La nozione di status, che mi pare ne colga maggiormente l’essenza, è quella secondo cui esso appare come uno strumento tecnico, tra i più collaudati, capace di tradurre in una condizione rilevante per il diritto, e rilevante in maniera non precaria né discontinua, una situazione che, nell’ambiente sociale e secondo l’apprezzamento comune, distingue un soggetto dagli altri per ragioni strettamente individuali, o in ragione dell’appartenenza ad un gruppo23. In termini più sobri, lo status si appalesa come “sintesi ideale” di rapporti, come “formula verbale che riassume una normativa”24. Ed ancora: esso è “espediente logico e strumento pratico disponibile per creare o mantenere diseguaglianze e zone di diritto singolare”25. Lo status, dunque, è quasi l’immagine plastica della differenza, mira a segnare la differenza; ove non sussistano differenze, perde senso il concetto stesso di status. Il che vuol dire, dunque, che il figlio di dati genitori è diverso dal figlio di differenti genitori, ma non dovrebbe voler dire che il figlio A ed il figlio B degli stessi genitori abbiano uno status differente, non fosse altro perché appartengono alla stessa, identica comunità. Non si può negare, però, al contempo, che, là dove uno dei genitori di A e di B sia differente, si smarrisce il senso dell’identità della compagine familiare, quindi si appanna il senso dell’appartenenza comunitaria, offerto dallo status. 18 19 20 21 22 23 24 25 C. M. Bianca – G. Patti – S. Patti, Lessico di diritto civile, Milano, s. d., ma 1991, p. 725. C. M. Bianca – G. Patti – S. Patti, Lessico di diritto civile, Milano, s. d., ma 1991, p. 730. C. M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, Milano, 2005, IV ed., p. 314 s. G. Alpa, I principi generali, in Tratt. dir. priv., a cura di G. Iudica e P. Zatti, Milano, s. d., ma 1993, p. 238. Così, G. Alpa, I principi generali, cit., p. 239. Cfr. P. Rescigno, voce Status. I) Teoria generale, cit., p. 2. V., nuovamente, P. Rescigno, voce Status. I) Teoria generale, cit., p. 2. P. Rescigno, voce Status. I) Teoria generale, cit., p. 3. 14 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS Non si può dimenticare, inoltre, che il concetto di status ha insito il valore della tendenziale definitività. Definitività solo tendenziale, in quanto, in dati casi, lo status può smarrirsi, o essere sostituito. Il minore d’età in istato d’abbandono, ad esempio, può essere adottato, quindi assume, al termine del procedimento, lo stato di figlio legittimo dei genitori adottivi, perdendo, di conseguenza, quello originario. Ben si è osservato, peraltro, al riguardo, che lo status di figlio legittimo del minore adottato si acquista “per mera forza di legge e non iure sanguinis”26. Ben si è messo in luce, inoltre, che lo status di figlio legittimo, attribuito al minore adottivo, presenta, sul piano della disciplina, “profili di identità ma anche aspetti di specialità rispetto allo status di figlio legittimo a titolo originario”27. Occorre prendere atto, dunque, della circostanza che, pur di fronte al medesimo status, nel caso di specie quello di figlio legittimo, si debbono registrare delle differenze. ******* Abbandoniamo, momentaneamente, la grezza ricostruzione dei termini essenziali del tema, e poniamo attenzione alla circostanza che, oggi, sono differenti, nel nostro ordinamento giuridico, le tecniche giuridiche d’accertamento della filiazione, vale a dire, in definitiva, di attribuzione dello status di figlio. A prima vista, sembra che non possa che essere così, epperò non si può punto escludere, che potrebbe approdarsi ad un unico modo d’accertamento della filiazione. Non si può negare, tuttavia, che, anche ammesso che l’ordinamento giuridico riuscisse ad imporre l’ascrizione d’un figlio a dati genitori, rimarrebbe pur sempre un’area, in cui non potrebbe che essere palese il suo fallimento, e l’allusione è a quella costituita dai figli abbandonati – si rammenti, peraltro, che è sempre più ricorrente il ripristino, in forme moderne, della “ruota degli esposti” -, a meno di non immaginare una maestosa mappatura delle caratteristiche genetiche degli abitanti del pianeta, cui conseguirebbe la pressoché automatica ascrizione a dati genitori. Il problema dell’accertamento della filiazione, dunque, come meglio emergerà in seguito, non può essere trascurato. ******* Spostiamo adesso l’attenzione al profilo del rapporto di filiazione, che, a mio avviso, è il più meritevole di considerazione. La vera preoccupazione del giurista, infatti, non mi pare possa riguardare tanto l’ontologica diversità dei modi di nascita, cui si accompagna oggi, nella nostra esperienza, una diversità delle forme giuridiche del suo accertamento, quanto l’identità del rapporto di filiazione, quale che sia l’origine del figlio. Ciò che rileva, infatti, è che ciascun figlio abbia parità di diritti, e di doveri, nei confronti dei proprî genitori. Ciò che rileva, inoltre, è che i genitori non si sottraggano al dovere di responsabilità, annodato alla procreazione. Parità di diritti, e di doveri, dei figli, dunque, nei confronti dei genitori. Situazione, questa, che già il Costituente del 1948 colse con indubbia lungimi26 V. Scalisi, Lo status di figlio legittimo da adozione, cit., p. 368. 27 V. Scalisi, Lo status di figlio legittimo da adozione, cit., p. 374 ss. 15 AIAF QUADERNO 2006/2 ranza, come testimonia la norma affidata all’art. 30, primo comma, Cost., e quella racchiusa nel suo terzo comma. Certo, non si può negare la lentezza del nostro legislatore ordinario a rendere concreta la perentoria affermazione del principio costituzionale; nondimeno, non si può neppure negare che, oggi, sussiste una sostanziale parificazione della prole, ove si eccettui la (marginale) persistenza del diritto di commutazione, sopravvissuto in favore dei figli legittimi. Non si può dimenticare, è vero, che un’area di preferenza, nei confronti dei figli legittimi, persiste, altresì, alla luce della norma racchiusa nell’art. 30, terzo comma, Cost., là dove è stabilito che la legge assicura sì, ai figli nati fuori del matrimonio, “ogni tutela giuridica e sociale”, epperò “compatibilmente con i diritti dei membri della famiglia legittima”; tuttavia, permane sicuro, in ogni caso, che sussiste una pressoché totale sovrapponibilità, del rapporto di filiazione annodato alla nascita fuori del matrimonio, a quello avvenuto in sua costanza. Si può rammentare, peraltro, come, secondo un’interpretazione attenta, forse ottimistica, la recente legge sull’affidamento condiviso accrediti il riconoscimento, in via generale, della rilevanza giuridica della parentela naturale nei rapporti familiari, giusto il combinato disposto delle norme affidate all’art. 155, primo comma, cod. civ. e all’art. 4, cpv., L. 8 febbraio 2006, n. 5428, sicché scemerebbe un’altra ragione della diseguaglianza. ******* È dato sicuro, dunque, allo stato dell’indagine, che i figli conoscono una sostanziale equiparazione nei diritti e nei doveri, qualsivoglia sia la circostanza della loro nascita. È forse una forzatura, l’affermazione della piena identità, oggi, dei rapporti di filiazione, epperò non si può negare che gli stessi si rivelino pressoché sovrapponibili. Permane però, quanto meno sul piano del linguaggio quotidiano, e altresì, almeno nella forma, su quello normativo, la differenziazione degli status: per quanto il linguaggio colto si sforzi di impiegare la forma status filiationis al singolare, senza aggettivazione alcuna, è indubbio che le norme vigenti mantengono le differenze, non foss’altro che per la persistenza di differenti modalità d’accertamento della filiazione. Non si può negare, che sarebbe oggi compito del legislatore abbandonare quella sorta di svogliatezza, che lo frena nell’armonizzazione, alla mutata coscienza sociale, del vigente diritto di famiglia. Non si comprende per quale ragione si costringano giudici e dottrina a defatigante attività ermeneutica, là dove sarebbe più proprio, e doveroso, l’intervento del legislatore, diretto a rendere pienamente parificato il rapporto di filiazione. Si potrebbe sostenere, a questo punto, che tanto varrebbe che il legislatore non si limitasse a dettare un’unica disciplina del rapporto di filiazione, ma si orientasse, piuttosto, verso una normazione, che cancelli l’idea stessa della differenza, seppur formale, degli status filiationis, onde emerga senza esitazioni, con convinzione piena, che la nascita comporta l’appartenenza ad un dato gruppo familiare, vale a dire attribuisce lo status di figlio. Affermazione, questa, che potrebbe sì trovare un iniziale impaccio attuativo riguardo ai bambini abbandonati, ma che presenterebbe un indubbio significato 28 M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., p. 423. 16 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS in ordine alla stragrande maggioranza delle situazioni concrete, in cui la nascita avviene, appunto, nell’ambito d’una compagine familiare, sia questa rispondente al modello delineato dall’art. 29 Cost., in quanto fondata sul matrimonio, sia la stessa cementata dagli affetti vissuti nella concretezza della vita quotidiana, sì non rispondente al modello prescelto dall’art. 29 Cost., pur tuttavia garantita, almeno, dall’art. 2 della Costituzione. Ci si avvede, però, con immediatezza, che il legislatore si troverebbe di fronte ad un ulteriore, non trascurabile interrogativo, vale a dire la scelta in ordine al sistema d’accertamento della filiazione. Immaginiamo, quale ipotesi di lavoro, che il legislatore si avvii lungo il crinale dell’unificazione dello status filiationis, optando, altresì, per un unico modo d’accertamento della filiazione, prescindendo, in definitiva, dallo status coniugale dei genitori. Mi domando, dunque, se sia sostenibile, che lo stesso possa procedere all’attuazione di siffatta scelta pel tramite della normazione ordinaria, dimenticando la salda presenza d’un principio, qual è quello affidato all’art. 29, primo comma, Cost., che elegge, a pilastro della famiglia legittima, il matrimonio. È arduo non riconoscere che il legislatore ordinario difficilmente potrebbe trascurare la presenza di codesto principio, che sbarra come un macigno la strada della normazione ordinaria. È quanto mai felice l’osservazione, peraltro, secondo la quale la Costituzione, assorbendo principi fondamentali del Codice civile, e sottraendoli all’arbitrio del legislatore ordinario, ha contribuito efficacemente alla loro stabilità29. Si può riferire l’opinione, secondo la quale si assiste oggi alla “perdita non solo di supremazia ma anche di centralità della famiglia legittima”30, ma occorre domandarsi, poi, se, di codesta perdita, sia accertabile il pieno riscontro nella coscienza sociale, e, soprattutto, se il giurista possa negligere la permanenza del principio costituzionale richiamato, vivo sino a quando non sarà rimosso. Personalmente, sono da sempre convinto che gli affetti familiari, e la serenità della vita di coppia, che abbisogna d’un quotidiano, non di rado faticoso, impegno, non guadagnino necessariamente dalla presenza del vincolo matrimoniale; epperò, non si può negare che il matrimonio permane, pei più, un’istituzione, della quale non ci si può sbarazzare con disinvoltura. Certo, non è priva di fascino la proposta “di una pluralità di statuti normativi della famiglia volta a volta commisurati alla realtà delle diverse forme e modi di vivere familiari riscontrati esistenti”31, ma compete pur sempre al legislatore farsi carico di tradurla normativamente, seguendo il procedimento della revisione costituzionale. Non si può negare, peraltro, che il matrimonio ha connaturata l’idea della legittimità della prole nata in sua costanza, difficilmente sradicabile, e che, non di rado, proprio ciò costituisce la sirena che attrae la coppia desiderosa di avere prole legittima, vale a dire riconosciuta come tale (dalla legge e) dalla comunità sociale. Ho già sostenuto in altre occasioni, che la via maestra per una serena presa d’atto della pluralità dei modelli di vita familiare, alternativi a quello fondato sul 29 Cfr. N. Irti, L’età della decodificazione, Milano, s. d., ma 1999, IV ed., p. 45, testo e nota 49, in cui il richiamo a De Cupis. 30 V. Scalisi, La “famiglia” e le “famiglie”, ora in Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, (p. 209 ss.), p. 217. 31 V. Scalisi, La “famiglia” e le “famiglie”, cit., p. 231. 17 AIAF QUADERNO 2006/2 matrimonio, non può che essere quella dell’aggiornamento della norma racchiusa nell’art. 29, primo comma, Cost., in modo tale che ne derivi una piena rilevanza, anche giuridica, delle famiglie differenti da quelle fondate - vuoi per libera scelta dei suoi originari componenti, vuoi per necessità - sul matrimonio. Percorrendo questa via, che reputo sia l’unica corretta, può approdarsi alla piena dignità e rilevanza effettuale delle altre famiglie, vale a dire di quelle che, per le più varie ragioni, non sono costituite sul matrimonio, e che, oggi, sono sì la minoranza, ma, non per questo, sono immeritevoli della pienezza del riconoscimento normativo. È sostenibile che, oggi, il legislatore ordinario possa unificare la filiazione, senza mettere mano all’art. 29 Cost.? È sostenibile che il legislatore, oggi, possa affrontare la modifica dell’art. 29 Cost., rimeditando il ruolo centrale che il matrimonio svolge ancora oggi, e che si riverbera, ineludibilmente, sul connesso problema della filiazione? Personalmente, non lo ritengo, e, seppur non dotato delle arti divinatorie, reputo probabile che il nostro legislatore imboccherà, a breve, il viottolo di una pasticciata normazione attraverso i così detti “pacs”, non consapevole del fatto che occorre, soprattutto nel diritto di famiglia, una coraggiosa chiarezza d’idee, che non è mancata al Costituente del 1948, e che ha fatto difetto, invece, successivamente. Certo, il Legislatore costituente non poteva che avere di mira la famiglia qual era viva nella società del tempo, vale a dire basata sul matrimonio, epperò non dimentico della necessità d’una tutela piena dei figli nati fuori del matrimonio, i quali, non a caso, hanno conosciuto, ancora per lungo tempo, una posizione deteriore, financo sul piano del rapporto di filiazione, nonostante la chiarezza del principio costituzionale posto. Non si può certo sostenere, che sia stata coraggiosa la riforma del 1975, che, a parte i guasti che ha determinato – penso all’insensatezza del regime patrimoniale della famiglia, non a caso fallito nella prassi –, ha sì portato a migliore situazione i figli naturali, ma in quanto indottovi, in definitiva, da una lucida giurisprudenza costituzionale, che ha riconosciuto doveroso il rispetto dei principi forgiati dai Padri costituenti. Non si può certo sostenere, inoltre, che sia stato coraggioso, il nostro legislatore, nella confezione della normativa sul divorzio, la quale, peraltro, ancora di recente, si è vista negare quella marginale, eppur importante, modifica, relativa all’accorciamento del lungo periodo di separazione personale dei coniugi, senza il cui decorso, non può approdarsi allo scioglimento del vincolo matrimoniale. Pochi esempi, dunque, di quanto sia faticosa, a livello legislativo, l’affermazione della necessità dei cambiamenti nel diritto di famiglia, che fanno presagire, in definitiva, quanto sia difficile ritenere maturi i tempi della novellazione dell’art. 29 Cost., senza la quale, non mi pare corretto immaginare una radicalmente nuova normativa dell’accertamento della filiazione. Senza la quale, in definitiva, si dia atto che non ha rilevanza che la nascita avvenga in ambito matrimoniale o fuori dello stesso. Più agile, invece, in quanto affidabile alla normazione ordinaria, sarebbe la piena uniformazione della disciplina degli effetti della filiazione, qualsivoglia sia la circostanza della nascita. In altri termini, reputo possibile che il legislatore ordinario, pur non novellando l’art. 29 Cost., elimini definitivamente le persistenti differenze che sussistono in ordine ai rapporti di filiazione, approdando ad un unico rapporto di filiazione, non già in via di convincenti interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali, che rischiano di lasciare incertezze, ma, appunto, pel tramite d’una 18 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS chiara, diretta, generalizzata enunciazione normativa, che troverebbe forza, in definitiva, nel principio consacrato nell’art. 30, primo comma, Cost. ******* L’uniformazione del rapporto di filiazione, dunque, non solo è doverosa, ma è agilmente realizzabile32. Diversamente è a dirsi, invece, riguardo all’uniformazione dello status, forse doverosa, ma certo non agile, ove si reputi necessario intervenire, come a me pare, sulla norma affidata all’art. 29, primo comma, Cost. Certo, si potrebbe sostenere, e, anzi, è stato sostenuto33, che, all’eguaglianza del rapporto di filiazione, consegue identità di status, ma è anche vero che la filiazione, di necessità, non può prescindere dall’accertamento, non fosse altro che per la ragione, secondo la quale non si dà, senza accertamento, vero rapporto, data l’ignoranza dei soggetti del medesimo, vale a dire del beneficiario e dell’obbligato o degli obbligati. Il rapporto, dunque, non è lo status, ma, si potrebbe dire, lo presuppone, e lo status, a sua volta, presuppone l’accertamento della filiazione, senza il quale, infatti, non conosceremmo di quale compagine familiare faccia parte il figlio. L’identità del rapporto, dunque, non rende uguale, di per sé, lo status, e se ne ha prova nell’adozione legittimante, che dà sì lo status di legittimo, epperò il medesimo conserva qualche differenza, rispetto allo status che si acquisisce con la nascita nell’ambito matrimoniale34. Ne è prova, inoltre, la circostanza, che il figlio è sì legittimo, ma non manca di essere anche adottivo, e ha oggi il diritto di conoscere, al tempo stabilito, la propria origine biologica. Si potrebbe osservare, a questo punto, che sarebbe sufficiente una normazione volta all’istituzione d’una sola modalità d’accertamento della filiazione. Si potrebbe rilevare, peraltro, che altre esperienze giuridiche, penso a quella germanica e alla francese, sono approdate ad un’uniformazione35. Non va dimenticato, tuttavia, che rimarrebbe poi sempre la necessità di considerare lo status di figlio adottivo, che non è sempre identico, né può esserlo, a quello di figlio tout court. Esula sì, dai limiti del mio intervento, accertare se, in realtà, possa sostenersi che le esperienze straniere richiamate abbiano realizzato, con pienezza, siffatta uniformazione, ma si può agilmente rilevare, che ogni esperienza normativa trova le proprie specificità, soprattutto in un settore, qual è quello del diritto di famiglia, che si alimenta di tradizioni secolari, di convinzioni ideologico-religiose, e, in particolar modo, di pregiudizi, difficili da estirpare. Tradizioni, delle quali il legislatore deve tener conto, senza dimenticare, lo rammento nuovamente, che sussiste, nel nostro ordinamento giuridico, un principio costituzionale, che impone, per la sua revisione, una procedura di difficile esperimento, là dove non sussista una forte condivisione del principio nuovo, da sostituire a quello precedente. L’accertamento della filiazione, dunque, al quale consegue, quasi di necessità, la permanenza della diversità di status, si rivela il più arduo dei problemi. 32 Nello stesso senso, v., di recente, M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., p. 423. 33 G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, cit., p. 131 ss. 34 V. supra, nota 27. 35 Di recente, per un sintetico, ma chiaro quadro della normativa straniera, v. M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., p. 423 s. 19 AIAF QUADERNO 2006/2 Non è mancato chi, anche di recente, ben ha messo in luce, come sia estraneo, alla nostra tradizione, il principio dell’accertamento automatico36, e che restano diversi, “per necessità”, i criteri relativi all’accertamento del rapporto di filiazione37, sembrando peraltro incline a ritenere che l’indicazione della madre nell’atto di nascita debba restare facoltativa, sicché la madre non coniugata, non avrà l’obbligo di riconoscere il figlio che ha partorito. Dottrina, questa, che auspica, in definitiva, una riforma, che abolisca sì, quanto agli effetti, le distinzioni tra le filiazioni, escludendo, nondimeno, che sia necessario, o consigliabile, che la stessa pretenda di unificare i sistemi d’accertamento del rapporto38. Detto altrimenti, si propende per una capillare riforma del Titolo VII del Libro primo del Codice civile, che premetta, alla disciplina dei modi d’accertamento della filiazione legittima e naturale, e delle azioni di stato, “una disciplina comune del rapporto di filiazione, che consenta di affermare che ogni bambino che viene al mondo ha uguale dignità e riceve pari trattamento non solo nei riguardi dei propri genitori, ma anche nell’ambiente sociale in cui si trova ad essere inserito”39. A mio avviso, si può ritenere che, tecnicamente, un’uniformazione dello status di filiazione, non già solo in quanto si uniformi il rapporto, ma in quanto sia unico il modo d’accertamento della filiazione, possa avvenire solo novellando l’art. 29, primo comma, Cost., riducendosi, in definitiva, la famiglia fondata sul matrimonio ad uno dei tanti, possibili modelli di vita familiare praticabili dai consociati. Realizzato siffatto intervento normativo, non sopravvivrebbero ostacoli, dal punto di vista meramente tecnico, ad una normativa che predichi, fra l’altro, l’unicità dell’accertamento della filiazione. Siffatta soluzione è possibile dal punto di vista tecnico. Non mi compete esprimermi, invece, da altri punti di vista, neppure in ordine all’obbiezione di chi, verosimilmente, eccepirà che, sabotata anche l’istituzione matrimonio, non rimarrà che un cumulo di macerie. Obbiezione, questa, che dovrebbe spingere il riformatore ad un’attenzione quanto mai vigile. ******* Un’ultima considerazione. S’insegna tradizionalmente, che non ha più ragion d’essere, da lunga data, lo status libertatis, che tanta importanza ha avuto nel diritto romano, ché non ha più senso distinguere gli appartenenti alla comunità dei servi da coloro i quali fanno parte della comunità degli uomini liberi. Ha scritto Marguerite Yourcenar: “Non credo che alcun sistema filosofico riuscirà mai a sopprimere la schiavitù: tutt’al più, ne muterà il nome”40. La schiavitù, dunque, seppur in altre forme, sembrerebbe permanere, epperò è scomparso, dallo strumentario giuridico, il relativo status. È lecito sostenere che il legislatore, per quanto possa affannarsi nella soppressione delle differenze della filiazione, le quali, giova rammentarlo, non attengono 36 M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., p. 423. 37 M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., p. 422. 38 M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., pp. 423 e 424. 39M. Dossetti, La disciplina unitaria dello status di figlio: un adempimento che non può essere rinviato, cit., p. 424. 40 M. Yourcenar, Mémoires d’Hadrien suivi de Carnet de notes de Mémoires d’Hadrien, trad. di L. Storoni Mazzolani, Torino, 1981, p. 110. 20 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS più, già oggi, alla sostanza del rapporto di filiazione; per quanto possa stabilire, anche perentoriamente, che si dà solo lo status di figlio, sicché non hanno più ragion d’essere i predicati da sempre associativi, occorrerà molto tempo, prima che, nella coscienza sociale, maturi la genuina consapevolezza che tutte le compagini familiari meritano non solo pieno rispetto, il che forse già si è realizzato, ed hanno eguali diritti, il che è doveroso che sia, ma sono eguali. Altro, infatti, è affermare che hanno pari diritti, altro, invece, è sostenere che sono eguali, e resta il dubbio, in ogni caso, che giovi appiattirsi su codesta eguaglianza, ché, quanto rileva, è la parità nei diritti, nelle tutele, nei doveri. Quanto deve preoccupare il giurista, è che ogni figlio sia sì considerato una persona degna d’affetto e di rispetto, e qui il diritto può assai poco, ma, soprattutto, che riceva, possibilmente dai propri genitori, le cure necessarie alla sua crescita, alla sua formazione, alla sua educazione, qualsivoglia sia la circostanza, in cui è venuto alla luce. Minore preoccupazione, invece, deve destarla il tipo di compagine familiare, in cui il figlio ha diritto di crescere, e la cui differenza dalle altre è un dato difficilmente sradicabile, attenendo alla malvagità dell’uomo l’istinto delle differenziazioni. Non può negarsi, peraltro, il pregio insito nella differenza, a condizione che sia concreta, come ben è stato scritto, la “eguaglianza nella differenza”41. L’ideale, in altri termini, sembra ancora risiedere nella “varietà nell’unità”, fine supremo d’ogni azione42. Un noto, celebrato, saggio era intitolato: “Dallo status al contratto”, in cui si metteva in luce come l’individuo abbia preso il posto della famiglia43. Successivamente, si è mostrato il ritorno dal contratto allo status44. Recentemente, si è tornati ad auspicare l’aprirsi ad una nuova stagione, nella quale “i rapporti interpersonali valgano per il diritto indipendentemente dalla loro istituzionalizzazione o formalizzazione”45. Penso che dovremmo riflettere di più sul pensiero di Flaubert, secondo il quale: “Quando gli dèi non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo, solo”46. 41 Così, G. Alpa, Status e capacità. La costruzione giuridica delle differenze individuali, cit., spec. p. 206. 42 Cfr. M. Yourcenar, Mémoires d’Hadrien suivi de Carnet de notes de Mémoires d’Hadrien, cit., p. 115. 43 L’allusione, intuitivamente, è a Henry Sumner Maine, Dallo “status” al contratto, ora in Il diritto privato nella società moderna, a cura di S. Rodotà, Bologna, s. d., ma 1971, p. 241 s. 44 V., ad esempio, V. Scalisi, Lo status di figlio legittimo da adozione, cit., p. 382, secondo il quale, “la rielaborazione teorica segnala come caratteristico del nostro tempo il ritorno allo status quale indice di inversione di tendenza rispetto al processo storico che […] aveva menato dallo status al contratto”. V., inoltre, N. Irti, L’età della decodificazione, cit., p. 39 ss., spec. p. 41. 45 D. Messinetti, Diritti della famiglia e identità della persona, cit., p. 149. 46 Cfr. M. Yourcenar, Mémoires d’Hadrien, cit., p. 281. 21 AIAF 22 QUADERNO 2006/2 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS I l diritto di famiglia - che si occupa di stabilire le regole di comportamento che devono vigere tra i vari soggetti che compongono la famiglia - nel nostro paese è stato oggetto delle “attenzioni”, di un sempre più alto numero di persone e di soggetti politici. Tale fenomeno potrebbe essere il segno di una riflessione ai fenomeni di cambiamento e di modifica sociale, ma, a tutt’oggi, escluse alcune realtà regionali, ci sembra possibile affermare che nulla è mai stato tanto lontano dalla verità, dal momento che gli interventi effettuati fino ad ora non essendo stati il frutto dello studio e confronto tra le diverse professionalità, volti ad individuare i reali bisogni dei cittadini di conseguenza hanno risposto ad esigenze di tutt’altra natura. Infatti se è indubbiamente vero che i mass media si occupano molto più oggi che in passato della famiglia, del diritto ad essa connesso, è indubitabile che tale attenzione (verificabile sia dall’esame dei quotidiani e dei settimanali, sia dall’esame di un sempre maggiore numero di programmi televisivi che in vario modo mascherano la fiction e l’intrattenimento con interventi di natura giornalistica) sia volta non tanto a sollecitare il confronto di idee o esperienze diverse, quanto a solleticare gli istinti, davvero poco apprezzabili di voyeurismo e comunque a trasformare ogni questione in un agone da stadio in cui non vi è più spazio per il civile confronto delle idee. In tal modo l’informazione ne esce stravolta e distorta. PER UNA DISCIPLINA UNITARIA DEL RAPPORTO DI FILIAZIONE Accanto a ciò, ma niente affatto lontani e distinti dal fenomeno al quale ho appena accennato, si pongono gli interventi di modifiche legislative allo studio del nostro Parlamento a riguardo. MARINA MARINO AVVOCATO IN ROMA, CONSIGLIO DI PRESIDENZA AIAF È senza dubbio utile riflettere come nel 1975 in occasione del varo della riforma del diritto di famiglia il legislatore ha saputo dare applicazione ai principi che la Carta Costituzionale aveva affermato agli att.2,3, 29, 31, 39 ventisette anni prima, tenere conto degli interventi operati negli anni 60 dalla Corte Costituzionale, ed infine fare tesoro dei contributi dottrinari di autori quali Campagna e Macello e quindi ha superato la feroce discriminazione tra figli legittimi ed illegittimi, ha ampliato i casi in cui sono ammessi sia il riconoscimento che la dichiarazione giudiziale di paternità, ha eliminato la preclusione al riconoscimento dei figli nati da persone coniugate ed anche quelli che precedentemente erano sanciti in ordine all’ammissibilità dell’azione giudiziale di cui all’art.269 c.c.. È utile chiarire che nel nostro ordinamento la posizione di figlio naturale è riconducibile a tre diverse fattispecie: il figlio nato da persone non unite in matrimo23 AIAF QUADERNO 2006/2 nio; il figlio che a causa del legame di parentela che intercorre tra i propri genitori non può essere riconosciuto, ed infine tutti coloro che non essendo stati riconosciuti dai propri genitori, pur essendo giuridicamente possibile il riconoscimento non hanno il possesso dello status di figlio. A proposito di tale ultima categoria va osservato che l’ordinamento assegna una importanza rilevante al riconoscimento del figlio naturale quasi che la filiazione naturale possa essere considerata dal nostro ordinamento solo ed in quanto riconosciuta, il che però contrasta con i principi costituzionali nei quali non si trova alcun riferimento al riconoscimento al quale di conseguenza non potrà essere ricondotta altra efficacia che quella dichiarativa. Il legislatore ha quindi nel 1975 fatto un passo avanti rispetto al passato, ma a ben vedere si è trattato più di un passo formale che sostanziale, se si considera che definire come legittima la filiazione all’interno del matrimonio è di per se stessa una discriminazione anche se si fosse in presenza di una disciplina assolutamente identica, il che per altro non è. Infatti le norme di diritto positivo regolamentano la posizione dei figli legittimi al capo I del titolo VII e quella dei figli “naturali” al capo II del titolo VII. Il legislatore ha nella seconda norma “equiparato” i figli naturali a quelli legittimi, ed in tal modo aggettivando con aggettivi qualificativi il sostantivo figlio ha reiterato la disparità di trattamento, in quanto se si usa questa tecnica legislativa significa ribadire una distinzione e differenziazione tra le due figure. Il che è in via sostanziale confermato anche dall’istituto della legittimazione previsto dall’art. 280 c.c., dal momento che se si prevede la possibilità, tramite il matrimonio o un procedimento giudiziale, di far acquisire la qualità di figlio legittimo, è del tutto evidente che quest’ultima si considera, tra le due, la posizione preminente e pienamente tutelata rispetto a quella di figlio naturale. Altro segnale del primato dello status di figlio legittimo è dato dalla normativa in tema di matrimonio putativo, laddove si prevede la conservazione, in favore dei figli, dello status di figlio legittimo che è evidentemente considerato più favorevole rispetto a quello di figlio naturale. A ciò si aggiunga che l’uso di aggettivi qualificativi differenti a seconda che ci si riferisca a figli nati da genitori uniti in matrimonio o meno significa operare una prima e grave discriminazione tra i due. Del resto la diversità di disciplina dello status di figlio legittimo e di figlio naturale non trova fondamento in una differente situazione oggettiva, ma la diversa regolamentazione altro non fa che riconoscere al figlio naturale diritti inferiori rispetto a quelli del figlio legittimo. La disciplina del cognome è una delle prime manifestazioni di diversità: al figlio legittimo il cognome viene attribuito con una regola che mira a tutelare la certezza ed omogeneità familiare, mentre l’art.262 c.c. è inspirato a criteri di incertezza tanto che ancora molti sono i casi nei quali si arriva in Cassazione nei giudizi di attribuzione del cognome. La più recente sentenza della Cassazione n. 2641/06 definisce un giudizio di attribuzione del cognome paterno ad un figlio naturale affermando che la funzione del cognome non svolge solo una funzione pubblicistica volta ad offrire una tutela alla famiglia consentendo ai suoi membri di essere identificati come appartenenti ad un certo nucleo familiare, ma assolve una funzione essenzialmente privatistica, come elemento identificativo della persona. La tutela della persona ha il suo nucleo centrale nella tutela del 24 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS nome e di conseguenza la tutela costituzionale del nome attribuito al momento della nascita deve considerarsi assoluta. La medesima sentenza afferma altresì che: “ Nel caso di filiazione naturale, peraltro, non essendovi una famiglia legittima da tutelare, il cognome del figlio assolve- quanto meno in prevalenza- alla funzione privatistica, in virtù della quale il cognome è una componente dell’inviolabile diritto di ciascun uomo ad avere una propria identità personale (artt.2 e 22 Cost).”. Secondo la Suprema Corte la ratio dell’art.262 c.c. non si fonda sulla esigenza di rendere la posizione del figlio naturale il più possibile simile a quella del figlio legittimo e quindi di parificare la filiazione naturale e quella legittima, privilegiando in tal modo l’’assunzione del cognome paterno, cioè quello che sotto il profilo sociale non fa emergere lo status di figlio naturale, bensì quello di garantire al figlio la conservazione del cognome con il quale è oramai conosciuto nel proprio ambiente sociale. Conseguentemente l’attribuzione del cognome verrà effettuata dal giudice sulla scorta di una ampia discrezionalità nella valutazione dell’interesse del minore, nel senso che dovrà valutare se la successiva attribuzione del patronimico possa comportare un pregiudizio per il minore in conseguenza della cattiva reputazione paterna, ma anche valutare se il matronimico è divenuto per il minore un segno distintivo dell’identità personale del minore. Orbene se è vero che il cognome svolge la funzione di tutela dell’identità costituzionalmente garantita, ciò è vero anche per i figli legittimi e sostenere come fa la richiamata sentenza che “nel caso di filiazione naturale…. non essendovi una famiglia legittima da tutelare, il cognome del figlio assolve….alla funzione privatistica, in virtù della quale il cognome è una componente dell’inviolabile diritto di ciascun uomo ad avere una propria identità personale” è davvero paradossalmente un modo per ribadire la differenza tra figlio legittimo e figlio naturale dal momento che la funzione del cognome dovrebbe per tutti essere il segno dell’identità personale e non un criterio residuale da applicare laddove non vi sia una famiglia legittima da tutelare!!! La sentenza continua poi con un interessante disamina di quelle che sono le violazioni del diritto di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e le violazioni poste in essere dall’Italia di convenzioni internazionali e raccomandazioni del Consiglio d’Europa in ordine ai divieti di discriminazioni in ragione del sesso. Del resto le modalità di attribuzione del cognome in via automatica è da tempo oggetto di critiche essendo anch’essa una violazione del principio di eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (artt.2,3 e 29 Cost.) tanto è vero che sono state sollevate eccezioni di incostituzionalità degli artt. 71,72 comma 5° e 73 del vecchio ordinamento dello stato civile, nella parte in cui non consentono la facoltà dei genitori di determinare il cognome da attribuire ai figli legittimo, ma la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione (ordinanza 11 febbraio 1988 n.176). Con la decisione n.61 del 2006 la Corte Costituzionale nel valutare la costituzionalità della norma in forza della quale il figlio nato nel matrimonio acquista all’atto della nascita il cognome paterno rispetto agli artt.2,3,e 29 della Cost. ha richiamato i propri precedenti (sent.586/1988) sostenendo che, “a diciotto anni dalle decisioni richiamate non può non rimarcarsi che l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia…..non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’eguaglianza tra uomo e donna”, malgrado queste condivisibili affermazioni la Corte ha tuttavia dichiarato inammissibile la questione di 25 AIAF QUADERNO 2006/2 legittimità costituzionale in quanto l’intervento che avrebbe dovuto effettuare trascende i poteri della Consulta data la diversità delle soluzioni normative astrattamente ipotizzabili. Come si vede la sentenza è assolutamente condivisibile ed apprezzabile per le affermazioni e le rivendicazioni in tema di parità tra i genitori che contiene, ma essa non risolve, e certo questo non era compito della Cassazione, ma non sottolinea e stigmatizza la disparità di trattamento tra figli naturali e legittimi in tema di cognome. Che si debba modificare il sistema di attribuzione del cognome ai figli è questione sulla quale io personalmente sono d’accordo, ma che una volta scelto esso debba essere comune ai figli è cosa altrettanto certa. Altra differenziazione ingiustificata tra figli legittimi e naturali è contenuta nelle disposizioni di cui all’art. 252 c.c. che indica e detta le condizioni per permettere l’inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima del genitore. Tale procedura, certamente complessa, è volta non a tutelare l’interesse del figlio, o quantomeno non solo questo interesse, ma anche quello della famiglia legittima. Infatti il figlio non esprime consenso né dissenso, mentre tale opportunità è data al coniuge del genitore. I figli legittimi hanno il diritto di convivere con i genitori, mentre a quelli naturali non è riconosciuto analogo diritto. La ratio della norma appena richiamata trova la sua origine nella tutela che l’art.30 della Carta Costituzionale riconosce alla famiglia legittima, con la conseguenza che il diritto del figlio naturale di convivere con il genitore, se entra in conflitto con i diritti della famiglia legittima, non avrà tutela e soccomberà dinanzi al diritto di questa. Infatti la norma riconosce una totale supremazia al diritto del coniuge e dei figli legittimi e conviventi, mentre al figlio naturale non è neppure data la possibilità di esprimere la propria opinione sulla eventuale convivenza neppure se ultrasedicenne o con facoltà di discernimento. Ulteriore ambito di discriminazione è contenuto nelle norme relative alla successione; l’art.537 3° comma c.c. prevede la riserva a favore dei figli legittimi e riconosce agli stessi il diritto di commutazione nei confronti dei figli naturali, vero e proprio retaggio del principio che le case avite debbono andare per successione solo alla discendenza legittima. Molti autori hanno sollevato dubbi di costituzionalità della norma la quale è rimasta ben salda, ed è certamente utile ricordare come l’interpretazione che si è data della norma va nel senso di affermare che il diritto di commutazione viene esercitato legittimamente laddove sia riferito a quei beni facenti parte della comunione ereditaria che costituiscono un patrimonio comune di attività e di affetti ai quali il figlio naturale è rimasto estraneo!! Con il che si è davvero completata l’opera: da un lato in forza dell’art.252 c.c. non se ne consente l’inserimento nella famiglia legittima e con l’art. 537 c.c. si afferma che nei suoi confronti è possibile la commutazione, senza che questa costituisca una violazione del principio di eguaglianza, dal momento che il figlio naturale è rimasto estraneo al patrimonio di attività e di affetti. Ci sembra davvero singolare che la Corte Costituzionale non tenga conto né delle discriminazioni che discendono dall’aggettivazione, né di quelle sostanziali appena riferite se nella sentenza n.332 del 24 luglio 2000, afferma: “ l’esistenza del vincolo sorto tra i genitori non costituisce più elemento di discrimine nei rapporti tra genitori e figli, legittimi e naturali riconosciuti, identico essendo il contenuto dei doveri, oltre che dei diritti degli uni nei confronti degli altri”. Per altro, fonti di discriminazione contrarie al dettato costituzionale si trovano altresì nell’art. 538 c.c. che esclude dalla categoria dei legittimari gli ascenden26 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS ti naturali, norma quest’ultima che trova una sua specificazione e conferma nell’art. 544 c.c.; e nell’art. 578 2° comma c.c. che prevede la esclusione dalla successione del figlio il genitore naturale, quando l’altro genitore abbia proceduto alla legittimazione giudiziale. La potestà È necessario precisare come il contenuto della potestà del genitore sul figlio naturale non può avere contenuto difforme rispetto a quello della potestà del genitore sul figlio legittimo, e parimenti i doveri del genitore ed i corrispondenti diritti del figlio non si differenziano a seconda che si tratti di figlio nato in costanza di matrimonio o fuori dal vincolo coniugale che lega i genitori. Va dato atto che una parte, sia pur minoritaria della dottrina ritiene che l’obbligo del genitore naturale è diverso da quello del genitore legittimo, il che sembra non tenere conto del dettato dell’art.261c.c. che afferma che il riconoscimento comporta l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che si hanno nei confronti dei figli legittimi. Per altro oggi alla luce della normativa di cui alla legge 54 del 2006, che ha di fatto abrogato tacitamente l’art.317 bis c.c. che disciplinava l’esercizio della potestà in relazione alla convivenza con il figlio naturale, unificando il principio dell’attribuzione della potestà parentale in capo ad entrambe i genitori siano essi coniugati, separati, divorziati o mai uniti in matrimonio, acquista ulteriore forza la affermazione che nessuna differenziazione è ammissibile in ordine alla potestà parentale tra figli legittimi o naturali. La pretesa di alcuni autori di rappresentare il rapporto tra figlio naturale e genitore come un rapporto individuale con ciascuno dei genitori, ed un rapporto unitario nel caso in cui si tratti di un rapporto tra figlio e genitori coniugati, e di conseguenza di operare tra i due una differenziazione è errata dal momento che prende come elemento discriminante l’esistenza di un rapporto di coniugio tra i genitori, mentre ciò che potrebbe e non sempre rendere unitario il rapporto tra figlio e genitori è l’elemento del tutto variabile della convivenza, che è indipendente dal vincolo coniugale, stante la mutevolezza delle situazioni familiari. La disquisizione sulla potestà genitoriale appare oggi francamente datata, e nonostante i suggerimenti offerti dalla dottrina il legislatore anziché comprendere come rispetto alla genitorialità, fosse necessario sostituire il principio, ormai inadeguato e frusto della potestà caratterizzato dal potere, con quello ben più corretto ed autorevole della responsabilità, ha varato la norma sull’affido condiviso in cui si afferma che l’esercizio della potestà spetta a tutti e due i genitori anche dopo la separazione: perdendo in tal modo l’ottima occasione per sostituire questo istituto giuridico con altro ben più adeguato ed efficace. La rilevanza della parentela naturale Premesso che sono parenti quanti discendono da uno stipite comune, è del tutto evidente che questo si verifica indipendentemente dall’esistenza di un matrimonio. Va detto che di recente la Corte Costituzionale ha negato, nella sentenza 23 novembre 2000 n. 532, l’esistenza della categoria della parentela naturale con una pronuncia che ha ribadito la discriminazione tra figli naturali e legittimi, e per fare questo i giudici costituzionali hanno fatto ricorso solo all’art.30 della Costituzione, dimenticando di applicare l’art.3 e lasciando integra una disparità 27 AIAF QUADERNO 2006/2 di trattamento fondata su qualità personali. Infatti la Corte ha sostenuto che i figli legittimi sono parenti ad ogni effetto, mentre quelli naturali hanno singole porzioni di parentela e solo nei confronti di alcuni soggetti, e per il resto questi sarebbe solo figlio del proprio genitore!! L’art.258 c.c. sancisce solo l’unilateralità e la personalità del riconoscimento il che significa che chi effettua il riconoscimento pone in essere un atto di accertamento individuale che non può coinvolgere l’altro genitore, ma non certo che questo atto di riconoscimento è privo di effetto per la famiglia di colui che effettua il riconoscimento. Tale interpretazione altro non è che un modo per porre in essere un’ulteriore insensata ed illogica discriminazione a danno della filiazione naturale. Del resto il nostro ordinamento riconosce rilevanza alla parentela naturale agli artt.87 3° comma c.c. e 251 c.c. laddove con il primo viene riconosciuta come impedimento matrimoniale, o come divieto di riconoscimento dei figli incestuosi. Questa rilevanza viene poi smentita nei casi in cui si tratti di riconoscere analoga rilevanza alla parentela naturale nei casi di cui agli artt. 537, 3° comma, 538, 544, 570 e 578 2° comma c.c., Il contenuto dell’art.570 c.c. esclude dalla successione i fratelli naturali ed è stato oggetto di interventi della Corte Costituzionale che, con le sentenze 4 luglio 1979 n.55 e 12 aprile 1990 n. 184, ha creato una successione anomala inserendo i fratelli naturali nella penultima posizione di chiamati all’eredità, subito prima dello stato, i fratelli naturali. In tal modo i fratelli naturali saranno chiamati all’eredità solo se non si siano reperiti altri parenti legittimi fino al 6° grado. A ciò si aggiunga che succedono solo i fratelli naturali, sia pure in modo così residuale, mentre gli altri parenti naturali sono esclusi dalla successione (si ricordano a riguardo le sentenze emesse dai giudici della Consulta n.377 del 7 novembre 1994 e la n. 532 del 23 novembre 2000, con le quali è stato negato ogni diritto successorio ai parenti naturali diversi dai fratelli). In tale situazione, altri paesi della Comunità Europea, presso i quali vi era la medesima distinzione tra figli legittimi e non, hanno ritenuto necessario intervenire, e pur senza avere la ben che minima pretesa di effettuare in questa sede uno studio comparato di diritto di famiglia, si ha modo di verificare come in buona parte il Nostro paese sia rimasto in una grigia zona di retrovia, incapace di cogliere i reali cambiamenti delle famiglia, timoroso di effettuare modifiche che servissero a portare a compimento le modifiche a suo tempo avviate e pienamente condivise dal paese. La preoccupazione maggiore sembra essere quella di creare tante famiglie sempre più vicine a quelle favolistiche della pubblicità e sempre più lontane dalla realtà. A livello internazionale la questione e già stata ampiamente superata e risolta da altri stati della U.E. come la Germania che con la legge del 25 settembre 1997 ha provveduto a riscrivere il IV libro del BGB e quindi a ridefinire il nuovo diritto di filiazione che disciplina unitariamente la qualità di figlio indipendentemente dal modo, che rimane diverso per i figli nati fuori o nel matrimonio; o ancora la Francia dove con la Loi. N. 2002-305 del 4 marzo 2002 relativa à l’autorité parentale, che affrontando la regolamentazione di quest’ultima elimina la distinzione anche terminologica tra figli legittimi e non laddove all’art. 9 della medesima normativa dispone l’eliminazione dell’aggettivo legittima sostituendo lo stesso con le parole.” tutti i bambini la cui filiazione è stata legalmente stabilita 28 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS hanno i medesimi diritti e doveri nei rapporti con i genitori”. Come si vede la scelta di questi paesi è quella di distinguere e separare il matrimonio dalla filiazione, e la scelta di garantire l’eguaglianza dei figli, indipendentemente dalla situazione giuridica in cui sono stati concepiti, vuole tutelare i diritti delle persone piuttosto che i diritti della istituzione familiare. Il nostro legislatore deve intervenire sul corpo legislativo vigente per adeguarlo una volta per tutte a questi principi. Effettuata la scelta di eliminare le qualificazioni dal sostantivo figli e pervenire finalmente ad un unico status: quello di figlio, sarà necessario decidere come debba essere regolato l’acquisto del medesimo. Un’opzione potrà essere quella di eliminare l’automatismo del riconoscimento previsto per i figli che nascono in costanza di matrimonio, il che comporterà la conseguenza che i genitori all’atto della nascita di un figlio dovranno provvedere al suo riconoscimento. Avendo riguardo a quelle che sono le origini dell’istituto del riconoscimento di un figlio, e non alle connotazioni negative che in forza della discriminazione tra i due status ha successivamente assunto l’istituto del riconoscimento, va rammentato che questi era l’atto con il quale il padre presentava orgogliosamente al mondo il proprio figlio sollevandolo al cielo dinnanzi a tutti i presenti. Del resto sarà anche possibile prevedere modalità di accertamento dello status differenti a seconda che i figli siano nati nel o fuori del matrimonio, ma sempre a condizione di non penalizzare l’una a scapito dell’altra. 29 AIAF 30 QUADERNO 2006/2 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS PREMESSA esidero, prima di tutto, precisare il tema della mia conversazione. Mi occuperò, infatti, specificamente, dell’accertamento della filiazione del bambino che nasce in costanza di matrimonio. E non necessariamente sarà filiazione legittima, poiché sappiamo bene che non sempre – benché sia comunque la norma! – il figlio che nasce in costanza di matrimonio è concepito dalla moglie con il marito. Questa precisazione ne implica altre due. La prima: ho sostituito il termine status con “accertamento”. È, infatti, un dato ormai acquisito che per status di filiazione intendiamo oggi la disciplina della condizione di figlio, ossia del rapporto di filiazione, riguardo al quale la distinzione tra filiazione legittima e filiazione naturale non solo è in via di superamento nel sistema positivo1, ma è nell’auspicio anche di questo convegno che venga definitivamente cancellata. La seconda precisazione: continuerò ad usare le espressioni “filiazione legittima” e “filiazione naturale”, non tanto per indicare una diversa condizione dei figli - la seconda deteriore rispetto alla prima – ma per significare, appunto, un diverso modo di accertamento del rapporto, che poi è il senso prevalente con cui questi termini vengono usati dal legislatore nel titolo VII del Libro primo, dedicato alla filiazione. D LO STATUS DEL FIGLIO NATO IN COSTANZA DI MATRIMONIO 2. I DIVERSI MODI DI ACCERTAMENTO DELLA FILIAZIONE LEGITTIMA E DELLA FILIAZIONE NATURALE SONO COMPATIBILI CON L’ ESIGENZA DELLA PARITÀ DI TRATTAMENTO TRA LE FILIAZIONI ? roprio dalla constatazione di questa diversità desidero prendere le mosse, e P riflettere su un dubbio che frequentemente appare sotteso alla constatazione della diversità dei modi di accertamento della filiazione legittima e della filiazio- MARIA DOSSETTI DOCENTE DI DIRITTO DI FAMIGLIA, UNIVERSITÀ DI MILANO BICOCCA ne naturale: ossia se tale diversità ancora si giustifichi nella prospettiva della completa parificazione tra le filiazioni. È come se la filiazione legittima avesse una oggettiva posizione di privilegio, posto che la legge detta, nei suoi confronti, un regime di verità legale, che viene comunque prima di qualsiasi verifica circa la sua corrispondenza alla verità biologica. Quali sono allora queste regole “privilegiate” della filiazione legittima? Sono regole ben conosciute, che aprono, in tutti i manuali ed i trattati, il capitolo sulla filiazione legittima, a commento dell’art. 231 c.c. La norma porta, nella rubrica, “Paternità del marito” e, con formula essenziale, stabilisce che “Il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio”: nella sua sinteticità essa indica tutti i requisiti della filiazione legittima: a) il matrimonio dei genitori; 1 In argomento v., tra i tanti, C.M. Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, 4° ed., Milano, 2005, p. 314 s.; G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, 2° ed., in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 4, Persone e famiglia, 3, p. 131 ss. 31 AIAF QUADERNO 2006/2 b) la maternità della moglie; c) il concepimento durante il matrimonio; d) la paternità del marito. A ciò occorre aggiungere che il legislatore ha equiparato al requisito del concepimento in costanza di matrimonio la nascita del figlio in costanza di matrimonio (art. 233 c.c.) 2 Un’altra regola è implicita in questa disciplina: le norme operano indipendentemente dalla volontà dei genitori, in quanto un figlio è legittimo semplicemente quando sussistono i presupposti della legittimità. È il principio cosiddetto dell’automatismo, che domina l’accertamento della filiazione legittima, in contrapposizione con il principio volontaristico che vale per la filiazione naturale, il cui accertamento è conseguenza di un atto di riconoscimento di ciascuno dei genitori, o dell’iniziativa del figlio che propone la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità3. Infine, da queste regole essenziali emerge una caratteristica peculiare della filiazione legittima, quella di essere indivisibile, perché inscindibili sono i rapporti che legano il figlio legittimo al padre e alla madre: si è figli legittimi di due genitori4 (naturalmente non consideriamo qui altre fattispecie da cui può derivare la filiazione legittima, come la legittimazione, che si fondano su presupposti diversi da quelli che stiamo esaminando). Dalle regole esposte discende che il conseguimento della legittimità è facilitato, perché quegli elementi della filiazione legittima la cui dimostrazione sarebbe estremamente difficoltosa vengono determinati attraverso le cosiddette presunzioni di concepimento e di paternità. Non mi occuperò ovviamente di nessuna delle questioni specifiche riguardanti i requisiti della legittimità, ma solo del fondamento della presunzione di paternità del marito, che è l’apice, per così dire, del sistema di accertamento della legittimità, poiché opera solo quando ne sussistono tutti gli altri presupposti, ma soprattutto perché è l’elemento che permette di qualificare realmente la filiazione come legittima5. 3. IL FONDAMENTO DELLA PRESUNZIONE DI PATERNITÀ na prima precisazione è necessaria in ordine al momento in cui opera la presunzione di paternità. È insegnamento ormai condiviso che la presunzione non entra in funzione immediatamente al momento della nascita, ma solo quando è formato un titolo dello stato di figlio legittimo, ossia contenente tutti gli altri elementi della filiazione legittima (matrimonio, maternità, tempo del concepimento o della nascita): solo allora scatta la presunzione di paternità6. Come è U 2 3 4 5 6 v., per tutti, G. Cattaneo, Filiazione legittima, in Commentario del codice civile. Scialoja-Branca a cura di Galgano, Libro primo, Persone e famiglia (art. 231-249), Bologna-Roma, 1988, p. 21 ss; M. Mantovani, La filiazione legittima, in Trattato di diritto di famiglia diretto da Zatti, II, Filiazione, Milano, 2002, p. 45 ss.; M. Sesta, Diritto di famiglia, 2° ed., Padova, 2005, p.495 ss.. v., tra i tanti, G. Cattaneo, Filiazione legittima, cit., p. 9 ss.; G. Ferrando, Filiazione legittima e naturale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VIII, Torino, 1992, p. 302 s.; G. Biscontini, La filiazione legittima, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, III, Filiazione e adozione, Torino, 1997, p. 22. Così G. Cattaneo, Filiazione legittima, cit., p. 23. Ma v. anche G. Ferrando, Il rapporto di filiazione naturale, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, III, Filiazione e adozione, Torino, 1997, p. 97 s. Tralascio anche di occuparmi, in questa sede, del problema della natura della presunzione di paternità, se si tratti cioè di vera e propria presunzione, ovvero di attribuzione legale della paternità (in argomento v. G. Cattaneo, Filiazione legittima, cit., p. 29 ss.; Sesta, La fiiazione, in Il diritto di famiglia, III, in Tratt. Bessone, Torino, 1999, p.10 ss.; G.M. Uda, Presunzione di paternità e prove della filiazione legittima, in Trattato di diritto di famiglia diretto da Zatti, II, Filiazione, Milano, 2002, p. 71 ss.): ai fini dell’indagine sul fondamento della regola, la questione non appare centrale. V. G. Cattaneo, Filiazione legittima, cit., p. 40 ss.; C. Cossu, Filiazione legittima e naturale, in La famiglia, III, in Il diritto privato nella giurisprudenza a cura di Cendon, Torino, 2000, p. 142 ss. Anche chi esclude che l’atto di 32 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS noto, il titolo dello stato viene formato sulla base della dichiarazione di nascita, che può essere effettuata da chiunque abbia assistito al parto (art. 30 ord. st. civ.); se poi la dichiarazione di nascita riguarda un figlio legittimo, in quanto nato da genitori coniugati, è il dichiarante stesso che indica le generalità dei genitori (art. 29 ord. st. civ.). La tesi c.d. “del titolo dello stato” risale a Cicu7, e ha permesso di raggiungere un risultato importante, cioè evitare l’attribuzione automatica della paternità al figlio che la moglie ha concepito con persona diversa dal marito (ossia frutto di adulterio): se, infatti, viene formato un titolo dello stato che non menziona la madre come donna coniugata, non si formerà un titolo dello stato di figlio legittimo, bensì di figlio naturale. La tesi ha ricevuto riconoscimento legislativo per la prima volta nel 1997, in una legge-contenitore, che conteneva, tra l’altro, la delega al governo per la riforma dell’ordinamento dello stato civile, e nello stesso tempo ne anticipava una norma, proprio quella che prevedeva che, la dichiarazione di nascita dovesse essere effettuata “rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata”. La formula è stata poi trasfusa nell’attuale art. 30, 1° comma, ord. st. civ., e, come vedremo più avanti, potrebbe avere qualche ripercussione sul sistema di accertamento della filiazione legittima. Ma torniamo alla presunzione di paternità e al sospetto che essa generi una posizione di privilegio non giustificata. Per rimuovere questo sospetto occorre verificare qual è la ratio, il fondamento di questa regola. Molte sono le spiegazioni che di questa norma vengono date, e non c’è accordo sulla sua finalità prevalente. a) Alle origini della presunzione c’è, storicamente, il c.d. favor legitimitatis, ossia la preferenza per l’attribuzione della legittimità al figlio, sul presupposto che questa fosse una condizione di gran lunga preferibile a quella di figlio naturale. La presunzione, infatti, garantisce che tutti i figli effettivamente generati dai coniugi conseguano la legittimità, accettando il rischio che questa qualità venga attribuita anche a chi, pur partorito dalla moglie, non sia stato generato dal marito8. Attualmente, però, il ricorso al favor legitimitatis, come giustificazione della presunzione, non può essere soddisfacente. Il presupposto, costituito dalla differenza tra le condizioni di figlio legittimo e di figlio naturale, non solo è indebolito per la progressiva equiparazione tra le filiazioni, ma è destinato a scomparire, nella prospettiva del raggiungimento di una completa parificazione. Proprio in considerazione del miglioramento della condizione dei figli naturali e della progressiva attenuazione della riprovazione sociale per la filiazione fuori del matrimonio, il legislatore del 1975 aveva già ridotto l’incidenza del favor legitimitatis nella disciplina della filiazione. Basti ricordare la nuova disciplina dell’azione di disconoscimento (art. 235 c.c.) e l’esclusione della presunzione di paternità per il figlio nato dalla moglie separata (art. 232, 2° comma, c.c.). Già oggi si ritiene che il favor legitimitatis sia superato e sia stato sostituito dal principio di tendenziale corrispondenza tra “verità legale” e “verità naturale” del 7 8 nascita sia titolo dello stato, ma lo considera, più semplicemente, atto certificativo di una condizione preesistente, ritiene che la sua formazione sia necessaria per l’attribuzione della paternità: così G. Biscontini, La filiazione legittima, cit., p. 26 ss. La tesi fu formulata dall’autore in alcuni studi anteriori all’entrata in vigore del nuovo Primo Libro del codice civile, nel 1939, e poi confermata nel primo studio sulla nuova disciplina della filiazione e in tutte le edizioni successive: v. A. Cicu, La filiazione, in Tratt. Vassalli, Torino, 193, p. 26 ss. Lo rileva G. Cattaneo, Filiazione legittima, cit., p. 22. 33 AIAF QUADERNO 2006/2 rapporto di filiazione, in una parola dal “favor veritatis”9. Dunque, il favor legitimitatis non sembra possa più costituire il fondamento della presunzione di paternità, che anzi, in quanto regola di “verità legale”, potrebbe rappresentare un ostacolo nella ricerca della “verità naturale”. b) La presunzione di paternità si giustifica perché attribuisce certezza e stabilità alla filiazione e assicura il pacifico godimento della condizione di figlio legittimo10. Si tratta di un valore tendenzialmente in tensione con il valore della verità, ma, si afferma, il legislatore non ha considerato la verità del rapporto di filiazione come un valore in sé, ma da coordinare con l’esigenza di stabilità11. Ora, si può convenire con la rilevanza di questo valore, tuttavia l’esigenza di stabilità e certezza dell’accertamento del rapporto di filiazione non dovrebbe riguardare solo la filiazione legittima, ma dovrebbe essere garantita anche nella filiazione naturale. Certezza e stabilità non possono essere la ragione specifica e singolare della presunzione di paternità, perché se così fosse si avrebbe davvero una disparità di trattamento non giustificata. La Corte costituzionale, del resto, è già stata chiamata più volte ad occuparsi della questione della differenza tra il rigore della disciplina dell’azione di disconoscimento - in particolare quanto a termini e legittimazione - e l’impugnazione per difetto di veridicità, imprescrittibile e proponibile da chiunque vi abbia interesse, che espone permanentemente il figlio naturale riconosciuto alla perdita dello status, ma ha sempre dichiarato la questione inammissibile, per la verità con motivazioni alquanto sbrigative12. E la disparità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali, derivante dalla diversa disciplina delle due azioni, è stata denunciata anche recentemente sotto altri profili, ma sempre ritenuta manifestamente infondata13. Tutto ciò è però sintomo di un certo malessere di fronte alla constatazione che la certezza e la stabilità dello stato del figlio legittimo è garantita in modo di gran lunga superiore rispetto a quella del figlio naturale. Dunque, questa finalità non potrebbe salvare la presunzione di paternità dall’accusa di costituire una posizione di privilegio. c) Strettamente collegata con l’esigenza di assicurare certezza alla filiazione è un’altra possibile ragione giustificativa della presunzione di paternità: la constatazione che essa è fondata sull’id quod plerumque accidit, ossia sulla normalità dei fatti, sulla normale osservanza, da parte della moglie, del dovere di fedeltà14. Per questo, in considerazione della estrema difficoltà di raggiungere la prova certa della paternità, il legislatore ha previsto un criterio legale univoco che permette l’accertamento del rapporto genitoriale immediatamente, dal momento della nascita. Diversamente, la paternità rimarrebbe incerta fino a che non fosse dimostrata. Ma anche questi argomenti non appaiono esaurienti. Se infatti la presunzione di 9 10 11 12 13 14 G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, 2° ed., in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno, 4, Persone e famiglia, 3, p. 133 ss. G. Biscontini, La filiazione legittima, cit., p. 3; M. Mantovani, La filiazione legittima, cit., p. 48. M. Mantovani, La filiazione legittima, cit., p. 43. Corte cost., 6 maggio 1985, n. 134, in Giust. civ., 1985, I, 2143, in Corr. giur., 1985, 738 e in Foro it., 1985, I, 2532; Corte cost., 18 aprile 1991, n. 158, ivi, I, 1991, I, 2550. Corte cost., 22 aprile1997, n. 112, in Fam. e dir., 1997, 411, con nota di A. Figone, Interesse del minore e impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità; Cass., 15 aprile 2005, n. 7924, in Fam. e dir., 2005, 436 e in Guida al dir., 2005, 23, 52. P. Vercellone, La filiazione, in Trattato di diritto civile italiano fondato da Vassalli, Torino, 1987, p. 20. 34 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS paternità fosse giustificata da un’altra presunzione, questa volta semplice, quella di fedeltà della moglie, oppure costituisse solo un mezzo per ovviare alla difficoltà della prova diretta della paternità, non si vede perché non dovrebbe essere ammessa liberamente la prova contraria, mentre oggi la presunzione di paternità è superabile solo attraverso le strettoie dell’azione di disconoscimento, limitata, del resto, non solo quanto ai mezzi di prova, ma anche quanto a legittimazione e termini15.16 Chi pone l’accento sul carattere funzionale della presunzione di paternità, in quanto mezzo tecnico per stabilire in modo semplice e facile la paternità del nato, coerentemente ne prevede e ne auspica il superamento. Si ipotizza infatti che la presunzione “cesserà di avere qualsiasi utilità e, quindi, verrà rimossa, allorché l’evoluzione scientifica fornirà tecniche in grado di determinare, con la medesima automaticità e senza impegno di tempi e costi, la paternità”. A questo punto, “lo stesso collegamento tra matrimonio e filiazione diverrebbe pleonastico e la presunzione di cui all’art. 231 potrebbe essere conservata solo come norma di tutela della privacy di quanti, essendo sposati, espressamente rifiutino che la paternità reale possa essere accertata”17. d) Le diverse giustificazioni della presunzione di paternità, del resto a tutti note, ci sembrano davvero insoddisfacenti quando, sottoposte, per così dire, ad una prova di resistenza, ci appaiono prive di fondamento, anche in considerazione dell’acquisita consapevolezza della necessità di rimuovere ormai tutte le differenze tra filiazione legittima e filiazione naturale. Rimane l’ultima possibilità. Anch’essa non nuova, anzi antica. La presunzione di paternità “è espressione di una funzione propria del matrimonio...tipica ed essenziale...[Essa] costituisce uno strumento ineliminabile per la tutela della famiglia e degli individui in quanto membri di una famiglia”18. Ancora: L’art. 231 è “corollario logico del valore che tuttora l’ordinamento riconosce al matrimonio; comprendendo tra gli effetti fondamentali che derivano dal rapporto coniugale la paternità del marito, si appronta il mezzo tecnico per superare la naturale incertezza che da sempre circonda la paternità”19. In sintesi, la giustificazione della presunzione di paternità è il matrimonio: ma non 15 Così G. Cattaneo, Filiazione legittima, cit., p. 41 s.; G. Biscontini, La filiazione legittima, cit., p. 39. 16 Pochi giorni dopo la conclusione del Convegno di Como, è stata pubblicata la sentenza della Corte costituzionale n. 266 del 7 luglio 2006, con la quale la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 235 c.c. nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche, da cui risulta “che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre”, alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie. Nella brevissima motivazione della decisione si legge: “Il subordinare...l’accesso alle prove tecniche, che, da sole, consentono di affermare se il figlio è nato o meno da colui che è considerato il padre legittimo, alla previa prova dell’adulterio è, da una parte, irragionevole, attesa l’irrilevanza di quest’ultima prova al fine dell’accoglimento, nel merito, della domanda proposta; e, dall’altra, si risolve in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’art. 24 della Costituzione. E ciò per giunta in relazione ad azioni volte alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status e alla identità biologica”. L’impatto sulla disciplina dell’azione di disconoscimento della sentenza della Consulta dovrà essere verificato, con riferimento, in particolare, a quelli che venivano considerati i tre presupposti dell’azione di disconoscimento (mancata coabitazione, impotenza e adulterio), la cui natura era discussa, ma che comunque permettevano di affermare che la prova negativa della paternità subiva delle limitazioni: la prima impressione è che in sostanza la Corte Costituzionale abbia totalmente riscritto l’art. 235, che ora probabilmente dovrà essere letto come se disponesse che la prova della non paternità può essere data con qualunque mezzo, allineandosi, in questo modo con le legislazioni della maggior parte dei paesi europei. In ogni caso, la decisone della Corte, se incide sulla resistenza della presunzione di paternità nel giudizio di disconoscimento, sicuramente però non ne modifica la funzione come strumento per l’attribuzione automatica della paternità. 17 B. De Filippis, G. Casaburi, La filiazione nella dottrina e nella giurisprudenza, Padova, 2000, p. 134 e nota 17. 18 G. Cattaneo, Filiazione legittima, cit., p. 33. 19 G. Cossu, Filiazione legittima e naturale, cit., p. 139. 35 AIAF QUADERNO 2006/2 è questo un circolo vizioso che si deve spezzare? In una certa misura ciò è già stato fatto. È diffusa oggi la considerazione che l’attuazione del principio di eguaglianza tra figli legittimi e figli naturali svaluta il matrimonio come fondamento di uno stato più tutelato20. Si afferma che gli interessi protetti dal principio di legittimità appaiono sganciati dai valori tradizionali e più saldamente ancorati alla persona del figlio e in particolare alla certezza e stabilità del proprio status21. Ancora più esplicito e severo è il seguente giudizio sfavorevole sulla presunzione di paternità: “perno di un sistema che voleva il collegamento necessario tra matrimonio e filiazione in nome della conservazione dell’ordine sociale, ed accettava, per essa, di sacrificare il principio di verità, i diritti dei più deboli e la possibilità che l’uomo avesse spazi di libertà e di autorealizzazione al di fuori degli schemi convenzionali. In ragione di ciò ci sembra che ogni interpretazione che attribuisca valore non strumentale, ma contenutistico alla presunzione, rischi di perpetuare la mentalità per la quale essa era stata creata”22. Siamo arrivati al cuore del problema: nell’attuale sistema (giuridico e di valori) è giustificato che il matrimonio abbia ancora la prerogativa di accertare in modo semplice e automatico la legittimità dei figli? 4. LA “ VOLONTÀ DELLA MADRE DI NON ESSERE NOMINATA” rima di rispondere a questa domanda, devo sciogliere la riserva fatta all’inizio e accennare alla condizione che permette alla presunzione di paternità di operare: la formazione del titolo dello stato di figlio legittimo. Anche in questa materia, secondo alcuni, la prerogativa del matrimonio di essere fonte della legittimità dei figli ha perso rilevanza. Ho ricordato che il titolo dello stato di figlio legittimo può formarsi se nella dichiarazione di nascita sono indicati tutti gli elementi della filiazione legittima (matrimonio, maternità, tempo del concepimento o della nascita), ma ciò può essere evitato se la madre coniugata si avvale della facoltà di non essere nominata, che l’art. 30 ord. st. civ. le riconosce. Ho pure ricordato che all’origine della norma ci fu l’esigenza di evitare l’attribuzione automatica della paternità al marito quando la moglie aveva commesso adulterio. Ma non si trattava solo di venire incontro ad una esigenza pratica, ossia quella di “risparmiare” l’azione di disconoscimento. La norma risponde a principi fondamentali del diritto familiare: da una parte l’esigenza che il nato possa acquisire uno stato corrispondente a verità; dall’altra l’attuazione del principio di eguaglianza tra madri naturali: anche la donna coniugata che genera un figlio con un uomo diverso dal marito è una madre naturale e quindi deve anch’essa avere la possibilità di scelta, che ha qualsiasi genitore naturale, tra celare la propria identità e invece riconoscere il figlio. Un’ulteriore conseguenza implicita della norma è infatti che la donna coniugata può riconoscere il proprio figlio come naturale direttamente nell’atto di nascita23. Secondo alcuni però, l’art. 30 ord. st. civ. ha introdotto un principio diverso, di carattere generale: ha reso la madre arbitra in ordine all’attribuzione dello status P 20 21 22 23 G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, cit., p. 155. M. Mantovani, La filiazione legittima, cit., p. 41. B. de Filippis, G. Casaburi, La filiazione nella dottrina e nella giurisprudenza, cit., p. 134, nota 16. Per ulteriori indicazioni rinvio a M. Dossetti, L’accertamento della filiazione legittima tra automatismo e principio volontaristico, in Scritti in memoria di Giovanni Cattaneo, Milano, 2002, p. 823 ss. Così anche M. Mantovani, La filiazione legittima, cit., p. 63 ss. 36 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS al nato, con conseguente svilimento della vis matrimonii. In altre parole, poiché la norma attribuisce alla madre il “diritto” di non essere nominata, senza alcuna specificazione, di fatto le attribuisce anche il potere insindacabile di permettere o impedire la formazione di qualsiasi titolo dello stato. Secondo questa tesi, la madre legittima, ossia la moglie che ha generato il figlio con il marito, potrebbe anche impedire la formazione del titolo dello stato legittimo, celando la propria identità24. La formulazione estremamente generica e ampia dell’art. 30 sembra rendere inevitabile questa interpretazione: “La dichiarazione di nascita è resa... rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata” Ho cercato in altra sede di dimostrare come, a mio avviso, questa interpretazione dell’art. 30 non è accettabile25. Ricordo qui brevemente solo alcuni argomenti: a) l’origine della norma e la sua finalità ben circoscritta: la norma recepiva un principio - dapprima elaborato dalla dottrina, poi accolto dalla giurisprudenza e diventato “diritto vivente” - secondo il quale una donna coniugata, che aveva generato un figlio con persona diversa dal marito, avrebbe potuto evitare l’attribuzione automatica della paternità del marito, e quindi la costituzione dello stato di figlio legittimo; b) la finalità originaria della norma era quella di impedire l’attribuzione al nato di uno stato non corrispondente al vero, mentre riconoscere alla madre il potere discrezionale di qualificare il rapporto di filiazione, le permetterebbe di privare il nato dello stato corrispondente al vero, e dunque di disporre dello stato del figlio; c) infine, l’introduzione di una ingiustificata disparità di trattamento tra marito e moglie: questa potrebbe, a sua discrezione, privare il figlio della legittimità; quello non solo non avrebbe lo stesso potere, ma non potrebbe nemmeno impedire che il proprio figlio legittimo sia privato dello stato che gli compete (se non cercando di fare per primo la dichiarazione di nascita e sempre che non si ritenga che anche lui debba rispettare la volontà della madre - e moglie - di non essere nominata!). Per queste e altre ragioni, mi sembra che si imponga una interpretazione restrittiva della norma, al di là della sua lettera, per evitare, oltretutto, dubbi di costituzionalità. Per evidenziare i pericoli dell’interpretazione criticata mi permetto un’altra citazione, tratta da un libro recente in tema di filiazione: “Né in tal modo si rende deteriore la posizione del figlio, che ha un proprio diritto allo status di figlio legittimo. Infatti un figlio appena nato...viene collocato in adozione in tempi brevissimi, e con l’adozione trova uno status del tutto identico a quello di figlio legittimo”26. Mi sembra che in queste frasi vi sia una distorsione dei valori che il diritto dovrebbe tutelare: i genitori non sono intercambiabili!27. La svalutazione del matrimonio come fonte dell’accertamento automatico del 24 25 26 27 M. Sesta, Diritto di famiglia2, cit. p. 434, e Id., Filiazione naturale. Statuto e accertamento, Milano, 2001, p. 10. M. Dossetti, L’accertamento della filiazione legittima tra automatismo e principio volontaristico, cit., p. 832 ss. D. Culot, Il figlio naturale, in Il diritto privato oggi a cura di Cendon, Milano, 2004, p. 108. Occorre aggiungere che non è neppure vera l’affermazione che lo stato di figlio legittimo acquisito per nascita sia identico allo stato di figlio legittimo conseguito in seguito ad adozione, poiché sul piano della disciplina sussistono, rispetto alle due situazioni, profili di diversità: basti pensare al diritto del figlio adottivo di conoscere le proprie origini (art. 28 l. 184/1983) (v. V. Scalisi, Lo status di figlio legittimo da adozione, ora in Categorie e istituti del diritto civile nella transizione al postmoderno, Milano, 2005, p. 364 e 374 ss). 37 AIAF QUADERNO 2006/2 rapporto di filiazione avrebbe però l’effetto di avvicinare, anche quanto al profilo della formazione del titolo dello stato, la disciplina della filiazione legittima e della filiazione naturale, e dunque trovare la sua giustificazione nella esigenza della parità di trattamento tra le filiazioni. Credo però che non sia sui modi di accertamento della filiazione che si debba operare. Anzi, mettersi su questa strada potrebbe portare a risultati sconcertanti. Qualcuno, infatti, ha già sostenuto che la volontà dovrebbe essere essenziale non solo per l’attribuzione dello stato di figlio naturale, ma anche nella denuncia di nascita di figlio legittimo, e che forse sarebbe “opportuno che ogni genitore, sposato o non sposato, espliciti personalmente la propria genitorialità attraverso il riconoscimento”; tale esplicitazione “avrebbe la funzione di affermare (o riaffermare, nel caso del genitore coniugato…) la propria responsabilità nella procreazione e il proprio impegno”, poiché “Il vero problema…resta quello di favorire l’assunzione di scelte mature..”28: l’auspicio è dunque che il riconoscimento, come strumento dell’accertamento della filiazione, sia generalizzato. Sempre partendo da una supposta esigenza di parificazione tra le filiazioni, anche sotto il profilo dell’acquisto dello status, altri è arrivato a una soluzione che sta agli antipodi rispetto alla precedente, e che cerco di sintetizzare: partendo dall’assunto della opportunità di una equiparazione, dal lato materno, dell’accertamento dello status nella filiazione legittima e nella filiazione naturale, basata in ogni caso sulla volontà della madre di essere, o non essere, nominata, si propone che tale equiparazione porti al rovesciamento del principio volontaristico per accogliere invece quello dell’accertamento automatico della maternità, sia che la nascita avvenga in costanza di matrimonio, sia che avvenga fuori del matrimonio: in altre parole, si avrebbe, sull’esempio del sistema tedesco, un’applicazione generalizzata del principio mater semper certa29. 5. MATRIMONIO E FILIAZIONE on alcuni riferimenti a recenti contributi dottrinali ho cercato di portare alla luce il processo di scardinamento del sistema di accertamento della filiazione legittima, che, a mio avviso, è già in atto, e che credo sia opportuno valutare con attenzione, sia nelle motivazioni che nelle conseguenze. Io ritengo che le motivazioni non siano sufficienti e che le conseguenze non siano state ben calcolate. Inizio dal secondo profilo: le conseguenze. Abbandonare l’attuale sistema di accertamento della filiazione legittima comporterebbe la necessità di individuare principi guida certi, che non diano adito a contraddizioni nella teoria e nella prassi, come invece mi sembra stia accadendo, e costruire un nuovo sistema, compatibile con i principi del diritto familiare. Occorre però anche essere consapevoli che ciò vorrebbe dire privare quasi completamente di senso il matrimonio30, con qualche dubbio di costituzionalità rispetto all’art. 29 Cost.31. C 28 S. Piccinini, Il genitore e lo status di figlio, Milano, 1999, p. 78. 29 A. Renda, L’accertamento della matermità: anonimato materno e responsabilità per la procreazione, in Fam. e dir., 2004, p. 510 ss. 30 C. Cossu, Filiazione legittima e naturale, cit., p. 140 31 Cfr. G. Ferrando, Filiazione legittima e naturale, cit., p. 305: “L’accertamento automatico della filiazione nei confronti di entrambi i genitori è uno degli effetti fondamentali del matrimonio. Esso è implicito nel riconoscimento della famiglia come società naturale di cui all’art. 29. E si dovrebbe ritenere in contrasto con tale riconoscimento un diverso sistema di accertamento della filiazione nel matrimonio che si fondasse, ad esempio, su un atto volon38 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS Credo che sia necessario sottolineare questi aspetti e queste esigenze in un momento, come l’attuale, di fermento riformatore, e in un Convegno come questo, che si pone come obiettivo anche proposte legislative concrete nella direzione dell’attuazione del principio di eguaglianza tra le filiazioni. Il “sacrificio”, per così dire, del ruolo del matrimonio potrebbe comunque essere fatto se le motivazioni fossero sufficienti, se cioè questo fosse il prezzo da pagare per rimediare ad una ingiustificata disparità di trattamento tra le filiazioni. Su questo tema, a mio avviso, le posizioni sono molto meno lontane di quanto possa apparire da certe ambiguità di linguaggio. Quando si discorre di separazione, o autonomia, del matrimonio dalla filiazione, o anche di svalutazione della centralità del matrimonio come fonte della condizione dei figli, ci si riferisce alla esigenza di una disciplina comune del rapporto di filiazione, che prescinda dalle differenze nell’accertamento, Anzi, in una prospettiva di riforma del Titolo VII del primo Libro del codice, la disciplina del rapporto dovrebbe trovare posto, come nelle recenti riforme europee, prima della disciplina dei modi di accertamento della filiazione legittima e naturale e delle azioni di stato, ed eliminare anche le residue differenze - ad esempio nel campo della rilevanza della parentela naturale - in modo che si possa affermare che ogni bambino che viene al mondo ha uguale dignità e riceve pari trattamento non solo nei riguardi dei propri genitori, ma anche nell’ambiente sociale in cui si trova ad essere inserito. In altre parole, la parità tra le filiazioni deve essere perseguita e raggiunta quanto agli effetti che derivano dall’accertamento del rapporto, ma questo obiettivo è indipendente rispetto al momento anteriore, quello della fattispecie costitutiva della filiazione. In questa materia non può non valere la consolidata interpretazione del principio di eguaglianza, per cui situazioni diverse non possono essere disciplinate in modo eguale: la nascita da genitori coniugati non può essere trattata come la nascita da genitori non coniugati. Allora possiamo forse anche recuperare, senza riserve, il ruolo centrale del matrimonio nell’accertamento della filiazione legittima. Tutti sappiamo quanto sia fragile oggi il matrimonio e come non sia più l’unico modello di convivenza, ma nel disegno costituzionale rimane l’atto che fonda in modo solenne la comunità familiare, ed esprime adesione ad un progetto di vita. Questa carica positiva del matrimonio è riflessa nella sua disciplina giuridica: l’impegno reciproco e formale, che ne è carattere essenziale, vuol dire speranza, capacità di fare progetti comuni per il futuro, vuol dire anche accogliere i figli ex ante, per così dire. L’accertamento automatico della filiazione e la presunzione di paternità appaiono allora gli strumenti più idonei a dare veste giuridica al progetto di vita degli sposi. tario dei genitori. Così come si dovrebbe ritenere illegittimo un sistema di accertamento automatico della filiazione nella coppia non sposata. La presunzione di paternità costituisce infatti una conseguenza propria del matrimonio ed in ciò va pertanto ravvisata una differenza fondamentale tra convivenze coniugali e non coniugali, che ha la sua ragion d’essere nel disposto del 1° comma dell’art. 29 Cost.”. 39 AIAF 40 QUADERNO 2006/2 LA IL FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS DIRITTO ALLO STATUS DI FIGLIO NATURALE : EVOLUZIONE STORICA , RILEVANZA DELL’ ANO - NIMATO MATERNO C on la riforma del diritto di famiglia in vigore dal 1975 il legislatore ha finalmente attuato il principio di uguaglianza dei figli e il loro diritto ad uno status familiare corrispondente alla verità delle loro origini, in attuazione del dettato degli art. 3 e 30 della Costituzione. L’introduzione nel codice civile del diritto dei genitori, anche se già uniti in matrimonio all’epoca del concepimento, di riconoscere il figlio non nato dal proprio coniuge (art.250 CC) ha fatto venir meno il precedente divieto di riconoscere i figli cosiddetti adulterini. La condizione dei figli nati da matrimonio e dei figli naturali è ormai sostanzialmente equiparata ed ha perso di significato la precedente tradizionale distinzione giuridica e terminologica tra figli legittimi ed illegittimi. Gli unici figli che non possono essere riconosciuti sono quelli nati da relazioni incestuose, ma la stessa riforma ha introdotto ipotesi in cui il riconoscimento può avvenire e viene autorizzato dal giudice, avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio (art. 251 CC) Anche nei casi in cui non è consentito il riconoscimento la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittimo il divieto di dichiarazione giudiziale di genitura, dichiarando incostituzionale il primo comma dell’art. 278 CC1. La fine della discriminazione dei figli nati fuori dal matrimonio è stata accompagnata dalla messa in crisi della presunzione legale di legittimità in base alla quale lo status di figlio legittimo si acquisiva con la formazione dell’atto in cui risultava la nascita da madre coniugata. Una volta introdotto il diritto al riconoscimento di tutti i figli, come previsto dal nuovo testo dell’art.250 CC, si è posto il problema di conciliare tale diritto con la presunzione di paternità da parte del marito (art.231 CC) e con la permanente inammissibilità del riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio legittimo contenuta nell’art.253CC che la riforma non aveva modificato2. La dottrina e la giurisprudenza si dividevano nell’interpretazione sistematica della nuova norma tra chi negava la legittimità del riconoscimento perché in contrasto con lo status legitimitatis (presunto legalmente e automaticamente acqui- IL RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO NATURALE 1 2 ELISA CECCARELLI MAGISTRATO, GIÀ PRESIDENTE DEL TRIBUNALE PER I MINORENNI DI BOLOGNA Con sentenza 28/11/02 n.494 la Corte Costituzionale ha ritenuto che la capitis deminutio perpetua e irrimediabile prevista dei figli incestuosi essendo conseguenza oggettiva del comportamenti dei genitori, che si sottrarrebbero ai loro doveri di mantenimento, educazione istruzione nei confronti dei figli, è in contrasto con gli art.2 e 3 della costituzione che non contempla i figli incestuosi. Il riconoscimento dei diritti dei figli nati da incesto non contrasta con l’ordine pubblico familiare poiché la famiglia che ha il fine di promuovere lo sviluppo della persona non può essere nemica delle persone e dei loro diritti. Non contrasta neppure con in diritti dei membri della famiglia legittima (art.30, 3°) che non possono essere tutelati sino al punto di avere garantita la serenità della vita familiare escludendo altri figli.Neppure contrasta con l’interesse dei figli nati da incesto, che deve essere valutato da essi stessi o, se minori, dal Tribunale cfr. in Fam Dir n.2/03 pag 119 con nota Dogliotti e anche: A.Renda, verso la scomparsa dei figli incestuosi (ibid.1/04 pag 96 Dal punto di vista penale, era già stato affermato dalla Cassazione che non costituisce reato di alterazione di stato la denuncia di nascita come figlio di padre naturale e madre ignota del bambino nato da una relazione adulterina della madre (cfr. Cass. Sez. Unite penali, 30/5/1959). Il legislatore del 1975. 41 AIAF QUADERNO 2006/2 sito dal figlio con la nascita da madre coniugata) e chi invece riteneva il contrario rilevando l’inammissibile disparità di trattamento tra i genitori derivante dalla limitazione del diritto della madre di riconoscere il figlio in base alla verità del suo concepimento3. La questione è stata risolta, nel 1994, dalla Corte Costituzionale che ha riconosciuto la prevalenza del favor veritatis sul favor legitimitatis ed ha affermato che “qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può dichiarare di non voler essere nominata nell’atto di nascita” con la conseguenza che il figlio in quanto dichiarato come nato da donna che non intende essere nominata, non acquista automaticamente alcuno status filiationis e quindi può essere riconosciuto dalla madre come figlio naturale4. La filiazione legittima non è più automatica conseguenza della nascita in costanza di matrimonio poiché è necessario che nella dichiarazione di nascita la madre sia identificata e risulti coniugata. Il principio di salvaguardia dell’anonimato materno anche per i figli nati in costanza di matrimonio è stato recepito nel nuovo ordinamento dello stato civile che, modificando l’art.70 del precedente (del 1939) stabilisce che “la dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dall’ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l’eventuale volontà della madre di non essere nominata” (cfr. art. 30 DPR 3/11/2000 n.396, Regolamento per la revisione e semplIficazione dell’ordinamento dello stato civile, emesso a norma dell’art.2, co.12, della legge 15/5/97 n.127). Se il figlio nasce da donna coniugata e salvo che essa non abbia espressamente chiesto di non essere nominata, ciascuno dei soggetti tenuti a dichiarare la nascita deve indicare il nome della madre determinando così la formazione dell’atto di nascita che costituisce titolo in base al quale viene acquisito lo stato di figlio legittimo. In tutti gli altri casi dalla dichiarazione di nascita non deriva l’acquisizione di uno stato di filiazione, che viene acquisito solo con il riconoscimento da parte di uno o di entrambi i genitori. Nel nostro ordinamento il diritto all’anonimato è stato storicamente utilizzato per salvaguardare l’integrità del nascituro o del neonato che viene tutelata attribuendo alla madre il diritto di non riconoscerlo e di affidarlo, alla nascita, alle cure di altri, utilizzando in passato la “ruota per gli esposti” e attualmente il sistema dell’adozione dei non riconosciuti5. La scelta del legislatore, fondata sui principi del Codice Napoleonico, è condivisa solo dai paesi (Francia, Belgio, Lussemburgo) la cui organizzazione giuridica deriva da quella tradizione, mentre nella maggior parte dei paesi europei la nascita comporta automaticamente l’attribuzione della maternità e spesso del cognome materno, prevalente su quello paterno. La tutela dell’anonimato materno, senza alcun tipo di limitazione anche temporale, è stata riconosciuta costituzionalmente legittima da una recente pronuncia 3 4 5 Cfr. cfr. A.C. Moro, Manuale di diritto minorile, Zanichelli, 2002, pag.138 segg.; U.Normando, Sul diritto della donna coniugata al riconoscimento del figlio naturale, in Giust.Civ., 1976, 119 segg.; Cfr. sentenza n.171 in data 5/5/1994 in cui la Corte si è pronunciata incidentalmente nel dichiarare inammissibile una questione di legittimità dell’art.10 legge 184/83 (in materia di adottabilità) sollevata dal Tribunale per i minorenni di Trento, La dichiarazione di adottabilità dei neonati non riconosciuti segue una procedura veloce e semplificata che consente una rapida adozione (art.11 legge 184/83). Le adozioni dei neonati non riconosciuti incidono per una forte percentuale (che in alcune regioni raggiunge la metà) sul totale delle adozioni nazionali 42 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS che l’ha ritenuta non in contrasto con l’art.2 della Costituzione in quanto espressione di una ragionevole valutazione comparativa dei diritti inviolabili dei soggetti coinvolti poiché “da un lato intende assicurare che il parto avvenga in condizioni ottimali sia per la madre che per il figlio e dall’altro distogliere la donna da decisioni irreparabili per quest’ultimo ben più gravi”6. Non sembrano condivisibili le perplessità di chi ritiene che, in termini di politica del diritto, sarebbe preferibile adottare il principio “mater semper certa est” che garantirebbe una assunzione di responsabilità per la procreazione che ha trovato riconoscimento in convenzioni e pronunce di diritto europeo7. La positività del nostro sistema emerge da osservazioni in campo psicosociale da cui risulta che anche paesi in cui tradizionalmente vigeva il principio della certezza della maternità hanno ritenuto opportuno far ricorso all’anonimato materno per contenere il grave fenomeno dell’abbandono di neonati per la strada e della conseguente alta percentuale di mortalità (più di un quarto).Dal 2000 In Germania, nella Svizzera tedesca e in Austria sono sorte associazioni che hanno organizzato delle “ruote” elettroniche (c.d. babyklappe) per consentire l’affidamento anonimo dei neonati. In Austria, dal 2001, è stato consentito a tutte le donne che non vogliono tenere i figli di partorire nell’anonimato Anche in alcuni stati degli USA sono state emanate da qualche anno leggi che consentono alla donna che non vuole tenere con sé il figlio, di affidarlo alla nascita ai servizi sociali, mantenendo l’anonimato (es. lo House Bill 3423 del Texas)8. LA DICHIARAZIONE DI NASCITA E IL RICONOSCIMENTO. I RICONOSCIMENTI TARDIVI a nascita deve essere dichiarata entro dieci giorni nel comune dove è avvenuta, ma può anche essere dichiarata entro tre giorni presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della casa di cura in cui è avvenuta e può contenere anche il riconoscimento contestuale del figlio naturale. La dichiarazione unitamente all’attestazione di nascita, è trasmessa dal direttore sanitario, all’ufficiale dello stato civile del comune di nascita ai fini della trascrizione. I genitori che non vogliano avvalersi di tale disposizione hanno facoltà di dichiarare la nascita, entro dieci giorni dal parto, nel proprio comune di residenza: nel caso che non risiedano nello stesso comune, salvo diverso accordo tra loro, la dichiarazione di nascita è resa nel comune di residenza della madre (art. 30 DPR 3/11/2000 n.396 regolamento per la revisione e semplificazione dell’ordinamento dello stato civile)9. Oltre il termine di dieci giorni si applicano le norme sulla formazione tardiva dell’atto di nascita (art.31, 32 DPR citato). Il riconoscimento del figlio naturale che può avvenire tanto congiuntamente che separatamente dal padre e dalla madre: generalmente avviene congiuntamente e L 6 7 8 Cfr. Corte Cost. 25/11/05 n.425 che ha dichiarato infondata l’eccezione sollevata dal TM di Firenze dell’art.28,c.7, legge 184/83, introdotto dall’art.24 legge 149/01 e modificato dall’art.177 del D.Lvo n.196/03, nella parte in cui non autorizza l’accesso alle origini del figlio adottivo quando sia nato da donna che abbia dichiarato alla nascita di non voler essere nominata Cfr. A. Renda: Accertamento della maternità:anonimato materno e responsabilità per la procreazione (FamDir 5/04, pag.510- 527) che cita la Convenzione di Strasburgo del 1975 sullo stato giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio (che però l’Italia non ha ratificato) per cui la filiazione materna è stabilita dal solo fatto della nascita e la pronuncia 13/6/79 (caso Marckx c/ Belgio) che ha condannato il Belgio per violazione della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo per la mancata costituzione del rapporto di filiazione madre-figlio. Cfr. anche la pronuncia del Cons. Stato, IV sez, 17/6/03 n.3402 (FamDir 1/04 pag. 74) Cfr.l’intervento di Catherine Bonnet neuropsichiatria infantile e psicoanalista, consulente ONU, su “Nascite sotto il vincolo della riservatezza: perché?”, al Convegno “Maternità difficili” organizzato dalla Provincia di Modena e dalla Regione EmiliaRomagna, a Modena, 26 ottobre 2004 43 AIAF QUADERNO 2006/2 contestualmente alla dichiarazione di nascita. Ma giuridicamente costituisce autonoma dichiarazione di volontà che può essere formulata dopo che la nascita è stata dichiarata e registrata allo stato civile, ma anche prima della nascita, durante il concepimento. Il riconoscimento può avvenire non solo avanti all’ufficiale di stato civile, ma anche avanti al Giudice Tutelare o in un atto pubblico o in un testamento (art.254 Cod.Civ.). Non esiste un termine finale per il riconoscimento che però è precluso quando il figlio abbia acquisito lo stato di figlio legittimo (art.253 CC). Inoltre il riconoscimento del minorenne è privo di efficacia quando è intervenuta la dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo; in questo caso anche l’eventuale giudizio per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità è sospeso di diritto e si estingue ove segua la pronuncia di adozione divenuta definitiva (art. 11 legge 184/83). Il riconoscimento non può avvenire da parte di chi non abbia compiuto il sedicesimo anno di età. Il divieto non sembra giustificato a chi rileva la contraddizione di un ordinamento che consente alla minorenne, senza limite di età, di interrompere la gravidanza ma non di assumere la responsabilità materna privando per un certo periodo il nuovo nato dello stato di figlio, in violazione del suo diritto ad acquisirlo sin dalla nascita, riconosciuto dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia10. Se il figlio ha più di sedici anni il riconoscimento non produce effetto senza il suo assenso nella presunzione che a tale età, sebbene ancora minorenne, sia in grado di valutare il proprio interesse ad essere riconosciuto: il mancato assenso limita il diritto del genitore al riconoscimento. Se il figlio ha meno di sedici anni il riconoscimento non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che lo abbia già effettuato. Il consenso non può essere rifiutato ove il riconoscimento risponda all’interesse del figlio. In base all’ art. 45 del DPR 396/00 Regolamento del nuovo ordinamento di stato civile l’assenso del figlio ultrasedicenne costituisce condizione di efficacia (non di validità) del riconoscimento (“il riconoscimento è ricevuto, ma non produce effetto”) mentre il consenso dell’altro genitore in caso di figlio infrasedicenne costituisce presupposto dell’esercizio del potere di riconoscere: senza il consenso dell’altro genitore il secondo riconoscimento è irricevibile. È stato rilevato che il figlio raggiunto il sedicesimo anno sarebbe legittimato a superare l’iniziale rifiuto del consenso da parte del genitore e potrebbe anche cambiare idea, dopo aver negato l’assenso, dando così efficacia al riconoscimento11. IL TRIBUNALE PER I MINORENNI PER OTTENERE IL CONSENSO AL L’INTERESSE DEL MINORE . uando il genitore del minore rifiuta il consenso al riconoscimento da parte dell’altro, questi può proporre domanda al tribunale per i minorenni il quale decide con sentenza che, in caso di accoglimento, tiene luogo del consenso mancante. Poiché “il consenso non può essere rifiutato se il riconoscimento risponda all’interesse del figlio” il procedimento ex art 250 CC è esclusivamente diretto ad accertare se il secondo riconoscimento risponda o meno all’interesse del minore, non ha invece ad oggetto l’accertamento della veridicità del riconoscimento che PROCEDIMENTO AVANTI AL RICONOSCIMENTO. Q 9 L’iscrizione anagrafica del nuovo nato viene effettuata solo nel comune di residenza della madre 10 cfr.AC Moro, cit., pag. 143 11 cfr. Ubaldi, il riconoscimento del figlio naturale, in trattato dir. famiglia, a cura di Zatti,2002, II,304-305 44 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS però deve avvenire, in via incidentale, in presenza di contestazione sulla legittimazione di chi vuole riconoscere12 Il giudizio, con l’intervento necessario del PM, si svolge nelle forme del procedimento in camera di consiglio, ma poiché riguarda l’acquisizione di uno status, deve rispettare le regole sul contraddittorio e sul diritto di difesa, proprie del giudizio contenzioso13. L’art. 250 CC prevede che sia sentito il minore in contraddittorio con il genitore che si oppone, ma la giurisprudenza è costante nel ritenere che il minore non sia parte necessaria: è quindi eccezionale la nomina di un curatore che lo rappresenti. Non è neppure prassi generalmente seguita quella di sentire il minore la cui audizione avviene solo nei casi più complessi e quando si tratta di adolescenti; in questi casi i tribunali ricorrono di solito a consulenze tecniche volte ad acquisire elementi di conoscenza sulle caratteristiche personali del minore, del genitore e dell’aspirante genitore, utili a decidere se il riconoscimento risponda all’interesse del figlio. Tale interesse viene interpretato diversamente dalla giurisprudenza di legittimità e di merito. La costante giurisprudenza della Cassazione afferma che il riconoscimento formale di un proprio status filiationis è diritto costitutivo dell’identità personale14 e quindi che il minore ha diritto di identificarsi come figlio di due genitori noti e di assumere una precisa e completa identità. Afferma altresì che il genitore ha un diritto soggettivo costituzionalmente garantito dall’art.30 della Costituzione, di riconoscere il figlio. I due diritti concorrenti possono essere sacrificati, nel caso che l’altro genitore si opponga al riconoscimento, soltanto in presenza di un fatto di importanza ad essi proporzionale, ossia soltanto ove sussista il pericolo che dal secondo riconoscimento derivi al minore un pregiudizio così grave da far ritenere probabile una seria compromissione del suo sviluppo psicofisico15. Secondo la Cassazione il pregiudizio non può identificarsi con il turbamento della serenità della vita che il minore conduce con il genitore che lo ha riconosciuto per primo né il diritto del genitore ad effettuare il secondo riconoscimento può essere paralizzato quando risulti che non avrebbe un effettivo e concreto influsso positivo sulla vita futura del minore (come arricchimento affettivo e psicologico) o al contrario che sarebbe ininfluente per lui16. L’interesse del minore al non riconoscimento si configura solo con l’accertamento che esistono motivi gravi ed irreversibili tali da far ravvisare la probabilità che il riconoscimento comporterebbe una forte compromissione dello sviluppo psicofisico del minore. In questo caso il bilanciamento del suo interesse e del diritto del genitore porterebbe ad un legittimo sacrificio di tale diritto giustificato per l’esigenza di salvaguardare esigenze del minore a non essere danneggiato dal riconoscimento di importanza pari all’esigenza del genitore di esercitare il suo diritto al riconoscimento. L’interesse del minore non si contrappone al diritto del genitore al riconoscimento, ma costituisce “misura ed elemento di definizione” di quel diritto. Nel valutare tale interesse non può non tenersi conto del comples12 cfr. Cass. 29/4/99 n.4325 citata da CA Milano 28/3/03 in FamDir 5/03 pag.457 13 Sull’applicabilità a giudizi contenziosi del rito camerale in cui vengano rispettate le necessarie garanzie cfr. per tutte Cass.Sez.Un.19/6/96 n.5629 in Foro It. 1996, I, 3070 14 cfr.Corte Cost sentenza n.120/01 15 cfr. Cass. 3/4/2003 n.5115 con nota di A.Figone, in FamDir 5/03 pag.445; Cass 8/8/03 n.11949 in www.personaedanno.it; Cass. 24/4/01 n.6011 in F amDir n.1/02 pag. 25 16 cfr. Cass n.6470/01 45 AIAF QUADERNO 2006/2 so dei diritti che a lui derivano dal secondo riconoscimento tra cui il diritto soggettivo della persona ad identificarsi come figlio di una madre e di un padre e ad assumere un’identità precisa e completa dal punto di vista biologico17. Come si vede la giurisprudenza della Cassazione ragiona in termini di diritto, sia del minore ad essere riconosciuto, sia del genitore a riconoscerlo presumendo l’interesse del minore a meno che risulti evidente il pericolo di un serio pregiudizio. L’aspetto positivo dell’interesse, ignorato dalla Cassazione, è stato invece considerato dalla giurisprudenza di merito che ha ritenuto di autorizzare il riconoscimento solo in quanto rispondente alle esigenze del minore di avere una nuova figura parentale capace di assicurargli affetto, sicurezza e assistenza costanti, senza compromettere rapporti affettivi già consolidati e senza ostacolare l’azione educativa dell’altro genitore. Secondo tali pronunce l’interesse del minore al secondo riconoscimento dovrebbe essere valutato caso per caso in relazione a molteplici ed articolati bisogni del minore, avuto riguardo all’aspetto personale (bisogno psicoaffettivo di avere un padre e una madre), sociale (utilità di essere individuato come figlio di una persona certa, avuto riguardo al contesto di vita), economico (utilità di essere aiutato nella crescita da due genitori), familiare e relazionale (soddisfacimento di esigenze di serenità e sicurezza)18 Gli stessi parametri di valutazione dell’interesse del minore dovrebbero essere applicati nei giudizi di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale19 Questa giurisprudenza di merito è stata tuttavia superate negli ultimi anni da un adeguamento alle tesi della Cassazione che risultano sostanzialmente condivisibili a fronte della complessità di una decisione quando il rifiuto del consenso è, come avviene sempre più spesso, determinato da ragioni che non attengono al bene del figlio e al suo interesse ma piuttosto a una forte resistenza del genitore (generalmente la madre) verso colui che vorrebbe riconoscere il figlio, a causa della conflittualità esistente tra i due. In questi casi il riconoscimento può mettere a rischio la serenità del minore perché la presenza del secondo genitore può costituire presupposto di litigi e tensioni che si ripercuotono sul figlio. Ma è sufficiente tale rischio, in mancanza di seri elementi di pericolosità (come per esempio l’accertamento di gravi psicopatologie) per impedire il riconoscimento? Non sono poche le sentenze di merito che hanno dato risposta negativa a questo interrogativo. Infatti, nel momento in cui si tratta di decidere se privare o meno un minore di una seconda figura genitoriale, in grado di assumere nei suoi confronti responsabilità sia personali che patrimoniali, non si può ritenere che su tale decisione possano influire le problematiche irrisolte tra gli adulti che non possono impedire l’esercizio del diritto al riconoscimento da parte di chi i vuole avvalersene Il giudice del procedimento ex art. 250 CC non può farsi carico della conflittualità tra i genitori che può essere regolata successivamente dal tribunale per i minorenni con interventi sulla potestà ex art. 330, 333 CC20 17 cfr. Cass.n.11949/03 cit. 18 cfr. TM Torino, 26/2/92 in Dir.fam.pers.1992, 1086; TM Genova, 25/1/79 in Foro It, 1980, I, 819; C.A. Brescia, 27/7/79, in Giust.Civ.1979, I, 1971 19 La valutazione dell’interesse del minore era riservata alla fase di ammissibilità del procedimento regolata dall’art.274 CC. Dichiarando incostituzionale tale norma ed eliminando la fase di ammissibilità, in quanto “inutile duplicato idoneo solo a favorire istanze dilatorie” la Corte ha precisato che la rispondenza dell’azione all’interesse del minore potrà essere delibata prima dell’accertamento della sua fondatezza nel merito (Corte Cost. 10/2/2006 n.50) 20 cfr. CA Milano 28/3/03 in FamDir 5/03 pag.457 46 LA I FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS FALSI RICONOSCIMENTI sulla convenienza per il figlio del secondo riconoscimento trova Lnonaunvalutazione limite nell’intervento del tribunale quando manca il consenso del genitore, invece quando il consenso viene espresso, ma anche in questo secondo caso non sempre il genitore pone in essere scelte nell’interesse del figlio come accade per i falsi riconoscimenti. Sembra quindi condivisibile l’opinione di chi auspicherebbe la previsione legale di un intervento a verifica dell’interesse del minore non solo per il rifiuto del consenso ma in generale nel caso di riconoscimenti tardivi rispetto ai quali appare insufficiente lo strumento dell’impugnazione per difetto di veridicità (art.264 segg. CC)21. Può verificarsi che un minore riconosciuto dalla madre venga tardivamente riconosciuto da un suo nuovo compagno che non è il padre: in questo caso gli adulti pongono in essere una condotta che costituisce reato (false dichiarazioni) sebbene di solito non la percepiscano come tale, ma la considerino un sorta di “atto di amore”., ma simili iniziative hanno poco a che vedere con l’interesse del minore che spesso si trova a vivere in una situazione ambigua, di segreto sulle sue vere origini e di possibili ricatti e rifiuti da parte dell’apparente padre quando viene meno il suo accordo con la madre del minore22. Ma il consenso della madre al falso riconoscimento può anche essere utilizzato per eludere le norme sull’adozione, e in questo caso è ancor più evidente che l’interesse del figlio non viene salvaguardato. I falsi riconoscimenti non sono fatti eccezionali né richiedono particolare abilità: basta il contatto con ambienti (più diffusi di quanto si pensi) compiacenti e senza scrupoli e una certa disponibilità economica oltre che, ovviamente, un atteggiamento mentale distorto che vede nel bambino un oggetto da acquisire per esigenze di identità personale o sociale. Il mercato dei bambini trova alimento in condizioni di grave emarginazione e nell’aumento della domanda di bambini a causa della diffusa sterilità e del bisogno di avere un figlio espresso da persone che, per ragioni di età e di scarso equilibrio personale, sono escluse dalla procedura (complessa e controllata) dell’adozione e non vogliono (o non riescono) percorrere la strada impervia della fecondazione assistita. I Tribunale per i Minorenni si imbattono solo in alcuni casi di falsi riconoscimenti sia perchè l’obbligo dell’ufficiale di stato civile di segnalazione dei casi sospetti (art. 74 legge 184/83) non sempre viene adempiuto, sia soprattutto perchè tale obbligo scatta solo nell’ipotesi di riconoscimento, da parte di persona coniugata, di un bambino sin dall’inizio regolarmente denunciato allo stato civile come figlio di ignoti. Se viceversa la nascita non è dichiarata, il falso riconoscimento può essere facilitato.23 Si dovrebbe quindi evitare che possano verificarsi situazioni in cui alcune nascite non vengano correttamente dichiarate e possano rimanere clandestine.. 21 L’art. 264 CC non attribuisce al PM l’iniziativa, ma prevede che sia il TM ad autorizzare l’impugnazione nominando un curatore speciale del minore Cfr. AC Moro, cit., pag.146, 148 22 L’interesse del minore potrebbe invece essere salvaguardato ricorrendo all’adozione in casi particolari (art.44, lett.b legge 184/83) sebbene sia necessario in questa ipotesi che sia intervenuto il matrimonio tra la madre e colui che vuole assumere la funzione paterna. 23 Sebbene l’ipotesi che bambini “clandestini” (non solo per immigrazione ma anche per nascita) possano essere oggetto, oltre che di adozioni contrattate, anche del turpe mercato di organi sia ripugnante, tuttavia non aoppare del tutto implausibile in base a notizie che non sembrano prive di fondamento, anche se sfornite di prova. 47 AIAF QUADERNO 2006/2 Questo può avvenire se il neonato viene dimesso dalla struttura sanitaria senza che sia stata denunciata la nascita lasciando alla madre o ai genitori il compito di effettuarla. Non risponde a criteri di legittimità e di prudenza che i responsabili della struttura sanitaria affidino il neonato senza chiedere agli interessati almeno un impegno scritto a procedere agli adempimenti necessari per l’iscrizione allo stato civile. Infatti il neonato potrebbe essere affidato solo ai genitori che tuttavia acquisiscono tale qualifica solo dopo che vi sono stati la dichiarazione di nascita e il riconoscimento.. Ciò dovrebbe valere sia per i figli naturali che per i figli legittimi poiché solo con la dichiarazione di nascita e con la formazione del relativo atto i genitori diventano tali. Questa conclusione appare fondata nella legge e non può ritenersi vessatoria nei confronti dei genitori, dal momento che essi sono estremamente facilitati proprio dal poter compiere gli adempimenti della dichiarazione e del riconoscimento anche immediatamente dopo la nascita e nello stesso luogo dove è avvenuta. Nel caso di riconoscimento da parte di persona coniugata di un figlio naturale non riconosciuto dall’altro genitore, gli ufficiali di stato civile devono immediatamente trasmettere la relativa dichiarazione al competente tribunale per i minorenni che dispone l’esecuzione di opportune indagini per accertare la veridicità del riconoscimento e, se se vi sono fondati motivi per ritenere che ricorrano gli estremi dell’impugnazione, assume anche d’ufficio i provvedimenti di cui all’art.264 CC (art.74 legge 184/83). Sull’argomento è intervenuta recentemente un’interessante sentenza della Cassazione. Premesso che “l’inserimento del citato art.74 nella legge di disciplina dell’adozione dei minori, con l’attribuzione di poteri officiosi al tribunale per i minorenni- così immutandosi l’originaria previsione dell’art.264, 2° comma CC- è espressione di un indirizzo legislativo mirante ad impedire, con il maggior impegno possibile, l’elusione della normativa sull’adozione dei minori attraverso riconoscimenti non veritieri di rapporti di filiazione legittima” la Cassazione ha rilevato che “in tale ottica legislativa, la norma del 1° comma dell’art.74 ha una formulazione ampia che non determina né limita i mezzi utilizzabili al fine su detto, potendo l’indagine richiedere strumenti più o meno penetranti a seconda delle particolarità del caso concreto, la cui adozione è rimessa alle valutazioni del tribunale per i minorenni, fermo restando che la veridicità del riconoscimento andrà definitivamente accertata nella successiva fase del giudizio di cognizione dinanzi al giudice ordinario” Nella fase avanti al tribunale per i minorenni, il rifiuto ingiustificato dell’interessato di sottoporsi all’indagine genetica, così come le sue risultanze, potranno avere valenza probatoria piena solo ai limitati fini del procedimento ex art. 74 della citata legge e 264 CC. Qualora l’interessato si sottragga alla consulenza tecnica disposta dal tribunale ordinario nel giudizio promosso avanti ad esso, gli accertamenti tecnici compiuti dal tribunale per i minorenni nell’ambito del procedimento ex art.74 (ed in particolare l’accertamento tecnico in ordine al rapporto di paternità) “pur non potendo assurgere di per sé ad elementi di prova sulla veridicità o non veridicità del riconoscimento, potranno avere secondo il prudente apprezzamento del giudice, valore indiziario se prodotti e acquisiti nel procedimento avanti al tribunale ordinario, tenuto anche conto che su di essi, in tale giudizio, le parti potranno formulare i loro rilievi e deduzioni, con l’esercizio di 48 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS ogni diritto di difesa” Nella stessa sentenza viene confermato che, in materia di accertamento di paternità e maternità, la consulenza tecnica ha funzione di mezzo obiettivo di prova, costituendo lo strumento più idoneo, avente margini di sicurezza elevatissimi, per l’accertamento del rapporto di filiazione: essa non è un mezzo per valutare elementi di prova offerti dalle parti, ma costituisce strumento, per l’acquisizione della conoscenza del rapporto di filiazione24. Il riconoscimento dell’efficacia probatoria degli accertamenti acquisiti dal tribunale per i minorenni costituisce un’importante strumento di tutela del minore poiché rende più veloce il procedimento di accertamento dei falsi riconoscimenti e al tribunale per i minorenni di assumere tutti i più opportuni provvedimenti a garanzia dello sviluppo del minore, che non può rimanere a lungo in una situazione ambigua e pericolosa quale è quella che deriva dalla sua strumentalizzazione da parte di adulti irresponsabili. COGNOME DEL FIGLIO NATURALE l figlio naturale assume il cognome del primo genitore che lo ha riconosciuto. Se è riconosciuto contemporaneamente assume il cognome del padre. Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Se è minorenne decide il TM (art. 262 CC) Il diritto al cognome ha subito una notevole evoluzione ad opera della Corte Costituzionale che lo ha definito come uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo e segno distintivo dell’identità personale, come tale meritevole di essere riconosciuto e salvaguardato. Di conseguenza ha dichiarato incostituzionale l’art.262 CC nella parte in cui non prevede che il soggetto dichiarato alla nascita figlio di ignoti e successivamente riconosciuto da uno dei genitori possa mantenere il cognome originariamente attribuitogli, divenuto segno distintivo della sua identità personale) anteponendolo o aggiungendolo a quello del genitore (Corte Cost. 23/7/96 n.297) Analogamente ha dichiarato incostituzionale l’art. 299 CC nella parte in cui non prevede che il figlio naturale non riconosciuto adottato da maggiorenne possa mantenere il cognome originario aggiungendolo a quello dell’adottante (Corte Cost. 120/01) Recentemente la Cassazione25 ha affermato che il figlio riconosciuto in ritardo dal padre può mantenere il cognome materno se esso è divenuto significativo della sua identità personale, senza sostituirlo con quello del padre Già in precedenza (Cass.6098/01) aveva stabilito, in un caso di legittimazione del figlio da parte del padre che voleva attribuirgli il proprio cognome, che, a sensi dell’art. 262 CC deve valutarsi l‘interesse esclusivo del figlio avuto riguardo al suo diritto all’identità personale nonché a qualunque elemento di valutazione in concreto, esclusa qualsivoglia automaticità. Infatti la ratio dell’art. 262 CC non va rintracciata nell’esigenza di rendere la posizione del figlio naturale quanto più simile possibile a quella del figlio legittimo (ovvero di parificare la filiazione naturale a quella legittima attribuendo il cognome paterno) bensì quella di garantire l’interesse del figlio a conservare o a non cambiare il cognome con cui I 24 cfr. Cass. 1/2/06 n. 3563 in www.minoriefamiglia.it 25 cfr. sentenza 4/4-26/5/06 n.12641 49 AIAF QUADERNO 2006/2 è ormai conosciuto nell’ambito sociale. Quindi il giudice, nell’applicare l’art.262 CC, ha un ampio margine di discrezionalità e attua un libero e prudente apprezzamento nell’ambito del quale rileva non tanto l’interesse dei genitori bensì quello del figlio minorenne a mantenere un’identità che ha già acquisito26. Non esiste più un automatismo nell’attribuzione del cognome, ma la decisione deve essere assunta caso per caso, avuto riguardo alla specifica condizione di vita del figlio minorenne. Appare quindi opportuna la prassi di alcuni tribunali per i minorenni che, nell’attribuire il cognome paterno, sostituendolo o aggiungendolo (prima o dopo) a quello materno, tengono conto di tali condizioni (per esempio se il figlio vive con entrambi i genitori o con uno solo), delle aspettative e dei desideri dei genitori e del minorenne che abbia raggiunto una certa età. Anche la Corte di giustizia europea ha riconosciuto il diritto dell’individuo a portare il cognome con il quale personalmente si identifica, senza che tale diritto possa essere limitato da regole di cittadinanza: Così ha ritenuto legittima la richiesta di un cittadino sia spagnolo che belga, residente in Belgio, registrato con doppio cognome al consolato spagnolo, a cui l’ufficiale di stato civile belga aveva dato il solo cognome del padre di ottenere l’attribuzione del doppio cognome.anche come cittadino belga27. Per quanto attiene il principio dell’adeguamento del cognome alla realtà di ogni situazione soggettiva, senza alcun residuo di automaticità, i figli naturali si trovano in una situazione avvantaggiata rispetto ai figli legittimi. Infatti relativamente a questi ultimi la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile la questione di costituzionalità degli art. 143 bis, 236, 237 2°, 262, 299 3° CC e degli art. 33 e 34 DPR 3/11/0 n.396 con riferimento agli art. 2, 3, 29 2° Cost. nella parte in cui prevedono che il figlio legittimo acquisti automaticamente il cognome del padre anche quando vi sia una diversa volontà dei genitori).28 26 Lo stesso interesse è riconosciuto per il figlio maggiorenne che può decidere se aggiungere o sostituire al cognome materno quello paterno. 27 Cfr. Corte Giustizia CE 2/10/03 n.C-148/02 in FamDir n.5/04 pag.437; cfr. anche Trib. Bologna decreto 9/6/04 in FamDir n.5/04 pg 441 28 cfr Corte Cost.16/2/06 n.61 50 LA 1. I L FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS PRINCIPI a disciplina della filiazione, e dell’azione di disconoscimento di paternità in particolare, costituisce momento emergente delle linee di tendenza che segnano il diritto di famiglia e delle tensioni che attualmente lo attraversa- no. Nel sistema delineato dal codice civile del 1942, la famiglia fondata sul matrimonio costituiva istituzione giuridicamente protetta a garanzia dell’ordine sociale. L’autorità consegnata nelle mani del marito e padre era presidio della sua coesione interna. L’indissolubilità la metteva al riparo dalla volubilità dei sentimenti. Nel campo della filiazione solo i figli legittimi erano pienamente tutelati. Il diritto erigeva in tal modo una barriera protettiva attorno alla famiglia1 per difenderla dai possibili elementi di crisi provenienti dal suo interno (conflitti fra coniugi, fra genitori e figli), o dall’esterno (relazioni extraconiugali, figli naturali). Fuori del matrimonio era il disordine. Il trattamento deteriore riservato ai figli naturali, anche quando i genitori non avessero altri legami, costituiva un incentivo a regolarizzare unioni contrarie alla morale corrente e all’ordine sociale, in una prospettiva di matrimonio riparatore riguardato come unica opportunità di attribuire ai figli uno status pienamente garantito 2. La tutela dell’istituzione esigeva il sacrificio dei diritti individuali: quelli dei figli non facevano eccezione. La costituzione disegna un modello di famiglia profondamente diverso da quello del codice civile. La famiglia non è più tutelata in quanto istituzione portatrice di interessi superiori, ma in quanto “società naturale”, “formazione sociale” orientata alla promozione della personalità individuale3. I diritti delle persone non accettano più di essere sacrificati sull’altare dell’istituzione. Quelli dei figli sono in prima linea. La tutela dei diritti del bambino si accompagna a quella delle relazioni in cui si sviluppa la sua personalità. Alla famiglia legittima si affiancano altri modelli di famiglia: intanto la famiglia adottiva, basata non sulla generazione, ma su legami sociali di affetto e responsabilità. Il fatto che l’adozione sia comunque costituita ad immagine della famiglia legittima (ad imitatio naturae) non può mettere in ombra l’ “artificio” che il diritto pone in essere stabilendo una filiazione legittima sulla base di una relazione di carattere sociale ed in assenza di un vincolo biologico di generazione. Il riconoscimento dei diritti dei figli naturali porta con sé la tutela della famiglia naturale tra genitore e figlio e, nel tempo, della stessa unione tra i genitori. La tutela dei diritti dei minori in quanto persone ed in quanto figli costituisce dunque un fattore decisivo di evoluzione da un unico modello di famiglia fondata sul matrimonio ad una pluralità di modelli di famiglia altrimenti costituiti. Il centro di gravità della famiglia si sposta dal matrimonio (sempre più fragile) al IL DISCONOSCIMENTO DI PATERNITÀ 1 2 3 GILDA FERRANDO PROFESSORE ORDINARIO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI GENOVA M. Sesta, La filiazione, in Trattato Bessone, Torino, 1999, IV, III, pp. 3 ss. G. Ferrando, La filiazione naturale e la legittimazione, in Trattato Rescigno, IV, 2a ed., Torino, 1997, pp. 101 ss. Rinvio al mio Manuale di diritto di famiglia, Roma- Bari, 2005, pp. 10 ss. 51 AIAF QUADERNO 2006/2 bambino e questo determina molte delle trasformazioni che sono sotto i nostri occhi. Con la riforma del diritto di famiglia prende l’avvio un processo istituzionale ancora in corso che si sviluppa secondo alcune linee di fondo sulle quali si costruisce il nuovo diritto della filiazione. La prima segna l’emergere dei diritti del minore come criterio ordinante della relazione tra genitori e figli. La seconda si muove lungo una linea di “separazione” tra filiazione e matrimonio e porta al riconoscimento degli eguali diritti di tutti i figli, legittimi e naturali, indipendentemente dalle circostanze della loro nascita. La terza percorre i modi in cui lo stato di filiazione si costituisce, segnando il passaggio dal favor legitimitatis al favor veritatis, inteso a perseguire una più piena, anche se non assoluta, corrispondenza tra certezza formale e verità naturalistica della generazione. La riforma, notavamo, getta le basi di un processo evolutivo ancora in corso che in anni recenti ha subito una significativa accelerazione, ed ulteriori sviluppi, per effetto dei mutamenti sociali ed economici che coinvolgono l’universo familiare, e dei valori etici sui quali esso si fonda. 2. FAVOR VERITATIS E FAVOR LEGITIMITATIS ella disciplina del codice del 1942, le regole sull’accertamento della filiazione si ispiravano al favor legitimitatis4. Così come, sul piano del rapporto di filiazione ai figli legittimi era riservato un trattamento giuridico differenziato e più favorevole rispetto a quello spettante ai figli naturali, anche sul piano dell’accertamento di status si riscontrava una tendenza favorevole ad attribuire al figlio lo stato legittimo persino in situazioni in cui le circostanze di fatto rendevano molto improbabile che il marito fosse l’autore del concepimento (ad esempio, nascita del figlio da donna separata, o nascita dopo i trecento giorni dallo scioglimento del matrimonio). Le ragioni del favor legitimitatis consistevano essenzialmente nell’esigenza di assicurare al figlio uno status giuridico più tutelato e nell’interesse generale alla protezione dell’istituzione matrimoniale, e perciò alla salvaguardia dell’onore e della coesione della famiglia legittima. Dalla riforma del diritto di famiglia del 1975 emerge, invece, una diversa linea di tendenza che dà più spazio alla verità biologica, in quanto tende ad assicurare una maggiore corrispondenza tra verità naturale e certezza giuridica del rapporto di filiazione. In primo luogo è più circoscritto rispetto al passato l’ambito di applicazione delle presunzioni legali di paternità e di concepimento durante il matrimonio. La presunzione di paternità, infatti, non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione o, ancor prima, dalla data in cui i coniugi sono stati autorizzati a vivere separatamente dal giudice nelle more del giudizio di separazione. In secondo luogo, non occorre più esercitare l’azione di contestazione per privare dello status legittimo il figlio nato decorsi trecento giorni dallo scioglimento o dall’annullamento del matrimonio, mentre è possibile, al contrario, dare la prova che, nonostante il decorso di tale periodo, egli è stato concepito durante il matrimonio e che perciò la gravidanza ha avuto una durata eccezionalmente N 4 V. G. Cattaneo, Filiazione legittima, Commentario Scialoja e Branca, Bologna-Roma,1988; M. Sesta, La filiazione, in Trattato Bessone, cit.,27 ss.; G. Biscontini, La filiazione legittima, in Il diritto di famiglia, Trattato diretto da Bonilini e Cattaneo, III. Filiazione e adozione, Torino, 1997, 1 ss. 52 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS lunga (art. 234 c.c.). Inoltre, la presunzione di paternità non opera quando il figlio nato da una donna coniugata è stato denunciato all’ufficiale di stato civile non come figlio legittimo, ma come figlio naturale della madre5. Da un lato infatti l’art. 250 ammette il riconoscimento del figlio naturale tanto ad opera del padre che della madre coniugati, dall’altro la teoria del “titolo di stato” consente di affermare che lo stato di figlio legittimo si acquista non per il semplice fatto della nascita da donna coniugata, ma soltanto in seguito alla formazione dell’atto di nascita di figlio legittimo. Il riconoscimento da parte della madre coniugata del figlio come figlio naturale, impedisce così la formazione del titolo e perciò la possibilità che operi la presunzione di paternità6. In questi casi, dunque, non è più necessario agire in giudizio per contestare lo stato legittimo per la buona ragione che il figlio dalla nascita ha lo stato di figlio naturale. La migliore corrispondenza tra verità e certezza giuridica della filiazione è assicurata anche dall’attuale disciplina dell’azione di disconoscimento di paternità. L’art. 235 c.c. prevede ancor oggi una serie di ipotesi tassative di ammissibilità dell’azione. Non è sufficiente, come accade in altre esperienze, dare la prova della non paternità, occorre preliminarmente dimostrare una delle circostanze indicate dall’art. 235. Tuttavia, queste ipotesi sono ora più ampie rispetto al passato in quanto, mentre prima della riforma la prova dell’adulterio doveva accompagnarsi alla prova del celamento della gravidanza e della nascita, oggi adulterio e celamenti costituiscono ipotesi distinte di ammissibilità dell’azione. Sono, poi, i progressi compiuti dalla scienza, cui si deve la possibilità di utilizzare prove biologiche o genetiche di paternità, a mettere in discussione i rapporti tra verità legale e verità biologica nella definizione degli status filiationis. La possibilità di dimostrare scientificamente e in modo diretto la paternità, o la non paternità, offre garanzie di accertare la verità biologica ben superiori rispetto a quelle offerte dalle presunzioni basate sulle prove storiche7. La legittimazione ad agire in disconoscimento, che in passato spettava soltanto al marito, è stata ora riconosciuta anche alla madre e al figlio a parità di condizioni. Non può invece esercitare l’azione colui che sostiene di essere il padre biologico. Notevolmente più ampi rispetto al passato sono poi i termini per proporre l’azione8. Di questa tendenza a far corrispondere verità naturale e certezza legale della filiazione si trova ulteriore conferma nell’ambito della filiazione naturale. In proposito, innovazioni particolarmente significative sono l’ammissibilità del 5 6 7 8 Dopo una prima fase di incertezza, la giurisprudenza è orientata nel senso indicato nel testo: cfr. Cass. 2 aprile 1987, n. 3184, in Nuova giur. civ. comm., 1987, I, p. 702; Cass. 10 ottobre 1992, n. 11073, in Dir.fam. pers., 1993, p. 468. Cfr. G. Cattaneo, La filiazione legittima, cit., 40 ss.; M. Sesta, Le azioni di disconoscimento, in Trattato Rescigno,, IV, 2a ed.,Torino,1997, pp. 80 ss.; M. Dossetti, L’accertamento della filiazione legittima tra automatismo e principio volontaristico, in Scritti in memoria di G. Cattaneo, Milano, 2002, II, p. 817 ss G. Ferrando, Prove genetiche, verità biologica e principio di responsabilità nella procreazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1996, pp. 725 ss Questi termini sono stati ulteriormente ampliati in seguito alla sentenze della Corte costituzionale n. 134 del 1985 (Corte Cost. 6 maggio 1985, n. 143, in Dir. fam. pers., 1985, p. 397) e n. 170 del 1999 (Corte cost. 14 maggio 1999, n. 170, in Fam. dir., 1999, p. 313 con nota di A. Figone). Il termine di prescrizione annuale a favore del marito decorre ora, nel caso di adulterio della moglie, non dalla nascita del figlio, ma dalla scoperta dell’adulterio; e, nel caso di impotenza a generare, dalla scoperta di tale condizione. Si consideri, inoltre che la Corte di cassazione (23 aprile 2003, n. 6477, in Familia, 2004, p. 896, con nota di E. Bolondi) ha stabilito che, in caso di adulterio il termine inizia a decorrere da quando si ha la certezza dell’adulterio (e non il mero sospetto), certezza che può dirsi raggiunta ad esito del test scientifico. 53 AIAF QUADERNO 2006/2 riconoscimento dei figli “adulterini” (art. 250 c.c.) e l’ampliamento dei casi in cui è possibile agire per ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità. Per effetto della disciplina contenuta nell’art. 269 c.c., tutti i figli possono ora agire per la dichiarazione giudiziale di paternità, anche se concepiti in costanza di matrimonio, e senza limiti legali di prova. La possibilità di esperire l’azione di dichiarazione giudiziale è stata ulteriormente ampliata dalla Corte costituzionale che la ammessa anche per i figli incestuosi nati da genitori in malafede9. Anche l’abrogazione del giudizio preliminare di ammissibilità dell’azione si colloca entro questa linea di tendenza10. La riforma tende perciò a far coincidere realtà naturalistica dei rapporti e loro qualificazione formale. Con ciò si esprime, tuttavia non l’astratto omaggio alla “verità” intesa come valore assoluto, piuttosto si ribadisce quel principio di responsabilità per il fatto della procreazione già enunciato dal primo comma dell’art. 30 Cost.. In altri termini, la ricerca della verità non è un valore in sé, ma è in funzione dell’affermazione di una regola di condotta: la regola secondo cui chi ha tenuto comportamenti tali da portare alla nascita di un figlio è poi responsabile della sua formazione come persona e cittadino11. La ricerca della verità dei natali non è tuttavia senza limiti. Per quel che riguarda la filiazione naturale, esistono ancora casi in cui il riconoscimento non è ammissibile (è il caso dei figli incestuosi o di quelli generati da persone minori di sedici anni). In diritto italiano, poi, il riconoscimento è sempre un atto volontario, anche quando provenga dalla madre: il riconoscimento materno non è né conseguenza automatica della denuncia di nascita, né è obbligatorio. La madre, anche quella coniugata, può chiedere di non essere nominata nell’atto di nascita12. Nella filiazione legittima, poi, l’azione di disconoscimento è ammessa in presenza di ipotesi (più ampie rispetto al passato, ma comunque) tassativamente indicate dalla legge, non essendo da noi stata accolta la diversa regola della libertà di prova contraria della paternità13 mentre il decorso dei termini per l’esercizio dell’azione, indicati dall’art. 244 c.c., rende definitivamente accertata una paternità legittima che potrebbe non corrispondere al vero. In ciò si è visto un segno del carattere “non preminente ed assoluto” riconosciuto alla verità biologica rispetto a quella legale, essendo comunque attribuito al legislatore il potere di “privilegiare … la verità legale rispetto a quella biologica”, nella ricerca della soluzione “più idonea per la realizzazione dell’interesse del minore”14. Le prove biologiche, poi, secondo un orientamento fino ad ieri costante, sono ammissibili solo se preliminarmente è stato dimostrato l’adulterio della moglie15. In passato, si è già osservato, erano molto più numerosi i casi in cui il figlio fini9 Corte cost. 28 novembre 2002, n. 494 10 Corte cost. 10 febbraio 2006, n. 50, in Guida al diritto, 2006, 9, 58, con nota di M. Finocchiaro 11 Principio di responsabilità per la procreazione è stato già a suo tempo sottolineato da A. Trabucchi, Fecondazione artificiale e legittimità dei figli, in Giur.it.,1957, I, 2, c. 218 ss. 12 Facoltà riconosciuta anche alla madre coniugata da Corte cost. 5 maggio 1994, n. 171, in Fam. dir., 1994, p. 37, cui hanno fatto seguito la l. 15 maggio 1997, n. 127 e il nuovo ordinamento di stato civile, d.p.r. n. 396/2000, art. 30, c. 1. È discusso se tale facoltà possa essere ammessa anche nel caso in cui la denuncia di nascita venga fatta dal marito. Per una risposta affermativa, v. M. Sesta, Diritto di famiglia, 2a ed., Padova, 2005, pp. 433 ss.. In senso contrario, v. v. M. Dossetti, L’accertamento della filiazione legittima tra automatismo e principio volontaristico, cit., pp. 828 ss. 13 Che troviamo invece, ad esempio, nell’art. 127 c.c. spagnolo 14 Cass. 17 agosto 1998, n. 8087, in Fam. dir., 1998, p. 427 15 Cass. 23 gennaio 1984, n. 541, cit.; Cass. 12 novembre 1982, n. 5687, cit.; Cass. 25 ottobre 1979, n. 5593, in Dir. fam. pers., 1980, p. 95; Cass. 17 agosto 1998, in Fam. dir., 1998, p. 427, con nota di V. Carbone. V. infra, par. 4.1. 54 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS va per vedersi attribuito uno stato legittimo che molto probabilmente non corrispondeva al vero16. Queste regole venivano descritte come ispirate al favor legitimitatis. Oggi questi limiti sono dettati da esigenze ben diverse: la raggiunta parità di diritti tra figli naturali e figli legittimi finisce, infatti, per far coincidere l’interesse del figlio con la ricerca della verità. Mentre esigenze di certezza, così come l’assunzione di responsabilità derivante dal mancato tempestivo esercizio dell’azione di disconoscimento, meglio spiegano le sfasature ancor oggi possibili tra status reale e status formale17. Non sempre, tuttavia, le regole sull’attribuzione dello stato di filiazione sono ispirate al principio della corrispondenza dello status giuridico alla verità naturale. Il fattore volontaristico ha oggi un peso rilevante nell’attribuzione dello status. 3. LA SCELTA DI ESSERE GENITORI E IL PRINCIPIO DI RESPONSABILITÀ ccanto al principio di verità si afferma, nell’evoluzione del diritto della filiazione, un altro principio che valorizza la scelta di essere genitori e la responsabilità che ne consegue. E l’azione di disconoscimento, ancora una volta, ne costituisce segnale evidente. Il modello tradizionale di filiazione fondato sulla derivazione biologica si incrina con la comparsa dell’adozione legittimante dei minori grazie alla quale si instaura un rapporto di filiazione legittima in assenza del vincolo biologico di generazione18. L’interesse del minore a ricevere quelle cure e quell’affetto indispensabili alla sua crescita prevale sull’interesse dei genitori di origine a mantenere intatti i rapporti con il figlio e giustifica la creazione di un rapporto di filiazione nuovo. In questo modo si affianca al principio di “verità” un altro principio che attinge alla “responsabilità” per una scelta liberamente assunta. Nell’adozione la filiazione non si fonda sul rapporto biologico di generazione. Quello che conta è il fatto di “volere” essere genitori e di assumersi davanti al giudice tale impegno. Altre volte la legge non considera la generazione fondamento sufficiente per la filiazione, nel senso che la derivazione biologica, pur sussistente, non basta a fondare la filiazione. La riforma del 1975, in questo innovando profondamente il sistema, ha previsto che il secondo riconoscimento del figlio naturale non produca effetti se in contrasto con l’interesse del minore. Questo elemento è stato ulteriormente valorizzato dalla Corte costituzionale19 nell’accertamento giudiziale della paternità naturale, che si vuole ammissibile solo se non contrasti con l’interesse del figlio minore. Il concetto giuridico di paternità viene così legato non esclusivamente al dato biologico, ma anche all’aspetto sociale ed affettivo. Questi principi sono stati ribaditi dai giudici della Consulta anche nell’ambito della filiazione legittima a proposito dell’azione di disconoscimento promossa dal P.M. nell’interesse del figlio minore (art. 244, 4° c. nel testo sostituito dalla l. n. 184/1983), dovendosi, anche in tal caso, assumere “tutti gli elementi necessari o utili per valutare la sussistenza dell’interesse del minore all’esperimento A 16 Per un confronto tra la disciplina vigente e quella abrogata, v. Bessone, Alpa, D’Angelo, Ferrando, Spallarossa, La famiglia nel nuovo diritto, 5a ed, Bologna, 2002, pp. 158 ss.. 17 V. G. Ferrando, Manuale di diritto di famiglia, cit., pp. 234 18 V. L. Rossi Carleo, Le adozioni, in Trattato Rescigno, IV, 2a ed.,Torino,1997; A. Giusti, L’adozione, in Diritto di famiglia, III Filiazione adozione, Trattato Bonilini, Cattaneo,cit., p. 311 ss.; G. Cattaneo, voce Adozione, Dig. IV disc. priv., I, Torino,1987, pp. 155 ss..; G. Ferrando, Manuale di diritto di famiglia, pp. 263 ss. 19 Corte cost. 20 luglio 1990, n. 41, in Giur. it., 1991, I, 1, c. 625 con nota di L. Tria 55 AIAF QUADERNO 2006/2 di un’azione che lo spoglierebbe dello stato di figlio legittimo senza garantirgli l’acquisto dello stato di filiazione nei confronti del padre naturale”20. La valutazione dell’interesse del figlio imprime, perciò, una particolare curvatura alla disciplina delle azioni di stato. Accanto alla ricerca della verità si va affermando un altro principio che esprime valori di responsabilità. La questione si è posta in modo inedito in conseguenza dei progressi della medicina riproduttiva. Sarebbe interessante, se ne avessimo il tempo, chiederci quale influenza abbia avuto il diffondersi - in Italia dalla fine degli anni ’60 - della pillola anticoncezionale sulle trasformazioni della famiglia, del ruolo della donna, dei rapporti tra i sessi. La generazione non è più la naturale conseguenza dell’incontro fisico tra un uomo e una donna. È piuttosto il frutto di una scelta consapevole. La “procreazione responsabile” - ormai approvata dalla morale corrente e incoraggiata da politiche pubbliche inclini a promuoverla21 - costituisce il modo in cui le coppie generalmente programmano la crescita del nucleo familiare. Gli anticoncezionali esaltano il fattore volontaristico nella procreazione ed è la donna ad avere un preminente potere di scelta. Lo stesso aborto - che pure non costituisce mezzo per il controllo delle nascite (art. 1, l. 194/1978), essendo ammesso in funzione della tutela della salute della madre - può essere praticato anche senza il consenso del coniuge. A ciò si aggiungano i mutati rapporti di coppia nel senso dell’eguaglianza e dell’autonomia, e con essi il tramonto dello ius in corpus e del debitum coniugale. La procreazione non costituisce, dunque, l’esito normale o naturale del rapporto di coppia e dello stesso matrimonio, potendo essere rinviata od anche esclusa22. La decisione di avere figli, che naturalmente rientra tra quelle affidate all’accordo dei coniugi, può essere bloccata dal “veto” unilaterale di uno dei due23. Ed è la donna ad avere in mano più strumenti per farlo24. La donna, può se vuole, rifiutare la procreazione con gli strumenti offerti dalla medicina (contraccezione, aborto) o con quelli offerti dalla legge (non essere nominata nell’atto di nascita). L’uomo invece è padre anche se non vuole. È padre in quanto marito della madre. Fuori del matrimonio il puro legame biologico fonda non solo obblighi di mantenimento, ma l’acquisto della funzione paterna nei confronti del nato25. A differenza della donna, l’uomo non può rifiutare la paternità. Ed in questo taluno ha ravvisato una disparità che il diritto dovrebbe in qualche modo corregge20 Corte cost. 27 novembre 1991, n. 429. 21 Sono ormai lontani i tempi in cui la sanzione penale colpiva non solo l’aborto (art. 546 c.p. abr.) (incluso non tra i reati contro la persona, ma tra quelli contro “l’integrità e la sanità della stirpe”),ma anche la somministrazione di anticoncezionali (che poteva costituire il reato di “procurata impotenza alla procreazione”, art. 552 c.p. abr.), e persino il solo fatto di parlarne (quando potesse essere inteso come “incitamento a pratiche contro la procreazione” (art. 553 c.p. abr.). 22 Sui rapporti tra procreazione e matrimonio, rinvio al mio Il matrimonio, in Trattato Cicu-Messineo, Milano, 2002, pp. 73 ss 23 Di una sorta di diritto di veto parla V. Roppo, Il giudice nel conflitto coniugale, Bologna, 1980, pp. 314 ss. 24 Osserva A. Trabucchi, Famiglia e diritto nell’orizzonte degli anni ’80, in La riforma del diritto di famiglia dieci anni dopo, Padova, 1986,p. 3 ss., specie p. 167 s., che “ La programmazione delle nascite da un lato - passata in gran parte dalle decisioni dell’uomo a quelle della donna - e il potere dall’altro lato riconosciuto alla stessa moglie di abortire senza che sia richiesto il consenso del marito …sono espressioni dello stesso filone di tendenza che ha portato alla non incriminazione dell’adulterio ed al libero riconoscimento dei figli adulterini.”. 25 Sembrerebbe, dunque, che la maternità abbia assunto “un significato prevalente rispetto alla paternità”: V. V. Pocar, Mutamenti sociali, cit., p. 40. E. v. P. Zatti, Introduzione, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, I. Famiglia e matrimonio, a cura di G. Ferrando, M. Fortino, F. Ruscello, Giuffrè, Milano 2002, p. 50 s. 56 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS re26, se non altro distinguendo tra obblighi patrimoniali verso il figlio (che potrebbero legarsi alla mera generazione) e responsabilità personali, status, che dovrebbero dipendere anche da un fattore psico-sociale di accoglienza27. La medicina della riproduzione rende ora possibili anche scelte di segno opposto: avere un figlio quando la generazione è negata dalla natura (sterilità, infertilità), o dalle condizioni personali (donna single, coppia lesbica o omosessuale, limiti di età, morte del partner). Nella procreazione medicalmente assistita è la scelta che rende genitori ed è per questo che il loro consenso costituisce lo snodo essenziale delle procedure mediche e delle regole introdotte dai vari legislatori nazionali28. Il valore della scelta di essere genitori riverbera anche sulle regole che definiscono lo status del figlio. È proprio il riferimento al principio di responsabilità che ha consentito di ritenere inammissibile l’azione di disconoscimento proposta dal padre che aveva dato il proprio consenso all’inseminazione della moglie con seme di donatore. Chi, con il proprio consenso, si è assunto la responsabilità di far nascere un figlio, non può poi ritornare sulle proprie decisioni, sostenendo di non essere geneticamente il padre29. La decisione della Corte di cassazione ha fatto scuola. La legge n. 40/2004, pur vietando la concezione assistita con seme di donatore, ha tuttavia stabilito che, qualora nonostante il divieto essa venga attuata e ci sia il consenso del partner maschile, questi non può poi pentirsi ed impugnare di paternità (art. 9). In altre esperienze - il riferimento è alla legge inglese30 - la volontà rileva anche nel caso di maternità per sostituzione, potendo il giudice attribuire la maternità non alla donna che ha partorito ma alla donna sterile che ha voluto il figlio. Da noi, fermo restando il principio che madre è colei che ha partorito (art. 269 c.c.), è problematico stabilire una regola del genere in via interpretativa31. Ad esito del processo che si è sommariamente descritto la filiazione sembra attingere ad una pluralità di ragioni o fondamenti: il matrimonio, la generazione, fattori psico-sociali di accoglienza che si compendiano in un “principio” di responsabilità per la procreazione. 4. L’EVOLUZIONE SUCCESSIVA . i diceva che la disciplina del disconoscimento contenuta nella riforma si basa su un principio di tendenziale corrispondenza tra verità naturale e status legale. L’evoluzione successiva ha ulteriormente sviluppato questi principi, ma ha anche posto sul terreno questioni irrisolte. La Corte costituzionale, in ripetute sentenze, ha ampliato la possibilità di accertare la “verità”, stabilendo che il termine di decadenza dall’azione non decorre dal giorno della nascita quando la conoscenza delle circostanze su cui si basa l’azione (adulterio o impotenza a generare) avvenga in epoca successiva32. S 26 C. Cossu, La filiazione, cit., pp. 379 ss. E v., per qualche suggestione, Cass. 23 febbraio 1996, n. 1444, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 78 27 M. Mantovani, I fondamenti della filiazione, in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, III. Filiazione a cura di G. Collura, L. Lenti, M. Mantovani, Giuffrè, Milano, 2002, p. 23 28 Rinvio al mio Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999, pp. 29 Corte cost. 26 settembre 1998, n. 347, in Nuova giur. civ. comm., 1999, I, p. 223, con nota di E. Palmerini. Cass. 16 marzo 1999, n. 2315, in Corr. giur, 1999, p. 429 ed ivi, a p. 401 un commento di P. Schlesinger, Inseminazione eterologa: la Cassazione esclude il disconoscimento di paternità. 30 V. I. Corti, La maternità per sostituzione, Milano, 2000, pp. 94 ss. 31 P. Zatti, Maternità e surrogazione,in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, pp. 193 ss.; M. Sesta, Norme imperative, ordine pubblico e buon costume: sono leciti gli accordi di surrogazione?, ivi, 2000, II, pp. 203 ss. 57 AIAF QUADERNO 2006/2 In senso contrario all’accertamento della verità vanno tuttavia altri orientamenti. Intanto si ritiene che in caso di azione promossa in caso di mancata coabitazione o di impotenza è necessario provare che queste circostanze si sono protratte per tutto il periodo compreso tra i 300 e i 180 giorni prima della nascita. Non è sufficiente dimostrare che esse sussistevano nel periodo effettivo del concepimento. La possibilità di accertare con un sufficiente margine di approssimazione il periodo effettivo del concepimento grazie ai nuovi strumenti diagnostici messi a disposizione dalla medicina riproduttiva non sembra aver modificato orientamenti affermatisi in un tempo in cui i mezzi a disposizione erano molto più rudimentali. 4.1. Le prove biologiche. Questi orientamenti costituiscono una spia di un problema più ampio: quello dei rapporti tra diritto e scienza che proprio in materia di accertamento della paternità si manifesta in modo particolarmente evidente. L’art. 235 c.c. per la prima volta dà ingresso esplicitamente alle prove scientifiche della filiazione contribuendo in modo decisivo ad attribuire ad esse piena dignità probatoria. L’ammissibilità di questo genere di prove ha contribuito in modo notevole, insieme ad altri fattori, a spostare l’accento sul dato biologico, sulla “verità” dei natali nell’accertamento della filiazione. L’attuale sviluppo delle conoscenze scientifiche rende oggi le prove biologiche uno strumento molto potente di accertamento della filiazione. Eppure per lungo tempo la giurisprudenza è stata molto cauta nell’ammetterle sia nel campo della filiazione naturale sia in quello della filiazione legittima. In tema di dichiarazione giudiziale di paternità abbiamo assistito ad una significativa evoluzione degli orientamenti della giurisprudenza nei confronti delle prove scientifiche. Diversi fattori vi hanno contribuito: i progressi scientifici e la “sicurezza” dei test, l’esplicito avallo del legislatore, ma anche, da parte dei giudici, un diverso atteggiamento nei confronti della scienza. La giurisprudenza italiana ormai da tempo riconosce pieno valore alle prove biologiche. Si tratta di una conquista per tappe e gradi progressivi. Fondamentale, al riguardo, è la sentenza n. 6400 del 1980 della Corte di Cassazione33. Le prove biologiche non vengono più intese come un mezzo eccezionale di prova, ma come indagini che hanno dignità probatoria pari a quella di tutti gli altri elementi di giudizio. La loro ammissibilità non risulta perciò condizionata all’impossibilità di giungere altrimenti ad un convincimento A partire dalla sentenza n. 6400 del 1980 sono ammesse le prove biologiche dirette non solo ad escludere il rapporto di paternità, ma anche ad affermarlo in positivo con altissimo grado di probabilità. Da questo momento il problema che la giurisprudenza è chiamata ad affrontare non è più quello della astratta ammissibilità di tali prove, ma della loro valutazione critica. Da questo punto di vista, è opinione ricorrente che “nel disporre gli accertamenti tecnico scientifici il giudice non è tenuto ad ammettere l’espletamento di tutte le indagini che la scienza indica come possibili, fino a che non sia raggiunto il risultato della certezza assoluta, potendo essere coperto un certo margine di incertezza da elementi di convincimento che il giudice tragga legitti32 Corte cost. n. 134/1985, n. 170/1999 33 Cass. 11 dicembre 1980, n. 6400, Giust. civ., 1981,I, 3, con nota di A. Finocchiaro, Le prove ematologiche e genetiche quale mezzo per dimostrare la paternità. E v. anche Cass. 10 gennaio 1981, n. 218, Giust. civ.,1981, I, 1055 58 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS mamente aliunde”34. La giurisprudenza ritiene indice di sufficiente certezza una percentuale superiore al 99,9% (il più delle volte 99,97%)35. Mentre non esclude il valore indiziario di percentuali inferiori al fine di integrare gli altri elementi probatori acquisti nel processo36. Quando raggiungano i livelli percentuali suggeriti dalla dottrina medicolegale, le prove ematologiche, di istocompatibilità e di tipizzazione del DNA sono perciò, anche da sole, idonee ad offrire la certezza pratica della paternità o della non paternità. Ma vi è un’altra azione in cui la diffidenza verso le prove biologiche si è manifestata, almeno fino ad ieri, ed è il disconoscimento di paternità. Questa diffidenza porta ad istituire un rapporto di pregiudizialità tra prova dell’adulterio e prove scientifiche. Queste possono essere ammesse solo una volta provato l’adulterio. Ma non possono da sole essere considerate come mezzo di prova indiretto dell’adulterio stesso. Prima ci vuole la prova storica e poi quelle scientifiche. Prima va messo in discussione il matrimonio e poi la paternità. La Corte di cassazione è ferma nel ribadire il principio. Lo ha fatto ancora di recente in una sentenza dove tuttavia ha chiarito che, una volta provato l’adulterio, il marito è ammesso a fornire tutte le prove della sua non paternità, comprese quelle biologiche. Se la moglie rifiuta di sottoporsi alla prova genetica, anche questo può essere un elemento indiziario di prova37. Un altro segnale di apertura lo troviamo in una sentenza in cui viene affrontata la questione della decorrenza del termine dell’azione. Da quando decorre il termine di decadenza? La Corte di Cassazione ha chiarito che per conoscenza dell’adulterio non si deve intendere il mero “sospetto”, occorrendo piuttosto la “prova certa” dei rapporti della moglie con altro uomo. Ma quando si raggiunge questa prova certa? con sentenza molto significativa la Corte ha stabilito che la “scoperta” dell’adulterio possa coincidere con “la data di acquisizione delle risultanze delle indagini ematologiche successivamente effettuate dalle parti”38. In tal modo, la Corte rimette in discussione il valore delle prove biologiche ed il loro rapporto con la prova dell’adulterio. Ci sono dei segnali di apertura da parte della Corte che tuttavia non mettono in discussione la regola per cui deve essere preliminarmente fornita la prova dell’adulterio. Questo orientamento della Cassazione, condiviso anche da numerosa dottrina si spiega con ragioni di tipo storico e sistematico Bisogna infatti considerare che la grande innovazione consistente nell’espresso riconoscimento da parte del legislatore del valore probatorio delle prove scientifiche è stata tuttavia calata in una disposizione, l’art. 235, che conserva, sia pur con rilevanti modifiche, il suo impianto tradizionale. In Italia, infatti, diversamente da quanto accade (ad esempio) in Francia, Spagna, Germania, dove non ci sono limiti di prova, l’azione di disconoscimento è ammissibile solo in casi determinati. La disciplina del disconoscimento nel tempo ha perduto molte delle sue rigidità grazie alla riforma ed alle sentenze della Corte costituzionale. 34 35 36 37 38 Cass. 2 febbraio 1989, n. 654, Foro it., 1989, I, 2849; Trib. min. Roma 19 febbraio 1987, Riv. it. med. leg., 1989, 705 Trib. min. Venezia 27 novembre 1986, Riv. it.med. leg.,1989,701; Trib. min. Catania 24 ottobre 1991, ivi, 1993, 735 V. Cass. 12 gennaio 1984, n. 247, Arch. giur., 1984, 628; App. Bologna 18 febbraio 1986, Dir. fam.pers.,1986, 1002 Cass. 23 aprile 2004, n. 7747 Cass. 23 aprile 2003, n. 6477, Familia, 2004, p. 896, con nota di E. Bolondi 59 AIAF QUADERNO 2006/2 L’impianto tradizionale è però immutato: non basta la prova delle non paternità ci vuole prima la prova dell’adulterio o dei celamenti. La ratio di questa disciplina - che è stata messa in evidenza dai grandi maestri del passato - è che, per agire in disconoscimento non basta mettere in discussione la verità della filiazione, occorre prima di tutto mettere in discussione il matrimonio, il fondamento della famiglia e della legittimità dei figli. Non è un caso che il giurista più sensibile ai valori della tradizione e “custode” del ruolo del matrimonio come “fondamento” della famiglia abbia subito messo in guardia contro la tendenza ad attribuire alle prove biologiche un ruolo sempre decisivo nella ricerca della paternità. Essendo infatti, nella concezione tradizionale, la legittimità del figlio legata al matrimonio, è il matrimonio prima di tutto a dover essere messo in discussione attraverso la prova di circostanze, come l’adulterio, che ne minino la sostanza39. Nella concezione tradizionale è il matrimonio il fondamento della presunzione di paternità e della legittimità del figlio: la possibilità di dimostrare scientificamente chi è il vero padre sembra invece ridurre la presunzione a semplice mezzo di prova40. L’adulterio costituisce, in questa prospettiva la prova principale. L’azione di disconoscimento presuppone sempre la prova dell’adulterio, lo spiegava molto bene Antonio Cicu41. L’adulterio costituisce il presupposto comune alle diverse ipotesi di disconoscimento contemplate dall’art. 235 c.c., in quanto anche l’impotenza e la mancata coabitazione valgono a dimostrare in via indiretta, ma in modo certo, che la moglie ha avuto il figlio da un rapporto con un altro uomo. Nella concezione tradizionale, dunque, la prova dell’adulterio è determinante in quanto vale a mettere in discussione il matrimonio stesso, inteso come fondamento della filiazione legittima. Sono proprio queste ragioni storiche e sistematiche che spiegano l’orientamento dominante. Parte della dottrina ha obiettato che le prove scientifiche possono dare indirettamente anche la prova dell’adulterio e che, dunque, l’art. 235 c.c. si presta ad una lettura evolutiva, in cui non c’è spazio per alcuna pregiudizialità della prova storica rispetto a quella scientifica42. Una significativa inversione di tendenza si deve all’ordinanza con cui la Corte di cassazione solleva la questione di legittimità costituzionale dell’art. 235 c.c.43. La diffidenza nei confronti delle prove scientifiche sembra caduta. Il dubbio sulla ragionevolezza della previsione legislativa che ai fini del disconoscimento di paternità richiede la previa prova dell’adulterio nasce proprio dalla constatazione che siamo “in presenza di un progresso scientifico che consente di ottenere direttamente (e quindi senza passare attraverso la dimostrazione dell’adulterio) una sicura esclusione della paternità... attraverso accertamenti tecnici capaci di fornire risultati la cui piena attendibilità è unanimemente riconosciuta”. D’altra parte, le trasformazioni nel mercato del lavoro e nei rapporti di coppia rendono alle volte impossibile per il marito procurarsi la prova storica dell’adulterio. Ne deriva una violazione non ragionevole del diritto di difesa (artt. 3, 24 Cost.) in quanto l’attore è privato proprio del mezzo più efficace per far valere le proprie ragioni. 39 40 41 42 43 A. Trabucchi, Presupposti e prove biologiche della filiazione, in Riv. dir. civ., 1982, p. 405 A. Trabucchi, Presupposti e prove biologiche della filiazione,cit., p. 405. A. Cicu, La filiazione, in Trattato Vassalli, Torino, 1969, p. 117 ss G. Biscontini, La filiazione legittima, cit., p. 59. Cass. (ord.) 5 giugno 2004, n. 10742, in Foro it., 2004, I, c. 2726 60 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS La Corte costituzionale44 ha ora accolto la questione. È decisiva la constatazione che, una volta resi disponibili dalla scienza strumenti sicuri di accertamento diretto della non paternità, il diritto di difesa subirebbe un vulnus ingiustificato se l’attore non potesse avvalersene. Bisogna tuttavia essere consapevoli che, in seguito a questa sentenza, il sistema, pur formalmente invariato, cambia nella sostanza e assomiglia sempre di più a quello francese o tedesco. La verità della filiazione può essere dimostrata direttamente, a prescindere dalla prova dell’adulterio. L’impianto casistico dell’art. 235 viene in buona sostanza stravolto dalla possibilità di provare direttamente la non paternità. La tecnica finisce per mettere fuori gioco le regole consegnateci dalla tradizione ed il principio su cui si reggevano: il valore decisivo del matrimonio nell’attribuzione dello status di figlio. Altri elementi concorrono a far scolorire il ruolo del matrimonio nell'attribuzione di status. La tutela dei diritti dei figli, di tutti i figli indipendentemente dalle circostanze della nascita, ha portato a quella separazione tra filiazione e matrimonio che, sul versante della filiazione naturale, significa piena parità di diritti. Sul versante della filiazione legittima questo significa che il matrimonio non può più giustificare l'attribuzione di uno status falso, che non appartiene. Non può rendere padre chi non lo è. Il passaggio da un'azione di disconoscimento basata su ipotesi tipiche, che mettono in discussione il matrimonio, prima ancora della paternità, ad una basata su una sostanziale libertà di prova inevitabilmente si colloca nel solco di questa linea evolutiva. 44 Corte cost. 6 luglio 2006, n. 266 61 AIAF 62 QUADERNO 2006/2 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS S e l'unificazione di status, a livello di rapporto, deve necessariamente esistere perché non ci sia discriminazione tra figli legittimi e figli naturali, il momento costitutivo dello status di filiazione è necessariamente diverso. Per la filiazione legittima coincide con la nascita in costanza di matrimonio e le presunzioni che l'ordinamento prevede, per la filiazione naturale lo status si acquisisce con l'atto di riconoscimento, con tutte le questioni e le problematiche che sono state valutate negli interventi dei vari relatori che mi hanno preceduto. Diverge allora la disciplina della non corrispondenza al vero, rilevando in un caso quello che si presume in base ad una presunzione di paternità, e dall'altro invece quello che viene dichiarato e attestato con un riconoscimento. Per far accertare e dichiarare la mancanza di un rapporto effettivo biologico di filiazione, nel caso di filiazione legittima si deve esperire l'azione di disconoscimento di paternità, nel caso di filiazione naturale si deve proporre un'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, ai sensi dell' art. 263 c.c. . L'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263 c.c. può essere proposta dall'autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse. L'azione è imprescrittibile ed è ammessa anche a seguito della legittimazione del figlio. Ecco dunque le differenze. Risulta evidente che mentre il disconoscimento di paternità, sotto il profilo della legittimazione, è un'azione chiusa, essendo ammessi a proporre l'azione solo i genitori e il figlio stesso, l'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità riconosce una legittimazione attiva più ampia, che spetta sia a chi ha fatto il riconoscimento, a chi lo ha subito, e a chiunque altro vi abbia interesse. Altra sostanziale differenza tra le due azioni, riguarda l'assenza di termini di prescrizione o di decadenza per proporre l'azione di impugnazione per difetto di veridicità, mentre nel disconoscimento di paternità è previsto un termine di decadenza stretto, sintomo di quel favor legittimitatis, che ispira l'ordinamento, per cui l'azione deve essere promossa entro termini brevi, altrimenti il figlio mantiene quello status che gli è stato attribuito anche se non corrispondente al vero. Diversa invece è la situazione per quanto riguarda la filiazione naturale, dove c'è una predominanza del favor veritatis. La Corte costituzionale, con sentenza 6.5.1985 n. 134 ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 cod. civ, sollevata in riferimento all'art. 30, comma terzo, Cost., riguardante l'impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità, nella parte in cui non prescrive termini brevi di decadenza per l'esercizio dell'azione e nella parte in cui sancisce l'imprescrittibilità della stessa, poiché, a prescindere dalla difficoltà di stabilire un razionale "dies a quo" per il termine invocato, solo il legislatore, potrebbe stabilire la durata del termine da sostituire all'imprescrittibilità disposta dall'articolo impugnato. L’IMPUGNAZIONE DEL RICONOSCIMENTO PER DIFETTO DI VERIDICITÀ ALBERTO FIGONE AVVOCATO IN GENOVA DIRETTIVO NAZIONALE AIAF 63 AIAF QUADERNO 2006/2 Anche la Corte di Cassazione, recentemente, con sentenza 15.4.2005 n. 7924, ha ritenuto manifestamente infondata la questione, che era stata riproposta, dell'incostituzionalità dell'art. 263 c.c. per mancanza di termini di prescrizione e decadenza, in quanto trattasi di questione che compete al legislatore. Ulteriore differenza tra le due azioni riguarda la possibilità di proporre l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità anche dopo la legittimazione del figlio. Sulla questione si è pronunciata la Corte costituzionale con sentenza 30.12.1987 n. 625, dichiarando non fondata la questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 29 e 30 Cost. - dell'art. 263, secondo comma, cod.civ., nella parte in cui ammette l'impugnativa del riconoscimento, senza limiti di tempo anche dopo l'avvenuta legittimazione, da parte di chiunque vi abbia interesse, in considerazione del favor per l'accertamento della verità biologica della filiazione. Questo orientamento è stato confermato più volte dalla Consulta, che ha ribadito (con le pronunce 158/1991 e 112/1997) che l'attribuzione della legittimazione ad agire anche all'autore in mala fede del falso riconoscimento e la imprescrittibilità dell'azione dimostrano come il legislatore abbia voluto privilegiare il favor veritatis, in funzione di un'imprescindibile esigenza di certezza dei rapporti di filiazione. La Corte di Cassazione, uniformandosi a questo orientamento con la già richiamata sentenza 15.4.2005 n. 7924, ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263, secondo comma, cod. civ., nella parte in cui prevede che l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità anche dopo la legittimazione del figlio può essere proposta da chiunque vi abbia interesse, per l'ingiustificata disparità di trattamento (art. 3 Cost.) rispetto alla diversa regolamentazione del disconoscimento della paternità del figlio legittimo (art. 244 cod. civ.). La Suprema Corte ha ribadito che le posizioni giuridiche di figlio legittimo e di figlio legittimato, pur se fanno sorgere gli stessi diritti, traggono origine da situazioni diverse, e cioè, nel primo caso, dalla presunzione di paternità del marito (art. 231 cod. civ.) e, nel secondo, da una dichiarazione del soggetto che ha effettuato il riconoscimento, i cui effetti sono legati alla sua corrispondenza al vero, il che rende ammissibile l'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità anche dopo la legittimazione. Pertanto se lo status del figlio legittimato, sotto il profilo del rapporto di filiazione che si instaura, è identico a quello del figlio legittimo, l'atto costitutivo della filiazione è diverso perché non si fonda sulla presunzione della paternità, bensì su un atto volontaristico che è il riconoscimento, cui consegue con il matrimonio o il provvedimento del giudice un'attribuzione premiale di effetti. La diversità dell'atto costitutivo dello status di figlio legittimato rispetto a quello di figlio legittimo giustifica dunque la norma che prevede la possibilità di esperire l'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità anche dopo la legittimazione. Con la stessa pronuncia, la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 263 cod. civ., nella parte in cui non prevede che l'impugnazione per difetto di veridicità del riconoscimento del figlio minorenne legittimato possa essere accolta solo previa valutazione dell'interesse del minore, per contrasto con i principi di particolare tutela e protezione riservata ai minori ricavabili dagli artt. 2, 3, 30 e 31 Cost.. Sulla necessità o meno di tenere conto dell'interesse del minore, nella fattispecie 64 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS in esame, si è pronunciata anche la Corte Costituzionale (n. 112 del 22.4.1997) che nel dichiarare non fondata la questione di costituzionale dell'art. 263 del codice civile, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 30 e 31 della Costituzione, ha ribadito che la finalità della norma è quella di dare attuazione al diritto del minore all'acquisizione di uno stato corrispondente alla realtà biologica, e non si può contrapporre al favor veritatis il favor minoris, dal momento che la falsità del riconoscimento lede il diritto del minore alla propria identità. L'azione è quindi proponibile senza limite di tempo, e preclusioni. Sotto il profilo dell'interesse all'azione, potrà essere di natura morale e patrimoniale, potendo, ad esempio il giudizio essere promosso da soggetti privati che sono lesi sotto il profilo patrimoniale da quel riconoscimento. Il pm non è legittimato all'azione, e non può agire direttamente, ma può nominare un curatore speciale che lo rappresenti nell'azione privata. L'azione è proposta nei confronti del soggetto attivo e passivo del riconoscimento, e quindi, se l'attore non è l'autore del falso riconoscimento, gli unici soggetti passivi saranno chi ha fatto il riconoscimento e il figlio riconosciuto L'altro genitore che ha consentito il riconoscimento non è parte in causa, principio che discende dall'art. 266 c.c., per cui gli effetti si verificano solo nei confronti del genitore da cui fu fatto il riconoscimento. Il genitore, se riterrà di agire, dovrà chiedere al presidente del tribunale ordinario, competente nel merito, di nominare un curatore speciale che rappresenti in giudizio il figlio minore. Durante la minora età (ai sensi dell'art. 264 c.c. ) chi è stato riconosciuto o è privo della capacità legale non può impugnare il riconoscimento; tuttavia il giudice, in camera di consiglio, su istanza del pm, o del tutore, o dell'altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio, o del figlio stesso che abbia compiuto i sedici anni, può dare l'autorizzazione per impugnare il riconoscimento, nominando un curatore speciale. Per quanto riguarda gli aspetti probatori, vi richiamo quanto già esposto dalla Prof. Ferrando in relazione all'azione di disconoscimento di paternità, essendo analoghe le questioni. Gli effetti della sentenza sono quelli di eliminare il vincolo di filiazione perché non risponde al vero. Alla base del riconoscimento c'è una corrispondenza dell'atto alla verità biologica, e se questa non esiste viene meno lo status di figlio. Non necessariamente all'accoglimento della domanda deve conseguire il mutamento del cognome (in tal senso Trib. di Palermo, in un caso riferito ad una persona maggiorenne, il cui padre aveva fatto il falso riconoscimento) se il cognome che il figlio ha acquisito dal genitore che lo ha riconosciuto con falsa dichiarazione, sia nel frattempo divenuto elemento connotativo della sua identità personale (secondo l'orientamento giurisprudenziale consolidatosi in epoca recente). Sotto il profilo penale, va ricordato che chi riconosce un figlio sapendo di non esserne il padre (è tipica la casistica dell'uomo che riconosce il figlio che la compagna ha avuto da precedente relazione con altro uomo) non pone in essere il reato di alterazione di status, perché il figlio ha già uno status di figlio naturale, bensì commette il reato di falsa dichiarazione all'ufficiale di stato civile previsto e punito dall'art. 495 c.p.. Si deve anche ricordare l'art. 74 legge adozione n. 184/1983, norma concepita per scoraggiare le elusioni alla normativa in tema di adozione, che fa obbligo all'ufficiale dello stato civile di trasmettere al competente tribunale per i mino65 AIAF QUADERNO 2006/2 renni la comunicazione dell'avvenuto riconoscimento da parte di una persona coniugata di un figlio naturale non riconosciuto dall'altro coniuge e dalla madre. In tale caso il tribunale per i minorenni dispone l'esecuzione di indagini per accertare la verità o meno del riconoscimento, e quando vi sono fondati motivi per ritenere che ricorranno gli estremi dell'impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, il tm procede d'ufficio, sentito il pm, a nominare un curatore speciale per dare inizio al procedimento avanti il tribunale ordinario. Un'ultima riflessione riguarda la sussistenza e valutazione del danno subito dal figlio a causa del comportamento dell'autore del falso riconoscimento del genitore che lo ha consentito. Il Tribunale di Torino ha tempo fa accolto una domanda del curatore speciale volta ad ottenere un risarcimento dei danni a favore del minore che era stato falsamente riconosciuto da parte di un padre che ben sapeva di non averlo generato. In quella sentenza, richiamandosi all'art. 495 c.p., il tribunale afferma che se il comportamento del padre assume una valenza penale, a prescindere dall'accertamento in concreto della responsabilità penale, si può procedere ad una valutazione incidenter tantum. In una visione tradizionale di risarcimento del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., che lo legittima solo nei casi previsti dalla legge quando c'è reato, il tribunale di Torino ha ritenuto sussistere a livello incidentale il reato ex art. 495 c.p., e ha conseguentemente riconosciuto al minore il danno morale ed esistenziale. Nel caso in esame, seguendo l'orientamento della Cassazione, di apertura sul danno non patrimoniale, con la nuova interpretazione dell'art. 259 c.c. in relazione all'art. 2 Cost., si può anche sostenere l'ammissibilità del risarcimento del danno non patrimoniale non solo sul presupposto della sussistenza di una fattispecie penalmente rilevante ex art. 495 c.p., ma anche sul presupposto di una lesione dei fondamentali diritti della persona, quale l'attribuzione di uno status ad un figlio, che gli viene poi revocato perché il genitore esercita l'azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. Vedremo in futuro se il legislatore vorrà intervenire anche per disciplinare questo aspetto e le evoluzioni della normativa al riguardo. 66 LA LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS CORNICE NORMATIVA E L’ INTERPRETAZIONE GIURISPRUDENZIALE N ella maggior parte dei casi le azioni di stato riguardano minorenni e dunque l’annosa e mai risolta questione della rappresentanza di tali soggetti, incapaci di agire e tradizionalmente quindi privi della capacità di far valere i propri diritti in giudizio, si pone con particolare pregnanza. Verifichiamo subito che proprio in riferimento a questa categoria di azioni il codice civile prevede una normativa tassativa e tipica, da considerare speciale rispetto a quella applicabile al conflitto di interessi anche non patrimoniale tra minore e genitore esercente la potestà che dovesse emergere in sede processuale (artt. 78, 79 e 80 c.c.). Mi riferisco alle azioni di disconoscimento di paternità, impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità, dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, legittimazione di figlio naturale. L’azione ex art. 250 c.c. per il riconoscimento tardivo non rientra fra i casi tipici di nomina del curatore alla quale si giunge frequentemente per altra via, come dirò fra poco esaminando singolarmente ognuna delle ipotesi appena ricordate. IL CURATORE DEL MINORE NELLE AZIONI DI STATO Per l’azione di disconoscimento di paternità l’art. 244 c.c. prevede al 4° comma che la stessa possa essere proposta anche da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minorenne che abbia compiuto sedici anni, oltre che dal pubblico ministero, quando si tratti di minore di età inferiore. La sentenza 27/11/91 n. 429, interpretativa di rigetto, con la quale la Corte Costituzionale ha rigettato la questione di legittimità di tale articolo ha evidenziato nella sua motivazione la differenza tra le due previsioni, pure racchiuse in una formula unitaria che non impedisce però all’interprete di cogliere la peculiarità di ciascuna. Per l’infrasedicenne la ricerca della paternità non è ammessa, pur quando concorrano specifiche circostanze che la fanno apparire giustificata, ove risulti un interesse del minore contrario alla privazione dello stato di figlio legittimo o all’assunzione dello stato di figlio naturale. In questo caso la decisione deve essere lasciata allo stesso figlio quando avrà compiuto sedici anni perché, raggiunta questa età, la legge reputa che il minore abbia una maturità sufficiente per valutare autonomamente l’opportunità di esercizio dell’azione. Tanto ciò è vero che il giudice, se investito della questione della nomina del curatore speciale in questo ultimo caso, dovrà limitarsi a valutare il fumus boni iuris circa l’esistenza dei presupposti di fatto ai quali l’azione è subordinata ai sensi dell’art. 235 c.c., non anche l’opportunità dell’esercizio dell’azione sotto il profilo dell’interesse del minore. Per quanto poi riguarda la legittimazione passiva l’art. 247 c.c. prevede al 2° CARLA MARCUCCI AVVOCATO IN LUCCA, DIRETTIVO NAZIONALE AIAF 67 AIAF QUADERNO 2006/2 comma che, se una delle parti è minore o interdetta, l’azione di disconoscimento sia proposta in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. Nel caso si tratti di minore emancipato o di maggiore inabilitato l’azione dovrà essere proposta direttamente contro tale parte la quale dovrà essere assistita però da un curatore parimenti nominato dal giudice. Il curatore dovrà essere nominato anche nell’ipotesi di morte degli eredi di uno dei legittimati passivi (art. 247 4° comma c.c.). In riferimento poi all’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità l’art. 264 c.c. prevede al 2° comma una deroga al principio affermato al primo comma consistente nel divieto per il minore di impugnare il riconoscimento. Viene infatti espressamente previsto che il giudice, su istanza del pubblico ministero o del tutore o dell’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio o del figlio che abbia compiuto sedici anni, possa dare l’autorizzazione per impugnare il riconoscimento nominando all’uopo un curatore speciale. Per quanto riguarda la legittimazione passiva in ordine a questa azione trova applicazione, in mancanza della deduzione di una concreta situazione di conflitto di interessi, la regola secondo cui il genitore esercente la potestà è legittimato, nell’interesse del figlio minore, a resistere al giudizio da altri intentato. La Corte di Cassazione ha infatti affermato in argomento che il conflitto di interessi nel rapporto processuale tra genitore esercente la potestà e figlio è ipotizzabile soltanto allorché i due interessi siano nel caso concreto incompatibili tra loro nel senso che l’interesse del rappresentante, rispetto all’atto da compiere, non si concili con quello del rappresentato. La Corte ha altresì specificato che l’esistenza di una situazione siffatta non è normativamente presunta nel caso dell’azione di impugnazione del riconoscimento per difetto di legittimità la quale non rientra tra le ipotesi, tassativamente indicate dal legislatore, nelle quali il giudizio deve essere proposto, in rappresentanza del minore, nei confronti del curatore speciale nominato al riguardo dal giudice (Cass. 13.04.01 n. 5533). Per quanto riguarda l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità l’art. 273 c.c. prevede al 1° comma che, quando essa è promossa nell’interesse del minore dal tutore, quest’ultimo debba chiedere l’autorizzazione del giudice il quale può anche nominare un curatore speciale. Tale previsione non riguarda invece il caso di azione promossa dal genitore esercente la potestà il quale non deve chiedere alcuna autorizzazione né è affiancato o sostituito, almeno tout court, dal curatore. La questione di legittimità costituzionale sollevata al proposito è stata ritenuta manifestamente infondata nella considerazione che l’interesse del minore risulta adeguatamente protetto, nel caso di promovimento dell’azione da parte del genitore, attraverso la verifica della sua rispondenza a quell’interesse demandata al tribunale per i minorenni ed anche in considerazione della qualità soggettiva del rappresentante e della sua natura di sostituto processuale (Cass. 29.09.1999 n. 10786). La Corte di Cassazione ha espressamente affermato che la nomina del curatore speciale nella fattispecie tutela la posizione dell’incapace da possibili conflitti di interessi con colui che ha proposto l’azione ma non determina un’ulteriore legittimazione attiva, concorrente od escludente rispetto a quella del genitore o del tutore (così Cass. 02.03.1993, n. 2576). Ed infatti la Corte ritiene impossibile una diversa interpretazione dato il caratte68 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS re tassativo della elencazione dei soggetti cui è conferito il potere di sostituire l’incapace fra i quali vi è il curatore speciale nominato ex art. 274 c.c. Prima della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 274 c.c. nella parte in cui esso prevedeva una preliminare delibazione di ammissibilità dell’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale (Corte Cost. 10.02.06 n. 50) era previsto al suo ultimo comma che il Tribunale, anche prima di ammettere l’azione, potesse nominare un curatore speciale del minore che lo rappresentasse in giudizio. In argomento la Corte di Cassazione ha avuto occasione di affermare che una volta nominato il curatore non può che essere parte necessaria in ogni fase e grado del giudizio medesimo, di ammissibilità e/o di merito, successivi alla sua nomina, rimanendo altrimenti frustato lo scopo della norma che tale nomina prevede (Cass. 04.05.1995 n. 4857). Sempre relativamente all’azione ex art. 276 c.c. mi pare interessante ricordare la sentenza della Cassazione resa a Sezioni Unite il 03.11.05 n. 21287. Con questa decisione la Corte ha risolto il dubbio interpretativo affermando, con riferimento all’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, che legittimati passivi sono, in caso di decesso del preteso genitore, esclusivamente i suoi eredi e non anche gli eredi di questi ultimi, cui è riconosciuta la sola facoltà di intervenire in giudizio a tutela dei propri interessi. La Corte, nell’iter argomentativo, manifesta la consapevolezza del fatto che l’improponibilità della domanda, in caso di intervenuto decesso sia del preteso genitore che dei suoi eredi, collide con le esigenze di tutela all’accertamento del rapporto di filiazione. La Corte auspica dunque che la disciplina sia integrata stabilendosi che in simile ipotesi l’azione possa essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice, analogamente a quanto già previsto dall’ultimo comma dell’art. 247 c.c. ai fini della proponibilità dell’azione di disconoscimento della paternità, nella parallela ipotesi di già intervenuta morte del presunto padre e di mancanza dei litisconsorti necessari indicati al primo comma della norma. Un tale risultato, secondo la Corte di Cassazione, non potrebbe essere raggiunto per via interpretativa ma solo a seguito dell’auspicato intervento legislativo o di una pronuncia additiva della Corte Costituzionale. L’art. 284 c.c. prevede al n. 4 quale condizione perché possa ottenersi giudizialmente la legittimazione di figlio naturale che vi sia il consenso del sedicenne o dell’altro genitore o del curatore speciale, se il figlio è minore degli anni sedici, salvo che il figlio sia già riconosciuto. Come anticipato, l’art. 250 c.c. non prevede, né come obbligo né come facoltà, la nomina del curatore speciale del minore nel giudizio intrapreso dal genitore che voglia tardivamente riconoscere il figlio nonostante il difetto di consenso del genitore che per primo vi ha provveduto. Ossia tale azione non rientra fra le previsioni tassative e tipiche di nomina del curatore prima esaminate. Tuttavia usualmente il Tribunale per i minorenni nell’ambito dei giudizi ex art. 250 c.c. provvede alla nomina del curatore speciale contestualmente alla fissazione della comparizione delle parti dinanzi al collegio e ciò fa ai sensi degli artt. 78, 79 e 80 c.p.c., ossia sul presupposto che vi sia conflitto di interessi tra il minore ed il genitore che ne avrebbe fisiologicamente la rappresentanza legale. Tali ultime norme trovano applicazione in via generale tutte le volte che in sede 69 AIAF QUADERNO 2006/2 processuale si ravvisi un conflitto di interessi tra l’incapace ed il suo rappresentante legale. Tornerò su questo punto nel proseguo salvo osservare subito che la Corte di Cassazione ha affermato che nel procedimento ex art. 250 c.c. il minore infrasedicenne non assume la qualità di parte divenendo tale solamente all’esito della nomina del curatore speciale ai sensi dell’art. 78 comma 2 c.p.c. determinandosi in tal caso una sorta di intervento “iussu iudicis” del minore stesso a mezzo del suddetto curatore (Cass. 04.08.04 n. 14934). È stato anche affermato che la mancata previsione della necessità di tale nomina non si pone in contrasto con gli artt. 3, 31 e 111 Cost. “atteso che il minore risulta adeguatamente protetto dalla verifica che il tribunale per i minorenni è chiamato a compiere circa l’effettiva rispondenza all’interesse del minore medesimo del secondo riconoscimento” (Cass. 10.05.01 n. 6470). IL I RUOLO DEL CURATORE SPECIALE DEL MINORENNE NELLE AZIONI DI STATO l ruolo del curatore speciale in tutti i casi analizzati è quello di rappresentare in giudizio gli interessi della persona minorenne in base ad una valutazione che egli deve effettuare in modo del tutto autonomo dalla autorità giudiziaria che lo ha nominato per rivestire tale ruolo. L’affermazione pare ovvia ma nella pratica il principio sostenuto non è affatto scontato visto che, soprattutto in passato, molti curatori si sono adeguati - o meglio appiattiti - alle aspettative dell’autorità giudiziaria, aspettative basate più su “pregiudizi” che non sulla valutazione concreta, caso per caso, di quale fosse il miglior interesse del bambino e se esso si collocasse più nella sfera del favor veritatis piuttosto che in quella del favor legitimitatis. La questione non è di poco conto se solo si pensi che può porsi il caso del curatore che, nominato per promuovere un’azione di stato come ad esempio quella per il disconoscimento di paternità, valuti che il risultato con essa perseguito non sia conforme all’interesse del suo rappresentato. Si consideri che il presidente del tribunale, prima di provvedere alla nomina del curatore, dovrebbe aver già quanto meno delibato in ordine all’interesse del minore ma a mio parere la valutazione di un tale interesse del minore ad agire non può mai essere considerata assorbita dalla nomina stessa. Il curatore speciale, proprio per il suo ruolo, deve rimanere libero di non dare corso all’azione per il quale è stato nominato poiché in tale nomina deve essere sempre compresa, in via preliminare, la valutazione della opportunità dell’azione in relazione all’interesse specifico e concreto del rappresentato. Una simile posizione del rappresentante del minore, di completa e sostanziale autonomia dal giudice, contribuisce senz’altro a garantire una corrispondente posizione di effettiva terzietà del giudice, evitando così di assegnare all’organo giudicante il ruolo, improprio ed anzi contrario ai principi di diritto-, di “paladino” del minore.1 CURATORE SPECIALE O AVVOCATO DEL MINORE?2 i pone però senz’altro anche un ulteriore problema, questa volta relativo al rapporto del curatore speciale con il minorenne rappresentato anziché con il S 1 2 In questo senso anche Danovi F., Le azioni in materia di filiazione e i principi generali del processo in Dir. Famiglia 2004, 1, 153 Questa parte di relazione è tratta dall’articolo Marcucci C., L’Avvocato del minore Il dilemma dell’avvocato del minore nell’esperienza italiana in MinoriGiustizia n.1/2006 Franco Angeli Editore 70 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS giudice dal quale il primo è stato nominato. Se il curatore è colui che deve rappresentare al meglio gli interessi del rappresentato “incapace” ci si chiede infatti se tale soggetto sia il più adatto, per tutti i minorenni coinvolti in azioni di stato che tale figura prevedano, o se, almeno in alcuni casi, non sarebbe più giusta una rappresentanza di tipo diverso, maggiormente vincolata a rappresentare e perseguire i desideri e la volontà del rappresentato. In sostanza dobbiamo chiederci se non sarebbe opportuno prevedere anche per i giudizi aventi ad oggetto azioni di stato la rappresentanza del soggetto minorenne da parte dell’avvocato piuttosto che del curatore speciale o, ancora, se non dovremmo privilegiare l’una o l’altra figura, a seconda delle necessità e delle caratteristiche del caso concreto, soprattutto in funzione del grado di (in)capacità del minorenne. La questione si colloca nel dibattito sviluppatosi a seguito dell’introduzione in Italia dell’ “avvocato del minore” ad opera della legge 28 marzo 2001, n. 149, fondamentalmente incentrato sulla questione se, con la previsione della nuova figura, per i procedimenti che da tale legge sono (o meglio dovrebbero essere) oggi essere regolati, sopravviva o meno anche quella del curatore speciale del minore e, in ipotesi di risposta positiva, quali siano le differenze di ruoli ed i rispettivi campi di operatività dei due soggetti. Se è vero che la tipologia di giudizi che ci impegna in queste giornate di convegno non é toccata dalla legge 149 è altrettanto vero che il problema accennato si pone anche in riferimento ad essa, basti considerare che proprio le azioni di stato sono la categoria di procedimenti che sono esplicitamente compresi nell’ambito di operatività della Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli nella riduttiva operazione di ratifica effettuata dall’ordinamento italiano con legge 20.03.03 n. 77. Poiché la Convenzione di Strasburgo ha anche maggior respiro della non ancora del tutto operativa legge 149 il problema della effettività della rappresentanza del minorenne nelle azioni di stato si pone con pari se non come maggiore forza che nei procedimenti de potestate e di adottabilità. Il problema è stato affrontato soprattutto dall’avvocatura, impegnata a formarsi per questo nuovo ruolo di avvocato del minore ed interessata a capire a fondo le nuove, complesse, funzioni che il legislatore, incurante e distratto circa le conseguenze che sarebbero derivate dall’introduzione di una figura tanto importante, le ha attribuito. Nell’ambito di questo dibattito c’è chi ha sostenuto che le due figure non si sovrappongono, limitandosi l’attività dell’avvocato alla mera difesa tecnica e mai estendendosi a scelte di carattere esistenziale, che dovrebbero rimanere attribuite al soggetto direttamente interessato, o al suo sostituto sostanziale in caso di incapacità. Da ciò conseguirebbe la necessaria coesistenza delle due figure. In questa ottica il curatore speciale deciderà il bene da tutelare in giudizio nell’interesse del minore e l’avvocato porrà in atto le scelte difensive più opportune per il raggiungimento di tale obiettivo, e ciò farà quale difensore nominato dal curatore speciale. Sempre secondo questa tesi il curatore speciale, se nominato fra gli avvocati, come è stato fino ad ora, potrà stare in giudizio senza avvalersi del patrocinio legale di altri, riunendo così in se stesso il doppio ruolo di curatore speciale e di difensore.3 3 Ruo M.G., La rappresentanza del minore: il curatore speciale. Relazione presentata al Convegno dal titolo La parola ai bambini – La presenza dei bambini nei procedimenti giudiziari organizzato da Unicef a Firenze il 29.04.2004 71 AIAF QUADERNO 2006/2 C’è chi, al contrario, ha sostenuto che, con l’introduzione nel nostro ordinamento della figura dell’avvocato del minore, non vi sarebbe più spazio per la figura del curatore speciale poiché il difensore svolge il ruolo fondamentale di garante, prima ancora che di rappresentante processuale, del minore, a differenza del curatore speciale che svolge solo compiti di rappresentanza del minore in funzione sostitutiva dei genitori in conflitto di interessi.4 Mi sembra che entrambe le tesi pongano il problema che ci occupa solo per l’aspetto che riguarda, per così dire, il versante esterno, lasciando inesplorato quello interno, relativo al rapporto rappresentato/rappresentante. Affrontare più approfonditamente il problema da quest’ultimo punto di vista può anche aiutare ad individuare elementi utili al fine di risolvere la questione oggetto di dibattito. In qualche misura, e per motivi opposti, entrambe le interpretazioni sminuiscono di fatto moltissimo la portata innovativa dell’introduzione della figura dell’avvocato del minore (se dalla previsione cartacea riusciremo mai a concretizzare tale figura nelle aule di giustizia!). Mi chiedo, infatti, che cosa resterebbe dell’avvocato del minore se, da un lato, tale avvocato fosse confuso con l’avvocato del curatore speciale, e, dall’altro lato, se l’avvocato del minore, liberatosi di questo filtro intermedio, dovesse poi riunire in sé due funzioni, innegabilmente molto diverse, quali quella tradizionalmente assegnata al curatore speciale e quella tipica del difensore. Detto in altri termini, che differenza vi sarà in pratica se in un caso le scelte esistenziali di un ragazzino verranno decise dal suo curatore speciale che a sua volta le farà valere in giudizio attraverso la difesa tecnica di un difensore (sempre che lo stesso curatore non sia egli stesso avvocato) e se, nell’altro caso, le stesse scelte verranno effettuate dall’avvocato di quel ragazzino, che prima le decide e poi le sostiene anche in giudizio? C’è da chiedersi che ne rimane di quel ragazzino o, meglio, cosa ne giunge al giudice? Quando le convenzioni internazionali sostengono il diritto dei soggetti minorenni a partecipare ai giudizi che li riguardano lo fanno ad un fine ben preciso, ossia quello di dar modo ai “fanciulli” di esercitare i loro diritti, primo fra tutti quello di esprimere la loro opinione, dopo aver ricevuto adeguata informazione, perché di essa possa essere tenuto conto. In riferimento ai procedimenti de protestate e a quelli per la dichiarazione di adottabilità mi pare che anche l’intento del legislatore del 2001 non sia stato quello di aggiungere al processo un’ulteriore soggetto, che faccia le veci del genitore, ancora non dichiarato decaduto né in altro modo limitato nella potestà, ma semmai quello di adeguarsi, nel momento in cui rimetteva mano alla legge sull’adozione, ai più moderni principi. Il senso di quella riforma come dei principi informatori della Convenzione di Strasburgo ormai applicabile alle azioni di stato richiamate nello strumento di ratifica dovrebbe dunque essere quello di dare voce al minorenne, rendendolo persona concreta, soggetto di diritti, all’interno del processo, perché possa “svelarsi” meglio al giudice che dovrà adottare i provvedimenti nel suo interesse e perché il medesimo possa sentirsi parte del lavoro che viene svolto intorno a lui e per lui e non mero oggetto che subisce totalmente le decisioni altrui. 4 Dosi G.,L’avvocato del minore nei procedimenti civili e penali, Giappichelli, Torino, 2005 72 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS Se questo è il senso delle norme appena citate allora la novità deve essere rintracciata proprio nell’avere munito il minorenne di un proprio difensore, che rappresenti in giudizio la posizione del rappresentato, almeno quando questo è possibile, ossia ogni qualvolta quest’ultimo sia in condizioni di apportare un qualche contributo per orientare il giudice alla decisione più conforme al suo interesse. Del resto il difensore è vincolato, per la natura stessa dell’attività di rappresentanza che svolge, al cd. mandato difensivo e non può certo scegliere il bene della vita, che costituisce l’obiettivo del giudizio, che solo il cliente può porre. Al difensore restano le scelte di carattere tecnico, anche se affermando ciò non voglio certo sminuire il fondamentale ruolo, soprattutto nel diritto di famiglia e minorile, del consiglio del professionista per indirizzare il cliente verso scelte ritenute più conformi agli interessi prioritari. Poiché, sia pure con uno sforzo di ottimismo, dobbiamo ritenere che il legislatore, quando appresta una riforma, sia consapevole delle parole che usa e delle conseguenze che dalla loro scelta derivano, non possiamo non attribuire una giusta valutazione all’adozione del termine “avvocato” riferito all’assistenza e alla rappresentanza del minore. Se l’intento del legislatore fosse stato diverso da quello qui sostenuto ben avrebbe anche potuto limitarsi ad introdurre come necessaria la presenza del curatore del minore sin dall’apertura del procedimento di adottabilità e prevedere anche per questo, come per i genitori, la necessaria difesa tecnica, con nomina d’ufficio del difensore in caso di inerzia. La scelta è stata diversa e ben più dirompente – in linea con l’elaborazione dottrinale, giurisprudenziale (si pensi solo alla sentenza n. 1 del 2002 della Corte Costituzionale) e con le indicazioni delle convenzioni internazionali - e non mi pare corretto interpretare il testo riformato omettendo di coglierne la portata più innovativa. E allora, se questo professionista, come è scritto, deve essere l’avvocato del minore, non può essere l’avvocato del curatore del minore! Questa opzione però non ci offre ancora la risposta definitiva alla domanda se, di conseguenza, il curatore speciale venga veramente spazzato via dalle aule giudiziarie, almeno per i procedimenti nei quali è prevista la nuova figura dell’avvocato del minore. Perché è proprio dall’attribuire all’avvocato della persona minorenne una valenza conforme, da un lato al ruolo difensivo, dall’altro allo spirito del tempo che ha fatto approdare alla riforma contenuta nella legge 149 e alla ratifica della Convenzione di Strasburgo sia pure nei riduttivi limiti evidenziati, che ci potremmo trovare di fronte a casi che ripropongono la necessità di un soggetto, comunque lo si chiami, con funzioni analoghe a quelle del curatore speciale, certo diverse, per obiettivi e mezzi, a quelle proprie dell’ “avvocato del minore”. Ed infatti potrà accadere che l’avvocato non sia assolutamente in grado di rappresentare una qualsiasi posizione del minorenne assistito a causa della totale incapacità di quest’ultimo di contribuire alla sua rappresentanza. Pensiamo, ad esempio, al caso della rappresentanza di un neonato, molto frequente proprio nelle azioni di stato. Cosa dovrebbe fare in un caso del genere l’avvocato di quel bambino? È evidente che non potrebbe farsi portavoce di desideri, aspirazioni, inclinazioni del suo assistito e sarebbe assai contrario al ruolo tradizionale di un difensore puro il comportamento dell’avvocato che sulla base dei propri desideri, aspi73 AIAF QUADERNO 2006/2 razioni ed inclinazioni su quel bambino confezionasse le domande da svolgere in giudizio. Potremmo ipotizzare che nel caso prospettato l’avvocato del minore dovrà limitarsi a contribuire al corretto svolgimento del processo, cercando di portare elementi al giudice per pervenire alla migliore soluzione possibile, senza svolgere alcuna domanda. Potremmo altrimenti sostenere che in tale caso l’avvocato dovrà svolgere domande nell’interesse del minore rappresentato sulla base di criteri depurati il più possibile da valutazioni soggettive. Ma sappiamo tutti che questo è compito davvero arduo. Potremmo infine ipotizzare che in un caso del genere continui ad essere necessaria un’interfaccia, ossia quel curatore speciale che si farà carico delle scelte esistenziali che poi un avvocato – del curatore speciale in questo caso, non del neonato – sosterrà in giudizio. Se poi il termine di curatore speciale proprio non ci piace, perché si pensa che usare un vecchio nome con attribuzioni in parte nuove sia fonte di confusione, potremmo dare a tale soggetto un altro nome. Il concetto che dovrebbe essere chiaro è che in questo caso questo professionista – che ben potrà essere comunque un avvocato - è altro rispetto all’avvocato del minore e svolge tutt’altra attività. Ma, prima ancora di porsi il problema se nella fattispecie sia opportuna la nomina dell’uno o dell’altro soggetto, dovrebbe, a mio parere, essere valutato, caso per caso, se realmente si ponga un conflitto di interessi tra il minorenne ed entrambi i suoi genitori, i primi ed i soli ad avere il diritto/dovere di rappresentare gli interessi del figlio ed esercitare i suoi diritti nelle situazioni in cui tale conflitto non si ravvisi. Rappresenterebbe soltanto un indebito ed invasivo controllo sulla famiglia attraverso la prole ritenere che il genitore, che adisce l’autorità giudiziaria proprio a tutela del figlio perda automaticamente ogni rappresentanza di quel bambino in ragione di una potenziale situazione di conflitto di interessi.. Un problema analogo a quello posto per il minorenne non capace di discernimento potrebbe porsi, anche se per ragioni opposte, nell’ipotesi in cui il rappresentato minorenne non fosse incapace di esprimere una propria idea all’avvocato circa le domande da sostenere in giudizio ma, anzi, avesse una posizione molto chiara, in netto contrasto con quella dell’avvocato, circa il suo miglior interesse. Come dovrebbe comportarsi l’avvocato in giudizio se davvero pensasse che le idee del minorenne non sono solo diverse dalle sue ma che, sostenendole, rischierà di ottenere un risultato pregiudizievole al minore stesso? L’avvocato dovrebbe limitarsi a riportare la volontà del rappresentato? Dovrebbe fare questo e nel contempo esporre le proprie perplessità, con ciò incorrendo possibilmente nella violazione deontologica dell’infedele patrocinio? O dovrebbe rinunciare al mandato? O, ancora, dovrebbe chiedere la nomina di altro soggetto, ad esempio un curatore speciale, che, diversamente da lui, potrà valutare l’interesse del minorenne e comportarsi in giudizio conformemente a ciò mentre nello stesso giudizio l’avvocato continuerà a sostenere la posizione del suo assistito? È significativo che ordinamenti, come quelli degli stati del Nord America, ad oltre trenta anni di operatività della rappresentanza dei minorenni nei giudizi civili “familiari”, continuino a discutere sulla questione dell’individuazione del ruolo dell’avvocato del minore, se questi debba rappresentare in giudizio la 74 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS volontà espressa dal cliente/minore (the child’s expressed wishes) o se debba perseguire il miglior interesse del minore, non affatto vincolato dai desideri manifestati da quest’ultimo (the child’s best interests). Il dibattito sorto dal confronto tra queste diverse concezioni ha dato vita a quello che è stato significativamente chiamato il dilemma dell’avvocato del minore (dilemma of the child’s attorney) e alla prolificazione di figure diverse: the Child’s Attorney, the Lawyer Appointed as Guardian ad Litem, the Best Interest Attorney, a seconda del tipo di giudizio in cui il rappresentante deve muoversi e del suo ruolo.5 Mi pare che anche noi dovremo ipotizzare soluzioni diverse a seconda dei casi. Credo, infatti, che non si possa prescindere dalla varietà, ed assoluta diversità, delle situazioni che si possono presentare, derivante dal fatto che nell’indistinta categoria dei cd. “minori” troviamo soggetti da 0 a 18 anni, in riferimento ai quali è impossibile predisporre uguali modalità di partecipazione ai procedimenti che li riguardano ed identiche forme di assistenza e rappresentanza. Contestualmente alla previsione dell’avvocato del minore sarebbe stato necessario intervenire, in termini chiarificatori ed innovativi, sul tema della incapacità dei soggetti minorenni, partendo proprio dal porre opportuni distinguo tra le varie età, ed anche una necessaria graduazione nel cammino dalla totale incapacità alla totale capacità. Sarebbe stato altrettanto necessario operare definitivamente e chiaramente una netta distinzione tra la sfera dei rapporti economici e quella attinente alle scelte di carattere esistenziale e, per quanto riguarda le seconde, sarebbe stato opportuno dare atto di una sempre maggiore capacità del minore di età a partecipare alle scelte che lo riguardano, quanto più egli avanza nel percorso di crescita ed in riferimento alla specifica natura dell’attività da compiere. Se queste fossero state le esplicitate premesse alla legge 149 forse i problemi interpretativi oggi sarebbero minori o, comunque, avrebbero alcuni parametri certi ai quali riferirsi. Nell’ottica prospettata non sarebbe impossibile riconoscere al minorenne “capace di discernimento” il potere di conferire mandato ad un proprio difensore per l’assistenza e la rappresentanza non solo nei giudizi previsti dalla legge 149 ma anche nelle azioni di stato o, quanto meno, il potere di rifiutare, con adeguata motivazione, quello nominatogli dal Presidente del Tribunale per i Minorenni.6 Non dobbiamo sottovalutare, infatti, il carattere fiduciario che caratterizza il rapporto avvocato/cliente, qualunque sia l’età dei soggetti coinvolti, tanto più in situazioni come quelle in esame nelle quali il professionista dovrà farsi interprete presso il giudice della volontà di un giovane, non facilmente individuabile nella sua vera essenza se non nell’ambito di un positivo rapporto fra i due. È evidente la complessità e delicatezza delle questioni in discussione, per non parlare di altri profili altrettanto pertinenti e fondamentali, quali quello relativo alla specifica formazione dell’avvocato del minore e del suo adeguato compenso, profili che non intendo affrontare nel ristretto spazio di questo intervento. 5 6 Marcucci C., “Il dilemma dell’avvocato del minore nell’esperienza americana” in L’avvocato del minore, Quaderno Aiaf numero 2004/1 Sulla questione della nomina dell’avvocato del minore cfr. Giardina F., La capacità del minore in relazione all’esercizio dei suoi diritti in L’avvocato del minore Quaderno Aiaf numero 2004/1; Marino M., La non facile armonizzazione tra la legge 28 marzo 2001 ed il corpo legislativo vigente in Aiaf Osservatorio 2002.4/2003.1 75 AIAF QUADERNO 2006/2 Ancora una volta si conferma, purtroppo, la superficialità con la quale il nostro legislatore promulga leggi, deludendo le aspettative di operatori del diritto e cittadini per l’inadeguatezza, la poca chiarezza e l’assenza di rigore tecnico che le caratterizza, spesso decretando così il fallimento sul nascere di fondamentali riforme. 76 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS 1. DALLA FILIAZIONE ILLEGITTIMA A QUELLA NATURALE. N ei codici che hanno seguito il modello napoleonico – tra i quali il nostro fino alla riforma del 1975 – la filiazione legittima era nettamente contrapposta a quella illegittima; la prima godeva di una considerazione legale, cui corrispondeva identica valutazione sociale, di assoluta preminenza. Il modello familiare accettato – e quindi legittimo perché conforme al diritto ed al costume – era quello fondato sul matrimonio, che rappresentava l’unico ambito in cui la filiazione trovava dignità e piena protezione; il presupposto implicito del sistema – ben avvertito nel costume sociale – era che la filiazione per essere lecita dovesse sempre originare da genitori uniti in matrimonio. Matrimonio, all’epoca indissolubile, che da un lato conferiva legittimità alla prole, e dall’altro, stante il divieto di legge (art. 252 c.c.), impediva a chi era coniugato di riconoscere un figlio adulterino, il quale, visti i limiti posti alla dichiarazione giudiziale di genitorialità, non poteva agire per l’accertamento della filiazione. Solo i figli concepiti nel matrimonio ricevevano una vera ed integrale tutela; i nati da unioni di fatto o da rapporti occasionali, specie se in conflitto col vincolo matrimoniale, subivano un trattamento deteriore. L’obiettivo della legge non era tanto quello di discriminare le categorie di figli sulla base di valutazioni etiche, bensì di conferire dignità e quindi di rafforzare la sola famiglia legittima, intesa quale unica entità sociale e giuridica – vera e propria istituzione – capace di assolvere ai compiti di mantenimento, istruzione ed educazione necessari per assicurare una ordinata vita sociale; ed altresì come struttura in grado di garantire la conservazione e la trasmissione del patrimonio. Secondo questo indirizzo, al di fuori della famiglia legittima vi era il disordine, non solo sul piano etico, ma anche su quello sociale. Pertanto, il legislatore concentrava la tutela sul nucleo legittimo, mentre si limitava a disciplinare sommariamente la relazione individuale genitore-figlio naturale, evitando che si potesse profilare una struttura familiare parallela a quella legittima. Naturalmente, la tutela del nucleo legittimo – obiettivo primario del legislatore – portava a sacrificare le posizioni individuali con esso confliggenti, ed in modo particolare quelle dei figli adulterini. Vi era dunque attorno alla famiglia legittima una barriera protettiva la quale impediva che i rapporti di filiazione contro il matrimonio acquistassero altra rilevanza giuridica se non quella meramente alimentare; la verità biologica della filiazione, in quei casi, non poteva divenire verità legale del vincolo, il cui accertamento il diritto non ammetteva. Scriveva in proposito Cicu: «Non vi è coincidenza piena fra il fatto naturale della filiazione ed il rapporto giuridico di filiazione. La procreazione non sempre dà luogo ad un rapporto giuridico di filiazione. Vi sono persone che non hanno o non possono avere genitori giuridicamente riconosciuti come tali. Anche nei casi in cui la filiazione è riconosciuta dalla PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA E STATUS DEL FIGLIO MICHELE SESTA ORDINARIO DI DIRITTO PRIVATO, UNIVERSITÀ DI BOLOGNA DIRETTORE DEL CORSO INTENSIVO DI DIRITTO DI FAMIGLIA WWW.CORSODIRITTOFAMIGLIA.IT 77 AIAF QUADERNO 2006/2 legge, il rapporto giuridico non è sempre identico»1. Per contro, talvolta la tutela del nucleo legittimo conduceva alla conseguenza opposta, poiché il rigore del sistema poteva agevolare l’acquisto ed il mantenimento dello status di figlio legittimo anche contro la verità biologica della procreazione. Infatti, la presunzione di paternità del marito e gli ostacoli frapposti all’esercizio dell’azione di disconoscimento di paternità, finivano talvolta per attribuire lo status di legittimità anche al figlio di donna coniugata che era stato concepito sicuramente al di fuori del matrimonio2. In breve, in tutti questi casi la verità biologica della procreazione, in quanto contrastante con quella legale, veniva rimossa. 2. LA RIFORMA DEL DIRITTO DI FAMIGLIA: UN PRIMO PASSO VERSO UN UNICO STATUS? ggi, a seguito della riforma del diritto di famiglia attuata con la legge n. 151 O del 19 maggio 1975, la prospettiva è profondamente mutata: alla filiazione naturale – è scomparsa l’espressione illegittima – si è data la stessa dignità di quella legittima, attraverso la sostanziale parificazione tra le due categorie di figli e l’abolizione di quei divieti che di fatto impedivano l’accertamento della verità biologica e proteggevano, anche contro l’evidenza, il nucleo legittimo. Infatti, la parità è stata stabilita sia nell’ambito dei rapporti personali – si veda il chiaro tenore dell’art. 261 c.c. – sia successori – si vedano gli artt. 468, 536 e 537 c.c. –. Inoltre, le norme che hanno rimosso il divieto dell’accertamento nei riguardi dei figli adulterini e quelle che hanno fissato i principi della libertà della prova (art. 269 c.c.) e dell’imprescrittibilità dell’azione (art. 270 c.c.) consentono al figlio naturale di conseguire agevolmente l’accertamento del proprio status giuridico. Particolarmente rilevanti sono anche le disposizioni dell’art. 317 bis c.c., in tema di esercizio della potestà sul figlio naturale da parte dei genitori conviventi e, di recente, la disposizione dell’art. 4, comma 2, l. 8 febbraio 2006, n. 54, la quale dichiara applicabili allo scioglimento, alla cessazione degli effetti civili o alla nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati, le disposizioni degli artt. 155 ss. c.c. recanti la disciplina dei provvedimenti giudiziali riguardanti figli in caso di separazione dei genitori. In sintesi, indipendentemente dalla natura della filiazione, il figlio riceve piena tutela giuridica nei confronti del genitore, di guisa che il rapporto di filiazione si presenta sostanzialmente omogeneo, indipendentemente dal vincolo matrimoniale tra i genitori3. Tutto ciò porta a concludere che nell’odierno ordinamento quello della famiglia legittima non rappresenti più l’unico modello di convivenza familiare approvato dall’ordinamento4: di qui la protezione della famiglia di fatto, che non poteva neppure prospettarsi quando sulla filiazione al di fuori del vincolo matrimoniale pesava il giudizio negativo del legislatore. Nonostante quanto sin qui esposto, è necessario rilevare che la sistematica codi1 2 3 4 A. Cicu, La filiazione, in Tratt. Vassalli, rist. II ed., Torino, 1969, 1. Per una fattispecie che ebbe vasta risonanza si veda P. Rescigno, L’abuso del diritto, in Riv. dir. civ., 1965, I, 238. Per alcuni profili di persistente discriminazione si veda, tuttavia, B. Lena, I diritti successori dei figli naturali tra discriminazione e tutela della famiglia legittima, in Familia, 2001, 1075. V. Scalisi, La “famiglia” e le “famiglie” (il diritto di famiglia a dieci anni dalla riforma), in Studi catanzaresi in onore di A. Falzea, Napoli, 1987, 435. 78 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS cistica della filiazione, anche dopo la riforma, è fortemente proiettata sull’accertamento formale del vincolo di filiazione piuttosto che sul rapporto genitorefiglio, la cui disciplina è smembrata in luoghi diversi e distanti5. Un semplice rilievo sistematico mostra inoltre che, nell’ambito della filiazione naturale, ben ventotto articoli sono dedicati al riconoscimento ed ai suoi effetti e sei alla dichiarazione giudiziale di paternità o maternità, mentre lo status sostanziale è determinato con un mero riferimento alla disciplina della filiazione legittima, salvo che per alcune peculiarità. In proposito, si è notato6 come dal rilievo che assume il riconoscimento nell’economia della disciplina normativa si potrebbe essere indotti a ritenere che oggetto di valutazione da parte dell’ordinamento sia non tanto la filiazione naturale in quanto tale, bensì la filiazione in quanto riconosciuta, considerato anche che la filiazione non riconosciuta ed irriconoscibile ha un diverso trattamento. Il che induce a pensare che tuttora la filiazione legittima costituisca il modello di riferimento del legislatore. Alla luce dei rilievi che precedono, è dato auspicare, anche nell’ottica di una sistemazione della materia completamente aderente al dettato costituzionale, un intervento del legislatore volto a regolare la condizione del figlio mediante l’adozione di una disciplina unitaria, così come ha fatto il legislatore tedesco7. 3. LE DIFFERENTI MODALITÀ DI ATTRIBUZIONE DELLO STATUS DI FIGLIO. ssodata la tendenziale unitarietà dello status di filiazione, deve tuttavia ricorAne dello darsi che il codice e le leggi speciali dettano differenti modalità di attribuziostatus a seconda che la filiazione sia legittima o naturale. Mentre nella Costituzione non vi è alcuna menzione della fase di accertamento del rapporto giuridico di filiazione – eccettuata la riserva di legge in materia di norme e limiti per la ricerca di paternità, posta significativamente a chiusura dell’art. 30 – alla stregua del sistema codicistico, affinché sorga il vincolo giuridico genitore-figlio, quanto meno nella sua pienezza, pare indispensabile un accertamento secondo modalità prestabilite. Infatti, se non si forma un titolo di stato costituito essenzialmente dall’atto di nascita – di figlio legittimo o naturale, a seconda dei presupposti – il rapporto genitore-figlio resta confinato nell’ambito di quanto disposto dagli artt. 279, 580 e 584 c.c.; si deve inoltre pensare che, in mancanza del titolo dello stato, e cioè qualora il figlio risulti iscritto allo stato civile come di ignoti, la legge stabilisce, salvo eccezioni, che si dia corso immediatamente alla procedura di adozione, cosicché ogni rapporto giuridico coi genitori biologici è destinato a cessare per sempre (art. 11, comma 2, l. 4 maggio 1983, n. 184). In passato, le modalità di formazione del titolo dello stato della filiazione erano nettamente differenziate a seconda che si trattasse di filiazione legittima o naturale8. Se i genitori erano coniugati, il titolo dello stato si formava automaticamente – a prescindere dal loro consenso – in sede di denunzia di nascita; se, 5 6 7 8 Al riguardo si veda M.E. Quadrato, Il ruolo dei genitori, dalla “potestà” ai “compiti”, Bari, 1999, 47. U. Majello, Della filiazione naturale e della legittimazione (artt. 250-290), in Comm c.c. Scialoja-Branca, II ed., Bologna-Roma, 1982, 11. In argomento cfr. C.M. Bianca, Dove va il diritto di famiglia?, in Familia, 2001, 3; A. Diurni, La riforma del quarto libro del BGB: il nuovo diritto di filiazione, in Annuario di diritto tedesco 1998, a cura di S. Patti, Milano, 1998, 47. A riguardo si veda M. Sesta, in M. Sesta, B. Lena, B. Valignani, Filiazione naturale. Statuto e accertamento, Milano, 2001, 9. 79 AIAF QUADERNO 2006/2 invece, non lo erano, il titolo dello stato poteva formarsi solo in dipendenza di una dichiarazione del(i) genitore(i) o, in mancanza, di un accertamento giudiziale richiesto dal figlio. A seguito di una modifica apportata nel 1997, l’art. 70 dell’allora vigente Ordinamento dello stato civile stabilì che dovesse essere rispettata «l’eventuale volontà della madre [coniugata] di non essere nominata [nell’atto di nascita]»9. In passato, non solo la volontà della madre non avrebbe potuto impedire la formazione di un atto di nascita ad opera di un soggetto legittimato a rendere la dichiarazione, ma addirittura, per un certo periodo, si era dubitato che la mancata indicazione della madre coniugata nell’atto di nascita potesse costituire reato di alterazione di stato (art. 567 c.p.). Ancora negli anni ’50, del resto, le Sezioni Unite penali della Suprema Corte avevano ribadito la tesi della configurabilità del reato10. A ben vedere, la disposizione dell’Ordinamento dello stato civile sopra richiamata - che peraltro ratificava una prassi già da tempo seguita - in linea di principio modificò le modalità di formazione del titolo dello stato del figlio nato da donna coniugata, considerato che quest’ultima può così insindacabilmente impedire la formazione di qualsiasi titolo dello stato poiché il figlio avrebbe dovuto essere dichiarato come di ignoti. È opportuno menzionare anche l’art. 250 c.c., che consente anche alla madre coniugata di procedere al riconoscimento del proprio figlio concepito in costanza di matrimonio come naturale, così impedendo la formazione del titolo di stato di figlio legittimo, ed offrendo la possibilità di riconoscimento al padre naturale. Da un punto di vista più generale, può rilevarsi che le succitate previsioni hanno fortemente intaccato il principio della formazione de iure del titolo dello stato di figlio legittimo che, in qualche modo, risulta parificata a quella del titolo di filiazione naturale, nel senso che la volontà materna appare sostanzialmente arbitra, nell’uno come nell’altro caso, in ordine all’attribuzione dello stato del nato11. L’art. 30 del d.p.r. n. 396/2000 – recante «Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’art. 2, comma 12, della legge 15.5.1997, n. 127», che ha abrogato il precedente ordinamento dello stato civile – conferma la rilevanza della volontà della madre (legittima o naturale) nella formazione del titolo dello stato, poiché prevede l’indicazione delle generalità dei genitori legittimi, purché la madre non si opponga, e di quelli naturali, qualora i medesimi rendano la dichiarazione di riconoscimento o abbiano espresso, con atto pubblico, il proprio consenso ad essere nominati. 9 Sulle ragioni alla base della persistente possibilità riconosciuta alla donna di non far risultare il proprio nome e sulle modalità di tutela dell’anonimato cfr. L. Lenti, Adozione e segreti, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 241; per una lettura critica della norma richiamata, ance in una prospettiva europea si vedano A. Renda, L’accertamento della maternità: anonimato materno e responsabilità per la procreazione, in Fam. e dir., 2004, 510; J. Long, La Corte europea dei diritti dell’uomo, il parto anonimo e l’accesso alle informazioni sulle proprie origini: il caso Odièvre c. Francia, i Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 283. 10 Sul punto si rinvia a T. Delogu, Diritto penale. Delitti contro la famiglia, in Comm. dir. it. fam., diretto da G. Cian, G. Oppo, A. Trabucchi, Padova, 1995, 320; M. Sesta, La filiazione, in Tratt. Bessone, IV, III, Torino, 1999, 9, L. Lenti, Adozione e segreti, cit., 241. 11 Cfr., tuttavia, M. Dossetti, L'accertamento della filiazione legittima tra automatismo e principio volontaristico, in Scritti in memoria di G. Cattaneo, t. II, Milano, 2002, 836-837, che ritiene come una simile interpretazione, pur prospettabile sulla base dell'ampia formulazione letterale dell'art. 30, comma 1, ord. st. civ., si ponga, da un lato, in contrasto con i principi fondamentali che governano i rapporti tra coniugi ed il diritto di filiazione e come, d'altro canto, non possa ritenersi che il legislatore abbia inteso introdurre una modifica di tale portata nel sistema del diritto familiare mediante una normativa regolamentare, vincolata per delega legislativa al compito di procedere alla revisione e semplificazione dell'ordinamento dello stato civile. Secondo l'Autrice richiamata sarebbe, pertanto, preferibile, un'interpretazione restrittiva della norma citata alla luce della quale riconoscere alla madre coniugata la facoltà di non essere nominata unicamente nell'ipotesi in cui ciò sia necessario al fine di evitare la formazione di un titolo di stato di figlio legittimo falso, poiché la madre ha concepito il figlio con persona diversa dal marito. 80 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS 4. LE PROBLEMATICHE INERENTI LA PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA. ella tradizionale disciplina giuridica della filiazione, quale tuttora – nonN ostante l’evoluzione della materia che si è sinteticamente riportata – si rinviene nel codice civile, il presupposto inespresso è che l’inizio della vita umana e la nascita costituiscano il risultato dell’unione fisica di un uomo e di una donna. Sennonché, già da qualche tempo e con particolare frequenza negli anni a noi vicini, si sono sviluppate tecniche mediche atte a realizzare il concepimento di un essere umano indipendentemente dalla congiunzione fisica dell’uomo con la donna12. In particolare, la fecondazione può avvenire direttamente nel grembo della donna oppure in vitro, mediante formazione di embrioni, che vengono successivamente trasferiti nel corpo della madre. Nonostante la diffusione della fecondazione assistita, a cui si può ricorrere senza particolari difficoltà, e nonostante le delicate problematiche etiche e giuridiche che le relative tecniche comportano13, il legislatore italiano è intervenuto solo di recente a regolare la materia, a compimento di un travagliato iter parlamentare, caratterizzato da profonde divisioni e differenze di opinioni tra le forze politiche14, che hanno fortemente inciso sulla legge 19 febbraio 2004, n. 40, recante le attese norme in materia di procreazione medicalmente assistita. Le ragioni di questo ritardato quanto travagliato intervento e del carattere limitativo e sanzionatorio della legge15, si spiegano in considerazione delle opposte visioni della vita umana che caratterizzano la società italiana, in questo senso differenziata da quella dei numerosi stati europei ove si è legiferato in materia senza eccessivi traumi. In Italia, infatti, è ancora ampiamente condivisa una concezione sacrale della vita umana – che ha nella Chiesa cattolica la sua massima, ma non esclusiva sostenitrice – che condanna senza eccezione qualsiasi intervento dell’uomo nella sfera della riproduzione e più in generale della sessualità16. Una simile concezione non può che condurre ad una legislazione in termini di divieto delle pratiche di fecondazione assistita; divieto che però confligge con la altrettanto diffusa concezione c.d. utilitaristica della vita umana, alla cui stregua, entro limiti da prefissarsi, gli interventi su di essa sono consentiti quando siano diretti al perseguimento del benessere della persona17. I problemi che si ponevano prima dell’entrata in vigore della legge n. 40/2004 erano in concreto di due ordini: l’uno, relativo alla liceità delle pratiche di procreazione assistita; l’altro, alle modalità di attribuzione dello status in capo al nato. Pur con qualche dissenso, si ritenevano lecite sia la fecondazione artificiale omologa – che consiste nell’utilizzazione del liquido seminale del marito, eventualmente trattato per evidenziarne la capacità riproduttiva – che quella ete12 C. Flamigni, Il libro della procreazione, Milano, 1998. 13 F.D. Busnelli, Libertà di coscienza etica e limiti della norma giuridica: l’ipotesi della procreazione medicalmente assistita, in Familia, 2003, 281; sul versante penalistico S. Canestrari, Verso una disciplina penale delle tecniche di procreazione medicalmente assistita? Alla ricerca del bene giuridico tra valori ideali e opzioni ideologiche, in Indice pen., 2000, 1091. 14 G. Renna, Proposte di legge in tema di fecondazione medicalmente assistita, in Fam. e dir., 1997, 579; M. Sesta, La fecondazione assistita tra etica e diritto: il caso italiano, in Nuova giur. civ. comm., 1999, II, 297. 15 S. Canestrari, Procreazione assistita: limiti e sanzioni, in Dir. pen. e processi, 2004, 411; M.R. Marella – M. Virgilio, Una cattiva legge cattiva, in Un’appropriazione indebita, Milano, 2004, 171. 16 In argomento si veda Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, Lettera enciclica del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II sul valore e l’inviolabilità della vita umana, Città del Vaticano, 1995. 17 M. Mori, La fecondazione artificiale, Bari, 1995, 86 e 136 81 AIAF QUADERNO 2006/2 rologa, in cui si utilizzano gameti di soggetto diverso dal partner. Nella fecondazione omologa, sussiste infatti una perfetta coincidenza fra verità biologica e verità giuridica, cosicché non vi erano ostacoli a che il figlio nato da genitori uniti in matrimonio conseguisse lo stato di figlio legittimo18. Ben più complessa era invece la situazione che si creava a seguito della fecondazione artificiale eterologa. Tale tecnica riproduttiva – oggi vietata dalla legge – in linea di massima sembra porre in discussione il rispetto dell’obbligo di fedeltà coniugale ed altresì un principio che ha ispirato la più recente legislazione familiare, espressione di un valore perseguito e vissuto quale caposaldo di civiltà giuridica: quello del favor veritatis, contrapposto al favor legitimitatis che caratterizzava la disciplina della filiazione precedente alla riforma del ’75. Favor veritatis significa, sostanzialmente, che l’ordinamento consente l’accertamento della paternità biologica anche quando si pone in contrasto con quella legale. Il discorso si collega alla presunzione di paternità del marito di cui all’art. 231 c.c., che oggi, in linea di massima, può essere rimossa tutte le volte in cui non vi sia coincidenza fra quella presunzione e la verità del concepimento (art. 235 c.c.). Ora, laddove il concepimento fosse dovuto al seme di un soggetto diverso dal marito, consenziente alla fecondazione artificiale della moglie, si poneva un triplice problema. Innanzitutto, se la paternità legale potesse essere attribuita al marito in forza dell’art. 231 c.c. In secondo luogo, se il marito che avesse prestato il proprio consenso all’inseminazione potesse successivamente far valere la verità della procreazione, e, quindi, dichiararsi estraneo alla medesima, esercitando l’azione di disconoscimento della paternità. Infine, se il donatore del seme utilizzato per la fecondazione potesse essere ritenuto padre naturale, non solo biologico, ma anche legale, e quindi procedere al riconoscimento del figlio o essere passivamente legittimato nel giudizio di dichiarazione giudiziale della paternità. Sul presupposto, come si rilevò invero acriticamente ritenuto19, che la presunzione di paternità operasse anche in presenza di tecniche di p.m.a., la giurisprudenza ebbe ad occuparsi ripetutamente della ammissibilità del disconoscimento; inizialmente era prevalsa la tesi della revocabilità del consenso del marito e, quindi, della esperibilità dell’azione di impugnativa della paternità20. I giudici avevano incentrato l’attenzione esclusivamente sul profilo dell’indisponibilità degli status e sulla tutela della verità della filiazione, ritenendo che – laddove si attribuisse rilevanza al consenso del marito – «si introdurrebbe, in via interpretativa, una limitazione non consentita al principio del favor veritatis, che caratterizza tutta la disciplina della filiazione». Della questione fu investita la Corte costituzionale – sul presupposto che le norme all’epoca vigenti, che consentivano al marito di revocare il consenso alla fecondazione e, quindi, di disconoscere il nato, violassero gli artt. 3, 29, 30 e 31 Cost. – la quale, con sentenza di inammissibilità21, dichiarò l’estraneità della fattispecie in esame alla disciplina censurata. Secondo 18 A. Trabucchi, Procreazione artificiale e genetica umana nella prospettiva del giurista, in Riv. dir. civ., 1986, I, 495; M. Mori, La fecondazione artificiale,cit., 54. 19 M. Sesta, Fecondazione assistita: la Cassazione anticipa il legislatore, in Fam. e dir., 1999, 239. 20 Trib. Cremona, 17 febbraio 1994, in Fam. e dir., 1994, 179, con note di M. Dogliotti, Inseminazione artificiale eterologa e azione di disconoscimento: una sentenza da dimenticare, e di G. Ponzanelli, La “forza” e la “purezza” degli status: disconoscimento di paternità e inseminazione eterologa; e vedi già Trib. Roma, 30 aprile 1956, in Giur. it., 1957, I, 2, 218, con nota di A. Trabucchi, Fecondazione artificiale e legittimità dei figli; App. Brescia, 10 maggio 1995, in Fam. e dir., 1996, 34, con nota di M. Dogliotti, Ancora sull’inseminazione eterologa e sull’azione di disconoscimento. 21 Corte cost., 22 settembre 1998, n. 347, in Giur. it., 1999, I, 1, 461 con nota di L. Balestra, Inseminazione eterologa e status del nato. 82 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS il pensiero del giudice delle leggi, infatti, in tale ed in similari ipotesi il ricorso all’azione di disconoscimento dovrebbe ritenersi escluso a priori, poiché la relativa norma concerne «esclusivamente la generazione che segua ad un rapporto adulterino, ammettendo il disconoscimento della paternità in tassative ipotesi, quando le circostanze indicate dal legislatore facciano presumere che la gravidanza sia riconducibile, in violazione del dovere di reciproca fedeltà, ad un rapporto sessuale con persona diversa dal coniuge». Si rimetteva quindi la questione principalmente al legislatore, sollecitandone un intervento regolatore e, quindi, sostanzialmente al giudice, data la situazione di vuoto normativo all’epoca esistente. La Corte di cassazione22 ebbe a statuire che «in tema di fecondazione assistita eterologa, il marito che ha validamente concordato o comunque manifestato il proprio preventivo consenso alla fecondazione assistita della moglie con seme di donatore ignoto non ha azione per il disconoscimento della paternità del bambino concepito e partorito in esito a tale inseminazione». Circa la posizione del donatore, si riteneva, invero senza adeguati riscontri nei principi generali (art. 30 Cost.), ma piuttosto per imitazione delle discipline estere, che non si instaurasse una relazione giuridica tra lui ed il nato23. 5. LO STATUS GIURIDICO DEL FIGLIO DI COPPIA CONIUGATA NATO A SEGUITO DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA. sensi dell’art. 8 della legge, lo stato giuridico del nato a seguito dell’appliAtimoicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita è di figlio legitse la coppia genitoriale è coniugata . Lo stato di legittimità è conseguenza 24 del carattere omologo della fecondazione, ancorché la legge, con l’intento di tutelare il figlio, ma, come si è detto, con coerenza invero assai discutibile, lo attribuisce anche nelle ipotesi di violazione del divieto di fecondazione eterologa. Infatti, l’art. 9 impedisce al marito il cui consenso alla fecondazione eterologa della moglie sia «riconoscibile da atti concludenti», di esperire l’azione di disconoscimento della paternità in base all’art. 235, n. 1 e n. 2, c.c., sul presupposto, quindi, che il figlio, ancorché non biologicamente del marito, consegua comunque lo stato di figlio legittimo in forza di quanto disposto dagli artt. 231 e 232 c.c. La legge, nel prevedere che il coniuge non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità, non precisa se essa sia inibita esclusivamente al marito, ovvero se gli altri soggetti legittimati, cioè il figlio e la madre, possano agire. Se è pacifico che la madre non possa impugnare la paternità, come si ricava agevolmente da quanto stabilito al secondo comma dell’art. 9, più problematico è stabilire se il divieto si estenda al figlio (art. 235, u.c., 244, comma 3, c.c.). Un autore25 lo nega, valorizzando sia la lettera della disposizione in commento, 22 Cass., 16 marzo 1999, n. 2315, in Fam. e dir., 1999, 233 con M. Sesta, Fecondazione assistita: la Cassazione anticipa il legislatore, cfr. anche C.M. Bianca, Disconoscimento del figlio nato da fecondazione assistita: la parola della Cassazione, in Giust. civ., 1999, I, 1324; Trib. Napoli, 24 giugno 1999, in Giust. civ., 1999, I, 2507, con nota di M.R. Morelli, La sentenza costituzionale n. 347 del 1998 in tema di fecondazione assistita e la risposta del giudice “a quo”; L. Balestra, Fecondazione artificiale eterologa e azione di disconoscimento della paternità: è possibile prospettare una soluzione sul piano processuale?, in Nuova giur. civ. comm., 2000, II, 366. 23 A. Trabucchi, Procreazione artificiale e genetica umana nella prospettiva del giurista, cit., 500; contra T. Auletta, Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, in Quadrimestre, 1986, 49. 24 M. Finocchiaro, Dopo il consenso impossibile disconoscere la prole, in Guida dir., dossier mensile, Le prospettive della famiglia, 3 marzo 2004, 36. 25 E. Quadri, La nuova disciplina della procreazione assistita, in La fecondazione assistita, Milano, 2005, 154. 83 AIAF QUADERNO 2006/2 che si riferisce esclusivamente al coniuge, sia la possibile sussistenza di un interesse del figlio ad accertare la verità biologica della filiazione: in tal senso, deporrebbero indicazioni che si rinvengono in alcune decisioni della Corte costituzionale (n. 112/97; n. 170/99). La soluzione prospettata non appare tuttavia soddisfacente, in quanto introduce una eccezione al divieto dell’azione di disconoscimento, che il legislatore ha chiaramente voluto escludere nelle ipotesi di procreazione medicalmente assistita. Affermare che il figlio possa esperire l’azione sembra incoerente tenuto anche conto che costui non potrebbe successivamente conseguire - come accade di norma - un accertamento della vera paternità, stante quanto disposto dall’art. 9 u.c., alla cui stregua il donatore dei gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei suoi confronti alcun diritto, né essere titolare di obblighi. Si tratterebbe, dunque, di una verità dimezzata, che non consentirebbe per nulla il soddisfacimento del diritto alla identità biologica del figlio, pur rilevante, in linea di principio, ma non nel caso concreto. Infine, giova rilevare che – a ben vedere – neppure l’elemento letterale depone per l’accoglimento della tesi che vorrebbe il figlio legittimato all’azione di disconoscimento della paternità, posto che l’ultimo comma dell’art. 235 c.c., con previsione d’indole generale, statuisce che l’azione di disconoscimento può essere esercitata anche dalla madre o dal figlio che ha raggiunto la maggiore età in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre, così escludendo la sussistenza di fattispecie in cui la legittimazione della madre o del figlio possa essere più estesa di quella del padre. Nonostante il divieto, l’azione di disconoscimento può sempre essere promossa dal marito che alleghi l’adulterio della moglie (art. 235, n. 3 c.c.), e quindi che il figlio non sia nato a seguito delle intraprese tecniche mediche26. In proposito si è esattamente rilevato come la disposizione in esame sia da interpretarsi restrittivamente, cioè nel senso che non sia sufficiente la prova dell’adulterio, ma occorra anche quella della circostanza che la nascita consegua al rapporto adulterino e non alle tecniche di procreazione medicalmente assistita in corso27; di guisa che le indagini dovrebbero dimostrare la presenza nel figlio di caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del donatore. Ciò sul presupposto che il centro presso cui si è svolta la circostanza procreativa conservi traccia del patrimonio genetico del donatore, che potrà essere raffrontato con quello del nato, senza violazione alcuna del diritto all’anonimato che la legge attribuisce al terzo. 6. LO STATUS DEL FIGLIO DI COPPIA NON CONIUGATA NATO A SEGUITO DI PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA. disposizione dell’art. 8 attribuisce ai nati a seguito dell’applicazione delle Lstatoatecniche medicalmente assistite su partners conviventi ma non coniugati lo di figli riconosciuti; nel caso di (illegittima) utilizzazione di materiale genetico di terzo donatore il convivente il cui consenso sia desumibile da atti concludenti non può esercitare l’impugnazione per difetto di veridicità di cui all’art. 263 c.c. Circa l’attribuzione dello status al figlio ci si è chiesti se la stessa avvenga in 26 R. Villani, La procreazione assistita, Torino, 2004, 142. 27 U. Salanitro, La disciplina della filiazione da procreazione medicalmente assistita, in Familia, 2004, 501. 84 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS maniera automatica, per legge, ovvero se occorra pur sempre il volontario riconoscimento secondo i principi generali. Chi interpreta la norma quale disposizione che ha introdotto nel sistema della filiazione naturale la nuova categoria dei figli naturali «per legge»28, osserva come la fattispecie della procreazione medicalmente assistita, caratterizzata da procedure e consensi attestanti la volontà procreativa degli interessati, giustifichi il superamento del principio generale, fondato sulla volontarietà del riconoscimento29. Da alcuni30 si precisa inoltre che la dichiarazione scritta dei richiedenti vada riguardata, se non come vero e proprio atto di riconoscimento, quanto meno come espressione di una volontà irrevocabile di riconoscimento, tenuto anche conto che tale atto può essere compiuto prima della nascita (art. 254 c.c.). L’interpretazione letterale della disposizione contenuta nell’art. 8 porterebbe senz’altro a concludere per l’attribuzione automatica dello status di figlio riconosciuto; anche la ratio legis, quale emerge da una interpretazione sistematica dalla disposizione, coordinata con quella dell’art. 9, comma 2, sembra deporre in tal senso; per contro, il coordinamento col primo comma, che pone il divieto di impugnazione per difetto di veridicità, pare presupporre la necessità di un intervenuto riconoscimento, poiché diversamente il legislatore avrebbe dovuto limitarsi a stabilire che lo stato di figlio naturale attribuito per legge non è contestabile. Per inciso, si deve rimarcare il fatto che mentre il marito può impugnare la propria paternità legale facendo valere l’adulterio della moglie, il convivente non è ammesso esplicitamente alla contestazione neppure per far valere la circostanza che la nascita sia in realtà avvenuta a seguito di rapporti naturali con altro uomo, pur in costanza di trattamenti procreativi medici. Al riguardo si impone una interpretazione riduttiva del divieto, da ritenersi insussistente in riferimento all’allegazione dell’esistenza di rapporti con persona diversa dal convivente. Se dunque i dati testuali non consentono di giungere ad una soluzione univoca della questione relativa alla modalità di attribuzione dello status del figlio naturale, resta il fatto che, sul piano concreto, non pare che essa possa prescindere dal riconoscimento effettuato in una delle forme previste all’art. 254 c.c. Infatti, l’ufficiale di stato civile non potrebbe procedere diversamente all’annotamento della paternità nell’atto di nascita che, ai sensi dell’art. 43, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, è consentito solo con riguardo ad atti pubblici o testamenti. Non può neppure costituire atto annotabile quello con cui la coppia esprime la volontà di accedere alle tecniche di cui all’art. 6, comma 3, l. n. 40/2004, sia perché all’epoca il figlio non era concepito (art. 254 c.c.), sia per la forma dell’atto stesso. In conclusione, appare preferibile ritenere che la disposizione dell’art. 8, sia con riguardo alla filiazione legittima che a quella naturale, nulla abbia innovato in ordine all’acquisizione dello status, e che, quindi, occorra pure sempre il riconoscimento di ciascuno dei genitori, in difetto del quale dovrà esperirsi l’azione di dichiarazione giudiziale della genitorialità ex art. 269 c.c.31. Non si vede, infatti, come diversamente potrebbe avvenire l’attribuzione di genitorialità, stante il divieto che l’atto di riconoscimento di un genitore contenga indicazioni relative all’altro (art. 258 c.c.), e considerate le modalità di formazione dell’atto di nascita regolate dagli artt. 29 e 30, d.P.R. 3 novem28 29 30 31 R. Villani, La procreazione assistita, cit., 104. E. Quadri, La nuova disciplina della procreazione assistita, cit., 49. M. Dogliotti, A. Figone, Procreazione assistita. Fonti, orientamenti, linee di tendenza, Milano, 2004, 181. M. Finocchiaro, Dopo il consenso impossibile disconoscere la prole, cit., 36. 85 AIAF QUADERNO 2006/2 bre 2000, n. 396, che non consentono all’ufficiale di stato civile di indicare le generalità dei genitori naturali che non procedano al riconoscimento o non consentano per atto pubblico ad essere nominati. Non essendo prevista alcuna deroga a tali disposizioni, non sarà possibile che l’ufficiale di stato civile proceda alla indicazione delle generalità dei genitori dietro la sola esibizione di documentazione che attesti il loro consenso a pratiche di procreazione artificiale. Tale conclusione risulta altresì indirettamente confermata dalla previsione legislativa secondo cui (art. 9, comma 2) la madre (coniugata) del nato a seguito dell’applicazione di tecniche di procreazione medicalmente assistita non può dichiarare la volontà di non essere nominata, ai sensi dell’art. 30, comma 1, del citato d.P.R. n. 396/2000; disposizione quest’ultima che conferma che quando il legislatore del 2004 ha voluto derogare norme vigenti lo ha fatto espressamente, il che induce appunto a ritenere, come si è visto, che nulla sia stato modificato circa il riconoscimento del figlio naturale. Sotto altro riguardo, va detto che la disposizione dell’art. 9, comma 2, appare di difficile applicazione, poiché l’ufficiale di stato civile non ha possibilità di sapere che la nascita che gli viene denunziata come da donna che non consente di essere nominata, sia conseguenza di fecondazione medicalmente assistita. La donna che, nonostante la disposizione di legge, non consenta di essere nominata non è comunque esposta all’incriminazione per il reato di alterazione di stato previsto dall’art. 567, comma 2, c.p., trattandosi di reato commissivo32. Altro profilo relativo agli status di notevole rilevanza, più volte ricordato, è quello espresso dall’art. 9, comma 3, secondo il quale in caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo in violazione del divieto di cui all’art. 4, comma 3, il donatore dei gameti non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato e non può far valere nei sui confronti alcun diritto, né essere titolare di obblighi. La legge risolve così in maniera netta i dubbi in passato prospettati in dottrina circa la posizione del donatore, escludendo in ogni caso che egli possa essere ritenuto «responsabile» della nascita33. Trattasi di una regola assai discutibile, sia in sé, per il disarmonico profilo di irresponsabilità per la filiazione che introduce nel sistema, sia con riguardo ai principi informatori della legge che avrebbero richiesto l’assolvimento dei doveri genitoriali in capo al donatore proprio al fine di scoraggiare la procreazione eterologa. 7. PROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA ETEROLOGA E DIRITTO A CONOSCERE LE PROPRIE ORIGINI BIOLOGICHE. a peculiarità della fecondazione eterologa, sulla quale occorre riflettere, è, a Lbiologica ben vedere, quella di dar vita ad una scissione tra identità sociale ed identità del nato, il quale acquisisce il medesimo status che competerebbe ad un figlio concepito naturalmente e vede così negato, sul piano affettivo, sociale e legale, il proprio legame con colui che l’ha generato. Viene così misconosciuto in radice il diritto all’identità biologica, cioè quello di avere per genitori coloro che tali sono biologicamente: il divieto legislativo della fecondazione eterologa potrebbe manifestare, quindi, il rifiuto dell’ordinamento di consentire la crea32 T. Delogu, Diritto penale. Delitti contro la famiglia, cit., 336. 33 S. Patti, Verità e stato giuridico della persona, in Riv. dir. Civ., 1988, I, 239; L. Lenti, La procreazione artificiale. Genoma della persona e attribuzione della paternità, Padova, 1993, 204; G. Milan, Aspetti giuridici della procreazione assistita, Padova, 1997, 237; T. Auletta, Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, cit., 49; R. Villani, La procreazione assistita, cit., 145. 86 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS zione di un «falso» rapporto di discendenza, cosicché il divieto medesimo troverebbe un fondamento nell’art. 2 Cost., qualificando la corrispondenza tra identità genetica e identità sociale della persona quale originario diritto della personalità34. Il diritto alle proprie origini può giustificare, altresì, il divieto di maternità surrogata e quello di fecondazione di donna sterile o in menopausa, in cui il materiale genetico non appartiene alla donna che partorisce, e, forse, anche quello di donna single, vista l’impossibilità per il figlio di attingere notizie relativamente alla figura paterna, stante l’anonimato del donatore. È assai interessante osservare come un consimile diritto trovi riconoscimento nelle scienze psicoanalitiche35 che ammoniscono come anche il solo sospetto di un segreto intorno alla propria nascita possa portare a gravi conseguenze nello sviluppo psicologico del figlio, dal momento che gli è impedito di risalire alle radici della propria storia e, dunque, di svelare le fondamenta della propria identità. Inoltre egli, ignaro delle circostanze inerenti all’evento della propria nascita, difficilmente riuscirà a ricostruire la mappa delle relazioni familiari. È vero che a tale medesima scissione si perviene nel caso di adozione, dal momento che il minore acquisisce giuridicamente e socialmente una famiglia diversa da quella biologica. Peraltro, anche a prescindere dalle diversità di situazione, qui caratterizzata dalla necessità di dare una famiglia a chi non l’ha, le innovazioni legislative apportate dalla legge n. 149/2001 hanno riconosciuto il diritto alla verità, stabilendo l’obbligo, a carico della famiglia adottiva, di informare il minore sulla propria condizione di figlio adottivo, nei modi e nei termini ritenuti più opportuni, e consentendo che i genitori adottivi, ed il figlio, al compimento del venticinquesimo anno di età, accedano alle informazioni sull’identità di quelli biologici. Dunque, l’ordinamento oggi dà spazio alla verità anche nella filiazione adottiva e, quindi, ben potrebbe, a tutela del medesimo fine, vietare la fecondazione eterologa; tuttavia, con riferimento ad essa, la legge è palesemente contraddittoria, poiché, da un lato la vieta, ma dall’altro attribuisce al nato lo status di figlio legittimo del marito, o naturale del convivente, ed impedisce il formarsi di relazioni col donatore (art. 9), frustrando così l’unico possibile fondamento razionale del divieto, che è quello di assicurare il diritto all’identità genetica della persona. Le ineludibili esigenze di tutela del nato, che stanno alla base della disposizione criticata, avrebbero potuto essere soddisfatte prevedendo un obbligo di mantenimento a carico del marito ed una forma particolare di adozione. Ne consegue un giudizio critico nei confronti della scelta legislativa che, proprio per la sua incoerenza ed irrazionalità, ben può giustificare dubbi di legittimità costituzionale. Ugualmente discusso è il divieto di fecondazione di donna single (art. 5), posto che non sussistono limiti alla volontà del singolo di riprodursi naturalmente, espressione quest’ultima di un diritto primario della persona, di rango costituzionale, non suscettibile di limitazioni36. Il divieto di fecondazione eterologa ed il ricorso a tecniche nei riguardi di sog34 In argomento si veda l’ampia trattazione di C. Campiglio, Procreazione assistita e famiglia nel diritto internazionale, Padova, 2003, 151. 35 S. Vegetti Finzi, Oscurità dell’origine e bioetica della verità, in Questioni di bioetica, a cura di S. Rodotà, Bari, 1997, 182. 36 Cfr. però P. Zatti, Interesse del minore e “doppia figura genitoriale”, in Nuova giur. civ. comm., 1997, I, 88, nonché S. Canestrari, La legge 19 febbraio 2004, n. 40: procreazione e punizione, in Bioetica, 2004, 3, 429, il quale afferma l’esistenza di un diritto del figlio a godere di una duplice figura genitoriale, riconoscibile dagli artt. 2, 30, 31 Cost., a prescindere dalla corrispondenza tra identità sociale e genetica della figura paterna e materna. 87 AIAF QUADERNO 2006/2 getti non aventi le caratteristiche di cui all’art. 5 sono sanzionati penalmente solo nei riguardi del medico (art. 12, commi 1 e 2). 8. LA FECONDAZIONE POST MORTEM. ome si è visto, l’art. 5 riserva l’accesso alla procreazione a coppie i cui memCprocreazione bri siano entrambi viventi, il che esclude che possa accedere alle tecniche di una donna vedova (art. 6, comma 4), sotto pena di sanzioni amministrative a carico del sanitario (art. 12, commi 2 e 9). La legge si esprime in termini generali, con riferimenti all’«accesso» o all’«applicazione» di tecniche, senza precisare in quale momento del complesso procedimento fecondativo sia richiesta la presenza in vita di entrambi i membri della coppia. Deve in proposito rammentarsi che potrebbe presentarsi la situazione, già decisa dal Tribunale di Palermo37, in cui una donna, rimasta vedova, chiedeva che il centro medico che aveva dato corso alla terapia antisterilità quando il marito era ancora in vita, disponesse il trasferimento in utero dell’embrione già formato con materiale genetico suo e del marito. In quell’occasione il centro medico opponeva un rifiuto stante la previsione del codice di deontologia medica che contempla il divieto di fecondazione post mortem (art 42, Codice di deontologia medica). Pertanto il giudice palermitano – nell’autorizzare il trasferimento – mise bene in luce che il divieto non poteva nella specie ritenersi applicabile, poiché l’embrione si era formato quando ancora il marito era in vita e, quindi, era necessario tutelare il suo diritto alla nascita. Una fattispecie analoga potrebbe presentarsi anche oggi, ancorché, a ben vedere, in via eccezionale stanti i tempi necessariamente ristretti che possono intercorrere fra la formazione dell’embrione e il trasferimento in utero, conseguenti al fatto che la legge prevede, in linea di principio, il divieto di crioconservazione degli embrioni (art. 14, comma 1), che, tuttavia, è ammesso in casi tassativi (art. 14, comma 3). La situazione era disciplinata nella proposta della Commissione Ministeriale del 1996 (c.d. Commissione Busnelli), ove si prevedeva che, in caso di premorienza del marito, la vedova avesse diritto a ricevere l’embrione per il trasferimento entro un anno dalla morte, e che il figlio conseguisse lo status di legittimità. La nuova legge sul punto tace ma, nonostante tra i requisiti per l’accesso alle tecniche vi sia quello relativo alla esistenza in vita di entrambi i membri della coppia, la soluzione ragionevolmente da accogliersi è tuttora quella seguita dal Tribunale di Palermo. Non v’è dubbio, infatti, che la legge vieti di avviare pratiche di procreazione nei riguardi di donna vedova mediante l’utilizzo di materiale genetico del marito prelevato dal cadavere e crioconservato, ma nulla dispone per il caso in cui il marito muoia nel corso del procedimento fecondativo, ed in particolare, dopo che l’embrione si sia formato. È vero che anche detta situazione parrebbe incorrere nel divieto dell’art. 12, ove si proibisce di «applicare» (e non «avviare») tecniche a coppie i cui membri non siano entrambi viventi, ma è anche vero che l’art. 14, vieta la soppressione di embrioni, mentre l’art. 6, comma 3, stabilisce l’inefficacia della revoca della volontà di dar corso alle tecniche che intervenga dopo la fecondazione dell’ovulo. Da quanto sopra risulta ragionevolmente sostenibile che il momento in cui deve realizzarsi il requisito della presenza in vita di entrambi i membri della coppia è quello della fecondazione dell’ovulo, mentre un successivo decesso del marito è 37 Trib. Palermo, 29 novembre 1998, in Fam e dir., 1999, 52; L. Nivarra, Fecondazione artificiale: un caso recente e un’opinione dissenziente (ma solo sul metodo), in Foro it., I, 1, 1654. 88 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS irrilevante, così come lo sarebbe, se egli fosse vivente, la revoca della sua volontà procreativa. Prevale, infatti, in entrambe le situazioni (morte o revoca) l’interesse dell’embrione i cui diritti sono solennemente «assicurati» dall’art. 1 della legge38. Il tema della fecondazione post mortem – indipendentemente dai limiti in cui la si ritenga eventualmente ammissibile – porta con sé la questione dello status giuridico del nato, sul quale la legge tace. Ci si chiede quale sia la posizione giuridica del nato da fecondazione post mortem attuata con seme del defunto marito in spregio al divieto (per esempio, all’estero), oppure lecitamente nell’ipotesi di morte del marito successiva alla formazione dell’embrione. Gli interpreti si sono pronunziati, non senza perplessità, per l’applicazione analogica della disposizione dell’art. 9, alla cui stregua il marito, che in violazione del divieto di legge abbia consentito ad una fecondazione eterologa, non può esercitare l’azione di disconoscimento della paternità39. A ben vedere, il problema presenta peculiarità che non rendono convincente il ricorso all’analogia. Infatti, stante il tenore dell’art. 232 c.c., se la formazione dell’embrione sia avvenuta quando il marito era vivente, il figlio avrà lo status di legittimo, anche qualora la nascita sia intervenuta dopo i trecento giorni dalla morte del marito (art. 234 c.c.), mentre, qualora sia avvenuta (contra legem) dopo la morte del marito e la nascita dopo trecento giorni dalla morte stessa, il figlio conseguirà lo status di figlio naturale della madre e potrà agire per la dichiarazione giudiziale di paternità, ai sensi dell’art. 276 c.c. Ciò in quanto il concepimento è avvenuto quanto il matrimonio a seguito del decesso del marito era sciolto, il che non consente al figlio di conseguire lo stato di legittimità, che presuppone appunto il vincolo matrimoniale tra i genitori. La paternità naturale non potrà però essere dichiarata nell’ipotesi in cui i convenuti dimostrino che l’inseminazione sia avvenuta per iniziativa della moglie, senza che il marito in vita avesse espresso un consenso ad utilizzare a scopo fecondativo il suo seme dopo la sua morte40. Nell’ipotesi di figlio di coppia non coniugata, avvenuta dopo il decesso dell’uomo, si tratterà di distinguere se l’embrione si sia formato quando l’uomo era in vita o successivamente alla sua morte e, in tal caso, se egli avesse o meno consentito all’inseminazione post mortem. Il consenso espresso in vita consentirà al figlio di esperire l’azione di dichiarazione giudiziale della paternità, mentre, in mancanza di espresso consenso alle operazioni di fecondazione post mortem, non si avrà nessun rapporto di filiazione e neppure il figlio potrà agire ex art. 279 c.c., dato che anche questa azione presuppone comunque un elemento volitivo da parte dell’uomo (non della procreazione ma dell’atto potenzialmente procreativo), che nella specie è carente41. 9. LA MATERNITÀ SURROGATA. tecniche mediche non hanno coinvolto il solo profilo della paterniLeticoetà:moderne anche la maternità, infatti, ha dato luogo a questioni rilevanti, sia sul piano che giuridico. Il fenomeno più noto è quello cosiddetto della «maternità surrogata», che vede una donna assumersi l’obbligo di portare a termine una gra38 R. Villani, La procreazione assistita, cit., 182; F. Naddeo, Accesso alle tecniche, in Procreazione assistita, a cura di P. Stanzione e G. Sciancalepore, 83; M. Sesta, Dalla libertà ai divieti: quale futuro per la procreazione medicalmente assistita?, in Corr. giur., 2004, 1409. 39 P. Rescigno, Una legge annunciata sulla procreazione assistita, in Corr. giur., 2002, 981; F. Naddeo, Accesso alle tecniche, cit., 183. 40 R. Villani, La procreazione assistita, cit., 189; T. Auletta, Fecondazione artificiale: problemi e prospettive, cit., 27. 41 R. Villani, La procreazione assistita, cit., 189. 89 AIAF QUADERNO 2006/2 vidanza per conto di una coppia sterile, alla quale si impegna poi a consegnare il bambino. La donna che si presta a condurre a termine la gravidanza può essere fecondata con il seme del marito, oppure ricevere il trasferimento di un embrione già concepito in vitro. Nel primo caso, si parla di maternità surrogata o di madre in affitto; nel secondo, di maternità portante o affitto di ventre42. Più precisamente, tre sono le forme di maternità surrogata note alla pratica medica: 1) donazione di ovociti a vantaggio di una donna che conduce a termine la gravidanza al fine di avere un figlio proprio; 2) maternità surrogata, nella quale il marito, con il consenso della moglie, feconda l’ovocita di una donna che si impegna a condurre a termine la gravidanza e a consegnare, dopo il parto, il bambino alla coppia committente; 3) locazione di utero, nella quale l’embrione viene formato in vitro con materiale genetico dei coniugi committenti e successivamente trasferito nell’utero della madre portante che si impegna a consegnare il bambino alla coppia. Prima dell’entrata in vigore della legge si era sviluppato un certo dibattito dottrinale e giurisprudenziale circa la legittimità della c.d. maternità surrogata che, per lo più, veniva considerata illecita ed era vietata dal codice di deontologia medica, anche se non mancavano voci dissenzienti43. Il caso si affacciò prepotentemente all’attenzione dell’opinione pubblica e dei giuristi in ambiente statunitense, in quella vicenda che la stampa indicò come il caso Baby M.: due coniugi, attraverso la mediazione di un centro di cura della sterilità, si accordarono con una donna resasi disponibile a farsi fecondare con il seme del marito ed a consegnare il bambino alla nascita, rinunciando ai propri diritti di madre. Intervenuto il pentimento della donna, i coniugi si rivolsero al giudice, chiedendo di condannarla a consegnare la bambina che, in forza del contratto, doveva considerarsi loro figlia44. In Italia, la scarsa giurisprudenza formatasi prima della entrata in vigore della l. n. 40/200445 rinveniva la nullità dei contratti in questione nella mancanza nell’oggetto dei prescritti requisiti della possibilità e della liceità, alla stregua degli artt. 1418, comma 2, e 1346 c.c.: non possono infatti formare oggetto del contratto gli status personali, né la potestà dei genitori ed i diritti personali del minore ad essere educato e mantenuto da chi lo ha generato. Si riteneva altresì ricorressero gli estremi della nullità del contratto anche sulla base del disposto dell’art. 1343 c.c., laddove il negozio presentasse il carattere dell’onerosità; con conseguente esclusione del diritto dei coniugi committenti a ripetere le eventuali somme già versate a titolo di compenso alla 42 G. Cassano, La fecondazione assistita, Milano, 2001, 56; C. Flamigni, Il libro della procreazione, cit., 443. 43 Per un ampio quadro si vedano G. Cassano, La fecondazione assistita, cit.; G. Baldini, Tecnologie giuridiche e problemi riproduttivi, Torino, 1999; F. Bilotta, La maternità surrogata, in A. Liberati, F. Bilotta, Diritti della personalità e biotecnologie, Roma, 1999; G. Ferrando, Libertà, responsabilità e procreazione, Padova, 1999; C. Flamigni, Il libro della procreazione, cit.; Aa. Vv., Una norma giuridica per la bioetica, a cura di C.M. Mazzoni, Bologna, 1998; R. Bitetti, Contratti di maternità surrogata adozione in casi particolari e interesse del minore, in Nuova giur. civ. comm., 1994, 179; I. Corti, La maternità per sostituzione, Milano, 2000; M. Sesta, La maternità surrogata tra deontologia, regole etiche e diritto giurisprudenziale, in Corr. giur., 2000, 483; C. Shalev, Nascere per contratto, trad. it., Milano, 1992; M. Calogero, La procreazione artificiale, Milano, 1989; R. Clarizia, Procreazione artificiale e tutela del minore, Milano, 1988; Aa. Vv., La procreazione artificiale fra etica e diritto, a cura di G. Ferrando, Padova, 1989; Aa. Vv., Procreazione artificiale e interventi nella genetica umana, Padova, 1987; A. Trabucchi, Procreazione artificiale e genetica umana nella prospettiva del giurista, cit., 495; R. Lanzillo, Fecondazione artificiale, “locazione” di utero, diritti dell’embrione, in Corr. giur., 1984, 635; A Santosuosso, Per ricorrere al soccorso della tecnologia basta la sola certificazione di sterilità, in Guida al dir., Le prospettive della famiglia, 3 marzo 2004, 29. 44 Sul caso Baby M., e, più in generale, sul dibattito dei problemi legati alla fecondazione artificiale nell’ottica del diritto statunitense cfr. C. Shalev, Nascere per contratto, cit., G., Giaimo, Biogenetica e dato giurisprudenziale nell’esperienza di common law, in Vita not., 1996, 536; 45 Trib. Monza, 27 ottobre 1989, in Dir. fam., 1990, 174. 90 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS madre surrogata, giusta l’art. 2035 c.c. Si era distinta, nel panorama giurisprudenziale italiano, una ordinanza del Tribunale di Roma che, non senza suscitare le più svariate e vivaci reazioni, ritenne legittimo l’accordo di maternità surrogata – nella specie comportante l’impegno della madre portante al trasferimento di un embrione formato da materiale genetico della coppia committente – qualora non fosse previsto un corrispettivo e, considerati i motivi espressi dalle parti, non fosse diretto ad eludere le norme sull’adozione e sull’indisponibilità degli status. Conseguentemente, valutato come legittimo il contratto concluso tra coppia committente e medico (nella specie, prima dell’entrata in vigore del codice di deontologia medica) avente ad oggetto la fecondazione in vitro con maternità surrogata, il giudice autorizzò il trasferimento dell’embrione nell’utero della madre portante46. Oggi la legge n. 40/2004 pone espressamente il divieto, sanzionato penalmente in maniera assai severa anche nei riguardi della coppia committente e della madre portante, oltre che del medico (art. 12, commi 6 e 8)47. Inoltre, il disposto dell’art. 9, comma 3, conferma che la donna che ha partorito è l’unica cui è attribuita la maternità, essendo giuridicamente irrilevante il fatto che l’embrione che le sia stato trasferito in utero fosse formato da materiale genetico altrui (la madre committente); il che risolve in radice le delicate questioni di status del nato a seguito di surrogazione che erano state affrontate in dottrina prima dell’approvazione della legge48. 10. CONCLUSIONI. ricognizione della normativa in materia di procreazione medicalmente assiLin astita sinora compiuta ha consentito di porre in luce come alcune disposizioni essa previste relativamente all’attribuzione dello status del figlio concepito in violazione del divieto di fecondazione eterologa e segnatamente quelle concernenti l’attribuzione di paternità e l’affermazione dell’estraneità del donatore, si pongano in contrasto con la tendenza propria dell’ordinamento a far coincidere la verità biologica della procreazione con quella legale. Più nello specifico, può dirsi come la legge 19 febbraio 2004 n. 40 – quantomeno nelle disposizioni che si sono analizzate – si ponga in antitesi con una tendenza, che ormai da qualche tempo va consolidandosi, specie in seno alla dottrina ed alla giurisprudenza più avvertite, che depone nel senso di un’interpretazione delle norme codicistiche che assicuri il più possibile l’emersione della verità biologica del rapporto di filiazione anche se in contrasto con quella legale. Quali esempi, recenti ed emblematici, della tendenza interpretativa evocata si considerino due recenti decisioni della Consulta, la n. 50 del 10 febbraio 2006 con cui è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 2, 24, 30, 111 Cost., dell’art. 274 c.c. che, come noto, sottoponeva l’azione di dichiarazione giudiziale della genitorialità ad un previo giudizio di ammissibilità49 e la n. 266 del 6 luglio 2006, che ha dichiarato l’incostituzionalità, per con46 Trib. Roma, ord. 17 ottobre 2000, in Corr. giur., 2000, 483, con nota di M. Sesta, La maternità surrogata tra deontologia, regole etiche e diritto giurisprudenziale. 47 S. Canestrari, Procreazione assistita: limiti e sanzioni, cit., 420. 48 G. Ferrando, Libertà, responsabilità e procreazione, cit., 445; M. Dogliotti, Maternità surrogata”: contratto, negozio giuridico, accordo di solidarietà?, in Fam. e dir., 2000, 156. 49 Corte cost., 10 febbraio 2006, n. 50, in Fam. e dir., 2006, 237, con nota di M. Sesta, L’incostituzionalità dell’art. 274 c.c.: è ancora possibile la delibazione dell’interesse del minore? 91 AIAF QUADERNO 2006/2 trasto con gli artt. 3 e 24 Cost., dell’art. 235, comma 1, n. 3 c.c. nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento di paternità, subordinava l’esame delle prove tecniche da cui risulta che “il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre”, alla previa dimostrazione, con prove distinte, dell’adulterio della moglie50. Trattasi, come risulta agevole avvedersi, di interventi giurisprudenziali – giunti peraltro a seguito di ripetute sollecitazioni dottrinali – miranti ad attribuire alle risultanze delle indagini genetico-ematologiche un ruolo centrale nella proposizione delle azioni in questione. Non solo, ma, come si è detto poc’anzi, l’ormai compiuta presa di coscienza che la consapevolezza delle proprie origini biologiche sia un diritto da assicurare tendenzialmente ad ogni individuo, ha indotto lo stesso legislatore, con la recente legge n. 1. 149/2001, a procedere ad un adeguamento in tal senso anche della disciplina della filiazione adottiva. La normativa in tema di procreazione medicalmente assistita rappresenta, in conclusione, un punto di contraddizione con la tendenza descritta, segnando un ritorno verso un sostanziale favor legitimitatis che, oltre a denotare profili di incoerenza interna alla stessa legge n. 40/200451, non sembra francamente giustificarsi nell’odierna realtà sociale permeata dal sempre maggiore riconoscimento di principi e valori di segno opposto. 50 Corte cost., 6 luglio 2006, n. 266, in Fam. e dir., 2006, 461, con nota di E. Bolondi, L’azione di disconoscimento della paternità può essere accolta anche sulla base delle sole risultanze delle indagini genetiche o ematologiche. 51 In proposito si rinvia a quanto rilevato sub par. 4.2. 92 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS L’ argomento che mi propongo di trattare oggi mi pare si ponga non solo come logica conclusione di quanto fin qui si è detto sulla possibilità, o se preferite, sulla opportunità o necessità di prevedere un unico status di filiazione, ma mi pare che consenta anche di avanzare qualche considerazione di carattere più generale. A trent’anni dalla riforma del 1975 si pone con assoluta urgenza una disciplina “moderna” del cognome dei figli. Anzi, potremmo quasi dire che l’attuale normativa è probabilmente nata già vecchia. D’altro canto, questa affermazione un po’ provocatoria mi pare, al contrario, possa trovare conferma in alcune semplici considerazioni: nel 1975 si è omesso di dettare una specifica normativa sul cognome dei figli tranne che nei casi in cui era necessario. Ci si è rimessi alla consuetudine per la filiazione legittima e si è disciplinata l’assunzione del cognome dei figli naturali in quanto necessario; nulla si è previsto in caso di perdita dello status sia per la filiazione legittima, che per la filiazione naturale. Quanto al perché di tale “scelta” legislativa non è difficile da individuare: nonostante le evidenti ed inequivocabili tendenze alla parificazione degli status, della condizione giuridica di figli legittimi e figli naturali, quella mentalità che vuole, da un lato, la famiglia identificata nella persona del marito-padre e, dall’altro, la condizione di figlio legittimo come la più tutelante per il figlio stesso, era ancora forte e radicata. Ne sono state logica conseguenza il perdurare della regola non scritta della trasmissione del cognome paterno e la preferenza per lo stesso in caso di filiazione naturale e di secondo riconoscimento. Non a caso, quindi, il secondo comma dell’art. 262 c.c. prevedeva il solo caso di secondo riconoscimento paterno e di assunzione del suo cognome, nulla disponendo per la diversa ipotesi – rara ma pur sempre possibile – che fosse la madre a riconoscere in un momento successivo: il cognome del padre, già assunto, non aveva ragione di essere modificato in quanto ritenuto il “migliore” per il figlio. MODIFICAZIONI DELLO STATUS DI FIGLIO E CONSEGUENZA SUL COGNOME MIMMA MORETTI DOCENTE DI DIRITTO DI FAMIGLIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO L’altra considerazione di carattere generale potrebbe, a prima vista, sembrare una “stranezza”; in realtà a me sembra una coincidenza per nulla strana. La strada verso il cambiamento, verso la nuova disciplina del cognome dei figli, passa attraverso le sentenze della Corte costituzionale così come avviene per l’altra palese ipotesi di necessario svecchiamento della disciplina della filiazione naturale. Mi riferisco ovviamente alla parentela naturale e, in particolare, alla posizione dei cosiddetti fratelli naturali. In entrambi i casi la Corte, chiamata a pronunciarsi più volte sulla questione di legittimità delle norme che vi si riferiscono, ha dato la medesima risposta: i tempi sono ampiamente maturi per la modifica, ma spetta al legislatore provvedere. Anche qui mi pare che le ragioni di questa impossibilità a dettare la nuova nor93 AIAF QUADERNO 2006/2 mativa non possano che essere ritrovate nella difficoltà di superamento della vecchia concezione e anche, permettetemi, nella mentalità, tutta italiana, di credere – e quindi di temere – che disciplinare in modo antitradizionale singoli aspetti di diritto familiare apra la strada alla distruzione dei valori e in modo specifico alla fine della famiglia legittima. Mi sembra veramente inutile sottolineare come ben altri siano i valori della stessa famiglia, certamente non intaccabili né dalla previsione di una diversa disciplina del cognome dei figli né dal riconoscimento di un vero rapporto di parentela tra persone dello stesso sangue. Nell’attesa che “qualcuno voglia provvedere” e prenda in seria considerazione l’una e l’altra questione, si tratta qui di analizzare non tanto e non solo le attuali regole dell’attribuzione del cognome con particolare riferimento al caso di modifica di status, ma proprio vedere come potrebbe, e probabilmente dovrebbe, essere la nuova disciplina del cognome in caso di parificazione degli status stessi. Il discorso in materia non può che differenziarsi tra filiazione legittima e filiazione naturale, da un lato, e, dall’altro, tra acquisto del cognome o perdita dello stesso. Va peraltro rilevato come i risultati raggiunti nell’uno e nell’altro caso sono ispirati al medesimo principio, al rispetto della conservazione del cognome quale segno dell’identità personale. Posta quale premessa la necessaria correlazione tra acquisto dello status e acquisto del cognome, si può innanzitutto dire come alla nascita, qualora il figlio sia denunciato quale legittimo, in forza di norma consuetudinaria egli assume il cognome del padre, quello stesso cognome che deve considerarsi cognome familiare in quanto anche la madre lo ha aggiunto al proprio a termini dell’art. 143 bis c.c. Il cognome attribuitogli, dunque, unitamente al nome proprio, costituirà mezzo della sua identificazione personale ma, al contempo, lo identificherà come membro di quella determinata famiglia costituita dal padre, dalla madre e dalla prole da loro generata. Non solo, ma la regola dell’attribuzione del cognome paterno lo renderà visibilmente appartenente anche a tutta la famiglia allargata secondo la linea paterna. Secondo questa idea, che viene ritenuta la migliore, è stata pensata anche l’attribuzione del cognome al figlio di genitori non coniugati qualora entrambi contestualmente instaurino il rapporto di filiazione: gli si attribuisce il cognome paterno del tutto indipendentemente dalla circostanza che i genitori convivano ponendo in essere una famiglia naturale. Anche se dovesse essere certo che il padre, dopo il riconoscimento, si limiterà a sostenere il figlio economicamente senza partecipare minimamente alla sua crescita personale, al figlio viene imposto il suo cognome: si crea così quel senso di appartenenza ad un famiglia che non sussiste né nella realtà né giuridicamente. La necessaria unilateralità del rapporto di filiazione naturale ha comportato peraltro, e non potrà che continuare ad essere così anche a seguito di qualsivoglia riforma ed unificazione degli status, che si sia prevista l’ipotesi di riconoscimento da parte di un solo genitore, il cui cognome sarà quello assunto dal figlio al momento del riconoscimento stesso. Va infine ricordato come il diritto ad avere un nome comporti che questo venga attribuito dall’ufficiale dello Stato civile ogniqualvolta il nato sia privo di status: la necessaria formazione dell’atto di nascita, che deve comprendere nome e cognome della persona cui si riferisce fa sì che tali indicazioni siano opera della 94 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS fantasia dell’ufficiale di Stato civile là dove i genitori siano ignoti, il che ovviamente non si realizza solo nel caso di effettiva mancata conoscenza di coloro che hanno generato il bambino, ma anche in tutte le ipotesi di mancata instaurazione del rapporto di filiazione nonostante la piena conoscenza quanto meno della madre del nato. È certamente superfluo ritornare su quanto è stato efficacemente illustrato ieri, per cui basti qui portare il classico esempio di dichiarazione di nascita da cui risulti la volontà della madre di non essere nominata. Se questa è, in linea di massima, la disciplina dell’acquisto del cognome al momento della nascita ben può essere che il problema dell’assunzione dello stesso si ponga in un momento successivo. Questione, questa, che si pone sia tutte le volte in cui l’acquisto dello status avvenga a distanza di tempo dalla nascita stessa, sia qualora vi sia una modifica dello status stesso in senso negativo, ossia qualora il titolare di un cognome perda lo status cui il cognome era associato. Iniziando dal volto positivo della questione, ossia dall’acquisto dello status in un momento posteriore rispetto alla nascita, il pensiero corre subito verso l’ipotesi di riconoscimento di figlio naturale: la volontarietà dello stesso è tale per cui sia la madre che il padre ben possono non instaurare il rapporto di filiazione se non in un momento successivo. È bene ricordare, infatti, che il nostro ordinamento continua ad escludere l’automatismo anche del riconoscimento materno a differenza di quanto avviene in molti altri ordinamenti, compresa la Francia che recentemente ha modificato non solo tutto l’impianto della filiazione, ma anche questo specifico aspetto. Dunque, alla nascita il bambino può risultare figlio di due genitori, di uno solo o anche di nessuno con la conseguente applicazione delle regole sul cognome di cui abbiamo detto. Il riconoscimento a distanza di tempo – così come l’eventuale accoglimento di una domanda di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale - fa sì che si abbia acquisizione dello status di figlio naturale, qualora non fosse stato riconosciuto da nessuno dei due genitori, ovvero che il suo status si modifichi in quanto si instaura un nuovo rapporto di filiazione; in ogni caso, potrebbe aversi, quale conseguenza, una modifica del cognome. D’altro canto, oltre a questa prima ipotesi di modifica dello status relativa alla filiazione naturale, va ricordato come anche per la filiazione legittima si possa parlare di acquisto dello status in un momento cronologicamente distante dalla nascita: basti pensare all’azione di reclamo della legittimità, così come all’adozione piena o alla legittimazione di figlio naturale, casi, questi ultimi, con i quali si acquisisce rispettivamente la condizione di figlio adottivo o di figlio legittimato, condizione del tutto equiparabile, quanto agli effetti, a quella di figlio legittimo. Modifiche dello status con ripercussioni in ordine al cognome si possono avere anche in ipotesi per così dire negative, qualora si perda lo status precedentemente acquisito: si pensi alla contestazione ed al disconoscimento per la filiazione legittima o all’impugnazione del riconoscimento. Se è certo che per il figlio legittimo, che porta necessariamente il cognome paterno, la perdita dello status in via generale comporta anche la perdita di tale cognome, nel caso di filiazione naturale l’impugnazione del riconoscimento comporta questo effetto nell’ipotesi in cui il figlio portasse il cognome della persona che ha agito vittoriosamente per l’impugnazione. 95 AIAF QUADERNO 2006/2 Tutto ciò premesso, e prima di entrare nel merito delle singole questioni, va ricordato che le arretratezze della nostra disciplina in ordine al cognome sono state ampiamente superate da una giurisprudenza costituzionale, poi tradottasi anche in previsioni normative, che ha fissato un chiaro principio: la modifica del cognome quale conseguenza della modifica dello status incontra il limite del diritto alla propria identità personale, di cui il cognome è uno degli aspetti fondamentali. Massima ormai consolidata è quella che il cognome, qualunque sia la sua origine, nel momento in cui diventa segno distintivo della propria identità personale, non può essere cancellato tranne che per espressa volontà dell’interessato. La forza di tale principio, affermato con chiarezza inizialmente in caso di disconoscimento di paternità e di riconoscimento di figlio naturale, ha trovato in seguito esplicita disciplina legislativa nel nuovo Ordinamento dello Stato civile: in caso di legittimazione l’art. 33 al primo comma, dopo aver sancito che “il figlio legittimato ha il cognome del padre”, subito dopo precisa che egli, se maggiorenne, può scegliere in ordine al proprio cognome e al secondo che tale potere di scelta spetta a chiunque, maggiorenne, si trovi, a causa del mutamento del cognome del genitore o a causa di riconoscimento, a dover teoricamente modificare il proprio cognome. In altri termini, qualunque sia stata la causa dell’acquisto - sia essa indice di un rapporto di filiazione o sia anche stato attribuito quale cognome di “fantasia” dall’ufficiale dello Stato civile – quando il cognome originario costituisce elemento fondamentale di identificazione, esso appartiene al suo titolare e non vi è nessuna vicenda, costitutiva o estintiva, del rapporto di filiazione che possa escludere il diritto al proprio cognome. Pare dunque chiaro il pieno riconoscimento di tale diritto anche se si deve rilevare come esso venga legislativamente previsto in capo al solo maggiorenne, tranne che per il caso di secondo riconoscimento: l’ultimo comma dell’art. 262 c.c. rimette al giudice il potere di valutare l’opportunità della modifica del cognome in caso di secondo riconoscimento paterno. Ciò nonostante, pare corretto estendere la possibilità di tale valutazione giudiziaria a tutte le ipotesi in cui la modifica riguardi un soggetto minore di età. La prova che il cognome fino ad allora portato è divenuto segno di identificazione personale deve pertanto potersi fornire anche in tutti i casi di acquisto o di perdita dello status di un minore di età. A questa conclusione pare corretto giungere anche valutando la evoluzione della giurisprudenza relativa al 2° comma del 262 c.c.: se inizialmente era evidente un chiaro preconcetto a favore del cognome paterno – giungendo dunque ad affermare che solo gravi e circostanziati motivi possono giustificare la sua mancata attribuzione – attualmente la linea guida è proprio quella dell’interesse del minore e la decisione, sempre più favorevole al mantenimento del cognome materno quanto meno in aggiunta a quello paterno, è fondata sul cognome quale segno di identità personale. Unica effettiva eccezione sembra essere l’ipotesi di adozione che si caratterizza proprio per l’effetto legittimante e per la risoluzione dei rapporti con la famiglia di origine: l’assunzione del cognome degli adottanti realizza anche esteriormente questo doppio effetto. È chiaro che, là dove si giunga ad una diversa disciplina del cognome dei figli, la assunzione del cognome del figlio adottivo seguirà le stesse regole. D’altra parte, è agevole rilevare come la ragione della sicura assunzione del cognome degli adottanti come conseguenza della rescissione dei rapporti con la 96 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS famiglia di origine appare chiara se solo si pensa alla diversa disciplina dell’adozione non legittimante là dove è prevista l’assunzione del doppio cognome quale simbolo dell’appartenenza a due famiglie. Non solo, ma la regola del doppio cognome ha trovato inoltre una specifica affermazione in alcune sentenze della Corte costituzionale che hanno dichiarato sia l’illegittimità del 2° comma nel quale si prevedeva che l’adottato non riconosciuto dovesse assumere il solo cognome degli adottanti sia, d’altro canto, la piena legittimità della regola che vuole il cognome degli adottanti anteposto a quello originario. Il principio della conservazione del nome quale segno distintivo della propria identità personale ha così trovato esplicita applicazione anche in tema di adozione: ciò che rileva ai fini della costituzionalità delle norme è che l’adottato non perda il proprio cognome qualunque ne sia stata l’origine, risultando invece del tutto indifferente l’ordine dei cognomi stessi. Non a caso, infine, l’adozione in casi particolari presenta un’eccezione: trattandosi dell’adozione da parte del coniuge del genitore, il figlio così adottato continuerà a mantenere il cognome del padre quale indice di appartenenza alla famiglia del genitore o assumerà quello del marito della madre. In tutte le ipotesi, quindi, in cui si tratta di un nucleo familiare, questo si modella ad immagine della famiglia legittima con l’attuale prevalenza del cognome paterno. A conclusione, pare giusto domandarsi in che modo un’eventuale modificazione legislativa possa influire sulle regole su esposte. Prima fra tutte, potrebbe darsi una diversa scelta in ordine all’automatismo del riconoscimento materno. Se così fosse, figlio di genitori ignoti con conseguente attribuzione del cognome di fantasia si avrebbe nel solo caso di bambino abbandonato. Le regole del cognome del figlio naturale non potrebbero invece modificarsi per quanto concerne l’instaurazione unilaterale del rapporto di filiazione. Ne consegue che potrà sempre darsi la presenza di un solo genitore e l’assunzione del suo cognome. Qualora vi sia invece riconoscimento contestuale di entrambi i genitori, le regole dovranno essere le stesse previste per la filiazione legittima: dunque il cognome paterno allo stato attuale; la diversa regola che verrà invece introdotta. Quanto alla eventuale modifica dello status, al di là del superamento della legittimazione – istituto che perderebbe ogni senso – ogni altra azione manterrebbe inalterata la propria ragione. 97 AIAF 98 QUADERNO 2006/2 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS L a disciplina dei conflitti di leggi in materia di accertamento del rapporto di filiazione è contenuta nella legge di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato (l. 31 maggio 1995, n. 218), ed in particolare negli artt. 33, 34 e 351. I tre articoli introducono disposizioni specifiche per l’accertamento di ciascuna delle tipologie di filiazione oggi note al sistema normativo italiano2. Il legislatore del 1995, infatti, oltre a tener ferma la “summa divisio” tra filiazione legittima e naturale, in linea con la generale tendenza alla specializzazione delle norme di collegamento che caratterizza l’intero impianto della riforma, disciplina in modo assai dettagliato anche gli istituti della legittimazione e del riconoscimento del figlio naturale. A proposito del riconoscimento, poi, il ricorso alla tecnica legislativa nota come frazionamento della fattispecie3 determina l’introduzione di tre distinte norme di collegamento, rispettivamente dedicate alla verifica della validità sostanziale dell’atto, all’accertamento della sua validità formale ed all’individuazione dei requisiti di capacità in capo al soggetto che pone in essere il riconoscimento. In una prospettiva generale, l’insieme delle suddette disposizioni pare ispirato a due principi di fondo. Da un lato, gli artt. 33, 34 e 35 l. 218/1995 affermano la tendenziale centralità della posizione del figlio nella regolamentazione dei rapporti di cui è protagonista: se questo aspetto costituisce un evidente profilo di continuità rispetto all’impostazione seguita nella riforma del diritto di famiglia del 1975, va precisato che la centralità del figlio nell’ambito del sistema di diritto internazionale privato non può che manifestarsi attraverso il particolare utilizzo dell’unico criterio di collegamento che il legislatore ha ritenuto di utilizzare in materia di filiazione: la cittadinanza. La legge nazionale del figlio, infatti, è oggetto di richiamo ora in via esclusiva (art. 33, 1° comma, relativo all’accertamento del rapporto biologico) ora in concorso alternativo con la legge di uno solo dei genitori o di entrambi (v., rispettivamente, art. 35, 1° comma e 34, 1° comma). Vi sono tuttavia alcune eccezioni, in relazione alle quali essa non è oggetto di richiamo: si tratta delle ipotesi di accertamento della filiazione legittima (art. 33, 2° comma) e della legittimazione per cause diverse dal susseguente matrimonio (art. 34, 2° comma)4. LA DISCIPLINA INTERNAZIONALPRIVATISTICA DELL’ACCERTAMENTO DELLO STATUS DI FIGLIO 1 2 3 4 FILIPPO CORBETTA AVVOCATO IN MILANO, DIPARTIMENTO DI STUDI INTERNAZIONALI, UNIV. DEGLI STUDI DI MILANO In argomento, V. C. Campiglio, Artt. 33-35, in F. Pocar e altri, Commentario del nuovo dir. int. priv., Padova, 1996, p. 178 ss. L’art. 33 disciplina l’accertamento sia del rapporto biologico (1° comma) sia della filiazione legittima (2° comma), l’art. 34 è dedicato alla filiazione legittimata, l’art. 35 al riconoscimento della filiazione naturale. V. sul punto, F. Mosconi, C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Parte generale e contratti, 3a ed., Torino, 2006. p. 155 ss. L’art. 33, 2° comma, infatti, richiama la legge dello Stato di cui uno dei genitori è cittadino al momento della nascita del figlio, mentre l’art. 34, 2° comma, rinvia alla legge dello Stato di cui è cittadino, al momento della doman99 AIAF QUADERNO 2006/2 Se, dunque, fatte salve le eccezioni evidenziate, le norme di collegamento dedicate alla filiazione esaltano la centralità della posizione del figlio, dalle stesse disposizioni emerge con altrettanta chiarezza un atteggiamento di favore per il conseguimento del risultato più vantaggioso nell’interesse di quest’ultimo, e cioè, secondo l’impostazione recepita, almeno in linea di principio, anche nella Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, per l’effettivo accertamento del rapporto di filiazione5. Anche se il c.d. “favor filiationis” non ha indotto il legislatore del 1995 a formulare norme di diritto internazionale privato materiale, diversi aspetti delle disposizioni di cui agli artt. 33, 34 e 35 pongono infatti in chiara luce la volontà di favorire l’esito positivo della valutazione demandata all’interprete. In primo luogo, il sistematico ricorso al c.d. “concorso alternativo” di leggi applicabili consente l’accertamento della filiazione alla stregua dell’una o dell’altra legge nazionale. A ciò va aggiunto che, in base ad un’esplicita scelta legislativa, la contestazione dello status attribuito in base alla legge materiale di un determinato Stato non può che muovere dalla stessa legge: è quanto espressamente stabilito in relazione all’accertamento del rapporto biologico (art. 33, 3° comma, 1° inciso) ed in materia di contestazione della filiazione legittima (art. 33, 3° comma, 2° inciso). È, inoltre, del tutto plausibile l’ipotesi formulata in dottrina secondo la quale la portata del principio da ultimo enunciato possa estendersi alla contestazione della legittimazione conseguita per susseguente matrimonio, stante la generalizzata equiparazione della condizione del figlio legittimato per effetto di nozze celebrate dopo la sua nascita rispetto a quella del figlio nato da genitori già uniti in matrimonio6. L’impostazione seguita dal legislatore del 1995, infatti, impedisce che il concorso alternativo di leggi potenzialmente applicabili, utilizzato per favorire almeno tendenzialmente il raggiungimento di un esito favorevole per il figlio, aumenti le probabilità di raggiungere risultati pregiudizievoli per quest’ultimo: è quello che si verificherebbe se fosse ammessa la contestazione dello status già attribuito in base ad una legge diversa da quella che ammette lo stabilimento del rapporto e con essa concorrente. Un ulteriore indice del favor verso il positivo accertamento del rapporto è ravvisabile nell’art. 13, 3° comma, l. 218/1995: nell’ambito della disciplina del rinvio, infatti, il legislatore espressamente subordina l’efficacia di tale meccanismo nell’accertamento della filiazione al raggiungimento dell’esito più vantaggioso per il figlio, e cioè all’applicazione della legge di maggior favore per lo stabilimento della filiazione7. In altri termini, in materia di accertamento dello status di 5 6 7 da, il genitore nei cui confronti il figlio viene legittimato. Convenzione sui diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 20 novembre 1989 (vedila in R. Luzzatto, F. Pocar, Codice di diritto internazionale pubblico, Torino, 1998, p. 237 ss. Si rimanda a quanto osservato da R. Clerici, Dichiarazione giudiziale di paternità e diritto marocchino, in Fam. dir., 2002, p. 452, a proposito della formulazione degli art. 7.1 e 8.1 della Convenzione: la prima di tali norme stabilisce solo “nella misura possibile” il diritto del fanciullo a conoscere i propri genitori; la seconda attribuisce al fanciullo il diritto a preservare le proprie relazioni familiari “così come sono riconosciute dalla legge”. Secondo l’Autrice, il tenore letterale di dette disposizioni potrebbe indurre taluni Stati contraenti (ed in particolare quelli a statuto musulmano, che non consentono lo stabilimento di un rapporto opponibile al padre al di fuori del matrimonio) ad interpretarle in senso penalizzante per il fanciullo, comprimendo oltre misura i diritti allo stesso attribuiti. F. Mosconi, C. Campiglio, Diritto internazionale privato e processuale. Parte speciale, 2a ed., Torino, 2006, p. 100. In generale sul meccanismo del rinvio v. P. Picone, Il rinvio nel diritto internazionale privato, in P. Picone, Studi di diritto internazionale privato, Napoli, 2003, p. 655 ss. Con specifico riferimento al meccanismo del rinvio in materia di filiazione, Id., Modalità di designazione della legge applicabile nel diritto internazionale privato della famiglia, Ibidem, p. 675 ss., spec., p. 685 ss. 100 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS figlio, occorre tener conto del rinvio solo nel caso in cui esso consenta di affermare la sussistenza del rapporto biologico mentre le norme materiali dell’ordinamento richiamato in prima battuta escludono tale risultato, oppure qualora attraverso il rinvio si renda applicabile il diritto di uno Stato che consenta di pervenire all’accertamento di uno status più vantaggioso rispetto quello attribuito in base alla prima legge (ad es., lo stato di figlio legittimo in luogo di quello di figlio naturale). Individuate le due direttrici di fondo seguite nella redazione delle norme di diritto internazionale privato in materia di filiazione, è opportuno passare ad una sommaria analisi delle singole disposizioni contenute negli artt. 33, 34 e 35, al fine di evidenziare i principali problemi interpretativi sino ad ora individuati da dottrina e giurisprudenza. Punto di partenza obbligato è il disposto dell’art. 33, 1° comma, che, come già accennato, demanda alla legge nazionale del figlio l’attribuzione del relativo status. Il testo della norma pare senza dubbio confermare la tendenza a collocare il figlio al centro della disciplina dei rapporti di cui è protagonista (la sua legge nazionale è, in questo caso, l’unica suscettibile di applicazione); va anche osservato che la norma mantiene il diretto interessato in posizione di equidistanza rispetto ai genitori, recependo in tal modo i principi dettati nel 1987 dalla Corte Costituzionale in materia di parità tra uomo e donna nelle varie declinazioni possibili in ambito familiare (marito/moglie; padre/madre)8. Sotto un ulteriore profilo, l’art. 33, 1° comma, favorisce una certa stabilità dell’accertamento dello status di figlio, ancorando il richiamo alla legge nazionale di quest’ultimo al momento della nascita: in questo modo si elimina il rischio che da eventuali mutamenti della cittadinanza dell’interessato derivino nuove contestazioni dello status già accertato. Tuttavia, l’art. 33, 1° comma, suscita perplessità proprio in quanto non richiama altra legge al di fuori del diritto dello Stato di cui il figlio è cittadino al momento della nascita. Con una scelta di tal segno, infatti, il legislatore esclude la tecnica del concorso alternativo di leggi (ed i benefici che ne derivano sotto il profilo del favor filiationis) proprio in relazione all’accertamento del rapporto biologico, che costituisce il presupposto necessario di ciascun altro tipo di rapporto più vantaggioso per il figlio. A ciò va aggiunto che, in una serie di ipotesi, la formulazione dell’art. 33, 1° comma, può determinare una situazione di notevole incertezza già nel momento dell’individuazione della legge. Molti ordinamenti statali, infatti, e tra essi l’Italia, attribuiscono la propria cittadinanza secondo il criterio dello ius sanguinis: secondo il principio generale introdotto dalla vigente l. 5 febbraio 1992, n. 91, è cittadino italiano il figlio di almeno un genitore italiano9. In questi casi, come puntualmente rilevato in dottrina, può determinarsi il c.d. “circolo vizioso” tra due questioni reciprocamente preliminari: l’interprete è chiamato a stabilire quale sia la legge nazionale del figlio alla luce di un rapporto di filiazione; tuttavia, proprio in base alla legge nazionale “trasmessa” per effetto del legame di sangue, andrebbe verificata l’effettiva sussistenza dello sta8 9 Corte Cost., 26 febbraio 1987 n. 71 e Corte Cost. 10 dicembre 1987, n. 477, rispettivamente in Riv. dir. int., 1987, p. 417 e Riv. dir. int. priv. proc., 1988, p. 67. Ampiamente, sull’argomento, R. Clerici, La cittadinanza nell’ordinamento giuridico italiano, Padova, 1993, p. 209 ss. 101 AIAF QUADERNO 2006/2 tus di figlio10. Nonostante in dottrina sia stata correttamente rilevata l’impossibilità di configurare le due questioni quali reciprocamente preliminari (l’accertamento di un rapporto di filiazione rientra nell’ambito della materia civilistica mentre l’attribuzione della cittadinanza da parte di ciascun ordinamento statale ha senza dubbio rilevanza pubblicistica)11, non di meno nelle ipotesi richiamate resta evidente il corto circuito che si viene a creare: l’accertamento operato dal giudice alla stregua di una determinata legge nazionale potrebbe rivelarsi viziato proprio dalla non corretta individuazione della legge di cittadinanza del figlio. E questa situazione determinerebbe un grave pregiudizio al diritto universalmente riconosciuto al figlio di conoscere la propria effettiva ascendenza biologica. Sotto un differente profilo, dal punto di vista della disciplina italiana in materia di cittadinanza, il diniego giudiziale del rapporto di filiazione potrebbe addirittura porre in discussione la cittadinanza italiana attribuita al figlio proprio in base all’ipotizzato rapporto biologico, poi vittoriosamente contestato. Si tratterebbe, si noti bene, non già di un’ipotesi di perdita della cittadinanza già acquisita, ma di un caso di mancato acquisto ab origine dello status civitatis12. Va, tuttavia, ricordato che, in siffatta ipotesi, dovrebbero venire in rilievo le disposizioni contenute nella già richiamata legge italiana sulla cittadinanza (l. 91/92) che impongono l’attribuzione della cittadinanza italiana al fine di impedire la creazione di nuove situazioni di apolidia13. Analoga soluzione è configurabile nel caso in cui la madre rifiuti di comparire nell’atto di nascita ed il padre sia ignoto, oppure nell’ipotesi in cui il figlio nasca in Italia da genitori la cui legge nazionale non contempli la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis: il figlio sarebbe considerato cittadino italiano sin dalla nascita, e la legge materiale italiana verrebbe in rilievo in via esclusiva in tutti i casi di accertamento giudiziale della filiazione. Nell’ambito delle azioni di accertamento positivo o negativo della filiazione, infatti, l’art. 33, 3° comma, impone il ricorso alla legge nazionale del figlio al momento della nascita per determinare i presupposti e le conseguenze sia dell’attribuzione del relativo status, sia della sua contestazione. In questo senso, l’orientamento della Suprema Corte appare costante14. Non pare, quindi, condivisibile la, pur autorevolissima, opinione di chi ipotizza l’applicabilità nell’ambito degli accertamenti in parola delle leggi richiamate in concorso alternativo dall’art. 35, 1° comma, dedicato al riconoscimento del figlio naturale15. Tale teoria ha l’indiscutibile pregio di consentire, almeno in relazione alle controversie attinenti all’accertamento del rapporto, il concorso alternativo di diverse leggi nazionali. Non sembra, tuttavia, possano essere equiparate ipotesi nelle quali occorre rivolgersi al giudice per ottenere un accertamento del rapporto e fattispecie nelle quali l’attribuzione dello status di figlio F. Mosconi, C. Campiglio, op. ult, cit., p. 97. Cfr. R. Clerici, op. cit., p. 219 ss. Contra, R. Clerici, op. cit., p. 221s. V. l’art. 1, 1° comma, lett. b., che attribuisce la cittadinanza italiana a chi è nato in Italia da genitori ignoti, apolidia o il cui ordinamento non prevede la trasmissione della cittadinanza ai figli, e l’art. 1, 2° comma, che mantiene la presunzione iuris tantum di possesso della cittadinanza italiana da parte del figlio di ignoti trovato nel territorio dello Stato. 14 Cass., 12 maggio 2004, n 8961, in Riv. dir. int. priv. proc., 2005, p. 123; Cass. 1 dicembre 1999, n. 13408, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, p. 165. 15 F. Mosconi, C. Campiglio, op. ult. cit., p. 102. 10 11 12 13 102 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS naturale avviene previa manifestazione di volontà del genitore. Naturalmente, anche nelle azioni di accertamento giudiziale della filiazione transnazionale sono suscettibili di applicazione le c.d. “norme di funzionamento” contenute nella prima parte della l. 218/1995. Già si è detto del particolare modus operandi del meccanismo del rinvio, la cui efficacia è subordinata alla produzione di effetti favorevoli al figlio. È poi opportuno ricordare l’obbligo, imposto al giudice dall’art. 14 l. 218/1995, di ricercare d’ufficio il testo delle disposizioni straniere (anche delle norme di conflitto) applicabili al rapporto dedotto, ed il correlato dovere, previsto dal successivo art. 15, di applicare la legge straniera secondo i criteri di interpretazione che le sono propri nell’ordinamento di provenienza16. A quest’ultimo proposito, tuttavia, è necessario ricordare, con accento critico, una decisione della Suprema Corte che ha escluso la sussistenza di uno specifico obbligo in capo al giudice di procurarsi materiale relativo all’interpretazione giurisprudenziale della legge straniera17. Rilevanza centrale, infine, assumono anche in questo settore le questioni di ordine pubblico, ossia quelle attinenti alla tutela dei principi essenziali dell’ordinamento italiano rispetto agli effetti pregiudizievoli che possono derivare dall’applicazione di norme straniere ispirate a principi incompatibili con quelli ritenuti fondamentali nel sistema giuridico del foro. L’art. 16 l. 218/1995, come è noto, esclude l’applicazione delle norme straniere oggetto di richiamo ove da essa derivino effetti concretamente pregiudizievoli per la coerenza interna dell’ordinamento italiano. Così, la Suprema Corte ha ritenuto contraria all’ordine pubblico la disposizione materiale argentina legittimante il solo figlio all’esperimento dell’azione di accertamento giudiziale di paternità18; allo stesso modo è stata ritenuta inapplicabile la norma di diritto inglese che consente alla sola madre l’esperimento della medesima azione, stabilendo oltretutto un termine di decadenza di tre anni decorrenti dalla nascita del figlio, ed escludendo che l’accertamento del rapporto possa essere richiesto dal figlio una volta raggiunta la maggiore età19. Anche nella materia qui considerata, d’altra parte, sono configurabili quelli che ormai da tempo la dottrina definisce “conflits de civilisations”, che impongono il sistematico ricorso al limite dell’ordine pubblico contro istituti provenienti da ordinamenti ispirati a principi e concezioni della famiglia radicalmente difformi rispetto a quelli propri della c.d. “tradizione giuridica occidentale”. L’incidenza di tali conflitti risulta, con ogni evidenza, tanto maggiore quanto più consistenti sono i flussi migratori provenienti da Paesi culturalmente e giuridicamente ben distanti dall’Italia. Riguardo alla filiazione, va segnalata l’impossibilità di applicare le norme di ispirazione musulmana che escludono di poter configurare un rapporto di filiazione nei confronti del padre al di fuori del matrimonio20. In questa prospettiva, tuttavia, va evidenziato che l’adesione di uno dei genitori alla religione musulmana, e la sua appartenenza ad uno Stato il cui ordinamento giuridico sia ispirato ai dogmi della legge islamica, non è di per sé motivo di 16 17 18 19 20 V. a tal proposito, S. Carbone, P. Ivaldi, Lezioni di diritto internazionale privato, Padova, 1999, p. 21 ss. Cass., 26 febbraio 2002, n. 2791, in Riv. dir. int. priv. proc., 2002, p. 276. Cass. 21 marzo 1990, n. 2350, in Riv. dir. int. priv. proc., 1991, p. 734. Cass., Sez. Un., 1 luglio 1993, n. 7447, in Riv. dir. int. priv. proc., 1994, p. 597. Cass., 8 marzo 1999, n. 1951, in Riv. dir. int. priv. proc., 2000, p. 130. 103 AIAF QUADERNO 2006/2 accoglimento della domanda ex art. 250 c.c. proposta dalla madre, finalizzata ad impedire il riconoscimento da parte del padre, in assenza di concreti indizi di pericolo per la figlia dovuti ad atti del padre stesso che contrastino con i principi propri dell’ordinamento italiano21. È opportuno, infine, esprimere alcune brevi considerazioni conclusive allo scopo di “rileggere” le norme di conflitto appena passate in rassegna alla luce del tema di fondo oggi in rilievo, nel tentativo di individuare i crinali evolutivi lungo i quali si potranno indirizzare eventuali future riforme. Gli artt. 33, 34 e 35 l. 218/1995, senza dubbio, tengono ben presente la distinzione tra figli naturali e figli legittimi propria della tradizione giuridica italiana: in questo senso, dunque, le norme di collegamento qui in rilievo sono sicuramente disposizioni “conservatrici”, dal momento che nulla modificano rispetto alla tradizionale bipartizione del rapporto di filiazione. E ciò davvero non sorprende, dal momento che le categorie giuridiche su cui si fonda il sistema di diritto internazionale privato coincidono (e non potrebbe essere altrimenti) con quelle delineate dal diritto materiale. D’altro canto, la particolare operazione interpretativa nota come qualificazione, che consente di individuare la norma di collegamento dalla quale partire nella ricerca del diritto applicabile alle fattispecie transnazionali, va effettuata in base alle categorie giuridiche proprie dell’ordinamento del foro, almeno in tutti i casi in cui vengano in rilievo norme di conflitto di origine statale. In una prospettiva futura, se il legislatore riterrà di modificare la disciplina materiale della filiazione nel senso da più parti auspicato, e cioè eliminando la distinzione tra figli naturali e figli legittimi o legittimati, è probabile un adattamento del sistema di diritto internazionale privato: verosimilmente, anche dalle norme di conflitto scomparirebbe la distinzione tra i vari “tipi” di filiazione oggi persistenti. Se poi, addirittura, si arrivasse ad una modifica dell’art. 29 Cost. per consentire l’abbandono della distinzione tra filiazione naturale e legittima, il limite dell’ordine pubblico internazionale potrebbe venire in rilievo nei riguardi di quelle disposizioni straniere che invece mantenessero ferma tale distinzione. Non resta, in definitiva, che attendere evoluzioni legislative che, nell'attuale congiuntura, potrebbero rivelarsi, con eguale probabilità, abbastanza prossime o assolutamente remote. 21 Cass., 27 ottobre 1999, n. 12077, in Riv. dir. int. priv. proc., 2001, p. 158. 104 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS I. PROFILI GENERALI L a disciplina dell’accertamento della filiazione è stata oggetto di molteplici riforme nei principali paesi europei: Germania (1998, modifiche nel 2001 e 2004, in previsione modifiche nel 2006); Olanda (1998); Austria (1998, 2001, 2004); Francia (2006); Belgio (in previsione nel 2006). Meno recenti sono le riforme in Svezia (prima riforma, 1976) e Spagna (prima riforma, 1981). Tra le finalità principali, l’uniformazione regole sulla discendenza dei figli legittimi (eheliche, légitimes) e naturali (nichteheliche, naturel). La terminologia rinvia ancora alla nascita “nel matrimonio” o “al di fuori del matrimonio”, ma ora distinzione prevalente tra filiazione “legale” e filiazione biologica La parte centrale delle leggi di riforma della filiazione – Kindschaftsrechtsreform, Noveau droit de la filiation – ha condotto ad un nuovo ordine sistematico, con l’abolizione (ad eccezione dell’Austria e Spagna) dei sottotitoli dedicati alla discendenza legittima e discendenza naturale e alla riunificazione della materia nel titolo unico dedicato alla “discendenza” (nel BGB, in Olanda, Svezia), alla soppressione, nelle disposizioni ove essi figuravano, dei termini eheliche, nichteheliche”, “légitime” e “naturel”, e al raggruppamento delle disposizioni generali sotto il titolo generale della discendenza (Germania, Olanda, Austria) o della filiazione (Francia, in Spagna resta il titolo dedicato alla paternità e alla filiazione). L’esigenza “sociale” di fondo viene individuata nel dato secondo cui il numero delle nascite al di fuori dal matrimonio ha raggiunto quello delle nascite c.d. legittime. Tra le esigenze “giuridiche” emergono quelle della chiarificazione, coerenza e semplificazione. Numerose anche le motivazioni giuridiche tra cui la spinta costituzionale, l’accentuazione dei diritti della persona; gli aspetti soprannazionali e di diritto comparato. Non da ultimo in ordine di importanza, vanno menzionate le motivazioni di fatto ulteriori: il posto preminente assunto dalla verità biologica, oggigiorno più facilmente accessibile; la circostanza per cui si è reso inaccettabile che lo stato dipenda dalla situazione matrimoniale o non dei genitori. Significativo al riguardo appare l’ordinamento olandese, dove in sostituzione del criterio basato sul matrimonio si trova quello della esistenza o non esistenza di un rapporto di diritto di famiglia per parte genitoria. Tuttavia, non di un diverso criterio di attribuzione dello status si tratta, ma di una riformulazione degli effetti dello status, quale qualifica che ha tra le sue principali caratteristiche quella di generare un rapporto giuridico di diritto di famiglia. Il che è rivelato poi dalla LA DISCIPLINA DELL’ACCERTAMENTO DELLO STATUS NEI PRINCIPALI PAESI EUROPEI MARIA GIOVANNA CUBEDDU UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TRIESTE 105 AIAF QUADERNO 2006/2 definizione che si da di “familienrechtliche Beziehung”, il quale sussiste tra figlie, genitori e parenti consanguinei e del concetto di discendenza. Da qui le conseguenze dell’abolizione della ”gerarchia” della filiazione, dell’affermazione dell’uguaglianza dei diritti e della ricerca di un rafforzamento della stabilità del legame, con la creazione di un quadro apparentemente omogeneo basato sui tratti portanti della filiazione: biologia, volontà e tempo. Le differenze si rivelano quando si passa a definire i contorni della disciplina dell’attribuzione e dell’accertamento dello status, rispetto alle quali possono individuarsi nelle discipline francese e tedesca i principali modelli di riferimento, e precisamente quello francese, sia esso quello antecedente alla riforma del 2006, con riguardo agli ordinamenti italiano e spagnolo, che successivo, e quello tedesco, con riferimento all’ordinamento austriaco, olandese e svizzero. Restano al di fuori la disciplina propria del common law, rispetto alla quale non di vero e proprio “sistema” può parlarsi - data la possibilità di procedere alla contestazione della paternità in qualsiasi procedimento in giudizio, nel quale essa assume uno specifico ruolo - e dei paesi nordici, per la peculiarità nei sistemi scandinavi dell’attività di promozione e controllo nella ricerca della paternità svolta dall’autorità amministrativa, cui siano permessi di volta in volta solo alcuni cenni. A) L’ORDINAMENTO TEDESCO Nella specie, in Germania i presupposti dello “status” sono disciplinati avuto riguardo al concetto di “parentela”, il quale a sua volta è disciplinato unitariamente per i figli legittimi e naturali, con la specificazione per cui: il rapporto di parentela consegue unitariamente alla nascita, sia legittima che naturale (già la riforma del 1969 aveva abrogato il § 1589 II BGB secondo cui il figlio naturale non è parente del padre). Non è del tutto corretto, come talvolta affermato, l’inverso, ossia che la discendenza quale presupposto della parentela viene fondata sulla derivazione genetico-biologica dai genitori, poiché essa viene in parte presunta ed in alcuni casi resta il frutto di una finzione giuridica, come dimostrano: la nuova disciplina dell’attribuzione della qualifica di madre (§ 1591 BGB); la nuova regolamentazione dell’attribuzione di paternità: Padre è l’uomo: 1. che al tempo della nascita è coniugato con la madre; 2. che ha riconosciuto la paternità; 3. la cui paternità è stata accertata giudizialmente ex § 1600d BGB (§§1592, 1, e 1593 BGB); la disciplina unitaria della impugnazione della paternità, senza distinzione tra genitori coniugati e no (§§ 1599 e 1600c, e BGB), la cui comune ratio va ricercata nella tutela dell’interesse alla chiarezza dello stato. Solo entro tali presupposti può sussistere una attribuzione delle qualifiche padre-figlio e una pretesa di “paternità” al di fuori di essi è, di norma, esclusa, sulla base del principio di esclusività del rapporto di paternità, del criterio di collegamento principale: il matrimonio e della riaffermazione della regola tradizionale. B) L’ORDINAMENTO FRANCESE Il principio di uguaglianza si trasferisce dallo status dei figli alla posizione giuridica dei genitori: nelle qualifiche di maternità e paternità. L’art 310-1 c.c., riformato dispone l’accertamento della filiazione: per effetto della legge, per riconoscimento, per possesso di stato, per opera del giudice. Le altre disposizioni chiariscono e sintetizzano le vecchie disposizioni riforma106 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS te. La filiazione si prova tramite le indicazioni che derivano dall’atto di nascita, dal riconoscimento e dall’atto di notorietà, che attesta il possesso di stato (nozione centrale, nuova definizione, plausibile, pubblico, non equivoco). A questo si aggiunge una precisazione dei presupposti della prova del possesso di stato; una armonizzazione dei procedimenti; la tendenza alla sicurezza del legame di filiazione; la semplificazione e armonizzazione delle azioni di contestazione. Ciò che induce la dottrina ad affermare che se nel Code Napoléon la filiazione risultava sempre dalla volontà: dichiarazione di nascita o riconoscimento volontario, ora l’accento si è spostato sulla “nascita”. La “nuova” logica permette di individuare i seguenti principi: La donna che partorisce è la madre; l’indicazione del suo nome nell’atto di nascita (facoltativa) è sufficiente ad attribuire la filiazione; se la madre è sposata, il marito è padre del nato; in difetto la filiazione può essere attribuita con riconoscimento volontario del padre o della madre, anche del padre non sposato; la filiazione può essere attribuita con atto di notorietà, che constata il possesso di stato del figlio e dei genitori; la filiazione può essere stabilita anche dal giudice. Restano quindi significative le differenze di base che ha lungo hanno caratterizzato i due “modelli” e che caratterizzano gli ordinamenti che ad essi si sono rapportati, di cui di volta in volta si sottolineeranno le analogie e le evoluzioni. E resta la complessità del fenomeno e la numerosità degli interrogativi, poiché le riforme spaziano tra i diversi fondamenti della filiazione – verità biologica, verità sociologica, volontà, apparenza, effetti del tempo – senza del resto individuarne uno portante, nell’ambito della dicotomia classica tra la prova non contenziosa e il contenzioso della filiazione; ed ancora, tra petizioni di principio o linee guida del sistema e eccezioni che segnalano aperture, ma che poi stravolgono i parte la funzione dei singoli istituti. II. NUOVA(!) DEFINIZIONE LEGALE DI MATERNITÀ esigenza di conciliare i criteri della verità sociologica e della volontà si L’ manifesta in primo luogo in quella che in entrambi gli ordinamenti viene definita la nuova definizione legale della maternità. In essi, come del resto nella maggior parte degli ordinamenti europei, tra cui Austria, Olanda Svizzera, l’elemento della nascita costituisce il criterio in base al quale determinare lo status per parte materna; la disciplina muta però in ragione della funzione di attribuzione o di accertamento che a detto elemento si attribuisce. Nel Code civil l’indicazione della nascita attribuisce la filiazione, non è richiesto il riconoscimento (novità importante!), ma l’indicazione è facoltativa. Inoltre, si compie l’unificazione dei mezzi di prova non contenziosa della filiazione. Ancora, l’atto di nascita è ammesso come prova della maternità sia che si tratti di madre coniugata o non. Del resto la Commissione europea dei diritti dell’uomo aveva da tempo condannato la discriminazione esistente quanto alla prova dell’atto di nascita. Una regola apparentemente identica si ha nel BGB, (ma il discorso vale anche per l’Austria, Olanda, Svezia e per la Svizzera): “Madre è chi ha partorito il 107 AIAF QUADERNO 2006/2 figlio” (§ 1591 BGB)(art. 252, I, ZGB). Tuttavia, sono assenti i caratteri della “facoltatività” e della “presunzione”, manca il richiamo all’indicazione nello stato di nascita. La regola “Mater semper certa est” deve armonizzarsi con l’esigenza per cui il continuo ricorso illegale all’inseminazione artificiale ha reso necessario un chiarimento in ordine all’istituto della “maternità” nel diritto civile. La norma sorprende a prima vista per il contrasto con il concetto di discendenza e di parentela, ove per discendenza si intenda quella biologica. Fino alla riforma del 1998 l’attribuzione della qualifica di madre si basava su di una presunzione giuridica di fatto – solo l’accadimento esterno della nascita è certo. Si poneva peraltro il problema di come rendere rilevante il ruolo della madre genetica. Isolatamente, si ammetteva una impugnazione della maternità da parte della madre che aveva messo al mondo il nato, ai sensi del § 1594 BGB. Da altri, ferma la disciplina di un divieto di donazione dell’ovulo, una tutela era ammessa solo a vantaggio della c.d. “madre in affitto”, ai sensi del § 1589, I, BGB, per l’accertamento della non esistenza di un rapporto madre/figlio. In generale, va ricordato, nell’ordinamento tedesco non sono vietati i metodi di inseminazione artificiale, tuttavia l’Embryonenschutzgesetz del 13.12.1990 vieta alcune tecniche considerate abusive, tra cui l’impianto di ovuli o di embrioni donati. Anche la c.d. Ersatzmutter, ossia colei che si accorda per sottoporsi ad inseminazione o all’impianto di un embrione da lei non generato e a cedere il nato ad altre persone (§ 13a Adoptionsvermittlungsgesetz) è considerata madre. La mediazione a tal fine è vietata (§ 13c Adoptionsvermittlungsgesetz). Gli accordi sono inefficaci. Restava quindi il dato secondo cui l’inseminazione nella donna di ovuli o embrioni donati è vietata nell’ordinamento tedesco, sia con riguardo alla mediazione, sia con riguardo all’assistenza medica. E non esisteva una norma ad hoc, generale, sulla attribuzione dello stato di figlio alla madre. A seguito della riforma si ha chiarezza, sulla base di una norma di attribuzione definitiva, che non costituisce non semplice presunzione. Lo scopo ulteriore perseguito è stato quello di inibire l’affitto dell’utero, quale compito del diritto privato e del diritto di famiglia; la madre non può esimersi in alcun modo, a nessuna condizione giuridica dalla responsabilità della procreazione. Da qui l’affermazione quale unica soluzione praticabile della maternità giuridica della gestante e il rifiuto del rischio della “assenza di madre”, che si corre quando si cerchi la madre genetica. Ancora si assiste al rafforzamento della rilevanza del rapporto fisico o psico-sociale e del principio di responsabilità e cura. Ma, la conseguenza è l’assenza di regole atte a disciplinare l’accertamento della maternità. Nei commenti della dottrina si evidenzia il divieto di impugnazione della maternità da parte della madre genetica; la circostanza che anche al figlio non è concessa l’impugnazione della maternità. Ancora, la discendenza genetica non fornisce alcuna base per la prova contraria rispetto ad una siffatta attribuzione di stato esistente in maniera incontrovertibile. Ed infine si afferma, non è ammessa una azione di accertamento dello status (Statusfestellungsklage), perché non sussiste tra madre genetica e nato alcun rapporto di diritto di famiglia. Anche una ordinaria azione di accertamento dello stato a parte del figlio ai sensi del § 256 ZPO è esclusa secondo l’opinione maggioritaria. 108 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS Da qui la constatazione per cui la maternità genetica costituisce un solo dato di fatto, non un rapporto giuridico. Nelle ipotesi in cui non di accertamento della discendenza genetica si tratta, ma di controversia in ordine all’evento della nascita, il conflitto circa la maternità può essere risolto nel c.d. Kindschaftsverfahren, ai sensi del § 640, 2, 1, ZPO. Il rimando è ai casi di scambio del nato, falsa indicazione della nascita o sottrazione del nato. Anche un procedimento di rettificazione dello stato viene ritenuto di aiuto nei casi di ritardata scoperta dello scambio del nato. Una disciplina analoga vige in Austria, dove i § 3, 1 e 3 e §23 FMedG, vietano l’affitto dell’utero e la donazione di ovuli. In caso di violazione del divieto il § 137b ABGB accerta incontrovertibilmente che la madre è la donna che ha partorito il nato. La contestazione della maternità non è ammessa. Anche in Svizzera al divieto di donazione di ovulo o embrioni e di affitto dell’utero (art. 119, 2, d, BV, Art. 4 FmedG) si aggiunge il divieto di impugnazione della maternità. In Svezia, contemporaneamente all’ammissione della donazione di ovuli ad opera della novella legislativa del 2002 è stata introdotta la regola che consente l’identificazione della madre sulla base del criterio mater est quam gestatio demonstrat, per cui se una donna dà alla luce un bambino procreato grazie agli ovuli di altra donna e poi impiantati nel suo utero, ella sarà riguardata come madre. Nell’ordinamento tedesco si attendeva una norma corrispondente per l’inseminazione eterologa. Fino al 1998, il BGH si era attestato sulla soluzione secondo cui la prestazione del consenso da parte dell’uomo non esclude il diritto di impugnazione. Una attenuazione delle conseguenze si aveva quando a seguito del consenso del marito si affermava l’assunzione di un obbligo al mantenimento – soluzione ritenuta temporanea e di necessità – Una esclusione del diritto di impugnazione non è stata codificata nella riforma del 1998. La norma di un § 1600, III, BGB, allora proposta ma non accolta prevedeva che il consenso di madre o marito all’inseminazione artificiale esclude il diritto all’impugnazione. Non si voleva però una norma isolata, ma una futura regolamentazione dell’intero complesso – Fortpflanzungsmedizingesetz – A questo non si è arrivati, ma con il Kinderrechteverbesserungsgesetz del 6.2.2002 si è data una prima risposta al quesito con l’introduzione del § 1600 IV BGB. Se il figlio è stato concepito con il consenso dell’uomo e della madre tramite inseminazione artificiale per mezzo di donazione di un terzo, la paternità non può essere impugnata né dall’uomo né dalla donna. Resta fermo il diritto di impugnazione del figlio. Tuttavia, come si vedrà, l’impugnazione dell’uomo è ammessa nell’ipotesi di consenso prestato dalla sola madre. In Francia riguardo alla filiazione e procreazione medicalmente assistita (PMA) gli articoli relativi presenti nel code civil sono stati ripresi testualmente. Essi sta109 AIAF QUADERNO 2006/2 biliscono l’impossibilità di accertare un legale di filiazione tra l’autore della donazione di ovocita (genitore biologico e il nato dalla procreazione). Il consenso dato alla procreazione medicalmente assistita interdisce tutte le azioni di contestazione della filiazione a meno che non si sostenga che il nato non sia il risultato di detta procreazione. III. ATTRIBUZIONE E ACCERTAMENTO DELLA PATERNITÀ riguardo alla paternità, le discipline divergono poi in ragione della maggioCdellaonre accentuazione nei vari ordinamenti dei caratteri della stabilità e chiarezza, autonomia e della esclusività del rapporto di filiazione per lato paterno. 1. PATERNITÀ DEL MARITO Nell’ordinamento francese ai sensi dell’art. 312 code civil il concepito o nato durante il matrimonio ha per padre il marito. La previsione della nascita, quale elemento decisivo per l’attribuzione della paternità, costituisce una semplificazione, ma conferma il suo valore di presunzione Conformemente alla giurisprudenza, l’assenza di indicazione del nome del marito esclude la presunzione di paternità (art. 314 c.c.). La donna coniugata può dichiarare il nato sotto il proprio cognome, questo eviterà l’attribuzione della paternità al marito. Tuttavia: la presunzione di paternità è ristabilita di pieno diritto se il nato ha il possesso di stato con riguardo ad entrambi i genitori coniugati e se non esiste una filiazione “paternale” (da parte di padre) con riguardo ad un terzo (art. 313 c.c.). Essa può inoltre essere reclamata in giudizio da ciascuno dei coniugi durante la minore età del figlio e dal figlio entro i dieci anni dalla maggiore età (art. 329 c.c.). La procedura di desaveau è stata soppressa. Il marito che contestava la paternità, nel vigore della vecchia disciplina poteva effettuare un desaveau del nato entro 180 giorni dal matrimonio, questa facoltà è stata soppressa a vantaggio dell’azione di contestazione di paternità. I tratti caratteristici della riforma possono individuarsi nel tentativo di accentuazione del principio di stabilità dell’attribuzione di stato, con la previsione della automaticità dell’attribuzione della qualifica di madre e di unicità della azione di contestazione. Un raffronto con l’ordinamento tedesco consente di evidenziare gli elementi comuni e le diversità. Ai sensi del § 1592 BGB padre è l’uomo: 1. che al tempo della nascita è coniugato con la madre; 2. che ha riconosciuto la paternità; 3. la cui paternità è stata accertata giudizialmente ex § 1600d BGB. La ratio delle norme viene individuata nella tutela dell’interesse alla chiarezza dello stato, ciò che conduce tuttavia ad una attenuazione dell’istanza di rispondenza tra verità legale e verità biologica. Solo entro tali presupposti può sussistere una attribuzione delle qualifiche padrefiglio e una pretesa di “paternità” al di fuori di essi è, di norma, esclusa sulla base del principio di esclusività del rapporto di paternità; del criterio di collegamento principale: il matrimonio; della riaffermazione della regola tradizionale. Criterio generale: padre del nato è colui che al momento della nascita è coniugato con la madre. 110 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS La regola opera come presunzione nel procedimento di impugnazione della paternità. La norma contiene una mera riformulazione della presunzione di legittimità in presunzione di paternità, non modifiche di sostanza. Il ritorno alla presunzione di paternità del diritto comune, che a sua volta trova le radici nel diritto romano “pater is est, quem nuptiae demostrant” (Digesti, 2, 4, 5) ha comportato la eliminazione della bipartizione tra Beiwohnungsvermutung (§1591, II, BGB v.f.) – concepimento prima del matrimonio, ma nascita durante il matrimonio - ed Empfängnisvermutung (§1591, I, BGB v.f.) – la quale resta con riguardo al figlio di donna non coniugata nel procedimento di accertamento della paternità (§ 1600d, II, BGB). È stato abolito l’istituto della legittimazione per conseguente matrimonio. L’attribuzione della paternità per il figlio nato fuori dal matrimonio può aver luogo solo a seguito di riconoscimento o accertamento. Un limite riguarda i figli nati durante il matrimonio siano essi concepiti prima, ma non necessariamente durante. Non rileva più la regola del concepimento durante il matrimonio in caso di nascita entro 300 gg. dallo scioglimento, nullità, annullamento del vincolo. Non è codificato un divieto di matrimonio per lutto vedovile. In caso di divorzio o scioglimento del matrimonio, è decisivo il passaggio in giudicato della sentenza. La sola separazione, anche se accompagnata da convivenza di fatto con altro partner non incide sulla presunzione di paternità (§ 1592, I, BGB), poiché e fino a che si abbia “nascita durante il matrimonio”. In caso di morte: estensione della presunzione di paternità, se il periodo legale di concepimento è riconducibile per parte al matrimonio. La fissazione di un periodo legale di concepimento: 300gg (salvo accertamento periodo più lungo) rileva ora in caso di morte e nel caso di figli da donna non coniugata. Se la donna contrae nuovo matrimonio, nel periodo legale di concepimento, resta la presunzione di paternità del “nuovo marito”, con facoltà di impugnazione della paternità da parte del marito. In caso di efficace impugnazione, rivive la presunzione di paternità del marito premorto. Una disciplina analoga si trova nell’ordinamento svizzero, ove la sussistenza del matrimonio è l’unico requisito per l’attribuzione della paternità al marito, senza che rilevi la comunione di vita dei coniugi o il concepimento durante il matrimonio. Eccetto che sopravvenga la morte o la scomparsa, casi in cui rivive la presunzione del concepimento in caso di nascita entro i 300 gg. da morte o scomparsa (art. 257 ZGB). L’art. 257 ZGB contiene poi una norma che prevede la presunzione di paternità a favore del nuovo marito. Resta nella dottrina tedesca la critica alla finalità avuta di mira: riduzione dei procedimenti di impugnazione della paternità, ma sicuro aumento dei procedimenti di accertamento della paternità. Al di fuori dei presupposti di cui al § 1592 BGB, l’accertamento della paternità, nell’ambito della c.d. Inzidentfeststellug, ha luogo solo se sussistono interessi meritevoli di tutela. Non è stata codificata la regola per cui la non legittimità del figlio può essere fatta valere solamente se è stata impugnata in giudizio la legittimità; ma le conseguenze giuridiche del riconoscimento possono esser fatte valere solo quando il riconoscimento diventa efficace e le conseguenze giuridiche dell’attribuzione della paternità solo dal momento dell’accertamento. 111 AIAF QUADERNO 2006/2 Di fatto, si afferma, non è mutato alcunché, poiché vige la regola per cui prima di una decisione, passata in giudicato, sull’impugnazione della paternità, non potrà farsi valere ancora oggi la non paternità del marito della madre. Per la non operatività della presunzione di paternità resta decisivo l’accertamento giudiziale e non i presupposti dell’impugnazione che ne sono a fondamento. Le tre fattispecie di attribuzione della paternità si escludono a vicenda. Ma, come vedremo, l’analisi di diversi ordinamenti rivela una attenuazione diffusa di questo principio. 2. RICONOSCIMENTO Ad una uniformità di base delle caratteristiche proprie dell’istituto del riconoscimento quale atto di volontà personale in alternativa e all’attribuzione “legale” a seguito di matrimonio e all’accertamento giudiziale - si contrappone una frammentazione delle discipline proprie degli ordinamenti europei che in parte ne modifica la funzione in atto negoziale di disposizione dello stato in alternativa all’impugnazione della paternità. Anzitutto la riforma del Code civil ha condotto ad una nuova disciplina, ispirata ad un principio di uguaglianza tra uomo e donna. Il riconoscimento è ammesso per il padre non coniugato. La madre non è più obbligata, l’indicazione del suo nome servirà ad attribuire la filiazione, ma l’indicazione resta, come detto, facoltativa; tuttavia, la madre che mette al mondo un figlio e resta nell’anonimato non lo può riconoscere in un secondo momento che nel caso in cui questi non sia stato “collocato” in via di adozione Può dirsi che in tal modo il sistema-modello francese si è avvicinato al modello del BGB, ma la dottrina sottolinea il valore dato alla facoltatività di detta indicazione, che di fatto ne sminuisce la portata di automatismo, da qui le diversità con l’ordinamento tedesco, ove si è visto di vero automatismo si trattava e dove la c.d. nascita anonima, almeno dal lato materno, non è ammessa dall’ordinamento, ma talvolta tollerata o agevolata nei singoli Länder con i cosiddetti “sportelli per i nati”, al fine di contenere il fenomeno dell’aborto. Tuttavia, la distinzione resta con riguardo alla paternità, poiché nel BGB, ma v. anche Austria, Olanda, Svizzera, si è avuta con riguardo al riconoscimento una mera riformulazione della disciplina, rimasta a “disposizione” del solo padre. Se si voglio ricercare delle similitudini esse vanno individuate nell’atto o come lo definisce il legislatore tedesco allo scopo di evitare la pluralità di significati del termine (riconoscimento efficace - dichiarazione di riconoscimento) dichiarazione di riconoscimento. A. ATTO Si tratta di un atto unilaterale personale (ma incapace di agire – rappresentante legale più autorizzazione – e limitata capacità di agire – consenso personale più rappresentante legale o curatore; in Francia, per il minore è richiesta la capacità naturale, per il maggiorenne sotto tutela, il compimento dell’atto in un lucido intervallo) e puro o autentico; anche antecedente alla nascita (in Francia, v. art. 316 c.c.), che richiede il consenso; non ha effetto di costituzione di stato, in Germania si parla non di statusbegründende, ma di rafforzamento dello stato, statusfestigende; analogo discorso può farsi per l’ordinamento francese, ove la funzione è di “accertamento” e di “prova” (la filiazione si prova tramite le indicazioni che derivano, dall’atto di nascita, dal riconoscimento e dall’atto di notorietà). 112 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS Di maggior significato appaiono tuttavia le particolarità proprie dei singoli ordinamenti, tra cui quello tedesco, svedese, austriaco e olandese relativamente al consenso. B. CONSENSO Proprio dell’ordinamento tedesco è il squisito del consenso della madre. Non è più richiesto il consenso del figlio, ma solo della madre; eventualmente del figlio se alla madre è stata sottratta la cura genitoria. Esso non può essere surrogato in alcun caso. Anche in caso di riconoscimento del figlio maggiorenne. Al figlio spetta un mero diritto sussidiario di consenso, in aggiunta a quello della madre, per il figlio maggiorenne. Tra le ragioni vecchia normativa di legge che il consenso della madre era considerato irrilevante e ad effetto ritardante; si temeva il conflitto di interessi; decisivo sembrava quello del figlio; funzione di controllo dell’Jugendamt, quale rappresentante legale del minore infra14enne; interesse all’autodeterminazione del figlio quale aspetto del diritto della personalità. Le ragioni della nuova vengono individuate nella onnicomprensività della cura genitoria; e nel consenso del figlio, quale “formalismo senza senso”, poiché la madre avrebbe dovuto prestare un doppio consenso; al posto di un diritto di impugnazione è preferibile una parte attiva nella fase del riconoscimento; oltre che nella agevolazione dei procedimenti contro persone che vivono all’estero La normativa non si sottrae comunque a critiche. Si osserva che molte delle ragioni addotte a favore del consenso della madre, depongono a maggior ragione per un consenso del figlio, tenuto fermo nell’ordinamento olandese. Ancora, si rileva, sarà difficile controbattere all’affermazione della madre di aver negato il consenso a causa di dubbi circa la paternità, nella maggior parte dei casi il fattore costi del procedimento risulterà decisivo. Questo ha condotto la dottrina tedesca a sottolineare che il figlio è stato ridotto ad un “oggetto” degli accordi negoziali di diritto di famiglia dei genitori. Se la madre rifiuta il consenso, resterà aperta solo la strada dell’accertamento della paternità in via giudiziale. Solo per il caso in cui tramite riconoscimento debba essere vinta l’attribuzione di paternità in forza di matrimonio ai sensi dell’art. 1599, II, BGB è necessario anche il consenso del marito/padre. C. FORMA , TERMINE , REVOCA ED EFFICACIA - Forma Sia nel modello francese che tedesco, si richiede la forma pubblica (notaio, uff. stato civ., proc. giud.), a pena di nullità per il riconoscimento. Solo in Spagna e in Svizzera si ritrova la facoltà di riconoscimento per testamento propria dell’ordinamento italiano (art. 260, e, ZGB). In particolare, in Francia, se non viene osservata la forma pubblica l’atto è nullo, ma se fatto con scrittura privata può costituire mezzo di prova per la ricerca della paternità o maternità. -Termine In Germania anche per il consenso, il riconoscimento non è soggetto ad alcun termine; ma il riconoscimento può essere revocato, entro un anno, con le stesse modalità, se il consenso non è sopravvenuto. - Efficacia Per l’ordinamento tedesco, vale ancora che se non sussistono i presupposti dei 113 AIAF QUADERNO 2006/2 §§ 1594-1597 BGB esso è temporaneamente inefficace. Mentre non rilevano le norme generali sulle cause di inefficacia delle dichiarazioni. Una particolarità al riguardo si osserva nell’ordinamento olandese che disciplina le cause di nullità del riconoscimento. Propria della disciplina olandese è l’elencazione tassativa delle cause di nullità del riconoscimento tra cui: limite dei 16 anni; limite dei 12 anni più consenso della madre; uomo sposato a meno che il giudice abbia accertato che tra l’uomo e la madre esiste o esisteva un rapporto personale paragonabile ad un matrimonio e tra l’uomo e il bambino esiste uno stretto rapporto personale; se già esistono due genitori. Il contrasto con tali norme porta alla nullità ex lege. Si afferma, ciò non costituisce una violazione al principio della sicurezza giuridica, poiché si tratta di presupposti di diritto, facilmente accertabili con una visione dei registri dello stato civile, facilmente consultabili. Nei casi di difficile accertamento, non opera la nullità ex lege, ma la nullità richiede un provvedimento giudiziale ai sensi del 1:205 BW. Anche tali cause di impugnazione dell’atto di riconoscimento sono elencati tassativamente, tra cui, minaccia, errore, dolo, abuso di circostanze. Presupposto, prova negativa che chi ha effettuato il riconoscimento non è il padre biologico. Termine, 1 anno da cessazione o scoperta. Legittimazione corrispondente anche per la madre, il cui consenso è stato estorto per le accennate ragioni. Al figlio spetta la legittimazione all’azione di nullità del riconoscimento, a meno che il riconoscimento abbia avuto luogo popola maggiore età. Ed ancora, in Germania, la trascrizione non costituisce elemento costitutivo del riconoscimento; gli effetti del riconoscimento si producono ex tunc (ex nunc con riguardo agli effetti secondari: cura genitoria, rappresentanza legale, tranne le obbligazioni di mantenimento). Il trascorso del tempo (5 anni dalla iscrizione in un Registro dello stato civile tedesco, ha efficacia sanante rispetto ai requisiti di capacità forma e consenso (§ 1598, 2, BGB). Infine vige la cosiddetta: “Rechtsausübungssperre” (divieto di esercizio del diritto) o meglio vale il principio di “keine vorzeitige Geltendmachung”, salvo eccezioni, ossia gli effetti del riconoscimento possono essere fatti valere solo a partire dal momento in cui il riconoscimento diventa efficace. La regola generale può quindi riassumersi come segue. Il riconoscimento non è efficace fino a quando sussiste la paternità di un altro uomo; in questo caso, non è invalido, ma temporaneamente inefficace. In tal modo nell’ordinamento tedesco si è attenuata la rigidità propria di altri ordinamenti, tra cui quello svizzero, nel quale il riconoscimento è vietato fino a quando sussiste la presunzione di paternità a favore del marito, o quello olandese che mantiene il rimedio della nullità. Analoga attenuazione può sottolinearsi nell’ordinamento francese: fino a quando non è contestata in giudizio, la filiazione legalmente attribuita è di ostacolo ad altra filiazione che la contraddice (art. 320 c.c.) D. ECCEZIONI Di vera e propria attenuazione della regola per cui il riconoscimento non è efficace fino a quando sussiste la paternità di un altro uomo può peraltro parlarsi con riguardo all’ordinamento austriaco, seppure eccezioni a tale principio si ritrovano in Svezia e Germania. 114 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS AUSTRIA:Riconoscimento della paternità “di rottura” (Durchbrechendes Vaterschaftsannerkennung) Dal KindRÄG del 2001 il diritto austriaco conosce la facoltà che un uomo emetta una dichiarazione di riconoscimento di paternità, nonostante al momento del riconoscimento sussista la paternità di altro uomo. L’istituto ha ricevuto nella prassi un buon riscontro ed è stato ulteriormente sviluppato dalla FamErbRÄG del 2004. Un tale riconoscimento acquista efficacia solo a seguito del consenso del figlio, prestato in forma pubblica. Se il figlio è minorenne, l’efficacia è condizionata all’indicazione da parte della madre, capace di intendere e volere, del nome dell’uomo che ha effettuato il riconoscimento quale padre del nato. In presenza di tali presupposti la paternità legale del padre si estingue ex lege. Al precedente padre presunto resta la possibilità di impugnare il riconoscimento (§ 164 ABGB), con conseguente procedimento in giudizio e perizia del DNA. SVEZIA: Accettazione del riconoscimento del terzo Non sempre è necessario promuovere l’azione giudiziaria di disconoscimento La paternità del marito può essere eliminata e sostituita dalla paternità del vero autore del concepimento, qualora il primo accetti per iscritto il riconoscimento del figlio proveniente dal secondo e, naturalmente vi sia l’accettazione della madre e il controllo da parte dell’autorità amministrativa. GERMANIA: Attribuzione della paternità per i figli nati durante il procedimento di divorzio e riconoscimento del terzo Del tutto nuova è l’eccezione contenuta nella norma del § 1599, II, BGB che prevede la non operatività della presunzione di paternità per il marito della madre nell’ipotesi di figlio nato durante il procedimento di divorzio, qualora un terzo riconosca la paternità, con il consenso della madre e del marito, al più tardi entro un anno dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio. In questo caso resta sospesa la regola secondo cui il riconoscimento di paternità non è efficace fino a che sussiste la paternità di un altro uomo, nel caso il marito della donna. Si tratta di una regola che vuole dare una risposta alla disputa sulla ammissibilità di un preventivo riconoscimento di paternità per il caso di efficace impugnazione di paternità. Ora, non è richiesta la preventiva impugnazione della paternità. La dottrina stigmatizza la disciplina come limite all’attribuzione di paternità; come parziale apertura all’autonomia privata; e come attenuazione del sistema delle modifiche dello stato con decisione costitutiva del giudice. Una disciplina analoga è propria dell’ordinamento olandese ove in caso di separazione di fatto o di divorzio la donna entro un anno dalla nascita può dichiarare davanti all’ufficiale dello stato civile che il marito non è il padre del nato. 3. POSSESSO DI STATO Estraneo al BGB e agli ordinamenti dell’area tedesca è l’istituto del possesso di stato, ossia di quell’insieme sufficiente di elementi di fatto che rivelano il legame di filiazione L’art. 311-1 code civil contiene nuova definizione, molto simile alla precedente, 115 AIAF QUADERNO 2006/2 eccetto l’ordine e qualche modifica terminologica. Esso deve essere continue, paisible, publique, non equivoque. La prova è data tramite atto di notorietà, omologato dal giudice, iscritto nell’atto di nascita, entro 5 anni dalla cessazione dello stato, anche dopo la morte del genitore. 4. CONTESTAZIONE DELLA FILIAZIONE. NEL CODE CIVIL... L’ampia formulazione di contestazione della filiazione - propria del modello francese, mentre in quello tedesco è disciplinata l’azione di impugnazione della paternità, seppure unificata e semplificata quanto ai presupposti, ai soggetti legittimati e ai termini di prescrizione – se testimonia il favore dei legislatori europei verso la verità biologica, mira nella delineazione dei caratteri della disciplina a porre riparo da quella che è stata definita la “tirannia biologica”. Nel Code civil si assiste ad una armonizzazione delle azioni relative alla filiazione. Finora esistevano 9 azioni possibili di contestazione del legame di filiazione. Il nuovo testo riduce da 17 a 3 il numero degli articoli del code civil. Ora resta solo una procedura di contestazione, inquadrata nel segno di una unità e libertà di prova. La maternità può essere contestata con la prova che la madre non ha generato il nato (artt. 332-337). La paternità può essere contestata con la prova che il marito o l’autore del riconoscimento non è il padre. Ossia, la filiazione si prova e si eccepisce con tutti i mezzi, sotto riserva di ricevibilità dell’azione, secondo un criterio di “verosimiglianza biologica”. Presupposti: se il possesso di stato è conforme al titolo possono agire solamente il figlio, il padre. la madre, colui che pretende essere il vero padre. L’azione si prescrive in 5 anni. In difetto di conformità tra possesso di stato e titolo, è aperta a chiunque vi abbia interesse a si prescrive in 10 anni. Il termine di prescrizione unificato, in via di principio a 10 anni. Tra le finalità si menziona quella dell’accertamento della filiazione; di ricerca della paternità o maternità, ma si sopprime l’esigenza di presunzioni e indicazioni gravi come requisito preliminare. Nella prassi queste non costituiranno più un efficace freno ad una ricerca abusiva. La giurisprudenza aveva già ammesso che la dimostrazione poteva risultare dal vittorioso esperimento di azione a fini di sussidi alimentari. Da qui l’indicazione dei principi comuni nella circostanza per cui: a) non è ammessa contestazione di stato qualora il possesso dello stato sia conforme al titolo per un periodo di 5 anni dalla nascita o dal riconoscimento; b) se il titolo si accompagna da un possesso di stato inferiore ai 5 anni, legittimati ad agire sono il figlio, il padre, la madre, o il padre che pretende essere tale, e questo entro 5 anni dalla cessazione del possesso di stato; c) in difetto di possesso di stato ciascun interessato può intentare una azione di contestazione entro un termine di 10 anni. 5. …E NEL BGB Nel BGB si è rimasti fermi all’impianto tradizionale della impugnazione della paternità, proprio dei sistemi austriaco, olandese e svizzero (tra i quali quest’ultimo è quello che maggiormente si avvicina all’ordinamento italiano, in quanto la legittimazione spetta prevalentemente al marito, nonché al figlio entro il presupposto che sia stata sciolta la comunione di vita tra i genitori, prima della sua 116 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS maggiore età (art. 256, 1, ZGB). Per l’uomo vale una prescrizione relativa di un anno dalla conoscenza della nascita o della relazione tra madre e terzo e una prescrizione assoluta di 5 anni dalla nascita. Per il figlio al più tardi 1 anno dalla maggiore età. Secondo la clausola generale, tuttavia, per grave ragioni rivivono tutti i termini. Mentre in Olanda, seppure vige il principio per cui la paternità derivante dal matrimonio può essere contestata solo adducendo il motivo che il padre legale non è il padre biologico del nato, è stato rafforzato il principio di autoresponsabilità. Le eccezioni alla legittimazione del padre o della madre sono date dalla conoscenza, prima del matrimonio della gravidanza o del concepimento ad opera di un terzo, a meno che la donna non abbia celato informazioni i rivelato false informazioni. All’uomo spetta l’onere della prova. Ulteriore eccezione all’impugnazione è data dal consenso ad un atto che possa aver condotto al concepimento del nato, oltre alla inseminazione a seguito di donazione, è menzione di scambio di partner o consenso alla prostituzione. Termini: madre, 1 anno dalla nascita; padre, 1 anno dalla conoscenza circostanze; figlio, 3 anni dalla conoscenza circostanze o dalla maggiore età. Rimane il principio dell’azione in giudizio. Per il futuro: rimedio unitario per la modifica dello stato; perdita dello stato per decisione costitutiva del Familiengericht. In precedenza: impugnazione di legittimità - impugnazione del riconoscimento Ora: azione unitaria: Impugnazione di paternità; salvo atto dispositivo, del quale si è detto in precedenza, nell’ipotesi di nascita successiva alla domanda di divorzio In quest’ultimo caso si rifiuta il vecchio modello francese della esclusione della presunzione in caso di genitori separati e di rinuncia dell’indicazione del marito quale padre del nato nella denuncia della nascita da parte della madre, con corrispondente libertà di riconoscimento da parte del terzo, ripreso in Olanda con il termine di un anno e con un atto di volontà della madre. La critica al modello francese si rivolge all’eccessivo potere della madre. Anche la proposta del Bundesrat di considerare sufficienti le dichiarazioni della madre e del marito, senza la presenza di una dichiarazione del terzo è stata rifiutata. La scelta si è orientata a favore del modello scandinavo, trascurandosi però di considerare che lì è imposto anche un controllo di probabilità circa la paternità, che necessita dell’approvazione di organi amministrativi. Ancor meno è stato ritenuto di aiuto il modello svizzero, ove in caso di separazione (Aufhebung der gemeinsamen Haushalt) non è necessario motivare l’impugnazione (art. 256b I ZGB), ma la presunzione di paternità riprende vigore ove si provi nel processo la convivenza (Beiwohnung) al momento del concepimento (art. 256b I ZGB) – Attenuazione dell’onere probatorio – la certezza dello stato resta fino a sentenza passata in giudicato. Stupisce appurare che si tratta di una soluzione già proposta dai redattori originari del BGB. Stupisce altresì che non sia richiesto il consenso del figlio, anche manifestato dal suo rappresentate legale A. DIRITTO DI IMPUGNAZIONE DELL’UOMO Il diritto di impugnazione spetta in primo luogo all’uomo sia esso marito o persona che ha riconosciuto la paternità: uomo della cui paternità si tratta. Nessun limite sostanziale è previsto, nemmeno nell’interesse del nato. L’interesse del 117 AIAF QUADERNO 2006/2 nato non è soggetto ad alcun controllo. Nell’ipotesi di consenso all’inseminazione eterologa, il limite è dato dalla prestazione di consenso della sola madre. In presenza del consenso della sola madre, la paternità del nato a seguito di inseminazione artificiale può esser attribuita in virtù del matrimonio al marito della madre o a seguito di riconoscimento. Tuttavia, la paternità sussiste fino ad una efficace impugnazione. Una impugnazione può fondarsi sulla circostanza che i gameti non derivassero dal marito o dall’uomo che ha riconosciuto il nato. In caso di impugnazione vittoriosa, è aperta la strada per il procedimento di accertamento della paternità B. D IRITTO DI IMPUGNAZIONE DELLA MADRE (§1600 BGB) Si tratta di un diritto jure proprio, che non trova le sue radici né nella Costituzione, né nel principio di uguaglianza, ma nella lesione dei diritti alla cura genitoria. Oggetto di discussione è l’introduzione di un limite nell’interesse del figlio, che si è tradotto in un progetto normativo: minore più interesse; maggiorenne più consenso figlio. Per il momento unico limite codificato è il tempo di esercizio entro i 2 anni di vita del figlio. Si critica tuttavia l’ abbandono di uno stato certo per uno incerto. Ma resta il dato per cui il controllo circa l’interesse del figlio resta nell’ipotesi in cui la madre agisca quale rappresentante legale del figlio (§1600a BGB). Ciò che attenua lo scopo e la finalità della legge di riforma. C. AMPLIAMENTO DEL DIRITTO DI IMPUGNAZIONE DEL FIGLIO Nessun limite di fattispecie tipiche. Il BVerfG, nel gennaio 1989 ha ribadito il diritto alla conoscenza delle proprie origini e la contrarietà alla Costituzione dei limiti dati dalle fattispecie particolari. Da cui la dichiarazione di illegittimità costituzionale del limite di prescrizione dei 2 anni dalla maggiore età. Nel frattempo si sono succeduti diversi progetti legge, ma vi è stata la rinuncia ad una qualsiasi limitazione, v. §§1600, 1600b, III, BGB. L’opzione prescelta è stata quella a favore di una clausola generale, in quanto si è ritenuto eccessivamente problematico il ricorso ad una elencazione di fattispecie tipiche. Ora il criterio di riferimento è dato dalla Unzumutbarkeit der Vaterschaft, indifferentemente dalla circostanza che i genitori sono coniugati o meno. I presupposti sono contenuti nel §1600b BGB: due anni dalla conoscenza di circostanze che rendono intollerabile la paternità. La critica della dottrina si incentra sul temine eccessivamente lungo, ma, si osserva, altrimenti il diritto del figlio sarebbe stato più limitato rispetto a quello esistente nell’ordinamento precedente (si ricordi il diritto riformato all’impugnazione per ragioni giustificate dal buon costume). Inoltre, il richiamo alle fattispecie preesistenti è considerato un punto di riferimento per l’interpretazione della clausola generale dell’intollerabilità. In caso di minore età del figlio la legittimazione spetta al rappresentante legale ex §1600°, III, BGB. La regola non è data per scontata, ma viene giustificata dalla tutela in una fase critica di sviluppo. Fino alla riforma del 1998 era richiesta l’autorizzazione del giudice tutelare. Ora si considera sufficiente un controllo dell’interesse del figlio. La competenza è del Tribunale della famiglia, nel procedimento di impugnazione, non in un atto 118 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS procedimentale antecedente. Non è richiesto il consenso della madre, in caso di rappresentanza legale del curatore o del tutore, poiché il Tribunale della Famiglia ha da tenere in conto anche il profilo del benessere della famiglia e il rapporto personale tra madre e figlio. La finalità di tale controllo viene individuata nella circostanza che esso dovrebbe sostituire l’indicazione elencativi delle fattispecie che consentono l’accesso all’impugnazione. La dottrina critica una siffatta impostazione osservando che ad ogni modo il rafforzamento del diritto del minore alla conoscenza della propria discendenza andrà, in futuro, a svantaggio della tutela del matrimonio e della famiglia e propone quale correttivo il richiamo agli obblighi reciproci di cura e riguardo tra genitori e figli (§1618° BGB). D. ABOLIZIONE DI UN DIRITTO DI IMPUGNAZIONE IN VIA SUSSIDIARIA DEI GENITORI DEL MARITO Ai sensi del § 1595°, vecchia formulazione, BGB se il marito fino alla morte non ha avuto conoscenza della nascita del figlio o è deceduto entro i due anni dalla nascita del figlio senza aver impugnato la legittimità del figlio, salvo volontà contraria del figlio minore, sussisteva un diritto di impugnazione in via sussidiaria dei genitori del marito. Similmente era previsto nel § 1600g, II, BGB, per l’impugnazione del riconoscimento di paternità. Già nel 1961 con la FamÄndG si era abolita la legittimazione ad agire dello Staatsanwalt, mentre era rimasta quella dei genitori seppure entro termini ridotti. La discussione sulla norma era incentrata sul suo scarso significato (analoga norma sussiste nell’ordinamento svizzero, art. 258 ZGB) e sulla sua portata a tutela di interessi poco meritevoli di tutela dei nonni. Attualmente, la sua abolizione viene approvata per la creazione della situazione di incertezza limitata al nucleo familiare. Ciononostante, rilievi critici vengono rivolti al “monopolio della madre”, in caso di morte del padre, unica rappresentante legale del figlio; tuttavia, si osserva, il rischio non è che il suo agire sia indirizzato contro l’interesse del figlio, bensì contro quello della famiglia del genitore/marito defunto. E. DIRITTO DI IMPUGNAZIONE DEL PADRE BIOLOGICO DEL BAMBINO Fino al 2004 il padre biologico era legittimato nel procedimento di impugnazione solo quale “Nebenintervenient” ai sensi del § 66 ZPO. I “potentielle Väter” si osservava non rientrano nel concetto di “parte genitoria”. Si era quindi proposto di concedere la legittimazione all’impugnazione almeno in caso di adozione o morte della madre o del marito della madre. A seguito degli interventi del Bundesverfassungsgericht, con la riforma del 2004 è stato introdotto un diritto di impugnazione della paternità da parte del padre biologico. I presupposti sono contenuti nei §§ 1600, I-II-III, BGB: a) atto di giuramento da parte dell’uomo di aver avuto una relazione con la donna nel periodo del concepimento; b) tra il nato e il padre legale non deve sussistere un rapporto sociofamiliare. Un rapporto socio-familiare si assume esistente se il padre legale ha assunto di fatto la responsabilità per il figlio. Una assunzione di responsabilità si ha di regola se il padre legale è coniugato con la madre o ha vissuto con il figlio per lungo tempo in una comunione di vita. In caso di morte del padre legale è 119 AIAF QUADERNO 2006/2 decisivo che tale rapporto sussistesse al momento della morte; c) l’uomo che impugna la paternità deve dimostrare la propria paternità biologica. Lo scopo di tali requisiti viene individuato nella esigenza di evitare azioni avventate; nella tutela della famiglia e dei rapporti familiari consolidati; e nella volontà di evitare che il nato resti senza padre. F. POSIZIONE GIURIDICA DEL DONATORE DI SEME Fino a quando sussiste la paternità di un altro uomo in forza di matrimonio o per riconoscimento, il donatore non ha alcun vicolo giuridico con il figlio, ma la vittoriosa impugnativa della paternità esistente, apre la strada al riconoscimento o all’accertamento giudiziale. Il donatore non ha un diritto di impugnazione, poiché egli, si sottolinea, non ha “beigewohnt” con la madre (§ 1600, I, 2, BGB). Tuttavia, a seguito di accertamento ricadrebbero su di lui gli obblighi e i diritti della paternità e la madre non potrebbe rinunciare in nome del figlio alle pretese al mantenimento (§ 1614, I, BGB). La dottrina avanza per altro riserve costituzionali e individua una rinuncia concludente nel “fatto” della donazione, seppure non mancano aperture verso il riconoscimento di diritti al donatore di seme. Costituisce una particolarità dell’ordinamento inglese la regola per cui solo se la donazione ha luogo in cliniche autorizzate, il donatore non è ritenuto padre. G. TERMINI DI IMPUGNATIVA I termini di impugnativa sono unitari: 2 anni dalla conoscenza delle circostanze che depongono “contro” la paternità; unica eccezione, per il figlio minore il termine inizia a decorrere dopo il raggiungimento della maggiore età, dalla conoscenza delle circostanze Non sussiste alternativa né per termini ridotti o illimitati, in presenza di fattispecie particolari, come accadeva ad es. in precedenza per l’impugnazione per contrarietà al buon costume. Nella discussione al progetto di riforma si tendeva ad introdurre il termine di 1 anno. La decorrenza è fissata dalla conoscenza delle circostanze, in ogni caso non prima della nascita e non dopo che il riconoscimento sia diventato efficace; ciò vale anche nell’ipotesi del riconoscimento per atto dispositivo in caso di figlio nato dopo l’instaurazione del procedimento di divorzio; ad ogni modo, il marito, anche in caso di disponibilità al riconoscimento da parte di un terzo, deve esercitare il proprio diritto all’impugnazione entro i due anni dalla conoscenza delle circostanze. Inoltre per il figlio essi riprendono a decorrere dal momento in cui gli effetti della paternità diventano impretendibili. H. PRESENZA DI CIRCOSTANZE OGGETTIVE È singolare rilevare come nonostante l’assenza di un accertamento preliminare o fase preliminare di ammissibilità dell’azione, nella disciplina codificata dal BGB, la giurisprudenza richieda al fine del procedimento di impugnazione quale presupposto della “Schlussigkeit” dell’azione, la quale deve essere logicamente “nachvollziehbar”, il c.d. “Anfangsverdacht”. Colui che agisce in giudizio deve provare le circostanze (dubbi, possibilità, testimonianze) che, secondo criteri di valutazione oggettiva, sono idonee a far nascere dubbi circa la discendenza della persona dal padre giuridico e che lasciano apparire la discendenza da un altro uomo come non del tutto improbabile. 120 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS Questo sospetto iniziale non può basarsi o rafforzarsi su un test della paternità eseguito celatamente, ossia senza il consenso del figlio o dell’avente la cura genitoria, poiché un siffatto test lede la personalità del figlio (controverso), avuto riguardo, anche, in particolare alla stabilità del rapporto di filiazione. Maggiori similitudini si osservano in tema di prova della paternità nel procedimento di impugnazione e sua prova contraria. Il § 1600c, I, BGB prevede una presunzione di discendenza da colui che si presume padre, perché coniugato con la madre al momento della nascita, e per l’attribuzione della paternità, dopo la morte, in ragione del periodo legale di concepimento, o per il successivo riconoscimento. Per la prova contraria non sussiste una norma ad hoc. Diversamente da quanto accadeva ai sensi del § 1591, I, 2, BGB, vecchia formulazione, che richiedeva impossibilità di concepimento da parte del marito, ovvero secondo le circostanze è palesemente impossibile che la donna abbia concepito il figlio dal marito. La formulazione si giustificava per la difficoltà incontrate dal legislatore tradizionale del BGB e legate alla prova della paternità Oggigiorno una siffatta formulazione viene ritenuta rinunciabile (“entbehrlich”), alla luce dello stato delle conoscenze dei metodi scientifici di prova della discendenza. Già nel vigore della vecchia normativa si era giunti a ritenere che “l’impossibilità palese della paternità” non richiedesse un più elevato grado di prova della misura del convincimento del giudice ai sensi del § 286 ZPO. La dottrina rileva che la disciplina deve logicamente integrarsi nel senso che “la presunzione è vinta o l’impugnazione è fondata se il nato non discende dall’uomo”, dunque prova piena del contrario, ossia della “non discendenza” dal presunto padre. Ai fini del procedimento di impugnazione la norma decisiva resta il § 1599, I, BGB, nel procedimento di impugnazione il § 1600c, I, BGB Per il diritto vigente fino alla riforma del 1998, nell’accertamento positivo della paternità, era richiesta per l’accertamento diretto, la prova positiva § 1600a, I, BGB, per quello indiretto, la prova indiretta di paternità per la provata Beiwohnung §1600a, II, BGB, v.f. Pertanto la riduzione della base per l’accertamento positivo alla sola presunzione di paternità ai sensi del § 1600d, II, BGB, è stato criticato quale difetto della legge, mentre si approva il limite della presunzione di cui al § 1600c, I, BGB Ai sensi del § 1600c II, BGB, la presunzione di paternità nel procedimento di impugnazione non vige se è l’uomo ad avere agito e il suo riconoscimento di paternità è inficiato da un vizio della volontà. In questo caso sono sufficienti gravi dubbi sulla paternità per il vittorioso esperimento dell’azione di impugnazione. La sentenza ha efficacia retroattiva. Lo stato del nato viene costituito, di regola, in senso negativo, a meno che si tratti di impugnazione da parte del padre biologico. Poiché presupposto è l’esistenza di forti indizi di dubbio sulla paternità si richiede l’accertamento negativo più l’ accertamento positivo. Si ricordi che in Germania l’utilizzo delle prove c.d. biologiche sottostà alle Direttive della “Bundesärztekammer” coordinate dal Robert-Koch-Institut. Nelle ipotesi in cui non ci si attenga a tali direttive, al giudice è data facoltà, a sua discrezione, di non tenere conto dei risultati delle analisi mediche sulla base della libera valutazione delle prove ai sensi del § 286 ZPO. 121 AIAF QUADERNO 2006/2 6. ACCERTAMENTO GIUDIZIALE Nella descrizione dell’accertamento della filiazione si afferma, resta fermo nei principali orientamenti europei il principio per cui fino a quando non è contestata in giudizio, la filiazione legalmente attribuita è di ostacolo ad altra filiazione che la contraddice. Questo nonostante che nel Code civil, data la più ampia struttura dell’accertamento legale e volontario, anche l’accertamento giudiziale abbia una più ampia portata [ristabilimento della presunzione di paternità (art. 329 c.c.), ad esempio, la presunzione è venuta meno perché il figlio è nato dopo 300 gg. dal divorzio o dalla separation de corps; legittimazione dei coniugi e del figlio, 10 anni dopo la maggiore età; contestazione del possesso di stato; legittimazione: chiunque vi abbia interesse entro i 10 anni (art. 330 c.c.)] e la ricerca della maternità o paternità obbedisca ad una duplice considerazione: ricerca della verità e ricerca della stabilità del legame. Infatti, in difetto del titolo e del possesso di stato la ricerca della maternità è ammessa sotto riserva dell’applicazione dell’art. 326 c.c., cioè a condizione che la madre non abbia domandato il segreto delle sue dichiarazioni e della sua gravidanza. Ciò che ha indotto la dottrina a sostenere che occorre respingere lo “scopo di non ricevere”, di cui più autori avevano domandato la soppressione Si ricordi che la legittimazione solo figlio è fino a 28 anni (dieci dalla maggiore età) e che nella ricerca della paternità quella dei genitori, anche minori, in nome del figlio durante la minore età (art. 328 c.c.) è anch’essa soggetta ad un termine di prescrizione di 10 anni. Una soluzione intermedia è presente nell’ordinamento austriaco Il nuovo FamErbRÄG del 2004 attribuisce al figlio (e solo al figlio) una nuova facoltà di agire per l’accertamento della propria discendenza, anche quando già sussiste la paternità di altro uomo. Il vittorioso accertamento della paternità porta con sé l’effetto negativo della negazione della discendenza preesistente (§ 163b ABGB). Si tratta di un diritto soggettivo all’estinzione di una precedente discendenza, indifferentemente dalla ragione sulla quale poggia il corrispondente esercizio. Il minore non capace di agire è rappresentato, in prima linea, dalla madre, la cui decisione sul se dell’azione deve aver esclusivo riguardo all’interesse del figlio. La situazione è più complessa nel BGB. Per l’accertamento della paternità di figlio di donna non coniugata i presupposti sono la mancanza di una paternità in forza di matrimonio e la assenza di un riconoscimento o l’esercizio vittorioso dell’azione di impugnazione. La competenza è del Familiengericht. L’azione in giudizio può riguardare l’uomo contro il nato, il nato contro l’uomo, la madre contro l’uomo. La legittimazione ad agire della madre (§1600e, I, BGB) sussiste non solo quale rappresentante legale del figlio, ma anche jure proprio – novità - rafforzamento dei diritti della madre, se cura genitoria. Si tratta di una novità poiché fino alla riforma del 1998 solo dopo la morte del figlio si riconosceva uno jure proprio della madre. Resta comunque il problema che la madre è soggetto terzo del rapporto di accertamento, ma, si osserva si tratta di una azione comune, non dell’ammissibilità di 122 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS più procedimenti già ex § 640 ZPO. In ogni caso, si produce una efficacia non retroattiva degli effetti dell’accertamento. Nel passato, dalla nascita si aveva una automatica operatività dell’Amtspflegschaft, con facoltà di agire per l’accertamento della paternità. Con l’abrogazione dell’Amtspflegschaft la decisione è rimessa all’unica scelta della madre; anche se secondo una parte della dottrina esiste un obbligo di agire per l’accertamento. Ciò che tuttavia, non attenua le critiche volte al possibile conflitto di interessi. La facoltà di privare in tali casi la madre, almeno in parte, della cura genitoria, è venuta meno, con riguardo all’accertamento della paternità; l’eventualità della perdita della cura genitoria ex § 1666 BGB non viene ritenuta adeguata, seppure praticabile, per la eccessiva rigidità dei presupposti. La legittimazione del figlio si è trasformata in accertamento del padre e non come nella vecchia versione di colui che ha concepito il figlio. L’accento si è spostato dal vecchio concetto dell’accertamento positivo, ma, osserva la dottrina, non si è abbandonato il principio della discendenza e non ci si è allontanati dalla ricerca della paternità biologica. Quindi, non solo accertamento puro e semplice, bensì un accertamento con attribuzione giuridica costitutiva di stato, con riguardo al padre biologico. L’uomo sia esso il convenuto o l’attore è da accertarsi come padre del nato qualora il nato discenda geneticamente e direttamente da lui sia tramite concepimento sia a seguito di donazione. Il giudice ha la facoltà di ricercare d’ufficio gli elementi di fatto (§§ 640, I, 2; 616; I, ZPO). Ciò avviene con il ricorso a periti medico scientifici, i cui pareri costituiscono insieme ad altre fonti di conoscenza la base per l’accertamento della paternità o dell’esistenza dei dubbi residui; è richiesto un grado di probabilità (sulla base di tutte le informazioni o circostanze documentate) al limite della certezza. Finora: I. Prova positiva della paternità; II. Prova indiretta della paternità, con l’aiuto della presunzione di paternità, in ragione della prova della Beiwohnung. Tale stato di diritto resta, oltre alla prova positiva è frequente il ricorso a presunzioni di concepimento, sulla base del periodo legale di concepimento (300/181, salvo prova contraria), ma la presunzione vale solo se è provata la Beiwohnung. La presunzione non opera in caso di gravi dubbi sulla paternità, ma si ha incertezza sulla validità della c.d. Dirneneinwand. Nella prassi, per la contestazione della presunzione gioca un ruolo decisivo la prova di rapporti tra la madre e più uomini. Il che, specifica la dottrina, non integra una eccezione assoluta, ma può generare gravi dubbi sulla paternità. La presunzione è comunque vinta se la paternità del convenuto non è più altamente probabile di quella di altri soggetti. Anche in questo contesto decisive sono comunque le perizie medico scientifiche, con il limite tuttavia del consenso del soggetto. Accanto all’azione di accertamento positivo, una parte della dottrina ammette l’azione di accertamento negativo ai sensi del § 640 ZPO. L’interesse ad agire è proprio dell’uomo di cui si pretende esistere la paternità. Più in generale, un diritto alla conoscenza della propria discendenza viene fatto discendere dall’art. 2 GG – Diritto al libero sviluppo della personalità – e dal123 AIAF QUADERNO 2006/2 l’art. 1 GG – Menschenwürde – quale diritto personalissimo dei soggetti alla conoscenza della propria discendenza genetica, ma in numerose decisioni di legittimità costituzionale si è negato il diritto a raggiungere la conoscenza della propria discendenza e si è ammessa solamente una insufficiente tutela contro il rifiuto di informazioni “ottenibili” da parte di organi pubblici. Al riguardo si osserva la riforma ha rafforzato il diritto della persona alla conoscenza della propria discendenza, ampliando le sue facoltà di impugnazione della paternità esistente, prevedendo una azione senza limiti di contenuto, con il rischio tuttavia di “pagare” il vittorioso esperimento dell’impugnazione con la perdita dell’attribuzione di paternità al padre “apparente”. Di conseguenza, si rileva, con il nuovo stato di diritto il tema non si è esaurito poiché, in primo luogo non è ammessa l’impugnazione della maternità. Da qui il quesito di come concretizzare in caso di donazione di ovulo il diritto alla conoscenza della propria discendenza. Anche il diritto di impugnazione della paternità non è di aiuto se vengono rifiutate le necessarie informazioni. In fine si ammette come può darsi che si oltrepassi la finalità delle norme sulla filiazione qualora si pensi che un soggetto possa realizzare il diritto alla propria discendenza nel momento in cui intacca il proprio status familiare. Ci si chiede, pertanto, se oltre all’impugnazione esista un’altra via processuale per chiarire la propria discendenza. La legge non lo prevede, ma il richiamo è alla azione generale di cui al § 640, II, 1, ZPO, che disciplina il procedimento per l’accertamento dell’esistenza o non esistenza di un rapporto (genitori/figli di filiazione); ma, si rileva, in base all’attribuzione della maternità alla partoriente, senza eccezione alcuna, non può accertarsi alcun rapporto di filiazione con la “sola” madre biologica. Nemmeno una azione ordinaria all’accertamento della discendenza genetica è ammessa, poiché il § 256 ZPO l’ammette solo per l’accertamento di un rapporto giuridico e, di dice, la legge nega un siffatto rapporto giuridico con la madre biologica. Anche con riguardo alla paternità, il § 250 ZPO non può essere invocato. In passato si era discusso nell’ordinamento tedesco se concedere al figlio un diritto di impugnazione della paternità “rechtsfolgenlos”. Non è detta l’ultima parola, poiché era stato lo stesso Bundesverfassungsgericht a prospettare una simile soluzione. Attualmente il diritto alla conoscenza della discendenza gioca un ruolo predominante nei procedimenti nei quali un figlio pretende dalla madre informazioni sulla persona del padre o sulle persone che potrebbero essere i probabili padri, per predisporre un azione di impugnazione. Sul se e in quale misura non vi sono risposte univoche; la possibilità è però generalmente ammessa. Il fondamento giuridico viene individuato nei §§ 242, 1618a BGB. Ma resta il confitto tra diritti fondamentali: diritto alla conoscenza della discendenza e diritto della personalità della donna, in particolare alla tutela della sfera privata. La soluzione viene di conseguenza lasciata al caso concreto. Sicuramente, la posizione della madre è quella più debole, se il rifiuto di informazioni inibisce l’attribuzione della paternità. Tuttavia, il solo interesse pubblico a pretendere dal padre tenuto al mantenimento il risarcimento delle prestazioni effettuate dallo stato non giustifica l’ingerenza nella sfera privata della donna. 124 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS 7. EFFETTI CON RIGUARDO ALLE PRESTAZIONI DI MANTENIMENTO In Germania è ammessa una azione di regresso, ai sensi del § 1607, III, 2 BGB, quale pretesa da illecito. Contro la madre il risarcimento del danno da attribuzione di paternità non viene di regola riconosciuto, a meno che la gravidanza non abbia costituito motivo determinate del matrimonio o l’inganno abbia indotto il marito a non impugnare la paternità. Nell’ordinamento francese, si ha la c.d. azione al fine del “subside”, la quale, introdotta dalla l. del 5.1.72, non è legata direttamene alla filiazione. Essa deve intentarsi contro colui che ha avuto una relazione con la madre al tempo del concepimento In difetto di filiazione legale è necessario che la filiazione biologica sia possibile Il convenuto può difendersi provando, con qualsiasi mezzo, di non poter essere il padre (art. 342 – c.c.) È altresì ammessa per i figli non riconoscibili. L’istituto è stato codificato altresì nell’ordinamento olandese, nel quale una serie di pretese giuridiche possono essere fatte valere per vie diverse dal riconoscimento o dall’accertamento della paternità nei confronti di chi ha concepito il nato o di chi ha dato il consenso ad un atto che può aver avuto quale effetto il concepimento del nato, è obbligato al mantenimento, cura e istruzione fino alla indipendenza economica della persona. 8. OSSERVAZIONI CRITICHE Per limitarci a poche riflessioni, conservano valore le critiche a suo tempo fatte alla riforma del 1998 dalla dottrina tedesca e fondate prevalentemente sulla degradazione dei diritti del figlio a favore di quelli della madre e precisamente sulla legittimazione della madre per l’accertamento della paternità. Solo se la madre agisce nel nome del figlio si ha un controllo circa l’interesse del figlio, mentre la privazione della cura genitoria quale limite all’abuso non fornisce una soluzione Non meno aspre sono le critiche della dottrina francese a fronte di una progressiva affermazione dei principi di verità e uguaglianza. Le osservazioni si indirizzano sulla scelta del modello; l’unificazione si afferma non è stata fatta sul modello della filiazione legittima, ma ciascuno dei due si è avvicinato all’altro; se la filiazione naturale ha raggiunto quella legittima quanto all’atto di nascita, la filiazione legittima si impronta su quella naturale per il regime delle azioni in giudizio. Inoltre, l’eguaglianza dei figli é indipendentemente dal matrimonio. Essa non è totale, poiché si ha una ineguaglianza sul piano probatorio; esigenza di reale obbligatorietà e automatismo dell’accertamento della filiazione; nel matrimonio la filiazione è indivisibile grazie alla presunzione di paternità (mantenuta), fuori del matrimonio la filiazione è divisibile e la presunzione non è stata estesa ai concubini o ai pacsés. Resta aperto il dibattito circa la filiazione delle coppie omosessuali e l’esigenza di riconoscimento dei figli incestuosi. Da qui la conclusione per cui la riforma non va oltre lo scopo, poiché se l’aspet125 AIAF QUADERNO 2006/2 to ritenuto più importante della riforma è quello di tutelare il nato dal conflitto della filiazione e di perseguire una maggiore stabilità del legame con la riduzione dei termini e la limitazione titolari azione di contestazione, si è raggiunta seppure con l’attenuazione della presunzione di paternità una accentuazione della visione matriarcale della filiazione e una accentuazione di una concezione economica della stessa. 126 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS APPENDICE LE PROPOSTE DI LEGGE (XIV E XV LEGISLATURA) IN TEMA DI FILIAZIONE E COGNOME 127 AIAF 128 QUADERNO 2006/2 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS XIV LEGISLATURA - ATTI PARLAMENTARI N. 1858-2363-4076-4412-A La II Commissione permanente (Giustizia), il 23 febbraio 2005, ha deliberato di riferire favorevolmente sul testo unificato delle proposte di legge nn. 1858, 2363, 4076 e 4412. In pari data, la Commissione ha chiesto di essere autorizzata a riferire oralmente. CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTE DI LEGGE n. 1858, D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI TURCO, FINOCCHIARO Modifica dell’articolo 263 del codice civile, in materia di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità Presentata il 25 ottobre 2001 n. 2363, D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI SINISCALCHI, ANNUNZIATA, CARBONI, CENTO, GRILLINI, MANCINI, MANTINI, CHIAROMONTE Modifica all’articolo 258 del codice civile, in materia di riconoscimento del figlio naturale Presentata il 18 febbraio 2002 n. 4076, D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI MUSSOLINI, TARDITI Disposizioni in materia di riconoscimento del figlio naturale Presentata il 17 giugno 2003 n. 4412, D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI GARNERO SANTANCHÈ, CASTELLANI, ANGELA NAPOLI, ALBONI, BELLOTTI, DORINA BIANCHI, BUTTI, CANNELLA, CORONELLA, CRISTALDI, DELMASTRO DELLE VEDOVE, FATUZZO, GAMBA, GERACI, GHIGLIA, ALBERTO GIORGETTI, LA STARZA, LAMORTE, LANDOLFI, GIANNI MANCUSO, LUIGI MARTINI, MENIA, MEROI, MESSA, MIGLIORI, ONNIS, ANTONIO PEPE, PORCU, RICCIO, ROSITANI, SAGLIA, SCALIA, RAISI Modifiche al codice civile in materia di tutela dei figli naturali Presentata il 22 ottobre 2003 (Relatore: BONITO) PARERE DELLA I COMMISSIONE PERMANENTE (AFFARI COSTITUZIONALI, DELLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO E INTERNI) La I Commissione permanente, esaminato il nuovo testo delle proposte di legge C. 1858 Turco ed abbinate, recante disposizioni in materia di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale per difetto di veridicità; rilevato che le disposizioni recate appaiono nel loro complesso riconducibili alla materia “giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale”, la cui disciplina è demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione; ritenuto che non sussistono motivi di rilievo sugli aspetti di legittimità costituzionale, esprime PARERE FAVOREVOLE PARERE DELLA V COMMISSIONE PERMANENTE 129 AIAF QUADERNO 2006/2 (BILANCIO, TESORO E PROGRAMMAZIONE) NULLA OSTA PARERI DELLA XII COMMISSIONE PERMANENTE (AFFARI SOCIALI) PARERE FAVOREVOLE TESTO DELLA COMMISSIONE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI RICONOSCIMENTO DEL FIGLIO NATURALE E DI IMPUGNAZIONE DEL RICONOSCIMENTO. ART. 1. All’articolo 148, secondo comma, del codice civile, le parole: “In caso di inadempimento” sono soppresse. ART. 2. 1. Il primo comma dell’articolo 258 del codice civile è sostituito dal seguente: “Con il riconoscimento, il figlio naturale acquista pari diritti e pari doveri del figlio legittimo nei confronti degli ascendenti, e acquisisce i vincoli di parentela di cui all’articolo 74 con i parenti del genitore che lo ha riconosciuto, in linea retta e collaterale”. ART. 3. 1. All’articolo 262 del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: “In ogni caso, il giudice, nell’emanare il provvedimento, deve tenere conto dell’interesse morale e materiale del minore e della volontà dei genitori”. ART. 4. 1. L’articolo 263 del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 263 – (Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità). Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall’autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto o da chiunque vi abbia interesse. Nel decidere sulla domanda di cui al primo comma il giudice deve tenere conto dell’interesse del figlio a mantenere o meno lo status derivante dal riconoscimento contestato. L’impugnazione è ammessa anche dopo la legittimazione. L’azione è imprescrittibile”. ART. 5. 1. Il primo comma dell’articolo 264 del codice civile è sostituito dal seguente: “Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità da colui che è stato riconosciuto entro un anno dal compimento della maggiore età o dal giorno in cui, successivamente, è venuto a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile l’impugnazione”. ART. 6. 1. La sezione II del capo II del titolo VII del libro I del codice civile è abrogata. ART. 7. 1. Al primo comma dell’articolo 291 del codice civile, le parole: “o legittimati” sono sostituite dalle seguenti: “o naturali riconosciuti”. ART. 8. 1. Al secondo comma dell’articolo 317- bis del codice civile è aggiunto, in fine, il seguen130 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS te periodo: “In tale caso si applicano le disposizioni di cui all’articolo 155, anche in relazione ai provvedimenti relativi al mantenimento”. 2. All’articolo 317-bis del codice civile è aggiunto, in fine, il seguente comma: “Il procedimento è regolato dalle disposizioni di cui all’articolo 148, commi primo, secondo, quarto e quinto, in quanto compatibili”. ART. 9. 1. Al secondo comma dell’articolo 536 del codice civile, le parole: “i legittimati e” sono soppresse. ART. 10. 1. Il terzo comma dell’articolo 537 del codice civile è sostituito dal seguente: “Si applicano, in ipotesi di divisione del patrimonio, le norme di cui all’articolo 732”. ART. 11. 1. Al primo comma dell’articolo 538 del codice civile dopo le parole: “ascendenti legittimi” sono inserite le seguenti: “o naturali riconosciuti”. 2. Alla rubrica dell’articolo 538 del codice civile sono aggiunte le parole: “o naturali riconosciuti”. ART. 12. 1. Il terzo comma dell’articolo 542 del codice civile è abrogato. 2. Il secondo comma dell’articolo 566 del codice civile è abrogato. ART. 13. 1. Al primo comma dell’articolo 567 del codice civile, le parole: “i legittimati e” sono soppresse. 2. Alla rubrica dell’articolo 567 del codice civile, le parole: “legittimati e” sono soppresse. ART. 14. 1. Il terzo comma dell’articolo 578 del codice civile è abrogato. ART. 15. 1. All’articolo 582 del codice civile, dopo la parola: “legittimi” sono inserite le seguenti: “o naturali riconosciuti”. 2. Alla rubrica dell’articolo 582 del codice civile, dopo la parola: “legittimi” sono inserite le seguenti: “o naturali riconosciuti». ART. 16. 1. Al primo comma dell’articolo 687 del codice civile, le parole: “o legittimato” sono soppresse. 2. Il secondo comma dell’articolo 687 del codice civile è sostituito dal seguente: “La revocazione ha luogo anche se il figlio è stato concepito al tempo del testamento, e soltanto in seguito riconosciuto”. 131 AIAF QUADERNO 2006/2 XV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE N. 1613 d’iniziativa del deputato PORETTI MODIFICHE AL CODICE CIVILE IN MATERIA DI FIGLI LEGITTIMI E NATURALI Presentata il 4 settembre 2006 ONOREVOLI COLLEGHI! La presente proposta di legge è stata elaborata in collaborazione con l’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (ADUC). La riforma del diritto di famiglia del 1975, modificando l’articolo 261 del codice civile, ha sancito il principio dell’eguaglianza dei diritti tra figli legittimi e figli naturali. Questo principio, tuttavia, non è stato affermato in modo assoluto e numerose differenze permangono nel nostro ordinamento. Esse riguardano sia il modo in cui lo stato di figlio si assume e le azioni relative (ad esempio, l’azione di disconoscimento di paternità, che riguarda i figli legittimi, può essere esercitata entro stretti termini, mentre l’azione per impugnare il riconoscimento del figlio naturale è imprescrittibile), sia la materia ereditaria. L’articolo 537, terzo comma, del codice civile, prevede infatti un anacronistico e ingiustificato meccanismo dal quale può derivare l’esclusione dei figli naturali dall’eredità e la traduzione del loro diritto in un equivalente economico, senza assunzione della qualità di erede. L’articolo 565 del codice civile, a sua volta, non riconosce un rapporto di parentela tra fratelli naturali. Questa norma è stata oggetto di dichiarazioni di incostituzionalità , ma la Corte costituzionale, nell’affermare il principio, l’ha modificata solo in parte, sostenendo che compete al legislatore una riforma integrale di essa. Già in una sentenza del 1979 si legge: «...appare contrastante con il principio di eguaglianza e di pari dignità sociale un regime successorio che escluda che i fratelli (o le sorelle) naturali possano succedere ai propri fratelli (o sorelle) naturali”. Ciò nonostante, il legislatore non è intervenuto. Ancora oggi, i parenti cosiddetti legittimi, fino al sesto grado, prevalgono, nella successione, sui fratelli naturali. L’eguaglianza e la pari dignità sociale restano ancora un miraggio. La penalizzazione per i figli naturali, che le differenze legislative determinano, e il timore che questi possano essere discriminati costituisce un fattore di condizionamento, idoneo a influenzare i nubendi in generale e le coppie di fatto in particolare a scegliere il matrimonio, che dovrebbe invece costituire, per l’alto profilo degli impegni che con esso si assumono, una decisione assolutamente libera. Le coppie, infatti, se possono decidere di volere per se´ un regime di minore tutela, molto più difficilmente accettano che i propri figli siano discriminati. A prescindere da ogni considerazione sulla libertà delle coppie, le discriminazioni per i figli in ragione della loro nascita appaiono ingiustificate, anacronistiche e in contrasto con i sentimenti più diffusi. Esse debbono pertanto essere eliminate. Un sondaggio svolto a seguito di un’iniziativa di studio sfociata nella presentazione al Senato, nella XIV legislatura, del disegno di legge n. 2662 del 17 dicembre 2003, ha rivelato che l’83,3 per cento degli intervistati è a favore dell’abolizione della facoltà di commutazione prevista dagli articoli 537, 542 e 566 del codice civile e simbolo della discriminazione tra figli legittimi e naturali. 132 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS Sotto altri profili, ma con uguale vigore, deve essere affermata l’uguaglianza di diritti per i figli naturali “non riconoscibili ». Non è giusto, infatti, che gli stessi scontino colpe non proprie. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. L’articolo 74 del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 74. – (Parentela). – La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione sia avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui sia avvenuta al di fuori di esso”. ART. 2. 1. L’articolo 565 del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 565. – (Categorie di successibili). – Nella successione legittima, l’eredità di devolve al coniuge, ai parenti legittimi e naturali e allo Stato, nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo”. ART. 3. 1. L’articolo 573 del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 573. – (Successione dei figli naturali). – Le disposizioni relative alla successione dei figli naturali si applicano quando la filiazione è stata riconosciuta o giudizialmente dichiarata o è stata accolta l’azione di cui all’articolo 279”. ART. 4. 1. Il terzo comma dell’articolo 537, il terzo comma dell’articolo 542 e il terzo comma dell’articolo 566 nonche´ gli articoli 578, 579 e 580 del codice civile sono abrogati. 133 AIAF QUADERNO 2006/2 XIV LEGISLATURA - SENATO DELLA REPUBBLICA DISEGNO DI LEGGE N. 296 d’iniziativa del senatore RIPAMONTI COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 22 GIUGNO 2001 MODIFICHE AL LIBRO PRIMO, TITOLO VII, DEL CODICE CIVILE IN TEMA DI FILIAZIONE Onorevoli Senatori. – Il concetto attuale di famiglia ed i valori in essa contenuti hanno subito negli ultimi anni sostanziali modifiche, assumendo contorni più elastici, con la progressiva scomparsa dei canoni rigidi che però rimangono nella forma giuridica. Sempre più a gran voce si chiede infatti una regolamentazione dello status di convivente, così come una parificazione delle coppie omosessuali e quelle eterosessuali. Ma se la morale attuale non si scandalizza più di fronte a due partners dello stesso sesso, ad un uomo che vuole diventare donna o viceversa od alla famiglia composta sin dall’origine da un solo genitore, tuttavia la normativa in materia è ferma alla riforma del 1983, che ha puntato prevalentemente a semplificare le procedure di divorzio. Ma se i media ed i dibattiti sulle questioni «calde» come la fecondazione artificiale ribadiscono sempre più il diritto all’eguaglianza tra cittadini sancito dalla Costituzione, è altrettanto vero che nessuno reclama questi diritti per i figli. Il nostro codice civile attuale, infatti, prevede ancora discriminazioni fra figli legittimi, cioè nati nel matrimonio, e figli naturali, subordinando gli interessi dei secondi a quelli dei primi e parificando il figlio naturale all’adottato in via ordinaria, cioè ad una persona che non ha altri parenti, e perciò altri punti di riferimento giuridico, oltre al genitore che l’ha riconosciuto. La Costituzione stessa, che proclama l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge nell’articolo 3, sembra paradossalmente affermare il contrario; infatti il terzo comma dell’articolo 30 recita: «la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima». Questa dichiarazione era indubbiamente rivoluzionaria quando ha visto la luce, nel 1948, di fronte ad una società in cui il matrimonio era indissolubile a meno che la Chiesa non ne dichiarasse la nullità sulla base dei propri canoni, l’adulterio era un reato ed il delitto d’onore quasi un dovere punito con due anni di reclusione. La nuova società portava con sé in questo campo vecchi ideali, a cui il fascismo si era adattato nel tentativo di spingere gli italiani ad avere molti figli, che vedevano la famiglia come il centro assoluto della vita e puniva con sanzioni economiche (tassa sul celibato) gli uomini che preferivano una diversa scelta di vita al di fuori anche della veste sacerdotale. Tuttavia già allora la morale si scontrava con il diritto: a fronte di quanto sopra detto, era perfettamente accettato che una vedova si risposasse solo in chiesa al fine di mantenere la pensione di reversibilità, restando quindi donna onorata, perché il matrimonio religioso era considerato socialmente valido; a farne le spese erano però gli eventuali figli, che venivano discriminati dalla società con la sigla «N.N.» sui documenti e portavano come cognome quello della madre, in quanto lo stesso matrimonio non registrato è privo di effetti civili. La realtà del 1948, e forse anche quella del 1983, appartengono ormai alla storia. Si rende perciò necessario attuare le riforme indispensabili perché la normativa si adegui al sentire comune. Per rendersi conto di ciò basta porsi questa domanda: 134 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS quale sia oggi la «famiglia legittima» nei confronti di chi si è sposato più volte od ha avuto una o più convivenze. In tali casi è infatti logico chiedersi se sia legittima la prima famiglia, o l’ultima, se non addirittura quella d’origine composta da genitori e fratelli, sempre che questa abbia i requisiti previsti dalla normativa vigente. Il disegno di legge che si presenta punta l’attenzione su coloro che a differenza dell’adulto, il quale può scegliere di assumere uno status piuttosto che un altro, vedono la luce nella condizione giuridica che questa scelta ed il diritto impongono loro: i figli. Appare infatti fondamentale realizzare il rispetto dell’articolo 3 della Costituzione nei confronti dei figli, da qualunque unione essi abbiano avuto la vita, con l’auspicio che il citato terzo comma dell’articolo 30 venga presto abrogato o modificato. Il progetto perciò, pur rispettando l’interpretazione inserita nella realtà attuale della Costituzione, afferma che esistono soltanto i figli, abrogando i termini «legittimo» e «naturale» attuando la presunzione di paternità non solo nei confronti del marito, ma anche del convivente e dell’uomo che ha una relazione stabile ed «ufficiale» con la madre. Nella società di oggi, infatti, queste situazioni un tempo anomale sono molto aumentate trasformando radicalmente, come già detto, il significato della parola «famiglia». Parimenti deve essere riconosciuto padre colui che accetta la sottoposizione della propria compagna a pratiche mediche, comprese quelle cosiddette eterologhe, finalizzate a generare un figlio. L’interesse supremo da tutelare è quello del minore: quindi i provvedimenti presi in presenza di fratelli consanguinei od uterini dovranno tenere conto solo del contemperamento degli interessi e delle problematiche di rapporto correlati ai minori in oggetto. La normativa che regola affidamento e mantenimento deve essere la stessa che tratta questi temi per i figli oggi definiti legittimi. Scompare quindi, insieme con le due categorie di figli, ed anche quella sorta di «promozione» che è la legittimazione, la procedura che il genitore può discrezionalmente oggi scegliere per dare piena dignità di figlio alla propria prole, così come l’esistenza di una relazione tra due persone, quando abbia caratteristiche di stabilità e di durata, diviene presunzione di paternità, a differenza di quanto affermato dall’articolo 269 del codice civile attuale, che esclude questa ipotesi in assenza di altri elementi probanti. A ben vedere, in fondo, gli articoli del codice civile oggi vigenti in materia fanno propria una certa mentalità antiquata secondo la quale un uomo non deve rispondere della propria vita privata, mentre una donna che compie una scelta di vita fuori del matrimonio viene penalizzata anche con una forma sottile di dubbio circa la sua «serietà». Questa riforma affronta un tema misconosciuto, o meglio una realtà considerata quasi un dogma immutabile: infatti, se qualsiasi giurista sa bene che figlio legittimo e figlio naturale non sono in realtà perfettamente sovrapponibili, ciò non è affatto noto a chi diviene genitore, poiché i media, la stampa scandalistica, le battaglie civili, e quindi l’informazione, non hanno mai portato alla ribalta questo problema. Infatti quasi tutti, anche coloro che sono in possesso di buona cultura, credono che il riconoscimento del figlio naturale basti a renderlo pari a quello legittimo, senza minimamente immaginare che, perché ciò accada, è necessario innescare una procedura giudiziaria con ricorso, la legittimazione appunto, talmente inusuale da stupire anche giudici e cancellieri. Noi riteniamo che questo passo, oltre che doveroso in una società civile, sia indispensabile ed il primo da farsi per dare il giusto riconoscimento al cittadino ed alle sue scelte. Non si può infatti parlare di uguaglianza, di riconoscimento dei diritti di chi sceglie di vivere al di fuori di certi canoni, come quello famiglia-matrimoniorispettabilità, se non si garantiscono diritti ai soggetti meno tutelati come i figli, per135 AIAF QUADERNO 2006/2 ché vivono una condizione derivante da libere scelte compiute dai genitori, senza possibilità di determinare gli esiti, e divenendo paradossalmente vittime del diritto inviolabile per chiunque di scegliersi l’impostazione della propria vita. DISEGNO DI LEGGE Art. 1. 1. Al titolo VII del libro primo del codice civile, rispettivamente nelle rubriche del capo I e della sezione I del capo I, le parole «legittima» e «legittimo» sono soppresse. Art. 2. 1. L’articolo 231 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 231. – Paternità. – Il marito, il convivente o l’uomo che ha una relazione stabile, ufficiale o riconosciuta al momento della nascita con la madre è padre del figlio da essa concepito». Art. 3. 1. All’articolo 232 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) la rubrica è sostituita dalla seguente: «Presunzione di concepimento»; b) al primo comma dopo le parole «durante il matrimonio» sono inserite le seguenti: «o la convivenza»; dopo le parole «celebrazione del matrimonio» sono inserite le seguenti: «o dall’inizio della convivenza»; alla fine sono aggiunte le seguenti parole: «ovvero dal termine della convivenza»; ed è aggiunto in fine il seguente periodo: «La presunzione di concepimento opera anche nei confronti dell’uomo che abbia una relazione stabile, ufficiale o riconosciuta con la madre, iniziata almeno un anno prima della nascita». Art. 4. 1. L’articolo 233 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 233. – Nascita del figlio prima dei centottanta giorni. – È figlio del marito o convivente il figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio o dall’inizio della convivenza, se uno dei coniugi o conviventi, od il figlio stesso, non ne disconoscono la paternità». Art. 5. 1. All’articolo 234 del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) il primo comma è sostituito dal seguente: «Ciascuno dei coniugi, conviventi o componenti della coppia stabile ed i loro eredi possono provare che il figlio, nato dopo i trecento giorni dall’annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili dal matrimonio, ovvero dalla cessazione della convivenza o del rapporto di coppia stabile, è stato concepito durante il matrimonio ovvero durante il predetto rapporto»; b) al secondo comma, sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «ovvero dal termine della convivenza o del rapporto stabile»; c) il terzo comma è abrogato. Art 6. 1. All’articolo 235, primo comma, del codice civile sono apportate le seguenti modificazioni: a) nell’alinea, dopo la parola «matrimonio» sono inserite le seguenti: «, la convivenza o la relazione stabile»; b) il numero 1) è sostituito dal seguente: «1) se la coppia non ha coabitato o non ha avuto frequentazioni tra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita;»; 136 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS c) al numero 2), dopo le parole «il marito» sono inserite le seguenti: «o convivente o compagno stabile;»; d) al numero 3), dopo la parola «marito» sono inserite le seguenti: «, al convivente o al compagno». Art. 7. 1. Gli articoli 236, 237, 238, 239, 240, 241, 242 e 243 del codice civile sono abrogati. Art. 8. 1. La rubrica della sezione III del capo I del titolo VII del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio». Art. 9. 1. Al secondo comma dell’articolo 244 del codice civile dopo le parole «Il marito» sono inserite le seguenti: «il convivente o compagno stabile da almeno un anno al momento della nascita» ed è aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Qualora il concepimento sia avvenuto a mezzo di pratiche mediche attuate in Italia od all’estero e con il consenso del marito, convivente o compagno stabile, questi non può disconoscere il figlio anche in presenza di palese incompatibilità biologica». Art. 10. 1. All’articolo 248 del codice civile la rubrica è sostituita dalla seguente: «Legittimazione all’azione di contestazione dello stato di figlio. Imprescrittibilità» e al primo comma le parole «la legittimità» sono sostituite dalle seguenti: «lo stato di figlio». Art. 11. 1. All’articolo 249 del codice civile la rubrica è sostituita dalla seguente: «Reclamo dello stato di figlio» e al primo comma la parola «legittimo» è sostituita dalle seguenti: «di figlio». Art. 12 1. La rubrica del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile è sostituita dalla seguente: «Della filiazione negli altri casi». 2. Nelle rubriche della sezione I del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile e del paragrafo 1 della medesima sezione I la parola «naturale» è soppressa. Art. 13. 1. All’articolo 250 del codice civile la parola «naturale» è soppressa. Art. 14. 1. All’articolo 251, prima comma, del codice le parole «anche se soltanto naturale» sono soppresse. Art. 15. 1. L’articolo 252 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 252. – Affidamento del figlio nato fuori dal matrimonio, dalla convivenza o dalla relazione stabile. – Quando il figlio sia riconosciuto durante il matrimonio, la convivenza o la relazione stabile di uno dei genitori con altra persona, il giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all’affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento nel rispetto del suo interesse materiale e morale. L’eventuale inserimento del minore nella famiglia del genitore può essere autorizzato valutando l’interesse del minore stesso e quello degli eventuali altri figli già conviventi. 137 AIAF QUADERNO 2006/2 È richiesto il consenso dell’altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento. Il rapporto con il figlio affidato ad uno dei genitori è soggetto alla normativa in materia di affidamento dei figli nei casi di separazione e divorzio ai sensi dall’articolo 155». Art. 16. 1. L’articolo 253 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 253. – Inammissibilità del riconoscimento. – In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio in cui la persona si trova». Art. 17. 1. All’articolo 254 del codice civile, nel primo comma la parola «naturale» è soppressa e il secondo comma è abrogato. Art. 18. 1. L’articolo 255 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 255. – Riconoscimento del figlio premorto. – Può anche aver luogo il riconoscimento del figlio premorto, in favore dei suoi discendenti». Art. 19. 1. L’articolo 261 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 261. – Diritti e doveri derivanti al genitore dal riconoscimento. – In ogni caso il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti previsti dalla legge nei confronti dei figli». Art. 20. 1. L’articolo 262 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 262. – Cognome del figlio. – Il figlio riconosciuto dalla sola madre assume il cognome di quest’ultima; se riconosciuto, anche successivamente, dal padre, assume il cognome di questi. Qualora l’assunzione del cognome del padre a seguito di riconoscimento tardivo possa creare problemi di relazione al figlio, questi può chiedere di mantenere il cognome materno. Nel caso di minore età del figlio tale decisione spetta al giudice competente per materia. Il figlio nato in costanza di matrimonio, convivenza o legame stabile assume il cognome del padre». Art. 21. 1. All’articolo 263 del codice civile il secondo comma è abrogato. Art. 22. 1. Al paragrafo 2 della sezione I del capo II del titolo VII del libro primo del codice civile la parola «naturale» è soppressa. Art. 23. 1. L’articolo 269 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 269. – (Dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità). – La paternità e la maternità possono essere dichiarate giudizialmente nei casi in cui il riconoscimento è ammesso. La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo. La maternità è dimostrata provando l’identità di colui che pretende di essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre. La sola dichiarazione della madre non costituisce prova della paternità». Art. 24. 1. L’articolo 270 del codice civile è sostituito dal seguente: 138 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS «Art. 270. – (Legittimazione attiva e termine). – L’azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità è imprescrittibile riguardo al figlio. Se il figlio muore prima di aver iniziato l’azione, questa può essere promossa dai suoi discendenti entro due anni dalla morte. L’azione promossa dal figlio, se egli muore, può essere continuata dai suoi discendenti». Art. 25. 1. All’articolo 273 del codice civile la parola «naturale» è soppressa. Art. 26. 1. All’articolo 274 del codice civile la parola «naturale» è soppressa. Art. 27. 1. All’articolo 276 del codice civile la parola «naturale» è soppressa. Art. 28. 1. All’articolo 277 del codice civile la parola «naturale» è soppressa. Art. 29. 1. All’articolo 279 del codice civile la parola «naturale» è soppressa. Art. 30. Gli articoli 280, 281, 282, 283, 284, 285, 286, 287, 288, 289, 290 del codice civile sono abrogati. 139 AIAF QUADERNO 2006/2 XV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE N. 1108 d’iniziativa del deputato CAMPA (FI) RATIFICA ED ESECUZIONE DELLA CONVENZIONE EUROPEA SULLO STATO GIURIDICO DEI FIGLI NATI FUORI DAL MATRIMONIO, FATTA A STRASBURGO IL 15 OTTOBRE 1975 Presentata il 13 giugno 2006 ONOREVOLI COLLEGHI! Non è più tollerabile che la legge non riconosca pari diritti ai figli naturali rispetto a quelli legittimi. Non ci sarebbe motivo di sollevare tale problema se l’Italia avesse ratificato la Convenzione europea sullo stato giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio, firmata dal nostro Paese il 15 ottobre 1975; o se il legislatore avesse dato ascolto ai numerosi appelli della Corte costituzionale che invitava il Parlamento a rivedere la legge in vgore. I criteri che guidano questa normativa sono: 1) l’affermazione del principio della parità tra figli legittimi e figli naturali per quanto riguarda il mantenimento e la cura dei minori; 2) l’estensione di tale parità anche ai diritti di successione; 3) l’automatismo dello stato di figlio naturale nei confronti della madre, basato sulla realtà fisiologica del parto; 4) l’ammissione delle prove scientifiche per stabilire o escludere la paternità naturale. Questi princ?`pi ampliano la sfera dei diritti dei figli naturali, che viene portata allo stesso livello dei figli legittimi, adottando una normativa che viene a coincidere con la riforma del diritto di famiglia del 1975, salvo due punti: quello dell’automatismo dell’attribuzione dello stato di figlio naturale nei confronti della madre sulla sola base della realtà fisiologica del parto e quello che consente l’impugnazione del riconoscimento paterno solo su basi biologiche. La legge esige anche per la madre l’atto del riconoscimento (articolo 250 del codice civile), mentre al padre è concessa l’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità con qualsiasi mezzo di prova (articolo 263 del codice civile). L’articolo 8 della Convenzione prevede che il genitore naturale che non ha la potestà genitoriale o la custodia del bambino nato fuori dal matrimonio “può ottenere un diritto di visita in casi appropriati”; tale norma potrebbe ritenersi applicabile al caso in cui la potestà e la custodia sono esercitate da altri per effetto di una pronuncia di adozione, e quindi potrebbe ritenersi in contrasto con l’articolo 27, terzo comma, della legge n. 184 del 1983 (“con l’adozione cessano i rapporti dell’adottato verso la famiglia d’origine (...)”). PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione europea sullo stato giuridico dei figli nati fuori dal matrimonio, fatta a Strasburgo il 15 ottobre 1975. ART. 2. 1. Piena e intera esecuzione è data alla Convenzione di cui all’articolo 1 a decorrere dalla data della sua entrata in vigore, in conformità a quanto disposto dall’articolo 11 della Convenzione stessa. 140 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS XV LEGISLATURA - SENATO DELLA REPUBBLICA DISEGNO DI LEGGE N. 19 d’iniziativa dei senatori FRANCO Vittoria, FINOCCHIARO, ANGIUS, AMATI, BASSOLI, CALVI, CARLONI, CASSON, DE PETRIS, DONATI, FONTANA, GALARDI, GARRAFFA, LEGNINI, LIVI BACCI, MONGIELLO, MONTALBANO, NEGRI, PIGNEDOLI, PISA, RAME, ROSSA, SERAFINI, SILVESTRI, VILLECCO CALIPARI e VITALI COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 28 APRILE 2006 MODIFICHE AL CODICE CIVILE IN MATERIA DI COGNOME DEI CONIUGI E DEI FIGLI Onorevoli Senatori. – Il presente disegno di legge si pone un duplice obiettivo: a) consentire a ciascuno dei coniugi di essere individuato come una persona che ha un cognome suo proprio, sufficiente a distinguerla; b) prevedere la possibilità di trasmettere ai figli anche il cognome della madre. In virtù dei mutamenti di costume che sono intervenuti anche all’interno della famiglia e nelle relazioni fra i coniugi, questo disegno di legge mira a superare l’attuale normativa non solo per garantire che ciascuno sia se stesso anche nel cognome che porta, ma altresì per garantire una effettiva pari dignità ad entrambi i genitori nei confronti dei figli. In evidente contrasto con i cambiamenti avvenuti nel costume e con il rispetto del principio di parità tra uomo e donna, l’articolo 143-bis del codice civile attualmente stabilisce che «La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze». Nel tentativo di risolvere un problema di cui si discute da molto tempo ed al fine di superare le discriminazioni ancora esistenti in contrasto con i princìpi di uguaglianza sanciti nella Costituzione, l’articolo 1 modifica l’attuale formulazione dell’articolo 143-bis del codice civile prevedendo che ciascun coniuge conservi il proprio cognome. Con il presente disegno di legge, all’articolo 2, poi, si intende offrire ad entrambi i coniugi l’opportunità di decidere, di comune accordo, il cognome da trasmettere ai figli, lasciando loro la libertà di stabilire se esso debba essere quello del padre, quello della madre ovvero quello di entrambi. Nel caso in cui i coniugi non dovessero raggiungere un accordo, al figlio sono attribuiti d’ufficio entrambi i cognomi in ordine alfabetico. Il cognome stabilito per il primo figlio viene attribuito d’ufficio anche ai figli nati successivamente, se generati dagli stessi genitori. Per evitare una moltiplicazione di cognomi ad ogni nuova generazione, si prevede che il figlio che assume il cognome di entrambi i genitori possa trasmetterne uno soltanto. Con l’articolo 3, infine, si modifica l’articolo 262 del codice civile, che, oltre a stabilire la filiazione patrilineare in caso di riconoscimento del figlio naturale («Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre»), prevede che, in caso di riconoscimento successivo del figlio naturale da parte del padre, il figlio possa assumerne il cognome, aggiungendolo o addirittura sostituendolo a quello della madre. Al fine quindi di garantire pari dignità ad entrambi i genitori l’articolo 3 modifica il suddetto articolo 262 del codice civile stabilendo che quando il riconoscimento viene effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, il figlio naturale assuma il cognome che i genitori stabiliscono di comune accordo (ai sensi dell’articolo 143-bis.1, introdotto dall’articolo 2), mentre nel caso in cui la filiazione nei confronti di uno dei genitori sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte dell’altro genitore, il cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento suc141 AIAF QUADERNO 2006/2 cessivo, ovvero nei confronti del quale è stata accertata successivamente la filiazione, si aggiunge a quello del genitore che ha effettuato il riconoscimento per primo. Con l’introduzione di queste modifiche il disegno di legge consente all’Italia di adempiere agli impegni cui ci richiamano il Consiglio d’Europa e la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata in Italia con la legge 14 marzo 1985, n. 132. In particolare il Consiglio d’Europa, con le raccomandazioni 1271 (1995) e 1362 (1998) adottate dall’Assemblea parlamentare rispettivamente il 28 aprile 1995 e il 18 marzo 1998, ha affermato che la discriminazione fra donne e uomini riguardo alla scelta del nome di famiglia non è compatibile con il principio di eguaglianza da esso sostenuto e ha invitato gli Stati membri inadempienti a realizzare la piena eguaglianza tra madre e padre nell’attribuzione del cognome ai figli. Mentre la Convenzione di New York all’articolo 16 impegna gli Stati aderenti a «prendere tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari, e in particolare ad assicurare, in condizioni di parità con gli uomini: (...) g) gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome, (...);». L’introduzione di una normativa più rispettosa dei diritti di entrambi i coniugi significa dunque anche contribuire ad una migliore integrazione con la cittadinanza europea e adeguarsi agli altri paesi dell’Unione europea che già permettono l’attribuzione del cognome della madre o del padre in pieno regime di eguaglianza. Com’è noto, infatti, in Germania vige il cognome della famiglia, cognome scelto dai coniugi, che però hanno anche la facoltà di mantenere il proprio cognome e di trasmettere ai figli l’uno o l’altro. In Austria l’articolo 93 del codice civile stabilisce che i coniugi portino lo stesso cognome, che può essere quello del marito o quello della moglie. In Francia dal 1º gennaio 2005 è entrata in vigore la «legge Gouzes» (legge n. 2002-304 del 4 marzo 2002, sul nome di famiglia), che prevede che i genitori possano scegliere di trasmettere ai figli il cognome del padre, della madre o di entrambi. Nella legislazione italiana non esiste in realtà nessuna norma di legge positiva che preveda l’attribuzione del cognome paterno ai figli legittimi, nati all’interno del matrimonio. Si tratta piuttosto di una prassi consolidata. Su questa e su tutti gli articoli del codice civile relativi alla questione è stata peraltro avanzata questione di legittimità costituzionale dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 13298 del 17 luglio 2004, in quanto in contrasto con gli articoli 2, 3 e 39, secondo comma, della Costituzione. «Il dubbio di contrasto – vi si legge – si fonda sull’evidente rilievo che l’attribuzione automatica ed indefettibile ai figli del cognome del marito si risolve in una discriminazione ed in una violazione del principio di eguaglianza e di pari dignità». La Corte costituzionale, con la sentenza n. 61 del 6 febbraio 2006, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale avanzata dalla Cassazione per il vuoto di regole che si verrebbe a determinare in seguito «alla caducazione della disciplina denunciata», riconosce tuttavia che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, la quale affonda le proprie radici nel diritto di famiglia romanistico, e di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i princìpi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna». Rimette infine al legislatore la decisione sulle modalità per corrispondere al principio costituzionale dell’uguaglianza tra i generi anche in fatto di trasmissione del cognome. Il presente disegno di legge è la proposta che – accogliendo l’indirizzo della Corte – si sottopone al Parlamento. 142 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS DISEGNO DI LEGGE Art. 1. 1. L’articolo 143-bis del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 143-bis. - (Cognome dei coniugi) – Ciascun coniuge conserva il proprio cognome». Art. 2. 1. Dopo l’articolo 143-bis del codice civile è inserito il seguente: «Art. 143-bis.1 - (Cognome del figlio di genitori coniugati) – Al momento della registrazione del figlio allo stato civile l’ufficiale dello stato civile, sentiti i genitori, attribuisce al figlio il cognome del padre, ovvero il cognome della madre, ovvero entrambi i cognomi nell’ordine determinato di comune accordo tra i genitori stessi. In caso di mancato accordo tra i genitori, l’ufficiale dello stato civile attribuisce al figlio i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico. Ai figli successivi al primo, generati dai medesimi genitori, l’ufficiale dello stato civile attribuisce d’ufficio lo stesso cognome attribuito al primo figlio. Il figlio cui sia attribuito il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne al proprio figlio soltanto uno, a sua scelta». Art. 3. 1. L’articolo 262 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 262. - (Cognome del figlio). – Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome che i genitori stabiliscono ai sensi del primo comma dell’articolo 143-bis.1. Se la filiazione nei confronti di uno dei genitori è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte dell’altro genitore, il cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento successivo, ovvero nei confronti del quale è stata accertata successivamente la filiazione, si aggiunge a quello del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio naturale». 143 AIAF QUADERNO 2006/2 XV LEGISLATURA - SENATO DELLA REPUBBLICA DISEGNO DI LEGGE N. 580 d’iniziativa del senatore CAPRILI COMUNICATO ALLA PRESIDENZA IL 7 GIUGNO 2006 MODIFICHE AL CODICE CIVILE IN MATERIA DI COGNOME DEI FIGLI Onorevoli Senatori. – Il nostro codice civile prevede per i figli naturali che, se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, i figli assumano il cognome del padre. Nessuna norma, invece, dispone espressamente che il figlio nato all’interno del matrimonio assuma il cognome del padre: tuttavia, per consuetudine secolare, al figlio legittimo è attribuito il cognome del padre. A parte ogni considerazione sulla legittimità costituzionale di tale situazione, l’attuale legislazione si configura oggi inadeguata rispetto al mutamento del ruolo delle donne, nella famiglia e nella società. Già con il nuovo diritto di famiglia si sono fatti notevoli passi avanti rispetto a una concezione di famiglia di stampo patriarcale: il mutamento delle relazioni tra uomo e donna, e quindi nella famiglia con i figli, ha portato alla rottura di un ordine simbolico tradizionale e a un riconoscimento di «parità» tra i coniugi. Tuttavia la stessa legge sul diritto di famiglia, in molti punti qualificanti ancora attuale, è carente rispetto all’affermazione di princìpi e di diritti il cui fine ultimo è quello di riaffermare il rapporto «privilegiato» che la donna ha con i figli. È significativo, a tale proposito, che – pur essendovi state diverse proposte di legge tese a dare ai figli il doppio cognome o a permettere, dopo una certa età, la scelta tra il cognome della madre e quello del padre – la disciplina relativa al cognome dei figli non sia stata modificata. Il presente disegno di legge – che prevede che i figli assumano, di norma, il cognome della madre – non intende affatto mettere in discussione la scelta paritaria all’interno della coppia e del nucleo familiare, ma si pone esclusivamente l’obiettivo di riconoscere, anche a livello legislativo, il rapporto – diverso rispetto al padre – che la madre ha con i figli, sia durante la maternità sia dopo la nascita: nessuno può mettere in dubbio l’inalienabile priorità della relazione della madre con le figlie e i figli, pur nella condivisione, con il padre, della responsabilità della loro crescita e della loro educazione. Non si è voluto – come già previsto in altre legislazioni – lasciare ai genitori la facoltà di scegliere il cognome dei figli: non solo per evitare interventi del giudice, in caso di disaccordo, ma anche – e soprattutto – per garantire alla donna il diritto (e non solo la facoltà) di poter dare il proprio cognome, che è un segno distintivo della persona nei confronti dell’intera società, al figlio o alla figlia che ha partorito. Per quanto concerne, invece, l’altra soluzione teoricamente possibile, che potrebbe essere quella di adottare il criterio del doppio cognome – certamente la più auspicabile dal punto di vista dell’uguaglianza nei rapporti di coppia – tale soluzione, oltre ad avere notevoli inconvenienti dal punto di vista pratico, comporterebbe in ogni caso una scelta al momento dell’attribuzione del cognome alla seconda generazione. Anche per questo motivo, quindi, si propone che i figli assumano il cognome della madre. 144 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS DISEGNO DI LEGGE Art. 1. 1. Dopo il secondo comma dell’articolo 6 del codice civile è inserito il seguente: «Il figlio assume il cognome della madre». Art. 2. 1. L’articolo 237 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 237. – (Fatti costitutivi del possesso di stato). - Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgano a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere. In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti: 1) che la persona abbia sempre portato il cognome della madre che essa pretende di avere; 2) che la madre l’abbia trattata come figlio e abbia provveduto in questa qualità al suo mantenimento e alla sua educazione; 3) che sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali; 4) che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia». Art. 3. 1. L’articolo 262 del codice civile è sostituito dal seguente: «Art. 262. – (Cognome del figlio riconosciuto solo dal padre). – Il figlio riconosciuto solo dal padre assume il cognome del padre. Se la filiazione nei confronti della madre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte del padre, il figlio naturale può assumere il cognome della madre, aggiungendolo o sostituendolo a quello del padre. Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome della madre». Art. 4. 1. Il terzo comma dell’articolo 299 del codice civile è sostituito dal seguente: «Se l’adozione è compiuta da coniugi, l’adottato assume il cognome della moglie». Art. 5. 1. Gli articoli 143-bis e 156-bis del codice civile sono abrogati. Art. 6. 1. Qualora, al momento della nascita, il padre abbia già altri figli che portano il suo cognome, i genitori devono dichiarare all’ufficiale di stato civile, entro tre giorni dalla nascita, il cognome che intendono dare al figlio. In caso di disaccordo, il figlio assume il cognome del padre. Art. 7. 1. La presente legge entra in vigore il 1º gennaio dell’anno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 145 AIAF QUADERNO 2006/2 XV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE - N. 1185 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI MASCIA, ACERBO, CACCIARI, CANNAVÒ, DEIANA, DURANTI, FOLENA, FRIAS, LOMBARDI, MANTOVANI, MUNGO, PROVERA, SMERIGLIO MODIFICHE AL CODICE CIVILE IN MATERIA DI COGNOME DEI FIGLI Presentata il 22 giugno 2006 ONOREVOLI COLLEGHI! Il nostro codice civile prevede per i figli naturali che, se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori, i figli assumano il cognome del padre. Nessuna norma, invece, dispone espressamente che il figlio nato all’interno del matrimonio assuma il cognome del padre: tuttavia, per consuetudine secolare, al figlio legittimo è attribuito il cognome del padre. A parte ogni considerazione sulla legittimità costituzionale di tale situazione, l’attuale legislazione si configura oggi inadeguata rispetto al mutamento del ruolo delle donne, nella famiglia e nella società. Già con il nuovo diritto di famiglia si sono fatti notevoli passi avanti rispetto a una concezione di famiglia di stampo patriarcale: il mutamento delle relazioni tra uomo e donna, e quindi nella famiglia con i figli, ha portato alla rottura di un ordine simbolico tradizionale e a un riconoscimento di “parità” tra i coniugi. Tuttavia la stessa legge sul diritto di famiglia, in molti punti qualificanti ancora attuale, è carente rispetto all’affermazione di princ?`pi e di diritti il cui fine ultimo è quello di riaffermare il rapporto “privilegiato” che la donna ha con i figli. È significativo, a tale proposito, che – pur essendovi state diverse proposte di legge tese a dare ai figli il doppio cognome o a permettere, dopo una certa età, la scelta tra il cognome della madre e quello del padre – la disciplina relativa al cognome dei figli non sia stata modificata. La presente proposta di legge – che prevede che i figli assumano, di norma, il cognome della madre – non intende affatto mettere in discussione la scelta paritaria all’interno della coppia e del nucleo familiare, ma si pone esclusivamente l’obiettivo di riconoscere, anche a livello legislativo, il rapporto – diverso rispetto al padre – che la madre ha con i figli, sia durante la maternità che dopo la nascita: nessuno può mettere in dubbio l’inalienabile priorità della relazione della madre con le figlie e i figli, pur nella condivisione, con il padre, della responsabilità della loro crescita e della loro educazione. Non si è voluto – come già previsto in altre legislazioni – lasciare ai genitori la facoltà di scegliere il cognome dei figli: non solo per evitare interventi del giudice, in caso di disaccordo, ma anche – e soprattutto – per garantire alla donna il diritto (e non solo la facoltà) di poter dare il proprio cognome, che è un segno distintivo della persona nei confronti dell’intera società, al figlio o alla figlia che ha partorito. Per quanto concerne, invece, l’altra soluzione teoricamente possibile, che potrebbe essere quella di adottare il criterio del doppio cognome – certamente la più auspicabile dal punto di vista dell’uguaglianza nei rapporti di coppia – tale soluzione, oltre ad avere notevoli inconvenienti dal punto di vista pratico, comporterebbe in ogni caso una scelta al momento dell’attribuzione del cognome alla seconda generazione. Anche per questo motivo, quindi, si propone che i figli assumano il cognome della madre. 146 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. Dopo il secondo comma dell’articolo 6 del codice civile è inserito il seguente: “Il figlio assume il cognome della madre ». ART. 2. 1. L’articolo 237 del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 237. – (Fatti costitutivi del possesso di stato). – Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgano a dimostrare le relazioni di filiazione e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere. In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti: 1) che la persona abbia sempre portato il cognome della madre che essa pretende di avere; 2) che la madre l’abbia trattata come figlio e abbia provveduto in questa qualità al suo mantenimento e alla sua educazione; 3) che sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali; 4) che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia”. ART. 3. 1. L’articolo 262 del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 262. – (Cognome del figlio riconosciuto solo dal padre). – Il figlio riconosciuto solo dal padre assume il cognome del padre. Se la filiazione nei confronti della madre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte del padre, il figlio naturale può assumere il cognome della madre, aggiungendolo o sostituendolo a quello del padre. Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome della madre”. ART. 4. 1. Il terzo comma dell’articolo 299 del codice civile è sostituito dal seguente: “Se l’adozione è compiuta da coniugi, l’adottato assume il cognome della moglie ». ART. 5. 1. Gli articoli 143-bis e 156-bis del codice civile sono abrogati. ART. 6. 1. Qualora, al momento della nascita, il padre abbia già altri figli che portano il suo cognome, i genitori devono dichiarare all’ufficiale di stato civile, entro tre giorni dalla nascita, il cognome che intendono dare al figlio. In caso di disaccordo, il figlio assume il cognome del padre. ART. 7. 1. La presente legge entra in vigore il 1o gennaio dell’anno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. 147 AIAF QUADERNO 2006/2 XV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE N. 1395 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI AMICI, BAFILE, BUEMI, CUPERLO, FERRARI, FRANCI, GRASSI, GRILLINI, INCOSTANTE, LEONI, LONGHI, LULLI, MARAN, MARANTELLI, MAZZONI, MOTTA, NICCHI, SAMPERI, SASSO, SCHIRRU, VELO MODIFICHE AL CODICE CIVILE IN MATERIA DI COGNOME DEI CONIUGI E DEI FIGLI Presentata il 17 luglio 2006 ONOREVOLI COLLEGHI! La presente proposta di legge intende dare attuazione a quanto richiesto da una recente sentenza della prima sezione civile della Corte di cassazione (sentenza n. 12641/2006). Respingendo il ricorso di un padre che, dopo aver riconosciuto con anni di ritardo il figlio naturale, aveva chiesto che al bambino fosse dato il proprio cognome in luogo di quello della madre – richiesta che non era stata accolta dalla Corte d’appello di Napoli, che aveva tenuto conto anche della cattiva reputazione dell’uomo, esponente della criminalità organizzata –, la Corte di cassazione ha stabilito che il cognome paterno non può essere imposto se lede il diritto dei figli naturali ad essere se stessi. La Suprema Corte ha quindi confermato la decisione di appello, ritenendo meritevole di tutela l’identità personale maturata dal ragazzo nell’ambiente in cui viveva e in cui era conosciuto con il cognome della madre, non essendo più “attuale”, in un modello di famiglia che non si ispira più a quello patriarcale, il criterio di trasmissione del cognome affidato a rigidi meccanismi automatici. Con la presente proposta di legge si intendono recepire le nuove esigenze segnalate dalla Suprema Corte. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. L’articolo 143-bis del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 143-bis. – (Cognome dei coniugi). - Ciascun coniuge conserva il proprio cognome”. ART. 2. 1. Dopo l’articolo 143-bis del codice civile, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, è aggiunto il seguente: “ART. 143-bis.1. – (Cognome del figlio di genitori coniugati). — Al momento della registrazione del figlio allo stato civile i genitori, in relazione al cognome che sarà attribuito al figlio stesso, scelgono tra: a) l’attribuzione di un cognome unico, stabilito con dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile da cui risulti univocamente la comune volontà di determinare quale dei loro cognomi sarà attribuito al figlio stesso. In caso di mancato accordo tra i genitori si applica quanto previsto dalla lettera b); b) l’attribuzione del doppio cognome; in tal caso il cognome del figlio è composto dai cognomi di entrambi i genitori, in ordine alfabetico. Entro sessanta giorni dal compimento del diciottesimo anno di età, ovvero al momento del matrimonio qualora questo avvenga prima del compimento del diciottesimo anno di età, il figlio, possibilmente d’intesa con i genitori, comunica all’ufficiale di stato civile del comune di residenza 148 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS quale dei due cognomi intende conservare e utilizzare come distintivo di se´. Qualora tale comunicazione non sia effettuata, il cognome è attribuito d’ufficio scegliendo il primo in ordine alfabetico”. ART. 3. 1. L’articolo 156-bis del codice civile è abrogato. ART. 4. 1. Il terzo comma dell’articolo 299 del codice civile è sostituito dal seguente: “Se l’adozione è compiuta da coniugi, l’adottato assume il cognome che gli stessi stabiliscono ai sensi del primo comma dell’articolo 143-bis.1”. ART. 5. 1. L’articolo 262 del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 262. – (Cognome del figlio). — Nel caso di riconoscimento contemporaneo del figlio naturale da parte di entrambi i genitori si applica la disciplina prevista dall’articolo 143-bis.1. Nel caso di riconoscimento da parte di un solo genitore, il figlio naturale assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto. Qualora l’altro genitore riconosca successivamente il figlio, ovvero qualora la filiazione sia accertata in momento successivo al primo riconoscimento, il cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento successivo, ovvero nei confronti del quale è stata accertata successivamente la filiazione, si aggiunge a quello del genitore che per primo lo ha riconosciuto ». 149 AIAF QUADERNO 2006/2 XV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE N. 1136 d’iniziativa del deputato PORETTI MODIFICHE AL CODICE CIVILE IN MATERIA DI COGNOME DEI CONIUGI E DEI FIGLI Presentata il 14 giugno 2006 ONOREVOLI COLLEGHI! La presente proposta di legge, redatta in collaborazione con l’Associazione per i diritti degli utenti e consumatori (ADUC), intende modificare il codice civile in merito all’attribuzione del cognome, per quanto riguarda sia i coniugi sia i figli, naturali, legittimi e adottati. Se fino ad oggi il cognome dell’uomo, marito o genitore, ha sempre prevalso, persino come consuetudine, anche nei casi in cui la legge taceva, come nel caso dei figli nati nell’ambito del matrimonio, è necessaria una modifica che non solo rispecchi i cambiamenti di costume avvenuti nella società, ma che prenda anche atto dell’uguaglianza tra uomo e donna. Nel caso di un figlio nato dentro il matrimonio, o riconosciuto da entrambi i genitori, la consuetudine di una società patriarcale e maschilista ha sempre dato per scontato che il cognome fosse quello del padre. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 61 depositata il 16 febbraio 2006, ha ammesso che l’attribuzione ai figli del cognome del padre è retaggio di una tramontata potestà patriarcale, ma non è possibile dichiarare illegittima una legge che solo il Parlamento può cambiare. La Consulta ha dunque dichiarato inammissibile la questione sollevata dalla Corte di cassazione e non ha potuto dare ragione a una coppia che richiedeva il riconoscimento per il figlio del cognome materno. Intervenire su una questione del genere, avvertono i giudici, esorbita dalle competenze della Corte, non potendo risolvere scelte discrezionali che può e deve fare solo il Parlamento. Ecco l’urgenza e la necessità di un intervento legislativo che avvicini l’Italia alle legislazioni degli altri Paesi europei e ci metta in regola con le convenzioni internazionali, in particolare la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, fatta a New York il 18 dicembre 1979, con cui l’Italia si è impegnata ad eliminare ogni discriminazione nei confronti della donna in famiglia, compresa quella relativa alla scelta del cognome. Riporto un esempio significativo. La Corte di cassazione, con la recentissima sentenza n. 12641 del 2006, ha deciso di rigettare la richiesta di sostituzione del proprio cognome a quello materno, da parte di un padre che ha riconosciuto suo figlio successivamente alla madre. Si ricorda che l’attuale norma (articolo 262 del codice civile) prevede, in caso di riconoscimento successivo, la possibilità che il tribunale per i minorenni decida se aggiungere o sostituire il cognome del genitore che riconosce per ultimo. È evidente che statisticamente il genitore che decide tardivamente di riconoscere il figlio naturale è l’uomo e ogni pronuncia che sostituisse il cognome paterno a quello materno senza il consenso della madre si rivelerebbe un abuso autoritario dello Stato ai danni di un genitore (donna) in favore dell’altro (uomo). Per questo la sentenza della Cassazione, se da un lato ha il pregio di rendere d’attualità il problema, sottolinea dall’altro che ad oggi vi è, nei riguardi dell’attribuzione del cognome, piena discrezionalità dei giudici, anche a scapito delle volontà genitoriali. Ed è proprio il fatto che sono possibili ad oggi sentenze di segno opposto, che ci spinge a formulare con urgenza questa proposta di legge e a ribadire il principio della consensualità e dell’uguaglianza genitoriale nell’attribuzione del cognome. 150 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS In tal senso, l’articolo 5, comma 2, della proposta di legge prevede che in caso di riconoscimento tardivo e di disaccordo fra i genitori sull’aggiunta o sostituzione del nome, il cognome del primo (generalmente la madre) non può essere estromesso dal nuovo cognome, ma semmai esser seguito dallo stesso. Soprattutto, la proposta mira a rendere solo eventuale il ricorso al tribunale per i minorenni, non prevedendone l’intervento, come invece è attualmente, nei casi di attribuzione o modifica del cognome per il mero riconoscimento successivo di un genitore: sarà sufficiente la semplice dichiarazione all’ufficiale di stato civile, che apporterà le modifiche richieste di comune accordo dai genitori, oppure, in caso di disaccordo, aggiungerà al cognome preesistente (a cui il figlio e il primo genitore che lo ha riconosciuto hanno comunque diritto) quello del genitore che per ultimo ha effettuato il riconoscimento. Nel caso della recente sentenza della Cassazione di cui sopra, ad esempio, la madre e il figlio non avrebbero rischiato di vedersi sostituire o anteporre il proprio cognome a quello paterno, ma solo che fosse ad esso aggiunto. La madre avrebbe poi eventualmente potuto, nell’interesse del figlio, chiedere al tribunale per i minorenni di eliminare – solo per ragioni gravi – il cognome così aggiunto. Nell’articolo 1 della presente proposta di legge, l’articolo 143-bis del codice civile, che prevede la possibilità, ai sensi del quale al cognome della moglie è aggiunto quello del marito, viene modificato lasciando che ciascun coniuge mantenga il proprio cognome. L’articolo 3 abroga l’articolo 156-bis del codice civile, che prevede la possibilità, in caso di divorzio, che il giudice vieti alla moglie l’uso del cognome del marito: la modifica dell’articolo 143-bis, sopra illustrata, fa infatti venire meno gli stessi presupposti della norma in oggetto. Con l’articolo 2 si offre a entrambi i coniugi l’opportunità di decidere, di comune accordo, il cognome da trasmettere ai figli, lasciando loro la libertà di stabilire se esso debba essere quello del padre, quello della madre o quello di entrambi. Nel caso in cui i coniugi non dovessero raggiungere un accordo, al figlio sono attribuiti d’ufficio entrambi i cognomi in ordine alfabetico. A sua volta il figlio che assume il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne uno soltanto: ciò per evitare una moltiplicazione di cognomi ad ogni nuova generazione. Questa regola viene confermata nel caso della filiazione naturale (articolo 5) e dell’adozione (articolo 6). Infine, con l’articolo 4, si adegua la nuova disciplina anche ai fatti costitutivi dello status di figlio (articolo 237 del codice civile), sostituendo il riferimento al cognome e al rapporto con il padre con quello al cognome e al rapporto con uno dei genitori. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. L’articolo 143-bis del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 143-bis. (Cognome dei coniugi) – Ciascun coniuge conserva il proprio cognome ». ART. 2. 1. Dopo l’articolo 143-bis del codice civile è inserito il seguente: “ART. 143-bis. 1 – (Cognome del figlio di genitori coniugati). – 1. Al momento della dichiarazione di nascita, l’ufficiale dello stato civile, sentiti i genitori, attribuisce al figlio il cognome del padre, ovvero il cognome della madre, ovvero entrambi i cognomi nell’ordine determinato di comune accordo tra i genitori stessi. In caso di mancato accordo tra i genitori, l’ufficiale dello stato civile attribuisce al figlio i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico. 151 AIAF QUADERNO 2006/2 Il figlio cui sia attribuito il cognome di entrambi i genitori può trasmettere al proprio figlio soltanto uno di essi, a sua scelta”. ART. 3. 1. L’articolo 156-bis del codice civile è abrogato. ART. 4. 1. Il secondo comma dell’articolo 237 del codice civile è sostituito dal seguente: “In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti: 1) che la persona abbia sempre portato il cognome del genitore che essa pretende di avere; 2) che il genitore l’abbia trattata come figlio e abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, all’educazione e al collocamento di essa; 3) che sia costantemente considerata come tale nei rapporti sociali; 4) che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia”. ART. 5. 1. L’articolo 262 del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 262. – (Cognome del figlio). – Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome che i genitori stabiliscono ai sensi dell’articolo 143bis.1. Se la filiazione nei confronti di uno dei genitori è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte dell’altro genitore, il cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento successivo, ovvero nei confronti del quale è stata accertata successivamente la filiazione, può aggiungersi o sostituirsi, con il consenso di entrambi i genitori, a quello del genitore che per primo ha riconosciuto il figlio naturale, con le modalità previste dall’articolo 143-bis.1. In caso di disaccordo fra gli stessi, il cognome del genitore che ha riconosciuto per ultimo segue quello preesistente”. ART. 6. 1. Il terzo comma dell’articolo 299 del codice civile è sostituito dal seguente: “Se l’adozione è compiuta da coniugi, l’adottato assume il cognome che i genitori stabiliscono ai sensi dell’articolo 143-bis.1”. 152 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS XV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE N. 1551 D’INIZIATIVA DEI DEPUTATI CARFAGNA, LA LOGGIA DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ATTRIBUZIONE DEL COGNOME AI FIGLI Presentata il 1° agosto 2006 ONOREVOLI COLLEGHI! La presente proposta di legge ha lo scopo di consentire ai coniugi di trasmettere ai figli il cognome della madre, in alternativa o assieme a quello del padre. Nel caso i coniugi non dovessero raggiungere un accordo in materia, al figlio saranno attribuiti d’ufficio entrambi i cognomi. A sua volta il cittadino che assume il cognome di entrambi i genitori può trasmetterne uno soltanto al figlio, altrimenti si creerebbe una progressione geometrica di cognomi ad ogni nuova generazione. L’opzione sul cognome è consentita solo per il primo figlio, mentre i figli successivi dovranno portare lo stesso cognome. La norma consente all’Italia di adeguarsi al resto dei Paesi dell’Unione europea, che già permettono l’attribuzione del cognome della madre o del padre in pieno regime di eguaglianza tra i sessi. Viene inoltre stabilito che, anche in deroga alle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, recante il regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, il cittadino maggiorenne può ottenere, a semplice domanda, il cambiamento del cognome, sostituendo quello del padre con quello della madre, ovvero assumendo entrambi i cognomi. Tale opzione può essere esercitata per una sola volta, per cui l’ufficiale dello stato civile dichiara irricevibile una seconda istanza di cambiamento del cognome. In tale ottica, l’articolo unico di cui si compone la presente proposta di legge stabilisce le modalità di attribuzione del cognome ai figli alla nascita, nonche´ la possibilità per il figlio maggiorenne di modificare il proprio cognome in relazione ai cambiamenti avvenuti nello stato della famiglia di origine. ART. 1. 1. L’ufficiale dello stato civile, sentiti i genitori, attribuisce al figlio all’atto della nascita il cognome del padre, ovvero il cognome della madre, ovvero entrambi i cognomi nell’ordine determinato di comune accordo tra i genitori stessi. 2. In caso di mancato accordo tra i genitori, l’ufficiale dello stato civile attribuisce al figlio all’atto della nascita i cognomi di entrambi i genitori in ordine alfabetico. 3. Ai figli successivi al primo, generati dai medesimi genitori, l’ufficiale dello stato civile attribuisce d’ufficio lo stesso cognome attribuito al primo figlio. 4. Il cittadino cui siano attribuiti i cognomi di entrambi i genitori può trasmetterne al figlio soltanto uno, a propria scelta. 5. In deroga alle disposizioni del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, l’ufficiale dello stato civile provvede al cambiamento del cognome del cittadino maggiorenne, il quale richieda per iscritto, in carta semplice, che gli sia attribuito il cognome della madre, ovvero quello del padre, ovvero entrambi i cognomi. L’ufficiale dello stato civile annota l’avvenuto cambiamento di cognome. Il cambiamento del cognome può essere richiesto una sola volta. L’ufficiale dello stato civile dichiara, irricevibile ogni domanda di cambiamento del cognome successiva alla prima. 153 AIAF QUADERNO 2006/2 XV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE N. 821 d’iniziativa del deputato CONSOLO MODIFICA ALL’ARTICOLO 33 DEL REGOLAMENTO DI CUI AL DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 3 NOVEMBRE 2000, N. 396, IN MATERIA DI COGNOME DEI FIGLI Presentata il 19 maggio 2006 ONOREVOLI COLLEGHI! La Corte costituzionale, con ordinanza n. 586 dell’11-19 maggio 1988, ha ritenuto che la mancata previsione della facoltà della madre di trasmettere il proprio cognome ai figli legittimi risponda a un bisogno di tutela dell’unità familiare. In questo senso la Corte non ha riconosciuto una lesione del principio di uguaglianza. Una violazione del principio di uguaglianza è ravvisabile invece in tutti i casi in cui il figlio viene allevato dalla sola madre, in seguito a morte o abbandono del marito o a divorzio: qui l’assunzione del cognome della madre, in aggiunta o in sostituzione del cognome del padre, sarebbe possibile senza danno alcuno alla famiglia. Non ritenendo funzionale l’adozione del doppio cognome fin dalla nascita, o il cosiddetto nome di famiglia, estraneo alla nostra tradizione, ci appare più opportuno intervenire sulle norme che prevedono la modifica del cognome, ampliandone le possibilità, per esaurire le conseguenze sopra indicate. Con la riforma del diritto di famiglia, ai sensi dell’articolo 143-bis del codice civile, introdotto dall’articolo 25 della legge 19 maggio 1975, n. 151, il cognome del marito non è più imposto alla moglie in sostituzione del cognome di nascita. La prassi di attribuire il cognome paterno ai figli legittimi non corrisponde ad alcuna norma di legge positiva, anche se ha rilevanza poi nel possesso di stato di figlio legittimo (articolo 237, secondo comma, del codice civile) e nel riconoscimento di figlio naturale (articolo 262, primo comma, del codice civile). A ben vedere la questione relativa alla scelta del cognome dei figli non appartiene al capitolo della parità fra coniugi: in una visione autenticamente liberale, il diritto di scegliere il cognome dovrebbe appartenere esclusivamente alla persona che lo deve portare, cioè al figlio. Si deve quindi poter riconoscere al figlio la possibilità di cambiarlo. I motivi fino a qualche anno fa ammessi per il cambiamento del cognome erano rigidamente determinati dall’articolo 158 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (ordinamento dello stato civile): era possibile cambiare il proprio cognome solo “perche´ ridicolo o vergognoso o perche´ rivela origine illegittima”. Il citato regio decreto n. 1238 del 1939 è stato poi abrogato dal decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, che ha ridisciplinato la materia e che, con la presente proposta di legge si intende integrare. In particolare, si intende ammettere anche il caso in cui il figlio sia stato assistito ed educato essenzialmente dalla madre: se i legami affettivi si sono creati con la madre non vi sono motivi perche´ il figlio per tutta la vita debba portare il cognome di una persona che appare estranea, solo perche´ è geneticamente il padre. Le esigenze di certezza anagrafica e di unità della famiglia, che tendono a far prevalere il cognome del padre, in questo caso possono essere anche meglio soddisfatte con l’acquisto del cognome materno. 154 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. Dopo il comma 1 dell’articolo 33 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, è inserito il seguente: “1-bis. Quando il cognome, che si richiede in aggiunta o in sostituzione del proprio, è quello della madre, tra i motivi della domanda rientra anche la circostanza che alla assistenza ed educazione del richiedente abbia provveduto esclusivamente o prevalentemente la stessa madre. Se il richiedente è minorenne, la domanda è presentata dalla madre o dal tutore”. 155 AIAF QUADERNO 2006/2 XV LEGISLATURA - CAMERA DEI DEPUTATI PROPOSTA DI LEGGE N. 869 d’iniziativa del deputato ZANELLA MODIFICHE AL CODICE CIVILE IN MATERIA DI COGNOME DEI CONIUGI E DEI FIGLI Presentata il 23 maggio 2006 ONOREVOLI COLLEGHI! La necessità di individuare ciascuno come persona a cui appartengono tratti distintivi propri, che la identificano e la distinguono dalle altre persone, richiede di superare, con nuove norme più consone a questa necessità, alcune norme attualmente previste dal codice civile. In particolare, riteniamo necessario definire una normativa che consenta a ciascuno di essere individuato come una persona che ha un cognome suo proprio, sufficiente a distinguerla, eventualmente insieme ad altri elementi come la data di nascita o altro ancora qualora fosse necessario, e non come una persona che ha un cognome “appoggiato” ad un altro, così come stabilisce ora il nostro codice. L’attuale formulazione dell’articolo 143- bis del codice civile prevede infatti che la moglie aggiunga al proprio il cognome del marito, mentre l’articolo 156-bis tutela il marito dall’uso per lui pregiudizievole del suo cognome da parte della moglie. L’articolo 262, infine, oltre a stabilire la filiazione patrilineare, prevede tra l’altro che in caso di riconoscimento successivo del figlio naturale da parte del padre, questi possa attribuire il suo cognome al figlio, addirittura sostituendolo a quello della madre. Si tratta di norme che occorre superare non solo per garantire che ciascuno sia se stesso anche nel cognome che porta, ma anche per garantire una effettiva pari dignità di persone ad entrambi i genitori nei confronti dei figli, senza operare quella “cancellazione” della donna-madre che le attuali norme stabiliscono. Con la presente proposta di legge, già presentata nella scorsa legislatura dall’onorevole Laura Cima (atto Camera n. 202), si intende offrire ai genitori l’opportunità di decidere di comune accordo il cognome del figlio, lasciando loro la libertà di stabilire se esso debba essere quello del padre, quello della madre ovvero quello di entrambi, senza automatismi ne´ obblighi. Naturalmente, la scelta di attribuire ai figli il doppio cognome, di cui è auspicabile la diffusione in quanto non impone nulla al figlio, richiede l’introduzione di un correttivo per evitare che si assista alla moltiplicazione dei cognomi nelle successive generazioni: sarà il figlio stesso, al compimento della maggiore età, a decidere quale cognome conservare per se´ da quel momento in poi. È fin troppo evidente che la presente proposta di legge non presenta oneri finanziari per la sua applicazione; si tratta semplicemente di una proposta tendente a superare l’attuale situazione che, automaticamente, cancella la donna-madre. PROPOSTA DI LEGGE ART. 1. 1. L’articolo 143-bis del codice civile è sostituito dal seguente: “ART. 143-bis. – (Cognome dei coniugi). - Ciascun coniuge conserva il proprio cognome e, solo nei casi in cui sia necessario, dopo il suo cognome è apposta la dizione “coniugato/a con” seguita dal cognome dell’altro coniuge”. 156 LA FILIAZIONE VERSO UN UNICO STATUS ART. 2. 1. Dopo l’articolo 143-bis del codice civile, come sostituito dall’articolo 1 della presente legge, è aggiunto il seguente: “ART. 143-bis. 1. – (Cognome del figlio di genitori coniugati). — Al momento della registrazione del figlio allo stato civile i genitori, in relazione al cognome che sarà attribuito al figlio stesso, scelgono: a) l’attribuzione di un cognome unico, che viene stabilito con dichiarazione resa all’ufficiale di stato civile da cui risulti univocamente la comune volontà di determinare quale dei loro cognomi verrà attribuito al figlio stesso. In caso di mancato accordo tra i genitori si applica quanto previsto dalla lettera b); b) l’attribuzione del doppio cognome; in tal caso il cognome del figlio è composto dai cognomi di entrambi i genitori, in ordine alfabetico. Entro sessanta giorni dal compimento del diciottesimo anno di età, ovvero al momento del matrimonio qualora questo avvenga prima del compimento del diciottesimo anno di età, il figlio, possibilmente d’intesa con i genitori, comunica all’ufficiale di stato civile del comune di residenza quale dei due cognomi intende conservare ed utilizzare come distintivo di se´. Qualora tale comunicazione non è effettuata, il cognome è attribuito d’ufficio scegliendo, fra i due, il primo in ordine alfabetico”. ART. 3. 1. L’articolo 156-bis del codice civile è abrogato. ART. 4. 1. L'articolo 262 del codice civile è sostituito dal seguente: "ART. 262. - (Cognome del figlio). - Nel caso di riconoscimento contemporaneo del figlio naturale da parte di entrambi i genitori si applica la disciplina prevista dall'articolo 143-bis.1. Nel caso di riconoscimento da parte di un solo genitore, il figlio naturale assume il cognome del genitore che lo ha riconosciuto. Qualora l'altro genitore riconosca successivamente il figlio, ovvero qualora la filiazione venga accertata in momento successivo al primo riconoscimento, il cognome del genitore che ha effettuato il riconoscimento successivo, ovvero nei confronti del quale è stata accertata successivamente la filiazione, si aggiunge a quello del genitore che per primo lo ha riconosciuto". 157 AIAF QUADERNO NUMERO 2005/2 Finito di stampare nel mese di dicembre 2006 presso la Tipolitografia Quatrini Archimede e figli snc - Viterbo 158