IL CENACOLO DI LEONARDO DA VINCI Notizie Storiche Leonardo da Vinci nacque nel 1452 in territorio fiorentino ed effettuò il suo apprendistato come pittore a partire dal 1469 nella bottega del Verrocchio, dove rimase fino al 1476. L’amicizia con Lorenzo il Magnifico, che lo accolse e gli affidò alcune commissioni, non gli procurò tuttavia nessun incarico importante a Firenze, ma gli prospettò la possibilità di altri orizzonti e lo mise in contatto con Ludovico il Moro, signore di Milano. Questi voleva innalzare la propria statua equestre nella piazza principale della città e Lorenzo ne approfittò mandando Leonardo come “ambasciatore della sua grandezza”. Questo progetto spiega il viaggio dell’artista nella città lombarda e a tale periodo risale la famosa lettera nella quale egli si offre al duca di Milano come architetto, scultore, pittore ed ingegnere, artigliere ed idraulico. Il Cenacolo, dipinto nel refettorio del Convento domenicano di Santa Maria delle Grazie, gli fu commissionato intorno al 1495 e fu realizzato nell’arco di due anni. Leonardo però non aveva la formazione dell'affreschista e a ciò è dovuto lo stato, estremamente precario, in cui versa oggi l'opera. Contrariamente al processo metodico e costante che richiede la tecnica dell'affresco, Leonardo aveva prediletto l'uso di una tecnica mista ad olio e a tempera d’uovo che gli permetteva di ottenere effetti pittorici particolari ma il composto, applicato sulla preparazione a gesso secco, subì le conseguenze delle intemperie atmosferiche e non riuscì ad aderire alla parete (ad aggravare la situazione, ma successivamente all’esecuzione dell’opera, veniva addirittura aperta una porta nella parte inferiore dell’affresco). Descrizione Il tema dell’opera è tratto fedelmente dai Vangeli ed è il momento in cui, durante l’Ultima Cena, Gesù rivela ai dodici apostoli che fra loro è presente un traditore. Leonardo, con grande maestria, ci presenta non solo la scena in quanto azione ma anche psicologicamente evidenziando i sentimenti di ogni personaggio davanti a questa notizia sconvolgente. Lo spazio è prospettico e l’ambientazione della scena é costituita da elementi architettonici che riprendono la forma reale del refettorio: la profondità dello spazio é resa mediante lo sfondamento ideale della parete reale, ricostruita prospetticamente nel dipinto. Le linee prospettiche confluiscono nella figura del Cristo, elemento centrale della scena. La scena è posta più in alto del punto di vista dell’osservatore e i personaggi sono in scala superiore al naturale, anche rispetto alla tavola sono imponenti e ciò aumenta maggiormente l’impatto emotivo e la monumentalità. La composizione vede in primo piano una tavola imbandita posta trasversalmente, vista di scorcio e dietro a essa siede, al centro, Gesù circondato dai dodici apostoli. Gli elementi compositivi conferiscono alla composizione una impressione di solennità, e nello stesso tempo di pacata agitazione causata dalla rivelazione di Cristo che annuncia il tradimento. La sala in cui la scena è ambientata è un’architettura estremamente essenziale, presenta tre aperture sul fondo in cui si intravede l’accenno ad un paesaggio di tipo fiammingo mentre sulle pareti laterali si scorgono quattro aperture da cui non proviene luce. Non ci sono altri elementi vistosi nella stanza: la decorazione è semplice e i colori usati sono neutri, per lo più marroni e toni caldi, in modo che non prevalgano sulla scena principale che, al contrario, è ricca di toni vivaci e maggiormente particolareggiata. La fonte di luce della scena è naturale e proviene dalle le tre aperture sul fondo della sala. Questa leggera illuminazione determina la disposizione delle luci e delle ombre, morbidamente in contrasto tra loro. Questi contrasti, seppur quieti, danno vita ad un avanzare di piani che termina con la staticità della tavola. La linea percorre la superficie pittorica con una sottile vibrazione, anzi, essa è quasi impercettibile perché Leonardo nelle sue pitture predilige lo sfumato. In primo piano c’è la tavola, al centro della quale domina la figura del Cristo, simmetrica, quasi piramidale, mentre gli apostoli sono suddivisi in quattro gruppi da tre. Da sinistra la prima triade (a sinistra di Gesù) è composta da Bartolomeo, Giacomo minore e Andrea, la seconda da Pietro, Giovanni e Giuda Iscariota, la terza (a destra di Gesù) è formata da Giacomo maggiore, Filippo e Tommaso e la quarta da Matteo, Giuda Taddeo e Simone. Leonardo raffigura gli apostoli con una precisione anatomica e mimica formidabile, dovuta soprattutto alla sua passione per l’anatomia, come rivelano i suoi numerosi studi. Attraverso i moti espressivi e corporei egli rappresenta il loro turbamento, il loro stupore, il loro sconvolgimento mantenendo però la concatenazione ritmica radunandoli a tre a tre. L’elemento nuovo nella lettura dell’evento da parte di Leonardo sta fondamentalmente nell’analisi psicologica che egli fa dei personaggi. Attraverso l’anatomia curata, la perfezione ricercata nel delineamento dei moti, nelle espressioni, nei gesti egli ci comunica qualcosa che va oltre l’evento in quanto tale; ci mostra l’atteggiamento, il sentimento di ognuno come se volesse richiamare lo spettatore ad una presa di posizione personale davanti al fatto rivelato da Cristo. Gesù nella composizione è l’unica figura pacata, quasi isolata, assorta mentre gli apostoli intorno a lui sono visibilmente, seppur compostamente, agitati, il loro animo è mosso, davanti alla notizia sconvolgente non possono rimanere impassibili e così anche noi siamo chiamati a muoverci a un giudizio, non possiamo voltare le spalle ad un fatto accaduto e presente. Oltre all’annuncio del tradimento è inoltre possibile intuire il secondo significato dell’opera, cioè la rappresentazione dell’offerta di Gesù all’uomo attraverso l’Eucarestia e anche di fronte a questo siamo chiamati a una risposta. CURIOSITà SULL’OPERA Le testimonianze e la leggenda ci tramandano che il Priore del convento milanese delle Grazie era molto seccato. A suo parere il pittore che era stato incaricato di dipingere l'Ultima cena su una parete del refettorio era una specie di perdigiorno, non si decideva mai a finire l'opera. Un giorno allora decise di parlarne alla moglie diLudovico il Moro, che era il potente Signore della Milano dell'epoca. La giovane e orgogliosa nobildonna, figlia del duca di Ferrara, Ercole d'Este considerava gli artisti di corte più o meno come dei semplici servitori e nulla più. Diceva che erano dei dipendenti stipendiati gli uni e gli altri e quindi chiese subito al marito di dare una buona "tirata di orecchie" al pittore, non sapendo che stava parlando del più grande genio e artista che mai l'umanità abbia mai avuto, il suo nome era Leonardo da Vinci. Ludovico il Moro cercò di accontentare in qualche modo la moglie, ma si guardò bene nel farlo come intendeva lei. Infatti conosceva bene il carattere dell'artista Leonardo da circa tredici anni e lo stimava profondamente. Dopotutto quest'ultimo ritardo non era poi tanto grave: il lavoro dell'opera intitolata Ultima cena al convento delle Grazie, era cominciato soltanto l'anno prima. Leonardo comunque lo rassicurò. Le figure degli Apostoli disse, erano praticamente compiute, salvo quella di Giuda. Il ritardo era dovuto alla realizzazione della figura del Cristo e pregava il Moro di avere un po' di pazienza. E poi aggiunse: <<Quanto riguarda a Giuda, alla peggio prenderò come modello il signor priore!>>. Ludovico il Moro apprezzò la battuta, ne rise e congedò cordialmente l'artista toscano. Passò un altro anno da quel giorno e il dipinto non era ancora finito. Nel 1497, il duca sollecitò Leonardo stavolta di sua iniziativa, in modo da fissare un termine per l'opera. Un genio all'opera Il metodo di lavoro di Leonardo poteva effettivamente lasciare perplessi. In quel periodo, si trovava presso il convento delle Grazie per motivi di studio, un ragazzo che poi divenne un famoso scrittore di novelle, il suo nome era Matteo Bandello. Grazie a lui, è arrivata sino ai giorni nostri, una preziosa testimonianza, su come Leonardo lavorava all' Ultima cena. Il Bandello scrive che a volte il pittore, arrivava prestissimo, all' alba. Saliva sul ponteggio, in quanto l' opera è abbastanza alta rispetto a terra, prendeva i pennelli e non li lasciava fino all' ' imbrunire. Non scendeva neanche per mangiare o bere, perché si portava lassù qualcosa. Altre volte, stava tre, quattro giorni senza fare nulla, al massimo veniva per una o due ore, e si limitava a contemplare il dipinto. Altre volte, faceva a piedi la strada dal Castello fino alle Grazie, anche con la pioggia, per dare solo due pennellate, e poi se ne andava. Il grande maestro Leonardo, non si comportava così per negligenza; doveva infatti avere il tempo di far maturare dentro di sé quell' immagine artistica che poi avrebbe realizzato. I temperamenti umani Fin da quando Leonardo ebbe commissionata l' Ultima cena, si mise a cercare delle persone che potevano avere i lineamenti o il temperamento che cercava per i suoi modelli. Se ne scorgeva uno per la via, gli andava dietro, tracciando degli schizzi dei lineamenti sui suoi fogli preziosi. Man mano che un dettaglio, specialmente di gente seduta a tavola, gli colpiva la fantasia, lo annotava subito nei suoi taccuini. Se ci fermiamo per un momento ad ammirare ed analizzare questa stupenda opera, pare proprio sentire nell' aria la presenza di questo enorme lavorio di osservazione della realtà. Per esempio, un uomo che, voltandosi bruscamente, rovescia un bicchiere, o un altro, che ha finito da poco di tagliare un pezzo di pane, ed ha ancora il coltello nelle mani. Sono veri e propri atteggiamenti reali, che sono innati nell' uomo, e che possiamo notare nell' opera di Leonardo. Ma cosa ha saputo ricavare la fantasia dell' artista da simili osservazioni e dettagli. Per la prima volta, in questo dipinto, vengono raffigurati non solo i tratti esteriori o i sentimenti dei singoli personaggi, ma addirittura il loro temperamento umano. Anche i gesti e gli atteggiamenti, oltre a rendere straordinariamente viva la scena, hanno una funzione psicologica. Questi servono a delineare un carattere. Il capolavoro Finalmente nel 1498, l' Ultima cena era finalmente finita. Vennero ad ammirarla i personaggi di tutta la Corte Sforzesca, il popolo e molti artisti dell' epoca, che si trovavano di passaggio a Milano. Tutti provavano stupore e ammirazione, prima di allora, molti artisti avevano realizzato opere con il soggetto dell' Ultima cena, ma nessuno l' aveva fatta rivivere in modo tanto straordinario. La scena è avvolta dagli ultimi bagliori del tramonto. Il Cristo, ha appena detto le famose parole che qualcuno lo tradirà. Mentre Giuda istintivamente, si ritrae e si volta, così che quasi lo vediamo di spalle (il che dà alla sua figura una sorda pesantezza), tutti gli altri Apostoli, addolorati, reagiscono all' incredibile annuncio del Cristo, ciascuno secondo la propria indole. I due estremi di questa gamma di emozioni, sono avvicinati l' uno all' altro: la mite e mesta rassegnazione di Giovanni, e il desiderio di azione di Pietro, che si sporge ad apostrofare Giovanni, ponendogli una mano sulla spalla (vedi particolare sotto). Eppure, in mezzo a questo impeto di affetti umani, possiamo notare come il Cristo è solo, nel centro, sotto il peso della sua superiore sapienza. Infatti gli altri, non sono in grado di afferrare tutto il significato, umano e divino di quel tragico attimo, e delle estreme conseguenze che ne derivano dopo. In questo dipinto, così ricco di figure, la serenità del Cristo, contrapposta agli atteggiamenti drammatici degli Apostoli, dà alla Sua immagine un rilievo che nessun artificio stilistico avrebbe saputo attribuirgli. La potenza di quest' opera è immensa. Un tentativo sfortunato Leonardo, come sappiamo, era portato a inventare dei metodi nuovi in pittura, in architettura, in ingegneria ecc. e proprio per l' Ultima cena, cercò di usare la tecnica della "Tempera" invece di quella dell' "Affresco". L' affresco, è un modo di pittura, che impone un ritmo di lavoro rapidissimo perché i colori asciugano subito, e non possono più essere ritoccati, tranne che non rifare di nuovo l' intonaco nuovo. Ma Leonardo, aveva bisogno di lavorare piano, di riflettere sulle sue figure, e quindi sperò che con alcuni accorgimenti, la tempera gli avrebbe permesso di lavorare con più calma, cioè con i suoi tempi, con i suoi indugi, e le sue pause. Questa scelta, segnò la condanna dell' opera. Già poco tempo dopo la sua ultimazione, era già deteriorata. Ai nostri giorni, dopo tanti restauri più o meno professionali, e dopo aver scampato ad incendi e a bombardamenti, e anche addirittura alle truppe napoleoniche, che usarono il refettorio come una stalla, sono riusciti a portare allo scoperto, dopo un restauro con le migliori tecnologie, il primo strato originale, cioè quello con i colori autentici, e le pennellate del grande maestro. E così dopo più di cinquecento anni, la straordinaria opera dell' Ultima cena o (Cenacolo) di Leonardo, rivive una seconda vita nella Chiesa di Santa Maria delle Grazie a Milano, per essere ammirata da Noi e da tutti coloro che verranno.