Antonio Allegra, Metamorfosi. Enigmi filosofici del cambiamento, Mimesis, Milano 2010. Un volume di pp. 172. In un panorama costellato di trattazioni filosofiche prevalentemente specialistiche e settoriali, è piuttosto infrequente incontrare percorsi di analisi e riflessione trasversali e ampi, che congiungano in modo originale ambiti disciplinari diversi pur senza perdere le virtù della chiarezza e del rigore. Questo recente testo di Antonio Allegra, dedicato al tema della metamorfosi intesa in senso ampio come fenomeno che dice del cambiamento in modo peculiare, assomma felicemente in sé tali caratteristiche. La trattazione mette al centro il nucleo tematico di interesse per disporre poi intorno ad esso in modo concentrico i contributi e le prospettive di diverse discipline, dalla metafisica classica a quella di matrice analitica, dalla filosofia della biologia alla teologia, dalle teorie evoluzionistiche alla storia della letteratura. Il cuore del lavoro è dunque un’analisi ontologica del fenomeno del mutamento e della trasformazione, ma tale analisi si sostanzia attingendo continuamente a una diversità di fonti e riferimenti che rendono lo svolgimento del discorso significativamente variegato e variabile. Fin dalle prime battute l’autore mette in luce la direttrice fondamentale della propria riflessione, esplicitando come questione cruciale quella del rapporto fra cambiamento e identità, sostenendo l’impossibilità di pensare adeguatamente ogni metamorfosi se non in riferimento a una qualche forma di continuità. Tale riferimento acquisisce tuttavia nella metamorfosi una particolare criticità poiché, a differenza degli altri tipi di cambiamento, essa mette a tema un mutamento radicale, cioè un mutamento di forma. Se dunque è la forma stessa con cui le cose ci appaiono a modificarsi nelle metamorfosi, diventa urgente chiedersi come sia possibile individuare un substrato oltre le forme, come si possa pensare la metamorfosi senza smarrirla in una mera molteplicità senza storia e senza processo. La trattazione di Allegra prende le mosse dal riferimento ad autori classici, come Ovidio e Dante, per cercare di cogliere come il modo di pensare e descrivere la metamorfosi, soprattutto in epoca medievale, abbia in qualche modo fin da subito espresso diffidenza verso l’idea di un cambiamento senza alcuna permanenza. Sotto le apparenze sempre mutevoli si nasconderebbe infatti sempre un soggetto che, se venisse meno, non potrebbe essere raccontato nel suo sviluppo. In questo senso la metamorfosi, intesa ampiamente, abbraccia molteplici forme di cambiamento, ma deve anche poter essere distinta dalla morte, cioè dalla semplice fine di sviluppo di un organismo. Philosophical News RECENSIONI 175 Ambito di analisi privilegiato per circostanziare un concetto potenzialmente così esteso è quello della biologia, innanzi tutto quello della biologia degli insetti e degli invertebrati, nella quale si osserva immediatamente come la metamorfosi sia un fenomeno universalmente diffuso. Mettendosi alla scuola dell’esperienza e delle scienze naturali, l’autore si interroga speculativamente sulla distinzione fra ciò che permane e ciò che cambia, individuando uno snodo cruciale nel rapporto fra predicati temporali e definizione dei soggetti del mutamento. In questa prospettiva egli sottolinea la rilevanza del trovare parole che abbraccino appropriatamente la medesima sostanza attraverso i vari stadi della sua trasformazione, per cui ad esempio sarà logicamente più appropriato usare sostantivamente il riferimento al termine ‘batrace’ per abbracciare l’evoluzione da girino a rana o il riferimento al termine ‘essere umano’ per abbracciare l’evoluzione da bambino ad adulto. La continuità del cambiamento è d’altra parte definita dal tipo di cosa di cui si sta trattando. Per questo la comprensione tipologica di ciò che muta è fallibile e provvisoria, e nondimeno cruciale. Il rapporto fra concetti unitari e realtà cangiante implica progressive correzioni e aggiustamenti, per cui solo l’esperienza prolungata nel tempo porterà a riconoscere un’unica identità che racchiude insieme il bruco, la crisalide e la farfalla. D’altra parte non ogni cambiamento può essere inteso come metamorfosi: in alcuni casi esso va oltre, in direzione di una maggiore discontinuità, come nel caso della morte di un organismo. Il tema teoretico più rilevante è qui quello del rapporto fra concetti e realtà: estendere troppo o troppo poco i concetti porta a rinvenire nel reale solo essenze oppure nessuna essenza. Per questo la strada suggerita è quella di costruire una comprensione di ciascuna cosa a partire dalla presenza di regolarità attendibili nel suo sviluppo, considerando tali regolarità come indici affidabili di una essenza permanente e della sua ricorrente dinamica. Nel riferimento consapevole al contesto di pensiero della metafisica analitica, Allegra mira dunque ad affermare una forma semplice e moderata di essenzialismo, intendendo con essenza ‘un certo tipo di esistenza’ che si manifesta in sostanze che, esprimendo singolarmente un certo genere, sono caratterizzate da determinati percorsi di mutamento piuttosto che da altri. In altre parole, il genere sostanziale segna i limiti dell’esistenza dell’individuo che le appartiene, per cui ogni entità appartiene essenzialmente al proprio genere e questa appartenenza determina l’ambito delle sue trasformazioni nel permanere dell’identità di fondo. L’analisi non si ferma tuttavia all’ambito della biologia, e intraprende delle esplorazioni verso altri territori del cambiamento. La prima di queste esplorazioni avviene in senso teologico e mette a tema il concetto cristiano di resurrezione, proponendo la metamorfosi come una possibile chiave di lettura. Anche in questo caso, si osserva, perché vi sia vera resurrezione è necessario postulare che vi sia una forma di continuità nel cambiamento e che dunque la morte sia in qualche maniera non una vera e propria fine seguita da un nuovo inizio, quanto piuttosto un passaggio all’interno di un unico processo. L’alternativa sarebbe dover ammettere che il risorto altri non sia se non una copia, per quanto nuova e accresciuta, del soggetto precedentemente deceduto. Il risorto non è infatti una copia identica del defunto, quanto piuttosto l’esito di un passaggio ad una 176 RECENSIONI Philosophical News ulteriore condizione di pienezza. Qui si colloca la rilevanza del concetto di anima come principio di continuità, purché intesa come principio personale e specifico, forma del corpo e non essenza generica o elemento pitagoricamente imprigionato nel corpo come nella propria prigione. Anche in questo caso il percorso analitico di Allegra si snoda attraverso un interessante excursus storico, mettendo a tema l’evoluzione del pensiero sulla resurrezione nel corso dei primi secoli del Cristianesimo, per muovere poi verso l’attenzione dedicata ad esso anche dalla tradizione alchemica, risalendo fino alla teologia scolastica. Un percorso tortuoso e articolato, sempre comunque alla ricerca di un principio materiale o spirituale di continuità, disegnando un’idea di resurrezione intesa come esenzione dai processi di consumazione e corruzione tipici del corpo stesso. L’approdo dell’analisi, seppure senza pretesa di esaustività sul tema, è di fatto un ritorno alle tesi già anticipate in precedenza. Le parti non costituiscono mai l’identità del soggetto mutevole, l’identità è data piuttosto dall’individuo di cui le parti sono componenti. Così anche nel caso della resurrezione il principio di identità dell’individuo non può che intendersi di natura personale e non materiale. La trattazione torna successivamente sulla direttrice principale della metamorfosi intesa in senso naturalistico e biologico. Con le figure di Federico Cesi e Giordano Bruno, si ripropone agli albori della modernità la ripresa innovativa dell’idea di una ‘grande scala dei viventi’ e della non facile questione della loro classificazione. In seguito, a partire da un ‘600 che riscopre significativamente Ovidio e con esso il fascino della metamorfosi e del mutamento universale, diventa attuale la ricerca del cosiddetto anello mancante fra le specie e del suo versante oscuro nel confronto con il mostruoso, inteso come ibrido indefinibile e non collocabile. Diventa così sempre più centrale la questione delle specie e della speciazione, articolata secondo l’autore in due parti, fra loro in reciproca dialettica: la necessità di individuare le entità di base e la necessità di stabilire una tassonomia di ordinamento fra tali entità. Il passaggio da Linneo a Darwin, in questo senso, è il passaggio a una concezione ove il tema della trasformazione e della metamorfosi si fa più pervasivo, al punto da rendere problematica la questione stessa dell’identificazione delle specie nel tempo. In quel contesto storico fu innanzi tutto influente la visione lamarckiana, di carattere nominalista, secondo la quale esistono solo esseri individui e una dinamica di lenta ma continua trasformazione di tutti essi. La prospettiva nominalista sulla realtà portò logicamente a una rappresentazione della trasformazione di tutto in tutto, nel decadere del valore delle classificazioni a mere astrazioni. Anche in Darwin, d’altra parte, si riscontra tale tendenza non priva di contraddizioni, per cui da un lato ogni classificazione può essere a suo avviso intesa solo come genealogica e dall’altro però l’evoluzione stessa viene concepita come generatrice di specie identificabili. Ci si trova, dunque, da un punto di vista speculativo, a un inatteso ritorno dell’antica questione degli universali. L’autore osserva a riguardo come la questione della genesi della specie sia da tenere distinta rispetto a quella della loro definizione: il processo di speciazione è altro rispetto alla considerazione della specie come risultato di quel processo. In Philosophical News RECENSIONI 177 altre parole, le specie sì mutano, ma mutano quanto alla comparsa e scomparsa dei soggetti che le istanziano, non quanto alle specie in sé, le quali restano definibili anche quando non vi fossero più soggetti a instanziarle in un dato momento storico. Si tratta, dunque, di tenere intatta la distinzione fra types e tokens, considerandone appropriatamente il rapporto, ma senza operare confusioni fra gli uni e gli altri. Torna dunque a ripresentarsi, per approfondimenti successivi, la proposta teoretica di un essenzialismo moderato proposta fin dalle prime battute del libro come linea di indagine. In questo quadro, l’esprimersi di una determinata essenza determina l’appartenenza alla specie. Una specie può certo evolvere in un’altra, ma questo non pone un problema insolubile al livello dell’individuo, il quale può sempre provenire da una specie e al tempo stesso appartenere già a un’altra. Il fatto che un discendente da una certa specie si trovi in realtà a esprimere un’altra essenza, non è di per sé una critica radicale a una lettura essenzialista, a patto che questa non si vincoli oltremodo a una concezione fissista delle essenze stesse. Tenendo ferma la distinzione fra piano epistemologico e ontologico della questione, si osserva, è possibile dunque accettare il limite della conoscenza senza per questo sacrificare radicalmente la possibilità di disegnare un quadro ontologico congruo. Si inserisce qui la seconda esplorazione dell’autore oltre l’ambito della biologia, questa volta in direzione delle suggestioni proprie dell’epoca della tecnica. La trattazione si avvia qui dal manifesto cyborg della Haraway e dalla letteratura, filosofica e non, collegata a quel tipo di prospettiva. Non solo filosofia, dunque ma più ampiamente letteratura fantastica, cultura e opinione come ambiti privilegiati in cui si esprime una sensibilità incline alla mutazione dell’umano oltre il biologico e il naturale, intendendo tale processo come il logico proseguimento di quel rapporto di manipolazione trasformativa del mondo esterno da parte dell’uomo che è la tecnica. Ecco dunque che il transumanesimo è affermato come vero umanesimo, nel senso dello sviluppo di una virtualità che caratterizza l’umano profondamente, come radicale contestazione dei paradigmi della “normalità” e della specie su tutti i piani – biologico, sessuale, storico – in direzione di una dinamica dell’evoluzione continua, una sorta di ripresa in chiave pragmatica e tecnica delle suggestioni filosofiche di Deleuze. Una vera e propria sfida ai confini fra umano e non umano, organico e tecnico, in direzione di una perenne trasformazione, senza fine e senza finalità. Eppure, ricorda Allegra, nella metamorfosi la funzione meta non può essere mai del tutto separata da quello che è la morphé: il puro e indefinito mutamento è in questo senso inconcepibile. Il divenire può essere infatti tenuto distinto dal morire solo a patto di mantenere un qualche plausibile riferimento ad una teleologia. Un divenire puro, ateleologico non avrebbe in sé le risorse per giustificare tale distinzione. Anche l’opzione postmoderna, ma di sapore spinoziano, per una Vita-Zoé indistinta e in continuo mutamento, senza inizio né fine, senza forma né traguardo mantiene comunque la necessità concettuale di riferirsi a un qualche sostrato permanente, fosse anche identificandolo tout court con la materia della totalità in trasformazione. In questo contesto, il paradigma emergente di un rapporto fusionale e indistinto con ciò che è altro rispecchia una crisi della soggettività per cui in fondo non esiste più né sé né altro, e dunque non esiste più propriamente relazione fra i diversi. 178 RECENSIONI Philosophical News In chiusura la trattazione si rivolge a una interessante ricapitolazione delle tesi chiave attraverso un’acuta messa a tema del rapporto fra forme viventi e metabolismo. Negli organismi viventi, osserva l’autore, emerge chiaro il primato della forma sulla materia. Il metabolismo è esattamente un processo che assume, muta ed espelle materia per mantenere in vita la forma stabile dell’organismo. L’organismo vivente è dunque autotelico in questo senso peculiare: nel mantenere e realizzare se stesso continuamente, in una condizione di relativa stabilità della propria forma. Per questo accanto al processo metabolico si affianca anche l’azione del sistema immunitario: l’organismo mantiene la propria forma nel rapporto con l’altro da sé ma difende anche la forma dall’aggressione di ciò che è alieno e lo destabilizza. Non ogni mutamento è infatti conveniente alla forma, ma può essere anche per essa nocivo e contraddittorio. È dunque necessario riaffermare la presenza di un principio di identità attivo in ogni metamorfosi, che ne definisce senso e orientamento. E d’altra parte è anche importante osservare come il continuo cambiamento costituisca immancabilmente la trama e lo svolgimento stesso di ogni identità. Nel complesso, l’intenzione filosofica che emerge dal testo è quella di un’ambiziosa e attuale riproposizione di alcune prospettive ontologiche radicate consapevolmente nella classicità, ma altrettanto consapevolmente pensate all’interno di problematiche e categorie tipicamente moderne e contemporanee. L’ampiezza delle fonti e la trasversalità interdisciplinare della riflessione sono in questo senso l’aspetto più convincente della trattazione, che si caratterizza anche per una grande vivacità di esempi e di riferimenti che rendono la lettura genuinamente avvincente e comunque per lo più accessibile anche a un pubblico non strettamente specialistico. Potrebbe forse rimanere in parte deluso il lettore che cercasse l’approfondimento specialistico sui singoli ambiti disciplinari toccati dalla ricerca. La natura stessa della trattazione rende infatti non esaustivo sui singoli temi lo svolgimento e la discussione delle posizioni filosofiche presenti sul campo. Non è d’altra parte dichiaratamente questo l’intento dell’autore e di conseguenza anche tale aspetto non può essere imputato come una rilevante mancanza nella qualità complessiva di questo ottimo testo. Paolo Monti Università Cattolica del Sacro Cuore [email protected]