TREFFPUNKT KLASSIK-EXTRA Gabriele Beinhorn intervista Gebhard von Gültlingen della Scuola Internazionale di Musicosophia a St. Peter nella Foresta Nera 1. Introduzione SWR 2 Treffpunkt Klassik-Extra B: Al microfono Gabi Beinhorn. Oggi abbiamo ospite in studio Gebhard von Gültlingen, uno dei due direttori della Scuola Internazionale di Musicosophia, la scuola dell’ascolto cosciente della musica a St. Peter nell’Alta Foresta Nera. Nella prossima ora e mezza vogliamo parlare insieme di tutto quello che si può imparare con Musicosophia ma anche dell’azione concreta della musica. Per iniziare un caro benvenuto a Gebhard von Gültlingen. G: Grazie, mi fa piacere avere l’opportunità di essere qui. B: Mi ha colpito il fatto che il programma musicale da Lei scelto contenga, di fatto, solo un brano vocale, tutti gli altri brani riguardano perlopiù il pianoforte oppure sono sinfonici o prevalentemente brani lenti. C’è una sorta di filo rosso che attraversa il Suo programma musicale? G: Sì, questa è una domanda molto buona. Naturalmente c’è un filo rosso. Ma devo iniziare dal principio e raccontare una storia molto lunga. Il filo rosso è rappresentato dal rapporto particolare che ho con ognuno di questi brani musicali. Essi mi hanno accompagnato, mi hanno spiegato e chiarito cose. Taluni mi accompagnano da 20/30 anni e sono come degli amici che si incontrano e che si è contenti di poter rincontrare. B: Ascoltiamo per primo, quasi come ouverture, in entrata, la Sarabanda dalla Suite per violoncello n. 5 di Bach con Mstislav Rostropovich. 2. Bach: Sarabanda da BWV 1011 3. Intervista B: Mstislav Rostropovich con la Sarabanda dalla Suite per violoncello n. 5 di Bach. Gebhard von Gültlingen fra poco ascolteremo questo brano ancora una volta. Secondo Lei, cos’ha di così importante? G: Si potrebbe dire che questo brano sia il più noioso scritto da Bach, in questa musica non accade nulla, vi è un breve motivo discendente [fischietta] che viene ripetuto alcune volte, poi viene capovolto e il tutto viene eseguito ancora una volta, e questo saliscendi non costituisce, di fatto, nessun intreccio. Tuttavia, in questo gioco di saliscendi si instaura una relazione tra il sopra e il sotto ed è stupefacente come raggiunga una tale profondità, quasi in una “sempiternità”. Siamo di fronte a una dimensione nella sua musica che è preferibile non iniziare a esprimere a parole. Ha una tale profondità e una tale bellezza e pur tuttavia nulla accade, e per me questo è veramente espressione di una musica grande e profonda che conduce anche me, uomo alla ricerca, lungo una strada; mi pone delle domande. E più domande mi pongo su questa musica più ne ricevo delle risposte. E questa relazione in fieri, questo alto e basso, tanto alto quanto basso, è per me un simbolo molto bello della strada dell'essere umano. 4. Bach: Sarabanda da BWV 1011 5. Intervista B: Questa era una toccante interpretazione della Sarabanda della Suite per violoncello solo n. 5 di Bach con Mstislav Rostropovich. Wilhelm Furtwängler disse una volta: "La musica è quello che oggi non si conosce più, non è il flusso di sequenze tonali bensì una lotta di forze”. Gebhard von Gültlingen, questo è anche il motto che campeggia sul sito internet di Musicosophia, perché? G: Furtwängler non fu solo un bravo direttore e musicista, fu anche filosofo, pensatore e poeta. E conosceva molto bene Goethe e la lotta tra le forze ovvero la questione delle forze all’interno dei suoni che riguarda chiunque cerchi di 1 analizzare criticamente le cose. E lui esigeva che si guardasse oltre le cose, così come scrive Barenboim nel suo ultimo volume La Musica sveglia il tempo, in cui egli esige dal musicista che sveli il lato metafisico della musica, e per Furtwängler era sicuramente la stessa cosa. Parimenti Gustav Mahler pretendeva dai Wiener, che aveva fondato, che eseguissero non i suoni bensì quello che sta tra i suoni. Si narra che i musicisti si sarebbero indispettiti e dicessero: “Quest’eccentrico! Ma cosa vuole adesso da noi?”; ma è proprio questo il lato che distingue i grandi musicisti dai musicisti minori; chi capisce cioè che bisogna guardare oltre le cose, dunque oltre al fisico, oltre al suono puro, da coloro che eseguono semplicemente suoni. E noi, nella nostra Scuola, cerchiamo di indurre l’ascoltatore a riflettere sulla musica. B: Di questo aspetto parleremo ancora molto, ma vorrei innanzitutto confrontare la citazione di Furtwängler con quella del fondatore di Musicosophia, il musicologo rumeno George Balan. Egli afferma: “Il destino ci parla dalla parte più interiore del nostro essere, dal profondo, cui solo la musica ha accesso”. Cosa può dirci veramente la musica? G: Bene, la musica in realtà non ci dice proprio nulla di sua iniziativa. Se non le poniamo domande, lei non risponde. Il nostro approccio è appunto quello di instaurare da un lato questa relazione della musica, così che possa nascere un filo del destino, un filo rosso; e da questa relazione si sviluppi un corrispondente movimento verso l’esterno che metta in questione anche la vita stessa. Così che io sia spinto a chiedermi che senso ho, qual è il significato delle cose, per quale motivo mi affanno e cerco di vivere la mia vita al meglio possibile. E Balan rivolge proprio questa grande provocazione all’ascoltatore: “Anche tu ti devi occupare del senso della musica”, non solo dunque il compositore e l’interprete. B: E ora, partendo dalla Sua prossima richiesta musicale, ovvero l’Andante con moto, secondo movimento, dal Concerto per pianoforte n. 4 di Beethoven, so che ci vuole raccontare un’esperienza particolare che ha vissuto assieme a un partecipante a un seminario di Musicosophia. Cos'è accaduto durante l'ascolto di questo movimento? G: In realtà non si trattò di un seminario. Un giorno a St. Peter mi trovai all’improvviso sulla porta un uomo sui sessant’anni che mi disse di avere un problema con i suoi sentimenti, e che mi chiese se avremmo potuto guarirlo. Al che replicai: “No, non guariamo nessuno, o almeno non guariamo nel senso usuale del termine. Con questo metodo, noi ascoltiamo solo e semplicemente la musica”. Ne nacque una lunga conversazione, una conversazione molto interessante; così di lì a poco decisi di dargli un assaggio del nostro lavoro nel breve tempo che trascorro a St. Peter, dato che mi trovo sempre in viaggio. Tornò il giorno seguente e noi stavamo lavorando proprio a questo Andante del Concerto per pianoforte n. 4, in cui c’è una contrapposizione stridente tra l’orchestra e il pianoforte. Un elemento tipico della musica di Beethoven non è affatto l’aspetto trionfale che si tende sempre a mettere in evidenza, rappresentandolo in modo un po’ popolare. Dopo averlo ascoltato una/due volte, il nuovo ascoltatore era in grado di rappresentarsi molto chiaramente questa distinzione tra i due elementi, descrivendo l’orchestra come molto autoritaria, come una persona che esige qualcosa dal pianoforte, e il pianoforte come il debole che si abbassa e in qualche modo deve cavarsela con questa orchestra. Aveva inoltre intravisto una relazione con se stesso: “Ah, nella mia vita ho sempre a che fare anch’io con questo mondo esteriore che devo rappresentare, descrivere, ma nella mia interiorità vive un uomo completamente diverso, estremamente fragile e vulnerabile e che è sensibile; e non riesco a conciliarli”. Parlammo per un bel po’ di questa relazione tra il pianoforte e l’orchestra, che però si evolve, perché il pianoforte non si lascia indispettire da un’orchestra villana e va avanti anche se essa lo interrompe in continuazione. E proprio nel momento in cui decide di non permettere più di essere interrotto, il pianoforte provoca una sorta di esperienza nell’orchestra, che fa un passo indietro. E proprio alla fine, dopo un tema B che arriva con relativa veemenza, proprio alla fine, il pianoforte invita di fatto l’orchestra a tornare in scena dopo questa parte centrale, ma non succede nulla; la invita nuovamente, e ancora non accade nulla. E poi finalmente l’orchestra ripropone molto timidamente il suo tema iniziale, che si era presentato così ruvido, ed esegue questo tema con estrema delicatezza. Infine il pianoforte comincia un tema, un motivo molto breve, che viene completato dall’orchestra. È una magnifica collaborazione tra i due. Dissi allora al mio ascoltatore: “Adesso provi, anzi, usi questo trucco: trasponga queste due identità, che ha descritto così chiaramente, nella sua interiorità, e faccia come se fossero due voci presenti in lei”. Rimase completamente sbalordito. Lo avvertii dal silenzio che si creò, quel momento estasiante in cui ci si rende conto: “Oplà, si è appena creato qualcosa, è successo qualcosa!”. E rimanemmo entrambi basiti, commossi da questo ‘qualcosa’. Fu semplicemente magnifico. Dopo il lavoro, egli mi disse: “È veramente strano, dopo aver ascoltato così poco, come abbia quasi risolto un problema della mia vita". Ebbene, non so se questa si possa definire guarigione, se si sia trattato di psicoterapia o di altro, non mi sento chiamato a qualcosa del genere; ma è qualcosa di simile quello che la musica provoca se la si ascolta e la si lascia entrare. 2 B: Può un brano essere di aiuto alla vita? G: Sì, può succedere. E accade in continuazione nei nostri seminari, anche involontariamente. È una sorta di effetto collaterale, come un sottoprodotto del nostro lavoro. B: Ascoltiamo ora il secondo movimento dal Concerto per pianoforte n. 4 di Beethoven con Daniel Barenboim e la New Philharmonia Orchestra di Londra diretta da Otto Klemperer 6. Beethoven: secondo movimento del Concerto per pianoforte n. 4 7. Intervista sull’idea di Musicosophia B: Il secondo movimento dal Concerto per Pianoforte n. 4 di Beethoven, con Daniel Barenboim e la New Philharmonia Orchestra di Londra diretta da Otto Klemperer G: Forse ancora un commento su questo concerto. Una volta un ascoltatore mi disse circa il duo dualismo: “È come un re e sua figlia: il re vuole che la figlia faccia qualcosa e la figlia non lo fa; e alla fine il re fa quello che vuole la figlia”. Era un ascoltatore di 6 anni del nostro seminario pedagogico… Aveva capito esattamente il perché e di cosa si trattasse, facendone un’analisi perfetta. B: Affascinante! Parliamo ora dell’idea che sta alla base di Musicosophia. Gebhard von Gültlingen, cito ancora una volta il fondatore, George Balan: “Per essere capita, la musica non ha bisogno di esperti eruditi bensì di ascoltatori coscienti che siano in grado di portare a compimento il processo di creazione musicale compositore – interprete – ascoltatore”, proprio come nella storia del bimbo di 6 anni che ci ha appena raccontato. Si tratta dell’ascolto cosciente e di una forma peculiare di percezione. Cosa s’intende specificatamente per ascolto cosciente della musica, dato che si parla della Scuola di ascolto cosciente della musica a St. Peter? G: Bene, ‘cosciente’ significa semplicemente che so quello che sto ascoltando. Ebbene, io come ascoltatore devo o posso applicarmi proprio come l’interprete, come il compositore. Come ascoltatore posso sviluppare la stessa capacità di creare e plasmare che possiedono i primi due artefici. Il compositore si rivolge, per dirla romanticamente, alle stelle, vi attinge la propria ispirazione e la elabora con molta fatica. L’interprete sacrifica tutta la propria vita a questa rappresentazione della musica, con enormi sacrifici, e l’ascoltatore si siede lì e si diverte. È giusto questo? Allora Balan si chiede: forse l’ascoltatore deve fare lo stesso sforzo e tendere la mano verso le stelle, e spingersi fino alla stessa fonte del primo e del secondo artefice. Così, utilizzando un determinato strumento che si è guadagnato con il proprio lavoro, egli può diventare un terzo artefice. Solo con questa terza creazione si porta a compimento l’atto creativo musicale. L’ascoltatore ha l’obbligo di assumersi la propria responsabilità dando alla musica un significato. B: Con Musicosophia lo si apprende sia da profani, ai quali Lei si rivolge quasi esclusivamente e su questo ritorneremo ancora, ma, cosa interessante, anche da professionisti. Ci sono per così dire anche studenti che hanno a che fare in modo professionale con la musica. Come mai, perché si rivolgono a Lei, cosa possono imparare ancora da Lei? G: Dunque, tra i nostri ascoltatori di musica vi sono musicisti e compositori, quali ad es. Aaron Stern, già collaboratore di Leonard Bernstein, che dello stesso Bernstein disse: ‘E’ l’unico da cui posso imparare ancora qualcosa di musicale’. Torna regolarmente da noi, siamo in contatto già da molti anni, per ascoltare quello che la musica significa. Cosa vuole da noi? Non possiamo insegnargli null’altro, di musica sa tutto! Ma da noi si tratta di un’altra direzione. Il musicista è concentrato nel produrre musica e nell’esternarla. L’ascoltatore si occupa esattamente del contrario: riceve: E se da musicista voglio ascoltare, devo cambiare direzione. Proprio come Yehudi Menuhin, amico di Balan, che una volta gli disse: “Se voglio sentire come te, devo mettere via il mio violino”. Aveva capito esattamente. E così il musicista conosce l’altra faccia della musica, quella che non conosce come produttore o che non conosce in modo naturale. In pratica egli deve tornare a essere un ascoltatore spontaneo, e questo per molti musicisti, lo vedo in continuazione nei nostri seminari, è davvero difficile. B: Dunque si tratta del passaggio da colui che trasmette a colui che percepisce. G: A colui che accoglie. 3 B: Accoglie, certo. Come prossimo brano ha scelto “Erbarme dich, mein Gott”, un’aria per contralto dalla Passione secondo Matteo di Bach. E’ una preghiera di conforto in musica. Cosa produce in Lei questa musica? G: A questa musica sono legato da una relazione di lunga data, non solo perché è molto intensa e ti tocca nel profondo, ma anche perché mi ha fatto comprendere una cosa essenziale, che il Vangelo di Matteo non mi aveva trasmesso. Si tratta del momento in cui il gallo canta tre volte e il discepolo si rende conto di aver tradito il Signore Gesù: la voce prega per il tradimento avvenuto e noi ascoltiamo una musica che parla di un perdono così grande e affettuoso. E’ una delle cose più belle che si possa donare a una persona che ti ha fatto del male, un magnifico atteggiamento di un uomo nei confronti di un altro. Questo mi ha colpito molto, perché prima, senza musica, non mi era chiaro il significato profondo. 8. Bach: Aria “Erbarme dich” 9. Intervista sul metodo B: Questa era Carolyn Watkinson con l’aria per contralto “Erbarme dich, mein Gott” dalla Passione secondo Matteo di Bach, eseguita dall’Orchestra de Chambre di Losanna diretta da Michel Corboz. Gebhard von Gültlingen, se potessi essere una mosca in uno dei suoi seminari, vedrei i suoi studenti cantare, canticchiare, prendere appunti o fare cosiddetti gesti meloritmici, come se stessero dirigendo. Tutto questo serve a percepire la musica per approfondirla ulteriormente, più che con uno studio di spartito. Ora ci spiegherà come funziona più nel dettaglio il metodoMusicosophia partendo dalla “Sonata facile” di Mozart. Ci concede dunque una sbirciatina alla fucina. Qual è il suo approccio? G: Sì, diamo sempre per scontato quello che il musicista ha già a sua disposizione, ovvero lo spartito. Egli guarda le note e sa tutto, si pensa. Noi ascoltatori non abbiamo nulla, quindi ci costruiamo il nostro personale spartito, ovvero ci soffermiamo sul linguaggio: come parla Mozart, come parla Bach, come parla Beethoven? Come comunicano? Comunicano con i pensieri. Ma questi pensieri non hanno parole, bensì melodie, e queste melodie hanno il valore di pensieri grandi e profondi. Talvolta un tema dura appena 5 secondi: ha uno, due motivi, e se l’ascoltatore non ha chiari questi pensieri, non capirà la musica. Di pancia si riesce a coglierlo molto intuitivamente, ma non si potrà mai afferrarlo completamente, proprio come disse Barenboim: “Bisogna analizzare nel profondo una musica e ripeterla centinaia di volte, migliaia di volte, e poi, dimenticando il tutto, comprenderla nuovamente a un livello più elevato di intuizione”. E’ proprio questo che dovrebbe fare l’ascoltatore. Ebbene, noi analizziamo molto rigorosamente la musica, questo è fondamentalmente il nostro principale lavoro pratico. Ci soffermiamo sui pensieri di un compositore, su come li ripete, su come li struttura; ma soprattutto, cosa più bella e importante in tal senso, ricreiamo un nuovo ordine nel suo pensiero, tentiamo di seguire i suoi pensieri e renderli a noi chiari, anche quando li sviluppa. E già questo ci occupa molto tempo. A volte lavoriamo su una musica per 16 ore. Un movimento di Bruckner di 15 minuti ci tiene impegnati per un intero fine settimana. Ho scelto questa Sonata di Mozart perché in uno spazio minimo raggiunge un’incredibile grandezza, un pensiero profondo. Mozart la compose nella stessa estate in cui scrisse le sue ultime 3 Sinfonie, nn. 39, 40 e 41, e questa breve “Sonata facile” non è affatto più facile di una delle sue grandi Sinfonie e nient’affatto meno profonda. Noi abbiamo semplicemente esaminato la musica per intero, dopo aver individuato le singole parti, che sono complessivamente 13. Abbiamo un’idea e 3 sviluppi: ascoltiamo semplicemente in sequenza questi tre sviluppi insieme al tema iniziale, e notiamo ben presto in che modo Mozart sviluppa questi pensieri. Scopriamo così che egli aveva un obiettivo ben determinato, proprio come disse Harnoncourt nel suo magnifico discorso in occasione del 250° della nascita di Mozart: “Rappresenta palesemente una strada dell’uomo verso una meta, la Musica”. Si riferiva, allora, alla Sinfonia in Sol minore n. 40 di Mozart, ma questo vale di fatto per ogni musica. Ed è proprio così che ci parla ed è esattamente ciò che noi, come ascoltatori, tentiamo di comprendere; seguiamo quella strada e poi cerchiamo forse anche di viverla. 10. Commento e parti della “Sonata facile” G: [Brano musicale] Tema A Questo era il primo tema, diviso in due parti. C’è già stato un piccolo cambiamento, ma nessuno l’avrà notato. Dopo la ripetizione di questa prima parte, che noi adesso non ascoltiamo, sentiamo ora il primo cambiamento, là dove subentra improvvisamente una pressione. [Brano musicale] Tema A1 4 Dunque, questo era il primo cambiamento; e nel secondo cambiamento questa pressione diventa una domanda, un’incertezza, si potrebbe quasi dire una lamentela fatta “su piedi leggeri”. [Brano musicale] Tema A2 E ora nell’ultima parte, la Coda, il terzo cambiamento: abbiamo ancora una volta all’inizio questo chiedere, che tuttavia si risolve prodigiosamente in luce. [Brano musicale] Tema A3 / coda Questi erano dunque i 3 cambiamenti. Nel seminario li ascolteremmo ripetutamente, due, tre, cinque, dieci e un numero incredibile di volte, finché ognuno arrivi a capire di cosa si tratta. Ora ascoltiamo ancora una volta tutto il secondo movimento della Sonata, sentendo di volta in volta il ripetersi del tema iniziale che Mozart aveva scritto. Dunque egli esegue, cambia, esegue nuovamente il tema iniziale, e poi fa ancora un ultimo cambiamento. Riascoltiamo ora ancora una volta questi tre cambiamenti, interrotti dal tema iniziale ripreso per intero. [Brano musicale] 11. Mozart: Sonata n. 16 (Sonata facile, KV 545) B: Era Christian Zacharias in questa magnifica interpretazione del secondo movimento dalla Sonata per pianoforte di Mozart, “Facile“ n. 16 in Do maggiore. Gebhard von Gültlingen: il fondatore di Musicosophia, George Balan, ha condotto ricerche in ambito musicale e filosofico e il termine Musicosophia sembra essere una sorta di ibrido di entrambi. Musicosophia è una forma di avvicinamento filosofico all’essenza della musica o significa molto semplicemente, liberamente tradotto, amore per la musica? Cosa si cela dietro al termine Musicosophia? G: Nacque spontaneamente. Balan aveva studiato filosofia a Mosca e nella sua tesi aveva indagato il contenuto filosofico della musica in Schopenhauer, Shostakovich e altri filosofi. I grandi pensatori sono sempre stati affascinati dalla musica e hanno sempre messo in discussione le cose, fino a Schopenhauer che disse: “Se riuscissimo a spiegare completamente la musica, avremmo una spiegazione completa del mondo”. Ebbene, l’ascoltatore non deve diventare un filosofo e non so se Kant, Hegel e Schopenhauer siano riusciti a interpretare la musica traendone un vantaggio personale. Musicosophia intende semplicemente indurre a riflettere, e l’amore per il sapere nella musica è solo e semplicemente una provocazione, giacché nella musica molto di quello che posso rendere proficuo per la mia vita rimane celato. E se metto in discussione le cose, soprattutto la grande musica, ne ottengo delle risposte. Sono queste le risposte che abbiamo preso di mira. Spesso tuttavia, esse giungono senza parole: di qui la necessità di comprendere il linguaggio specifico della musica. B: Si dice che Musicosophia non riguardi tanto il gioco intellettuale con la musica, aspetto di notevole interesse per molti conoscitori di musica, e ancor meno l’analisi esatta degli elementi e delle fogge musicali, bensì piuttosto il contenuto emotivo della musica che andrebbe appunto indagato, se ho capito bene. Al di là di questo tuttavia, ascoltando Lei, mi pare che vada ancora oltre, sino alla comprensione intuitiva delle strutture musicali, forse al percepire un po’ la sensibilità del suono, lontano dalla pura, arida analisi, andando piuttosto, fondamentalmente, verso l’analisi e la comprensione intuitiva insieme. Si tratta forse dell’azione purificatrice che si può esperire mediante la musica, o ancora il linguaggio delle emozioni. E proprio questo è il prossimo punto su cui ci soffermeremo in relazione a quello che può esserci di filosofico in Musicosophia. Infatti ascolteremo due frammenti dall’Arietta, il secondo e, cosa interessante, al contempo ultimo movimento dalla Sonata per pianoforte op. 111 di Beethoven. Vi presentiamo due interpretazioni a confronto. Ascoltiamo prima Alfred Brendel e quindi Vitaly Margulis, dunque la Scuola russa. Perché ascoltiamo Brendel per primo? G: Noi ci occupiamo molto dell’analisi dell’architettura, dunque della struttura che come ho già detto prima è il nostro strumento. Brendel è uno straordinario pensatore musicale che sa tratteggiare il brano con un’incredibile chiarezza: per noi, utilizzare la sua esecuzione è semplicemente “pratico”. Faccio volentieri questa comparazione. Nei nostri seminari confrontiamo molte interpretazioni, lavorando però prima per ore su un interprete che offra un’interpretazione neutra - ad esempio Solti con Mozart, uno straordinario direttore che ha un’estrema chiarezza. Ma quando poi la struttura è chiara, come il pensiero del compositore, allora facciamo il confronto e passiamo volentieri ai più lenti, come ad esempio il Mozart di Böhm, che presenta la n. 40 con una profonda drammaticità semplicemente interpretandola più lentamente. Per noi è uno strumento di lavoro per ricongiungere il pensiero con il sentimento. Ebbene, l’analisi per noi è un mezzo, non il fine! Analizziamo con lo scopo di mettere in mano all’ascoltatore uno strumento per rimanere fedele, per restare nella musica. Se egli ascoltasse semplicemente centinaia di volte, alla terza si addormenterebbe di sicuro. Quando si inizia ad analizzare, a capire, a riconoscere, non si prova solo una grande gioia per aver creato ordine dal caos, ma si inizia anche a capire. 5 B: Dunque si tratta del contenuto musicale che viene compreso attraverso l’ascolto cosciente. G: Assolutamente, ma ho bisogno di un mezzo, come il violinista del suo violino e il pianista del suo pianoforte, per rimanere nella materia. Utilizziamo l’analisi, utilizziamo l’annotazione delle melodie, le riportiamo con la massima concretezza e precisione possibile, ogni linea melodica; la accompagniamo quindi anche con la mano per includere anche l’ambito fisico dell’uomo; in questo modo abbiamo una parte riflessiva, una parte emotiva e anche il corpo viene coinvolto. Si ha così un ascolto totale in cui la mano esegue nuovamente le linee precedentemente tracciate integrando così ulteriormente il lavoro mentale e riportando l’ascoltatore a uno stato primordiale in cui egli percepisce la musica semplicemente come un bambino; e creando non pensa più, ma semplicemente fa, e suona le musica con le mani, proprio come può fare il musicista con il proprio strumento. B: Bene, ora Brendel con questo frammento dell’Arietta dell'op. 111 di Beethoven. 12. Beethoven: Arietta dall’op. 111, Brendel 13. Intervista sull’Arietta B: Questo era Alfred Brendel con un frammento dell’Arietta dalla Sonata per pianoforte n. 32 in Do minore di Beethoven. Signore e signori state ascoltando Treffpunkt Klassik-Extra su SWR2. Il mio ospite in studio di oggi è Gebhard von Gültlingen, uno dei due direttori dell’istituto di Musicosophia a St. Peter. Signor von Gültlingen, ascolteremo nuovamente l’Arietta, questa volta nell’interpretazione di Vitaly Margulis, che scrisse anche un saggio su questa Arietta in cui disse: “Siamo di fronte a un’idea quasi filosofico-religiosa dell’attività musicale, si tratta infatti della purificazione dell’anima dopo la morte”. E spiega che nel corso dell’Arietta il tema vero e proprio perde completamente la propria personalità, si dissolve nell’ambiente dei suoni come una goccia nel mare, si libra subito nell’aria: il brano rispecchierebbe dunque bene la visione di un defunto. Nel primo movimento l’eroe sarebbe infatti morto, afferma Margulis; nel secondo Beethoven ci presenterebbe il distacco doloroso dell’anima dal corpo umano e dai sentimenti personali. Tutto questo, questa fase della purificazione, avviene per consentire poi all’anima di rinascere. Nell’interpretazione di Margulis, questa Arietta rappresenta quasi una sorta di stato luminoso dopo la morte, che riporta la luce sonante, l’eternità sonante e l’essenza sonante di qualcosa che noi non possiamo comprendere; l’Arietta come metamorfosi spirituale, in un certo qual senso. Alfred Brendel ha impiegato 17 minuti per questa Arietta; Margulis ne impiegherà ben 26. Sono solo due minuti in più di quanto impieghi Friedrich Gulda per l’intera Sonata. Margulis impiega ben nove minuti in più di Alfred Brendel. Gebhard von Gültlingen, ritiene che Margulis impieghi così tanto tempo in più per questa Sonata op. 111 a causa della sua interpretazione del tutto peculiare? G: Sicuramente Margulis ha intravisto il mistero del tempo. Il tempo è un elemento molto importante, non solo nel capire ma anche nell’agire e nel dare forma. Lo avverto in me stesso. Nei miei seminari lavoriamo intensamente su una musica che interiorizziamo completamente, i partecipanti la conoscono praticamente a memoria, come un musicista, e riescono a cantarla in avanti e indietro. Finché si arriva al punto in cui si vorrebbe vivere la musica. L’analisi allora è finita, è stato compreso tutto ciò che si può comprendere con la mente, ed è qui che inizia una sorta di contemplazione di quello che si è fatto proprio, una contemplazione pacata di quello che succede, ed è in questo momento che auspico sempre la versione più lenta possibile. Margulis ha sicuramente raggiunto il punto in cui per lui lo scorrere del tempo non riveste più alcuna importanza. In lui la grandezza risiede nella capacità di riempire questo tempo; è una forza intellettuale che non tutti gli interpreti sanno trasmettere. Ebbene, che si voglia o meno seguire la sua interpretazione, questa Arietta è divisa in due parti, con 5, 6 variazioni. Si potrebbe dire che la prima parte, nonostante la lentezza, abbia qualcosa di materiale: nella seconda parte, dalla quarta variazione, mi pare che si risolva qualcosa, e la quinta variazione è come un rinnovamento che porta fino a una sorta di fioritura, qualcosa fiorisce. Nella sesta variazione abbiamo una sorta di congedo, subentra allora una grande pace, e qui si può lasciar spazio all’immaginazione. Ogni interpretazione, intellettuale o puramente musicale è assolutamente concessa. Ciò che cerchiamo di trasmettere nel nostro lavoro è proprio quello di portare la musica da questo stato obiettivo musicalmente critico a uno stato soggettivo. La musica deve diventare la mia musica, deve diventare qualcosa che prende parte alla mia vita interiore e che io posso rendere la mia compagna per l’eternità. Ciò implica, nel corso dell’analisi musicale e nel corso degli anni, l’accumulo di brani musicali, come un piccolo tesoro che porto sempre con me, che posso tirare fuori quando mi ritrovo ad attraversare da solo la foresta nera e ho paura come il bambino che non vuole andare in cantina perché è buio e inizia a cantare. Ecco, a noi succede la stessa cosa quando la nostra anima giunge in una selva oscura, e allora dipenderà da quanti tesori ho a disposizione, a quante melodie posso attingere, e sarà lecito pensare: “Cosa porto con me per quando arriverà la 6 grande paura prima della fine”. E quello che Margulis qui evoca forse è proprio il momento in cui possiamo portare con noi solo la musica: ora le parole non hanno più alcuna importanza, a prescindere da quanto siano sublimi. L’eternità che qui esprime Margulis e che ha il coraggio di rappresentare è ammirevole. L’interpretazione spetta a ognuno, singolarmente, e non è necessario parlarne. 14. Beethoven: Arietta dall’op. 111, Margulis 15. Intervista sulla Scuola di Musicosophia B: Questo era Vitaly Margulis nel frammento dell’Arietta dalla Sonata per pianoforte n. 32 in Do minore dell’op. 111 di Beethoven. Gebhard von Gültlingen, la scuola di Musicosophia è stata fondata nel 1979 e dal 1985 ha sede al centro dell’Alta Foresta Nera ovvero a St. Peter, per quale ragione? Come mai proprio a St. Peter? G: St. Peter si trova esattamente al centro del mondo, del nostro mondo naturalmente, del nostro piccolo mondo europeo. St. Peter aveva già attirato più volte l’attenzione di Balan all’epoca in cui la Scuola si trovava ancora vicino a Monaco, e St. Peter ha una posizione ideale, al centro dell’Europa. Organizziamo molti seminari in Francia, di tanto in tanto, ogni mese dobbiamo andare in Francia, in Italia, in Spagna, in Svizzera, in Austria, ad Amburgo; e St. Peter è semplicemente perfetta. Inoltre, dopo esserci strapazzati per un po’ in giro per il mondo, siamo felicissimi di ritrovare un angolo di natura dove poterci veramente ricaricare. B: Anche il Messico e il Venezuela rientrano tra i luoghi in cui Musicosophia tiene dei corsi G: [Annuisce] Abbiamo un corso di formazione triennale che si concentra sulla metodica della Scuola, sull’elaborazione della propria “partitura” da parte dell’ascoltatore e sul linguaggio dei gesti; e poi ancora sui ritratti dei grandi compositori. Lo teniamo prevalentemente in Spagna e in Italia, dove proprio in questo momento parte un corso a Formia, vicino a Napoli; mentre a febbraio ne partirà uno a Madrid. In Messico abbiamo un corso che viene organizzato dalla scuola locale, in cui, suddivisi in 3 o 4 gruppi, 60 insegnanti selezionati dal Ministero della Cultura messicano vengono formati allo scopo di lavorare con Musicosophia durante le lezioni con i bambini. B: Tutto iniziò con il Brucknerianum a cui diede vita il fondatore di Musicosophia, George Balan, per i propri insegnanti in Baviera. Ma esiste ancora? G: No, Musicosophia è un’idea giovane in continuo mutamento: quello che all’epoca avevamo chiamato Bruckneriamun si è semplicemente trasformato in una normale Scuola di Musicosophia. Tuttavia, mediante Bruckner, Balan ha capito che c’è qualcosa, simile a una strada, che conduce a una meta, come dice Harnoncourt a proposito di Mozart. E proprio perché Bruckner parla così chiaramente di questa strada, Balan capì la presenza di un linguaggio estremamente chiaro. Per questo motivo dedicò a lui il centro che aveva fondato, Brucknerianum. Anche se poi riacquistarono importanza anche tutti gli altri compositori, e quella di Bruckner non fu più così centrale. B: E’ soprattutto il canone romantico classico del repertorio a essere così interessante per Musicosophia. G: Il repertorio di Musicosophia si rivolge prevalentemente al valore che una musica può avere per me come uomo alla ricerca. In questa metodica Musicosophia rappresenta uno spazio molto limitato, un tratto o un aspetto che la musica ricopre. La musica è quasi tutto. Ma noi, nel trasmettere la musica, ci concentriamo sul fatto che essa diventa un cibo per l’anima, per chi si rivolge a noi col desiderio di capire la musica. Questo è un criterio molto severo di fronte al quale parte della musica moderna fallisce. Non è che la escludiamo, ma lasciamo che sia l’ascoltatore a scegliere. A Parigi, ad esempio, da 24 anni teniamo seminari, e solo una volta, su iniziativa dell’organizzatrice Mme Mainguy, abbiamo proposto un lavoro su Shostakovich. In 24 anni, quello è stato l’unico seminario a essere annullato. Ciò fa capire in maniera eloquente com’è la nostra clientela… B: Per tornare a parlare di Bruckner, questa è infatti la nostra parola chiave per la prossima richiesta musicale, ovvero il primo movimento dalla quinta Sinfonia di Bruckner. Cos’ha di per sé l’interpretazione che ha scelto, Eugen Jochum e l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese? 7 G: Jochum è semplicemente uno straordinario conoscitore di musica; molti direttori azzardano Bruckner, ma si capisce immediatamente che mancano loro i decenni che invece Jochum ha: li porta con sé. Bruckner è importante, in questo caso, perché ci permette di vedere in un modo straordinario, se lo si vuole interpretare. All’inizio del movimento, in questa introduzione che è già suddivisa in tre parti, c’è un motivo molto lento e strascicato che arriva come un viandante. Lo ripeto, è un’interpretazione, ma attraverso l’interpretazione faccio mia la musica. Entrano quindi in scena dei richiami, il viandante viene chiamato o scosso o contraddetto molto pesantemente. Questa chiamata arriva tre volte, poi inizia un tema A, un tema attivo che pure si ripete con molta veemenza; quindi, come secondo tema, subentra non quello femminile, bensì di nuovo il viandante che si interroga e si ricorda nuovamente della propria stanchezza e che, nella seconda parte del tema, esattamente dove ci interromperemo ai sei minuti, viene accompagnato dai fiati che apportano un elemento nuovo e introducono quindi un tema C, un tema femminile. Volevo semplicemente rappresentare questa strada perché Bruckner viene spesso percepito come caotico, incomprensibile, rumoroso e insensato. Tuttavia Bruckner è un compositore estremamente meticoloso e accurato, che struttura tutto con molta chiarezza e non lascia nulla al caso, non fa rumore solo perché teme che gli ascoltatori non lo sentano più, e anche questa forse è una ragione del suo linguaggio; ma tutto ha uno scopo e in ogni sinfonia, per lui si potrebbe dire in ogni movimento che di per sé rappresenta già una sinfonia, egli percorre questa strada. In Bruckner, proprio come in Schubert, questo viandante percorre una determinata strada, con ostacoli, con forze avverse, con visioni, con speranze, e termina spesso dopo una grande vittoria. Cosa del tutto sorprendente, questa vittoria, in Bruckner, non è un’apoteosi come in Beethoven, bensì una ritirata molto pacata e umile. 16. Bruckner: Sinfonia n. 5, inizio del primo movimento 17. Intervista B: Nel febbraio 1958 è stata eseguita questa interpretazione dell’inizio della quinta sinfonia di Anton Bruckner in Si bemolle maggiore. Eugen Jochum ha diretto l’Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese. In che modo la musica ci può guarire? G: Balan tenta di dimostrare nei suoi scritti che la musica non guarisce affatto, o meglio che non dovrebbe essere manipolata per un determinato scopo, quale appunto quello di guarire una determinata malattia. Piuttosto, ciò che guarisce è forse l’effetto che la musica esercita sulla mia anima e se l’anima in qualche modo si riequilibra forse riesce ad agire a sua volta sul corpo riportando anche il corpo in equilibrio, così come Novalis affermava: "Ogni malattia è in realtà un problema musicale e ogni guarigione è in realtà una soluzione musicale”. Ne capiva qualcosa dell'anima, della musicalità dell’anima, questo Novalis! B: Gebhard von Gültlingen, per concludere bene la nostra trasmissione, lei ha richiesto la Rapsodia in Sol minore di Johannes Brahms nell’interpretazione con Hélène Grimaud. Cosa pensa di questa musica? G: E’ semplicemente uno di quei brani che ritroviamo spesso in Brahms e Schubert, dove tutto è praticamente perfetto. È vivace, è penetrante, ha uno straordinario ordine severo ed Hélène Grimaud lo descrive magnificamente. 8. Brahms: Rapsodia in Sol minore, op.79 9. Intervista: prospettive B: Con la Rapsodia in Sol minore di Johannes Brahms nell'interpretazione di Hélèna Grimaud, siamo giunti alla fine del Treffpunkt Klassik-Extra di oggi. Gebhard von Gültlingen, quali sono le prossime attività interessanti di Musicosophia a St. Peter? G: A Pasqua organizziamo un grande seminario e dal 25 al 29 luglio un congresso internazionale nel quale rifletteremo sulla musica e sui limiti della libertà con l’ausilio di Johannes Brahms, che qui è centrale. E poi a Roncegno, vicino a Trento/Bolzano in un antico castello termale degli anni Venti del Novecento ci occuperemo di musica per cinque giorni. Naturalmente ogni mese organizziamo una presentazione da noi, alla Scuola di St. Peter o alla Alegria Da Vida a Kirchzarten. 8 B: Per saperne di più su Musicosophia potete consultare il sito internet www.musicosophia.de. Gebhard von Gültlingen, uno dei direttori della Scuola di Musicosophia a St. Peter nell’Alta Foresta Nera è stato nostro ospite di oggi in studio a Treffpunkt Klassik-Extra. La ringrazio nuovamente per averci parlato in modo cosi esaustivo del metodo e di musicosophia, e grazie anche per il bel programma musicale. G: Grazie a voi per l’opportunità: mi sono divertito. B: Anch’io. Un saluto da Gabi Beinhorn. Grazie per averci ascoltato; auguro a tutti voi un piacevole fine settimana. 9