La situazione attuale in Meccanica Quantistica di Erwin Schroedinger Traduzione dell’”articolo sul paradosso del gatto” di Schroedinger del 1935. Introduzione 1. La Fisica dei Modelli 2. Statistica sulle Variabili di Modello in Meccanica Quantistica 3. Esempi di Predizioni Probabilistiche 4. La Teoria può basarsi su Insiemi Ideali? 5. Le Variabili sono davvero Sfuocate? 6. Il Dietro Front Deliberato del Punto di Vista Epistemologico 7. La Funzione Psi come Elenco di Speranze 8. Teoria della Misura, Parte Uno 9. La Funzione Psi come Descrizione di Stato 10. Teoria della Misura, Parte Due 11. Risoluzione del Risultato ad ”Intreccio” Dipendente dall’Intenzione dello Sperimentatore 12. Un Esempio 13. Continuazione dell’Esempio: Tutte le Possibili Misure sono Inequivocabilmente Intrecciate 14. Dipendenza Temporale dell’Intreccio. Considerazioni sul Ruolo Speciale del Tempo 15. Legge Naturale o Strumento di Calcolo? Introduzione Questo è il famoso articolo di Schroedinger del 1935 apparso su Die Naturwissenschaften. Precedentemente, nello stesso anno apparve l’articolo, altrettanto famoso, di Einstein, Podolsky, Rosen che motivò l’elaborato di Schroedinger. Traduzione 1. La Fisica dei Modelli Nella seconda metà del XIX secolo sorse, a causa del grande progresso nella teoria cinetica dei gas e nella teoria meccanica del calore, un ideale della descrizione esatta della natura che emerse come il meritato premio ad una lunga ricerca secolare e come il coronamento di una lunga speranza millenaria; un ideale definito per ciò classico. Queste sono le sue caratteristiche. Possiamo fondare una rappresentazione basata sì sui dati sperimentali in proprio possesso, ma senza ingabbiare l’intuizione e l’immaginazione di oggetti naturali, di cui possiamo trattare il comportamento; di questa rappresentazione possiamo elaborare tutti i dettagli in maniera esatta, in una maniera esatta molto più di quanto qualunque esperienza, considerata necessariamente finita, possa mai convalidare. La rappresentazione nella sua assoluta determinatezza rassomiglia ad un concetto matematico o ad una figura geometrica che si può calcolare completamente a partire da un certo numero di parti determinanti; per esempio, un lato di un triangolo e i due angoli adiacenti, come parti determinanti, determinano tra l’altro il terzo angolo, gli altri due lati, le tre altezze, il raggio del cerchio inscritto, e così via. La rappresentazione, inoltre, differisce intrinsecamente da una figura geometrica sotto questo aspetto importante, che essa è così nettamente determinata, proprio come una figura nelle tre dimensioni spaziali, anche nel tempo visto come quarta dimensione. Perciò è sempre questione (come è autoevidente) di un concetto che cambia nel tempo, che può assumere differenti stati; in aggiunta, se uno stato, del necessario numero di parti determinanti, diventa noto in un certo istante, allora sono anche date per quell’istante non solo tutte le altre parti (come illustrato col triangolo), ma come tutte le parti, lo stato completo, per ogni ulteriore dato istante; proprio come la caratteristica di un triangolo nella base determina la caratteristica del triangolo al vertice. Fa parte della legge interna del concetto che esso dovrebbe mutare in una data maniera, cioé, se lasciato a sé stesso in un dato stato iniziale, esso dovrebbe passare con continuità attraverso una data sequenza di stati, ciascuno dei quali viene raggiunto in un istante completamente determinato. Sia che sia per sua natura, sia in virtù delle ipotesi, in entrambi i casi, come ho detto sopra, possiamo costruire su fondamenta di intuizione e di immaginazione. Naturalmente non dobbiamo pensare così alla lettera, che in questo modo si impara come vanno le cose nel mondo reale. Per mostrare che noi non pensiamo questo, noi chiamiamo il preciso aiuto mentale che abbiamo creato, immagine o modello. Con questa chiarezza liberata dal senno di poi, che non si può raggiungere senza arbitrarietà, ci siamo puramente assicurati che si può analizzare un’ipotesi completamente determinata alla ricerca delle sue conseguenze, senza ammettere ulteriore arbitrarietà durante i tediosi calcoli richiesti per derivare quelle conseguenze. Qui abbiamo un esplicito benservito e in realtà otteniamo soltanto quello che avremmo potuto estrarre direttamente dai dati! Almeno alla fine sappiamo dove sta l’arbitrarietà e dove deve avvenire il miglioramento in caso di un disaccordo con l’esperienza: nell’ipotesi iniziale o nel modello. Per questo dobbiamo essere sempre pronti. Se in molti e vari esperimenti gli oggetti naturali si comportano come il modello, siamo felici e pensiamo che l’immagine si adatti alla realtà nelle sue caratteristiche essenziali. Se, al contrario, gli oggetti naturali non si adattano al modello, in un nuovo esperimento o in raffinamenti nelle tecniche di misura, non è detto che non ci dobbiamo sentire felici. Al fondamento questo è il significato del portare gradualmente la nostra rappresentazione, vale a dire il nostro pensiero, sempre più vicina alla realtà. Il metodo classico del modello preciso ha come scopo principale quello di mantenere l’inevitabile arbitrarietà nettamente isolata dalle sue ipotesi, più o meno come nella cellula il citoplasma isola il nucleoplasma, a causa del processo storico di adattamento di un’esperienza continuativa . Forse il metodo si basa sull’assunzione che in qualche modo lo stato iniziale determini in realtà in modo unico gli eventi susseguenti, o che un modello completo, accordandosi con la realtà in completa esattezza, permetterebbe calcoli predittivi dei risultati di ogni esperimento con esattezza completa. Forse d’altro canto è questa assunzione a basarsi sul metodo. Resta peraltro del tutto probabile che l’adattamento del pensiero all’esperienza sia un processo infinito e che un “modello completo” sia una contraddizione nei termini, così come lo è il “più grande di tutti gli interi”. Una presentazione chiara di ciò che si intende per modello classico, per sue parti determinanti, per suo stato è il fondamento per tutto ciò che segue. Soprattutto, non devono essere confusi tra loro il concetto di modello determinato e il concetto di stato determinato del modello. Meglio considerare un esempio. Il modello di Rutherford dell’atomo di idrogeno consiste di due masse puntiformi. Come parti determinanti potremmo per esempio usare le sei coordinate cartesiane dei due punti e le sei componenti delle velocità dei due punti, misurate lungo gli assi coordinati, perciò dodici parti determinanti in tutto. Invece di fare questa scelta potremmo anche scegliere: le posizioni coordinate e le componenti delle velocità del centro di massa, più la separazione tra i due punti, più due angoli che definiscono la direzione nello spazio della retta che unisce i due punti, più le velocità scalari (= derivate rispetto al tempo) con cui la separazione e i due angoli cambiano nel tempo: questo di nuovo porta il numero delle parti determinanti a dodici. Non è parte del concetto “modello Rutherford dell’atomo H” che le parti determinanti dovrebbero avere particolari valori numerici. Assegnando tali valori numerici, noi arriviamo ad uno stato determinato del modello. La visione nitida della totalità degli stati possibili, ancora tuttavia senza relazione tra di essi, costituisce “il modello” o “il modello in qualsivoglia stato”. Il concetto di modello tuttavia assomma a qualcosa di più della semplice elencazione: due punti in certe posizioni, dotati di certe velocità. Nel concetto di modello risiede anche la conoscenza per ogni stato di come esso cambierà nel tempo in assenza di interferenze esterne. (L’informazione di come una metà delle parti determinanti cambierà nel tempo è davvero fornita dall’altra metà, ma come cambierà questa altra metà deve essere determinato in maniera indipendente). Questa conoscenza è implicita nelle ipotesi: i punti hanno le masse m, M e le cariche –e, +e e perciò si attraggono l’una e l’altra con forza e^2/r^2 (legge di Coulomb, prodotto delle cariche per l’inverso del quadrato della separazione), se la loro separazione è r. Questi risultati, con valori numerici definiti per m, M ed e (ma non naturalmente per r), appartengono alla descrizione del modello (non primieramente e soltanto a quello stato definito). m, M ed e non sono parti determinanti. In antitesi, la separazione r lo è. Appare come la settima parte nel secondo “insieme” nell’esempio introdotto sopra. E se noi usiamo il primo insieme, r non è una tredicesima parte determinante, infatti possiamo calcolarla (col teorema di Pitagora) a partire dalle sei coordinate cartesiane: r = [(x1 – x2)^2+( y1 – y2)^2+( z1 – z2)^2]^(1/2). Il numero di parti determinanti (che spesso vengono chiamate variabili in antitesi alle costanti del modello come m, M, e) è illimitato. Dodici convenientemente scelte determinano tutte le altre, ossia lo stato. Nessun gruppo di dodici parti determinanti ha il privilegio di essere le parti determinanti. Altri esempi di importanti parti determinanti sono specialmente: l’energia totale, le tre componenti del momento angolare rispetto al centro di massa, l’energia cinetica dovuta al moto del centro di massa. Queste appena nominate hanno, tuttavia, un carattere speciale: esse sono davvero variabili, cioè hanno differenti valori in differenti stati, ma in ogni sequenza di stati, cioè quegli stati davvero visitati dall’atomo nel corso del tempo, esse mantengono lo stesso valore. Per questo sono anche chiamate costanti del moto, differente da costanti del modello. 2. Statistica sulle Variabili di Modello in Meccanica Quantistica Nel perno centrale della meccanica quantistica contemporanea sta un credo, che forse potrà sottostare a molti spostamenti di significato, ne sono convinto, o forse no che alla fine cessa di essere il perno centrale. È questo: che i modelli con parti determinanti che determinano in modo unico le altre parti, come fanno le parti determinanti classiche, non rendono giustizia alla natura. Possiamo pensare che per chiunque creda ciò i modelli classici abbiano finito di giocare un ruolo, abbiano fatto il loro tempo. Ma non è così. Al contrario, piuttosto, usiamo precisamente proprio loro, non solo per mostrare ciò che non è la nuova dottrina, ma anche per descrivere la mutua determinazione diminuita che rimane dopo tutto tra le stesse variabili degli stessi modelli come fossero ancora usate nella maniera primeva, come segue: A. Il concetto classico di stato va perso, in questo almeno che ad una ben scelta metà di un insieme completo di variabili possono essere assegnati definiti valori numerici; nell’esempio del modello di Rutherford per esempio le sei coordinate cartesiane o le componenti della velocità (sono possibili anche altri raggruppamenti). L’altra metà allora rimane completamente indeterminata, mentre le parti in soprannumero possono mostrare gradi altamente variabili di indeterminazione. In generale, di un insieme completo (per il modello di Rutherford, dodici parti determinanti) tutto sarà noto solo con un certo grado di incertezza. Possiamo tener traccia meglio del grado di incertezza seguendo la meccanica classica e scegliendo variabili disposte in coppie delle cosiddette variabili canonicamente coniugate. L’esempio più semplice è una coordinata spaziale x di una massa puntiforme e la componente p_x nella stessa direzione dell’impulso (= quantità di moto, massa per velocità). Una coppia siffatta vincola la precisione reciprocamente con cui ciascuna può essere simultaneamente nota, in modo tale che il prodotto della loro tolleranza o ampiezze di variazione (abitualmente indicate mettendo una Delta davanti alla quantità) non può cadere al di sotto della grandezza di una certa costante universale, così: x px h 2 Delta-x . Delta-p_x >= htagliata. (relazione di incertezza di Heisenberg) B. Se anche in un solo istante dato non tutte le variabili sono determinate da qualcuna di esse, allora naturalmente nessuna di loro è determinata in un momento successivo comunque si ottengano i dati. Questo possiamo chiamarlo una rottura della causalità, ma tenendo conto di A., non è nulla di essenzialmente nuovo. Se uno stato classico non esiste in una qualche momento, difficilmente può cambiare con causalità. Ciò che deve cambiare sono le statistiche o le probabilità, queste inoltre con causalità. Variabili individuali nel frattempo possono diventare più o meno incerte. Complessivamente si può dire che la precisione totale della descrizione non cambia nel tempo, perché il principio di limitazione descritto in A. rimane lo stesso in ogni momento. Ora quale è il significato dei termini “incerto”, “statistica”, “probabilità”? Qui la Meccanica Quantistica dà la seguente descrizione. Essa prende il controllo ciecamente dal modello classico dell’intero infinito elenco di immaginabili variabili o parti determinanti e proclama che ciascuna parte deve essere direttamente misurabile, in realtà misurabile con precisione arbitraria, fin qui fino a quanto ne è coinvolta da sola. Se mediante un ben scelto insieme vincolato di misure noi riusciamo a guadagnare la conoscenza di un oggetto massima per quanto è possibile secondo A., allora l’apparato matematico della nuova teoria fornisce i mezzi per assegnare, per lo stesso istante di tempo e per tutti i successivi, una distribuzione statistica completamente determinata per ogni variabile, cioè, un’indicazione della frazione di casi in cui l’insieme si verrà a trovare con questo o con quel valore, o dentro questo o quel piccolo intervallo (che è ancora chiamato probabilità). La dottrina dice che questo difatti è la probabilità di incontrare la variabile di pertinenza, se la misuriamo nell’intervallo di tempo di pertinenza, con questo o quel valore. Con una singola prova possiamo dare almeno un test approssimato della correttezza della predizione della probabilità, cioè nel caso in cui essa sia relativamente acuta, vale a dire che dichiara possibile solo un piccolo intervallo di valori. Per provarla accuratamente dobbiamo ripetere l’intera prova ab ovo (cioè, incluse le misure preparatorie, orientative) molto spesso e possiamo usare solo quei casi in cui le misure preparatorie danno esattamente gli stessi risultati. Per questi casi, allora, la statistica di una particolare variabile, calcolata in anticipo dalle misure preparatorie, deve essere confermata dalle misure: questa è la dottrina. Dobbiamo salvaguardare questa dottrina dalla critica che sia così difficile da esprimere: questo fatto è più un problema di linguaggio. Ma emerge una differente critica. A fatica un fisico dell’era classica avrebbe osato credere, nel pensare al modello, che le parti determinanti siano misurabili sull’oggetto naturale. Solo conseguenze molto più remote della rappresentazione era davvero aperte a prove sperimentali. E tutte le esperienze puntavano verso una conclusione: molto prima che l’avanzamento delle arti sperimentali avesse gettato un ponte sopra il grande abisso, il modello si sarebbe sostanzialmente modificato adattandosi ai nuovi fatti. Adesso mentre la nuova teoria proclama il modello classico incapace di specificare tutti i dettagli delle mutue interrelazioni delle parti determinanti (al quale scopo i suoi creatori l’avevano inteso), ciononostante essa considera il modello adatto a guidarci proprio nel discriminare quali misure in base ai principi si possono fare sull’oggetto naturale pertinente. Questo sarebbe sembrato a coloro i quali idearono la rappresentazione una scandalosa estensione del loro modello di pensiero e una proscrizione senza scrupoli di futuri sviluppi. Non ci sarebbe stata una prestabilita armonia di un tipo particolare se i ricercatori dell’epoca classica, coloro i quali, come sentiamo oggi, non avevano alcuna idea di cosa fosse veramente una misura, avessero continuato a darci involontariamente come lascito uno schema guida che rivelasse cosa sia fondamentalmente misurabile per esempio nell’atomo di idrogeno!? Spero più avanti di riuscire a chiarire come la dottrina dominante sia nata dall’angoscia. Nel frattempo continuo a esporla. 3. Esempi di Predizioni Probabilistiche Tutto ciò che è stato detto prima riguarda le parti determinanti di un modello classico, le posizioni e le velocità di masse puntiformi, le energie i momenti angolari, ecc.. L’unica caratteristica non classica è il fatto che sono predicibili solo le probabilità. Prendiamone una vista più da vicino. Il trattamento ortodosso è sempre che, per il fatto che certe misure eseguite ora e per il fatto che la predizione che ne scaturisce dei risultati che ci si deve aspettare da altre misure seguenti da allora in poi o immediatamente o ad un certo dato istante, noi guadagnamo la migliore possibile stima di probabilità permessa dalla natura. Ora in cosa consiste davvero il problema? In casi importanti e tipici come segue. Se misuriamo l’energia di un oscillatore di Planck, la probabilità di trovare per essa un valore che sta tra E ed E’ non può possibilmente essere altro che zero a meno che tra E ed E’ non giaccia almeno un valore della serie 3 pigreco htagliata nu, 7 pigreco htagliata nu, 9 pigreco htagliata nu,… Per qualunque intervallo non contenente nessuno di questi valori la probabilità è zero. In parole povere: sono escluse altri risultati dalle misure. I valori sono tutti i multipli dispari della costante del modello pigreco htagliata nu htagliata = (costante di Planck) /2 pigreco, nu = frequenza dell’oscillatore. Spiccano due elementi. Primo, non si tiene nessun conto di precedenti misure, queste sono del tutto non necessarie. Secondo, l’asserzione non soffre certo di un’eccessiva mancanza di precisione, del tutto al contrario è più acuta di qualunque altra reale misura si possa fare. Figura 1. /|\ | |M . . O………….. F . . . Momento angolare. M è un punto materiale, O è un punto di riferimento geometrico. La freccia vettoriale rappresenta il momento, quantità di moto (= massa per velocità) di M. Allora il momento angolare è il prodotto della lunghezza della Freccia per la lunghezza OF. Un altro tipico esempio è la grandezza del momento angolare. In Fig. 1 sia M una massa puntiforme in moto, con il vettore che rappresenta, in grandezza e direzione, la quantità di moto (massa per velocità). O è un punto arbitrario fisso nello spazio, diciamo l’origine delle coordinate; perciò non un punto significativo dal punto di vista fisico, piuttosto un punto di riferimento geometrico. Per grandezza del momento angolare di M intorno ad O la Meccanica Classica intende il prodotto della lunghezza del vettore quantità di moto per la lunghezza della normale OF. In Meccanica Quantistica la grandezza del momento angolare è retta nello stesso modo dell’energia dell’oscillatore. Di nuovo la probabilità è nulla per qualunque intervallo che non contiene qualche valore della seguente serie htagliata(2)^(1/2), htagliata(2X3)^(1/2), htagliata(3X4)^(1/2), htagliata(4X5)^(1/2), …; cioè, solo uno di questi valori è permesso. Di nuovo questo fatto è vero senza riferimento alle misure precedenti. E noi prontamente concepiamo quanto importante sia questa precisa asserzione, molto più importante del sapere quale di questi valori, o quale probabilità per ciascuno di essi, potrebbe essere realmente pertinente al caso dato. Inoltre è anche degno di nota qui che non c’è alcuna menzione del punto di riferimento: comunque sia scelto otterremo un valore dalla serie. Questa asserzione sembra irragionevole per il modello, perché la normale OF cambia continuamente a seconda di come si sposta il punto O, se il vettore quantità di moto resta invariato. In questo esempio vediamo come la Meccanica Quantistica usi davvero il modello per leggere quelle quantità che possiamo misurare e per le quali ha senso predire dei risultati, ma trovi il modello classico inadeguato per spiegare le relazioni tra queste quantità. Ora in entrambi gli esempi non riusciamo a cogliere la sensazione che il contenuto essenziale di ciò che è stato detto solo con una certa difficoltà può essere costretto nello stivaletto malese della predizione di probabilità di trovare questo o quell’esito di misura per una variabile del modello classico? Non riusciamo a cogliere l’impressione che qui ora trattiamo con proprietà fondamentali di nuove classi di caratteristiche, che mantengono in comune con quelle classiche solo il nome? E d’altro canto in nessun modo stiamo parlando qui di casi eccezionali, piuttosto sono precisamente le asserzioni proprie veramente della nuova teoria che hanno questo carattere. In realtà ci sono problemi quasi più del tipo per i quali il modo di espressione è adatto. Ma essi non sono della stessa importanza. Inoltre di nessuna importanza affatto sono quelli che sono impostati ingenuamente come esercizi in classe. “Data la posizione dell’elettrone nell’atomo di idrogeno nell’istante t=0, trovare la statistica della sua posizione in istanti successivi”. Nessuno si preoccupa di tali cose. La grande idea sembra essere che tutte le asserzioni appartengono al modello intuitivo. Ma le asserzioni utili sono scarsamente intuitive e gli aspetti intuitivi sono di poco valore. 4. La Teoria può basarsi su Insiemi Ideali? Il modello classico gioca il ruolo di Proteo, il mitologico dio marino che assumeva qualunque forma animale, in Meccanica Quantistica. Ciascuna delle sue parti determinanti può diventare a seconda delle circostanze un oggetto di interesse e acquisire un certo grado di realtà. Ma mai tutte le parti determinanti del modello classico insieme, ora sono queste, ora sono quelle e in realtà sempre almeno metà dell’insieme completo di variabili permesso da una piena rappresentazione dello stato momentaneo. Nel frattempo, cosa dire delle altre? Abbiano esse allora nessuna realtà, forse (perdonate l’espressione) una realtà sfuocata, oppure tutte quante siano sempre reali, ma sia solo, secondo il Teorema A. del paragrafo 2, che sia esclusa la conoscenza simultanea di esse? La seconda interpretazione è particolarmente attraente per coloro abituati al punto di vista statistico che si formò nella seconda metà del precedente secolo, il XIX, considerando che la teoria quantistica nacque, all’alba del XX secolo, da lì, da un problema centrale nella teoria statistica del calore (Teoria dell’Irraggiamento del Calore di Max Planck, dicembre, 1899). L’essenza di questa linea di pensiero è precisamente questa: noi praticamente non conosciamo mai tutte le parti determinanti del sistema, solamente un pugno di queste. Per descrivere un corpo reale in un dato istante non possiamo perciò affidarci ad uno stato del modello, ma al cosiddetto insieme di Gibbs. Con ciò si intende un insieme ideale, cioè puramente immaginato, di stati, che riflette accuratamente la nostra conoscenza limitata del corpo reale. Si considera allora che il corpo si comporta come fosse in un singolo stato arbitrariamente tratto da quell’insieme. Questa interpretazione ha avuto i più estesi riconoscimenti per i risultati forniti. I trionfi più grandi li ha dati in quei casi in cui non tutti gli stati dell’insieme conducevano allo stesso comportamento osservabile. In tal modo il comportamento del corpo è ora questo, ora quello, proprio come previsto (fluttuazioni termodinamiche). A prima vista si potrebbe tentare di riferire le asserzioni sempre incerte della Meccanica Quantistica a un insieme ideale di stati, dei quali uno del tutto specifico si applica in un’istanza concreta, ma non sappiamo quale. Che queste considerazioni non funzionino è mostrato nell’esempio del momento angolare, un esempio tra i tanti. Immaginiamo in Fig. 1 che il punto M sia da collocare in varie posizioni relativamente a O e combaci con vari vettori di quantità di moto, e di combinare tutte queste possibilità in un insieme ideale. Allora si potrebbe davvero scegliere queste posizioni e questi vettori in ogni caso in cui il prodotto della lunghezza del vettore per la lunghezza della normale OF dà uno o l’altro dei valori accettabili, relativamente al particolare punto O. Ma per un punto arbitrariamente differente O’, naturalmente, capitano valori inaccettabili. Perciò appellarsi all’insieme non è di nessun aiuto. Un altro esempio è l’energia dell’oscillatore. Prendiamo il caso in cui l’oscillatore abbia un valore determinato molto piccato, per esempio il più basso, cioè 3 pigreco htagliata nu. La separazione delle due masse puntiformi (che costituiscono l’oscillatore) allora appare molto meno piccata. Per essere capaci di riferire questa asserzione a un collettivo statistico di stati si dovrebbe richiedere che la distribuzione delle separazioni siano limitate in modo molto netto, almeno verso i valori grandi, da quella separazione per la quale l’energia potenziale da sola dovrebbe uguagliare o superare il valore 3 pigreco htagliata nu. Ma questo non è ciò che accade, si incontrano separazioni arbitrariamente grandi, persino con probabilità marcatamente ridotte. E questo non è un risultato del calcolo meramente secondario, che potrebbe in qualche modo essere circoscritto, senza colpire al cuore la teoria: insieme a molte altre questioni, il trattamento della radioattività da parte della Meccanica Quantistica (Gamow) riposa su questo stato di cose. Potremmo andare avanti indefinitamente con altri esempi. Si potrebbe notare che non c’era alcuna questione riguardante le variazioni dipendenti dal tempo. Non sarebbe di alcun aiuto permettere al modello di variare in maniera “non classica”, forse di “saltare”. Già per il singolo istante le cose vanno male. In nessun momento esiste un insieme di stati classici del modello che si accordi con la totalità delle asserzioni quantomeccaniche di quel momento. La stessa cosa si può anche dire come segue: se io desiderassi ascrivere al modello in ogni istante uno stato definito (semplicemente non noto esattamente a me), o (il che è lo stesso) a tutte le parti determinanti definiti valori numerici (semplicemente non noti esattamente a me), allora non esiste nessuna supposizione per come potrei immaginare questi valori numerici che non andasse in conflitto con qualche parte di asserzioni teoriche quantiche. Questo non è proprio ciò che uno si aspetterebbe, sentendo che i pronunciamenti della nuova teoria sono sempre incerti a paragone di quelli classici. 5. Le Variabili sono davvero Sfuocate? L’altra alternativa consiste nell’accordare realtà solo alle parti determinanti momentaneamente nette o in termini più generali accordare a ciascuna variabile un tipo di attuazione corrispondente alla statistica quantomeccanica di questa variabile proprio nel momento attuale. Che non sia impossibile esprimere il grado e il genere di sfuocamento di tutte le variabili in un solo perfettamente chiaro concetto deriva subito dal fatto che la Meccanica Quantistica come dato di fatto possiede e usa un tale strumento, la cosiddetta funzione d’onda o funzione psi, detta anche vettore di sistema. Più avanti si dirà di più su di essa. Che sia un costrutto matematico astratto, controintuitivo, è una preoccupazione che quasi sempre si contrappone a futuri sviluppi di pensiero e che non porta nessun grande messaggio. Per tutti gli eventi è un’entità presupposta che pone un’idea dello sfuocamento di tutte le variabili in ogni momento proprio così chiaramente e fedelmente come fa il modello classico di cui essa rende precisi i valori numerici. La sua equazione del moto, la legge della sua variazione temporale, per quanto il sistema permanga indisturbato, non perde una iota, anche, in chiarezza e determinazione, seguendo in tal modo il comportamento delle equazioni del moto del modello classico. Così quest’ultimo potrebbe essere direttamente sostituito dalla funzione psi, fino a quando lo sfuocamento è confinato su scala atomica, non sottoposto a controllo diretto. Infatti la funzione ha fornito idee del tutto intuitive e adatte, per esempio “la nuvola di elettricità negativa” attorno al nucleo, ecc. Ma sorgono seri dubbi se si nota che l’incertezza tocca cose visibili e tangibili macroscopicamente, per le quali il termine “sfuocato” sembra semplicemente sbagliato. Lo stato di un nucleo radioattivo è presumibilmente sfuocato in un grado e modalità tale che non è stabilito né l’istante di decadimento né la direzione in cui la particella alfa emessa lascia il nucleo. All’interno del nucleo lo sfuocamento non ci dà fastidio. La particella emergente, se si vuole spiegare in modo intuitivo, è descritta come una onda sferica che emana con continuità in tutte le direzioni e che colpisce con continuità uno schermo luminescente per tutta la sua estensione. Lo schermo tuttavia non mostra un bagliore uniforme, più o meno costante, ma piuttosto si accende in un istante in un punto, oppure, ad onor del vero, si accende ora qua, ora là, per cui è impossibile fare l’esperimento con solo un singolo atomo radioattivo. Se al posto di uno schermo luminescente uno usa un detector esteso spazialmente, fosse pure un gas che è ionizzato dalle particelle alfa, si trova che le coppie di ioni si dispongono lungo colonne rettilinee, che proiettano all’indietro verso il pezzo di materia radioattiva da cui proviene la radiazione alfa (Le tracce di una camera a nebbia di Wilson, rese visibili dalle gocce di vapore condensate dagli ioni). Si possono persino allestire delle situazioni del tutto assurde. Un gatto sia rinchiuso in una camera d’acciaio, insieme ai seguenti dispositivi (che devono essere protetti dagli interventi diretti del gatto): all’interno di un contatore Geiger c’è un minuscolo pezzetto di sostanza radioattiva, così piccola, che forse nel trascorrere di un’ora uno degli atomi decade, ma anche, con eguale probabilità, forse no; se capita, il tubo del contatore registra una scarica e attraverso un marchingegno di collegamento di leve e snodi a relè sblocca un martello che frantuma una piccola fiasca di vetro contenente acido cianidrico. Se si lascia l’intero sistema a se stesso per un’ora, si potrebbe dire che il gatto vive ancora se nel frattempo nessun atomo è decaduto. La funzione psi dell’intero sistema esprimerebbe questo avendo in essa il gatto vivo e il gatto morto (scusate l’espressione) mischiati o imbrattati in parti eguali. È tipico di questi casi che un’indeterminazione originariamente ristretta al dominio atomico si trasformi in una indeterminazione macroscopica, che può essere risolta per osservazione diretta. Questo ci trattiene così dall’accettare in modo ingenuo un “modello sfuocato” come valido per rappresentare la realtà. In se stesso esso non dovrebbe incorporare alcunché di non chiaro o contraddittorio. C’è differenza tra una fotografia mossa o fuori fuoco ed un’istantanea di un banco di nebbie e nuvole insieme. 6. Il Dietro Front Deliberato del Punto di Vista Epistemologico Nella quarta sezione abbiamo visto che non è possibile agevolmente prendere il controllo dei modelli e attribuire ciò nonostante determinati valori, alle variabili momentaneamente sconosciute o non esattamente note, che noi semplicemente non conosciamo. Nella quinta sezione abbiamo visto che persino l’indeterminazione non è un reale sfuocamento, perché ci sono sempre dei casi in cui un’osservazione eseguita con facilità fornisce la conoscenza mancante. Perciò cosa è rimasto? Da questo dilemma molto difficile la dottrina regnante riscatta se stessa facendo ricorso all’epistemologia. Ci viene detto che non deve essere fatta nessuna distinzione tra lo stato di un oggetto naturale e ciò che io conosco di lui, o meglio ancora, ciò che io posso conoscere di lui se io finisco in qualche conflitto. In realtà, così essi dicono, c’è intrinsecamente solo coscienza, osservazione, misura. Se mediante esse io mi son procurato in un dato momento la miglior conoscenza sullo stato dell’oggetto fisico che è possibile ottenere in accordo con le leggi di natura, allora posso mettere da parte come non significative eventuali altre domande sullo “stato reale”, nella misura in cui sono convinto che nessuna ulteriore osservazione può estendere la mia conoscenza di esso, almeno, non senza un’equivalente diminuzione sotto altri aspetti (cioè modificandone lo stato, vedi sotto). Ora questo getta un po’ di luce sull’origine della proposizione che ho menzionato alla fine della seconda sezione come qualcosa di portata molto vasta: che tutte le quantità del modello sono misurabili da un punto di vista dei principi. Uno difficilmente può far progressi con questo articolo di fede se si vede vincolato, nell’interesse della metodologia fisica, a far intervenire in aiuto autoritario il summenzionato principio filosofico, che nessuna persona assennata può negare di ritenere come il massimo protettore di ogni empirismo. La verosimiglianza delle cose si oppone alla contraffazione tramite un modello. Così ci si libera di un realismo ingenuo e ci si appoggia direttamente sulla proposizione certa che in realtà (per il fisico) dopo tutto ciò che si dice e ciò che si fa è solo osservazione, misura. Così tutto il nostro pensiero fisico da allora in poi ha come sola base e come solo oggetto i risultati delle misure che dal punto di vista dei principi si possono effettuare, poiché ora dobbiamo esplicitamente non correlare più il nostro pensiero a qualunque genere di realtà o di modello. Tutti i numeri che nascono dai nostri calcoli in fisica devono essere interpretati come risultati di misure. Ma poiché non arriviamo certamente al mondo cominciando a costruire la nostra scienza da zero, anzi piuttosto abbiamo l’abitudine a uno schema di calcolo del tutto definito, dal quale in vista dei grandi progressi della Meccanica Quantistica men che mai vorremmo esserne separati, vediamo noi stessi forzati a dettare dalla scrivania quali misure sono per principio possibili, cioè, devono essere possibili per sostenere adeguatamente il nostro sistema di calcolo. Ciò permette un valore acuto per ciascuna singola variabile del modello (in verità per un “mezzo insieme” in blocco) e così ciascuna singola variabile deve essere misurabile con precisione arbitraria. Noi non possiamo essere soddisfatti con meno, poiché abbiamo perduto la nostra ingenuamente realistica innocenza. Non abbiamo altro che il nostro schema di calcolo, che è la migliore conoscenza possibile dell’oggetto. E se non potessimo fare ciò, allora davvero la verosimiglianza della misura diventerebbe altamente dipendente dalla cura o dalla sciatteria con cui si fa l’esperimento, quanto affanno si darebbe per formare se stesso. Dovremmo continuare a dirgli quando distante potrebbe giungere se solo fosse abbastanza bravo. Altrimenti si potrebbe seriamente temere che proprio là, dove noi proibiamo ulteriori quesiti, là potrebbe ben esserci ancora qualcosa degno di conoscenza su cui dovremmo interrogarci. 7. La Funzione Psi come Elenco di Speranze (matematiche) Continuando ad esporre l’insegnamento ufficiale, volgiamoci alla già menzionata funzione psi. Essa è ora lo strumento per predire la probabilità dei risultati di misura. In essa è incorporata la somma momentaneamente conseguita della speranza teoricamente basata sul futuro, qualcosa che giace in un catalogo. Essa è il ponte di relazione e determinazione tra misura e misura, come era nella teoria classica per il modello e il suo stato. Con quest’ultimo la funzione psi ha inoltre molto in comune. Essa è, dal punto di vista dei principi, determinata da un numero finito di scelte misure adatte sul’oggetto, la metà di quante erano richieste nella teoria classica. Così il catalogo delle speranze attese è inizialmente compilato. Da quel momento in poi cambia col tempo, proprio come lo stato del modello della teoria classica, in maniera unica e vincolata (“con causalità”): l’evoluzione della funzione psi è governata da un’equazione differenziale alle derivate t ). Questo corrisponde al moto parziali (al primo ordine riguardo al tempo e risolta per indisturbato del modello nella teoria classica. Ma questo va avanti solo fino a che uno di nuovo non esegue una misura. Per ciascuna misura si richiede di attribuire alla funzione psi (= il catalogo delle predizioni) una caratteristica, che cambia del tutto all’improvviso, che dipende dal risultato di misura ottenuto, e che perciò non può essere prevista; già solo da questo è del tutto chiato che questo secondo genere di cambiamento della funzione psi non ha nulla a che vedere con l’ordinario sviluppo tra due misure. Il cambiamento improvviso della misura collima strettamente con le questioni discusse nella quinta sezione e ci occuperà ulteriormente per un bel po’; è il punto più interessante dell’intera teoria. È precisamente il punto che pretende la rottura con il realismo ingenuo. Per questo motivo non si può mettere la funzione psi direttamente al posto del modello o dell’oggetto fisico. E davvero perché uno non potrebbe mai osare imputare cambiamenti improvvisi imprevisti a oggetti fisici o a modelli, ma perché nel punto di vista del realismo l’osservazione è un processo naturale come qualunque altro e non può per se portare un’interruzione al flusso ordinato degli eventi di natura. 8. Teoria della Misura, Parte Uno Il rigetto del realismo (ingenuo) ha conseguenze logiche. In generale, una variabile non ha nessun valore definito prima che io la misuri; inoltre misurarla non significa accertare il valore che ha. Ma allora cosa significa? Deve esserci ancora qualche criterio per sapere se la misura è vera o falsa, se un metodo è buono o cattivo, accurato o non accurato, se merita il nome di processo di misura o no. Qualunque giocare attorno ad uno strumento di misura nelle vicinanze di un altro corpo, per mezzo del quale in qualche modo uno rileva una lettura, difficilmente può definirsi una misura su quel corpo. Ora è del tutto chiaro: se la realtà non determina il valore misurato, allora almeno il valore misurato deve determinare la realtà: esso deve in realtà essere presente dopo la misura in quel senso per cui esso solo viene ancora riconosciuto. Vale a dire, il criterio desiderato può essere semplicemente questo: la ripetizione della misura deve dare lo stesso risultato. Con molte ripetizioni posso provare l’accuratezza della procedura e mostrare che non sto semplicemente giocando. È conforme che questo programma combaci esattamente col metodo dello sperimentatore, al quale allo stesso modo il “valore vero” non è noto in anticipo. Formuliamo questo punto essenziale come segue: L’interazione sistematicamente preparata di due sistemi (l’oggetto da misurare e l’apparato di misura) si dice una misura sul primo sistema, se una caratteristica variabile direttamente sensibile del secondo (posizione di un indicatore) è sempre riproducibile entro certi limiti di errore se il processo è immediatamente ripetuto (sullo stesso oggetto, che nel frattempo non deve essere esposto a nessuna influenza aggiuntiva). Questa asserzione richiede una considerevole aggiunta di commento: non è sotto molti aspetti una definizione senza difetti. La pratica è molto più complicata della matematica e non è cosi facilmente catturabile in frasi forbite. Prima della prima misura può essere stata fatta per essa dalla teoria quantistica una arbitraria predizione. Dopo di essa la predizione funziona sempre: entro i limiti degli errori di nuovo lo stesso risultato. Il catalogo delle speranze (= funzione psi) è perciò cambiato dalla misura rispetto alla variabile da misurare. Se la procedura di misura è nota in anticipo come affidabile, allora la prima misura di colpo riduce al speranza teorica entro i limiti di errore nel valore trovato, senza nessun riguardo a cosa la speranza a priori potesse essere stata. Questo è il tipico cambiamento ex abrupto della funzione psi discusso sopra. Ma il catalogo delle speranze cambia in maniera imprevista non solo per la variabile misurata stessa, ma anche per altre, in particolare per la sua “canonica coniugata”. Se per esempio una predizione piuttosto stretta per l’impulso di una particella e procede a misurare la sua posizione più esattamente di quanto sia compatibile col Teorema A della seconda sezione, allora la predizione dell’impulso deve cambiare. Il calcolo quantomeccanico inoltre tiene conto di questo automaticamente; non c’è nessuna funzione psi di qualunque fatta che possa contraddire il Teorema A quando uno deduce da esso le speranze combinate. Poiché il catalogo delle speranze cambia radicalmente duante la misura, l’oggetto non è più adatto per saggiare, nella loro piena estensione, le predizioni statistiche fatte prima; almeno per la variabile misurata stessa, poiché ora il (quasi) medesimo valore si riprodurrà più e più volte. Questo è il motivo per la prescrizione già data nella seconda sezione: uno può davvero saggiare le predizioni di probabilità completamente, ma per questo uno deve ripetere l’intero esperimento ab ovo. Il trattamento precedente dell’oggetto misurato (o di uno identico ad esso) deve essere esattamente lo stesso come quello dato della prima volta, affinché lo stesso catalogo delle speranze (= funzione psi) sia valido come prima della prima misura. Allora uno la “ripete”. (Questa ripetizione significa ora qualcosa del tutto diverso da prima!) Tutto questo deve essere fatto non due volte ma moltissime volte. Allora la statistica predetta è stabilita: questo è ciò che dice la dottrina. Si dovrebbe notare la differenza tra i limiti degli errori e la distribuzione dell’errore della misura, da un canto, e la statistica predetta teoricamente, dall’altro canto. Essi non hanno nulla a che fare gli uni con l’altra. Essi sono stabiliti dai due tipi del tutto differenti di ripetizione appena discussi. Qui c’è l’opportunità di approfondire in qualche modo la sopra tentata delimitazione di misura. Ci sono strumenti di misura che rimangono fissi sulla lettura data dalla misura appena fatta. Oppure l’ago indicatore potrebbe rimanere attaccato per qualche difetto. Uno dovrebbe allora fare ripetutamente esattamente la stessa lettura e secondo le nostre istruzioni questa sarebbe una misura accurata in maniera spettacolare. Inoltre questo sarebbe vero non semplicemente per l’oggetto ma anche per lo strumento stesso! Per stare coi piedi per terra manca ancora nella nostra un punto importante, ma che non poteva prontamente venir stabilito prima, cioè in che cosa consiste la vera differenza tra oggetto di misura e apparato di misura (che è l’ultima cosa su cui si fa la lettura, più o meno superficiale). Abbiamo appena visto che l’apparato sotto certe circostanze, come richiesto, deve essere riportato alla sua condizione iniziale neutra prima di rifare ogni misura di controllo. Questo è ben noto agli sperimentali. Teoricamente il problema può essere meglio espresso prescrivendo che per principio l’apparato dovrebbe essere sottoposto all’identico trattamento precedente prima di ciascuna misura, in modo tale che per lui ogni volta si applichi lo stesso catalogo delle speranze (= funzione psi), come esso viene applicato all’oggetto. A sua volta per l’oggetto è proprio il modo opposto, quanlunque interferenza è proibita quando sta per essere fatta una misura di controllo, una “ripetizione del primo genere” (quella che porta alla statistica dell’errore). Questa è la differenza caratteristica tra oggetto e apparato. Essa sparisce in una “ripetizione del secondo genere” (quella che porta alle predizioni quantistiche). Qui la differenza tra i due in realtà è del tutto insignificante. Da ciò otteniamo ulteriormente che per una seconda misura uno può usare un apparato costruito in modo simile e preparato in modo simile, non è necessario che sia necessariamente lo stesso di prima; difatti questo qualche volta è fatto, come controllo sul primo. Può davvero accadere che due apparati costruiti in maniera completamente differente siano correlati l’uno all’altro che se uno misura con essi uno dopo l’altro (ripetizione del primo genere!) le loro due indicazioni sono in correlazione uno a uno l’una con l’altra. Essi allora misurano sull’oggetto essenzialmente la stessa variabile, cioè, la stessa per una adatta calibratura delle scale. 9. La Funzione Psi come Descrizione di Stato Il rigetto del realismo impone anche obblighi. Dal punto di vista del modello classico il momentaneo contenuto di asserzioni della funzione psi è lungi dall’essere completo; esso comprende solo circa il 50 percento di una descrizione completa. Dal nuovo punto di vista esso deve essere completo per ragioni già dette alla fine della sesta sezione. Deve essere impossibile aggiungere ad esso asserzioni aggiuntive corrette, senza cambiarlo in qualche modo; altrimenti non si avrebbe il diritto di definire senza significato tutte le asserzioni che ne estendono il contenuto. E da lì segue che due cataloghi differenti, che si applicano allo stesso sistema sotto diverse circostanze o in tempi diversi, possono ben parzialmente sovrapporsi, ma mai in modo tale che uno è interamente contenuto dentro l’altro. Perché altrimenti esso sarebbe suscettibile di completamento attraverso asserzioni aggiuntive corrette, cioè proprio attraverso ciò per cui l’altro lo supera. La struttura matematica della teoria automaticamente soddisfa questa condizione. Non c’è nessuna funzione psi che fornisce esattamente le stesse asserzioni di un’altra o a maggior ragione di parecchie altre. Perciò se un sistema cambia, sia per se stesso o a causa di misure, ci devono sempre essere asserzioni che mancano nella nuova funzione che erano contenute nella vecchia. Nel catalogo devono essere fatte non solo nuove iscrizioni, ma anche cancellazioni. Tuttavia la conoscenza si può ben accrescere, ma non perdere. Perciò le cancellazioni significano che le precedenti asserzioni corrette sono ora diventate scorrette. Un’asserzione corretta può diventare scorretta solo se l’oggetto al quale si applica cambia. Io considero accettabile esprimere questo ragionamento come segue: Teorema 1: Se funzioni psi differenti sono in discussione il sistema si trova in stati differenti. Se uno parla solo di sistemi per i quali in generale è disponibile una funzione psi, allora vale l’inverso di questo teorema: Teorema 2: Per la stessa funzione psi il sistema è nello stesso stato. L’inverso non segue dal Teorema 1 ma indipendentemente da esso, direttamente dalla completezza o massimalità. Chiunque per lo stesso catalogo delle speranze volesse ancora affermare che una differenza sia possibile, dovrebbe ammettere che esso (il catalogo) non dia informazioni su tutte le questioni leggittime. Il linguaggio usato dalla maggior parte degli autori implica la validità dei due teoremi di cui sopra. Naturalmente, essi fondano un altro genere di nuova realtà, in un modo del tutto legittimo, io credo. Inoltre non ci sono interpretazioni banalmente tautologiche, né puramente verbali del concetto di “stato”. Senza la massimalità presupposta nel catalogo delle speranze, cambiamenti nella funzione psi avverrebbero semplicemente raccogliendo nuova informazione. Dobbiamo far fronte ancora ad un’altra obiezione nella derivazione del Teorema 1. Uno può argomentare che ciascuna asserzione individuale o pezzo di conoscenza, sotto esame lì, è dopo tutto un’asserzione di probabilità, alla quale la categoria di corretto o di scorretto non si applica in relazione qualsiasi ad un caso individuale, ma piuttosto in relazione ad un fatto collettivo che viene in essere dal fatto che uno prepara il sistema in un identico modo alcune migliaia di volte (per permettere poi che segua la stessa misura; confronta la sezione ottava). Ciò ha un qualche senso, ma dobbiamo specificare tutti i membri di questo collettivo che deve essere preparato in modo identico, perché a ciascuno si applica la stessa funzione psi, lo stesso catalogo di asserzioni e non osiamo specificare differenze che non sono specificate nel catalogo (confronta i fondamenti del Teorema 2). Perciò il collettivo è fatto degli identici casi individuali. Se un’asserzione è sbagliata per esso, allora il caso individuale deve essere cambiato, o altrimenti il collettivo sarebbe di nuovo lo stesso. 10. Teoria della Misura, Parte Due Dunque è stato precedentemente stabilito, settima sezione, e spiegato, ottava sezione, che qualunque misura tiene in sospeso la legge che altrimenti governa la dipendenza temporale della funzione psi e introduce in essa una cambiamento del tutto differente, non governato da nessuna legge, ma piuttosto imposto dal risultato della misura. Però leggi di Natura che differiscono da quelle abituali non possono applicarsi durante una misura, poiché visto oggettivamente il processo di misura è un processo naturale come qualsiasi altro e non può interrompere il corso naturale degli eventi. Poiché il processo di misura interrompe proprio ciò della funzione psi, quest’ultima, come abbiamo detto nella settima sezione, non può servire, come il modello classico, come una rappresentazione sperimentalmente verificabile di una realtà oggettiva. E anche nell’ultima sezione ha preso forma qualcosa di simile. Così, usando uno slogan per sottolineare l’enfasi, provo di nuovo a mettere in contrasto: 1) La discontinuità del catalogo delle speranze dovuta alla misura è inevitabile, perché se un qualche significato deve ancora essere lasciato alla parola misura allora si deve ottenere, da un buon processo di misura, il valore misurato. 2) Il cambiamento discontinuo non è certamente governato dall’altrimenti valida legge causale, poiché tale cambiamento dipende dal valore misurato, che non è predeterminato. 3) Il cambiamento include anche, definitivamente, (a causa della “massimalità”) una qualche perdita di conoscenza, ma la conoscenza non si può perdere e perciò l’oggetto deve cambiare, sia lungo questi cambiamenti discontinui che anche, durante questi cambiamenti, in un modo imprevisto, differente. Cosa aggiunge tutto ciò? Che le cose non sono affatto semplici. È il punto più difficile e quindi più interessante di tutta la teoria. Ovviamente noi dobbiamo cercare di comprendere oggettivamente l’interazione tra l’oggetto misurato e l’apparato di misura. A questo fine dobbiamo esporre alcune considerazioni in sé molto astratte. Questo è il punto. Ognivolta che uno ha un catalogo delle speranze completo, una conoscenza totale massima, una funzione psi, per due corpi completamente separati, o, in parole meglio dette, per ciascuno di essi singolarmente considerato, allora uno ha ovviamente anche quella per i due corpi compresi assieme, vale a dire, si immagina che nessuno dei due singolarmente, ma invece piuttosto tutti e due assieme formano l’oggetto di interesse al quale porre le nostre questioni sul futuro. Ma l’inverso non è vero. La conoscenza massimale di un sistema come un tutto non implica necessariamente la conoscenza totale di tutte le sue parti, persino quando queste parti sono completamente separate l’una dall’altra e per il momento non stanno influenzandosi l’una con l’altra. Così può capitare che una parte di ciò che uno sa può appartenere alle relazioni o ai contratti esistenti tra i due sottosistemi (ci limiteremo solo a due), come segue: se una particolare misura sul primo sistema dà questo risultato, allora per una particolare misura sul secondo la speranza statistica valida è la tale e tal’altra; ma se la misura in questione sul primo sistema dovesse dare quel risultato, allora per il secondo vale qualche altra speranza; se dovesse capitare un terzo risultato per il primo, allora si applicherebbe ancora un’altra speranza per il secondo e così via, in un modo che fornisce la completa disgiunzione di tutti i possibili risultati della misura che quel processo di misura specificatamente contemplato per il primo sistema può dare. In questo modo, qualunque processo di misura affatto o, che poi è la stessa cosa, qualunque variabile affatto del secondo sistema può essere legata al valore non ancora noto di qualunque variabile del primo e naturalmente anche viceversa. Se è questo il caso, se tali asserzioni condizionate si incontrano nel catalogo combinato, allora non può essere possibilmente massimale rispetto ai sistemi individuali. Poiché il contenuto di due cataloghi individuali massimali dovrebbero per se stessi bastare per una catalogo massimale combinato, le asserzioni condizionate non si possono aggiungere. Queste predizioni condizionate, inoltre, non sono qualcosa che è caduto qui all’improvviso dal cielo. Ci sono in ogni catalogo delle speranze. Se uno conosce la funzione psi e fa una particolare misura e questa dà un particolare risultato, allora conosce di nuovo la funzione psi, ecco tutto. È proprio questo per il caso in discussione, poiché il sistema combinato è supposto consistere di due parti completamente separate, il problema ne emerge fuori un po’ strano. Poiché così diventa significativo distinguere tra misure su un sottosistema e misure sull’altro sottosistema. Questo fornisce a ciascuno pieno titolo a un catalogo massimale privato; d’altro canto rimane possibile che una porzione della conoscenza combinata ottenibile è, per così dire, sprecata per le asserzioni condizionate, che opera tra i sottosistemi, cosicché le speranze private siano lasciate insoddisfatte, persino quantunque il catalogo combinato sia massimale, cioè persino quantunque la funzione psi del sistema combinato sia nota. Facciamo una pausa per un momento. Questo risultato in tutta la sua astrattezza in realtà dice: La migliore conoscenza possibile di un tutto non implica necessariamente lo stesso per le sue parti. Traduciamo ciò nei termini della nona sezione: Il tutto è in uno stato definito, le parti prese individualmente no. “Come può essere? Sicuramente un sistema deve trovarsi in un qualche stato.” “No. Lo stato è la funzione psi, la somma massimale di conoscenza. Non necessariamente procuro ciò a me stesso. Potrei essere pigro. Allora il sistema non è in nessun stato.” “D’accordo, ma allora la proibizione agnostica delle domande non è ancora in forza e nel nostro caso posso dire a me stesso: il sottosistema è già in un qualche stato, solo che io non so in quale.” “Un momento. Sfortunatamente no. Non c’è nessun ‘io non so’, poiché come per il sistema totale, io ho in mano la conoscenza massimale del sottosistema...” L’insufficienza della funzione psi come sostituzione di modello riposa solo sul fatto che non sempre la si ha. Se uno ce l’ha, allora significa per tutti che essa serve come descrizione dello stato. Ma qualchevolta uno non ce l’ha, in casi in cui uno può ragionevolmente aspettarsi di averla. E in questo caso, uno non osa postulare che “è in realtà in stato particolare, uno che proprio non conosce”; il punto fermo scelto sopra proibisce ciò. “Esso” è cioè una somma di conoscenza; e conoscenza, che nessuno conosce, è niente.--Continuiamo. Che una porzione di conoscenza fluttuasse nella forma di asserzioni condizionate disgiuntive tra i due sistemi può certamente non capitare se portiamo i due da bande opposte del mondo e li giustapponiamo senza interazione. Poiché allora davvero i due “non sanno” nulla uno dell’altro. Una misura su uno possibilmente non può fornire un qualunque comprensione di ciò che ci si potrebbe aspettare dall’altro. Qualunque “groviglio di predizioni” che può aver luogo può ovviamente soltanto andare indietro al fatto che i due corpi in qualche istante precedente avevano formato in senso vero un sistema, cioè che erano interagenti e hanno lasciato dietro di loro tracce su ciascun di essi. Se i due corpi separati, ciascuno per se stesso a conoscenza massimale, entrano in una situazione in cui si influenzano reciprocamente e si separano di nuovo allora capita regolarmente ciò che ho chiamato proprio entanglement (groviglio, intreccio) della nostra conoscenza sui due corpi. Il catalogo delle speranze combinato consiste inizialmente in una somma logica dei cataloghi individuali; durante il processo si evolve con causalità secondo la legge nota (qui non sta avvenendo ora nessun processo di misura). La conoscenza rimane massimale, ma alla fine, se i due corpi sono di nuovo separati, essa non è di nuovo suddivisa in una somma logica di conoscenze sui corpi individuali. Ciò che ancora rimane di ciò può essere diventato meno che massimale, persino molto, molto meno. Notare la grande differenza rispetto alla teoria del modello classico, dove naturalmente dalla conoscenza degli stati iniziali e con l’interazione nota gli stati individuali finali sarebbero esattamente noti. Il processo di misura descritto nell’ottava sezione ora si adatta nettamente allo schema generale, se lo applichiamo al sistema combinato, oggetto misurato + apparato di misura. Avendo costruito così una rappresentazione oggettiva di questo processo, come quello di qualsiasi altro, osiamo sperare di far luce, per evitare, se non del tutto almeno in parte, il singolare salto della funzione psi. Perciò adesso un corpo è l’oggetto da misurare, l’altro corpo è l’apparato di misura. Per eliminare ogni interferenza dall’esterno combiniamo l’apparato per mezzo di un meccanismo incorporato che avvicini lentamente automaticamente all’oggetto l’apparato di misura e in maniera analoga allontani lentamente di nuovo i due corpi. Posponiamo la lettura stessa dello strumento, proprio perché il nostro scopo immediato è investigare tutto ciò che può capitare “oggettivamente”; ma per un uso futuro concediamo che i risultati siano registrati automaticamente nell’apparato, come spesso è fatto davvero al giorno d’oggi. Ora come stanno le cose, dopo aver fatto la misura in modo completamente automatico? Possediamo, dopo tutto lo stesso come prima, un catalogo delle speranze massimale per il sistema intero. Il risultato delle misure registrate non è naturalmente incluso qui. Come l’apparato il catalogo è lungi dall’essere completo, non dicendo nulla affatto di dove la penna registrante abbia lasciato la traccia. (Ricordiamoci del gatto avvelenato!). Ciò a cui questo equivale è che la nostra conoscenza è evaporata dentro asserzioni condizionate: se il segno è sulla linea 1, allora le cose sono così e lo stesso per l’oggetto misurato, se è sulla linea 2, allora questo e quest’altro, se sulla linea 3, allora una terza cosa, ecc. Ora la funzione psi dell’oggetto misurato ha fatto un salto? Si è evoluta ulteriormente secono la legge naturale (secondo l’equazione differenziale alle derivate parziali)? No ad entrambe le domande. Non più. È diventata intrecciata intasandosi, secondo la legge causale della funzione psi combinata, con quella dello strumento di misura. Il catalogo delle speranze dell’oggetto si è diviso in una disgiunzione condizionata di se di cataloghi di speranze, come un Baedeker che uno ha preso a pezzi nella maniera propria. Lungo ogni pezzo è anche data la probabilità che funzioni correttamente, trascritto dall’originale catalogo delle speranze dell’oggetto. Ma chi risulti corretto, quale pezzo del Baedeker dovrebbe guidare il viaggio attuale, risulta determinato solo da una reale ispezione della registrazione. E cosa succede se non guardiamo? Diciamo che stavamo registrando fotograficamente e per nostra sfortuna la luce ha raggiunto la pellicola prima che potessimo svilupparla. O che inavvertitamente abbiamo messo della carta nera invece della pellicola, nella macchina fotografica. Allora davvero non soltanto non abbiamo appreso alcunché di nuovo dalla mal eseguita misura, ma abbiamo anche sofferto di una perdita di conoscenza. Ciò non è sorprendente. È solo naturale che all’esterno dell’interferenza quasi sempre saremo depredati della conoscenza che uno ha del sistema. L’interferenza, se deve permettere che la conoscenza sia riottenuta indietro in seguito, deve essere davvero guardinga. Che cosa abbiamo conseguito con questa analisi? Primo, l’intuizione che penetra all’interno della separazione disgiuntiva del catalogo delle speranze che ancora ha luogo precisamente in maniera continua e è portata attraverso il conficcamento in un catalogo combinato tra l’apparato e l’oggetto. Da questo amalgama l’oggetto può di nuovo essere separato solo da un soggetto cosciente (vivente) che realmente prende cognizione del risultato della misura. Una volta o l’altra deve accadere questo se ciò che si fa vogliamo che sia considerata una misura, comunque è caro ai nostri cuori che ciò che doveva preparare il processo fosse per tutto il più oggettivo possibile. E questa è la seconda intuizione che abbiamo conseguito: non ha luogo, fino al momento dell’ispezione diretta, che determina la disgiunzione, alcunché di discontinuo, o di salto. Uno è proclive a chiamare ciò un’azione mentale, poiché l’oggetto è già fuori campo, non è più a lungo interessato fisicamente: ciò che accade è già passato. Ma non sarebbe del tutto giusto dire che la funzione psi dell’oggetto che cambia altrimenti secondo un’equazione differenziale alle derivate parziali, indipendente dall’osservatore, dovrebbe ora cambiare in modalità discontinua, a salti, a causa di un atto mentale. Poiché se è scomparso, non c’è più. Qualunque cosa sia, non può più cambiare. È rinato, è ricostituito, è separato dalla conoscenza intrecciata che uno ha, attraverso un atto di percezione, che come materia di fatto non è un effetto fisico su un oggetto misurato. Dalla forma in cui la funzione psi era nota ultimamente, alla nuova in cui riappare, non scorre nessun percorso continuo: va invece nella annichilazione. Mettendo a contrasto le due forma, la cosa appare come un salto. In verità qualcosa di importante capita nel frattempo, cioè l’influenza reciproca dei due corpi, durante la quale l’oggetto non possiede nessun catalogo delle speranze privato né ha pretesa alcuna oltre a ciò, perché non era indipendente 11. Risoluzione Sperimentatore del Risultato ad ”Intreccio” Dipendente dall’Intenzione dello Ritorniamo al caso generale di “entanglement”, senza avere proprio in vista il caso speciale, appena considerato di processo di misura. Supponiamo che i cataloghi delle speranze di due corpi A e B divengano intrecciati attraverso un’interazione transitoria. Ora i corpi siano di nuovo separati. Allora posso prendere uno di essi, diciamo il B, e con successive misure portare la mia conoscenza di esso, che era diventata meno che massimale, di nuovo indietro alla massimale. Io sostengo: proprio appena riesco in ciò, non prima, allora, primo, l’entanglement è immediatamente risolto, secondo, ho anche ottenuto conoscenza massimale di A attraverso le misure su B, facendo uso delle relazioni condizionate che erano in essere. Poiché in primo luogo la conoscenza del sistema totale rimane sempre massimale, non essendo in alcun modo danneggiata da misure buone e esatte. In secondo luogo: asserzioni condizionate della forma “se per A ... allora per B B”. Poiché non è condizionata e non si può aggiungere ad esa nulla affatto di rilvente su B. In terzo luogo: asserzioni condizionate in senso inverso (se per B ... allora per A) si possono trasformare in asserzione rispetto al solo A, poiché tutte le probabilità per B sono già note incondizionatamente. L’entanglement è così completamente messo da parte e poiché la conoscenza del sistema totale è rimasta massimale, può solo significare che lungo il catalogo massimale di B viene la stessa cosa per A. E non può succedere l’altra cosa, che A diventa conosciuto in modo massimale indirettamente, attraverso misure su B, prima che lo sia B. Poiché allora tutte le conclusioni funzionerebbero in senso inverso, cioé anche B lo sarebbe. I sistemi diventano simultaneamente noti in senso massimale, come asserito. Incidentalmente, questo sarebbe vero anche se uno non limitasse la misura solo a uno dei due sistemi. Ma il punto interessante è precisamente questo , che uno può limitarla ad uno dei due; che per mezzo suo può raggiungere la meta. Quali misure su B e in quale sequenza debbano essere prese, è lasciato interamente alla scelta arbitrari dello sperimentatore. Non ha necessità di scegliere variabili specifiche, per essere capace di usarle in asserzioni condizionate. È libero di formulare un piano che lo porterebbe alla conoscenza massimale di B, persino se non dovesse conoscere nulla affatto di B. E non può fare nessun danno se porta questo piano a compimento. Se egli chiede a se stesso dopo ciascuna misura se forse ha già raggiunto la sua meta, egli risparmia a se stesso solo ulteriore e superflua fatica. Che sorta di catalogo per A venga fuori in questo modo indiretto dipende ovviamente dai valori misurati che si trovano per B (prima che l’entanglement sia completamente risolto: non oltre o in seguito, nel caso la misura vada avanti in maniera superflua). Supponiamo ora che in questo modo io abbia derivato un catalogo per A in un caso particolare, allora posso guardare indietro e considerare se forse avrei potuto trovarne uno diverso se avessi messo in atto un piano di misura diverso per B. Ma poiché dopotutto io non ho né realmente toccato (interagito con) il sistema A, né nell’altro caso immaginato avrei potuto toccarlo, l’asserzione dell’altro catalogo, qualunque possa essere, deve essere anche corretta. Perciò devono essere interamente contenute nella prima, in quanto la prima è massimale. Ma così è per la seconda. Perciò deve essere identica alla prima. Abbastanza stranamente, la struttura matematica della teoria non soddisfa in nessun modo automaticamente a questi requisiti. Peggio ancora, si possono allestire esempi in cui questi requisiti sono necessariamente violati. È vero che in un qualsiasi esperimento uno può realmente eseguire solo un gruppo di misure (sempre su B), per una volta che è accaduto che l’entanglement è risolto e non si tende a ottenere niente più su A con ulteriori misure su B. M a ci sono casi di entanglement nei quali sono specificabili due definiti programmi, per i quali ciascuno 1) deve portare alla risoluzione dell’entanglement, e 2) deve portare a un catalogo A al quale l’altro (programma) potrebbe possibilmente non portare, qualunque siano i valori misurati che possono saltar fuori in un caso o nell’altro. È semplicemente come questo, che le due serie di cataloghi di A, che possono possibilmente nascere da uno o dall’altro programma, sono nettamente separati e non hanno in comune nessun singolo termine. Questi sono casi messi in evidenza in modo particolare, nei quali le conclusioni riposano sul modo così chiaramente esposto. In generale si deve riflettere più attentamente. Se vengono proposti due programmi di misure su B, lungo le due serie di cataloghi di A ai quali essi conducono, allora non è in nessun modo sufficiente che le due serie abbiano uno o più termini in comune perché uno sia in grado di dire: bene, sicuramente uno di questi salterà sempre fuori e così sottolineare i requisiti come “presumibilmente soddisfatti”. Non è abbastanza . Poiché davvero uno conosce la probabilità di ogni misura su B, considerata come misura sul sistema intero, e sotto molte ripetizioni ab ovo ciascuna di esse deve capitare con la frequenza assegnata ad essa. Perciò le due serie di cataloghi si A dovrebbero corrispondere, membro a membro, e inoltre la probabilità di ciascuna serie dovrebbe essere la stessa. E che non semplicemente per questi due programmi ma anche per ciascuno degli innumerevoli che uno può escogitare. Ma questo è completamente fuori questione. Il requisito che il catalogo di A che uno ottiene dovrebbe sempre essere lo stesso, senza riguardo a quale misura su B si ponga in essere, questo requisito è pianamente e semplicemente mai verificato. Ora vogliamo discutere un semplice esempio “esplicito, particolarmente piccante”. 12. Un Esempio Per semplicità, consideriamo due sistemi con solo un grado di libertà. Cioè, ciascuno di essi sarà specificato da una singola coordinata q e dal suo momento canonicamente coniugato p. La rappresentazione classica sarebbe quella di una massa puntiforme che possa muoversi solo lungo una linea retta, come le biglie di un pallottoliere, le sfere di quei giochini con cui i bambini piccoli imparano a calcolare. p è il prodotto di massa per velocità. Per il secondo sistema designamo con lettere maiuscole le due parti determinanti, Q e P. Nella nostra considerazione astratta, non siamo affatto interessati se i due sono “legati allo stesso filo”. Ma persino se lo fossero, potrebbe essere conveniente il caso di non calcolare q e Q dallo stesso punto di riferimento. Allora l’equazione q = Q non significa necessariamente coincidenza. I due sistemi potrebbero nonostante questa essere completamente separati. Nell’articolo citato (quello di Einstein, Podolsky, Rosen) si mostra che può nascere tra questi due sistemi un entanglement, che in un particolare momento, può essere compattamente mostrato con le due equazioni: q = Q e p = -P. Questo significa: io so, se la misura di q sul sistema dà un certo valore, che una misura di Q eseguita immediatamente subito dopo sul secondo sistema darà lo stesso risultato e viceversa; io so, inoltre, se una misura di p sul primo sistema dà un certo valore, che una misura di P eseguita immediatamente subito dopo sul secondo sistema darà il valore opposto e viceversa. Una singola misura di q o p o Q o P scioglie l’entanglement e rende entrambi i sistemi massimalmente noti. Una seconda misura sullo stesso sistema modifica solo le asserzioni su di esso, ma non insegna nulla di più sull’altro. Perciò uno non può controllare entrambe le equazioni in un singolo esperimento. Ma uno può ripetere l’esperimento ab ovo migliaia di volte; ogni volta allestisce lo stesso entanglement; secondo il capriccio controlla una o l’altra delle equazioni e trova confermata quella che momentaneamente è disposta ad essere controllata. Assumiamo che tutto ciò è stato fatto. Se per l’esperimento mille e unesimo uno soggiace al desiderio di fare un ulteriore controllo e allora misura q sul primo sistema e P sul secondo ed ottiene: q = 4; P = 7; si può dubitare che q = 4; p = -7; sarebbe stata una predizione corretta per il primo sistema o Q = 4; P = 7; una corretta predizione per il secondo? Le predizioni quantistiche non sono davvero mai soggette a verifica nel loro pieno contenuto in un singolo esperimento; tuttavia sono ancora corrette, per il fatto che chiunque le conosca non va incontro a smentite, qualunque sia la metà (del sistema intrecciato) che decide di verificare. Non c’è nessun dubbio su ciò. Qualunque misura è per il sistema corrispondente la prima. Misure su sistemi separati non possono influenzarsi direttamente l’un l’altro, questa sarebbe magia. Né può succedere a caso, se in migliaia di esperimenti si stabilisce che misure verginali concordano. Il catalogo di predizione q = 4, p = -7 sarebbe ovviamente iper massimale. 13. Continuazione dell’Esempio: Tutte le Possibili Misure sono Inequivocabilmente Intrecciate Ebbbene una predizione di tale grado è perciò impossibile secondo quanto insegna la Meccanica Quantistica, che qui stiamo seguendo fino alle sue estreme conseguenze. Molti miei amici rimangono rassicurati da questo fatto e intercalano con sollecitudine: che risposta avrebbe dato un sistema allo sperimentatore se... – non ha niente a che vedere con una misura reale e perciò, dal nostro fermo punto di vista epistemologico, non ci deve riguardare. Ma lasciate che una volta di più renda la materia più chiara. Focalizziamoci sul sistema etichettato con le lettere minuscole q, p e chiamiamolo per brevità quello “piccolo”. Allora le cose stanno come segue. Io posso indirizzare una delle due domande al sistema piccolo, sia per q sia per p. Prima di fare così posso, se lo scelgo, procurarmi la risposta ad una di queste domande con una misura sull’altro sistema completamente separato (che considereremo come apparato ausiliario), o posso aver l’intenzione di prendermi cura di ciò in seguito. Il mio sistema piccolo, come uno scolaro sotto esame, forse non sa se io ho scelto di fare questo e con quale domanda o se intenda scegliere in seguito chi e quale domanda sottoporre. Da esperimenti precedenti numerosi a volontà io so che il fanciullo risponderà correttamente alla prima domanda che gli sottoporrò. Da ciò segue che in ogni caso egli/esso conosce la risposta ad entrambe le domande. Che la risposta alla prima domanda, che a me piace sottoporgli, lo stanchi così tanto e lo renda confuso tanto che le successive risposte saranno senza valore alcuno, non cambia per niente alcunché di questa conclusione. Nessun insegnante giudicherebbe altrimenti, se questa situazione si ripetesse con migliaia di scolari di simile provenienza, per quanto egli potrebbe meravigliarsi un sacco su che cosa, dopo aver risposto alla prima domanda, renda tutti gli scolari così ottusi e ostinatamente stupidotti. Non gli verrebbe da pensare che l’aver egli, l’insegnante, consultato un testo abbia dapprima suggerito allo scolaro la risposta corretta, o persino, nel caso che l’insegnante scelga di consultare il testo dopo aver ottenuto la risposta dallo scolaro, che la risposta dello scolaro abbia cambiato il testo del manuale a favore dello scolaro. Così il mio piccolo sistema conserva con prontezza una risposta del tutto definita alle domande su q e su p nel caso che una o l’altra sia la prima ad essere direttamente sottoposta a lui. Di questa predisposizione non si può cambiare neppure una iota anche se forse vada a misurare la Q sul sistema ausiliario (all’interno della precedente analogia: se l’insegnante cerca una domanda sul suo libro di testo e a causa di ciò anzi cancellasse con una macchia di inchiostro la pagina dove si trovano le altre risposte). Il fisico quantomeccanico sostiene che dopo una misura di Q sul sistema ausiliario il mio sistema piccolo possiede una funzione psi nella quale “q è del tutto preciso, p è del tutto indeterminato”. Ed ancora, come già detto sopra, neppure una iota è cambiata dal fatto che il mio sistema piccolo ha anche pronta una risposta alla domanda p e anzi la stessa come prima. Ma la situazione è persino ancora peggio. Non solo il brillante allievo ha una risposta pronta definita alle domande su q e su p, ma anche piuttosto ad altre migliaia e anzi senza che io abbia la minima intuizione della tecnica di memoria per la quale egli è abile a fare ciò. p e q non sono le sole variabili che posso misurare. Qualsivoglia combinazione di esse, per esempio p2 q2 anche corrisponde alla misura completamente determinata secondo la formulazione della Meccanica Quantistica. Ora può essere mostrato che anche questa risposta si può ottenere con una misura sul sistema ausiliario, cioè con una misura di P2 Q2 e anzi le risposte sono proprio le stesse. Per le regole della Meccanica Quantistica questa somma di quadrati si può prendere solo da un valore della serie , 3 , 5 , 7 , ... h 2 La risposta che il mio sistema piccolo ha pronta per la domanda su p2 q2 (nel caso che questo dovesse essere la prima a cui lui è sottoposto) deve essere un numero della serie di cui sopra. È proprio lo stesso con misure di p2 a2 q2 dove a è una costante positiva arbitraria. In questo caso la risposta deve essere secondo la Meccanica Quantistica un numero della seguente serie a , 3 a , 5 a , 7 a , ... Per ciascun valore numerico di a uno parte da una differente domanda e per ciascuna il mio sistema piccolo possiede una risposta pronta estratta dalla serie (formata dal valore di a in questione). Più sbalorditivo è questo: queste risposte non possono neppure essere collegate l’una all’altra nel modo dato dalle formule! Perché, supponiamo che q’ sia la risposta conservata pronta per la domanda su q e che p’ sia la risposta tenuta pronta per la domanda su p, allora la relazione p '2 a2 q '2 a un numero dispari non può neppure valere per dati valori numerici di q’ e p’ e per un qualsiasi numero positivo a. Questa non è un’operazione con numeri immaginati che uno non può veramente accertare. Si può difatti ottenere due dei numeri, per esempio q’ e p’, uno con misura diretta, l’altro con misura indiretta. E allora uno può (perdonate l’espressione) convincere se stesso che l’espressione sopra, formata con i numeri q’ e p’ e un a arbitrario non è un numero intero dispari. La mancanza di intuizione nelle relazioni tra le varie risposte conservate in prontezza (dentro la “memoria tecnica” del’allievo) è totale, un gap che non può essere colmato forse da nessun nuovo tipo di Algebra della Meccanica Quantistica. tutta la stranezza sta nella mancanza, poiché d’altro canto uno può mostrare che l’entanglement è già unicamente determinato dai requisiti q = Q e p = -P. Se sappiamo che le coordinate sono uguali e che gli impulsi sono uguali e opposti, allora segue dalla Meccanica Quantistica una corrispondenza completamente determinata biunivoca di tutte le possibili misure su entrambi i sistemi. Per ogni misura su quello “piccolo” ci si può procurare il risultato numerico con una adatta misura predisposta su quello “grande” e ciascuna misura su quello grande stipula il risultato che una particolare misura su quello piccolo dovrebbe dare o ha dato. (Ovviamente nello stesso senso come sempre precedentemente: contano solo le misure verginali su ciascun sistema). Non appena abbiamo portato i due sistemi nella situazione in cui essi (detto brevemente) coincidono nelle coordinate e negli impulsi, allora essi (detto brevemente) coincideranno anche riguardo a tutte le altre variabili. Ma per quanto riguarda il caso in cui non conosciamo per niente affatto i valori numerici di tutte queste variabili di un sistema correlato all’altro vicendevolmente, persino quantunque per ciascun sistema si dovesse avere in prontezza una specifica risposta, allora per questo caso, se lo vogliamo, possiamo apprendere la risposta dal sistema ausiliario e poi trovarla sempre confermata dalla misura diretta. Dovrebbe ora uno pensare a causa del fatto che ignoriamo tutto delle relazioni tra i valori delle variabili conservate pronte in un sistema, che nessuna esista? che possa capitare qualunque combinazione arbitraria di ampia variabilità? Questo significherebbe che tale sistema di “un grado di libertà” avrebbe necessità non semplicemente di due numeri per essere adeguatamente trattato, come nella meccanica classica, ma piuttosto di molti di più, forse infiniti. Sarebbe allora ciò nondimeno strano che due sistemi concordino sempre su tutte le variabili se concordano su due. Perciò uno dovrebbe constringersi alla seconda ipotesi che questo sia dovuto alla nostra incapacità; dovremmo pensare come fatto pratico che non siamo capaci di portare due sistemi in una situazione tale in cui essi coincidono rispetto a due variabili, senza volenti o nolenti portare la coincidenza anche rispetto a tutte le altre variabili, persino quantunque in se stesso non fosse stato necessario. Uno dovrebbe aver fatto queste due ipotesi per non percepire come grande dilemma la completa mancanza di intuizione delle interrelazioni dei valori di una variabile all’interno di un sistema. 14. Dipendenza Temporale dell’Intreccio. Considerazioni sul Ruolo Speciale del Tempo Forse non è superfluo ricordare che tutto ciò che è stato detto nella dodicesima e tredicesima sezione riguardava un singolo istante. L’entanglement non è costante nel tempo. Continua ad esserci un entanglement in corrispondenza biunivoca con tutte le variabili, ma la disposizione cambia. Ciò significa: ad un istante successivo t uno può di nuovo conoscere i valori di q o di p che allora ottiene con una misura sul sistema ausiliario, ma le misure, che uno deve prendere proprio sul sistema ausiliario, sono diverse. Quali debbano essere si può vedere con faiclità in casi semplici. Ora diventa naturalmente un problema che riguarda le forze in gioco con ciascuno dei due sistemi. Assumiamo che non ci sono forze in gioco. Per semplicità porremo che la massa di ciascuno sia uguale e la indichiamo con m. Allora nel modello classico gli impulsi p e P dovrebbero rimanere costanti, poiché sono ancora le masse moltiplicate le velocità e le coordinate all’istante t, che saranno distinte con il pedice t, qt, Qt , verrebbero calcolate da quelle iniziali, che d’ora innanzi indichiamo con q, Q, così: qt p q t, Qt m Q P m t Parliamo prima del sistema piccolo. Il modo più naturale di descriverlo dal punto di vista classico all’istante t è in termini di coordinate e impulsi in questo istante, cioè, in termini di q_t e p. Ma si può porcedere in modo diverso. Al posto di q_t uno può specificare q. Anche esso è una “parte determinante all’istante t” e davvero in ogni istante t e di fatti una parte che non cambia col tempo. Questo fatto è analogo al modo in cui io posso specificare una certa parte determinante della mia persona, per esempio la mia età, o attraverso il numero 48, che cambia col tempo e nel sistema corrisponde a specificare q_t, o attraverso il numero 1887, che è normale nei documenti e che corrisponde a specificare q. Ora secondo la precedente: q p qt m t Analogamente per il secondo sistema. Perciò noi prendiamo come parti determinanti per il primo sistema qt e p t m p per il secondo sistema Qt e P t m P. Il vantaggio è che fra questi va avanti indefinitamente lo stesso entanglement: qt p p m P t P Qt m t oppure risolto: qt Qt p P Qt 2 P 2 m t . Cosicché quello che cambia nel tempo è proprio questo: la coordinata del sistema “piccolo” non viene accertata semplicemente con una misura di coordinata sul sistema ausiliario, ma piuttosto con una misura dell’aggregato P m t . Qui comunque uno non deve farsi l’idea che forse misura Q_t e P, perché non funziona così. Piuttosto uno deve supporre, come deve sempre supporre in Meccanica Quantistica, che c’è un processo di misura diretto per questo aggregato. Eccetto per questo mutamento, ogni cosa detta nella dodicesima e tredicesima sezione si applica ad ogni istante di tempo; in particolare esiste in tutti gli istanti l’entanglement biunivoco con tutte le variabili insieme a questa perversa conseguenza. Sarebbe ancora lo stesso modo se all’interno di ciascun sistema agisse una forza, eccetto che allora che q_t e p sarebberero intrecciate con combinazioni molto più complicate di Q_t e P. Ho spiegato brevemente tutto ciò per poter fare le seguenti considerazioni. Che l’entanglement debba cammbiare col tempo ci rende dopottutto un po’ pensierosi. Forse che, affinché siano fatte valere le non gradite conseguenze, tutte le misure di cui stiamo discutendo debbano essere completate in un tempo brevissimo, in realtà istantaneo, in un tempo nullo? Potrebbe essere bandito questo fantasma riferendoci al fatto che le misure impiegano un certo tempo? No. Per ciascun singolo esperimento uno ha bisogno di solo una misura su ciascun sistema; importa solo quella verginale, tutte le altre successive esclusa questa sarebbero senza effetto. Quanto possa durare la misura non ci deve perciò interessare, poiché non ne abbiamo una seconda susseguente. Uno deve essere puramente capace di così disporre le due misure verginali che forniscono i valori delle variabili per lo stesso definito istante temporale, a noi noto in anticipo: noto in anticipo, perché dopottutto dobbiamo indirizzare le misure alla coppia di variabili che sono intrecciate dall’entanglement proprio in quell’istante. 15. Legge Naturale o Strumento di Calcolo? Che il “tempo acuto” sia un’anomalia in meccanica quantistica e che inoltre, più o meno indipendente da questo, lo speciale trattamento del tempo formi un serio ostacolo per adattare la meccanica quantistica al principio di relatività è qualcosa che negli ultimi anni io ho cercato di sollevare più e più volte, sfortunatamente senza essere capace di vedere neppure l’ombra di una utile ipotesi di lavoro. In un panorama dell’intera situazione contemporanea, come ho cercato di schizzare qui, si aggiunge per sovrammercato un genere di nota del tutto differente in relazione alla così ardentemente cercata, ma non ancora raggiunta, “relativizzazione” della meccanica quantistica. La rimarchevole teoria della misura, l’apparente saltare da tutte le parti della funzione psi e infine le “antinomie da entanglement”, tutto deriva dalla maniera semplice con cui i metodi di calcolo della meccanica quantistica permettono a due sistemi separati concettualmente di essere combinati assieme in uno solo; cosa per la quale i metodi sembrano pianamente predestinati. Quando due sistemi interagiscono, le loro funzioni psi, come abbiamo visto, non entrano in interazione, ma piuttosto cessano improvvisamente di esistere e prende il loro posto una singola funzione psi che rappresenta i sistemi combinati. Ciò consiste, per menzionarlo brevemente, dapprima semplicemente nel prodotto delle due funzioni individuali; il quale, poiché ciascuna funzione dipende da variabili l’una completamente differente dall’altra, è una funzione di tutte queste variabili, ovvero “agisce in uno spazio di un numero di dimensioni più grande” dello spazio in cui agivano le singole funzioni dei sistemi prima dell’interazione. Non appena i sistemi cominciano a interagire, la funzione combinata cessa di essere un prodotto e inoltre non si divide ulteriormente, non appena i due sistemi si sono di nuovo separati, in fattori che si possano assegnare individualmente ai singoli sistemi. Così si ha a disposizione momentaneamente (finché l’entanglement non si risolve tramite una reale osservazione) di solo una descrizione comune dei due sistemi nello spazio a dimensioni più alte. Questa è la ragione per cui la conoscenza dei sistemi individuali può declinare verso il più scarso o persino a zero, mentre la conoscenza del sistema composto rimane con continuità massimale. La conoscenza migliore possibile di un tutto non include la conoscenza migliore possibile delle sue parti e questo è ciò che continua a tornare indietro, come un fantasma, a perseguitarci. Chiunque rifletta su questo deve dopo tutto trovarsi molto pensieroso per il seguente fatto: l’unione concettuale di due o più sistemi in uno incontra grandi difficoltà non appena cerca di introdurre il principio della relatività ristretta in meccanica quantistica. Già sette anni fa P.A.M. Dirac trovò una impressionante soluzione relativistica semplice ed elegante al problema di un singolo elettrone. Una serie di conferme sperimentali, caratterizzate dalle parole chiave spin elettronico, elettrone positivo e creazione di coppia possono togliere ogni dubbio alla correttezza di fondo della soluzione. Ma in primo luogo essa tuttavia trascende molto fortemente il piano concettuale della meccanica quantistica (che io ho tentato di rappresentare qui ) e in secondo luogo uno si imbatte in una resistenza tenace cerca di andare oltre, secondo il prototipo della teoria non relativista, dalla soluzione di Dirac al problema di molti elettroni. (Questo mostra di colpo che la soluzione giace all’esterno del piano generale, nel quale, come menzionato, la combinazione di sottosistemi è estremamente semplice). Non presumo che siano sufficienti i tentativi che sono stati fatti in questa direzione. Che essi (qui Schroedinger si sta riferendo ai lavori di Breit del 1929, di Moeller del 1931, di Dirac del 1932 e 1934, di Peierls del 1934, di Heisenberg del 1934) abbiano raggiunto la meta lo metto in dubbio, prima di tutto perché gli stessi autori non hanno rivendicato tale risultato. Il problema si erge intrattabile allo stesso modo per un altro sistema, il campo elettromagnetico. Le sue leggi sono “la relatività personificata”, essendo in generale impossibile un trattamento non relativistico. Ancora, fu questo campo, che nei termini del modello classico della radiazione termica fornì il primo pertugio alla teoria quantistica e fu il primo sistema ad essere “quantizzato”. Che questo potette essere fatto con mezzi semplici proviene dal fatto che qui le cose sono un pochino più facili, in quanto i fotoni, gli “atomi di luce”, in generale non intergiscono direttamente l’uno con l’altro, ma solo attraverso particelle cariche [ma questo vale, probabilmente, solo in prima approssimazione vedi i lavori di Born e Infeld del 1934 e 1935. Questo è uno dei più recenti risultati dell’elettrodinamica quantistica.]. Ad oggi non abbiamo ancora una vera non controversa teoria quantistica del campo elettromagnetico. Uno può fare una lunga strada nel costruire dei sottosistemi (la teoria della luce di Dirac), che però non ha ancora raggiunto del tutto la meta. I miei più calorosi ringraziamenti alle Industrie Chimiche Imperiali di Londra per l’agio fornito per scrivere questo articolo. Erwin Schroedinger fine della traduzione :-) Orleo P.S.: mi è parso opportuno iniziare il tema della Meccanica Quantistica con questo bello e famoso articolo di Schroedinger. Adesso continueremo la trattazione della Meccanica Quantistica più in dettaglio. Mi piacerebbe seguire l’impostazione data da Dirac, che mi è più congeniale, però ho pensato che sia forse più adeguato seguire una via diciamo meno astratta e più fenomenologica, per cui comincerò dall’impostazione data nell’ordine dal Pauling e Wilson, dal filone americano, dal Messiah, dal Landau e per finire da Dirac.