A cura del Dipartimento di Evangelizzazione Ucebi - sezione musica L’inno strumento di predicazione Q uesto è il tempo dove per insicurezza, per mancanza di punti fermi, per paura che la nostra storia, o la nostra identità sia spazzata via, dalla globalizzazione di un mondo in movimento, si cerca disperatamente di ricercare le nostre radici, ci si volta indietro per vedere il cammino che abbiamo tracciato, e nel fare questo ci attardiamo e perdiamo quel treno carico di nuovi imput di immagini che forse non ci appartengono, ma che però faranno parte ogni giorno di più del nostro quotidiano e diventeranno la nostra storia. Trovare un equilibrio tra quello che eravamo, quello che siamo e quello che diventeremo diventa sempre più difficile. Perché vi sto parlando di questo? Il motivo è semplice, sempre più spesso, quando si partecipa ad un culto, ci si trova, a seconda della comunità che si frequenta, senza punti di riferimento. Mancano insomma quei segni identitari che per anni ci hanno dato quel senso d’appartenenza, e quali sono: i canti, appunto, la musica, il modo di porgere il messaggio, il come la comunità partecipa e ne è parte integrante. Ho premesso che viviamo in un tempo ricco di storie, di costumi, di tradizioni e di culture le più diverse, non possiamo far finta di niente, è inevitabile che anche il nostro modo di esprimere la fede si dovrà modificare in base ai tempi, quindi se il passaggio in ambito musicale sarà dal corale luterano al gospel o ai canti della tradizione più spiritual-evangelica che ci viene dai fratelli e sorelle provenienti da altri Paesi, questo non ci autorizza a fare del momento cantato-musicale uno spazio a se stante al di fuori del testo che sarà meditato e spiegato nel culto, ma, proprio come ci insegnano i salmi di Davide e come la più antica tradizione riformata ci ha tramandato, l’inno oltre ad essere l’espressione di gioia, che una comunità esprime nel trovarsi insieme, è predicazione, è lode, ringraziamento, confessione di peccato, richiesta di perdono, è denuncia della nostra miseria ed è parte portante ed integrante della Parola predicata. Lo sforzo che forse si dovrebbe cercare di fare è rendere più adulto l’intervento dell’inno nelle nostre medi- tazioni, più appropriato, meno banale. Con la musica il messaggio dell’evangelo corre veloce, proprio perché aiutato dalla melodia; non affidiamo alle note che danzano sul pentagramma parole inutili, facciamoci ispirare dai testi biblici, facendo uno sforzo a non banalizzare il contenuto di un inno perché anch’esso è parte del messaggio che vogliamo annunciare. Purtroppo non sempre le nuove composizioni innologiche esprimono un pensiero evangelico e teologico che ci fa essere fedeli alla Parola. Mi rendo conto che non è facile, ma dobbiamo fare molta attenzione, perché proprio attraverso il canto, che è il veicolo più fluido per far passare un pensiero ed un messaggio, rischiamo di predicare una fede che non ci appartiene e un Padre che non conosciamo. La responsabilità per un compositore e paroliere di inni è molto grande, il cantautore evangelico, ha un compito molto arduo e che non deve sottovalutare, perché rischia di far passare dei concetti che non hanno alcun fondamento con il messaggio evangelico insegnatoci da Gesù Cristo. Elisa Baglieri Marzo 2006 Su questo numero: Articoli di apertura • Come lodare il Signore? • Le armonie del tempo • Dal sacro al profano e viceversa Rubriche • Il criterio dell'inclusività • L'apostolo Paolo nel coro • Musicisti ieri e oggi: Debora Russo Finestra delle composizioni • Musica e musiche Animazione musicale nella liturgia Come lodare il Signore? che bloccano lo sviluppo mentale e spirituale della personalità. Allora niente culti di lode? Ovviamente no; la lode è un ambito fondamentale della nostra fede che esprime la nostra disposizione umile di fronte a Dio. Mentre il ringraziamento si esprime per qualcosa, la lode è indipendente da un oggetto, o un atto specifico. Si loda, perché Dio è Dio e anche se mi sento afflitto e colpito da lui, la mia lode si può innalzare indipendentemente. Pochi modi di preghiera riconoscono in una forma così perentoria la nostra piccolezza di fronte alla Sua divinità. La soluzione potrebbe quindi consistere in un amalgamento di vari elementi nel culto? Herbert Anders Prima, alcune domande: perché manifestare una certa cautela nei confronti dei culti di lode? Conosco i culti di lode principalmente dagli ambiti carismatici, in cui sono collegati con stati euforici della comunità che celebra. A mio avviso un culto di lode deve essere molto di più che esprimere “emozioni”. Se fosse soltanto una domanda di stare bene nel culto secondo lo slogan “let’s have a good time” (trascorrere un tempo di piacere)”, allora si creerebbe un’ora domenicale di entusiasmo che però, appena messo il piede fuori, svanirebbe. In questa logica della lode si sta bene in chiesa, mentre fuori di essa c’è soltanto bruttezza e cattiveria. Si crea un fuori e un dentro e la chiesa diventa un luogo appartato, in cui uno si può rifugiare per segregarsi dalla realtà quotidiana. Questo favorisce lo sviluppo chiuso di chiese che non hanno più alcun contatto con la realtà nella quale Gesù Cristo le ha chiamate. A lungo andare si possono installare veri e propri meccanismi di dipendenza da questa fonte di pie emozioni Credo che varrebbe la pena sviluppare dei tentativi in questa direzione. Nei nostri culti, in cui gli elementi emotivi ci imbarazzano, si tratterebbe di acquistare delle modalità che creano un clima di sicurezza in cui possiamo trovare il coraggio di coinvolgerci anche emotivamente. Il canto costituisce in questo un’opportunità senza paragoni. Ma anziché richiedere, pretendere un canto e un ballo come lo vediamo nelle chiese nere, dobbiamo avvicinarci con degli elementi che ci sono più conosciuti. Imparare, nella situazione di un maestro che insegna all’assemblea, è una modalità consone alle nostre aspettative ad un culto. Formare una corale a più voci, o imparare qualche movimento deve però anche essere collegato ad un ragionamento del perché. Solo per “have a good time” non basta per le nostre teste teologicamente allerta. Per far onore alla tradizione o per comunicare meglio i contenuti del canto, sono argomenti che passano con maggior facilità i controlli della nostra coscienza spirituale. Infine, nell’ottica delle affermazioni appena fatte, Herbert propone nella pagina seguente un esempio concreto di liturgia della lode. 1. Ingresso con lode 2. Invocazione canti: Cantiamo un canto nuovo, n. 11 dal Cantate al Signore (Fcei, 2000) Immensa grazia, n. 48 dall’Innario Cristiano (Fcei, 2000)/ 1-3 strofe lettrice: Benedetto è il sito, e la casa, e il luogo, e la città, e il cuore, e la montagna, e il rifugio, e la caverna, e la valle, e la terra, e il mare, e l’isola, e il prato dove è stato fatto cenno di Dio e la Sua lode è stata innalzata. canto: Lode all’Altissimo, n. 169 dall’Innario Cristiano (Fcei, 2000)/ 1-3 strofe 3. I commento: pastore/ra: “Perché lodare Iddio?” è stata la mia domanda spontanea quando abbiamo insieme preparato questo culto. Nei nostri canti l’abbiamo lodato per il creato - il creato: ma il mondo, non c’è dubbio, si è formato in un processo di evoluzione degli elementi primordiali - tutto Egli donaci: forza, benessere. Ma la mia esperienza quotidiana prende latte e miele, i due doni proverbiali di Dio, dal supermercato - tutto Egli donaci: la vita. Ma la scienza mi dice che la mia esistenza è frutto dell’ingranaggio di ormoni con processi biologici: la mia vita proviene dalla moltiplicazione delle cellule. - per la misericordia e l’amore a noi donato. Ma la mia vita è esposta a miseria, depressione, malattia. • pausa • benessere lettrice: dal Salmo 147: Lodi il Signore! Perché Egli mantiene la pace entro i tuoi confini, ti sazia con frumento scelto. Egli guarisce chi ha il cuore spezzato e fascia le loro piaghe. Egli dà il cibo al bestiame e ai piccini dei corvi, quando gridano. Sì, è cosa buona salmeggiare al nostro Dio; è cosa dolce, e la lode si addice a Lui. 4. II commento: pastore/ra: “Perché lodare Iddio?” L’ultima parte del salterio ne dà alcune ragioni: lodiamo Iddio perché Egli ci ha soccorso, Egli ci ha liberato. lettrice: dal Salmo 148: Alleluia. Lodate il Signore dai cieli; lodatelo nei luoghi altissimi! Lodatelo, voi tutti i suoi angeli; lodatelo, voi tutti suoi eserciti! Lodatelo, sole e luna; lodatelo voi tutte, stelle lucenti! Lodatelo, cieli dei cieli, e voi acque al di sopra dei cieli! Tutte queste cose lodino il nome del Signore, perché Egli comandò e furono create. canto (seduti): Cantiamo un canto nuovo, solo ritornello 6. IV commento: pastore/ra: “Perché lodare Iddio?” Lodiamo Iddio perché Egli è Dio sopra tutte le creature e tutto il creato. lettrice: dal Salmo 146: Alleluia, anima mia, loda il Signore! Il Signore libera i prigionieri, Il Signore apre gli occhi ai ciechi, Il Signore rialza gli oppressi, Il Signore ama i giusti, Il Signore protegge i forestieri, sostenta l’orfano e la vedova. Io loderò il Signore finché vivrò. canto (seduti): Cantiamo un canto nuovo, solo ritornello 7. V commento: pastore/ra: “Perché lodare Iddio?” Lodiamo Iddio perché: - perché crediamo in una dimensione ed una forza di creazione che abbracci i processi di evoluzione - perché sappiamo che forza, benessere e vita sono agenti dell’esistenza che non dipendano dalla nostra canto (seduti): Cantiamo un canto nuovo, solo ritornello 5. III commento: pastore/ra: “Perché lodare Iddio?” Lodiamo Iddio perché Egli ha a cuore il nostro forza di acquisto, non dal benessere del PIL e neanche dalla vitalità degli ovuli e spermatozoi: - perché abbiamo sperimentato a vari punti della nostra vita che il suo amore per noi ci libera dall’angoscia; Noi lodiamo Iddio perché Egli nel suo figlio si è rivelato essere la Via, la Verità e la Vita. canto: Gloria, gloria. gloria, n. 80 dal Cantate al Signore (Fcei, 2000) Le armonie del tempo La musica è temporalità, memoria e ritmo Deborah D’Auria completa e il dolore mai ineluttabile, una situazione che non può che rinviare alla dimensione di riscatto e di fede ebraica nella fiducia in un futuro migliore che non viene annullata, nella speranza di un tempo messianico in cui si vivrà pienamente godendo degli attributi di libertà, pace, giustizia e misericordia. Non posso tacere, i nomi di musicisti ebrei come N el numero precedente, nel mio articolo intitolato: Le musiche e il canto nell’esilio, sottolineo come dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., la musica e il canto della tradizione ebraica seguono il necessario rimodularsi della vita religiosa, cultuale, culturale delle comunità ebraiche in esilio. In particolare, la sinagoga in quanto luogo di studio e di preghiera, porta con sé la nascita di un nuovo modo di fare musica che attraversa l’intera storia della diaspora. Concludo dunque il nostro cammino con questa terza parte. Cominciamo col dire che vi è un vastissimo repertorio di canti su testi poetici non liturgici di matrice ashkenazita in lingua Yiddish individuabili nelle regioni del Nord e dell’Est d’Europa. In essi frequenti sono i temi legati alla famiglia e alla casa, alla povertà e al dolore delle persecuzioni e dell’esilio, che si arricchiranno in un secondo momento anche di canti di protesta sociale contro lo sfruttamento e le condizioni di miseria in cui versavano le classi operaie in Russia e in Polonia. Accanto ad essi, occupano un ruolo importante, i canti della tradizione sefardita, di origine spagnola che si sono diffusi dopo la cacciata dalla Spagna, in tutto il Bacino del Mediterraneo e che cantano l’amore felice o infelice, la bellezza della natura, delle stagioni, del sole e delle stelle tutti doni ricevuti da Dio. Ciò che traspare tra le righe sia dai canti sefarditi che da quelli ashkenaziti è che la gioia non è mai Schönberg Mahler Meyerbeer Mendelssohn Offenbach, per citarne solo alcuni. Ma la lista di musicisti, compositori, esecutori e musicologi ebrei, è lunghissima basti pensare che l’Enciclopedia Judaica dedica quasi trenta pagine all’elencazione di questi nomi. Nell’avviarmi alla conclusione, non può essere dimenticata, sia pure sfiorando semplicemente il discorso, la relazione privilegiata che la musica ebraica ha con il tempo. La vita religiosa ebraica è scandita da ritmi ben precisi che ne costituiscono l’essenza, l’anima, il suo significato più profondo, ed anche la musica è temporalità, memoria e ritmo. Abraham Joshua Heschel, ne “La terra è del Signore. Il mondo interiore dell’ebreo in Europa orientale” parla di “musica delle azioni” per indicare che la musica sta nell’uomo stesso, non è una sua creazione in senso stretto, la musica è la sua vita, è il ritmo interiore ed esteriore che scandisce il suo comportamento, è il tempo che prende forma e viene afferrato senza essere lasciato al suo potere di distruzione e di oblìo. Un tempo che si riferisce alla quotidianità, all’esserci fino in fondo con il proprio nefesh, per usare un termine ebraico, con il quale si esprime la totalità della propria persona, un tempo che libera dall’angoscia del limite umano di fronte alla arditezza di grandi progetti che si fanno per un tempo futuro, e che in quanto tali per l’appunto inafferrabili. Tra le cose a me più care che sono sulla mia scrivania c’è un piccolo rebbe di vetro, che mi è stato regalato di recente. Dalla foto eccovi la descrizione: un paio d’occhiali poggiano sul lungo naso, i tipici riccioli incorniciano con la lunga barba la bella faccia simpatica ed è stato realizzato dall’artista nell’atto di suonare un violino. Continuo a guardarlo e solo adesso mi accorgo del grande messaggio di cui è portatore, il mio piccolo rebbe parla e mi ricorda anch’egli di una musica delle azioni, la musica della vita che dev’essere suonata da ciascun uomo e ciascuna donna, in ogni tempo per tutta la durata della nostra esistenza in questo mondo. Una melodia che canta nella libertà, in un susseguirsi di note che siamo noi, con le nostre storie, i nostri tempi, le nostre pause. Una melodia che si svolge su un unico pentagramma che è la storia di Dio con l’umanità che non avrà mai fine, ma sempre nuovi inizi. Piccolo glossario Lingua yiddish – È la lingua parlata dagli ebrei dell’Europa orientale. È un misto di antico alto tedesco, ebraico e lingue slave. Si scrive con caratteri ebraici. Sefarad – Nome con cui veniva designata l’attuale regione della Spagna. Ashkenaz – È il nome con cui veniva designata la regione che oggi è identificabile con l’attuale Germania. Rebbe – È il nome in yiddish di Rabbi. Pensieri: Ciò che Dio vide Dio vide che il Cielo e la Terra erano gelosi l’uno dell’altra: pertanto creò l’umanità a partire dalla Terra e la sua anima a partire dal Cielo. Tratto da : Racconti dello YiddishLand Ben Zimet Garzanti 2001 L’Animazione musicale: dal sacro al profano e viceversa L’esperienza dell’anima in azione con la musica - II Antonio Celano sesso, provenienza, formazione). Questa eterogeneità garantisce di solito una inusuale ricchezza e produttività dei gruppi. Gruppi omogenei andranno poi costituiti per attività specifiche e su competenze speciali. • Qual è il rapporto che una buona programmazio- II puntata e finale a cura di Antonio Celano, operatore socioculturale. Carlo Lella lo intervista. • Dunque Antonio, dopo una carrellata di alcuni principi “generali” enunciati nella I parte, in Musica nella liturgia di giugno 2005, potresti indirizzarci verso l’atto, probabilmente più importante, cioè quello della programmazione? Di solito più che un programma predefinito abbiamo dei nuclei di attività attorno ai quali costruiamo percorsi flessibili e approfondimenti richiesti. Ogni membro dell’équipe di conduzione porta una serie di proposte in alcuni incontri di programmazione, le discute, le mette a punto, e cerca i nessi con le proposte altrui. Si verifica la pertinenza con finalità ed obiettivi del progetto, si provano alcune proposte e attività, ci si procurano i materiali occorrenti e lo strumentario da utilizzare. Si articolano le varie giornate di lavoro diversificando le attività e possibilmente gli ambienti di lavoro. Una cura particolare diamo a questi ultimi poiché molti comportamenti problematici ci risultano facilmente abbordabili con cambiamenti operati sull’ambiente più che richiedere cambiamenti alle persone, ma questo mi risulta difficile da spiegare in una breve intervista. Il nostro ambiente di lavoro ha molto di un setting terapeutico e niente di improvvisato anche quando ha per oggetto una improvvisazione musicale di gruppo. C’è, come puoi immaginare, una attenzione particolare alla durata di una proposta, ai tempi di ognuno, al livello di difficoltà della proposta. Ci si documenta sui partecipanti e le esperienze già fatte. Si predispongono dei gruppi di riferimento formati, in genere, in base ad un criterio di eterogeneità (diversità per età, ne, e l’animazione che ne scaturisce, determina fra i gruppi e gli individui? Apprendere in uno stato di benessere aiuta a situarsi meglio rispetto al gruppo di lavoro e alle esperienze quotidiane. Un lavoro ben guidato dà fiducia nelle proprie e altrui possibilità. Si ricomincia a esplorare il mondo in modo più flessibile, si amplia la propria mappa del mondo, si prova cos’è la democrazia degli affetti. Non è escluso che una persona vada in crisi e soffra per la sua inadeguatezza. E’ ovvio che nostro compito non è mandare in crisi le persone. Faremo il possibile per accompagnarle ascoltando, facilitando con i mezzi che la nostra professione ci mette a disposizione. Un fatto è certo, però, l’apprendimento è favorito da buone relazioni. Sono le relazioni significative che scandiscono i nostri processi di crescita. • Possiamo dunque passare ad illustrare concreta- che avrebbe previsto l’uso di vari linguaggi espressivi, soprattutto di tipo non verbale. Poi abbiamo chiesto che negli incontri di formazione ci fossero non solo gli animatori, che avrebbero avuto in carico i bambini per le attività , ma anche gli organizzatori, i dirigenti delle associazioni di volontariato, amministratori dei comuni ospitanti, religiosi, rappresentanti delle famiglie italiane ospitanti ed altre persone coinvolte a vario titolo nell’esperienza. Questo è un importante elemento di metodo che permette di mobilitare le risorse importanti a disposizione e utilizzarle nelle attività di formazione. Per il lavoro che vi accingete a fare sarebbe interessante coinvolgere persone provenienti da comunità diverse, anche dall’estero se possibile, in modo da avere un gruppo eterogeneo e ricco. Trovo questo molto più efficace che fare un lavoro rivolto ad animatori di una singola comunità che in qualche modo già si conoscono e vivono dinamiche relazionali consolidate. Il gruppo eterogeneo per provenienza territoriale, per formazione e per ruoli, consente una pluralità di scambi e possibilità nuove per i partecipanti sicuramente più del gruppo omogeneo che risulta in genere apparentemente più produttivo nell’immediato perchè più affiatato. Chi propone a chi? Gruppo eterogeneo di conduzione e gruppo eterogeneo di partecipanti è un buon principio metodologico. Vedrei per un buon gruppo di conduzione di uno stage musicale almeno tre o quattro persone con competenze in ambito musicale, psicologico, pedagogico, motorio ed artistico. Esagerato? Non credo.Tu mi chiedi giustamente cosa fare, pensando evidentemente ai contenuti. Il problema dei contenuti è relativamente semplice. Sapendo bene a chi ci si rivolge non sarà difficile individuare quei nuclei di attività che ho già citato. Questi nuclei dovranno evidentemente coprire un largo spettro di proposte che mettano le persone in grado di provare molteplici attività, se si tratta di uno stage di base o se si propone uno stage specifico su una singo- mente “il come si fa” una programmazione raccontando una tua esperienza significativa di “animazione”? Da dove partire, immaginando che siamo un gruppo di lavoro che si incontra con te, quali strumenti dovremmo usare, quali errori andrebbero evitati o come rimediare…insomma un piccolo contributo metodologico che sarà utilissimo prima dei laboratori che stiamo progettando per la prima settimana di settembre 2006. Carl Rogers (1) riteneva che una équipe, quando si accinge a fare un lavoro di tipo residenziale con gruppi, non debba far niente di particolare nei giorni che precedono l’inizio; bisogna stare insieme e stare bene senza farsi prendere dall’ansia e senza darsi compiti dettagliati. Dal punto di vista psicologico, bisogna prepararsi ad un incontro importante accogliendo le emozioni che ci attraversano e capendone la natura. Mi chiedi di raccontare una esperienza significativa. Ci provo, pensando a una esperienza che, alcuni anni fa, ho condotto con animatori che avrebbero accolto successivamente gruppi di bambini provenienti da Cernobyl per motivi di salute. Era particolarmente stimolante l’incontro con un’altra cultura e diventava importante il cosa proporre, i contenuti, oltre al metodo. Dunque, cosa fare? Innanzitutto integrare, arricchire il gruppo di conduzione in funzione di un programma 10 musicale o altro. Comunque una attività che vede subito tutti al lavoro. Questa prima fase la chiamiamo di “attivazione” ed è molto importante perché deve risultare alla portata di tutti e deve fornire le prime informazioni preziose sul livello di competenza musicale e motoria. Ho partecipato a gruppi in cui questo primo momento è risultato di grande espressività. Alcuni gruppi teatrali e musicali quando cominciano a lavorare fanno proprio cose di questo tipo. la attività. Un animatore musicale dovrebbe a mio parere avere dimestichezza con vari strumenti, col canto ed il movimento senza essere necessariamente uno strumentista. Nella esperienza di cui ho cominciato a parlare i partecipanti erano molto preoccupati per la lingua che avrebbero usato coi bambini di Cernobyl. Noi abbiamo proposto alcune semplici attività: canti, danze, giochi, con una attenzione particolare agli aspetti del proporre utilizzando poche parole e focalizzando l’attenzione sulla gestualità, pantomima, teatralità del conduttore. Comunicare con la musica è diventato gradualmente necessario e liberante disponendo meglio tutti al lavoro futuro. A questo punto posso descrivere un incontro tipo praticato. Di solito è diviso in tre parti a prescindere dal tempo disponibile. Dunque accoglienza, attivazione, riscaldamento nella prima parte. Ogni inizio d’incontro dovrà essere così strutturato, ricordandosi che l’accogliere non si limita al primo incontro in cui ci si presenta. Ho visto animatori, anche bravi, dimenticare totalmente questo aspetto. Un buon inizio è spesso determinante per la tenuta del lavoro successivo. Varianti di queste proposte iniziali possono essere delle camminate ritmiche proposte a turno da ognuno, camminate strambe, accelerandi, camminate con vocalizzi, saluti cantati e suonati, saluti di tipo teatrale. Non c’è ovviamente una successione rigida o una durata standard di queste attività . Bisogna ogni volta capire cosa accade e dare un legame significativo ad ogni scansione successiva. Il conduttore può partecipare a questa ricerca ed esplorazione oppure osservare. Quando si è certi che il gruppo possa viaggiare sicuro, l’inizio può anche prevedere una attività più strutturata e guidata centrata su apprendimenti specifici (un canto, una danza) o partire con una improvvisazione utilizzando tutto lo strumentario. Importante è assicurarsi che ci sia partecipazione libera e creativa, senza imposizioni e ruoli rigidamente assegnati. Una breve riflessione del gruppo chiuderà questa prima parte senza che l’équipe si dilunghi in chiarimenti, spiegazioni spesso inutili. Le scoperte importanti verranno comunicate al gruppo quando ognuno sente di farlo senza l’ obbligo di dover riferire sui vissuti. Il resto verrà gradualmente . II parte: lavoro in coppie, triadi o piccolo gruppo. Si lavora in ambienti separati e di solito la proposta consiste in un invito a creare, in un certo tempo, un prodotto da presentare al grande gruppo. Può trattarsi di I Parte: dopo l’ attenta predisposizione degli ambienti di lavoro (una sala grande ed alcune più piccole per i lavori di gruppo), strumenti ed altri materiali occorrenti, gli animatori accolgono i partecipanti e non arriva all’ultimo momento o in ritardo come si usa nei convegni o all’università. L’equipe dà brevi informazioni organizzative e logistiche, dopodichè si passa subito alla prima proposta di lavoro. Una attività semplice, di grande gruppo, e di tipo motorio e musicale, che scioglie le tensioni e allontana l’ansia. Può essere una semplice camminata su musiche diverse, un gioco 11 una creazione con strumenti scelti o assegnati dal conduttore, di una coreografia, di un rito, un canto su un tema specifico assegnato, o di una improvvisazione musicale e motoria. E qui devo aggiungere che all’improvvisazione a volte dedichiamo molto spazio, dando la possibilità ad ogni gruppo di lavorare con osservatori che hanno il compito di descrivere, discutere quello che hanno visto ed ascoltato analizzando i molteplici aspetti di una produzione e la complessità delle relazioni in atto. Formarsi attraverso la pratica dell’osservazione è molto importante e produce notevoli cambiamenti nelle persone. Abituarsi ad usare un linguaggio descrittivo, non valutativo è il primo passo. Praticare il non giudizio e il non intervento; situarsi ad una giusta distanza emotiva e fisica; accogliere le emozioni e i sentimenti che ci attraversano mentre osserviamo; imparare a stilare un verbale di osservazione; sono questi, alcuni degli aspetti importanti dell’osservazione praticata con metodo. Questa strutturazione del lavoro non è un vezzo tecnicistico, essa è essenziale in un fare e pensare essenzialmente dialogante e collaborativo; un’impostazione applicabile sia in uno stage di base che in uno di livello avanzato, con bambini e con adulti di culture diverse. A questo proposito il lavoro di alcuni movimenti a dif- fusione mondiale conferma la possibilità di praticare questa metodologia, senza problemi di sorta, in paesi e culture diverse. L’uso di simbolismi, rituali, pratiche naturalmente cambia ma non cambiano gli obiettivi. III parte: ascolto musicale e percezione corporea con utilizzo di materiali vari. Si lavora al suolo su moquette, parquet o stuoie con brani di vario tipo adeguatamente selezionati. Durante l’ascolto si lavora in coppie su singole parti del corpo con alternanza di ruoli. Non si tratta di rilassamento o tecniche orientaleggianti ma di un lavoro essenzialmente relazionale, mediato da musica e materiali vari: foulard, palline, attrezzi vari. Segue una discussione possibilmente maieutica, invitando ad esprimersi su quello che si è appena fatto. In questo modo si evita di parlare a vuoto. I conduttori provano a non utilizzare le cosiddette barriere della comunicazione (dirigere, moraleggiare, giudicare, interpretare, ridicolizzare ecc..), usano l’ascolto attivo, risolvono i conflitti senza che ci siano perdenti, invitano a usare il cosiddetto “linguaggio in prima persona” e danno esempio di gestione democratica dei conflitti e delle differenze di valori. Avrai riconosciuto sicuramente, dal linguaggio che 12 comunicano intensamente e felicemente, i loro corpi sono impegnati in una sorta di sinfonia audio-visivocinetica, in cui la ritmicità, la rispondenza, l’ordine, l’organizzazione prevalgono sulle fluttuazioni causali, sulle turbolenze, sul disordine...I gesti dell’uno vengono ripresi da quelli dell’altro, c’è rispecchiamento nella postura, nel tono, nel tempo- ritmo, c’è empatia (emozione condivisa), frutto di ascolto e calibrazione reciproca (attenzione ai segnali dell’altro), c’è produzione di novità nella concatenazione degli scambi, ovverosia assenza di stereotipie e ripetizione ossessiva; in sintesi, c’è la condivisione di un progetto espressivo (sul versante esterno) e autoesplorativo (sul versante interno).(Mauro Scardovelli “Il dialogo sonoro” ed. Cappelli 1992, pag.44).” A presto, buon lavoro a tutti e a tutte e un grazie per questa opportunità di riflessione comune. sto usando, gli elementi chiave del metodo Gordon (2). Al riguardo aggiungo, avviandomi a chiudere questa chiacchierata, che mi sono fatto promotore e organizzatore nella mia zona , e qui torna l’importanza del legame tra formazione musicale e versante socioculturale, di una serie di corsi Gordon (Genitori efficaci, Insegnanti efficaci, Persone efficaci). A questi laboratori partecipano anche animatori e musicisti che amano fare percorsi di formazione continua e di ricerca lavorando ad un aggiornamento dei principi e metodologie dell’animazione per salvarla dal tritatutto della cultura mediatica e scolastica dominante e tener vivo l’interesse per una cultura musicale democratica. • Come in una bella sinfonia o un gioco di fuochi pirotecnici, puoi offrirci un “gran finale”? Devo deluderti, se ci fossero altre persone con noi in questo momento, chiederei a loro una riflessione finale. Preferisco non concludere io perché mi vengono un bel pò di domande piuttosto che delle conclusioni. Spero che prossimamente tu mi proponga una conversazione a più voci piuttosto che una intervista. Dunque, a proposito di sinfonia, permettimi di affidarmi ad una citazione di uno dei miei maestri. Scrive Scardovelli, noto musicoterapeuta italiano: “Quando due persone (1) Carl Rogers, tra i fondatori della psicologia umanistica ed in particolare del cosiddetto “approccio centrato sulla persona”. (2) Thomas Gordon, psicologo clinico, stretto collaboratore di Rogers, ha messo a punto programmi di training per genitori, insegnanti, leaders, realizzati in tutto il mondo. Nei locali della chiesa battista di Bisaccia 13 Note in musica ogni studio biblico e sempre in preghiera a fianco a fianco ricerchiamo di fare la Sua volontà. Allora perché tanta diversità che non è differenza che s’incontra e dialoga ma individualismo o ‘comunitarismo’ che separa e disperde? Chi ha la gioia di visitare le nostre comunità può notare come si viaggi alle velocità più diverse. Il criterio dell'inclusività Virginia Mariani S e c’è un testo della Bibbia, in verità un intero libro sebbene breve, che mi tormenta ogni volta che penso al suo contenuto evidente e contraddittorio eppure tanto profondo nell’esprimere la contraddittorietà della vita, alla sua struttura inesistente e sfaccettata ma tanto più rivelatrice dell’esistenza umana, al suo messaggio antico e tuttavia così contemporaneo… quello è l’Ecclesiaste: “Tutto è come un soffio di vento: vanità, vanità, tutto è vanità. […] Non c’è niente di nuovo sotto il sole.” Comunità nelle quali a ogni incontro viene presentato un nuovo canto, contemporaneo inglese adattato italiano che sia, senza neanche la possibilità di interiorizzare il precedente; comunità nelle quali ancora non si conosce la banalità, a dire di qualcuno, di un canto perché più o meno consciamente affezionate, sempre a dire di quel qualcuno, al più edificante inno; comunità con proprie raccolte perché scontente del solito e attratte dal nuovo preso un po’ qua e un po’ là, il più delle volte tradotto o trascritto male; comunità tradizionali o tradizionaliste, comunità moderne o postmoderne; comunità ancorate alle proprie origini e comunità al passo con i tempi, ma tutto e sempre per tenere fede alla propria identità. Comunità che, comunque, dovrebbero ripensare, ma dovrebbero riuscire a farlo insieme, sul quel semper reformanda. E che dovrebbero tenere fede a Dio più che a se stesse. Molto dipende dalle comunità ma molto più ancora da chi le guida curandone la crescita spirituale, oltre che numerica, dal senso di appartenenza, dall’ascolto reciproco e dalla collaborazione. Nei miei due interventi precedenti mi sono proposta di riflettere con voi sul ruolo che ha la musica e il canto non soltanto nei nostri incontri, ma anche nella nostra esi- Mi tormenta poiché, pienamente cosciente dell’inutilità degli sforzi umani, mi ostino a credere nei figli e nelle figlie di Dio che ricercano di sapere quale sia la volontà del loro Creatore anche per l’avvenire. E sin dai tempi dei tempi in questo non c’è nulla di nuovo perché fratelli e sorelle in ogni comunità, in ogni culto, in 14 stenza poiché ognuna nella coralità della vita comunitaria esprime se stessa e lì incontra la Parola e rinnova, sentendosi direttamente interpellata, il proprio “Sì!” al Signore e Salvatore Gesù trovando nuovo slancio e ritrovandosi nelle parole di ogni testo letto o cantato così come in ogni preghiera detta o ascoltata. Anche a questo si ispirò il Convegno regionale FDEI svoltosi a Bari il 10 ottobre 2003 il cui tema era “Ama il tuo prossimo come te stessa: dall’esclusione all’inclusività”. I lavori non furono mai pubblicati ma anche l’attuale dibattito su Riforma rende l’argomento ancora molto attuale. Nei lavori di gruppo, infatti, osammo riscrivere preghiere, inni e addirittura testi biblici proponendoci di usare non soltanto la lingua italiana in modo non sessista ma di rispettare il criterio dell’inclusività, condizione imprescindibile di una contemporaneità che ha preso coscienza del valore della differenza che è ricchezza, pluralità, reciprocità, partecipazione. Vi presento, dunque, le proposte di innovazione che riguardano, dato il tempo a disposizione, soltanto alcuni inni tradizionali presenti nell’Innario Cristiano del 2000. • Per tutti gli inni, e non soltanto per i pochi pure presenti nella raccolta (come il n. 255), si propone di scrivere, o semplicemente di ‘pensare’, il maschile e il femminile impiegando la barra. Es: redenti/e; grati/e; ognuno/a; solo/a. Sembra sciocco, oneroso, scomodo, inutile, superfluo, farraginoso, incomprensibile e, per finire, brutto a vedersi (è tutto quello che mi sento dire!) ma non c’è nulla di male nel comunicare, e prima ancora nello spiegare, a chi sta leggendo che è offerta la possibilità di scegliere una delle due versioni in modo da sentire anche nel canto un po’ più vicino il testo e non per questo sentire di allontanarsi dalla comunione con il fratello o con la sorella o, addirittura, con Dio (che avesse avuto in mente il tipo di unità che abbiamo noi avrebbe previsto un altro tipo di Creazione!) • Inno 71 “Innalziam, fratelli, il canto” Nel primo rigo della prima strofa si propone di sostituire “fratelli” con “insieme”; “Innalziam” diventerebbe “Innalziamo”. 15 • Inno 134 “Padre, alla Chiesa universale” Si propone di sostituire nella prima strofa “i figli tuoi” con “il tuo popolo”: “Da il tuo popolo nel mondo”. • Inno 239 “Cantiam, cantiam a Dio” Nella prima strofa si propone di sostituire “l’uom” con “noi”: “Il Mansueto, il Pio dal ciel per noi discese”. • Inno 335 “Il Regno tuo, Signor nel mondo venga” Si propone di sostituire nella terza e nella quarta strofa “l’uomo” con “ci”: “dell’avversario la potenza aumenta, che ci assale con furor mortal.” e “Contro ogni mal che ci opprime e strazia”. 16 Si sa che ci sono problemi teologici e di traduzione, ma sappiamo pure che in quanto esseri finiti non riusciamo a esprimere totalmente i nostri pensieri, le nostre emozioni e la complessità del nostro rapporto con Dio: la perfezione non è di questo mondo e non dico nulla di nuovo! Questo, però, ci invita a ricercare e sperimentare sempre nuove forme e nuovi contenuti per raccontare ogni giorno la nostra esistenza in Cristo e per dare lode, fuori da qualsivoglia vanità personale, al nostro Signore! 17 L’apostolo Paolo nel coro zionano bene, ma se un organo è malato tutto il corpo finisce per entrare in sofferenza. La cosa più interessante in questo paragone è l’idea che, mentre il corpo è uno, le membra sono tante e diversificate, ma tutte concorrono con la propria funzione specifica al bene del corpo. Così è, dice Paolo, anche nella chiesa dove ci sono apostoli, profeti, dottori, guaritori, interpreti ecc... Qualcosa di analogo si può dire anche per un coro: in esso non tutti sono soprani o tenori o bassi; se ci sono strumentisti ognuno concorre all’insieme col proprio strumento formando con le voci un insieme armonico e (si spera) armonioso. Ci sono inoltre in un coro altre funzioni: quella importan- Ferruccio Corsani “Ci sono molte membra, ma c’è un unico corpo;” “Vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito” Abbiamo nel nostro paese un discreto numero di cori e corali: dalle tradizionali corali delle Valli Valdesi, risalenti all’incirca all’inizio del secolo scorso, ai cori di diverse comunità battiste, metodiste e valdesi oltre che di altre denominazioni evangeliche; possiamo ad essi aggiungere i cori delle comunità di fratelli e sorelle che provengono da varie parti del mondo. Cori, corali...ma che cos’è una corale? tissima del direttore, poi, se c’è un fondo cassa, del tesoriere, un archivista per tenere in bell’ordine gli spartiti, e magari un presidente che diriga e coordini le varie attività. La Corale è dunque in un certo senso la parabola vivente di un “corpo” ricco di doni vari, in cui ognuno svolge in spirito di servizio la propria funzione per il bene del sodalizio e per metterlo in grado di attuare con efficacia l’azione collettiva di insegnamento, di diletto, di edificazione, di evangelizzazione. Ciò va fatto con senso di responsabilità e, come dice Paolo, con semplicità, diligenza e con gioia “secondo la grazia che ci è stata concessa”. Letture: I Corinzi 12, 12-20; 26-31 Romani 12, 4-7 Ci sono tre risposte, egualmente valide e complementari fra loro. La prima: è un gruppo di amici con interesse comune e che si trovano bene insieme. La seconda: è un sodalizio di persone appassionate per la musica e che amano cantare. La terza: è un gruppo di servizio che agisce a vantaggio della propria comunità nei culti ed in altre occasioni, all’interno e possibilmente all’esterno della chiesa. A queste considerazioni, che ritengo valide, vorrei aggiungere un’ultima idea tratta dal ragionamento dell’apostolo Paolo, il quale paragona il “corpo di Cristo” che è la chiesa, al corpo umano formato da molte membra ed organi, ognuno con la sua propria funzione e tutti costituenti un'armonica unità; questa armonica unità funziona bene se le varie membra e i vari organi fun- 18 Musicisti ieri ed oggi: Debora Russo Canti o musiche i cui contenuti siano significativi Carlo Lella Cosa intendi per “sforzi”? Nel caso nostro cerchiamo di unirci di tanto in tanto per imparare canti nuovi, un piccolo gruppo di giovani. Qui però vorrei esprime un desiderio e cioè che tutta la chiesa possa partecipare a questo tipo di lavoro. Il coro non dovrebbe essere un fatto esclusivo per pochi, per lo meno quando si imparano i canti comunitari. Debora, incominciamo dalla domanda tipica, e cioè a quanti anni hai cominciato a suonare in chiesa. Immagino che questo gruppetto sia composto dai più giovani, e la fotografia riportata nella pagina ne è testimonianza. Come fai a coinvolgerli? Innanzitutto cerco di organizzare un lavoro distensivo e quasi di “gioco”. Impariamo nuovi canti anche con facili canoni, li armonizziamo a due voci, qualche volta a tre. Avevo circa dodici anni quando ho cominciato a suonare in chiesa. Parlo della chiesa battista di Fuorigrotta, a Napoli. Ho intrapreso lo studio del pianoforte a sei anni, quando hanno scoperto che ero dotata del famoso “orecchio assoluto” per cui riuscivo a riconoscere i suoni soltanto sentendoli, senza guardare i tasti del pianoforte. Poi mi sono diplomata a ventidue anni secondo il percorso tipico da buona studentessa e di lì è cominciato il mio cammino da musicista. E passiamo ad una domanda provocatoria: come mai i musicisti sono sempre più rari nelle nostre chiese? Forse c’è poco volontà di impegnarsi, o forse c’è una sorta di poca disponibilità da parte di tutti. Si va sempre di fretta, il tempo è poco, Il lavoro non c’è... Questo è un giudizio che cade soprattutto su di me, chiaro. Credi che ciò possa non riguardare solo la disponibilità ma anche un modo di valorizzare o meno i nostri musicisti nelle chiese? Ma, nella mia chiesa in particolare non sento questo, perché riceviamo molti incoraggiamenti. C’è molta Passiamo ora ad un’altra domanda “ufficiale”. Come cantano oggi le nostre chiese? Ma, sento che alcune sono abbastanza organizzate nel senso che riescono a cantare intonate, a seguire abbastanza bene il ritmo, in altre si formano piccoli cori interessanti, parlo chiaramente delle nostre chiese battiste perché sono quelle che conosco. Insomma ci sono degli sforzi di miglioramento che vanno sottolineati ed incoraggiati. 19 gioia quando si sentono i ragazzi che s’impegnano. Anzi vorrei evidenziare l’impegno di una famiglia rumena che frequenta la nostra chiesa e che hanno una dedizione notevole anche per quanto riguarda i canti e la musica. Sono veramente persone consacrate. Insito sul problema della valorizzazione: una musicista professionista, come te ad esempio, può avere una sua collocazione professionale anche all’interno di una chiesa? Mi spiego meglio: ad esempio, la domenica tu vai anche per suonare, però se la sera prima, come tutti i musicisti, devi lavorare, e lavorare fino a tardi, e per tardi significa che prima delle tre o le quattro a casa non torni, la domenica mattina come ti senti? Tocchi un tasto, giusto per essere in tema, molto delicato. Certo è che quando devo lavorare nel senso che tu dici, ed io spererei che questo possa accadere tutti i sabati e non solo un sabato, per ovvie ragioni, è certo che in chiesa, in quel caso, posso andarci con più difficoltà ed il mio impegno un po’ si ridurrebbe. È chiaro che fino a che posso il Signore lo voglio servire fino all’ultimo sacrificio, ma quando ti capita di avere serate impegnative è proprio “fisicamente” difficile lasciare il letto...allora il Signore sa che io canterò e suonerò per lui anche se in quel momento non sono potuta andare nella mia comunità. Ti dico allora che forse sì, alla domanda che mi hai fatto, l’impegno del musicista nelle nostre chiese andrebbe valorizzato anche dal punto di vista professionale. Comunque ho capito che tu mi stai inducendo a dire che le chiese dovrebbero pagare i musicisti. Io credo che se il musicista ne ha effettivamnete bisogno o se deve scegliere tra le serate del sabato o l’impegno costante in chiesa è chiaro che come accade nella vita ci deve essere una scelta. In quel caso si andrà in comunità quando è possibile, e si fa di tutto perché ci siano più possibilità, ed invece ci si deve assentare quando le ovvie ragioni lo determinano. Insomma vale per tutti il fatto che bisogna lavorare per vivere, ma che il lavoro non basta perché il vero cibo della vita proviene dall’amore di Dio. Il problema è anche, diciamolo, che le nostre chiese sono abbastanza povere, per lo meno la mia. Dunque conoscendo la situazione cerco di impegnarmi più che posso, come anche per tutte le altre attività di evangelizzazione oltre che per gli incontri dove tu stesso mi hai chiesto un aiuto professionale. Del resto ho sentito di agire così fin da quando ero piccola. Hai una proposta affinché le comunità possano trovare una strada per valorizzare anche professionalmente i musicisti? Ad esempio sostenendoli negli studi. Ora un’altra questione spinosa. Nell’evangelizzazione quali canti e quale musica occorrerebbe proporre? Lo chiedo soprattutto a te che sei uscita spesso fuori dalle mura della comunità con la tastiera ed il canto. Innanzitutto, parlo soprattutto di oggi, l’evangelizzazione non è solo un fatto di uscir fuori dalle nostre chiese, ma piuttosto di uscir fuori dalle nostre angosce, dai nostri egoismi. Vedo oggi l’evangelizzazione anche come un processo interno che non va mai tralasciato, quindi noi stessi dobbiamo ogni volta, come dire, rievangelizzarci. Questo è un dato che apparentemente sembrerebbe inutile, ma se noi non sappiamo cantar bene dentro come andiamo a cantar bene fuori? Dun- 20 scegliamo canzoni o musiche i cui contenuti siano significativi e parlino delle nostre sensibilità e delle nostre esperienze di vita, fede compresa. Certo che se dal palco proponessi dei canti che cantiamo in chiesa immagino già quello che potrebbe accadere e quindi questa è effettivamente una difficoltà. Tuttavia qui si ripropone il problema esposto prima: dipende dalla bellezza del canto. Del resto non sono poche le canzoni di artisti famosi che dai palchi cantano liberamente la loro fede anche in contesti inimmaginabili per certi messaggi, come ad esempio in concerti di musica rock. Ultima domanda: canti tradizionali o canti moderni nelle nostre chiese? Tutti i canti belli ed i più belli. que il primo lavoro è tra di noi. E noi sembriamo a volte un po’ disillusi o comunque non abbiamo quella forza che magari un tempo ci distingueva di più, questo riguarda anche il canto. Dunque incominciamo da noi con canti nuovi, con testi particolarmente significativi. Un canto di lode che cantiamo nelle nostre chiese può essere proposto anche all’esterno? Penso proprio di sì, l’importante è che sia bello e ben cantato. La musica quando è bella coinvolge in modo misterioso, le parole stesse quando si vestono di note assumono un diverso peso; chiaramente quando sono, lo ripeto, significative. Le persone recepiscono quando un melodia ed una parola sono in perfetta armonia sonora fra di loro e recepiscono anche il tuo impegno nella ricerca di una bellezza significativa, pur se magari non condividono i contenuti. I canti ad esempio che parlano di giustizia, di pace come quelli spagnoli, latinoamericani, africani, anche tradotti con un buon italiano, hanno un buon riscontro all’esterno. Ripeto: la traduzione deve essere ben fatta, cioè il testo deve esser significativo, altrimenti la banalità o la cattiva parola infastidisce ed irrita. A quel punto meglio cantarli in lingua originale. Io so che tu hai lavorato con gruppi musicali lontani dalle esperienze per così dire “religiose” fino ad ora raccontate. Trovi che le canzoni che tu hai accompagnato o cantato al piano con questi gruppi siano molto lontane dai nostri canti di annuncio evangelico? No, forse per alcuni, ma per molti li trovavo, e li trovo oggi, vicini se non in accordo all’annuncio evangelico, solo che invece di usare parole tipiche dei nostri inni ne usano altre, ma i contenuti sono senz’altro simili. Io stessa quando canto queste canzoni sento che continuo ad annunciare il messaggio dell’amore che Gesù ci ha insegnato. La mia fede ha trovato anche in queste canzoni il modo di farsi parola e testimonianza. Quando io suono fuori della mia chiesa non mi sento fuori dalla mia fede e questo anche con i musicisti che mi conoscono e con i quali lavoro. Insieme 21 Musica & Musiche da Stefano D'Amore 22 23 da Ferruccio Corsani 24 da Anna Dongiovanni 25 da Anna Maffei 26 da Marta D'Auria 27 28 29 da Clara Berrios 30 31 Le offerte ricevute: quota 1000 Ebbene sì, siamo arrivati a quota 1000 € di offerte per Musica nella Liturgia. Con tale somma abbiamo coperto tutte le spese dei tre numeri fino ad ora usciti, quest’ultimo compreso. Noi della redazione pensiamo che sia un ottimo risultato considerando che questa piccola rivista sia ancora in fase sperimentale, sia come elaborazione redazionale che come divulgazione. Fino ad ora le copie stampate sono state di circa 250 a numero ed inviate per posta normale singolarmente o per gruppi. Occorrerebbe trovare una soluzione più economica considerando il costo delle spedizioni. Oltre il numero di copie cartacee Musica nella Liturgia viene inviata anche per posta elettronica. Grazie ancora per l’incoraggiamento. Offerte ricevute dal numero 1 di Dicembre 2005. Dudley Graves - Viterbo; Berrios Clara e Carlo LucariniChiesa Battista di Chiavari; Chiesa Battista di Cagliari (2 offerte); Chiesa Battista di Gravina; Chiesa Battista di Rovigo; Chiesa Battista Via del Lazzaretto; Girolami MaurizioChiesa Battista di Torino, Via Passalacqua; Dragone MariaChiesa Battista di Conversano; Paschetto EmmanueleChiesa Battista di Torino, via Lucento; Pizzulli M. TeresaChiesa Battista di Val di Susa; Chiesa Battista di Pordenone; Casonato Aldo- Chiesa Battista di Pordenone; Chiesa Battista di La Spezia; Marzioli Sara- Chiesa Battista di La Spezia; Formica Nunziatina - Chiesa Battista di Lentini; Loddo Roberto- Chiesa Battista di Gioia del Colle; Arcidiacono Alessandra- Chiesa Battista di Gioia del Colle; Lancellotti Ernesto- Chiesa Battista di Milano, via Pinamonte; Samuele Currò- Chiesa Battista di di Milano, via Pinamonte ; Anna Maffei-presidente Ucebi; Pietro Cruccas- Chiesa Battista di Cagliari; Zugno Luciano- Chiesa Battista di Pordenone; Elisa Vicentini e Nicola Sfredda- Chiesa Valdese di Verona; Amy Ashwood-Chiesa Valdese di Verona; Matteo Mollica- Chiesa Valdese di Torino, c. Vittorio Emanuele; Francesco Romeo-Chiesa Battista di Casorate Primo; Ute e Silvestro Dupré – chiesa Valdese di Roma, piazza Cavour; Labate Ester – Chiesa battista di Reggio Calabria; Virginia Mariani – Chiesa battista di Mottola; Chiesa battista del Teatro Valle – Roma; Chiesa battista via Foria - Napoli; Ada Ciambellotti - Chiesa valdese Rovereto. Novità Novità: il Dvd Ed ecco la novità del 2006. Un dvd con presentazioni del canto nelle comunità, parte didattica, chiacchierate spensierate, tutto in forma simpaticamente amatoriale e senza nessuna pretesa di competere con le riprese professionali! Questa iniziativa è un nuovo atto sperimentale che speriamo un giorno potrà avere un seguito ancor più incisivo. Anche qui, proposte, suggerimenti, critiche saranno sempre ben accolti. Benvenuto a Deborah D’Auria Un benvenuto a Deborah D'Auria che ha accettato l'invito di collaborare per il lavoro redazionale con progetti, idee e correzioni di bozze! Abbiamo già avuto occasione di conoscere Deborah con i suoi tre articoli pubblicati in Musica nella Liturgia sulla musica in Israele che hanno accompagnato tutti i tre numeri di Musica nella Liturgia. Grazie ancora e buon lavoro insieme! Musica nella Liturgia è una pubblicazione in aggiunta al Seminatore. Numero 3 - marzo 2006 (Direttrice responsabile Marta D’Auria - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 5894 del 23/7/1957) a cura del Dipartimento di Evangelizzazione dell’Ucebi, fotocopiato in proprio. Si regge soprattutto sulle offerte (inviare a: Segreteria Amministrativa Ucebi, P. zza S. Lorenzo in Lucina,35; 00186 Roma, specificando la voce: offerta per Musica nella Liturgia-Dipartimento di Evangelizzazione). Ogni autrice o autore di articoli ed inni è direttamente responsabile di ciò che pubblica e delle informazioni che divulga. Lo stesso vale per i materiali coperti da copyright per cui è a responsabilità delle autrici o autori che pubblicano inni o articoli coperti da copyright ottenerne l’autorizzazione d’uso. Musica nella Liturgia si propone come obiettivo quello di divulgare notizie, informazioni, storie, studi, inni, in riferimento a contenuti e spazi di fede nel Dio creatore del cielo e della terra. La redazione di Musica nella Liturgia: Carlo Lella, coordinatore ([email protected]); Virginia Mariani, della Chiesa Battista di Mottola ([email protected]); Francesco Romeo, della Chiesa Battista di Casorate Primo ([email protected]); Domenico D’Elia, della Chiesa Battista di Mottola ([email protected]); Pietro Romeo, della Chiesa Battista di Rivoli ([email protected]); Elisa Baglieri della Chiesa Ecumenica di Albano ([email protected]); Deborah D'Auria, [email protected]. 32