Capitolo I – Le trasformazioni sociali del diritto di sciopero

Le trasformazioni sociali del diritto di sciopero
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Capitolo I – Le trasformazioni sociali del diritto di
sciopero
Sommario
1. Dallo sciopero alla “coalizione”. – 1.1. Nuovi conflitti, nuovi soggetti. – 1.2. Uno sguardo al
contesto sovranazionale: riflessioni sull’ordinamento italiano. – 2. La destrutturazione dello
fattispecie sciopero e la novella del 2000. – 2.1. Lo sciopero dei lavoratori autonomi, professionisti o piccoli imprenditori: ovvero lo sciopero del e nel lavoro indipendente. – 3 La titolarità del “diritto” di astensione e il dovere di influenza del sindacato. – 4. Diritto, quasi diritto o
libertà.
1. Dallo sciopero alla “coalizione”
Lo studioso che si ponesse, oggi, l’obiettivo di esaminare la disciplina
dello sciopero e la relativa evoluzione normativo/applicativa, nel nostro
ordinamento, osserverebbe subito la progressiva e incrementale affermazione del potere di coalizione come asse del conflitto sociale e, contestualmente, lo speculare abbandono dello sciopero classico come tradizionale strumento di pressione 1. Nelle pagine che seguono si proverà a spiegare il perché di questa trasformazione in ragione anche della direzione intrapresa sul piano applicativo.
Oggetto di questo lavoro è, infatti, la disamina di una delle ultime fasi di
evoluzione del fenomeno di trasfigurazione dello sciopero, almeno
nell’ambito della disciplina italiana 2. Sarà, cioè, osservata la manifestazio-
1
Sul concetto tradizionale v. CALAMANDREI 1952, e ivi la pionieristica consapevolezza che al riconoscimento del diritto di sciopero avrebbe fatto seguito la individuazione dei
suoi limiti.
Nell’amplissima letteratura classica si leggano almeno SIMI 1956; SANTORO PASSARELLI G. 1961; MENGONI 1963; PERA 1989; GIUGNI 1992.
2
Parla di un vero e proprio “mutamento di pelle” nella morfologia del conflitto CAR-
4
Coalizione e protezione. Il bilanciamento possibile nello sciopero del lavoro “indipendente”
ne conflittuale dei soggetti che non sono lavoratori subordinati – e che qui
indicheremo come lavoratori indipendenti 3 – e non si muovono nemmeno,
o almeno non soltanto, all’interno di un luogo di lavoro tradizionalmente
inteso. Si tratta di soggetti che, nel tempo, sono riusciti, lo stesso, a dar vita
a forme di pressione ritenute meritevoli di essere sussunte nell’alveo della
disciplina in materia di scioperi nei servizi pubblici essenziali.
Questo in ragione della forza di coazione e costrizione esercitata sugli
utenti e, per il tramite di questi, sulle istituzioni. Si dirà in questo lavoro
che il conflitto, in questa fase post-industriale, segue le sorti della generale
tendenza ad “esternalizzarsi” e ad uscire dalle mura dell’impresa, collocandosi al di fuori dei luoghi di lavoro, intesi in senso tradizionale, ma non
per questo meno capace di esercitare una, più che efficace, forza persuasiva nei propri interlocutori.
Del resto, l’impresa, è assai lontana dalla iconografia classica, spesso è
destrutturata 4 e a volte nemmeno il datore di lavoro, in quanto tale, è veramente riconoscibile. Diventa spesso invisibile il padrone titolare del potere contro cui si è frapposto, nella visione classica, il conflitto collettivo,
lo sciopero sancito nella nostra carta costituzionale.
Addirittura nella sharing economy (economia collaborativa o della condivisione), di cui saranno più avanti osservate alcune significative manifestazioni, sono i singoli soggetti (indipendenti) che si mettono in gioco e diventano direttamente produttivi, sopprimendo, al contempo, la figura dell’imprenditore nell’accezione weberiana del termine che evoca l’immagine
di colui che arruola, forma e disciplina i propri dipendenti 5.
A fronte di questa inarrestabile evoluzione, oggi riaffiora e si riafferma
RIERI 2015, p. 44, il quale osserva proprio come non si assiste ad una sparizione dei conflitti “ma piuttosto ad una loro evoluzione e riclassificazione”.
3
Facendo ricorso alla terminologia utilizzata dalla giurisprudenza che, come si vedrà,
ha avuto in questo ambito un ruolo maieutico ai fini del riconoscimento della libertà di attuare manifestazioni conflittuali da parte di tutti quei lavoratori non titolari di un rapporto di
lavoro subordinato. Si fa riferimento alla pronuncia, su cui diffusamente v. infra, che riconosce questa prerogativa ai soggetti che svolgono “la propria attività in condizioni di indipendenza”. Cfr. Corte Cost. n. 171 del 1996, leggibile per esteso al seguente indirizzo http://
www.giurcost.org/decisioni/1996/0171s-96.htm.
4
Nella ormai vastissima letteratura giuslavoristica si rinvia – per gli aspetti più attinenti al tema specifico affrontato in questo lavoro – agli studi di CARABELLI 2009; BARBERA
M. 2010; sempre valide le riflessioni di DE LUCA TAMAJO 1999; ICHINO 1999; LAMBERTUCCI 1999.
5
Si potrebbe parlare di un vero e proprio fenomeno di “disintermediazione”.
Le trasformazioni sociali del diritto di sciopero
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la coalizione come contropotere da opporre al potere di un interlocutore
che non è più, o non è più soltanto imprenditoriale.
Quasi che si fosse tornati agli albori dei sistemi sindacali 6, quando, come osservava qualche anno fa la dottrina 7, era la coalizione il fenomeno
riassuntivo di tutte le azioni mirate ad incidere collettivamente sulla controparte (il boicottaggio, la messa all’indice, il closed shop); ed è infatti
contro la coalizione che si rivolge la prima legislazione repressiva nella fase pre e proto industriale 8. È la coalizione, insomma, il germe, anzi, la scaturigine di tutti moderni sistemi sindacali.
Non si può, infatti, fare a meno di osservare i profondi mutamenti di
contesto avvenuti nell’ambito del perimetro tradizionalmente dominato
dallo sciopero. Quest’ultimo “[…] ha rappresentato la forma tipica del moderno conflitto delle società pluraliste, cioè il conflitto industriale dicotomico tra classi sociali dai contorni scolpiti, i cui antagonistici interessi nascevano e si componevano (a partire dal e) nel luogo di produzione di beni
materiali, organizzato secondo il paradigma fordista e il metodo taylorista.
Da lì i diritti negoziali generati dal compromesso sul conflitto si trasformavano, in virtù della peculiare alchimia operata dallo stato sociale di diritto,
in diritti tendenzialmente universali; da cui il riconoscimento dello sciopero come diritto costituzionale strumentale al diritto di contrattazione e ad
altri diritti sociali […]” 9.
Tutto questo per lungo tempo ha espresso la matrice dell’identità costitutiva del diritto del lavoro moderno; al contrario nell’ultimo ventennio
qualcosa è profondamente cambiato 10.
Nelle economie occidentali avanzate lo sciopero, in quanto tale, è in declino. Lo dimostrano le statistiche 11; e questo non perché sia possibile specularmente osservare una progressiva pacificazione nelle relazioni di lavoro.
6
Il conflitto collettivo rappresenta il sostrato fondamentale dell’organizzazione sindacale. Questo esprime il centro della riflessione di KAHN FREUND 1977. Sul pensiero della
chiara dottrina v. amplius ID 1980.
7
Così CARUSO, in CARUSO, NICOSIA, 2006, spec. par. 1.
8
Per l’analisi di questa stagione della legislazione del lavoro in Francia v., ROSANVALLON 1988, p. 150 ss.; e nel Regno Unito v. WEDDERBURN 1998a, p. 19 ss. Sul tema
Pure SIMITIS 1990.
9
Così CARUSO, in CARUSO, NICOSIA 2006.
10
Si rinvia a COHEN 1999; RIFKIN 1995; ma cfr. pure CASTELLS 1998; BOYER, DURAND 1998; BECK 2000; REVELLI 2001; KUMAR 2000.
11
Si veda ORLANDINI 2016, spec. p. 95.
6
Coalizione e protezione. Il bilanciamento possibile nello sciopero del lavoro “indipendente”
È solo che lo sciopero risulta, di fatto, impraticabile sia per chi non gode
di un minimo di stabilità occupazionale, sia per chi l’occupazione la vede
minacciata dal “ricatto” 12 della delocalizzazione 13.
Malgrado ciò, si ravvisa un paradosso racchiuso nella semplice constatazione che, tenendo sullo sfondo il quadro appena descritto, non sono contestualmente venute meno le esigenze di controllo e di governo della conflittualità. Al contrario, il conflitto collettivo resiste, anzi abbisogna, a
maggior ragione oggi, di accurata regolazione 14.
Dalla fase della terziarizzazione dello sciopero, intesa come gradino intermedio di evoluzione della crisi complessiva della fattispecie, pare si sia
entrati in una fase di socializzazione del conflitto, caratterizzata da un ampliamento della rosa dei protagonisti, con ritorno del potere di coalizione
come centro delle dinamiche di forza che rendono crescente la vulnerabilità di quanti ne subiscono gli effetti 15. L’apertura del black box dell’impresa 16 ed il passaggio alla società post materializzata – ove l’impresa e lo
stesso datore di lavoro si dissolvono in una dimensione senza muri né confini (la rete di imprese, la delocalizzazione) – segnerebbe la trasformazione
dello sciopero come fenomeno sociale di protagonisti tipici in luoghi confinati ed il declino della sua funzione socialmente tipica 17: prevalentemente il fine economico del miglioramento degli standard di trattamento contrattuali; della sua proiezione formale (il riconoscimento in termini di diritto costituzionale) e sostanziale (la tutela che ne deriva: la legittimità dell’inadempimento delle obbligazioni nascenti dal contratto di lavoro subordi12
Così ORLANDINI 2016.
Osserva VALLEBONA 2015, p. 39 che “se le imprese stanno per fallire o comunque
non guadagnano più, lo sciopero economico non serve […] non c’è alcuna regola al mondo che impedisce di trasferire capitali per creare un’impresa nei c.d. paesi emergenti”.
14
Viene condivisibilmente osservato che “[…] nell’epoca del declino dello sciopero, le
esigenze di controllo e governo delle conflittualità restano pressanti e il conflitto collettivo
mantiene il carattere di fenomeno sociale allarmante, in certa misura ancor più che in passato” ORLANDINI 2016, p. 95.
15
Si leggano gli studi di ACCORNERO 1985; TREU 2000b, p. 293 ss.; MANGHI 2001;
CELLA 2000, p. 732-735.
16
Dimostrata pure dall’affermarsi delle teorie sulla RSI (responsabilità sociale dell’impresa), sulla quale si leggano gli scritti di NAPOLI 2005; DEL PUNTA 2006; TURSI 2006,
SACCONI 2004; FERRARESI 2004.
17
Sulla evanescenza del concetto di sciopero nella sua struttura tridimensionale: fattuale, sindacale e giuridico positivo, si v. l’analisi di BORGOGELLI 1998, p. 11 ss. riferita all’ordinamento italiano.
13
Le trasformazioni sociali del diritto di sciopero
7
nato) 18. Si passa, cioè, al potere di coalizione che si mette al servizio di interessi parziali e contingenti, di rivendicazioni ambientali, o di tipo identitarie di livello locale e/o territoriale ma anche sociale (il consumerism) 19,
di pressioni lobbystiche e/o politiche istituzionali 20, di generiche istanze
anti globalizzazione 21 e persino delle istanze di genere 22. Lo sciopero, insomma, si è progressivamente svuotato della sua drammaticità e dello “spirito agonistico” 23 che ne ha fatto un’arma per eroi acclamati dalla ricono-
18
È illuminante l’analisi di SUPIOT 2001, specie 691 ss.
Il mercato rappresenta un luogo di pratiche per opera di attori individuali e collettivi
che utilizzano la sfera economica come area di rivendicazione e di cambiamenti della società. Il consumo diventa, cioè, uno spazio di riconoscimento sociale. Si tratta di una sorta
di politicizzazione del mercato. Su tutti questi aspetti TOSI 2006. La rivendicazione può
avvenire con forme eterogenee, addirittura anche attraverso quella che nella vulgata viene
indicata come cash mob (per evocare il fenomeno del flash mob), come si legge sulle pagine del Corriere: “Un negozio milanese rischia la chiusura, gli affari scarseggiano,
l’affitto è raddoppiato. Tutti ottimi motivi per aiutarlo a risollevare le sorti, organizzandovi, il prossimo 14 di aprile, il primo cash mob italiano. Ovvero – alla moda dei flash mob–
un incontro informale di un gruppo di persone che si danno appuntamento in un dato luogo a una data ora, con un obiettivo comune. In questo caso, recarsi in un esercizio commerciale e spendervi almeno 10 euro per acquistare qualcosa e foraggiarne le casse, almeno per un giorno. È la prima volta che un cash mob avviene in Italia: queste iniziative, nate la scorsa estate negli Stati Uniti, non avevano ancora trovato volontari disposti a organizzarne nel nostro Paese.” L’articolo è reperibile all’indirizzo http://milano.corriere.it/mila
no/notizie/cronaca/12_marzo_21/cash-mob-negozio-aiuto-acquisto-perasso-200377526
0536.shtml?refresh_ce-cp. Il consumerism esprime, in definitiva, un movimento basato
sulla trasformazione degli utenti, portatori di diritti, in consumatori nel e per il mercato. Si
leggano DEAN, GOODLAD, ROSENGARD, 2000; LLOYD 1995; MICHELETTI 2003.
20
Sulla valenza politico istituzionale degli scioperi degli avvocati in Italia PASCUCCI
1999, p. 32; NOGLER 2001; CARINCI M.T. 2001b.
21
Si leggano, FORRESTER 2000; KLEIN 1998. Su tutti questi aspetti si rinvia ai primi
paragrafi di CARUSO, NICOSIA 2006.
22
Lo sciopero delle donne dell’8 marzo 2017 è un esempio in tal senso. Seppure bisogna distinguere fra le astensioni con addentellati nella sospensione della prestazione di
lavoro stricto sensu inteso, che certamente non creano dubbi sulla matrice di astensione
collettiva riconducibile sotto l’egida della legge 146/1990, e quella parte, invece, correlata
alla sospensione di obblighi morali e non giuridici. Lo sciopero appena menzionato si è
caratterizzato per l’invito a fermare “la produzione e la riproduzione” evocando la nota
vicenda sottesa alla Lisistrata di Aristofane che come osserva la dottrina non può essere
assimilata alla fattispecie dello sciopero; cfr. in questo senso MAZZOTTA 2015, spec. p.
176.
23
Così MANGHI 2001, p. 206.
19
8
Coalizione e protezione. Il bilanciamento possibile nello sciopero del lavoro “indipendente”
scenza collettiva dei lavoratori subordinati, appartenenti alle classi meno
abbienti, per trasformarsi nel “comportamento normale dei lavoratori autonomi” 24, di alcuni “ceti privilegiati” 25 e in generale di tutti quei lavoratori indipendenti animati dal bisogno di avanzare le proprie rivendicazioni.
Del resto i più attenti studiosi26 ci dimostrano che il lavoro subordinato
nella accezione classica è in via di contrazione e forse esaurimento a tutto
vantaggio di lavori “altri” poggiati su altri valori 27.
È stato di recente osservato che “non c’è alcuna norma costituzionale
che riguardi il lavoro – eccetto l’art. 36 sulla retribuzione (che comunque,
con riguardo alla proporzionalità è sempre più considerata norma parametro anche per altre tipologie di rapporti) e l’art. 37 sulla parità di trattamento retributivo di donne e minori – che possa essere esclusivamente ricondotta al lavoro nella sola forma subordinata e non al lavoro in tutte le sue
manifestazioni, compreso il lavoro autonomo, imprenditoriale o manage24
MANGHI 2001, p. 207.
Sul progressivo trasformarsi dello sciopero in strumento di rivendicazione dei lavoratori “agiati”, sempre MANGHI 2001, p. 207.
26
È per questo che non è facile prevedere quante e quali nuove tipologie di lavori dipendenti o indipendenti, potenzialmente sedi di rivendicazione, possano tenere in futuro
impegnati gli interpreti. La dottrina ci invita a considerare che “il tipo classico di contratto
di lavoro, tributario di un assetto contenutistico predeterminato in via eteronoma, tiene
poco conto dei nuovi bisogni, indotti dalla società evolute e, al contempo, più difficili da
soddisfare a causa della crisi della società industriale e del Welfare State. Si configurano
nuove debolezze: i lavoratori giovani, che devono metter su famiglie più aperte e paritarie
in condizioni più difficili di una volta (almeno in occidente) per il costo delle case, i servizi sociali carenti, i maggiori bisogni di familiari anziani che vivono più a lungo; i genitori
separati, che devono mantenere più famiglie con un tasso di disoccupazione giovanile e
femminile altissimo; le diverse nazionalità, religioni, culture del lavoro, che richiedono
più formazione, più integrazione anche extralavorativa, diversi regimi di orario. Ma anche
l’evolversi positivo degli interessi e delle aspettative, che tornano a farci parlare di un “diritto alla felicità”[…]. Una libertà di essere felici che “il lavoro non deve cancellare ma, al
contrario, garantire”. Sono tutte riflessioni di ZOPPOLI L. 2015.
27
Sebbene vi siano operazioni intellettuali ben costruite di ribaltamento dell’ottica appena enunciata. Si pensi alla adozione della Carta dei diritti universali del lavoro in funzione di una proposta di legge di iniziativa popolare che nel costruire un nuovo Statuto
delle lavoratrici e dei lavoratori, configura una equiparazione delle tutele fra lavoratori
subordinati e non. Ciò con particolare riguardo ai titolari di co.co.co e ai lavoratori autonomi. In ragione della loro evidente sub-ordinazione economica vengono in questo documento equiparati ai lavoratori subordinati dal punto di vista tecnico-giuridico. Si rammenta che fra i padri della Carta dei diritti vi è UMBERTO CARABELLI.
25
Le trasformazioni sociali del diritto di sciopero
9
riale. Persino gli artt. 39 e 40 Cost., qualora si osservi la evoluzione della
rappresentanza collettiva, sono stati considerati ombrelli protettivi anche di
forme di rappresentanza e di tutela collettiva di coalizioni di interessi non
certamente riconducibili al lavoro subordinato classico (l’art. 39 è riferito
ormai anche all’associazionismo imprenditoriale e all’associazionismo professionale)” 28.
Questa prospettiva si mostra in linea con i mutamenti intervenuti nel
panorama socio economico, nel quale, da un lato, i confini fra lavoro dipendente ed autonomo vanno sempre più offuscandosi e, dall’altro, i processi di globalizzazione rischiano di vanificare l’efficacia dei mezzi tradizionali di conflitto collettivo, pensati per un’impresa, quella industriale,
concepita come istituzione che sottomette la collettività dei lavoratori al
potere di un datore di lavoro sotto l’egida della legge nazionale.
Alain Supiot, collocandosi in questa direzione, già evidenziava, qualche anno fa, il bisogno di rivisitare i diritti d’azione collettiva e di valorizzare anche strumenti “altri” rispetto allo sciopero (per es. il boicottaggio) che, in quanto capaci di determinare una sorta di “alleanza” fra i lavoratori e i consumatori, potrebbero risultare maggiormente idonei a controbilanciare il potere economico di un’impresa sempre più “dispersa” sul
territorio ed inserita in una dimensione globale che ne rende mobili le
“mura” 29.
In tutti questi ambiti, il dato che accomuna le tipologie di conflitto è
ravvisabile proprio nella capacità di coazione di soggetti portatori di interessi disparati e di forza diversa.
Soggetti in grado di porre in atto azioni di rifiuto delle proprie prestazioni che incidono fortemente sul godimento di diritti e beni ritenuti essenziali e meritevoli di protezione; seppure si tratti di beni/interessi totalmente
distanti e soprattutto disconnessi dalla pretesa oggetto dell’esercizio del
potere di coalizione. Perché poi le lancette della storia siano tornate indietro 30 a vantaggio della coalizione, anche spontanea e atecnica, è domanda
alla quale gli economisti sembrano in grado di offrire risposta individuandone le ragioni più profonde. Pare, infatti, interessante e adeguata alla fattispecie oggi esaminata, l’osservazione tale per cui […] in assenza di rivoluzioni periodiche i gruppi di pressione tendono a rendere le società rigide e
28
Così CARUSO, DEL PUNTA, 2017, in posizione critica rispetto al pensiero di Luigi
Mariucci.
29
SUPIOT 2001; LAZZARI 2001-2002; CARUSO 2002.
30
L’espressione suggestiva è di CARUSO in CARUSO, NICOSIA 2006.
10
Coalizione e protezione. Il bilanciamento possibile nello sciopero del lavoro “indipendente”
a soffocare il miglioramento della produttività che è alla base della crescita. La breve storia dell’Unione Sovietica rappresenta una testimonianza
eloquente delle insidie che possono annidarsi in una cornice istituzionale
inflessibile”. Diventa cioè l’efficienza adattiva 31 intesa come capacità di
evolvere di una società, anche in funzione dei propri disordini, basata su
molte e variegate sperimentazioni di modo che possa aumentare la probabilità che qualcuna di queste possa offrire e disvelare la migliore fra le soluzioni. È la coalizione anche disordinata, atecnica, che crea movimento e
rende possibile l’attivazione del processo di efficienza adattiva.
L’efficienza adattiva è qui espressa dalla scelta del legislatore di garantire l’interesse generale coinvolto nella erogazione dei servizi essenziali alla collettività, prescindendo dalla natura (subordinata oppure no) del rapporto da cui trae linfa la manifestazione conflittuale.
D’altra parte lo stesso concetto di bilanciamento, che taglia trasversalmente tutta la legge 146/1990 nuovo testo, è un concetto mobile e in continua evoluzione. Gli studiosi di diritto costituzionale osservano, infatti, che
la tecnica della ponderazione consiste nello stabilire tra due principi in
conflitto una “gerarchia assiologica mobile” che altro non è se non “[…]
una relazione di valore instabile, mutevole: una gerarchia che vale per il
caso concreto (o per una classe di casi), ma che potrebbe essere rovesciata
e che spesso è rovesciata – in un caso concreto diverso. Il fatto è che, per
determinare la gerarchia in questione, il giudice non valuta il “valore” dei
due principi “in abstracto”, una volta per tutte. Non istituisce, tra i due
principi, una gerarchia fissa o permanente. […]. I1 giudice si limita a valutare la “giustizia” delle conseguenze dell’applicazione dell’uno o dell’altro
principio nel caso concreto 32.
1.1. Nuovi conflitti, nuovi soggetti
A fronte dell’evoluzione e dello snaturarsi dello sciopero nella sua accezione tradizionale 33 – e cioè quale strumento di rivendicazione dei lavora-
31
Per l’analisi del concetto di efficienza adattiva e in generale per le teorie esposte in
testo si rinvia all’interessante studio del premio Nobel DOUGLASS C. NORTH 2005.
32
Così lo studio di GUASTINI 2006, spec. p. 776, che analizza il bilanciamento o ponderazione fra principi costituzionali al fine della risoluzione del relativo conflitto.
33
Che resta un diritto assoluto della persona in quanto proiettato alle finalità di emancipazione sociale di cui all’art. 3 comma 2 della Costituzione che nessuno ha messo in discussione. cfr. ROMAGNOLI 1979; GAETA 1990; GIUGNI 1992; SANTONI 2001.
Le trasformazioni sociali del diritto di sciopero
11
tori subordinati – e del, contestuale, progressivo espandersi delle tipologie
di protesta provenienti da nuove categorie come gli avvocati, i farmacisti, i
professionisti, i tassisti e persino le donne, sempre più ci si è dovuti misurare con fattispecie che prescindono dal rapporto di lavoro subordinato
classico 34.
Queste manifestazioni conflittuali si caratterizzano per il fatto che non
coinvolgono parti propriamente contrattuali ma, al contrario, e per lo più, si
rivolgono al potere politico o comunque a interlocutori diversi da un datore
di lavoro e sottendono scopi ben lontani dal raggiungimento di vantaggi
meramente economici 35.
Del resto, è l’interesse pubblico situato nei cittadini che avanza, si diversifica e si espande, orientando gli interventi di protezione nei servizi
pubblici, ma in generale nelle istituzioni; tutto questo per la naturale vocazione dell’art. 97 della Costituzione a prendersi cura delle legittime aspettative della collettività dei consociati 36.
34
Cfr. TREU 2001, p. 265, e le sue riflessioni sul fatto che sussistono segnali significativi di un “cambio dell’asse orientativo fondamentale” del diritto al conflitto, nel senso
che “esso tenderebbe a perdere, o a ridurre, i suoi connotati originari di regolazione della
lotta di classe o di gruppi sociali portatori di interessi specifici contrapposti, per assumere
sempre più funzioni, in senso lato, di protesta civile”.
35
In argomento M.T. CARINCI 2001a.
36
La norma citata è la culla della protezione dell’interesse pubblico espresso innanzitutto dal “buon andamento” ma anche dalla imparzialità dell’agire pubblico. Ciò è
denso di significati se solo si pone attenzione alla erogazione dei servizi pubblici alla
collettività dell’utenza. Erogazione che non può essere vanificata dalle manifestazioni
conflittuali de quibus. Peraltro la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue, all’art. 41,
configura un vero e proprio “diritto alla buona amministrazione”. Appare, cioè, consacrato, almeno in ambito sovranazionale, il “diritto” dei cives ad essere posti al centro
dell’agire pubblico di modo tale che è il contenuto delle relative pretese a modulare
l’esecuzione della funzione pubblica e non il contrario. Un diritto, insomma, che appare un quid pluris rispetto alle previsioni del nostro ordinamento espresse dal principio
di buon andamento e imparzialità contenuto nell’art. 97 della nostra Costituzione. Illustre dottrina giusamministrativista sostiene che “[…] la portata della buona amministrazione a livello sopranazionale e globale è maggiore, per estensione, rispetto a quella del livello nazionale. Infatti, mentre nella dimensione domestica la buona amministrazione esaurisce i suoi effetti nei rapporti amministrazione nazionale – cittadino,
nella dimensione ultranazionale lo stesso principio può applicarsi sia ai rapporti tra individui e amministrazioni ultranazionali, sia ai rapporti tra singoli e amministrazioni
nazionali. In altre parole, in quest’ultima dimensione, la buona amministrazione è suscettibile di estendersi dal livello sopranazionale e globale a quello nazionale”; cfr.
CASSESE 2009, p. 1040. In generale sul tema della buona amministrazione v. ZITO
12
Coalizione e protezione. Il bilanciamento possibile nello sciopero del lavoro “indipendente”
Come si è più sopra osservato, è la stessa ratio sottesa alla legge 146 del
1990 che pretende la centralità dell’interesse situato nell’utenza quale bussola per l’ampliamento dell’area protetta dalle disposizioni nella medesima
contenute.
Dalla considerazione e individuazione di questi interessi diffusi deriva
la speculare rilevanza della potenza lesiva dell’azione (astensione) verso i
medesimi indirizzata37.
Di modo che l’interesse di cui sono portatori tutti i consociati assume una
sua consistenza, ai fini dell’applicazione della legge 146 del 1990, proprio in
ragione del tipo di conflitto che finisce per metterlo sotto tensione.
E per questa via entra nel balancing test sotteso alla disciplina della legge nei servizi pubblici essenziali e si confronta, per calmierarlo, con
l’esercizio del contrapposto bene/interesse di rango costituzionale rappresentato dall’esercizio del diritto di sciopero (di cui all’art. 40 Cost) o della
libertà di associazione (di cui all’art. 18 Cost.).
I conflitti postmoderni sono animati da soggetti nuovi e si poggiano su
causali ben diverse da tutto quanto ha caratterizzato lo sciopero classico.
In questa ottica assume rilievo persino il proclamato sciopero globale
delle donne in funzione della rivendicazione della propria dignità, intesa
come superamento del sessismo in ogni ambito (lavorativo e non) 38. Si
2002 spec. p. 431; SORACE 2008; TRIMARCHI BANFI F. 2007; CELOTTO 2003; SACERDOTI 2000; DE SIERVO 2001.
37
Afferma la dottrina giusamministrativistica che “Tutti i principi connotativi della natura di servizio pubblico di una certa attività, sia essa svolta da enti pubblici o da imprese
private(c.d.r.), trovano dunque sicuro fondamento costituzionale, ulteriormente confermato, quanto all’inerenza ai servizi pubblici essenziali del principio di eguaglianza quale
universalità dell’accesso, dell’attribuzione alla legge dello Stato della “determinazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117, secondo comma, lett. m) Cost. […]”. Cfr.
PINELLI 2015, p. 239. La stessa dottrina considera, però, priva di portata normativa
l’ipotesi di un diritto fondamentale “all’erogazione di servizi pubblici secondo standard di
qualità ed efficienza”. Sull’idea invece di una “[…] nozione di diritto universale, intesa
quale garanzia a tutti i cittadini residenti negli stati membri di un livello minimo uniforme
di soddisfazione e tutela del diritto d’accesso a prestazioni essenziali […]” come tassello
della costruzione della cittadinanza sociale europea in virtù di specifiche normative, si
legga, però, CARUSO 2002, p. 131; ma leggi pure LYON CAEN, CHAMPEIL DESPLATS 2001.
38
Su La Repubblica del 2 marzo 2017 si legge, infatti, di “Uno ‘sciopero globale’, a
cui hanno aderito 40 Paesi del mondo (anche la Women’s March di Washington), in cui
ogni donna singolarmente, ma anche ogni categoria professionale e sindacale deciderà in
che modo esprimersi. C’è chi lo sciopero lo farà nel modo classico, cioè astenendosi dal
lavoro (in Italia hanno già aderito le sigle Cgil della scuola e della funzione pubblica), c’è
Le trasformazioni sociali del diritto di sciopero
13
tratta di uno sciopero che, come è pienamente intuibile, non ha mera valenza economica e tantomeno solo economico politico. È piuttosto un’astensione collettiva di lavoratrici, per lo più indipendenti – densa di implicazioni altre rispetto alla tradizionale rivendicazione economica – che va ad
evocare un conflitto diverso da quello disegnato e immaginato dal legislatore costituente nell’art. 40.
Proseguendo nel ragionamento, sarà possibile comprendere la validità di
questa lettura anche in ragione delle più recenti novità introdotte dal legislatore con la riforma del Jobs act. Si vedrà, più avanti, come il problema
dello “sciopero” si ponga pure rispetto ai collaboratori e come sia necessario operare un distinguo fra coloro che svolgono un’attività assimilabile al
rapporto di lavoro subordinato e quanti, viceversa, siano da considerare lavoratori indipendenti.
I nuovi confini tracciati nell’ambito della fattispecie delle collaborazioni, e fra questa e il lavoro subordinato 39 , si riverberano, infatti, anche
chi farà assemblee nei propri luoghi di lavoro, chi parteciperà a cortei, flash mob, chi farà
conferenze, chi letture in piazza, ognuna a suo modo, in mille modi diversi. Uno sciopero
che fu lanciato alcuni anni fa dalle donne di Rosario in Argentina, che sarà concreto e
simbolico nello stesso tempo, “produttivo e riproduttivo” come dicono le organizzatrici,
per dimostrare che se le donne si fermano, si ferma anche il mondo. In Francia ad esempio
le lavoratrici incroceranno le braccia per un minuto contro la disparità salariale”. Si può
leggere l’articolo di M.N. DE LUCA al seguente indirizzo internet: http://www.repubblica.
it/cronaca/2017/03/01/news/8_marzo_sara_sciopero_globale_donne_in_marcia_in_40_pa
esi_del_mondo-159523140/. Ma si legga anche l’articolo apparso sempre sul quotidiano
La Repubblica del 3 marzo 2017, p. 23, a firma di CAPELLI, VENTURI, in cui si riporta la
posizione del segretario CGIL, Susanna Camusso, che afferma come “[…] parteciperemo
alle iniziative […] ma lo sciopero non è solo un atto simbolico, ma la determinazione di
rapporti di forza che si realizzano in presenza di ampia partecipazione”. Perciò il sindacato è pronto a proclamarlo laddove “abbia possibile concretezza”.
39
Seppure la dottrina suggerisce il passaggio dal concetto di confine a quello di soglia.
“[…] si sta organizzando il passaggio dal confine alla soglia. Il confine segue il principio
secondo cui le prestazioni aventi ad oggetto un facere a favore di altri si distinguono in
ragione della natura subordinata o autonoma del vincolo contrattuale cui ineriscono, e tale
necessario distinguo risponde all’esigenza sistematica di individuare, nell’infinita gamma
dei rapporti fondati sullo scambio tra un’attività lavorativa e un corrispettivo, un criterio
discretivo affidabile in grado di ricomporre la tensione tra la necessità del tipo – nel senso
di una stabile ed organizzata disciplina delle figure negoziali censite nell’esperienza pratica – e l’insufficienza dei tipi legali ad esaurire, includendole, le mutevoli articolazioni della fenomenologia socio-economica relativa ai rapporti negoziali tra impresa e lavoro. La
soglia indica invece uno spazio che supera la scansione tipologica dell’aut-aut e definisce
un nuovo criterio topo-logico, dove la determinatezza del confine lascia il passo ad uno
spazio che prescinde dalla presenza di barriere tipologiche, prospettandosi, e realizzandosi
14
Coalizione e protezione. Il bilanciamento possibile nello sciopero del lavoro “indipendente”
sull’individuazione della titolarità di un diritto a scioperare piuttosto che la
mera libertà di astenersi di cui all’art. 2 bis della legge 156 del 1990. Ma di
tutto questo ci si occuperà diffusamente nel secondo capitolo.
Per il momento si proverà, soltanto, in maniera esemplificativa, a indicare alcuni dei gruppi di soggetti, autori delle nuove manifestazioni conflittuali e a porre in evidenza qualche ragione sottesa all’emersione, dal sommerso, della relativa astensione collettiva.
Gli autotrasportatori si confrontano con molte nuove tipologie alternative di trasporto che minano la propria presenza esclusiva sul mercato e mettono a serio rischio i propri micro interessi 40 e per questo si coalizzano per
protestare; gli avvocati riscoprono l’identità di ceto e chiedono, nel tempo,
riforme istituzionali in grado di soddisfare anche l’interesse di corporazione ovvero di non adottare riforme penalizzati per l’esercizio della professione 41; i titolari di farmacie che si scontrano con l’inefficienza della amministrazioni e, al contrario di altri cittadini in simili condizioni, pretendono di riversare i costi dell’inefficienza sugli utenti 42; i piloti dell’aviazione
in termini normativi, quella situazione combinatoria tale per cui ciascuna regola, costituente l’alfabeto normativo dei singoli modelli contrattuali, si declina in ambiti non necessariamente coincidenti con quelli designati dal tipo”. Così PERULLI 2015, p. 259.
40
Riferimenti in BOLOGNA 1997, p. 20; MAGGI 2001, p. 294.
41
Nel periodo 5-17 marzo 2017, ad esempio, l’Ansa ha reso nota la “[…] manifestazione a Roma [...] davanti al ministero della Giustizia e blocco totale dell’attività giudiziaria con sciopero bianco e autosospensione del gratuito patrocinio e della difesa d’ufficio.
È il nuovo pacchetto di proteste degli avvocati contro le liberalizzazioni. È stata
l’assemblea convocata a Roma dall’Organismo unitario dell’avvocatura, cui hanno partecipato gli ordini, il Consiglio nazionale e la Cassa Forense, a decidere di ricorrere ancora
allo sciopero, dopo l’astensione dalle udienze di oggi e domani. […]”; ed ancora si osserva che “Le politiche degli ultimi governi hanno segnato una linea di continuità – protesta
– con l’aggressione costante al mondo delle libere professioni e, in particolare, agli avvocati”. In questo senso vengono lette l’abolizione delle tariffe, la “delegificazione
dell’ordinamento forense”, l’introduzione dei soci di capitale negli studi professionali e il
sistema di mediaconciliazione obbligatoria, le nuove norme “vessatorie” sul processo civile,
l’accorpamento degli uffici dei giudici di pace, la previsione di revisione della geografia
giudiziaria e l’istituzione dei Tribunali per le imprese. “Sono tutti tasselli di un unico disegno: indebolire gli avvocati, il diritto di difesa e rottamare la macchina giudiziaria”.
L’agenzia Ansa si può leggere su http://www. ansa.it/web/notizie/rubriche/politica/2012/02
/23/visualizza_new.html_103306002.html.
42
CARUSO, in CARUSO, NICOSIA 2006 osserva che “Tali conflitti non sono monocausali, non si spiegano soltanto sulla base di logiche di settorializzazione o corporativizzazione
degli interessi, ma sono spesso determinati dalle complesse interazioni tra i gruppi, dai
continui stravolgimenti di assetti consolidati indotti dalla globalizzazione, da processi di
Le trasformazioni sociali del diritto di sciopero
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civile si confrontano con gli effetti della globalizzazione; i titolari delle
imprese di distribuzione di carburante si misurano con gli effetti di razionalizzazione di un mercato governato da una authority 43. E ancora, si pensi
alla protesta dei titolari di licenza di tassisti 44 che si trovano a dover condividere il mercato con autisti a noleggio o società di car sharing come
Uber. La norma contenuta nel decreto milleproroghe per il 2017 45 rinvia a
fine anno il termine entro il quale il Ministero delle Infrastrutture dovrà
emanare un provvedimento che impedisca “l’esercizio abusivo dei taxi e
quelle di noleggio con conducente”, compreso Uber; eliminando la “territorialità” delle auto da “noleggio con conducente” le medesime potranno
operare liberamente 46. E si pensi pure all’eventualità dell’astensione massiva dei dottori commercialisti in prossimità di scadenze esiziali per i cittadini come la denunzia dei propri redditi, ma gli esempi potrebbero moltiplicarsi 47. Per converso, le associazioni dei consumatori si dichiarano possibiliste, sul punto, posto che, per le medesime, non si tratterebbe di una
razionalizzazione dei mercati nazionali e sovranazionali, da esternalità negative prodotte
dal mercato, da inefficienze della p.a., da motivazioni lato sensu politiche. Si tratta di dinamiche, per altro, non lineari, ma in continuo e drammatico cambiamento” .
43
Riferimenti in NOGLER 2001, p. 103 ss.
44
Si è trattato di una protesta attuata con i veicoli lasciati incolonnati senza autista. si
può leggere un resoconto delle ragioni su http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-02
15/milleproroghe-taxi-sciopero-roma-contro-norma-noleggi-conducente-190416.shtml.
45
A firma dei senatori Lanzillotta e Cociancich. Si tratta del d.l n. 244 del 2016 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 304 del 30 dicembre 2016) convertito con modifiche
nella legge 27 febbraio 2017, n. 19 a sua volta pubblicata su Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 49 del 28/02/2017, Supplemento Ordinario n. 14.
46
“Al lordo, un tassista guadagna in media 130 euro al giorno. Chi lavora con Uber invece lo fa occasionalmente, come un secondo lavoro. In pochi vanno oltre i sessanta euro
al giorno, ma si tratta di somme incassate soltanto quando i dopolavoristi decidono di apparire on line. A fine corsa, il “volontario” non riceve compensi diretti. Il suo emolumento
viene automaticamente pagato tramite la carta di credito a una società terza. Dei 2,50 euro
più 49 centesimi al minuto previsti, Uber trattiene il 20 per cento, e lascia il resto al guidatore”. Così l’articolo dal titolo “Car sharing: tariffe basse nel mirino, l’ira dei tassisti:
concorrenza sleale, apparso su Il Mattino, e consultabile al seguente indirizzo internet
http://online.ilmattino.it/primopiano/cronaca/car_sharing_tariffe_low_cost_nel_mirino
_tassisti_concorrenza_sleale-2264818.html.
47
Ciò è tanto vero che come si vedrà nell’ultimo capitolo proprio i dottori commercialisti e i consulenti del lavoro sono categorie di lavoratori indipendenti sottoposte all’autoregolamentazione di recente idoneata dalla Commissione di garanzia. Su tutti questi aspetti si rinvia all’approfondimento sviluppato nel cap. III.
16
Coalizione e protezione. Il bilanciamento possibile nello sciopero del lavoro “indipendente”
sanatoria, ma di colmare un vuoto normativo in ragione di forme di trasporto innovativo come il car sharing. Questo perché sembra necessario
intercettare una nuova domanda di servizi. I giovani, per esempio, utilizzano poco i taxi e preferiscono le piattaforme di sharing. Si rammenta che la
piattaforma Uber (presente in 537 città in tutto il mondo) offre un servizio
(UberPop) che permette a chiunque di registrarsi come autista e usare la
propria macchina per trasportare clienti paganti. Si parla pure di “economia
circolare”, cioè della creazione di reti nelle quali chi eroga un servizio e chi
lo riceve si scambiano continuamente di posizione.
Secondo alcuni studiosi, tuttavia, Uber non sarebbe espressione della
economia collaborativa, di cui si è detto, ma “semplicemente il segmento
low cost del trasporto pubblico non di linea, che consente ai suoi clienti
spostamenti a condizioni economiche particolarmente favorevoli. Ottenute
però in cambio di regole pressoché assenti per la tutela dei consumatori e
soprattutto dei lavoratori” 48. La coalizione post moderna, spesso predisposta in funzione del conflitto, genera, pertanto, cortocircuiti intollerabili, anche se per limitate frazioni di tempo (come nel flash mob) ed è per questo
che si allargano a dismisura le maglie di una tessuto regolativo (la legge
146 del 1990) pensato, all’origine, solo per arginare i fenomeni classici
della astensione dal lavoro subordinato.
1.2. Uno sguardo al contesto sovranazionale: riflessioni sull’ordinamento
italiano
Il bisogno di destrutturare la fattispecie dello sciopero per renderla flessibile e in grado di assorbire e sussumere sotto l’ombrello della legge 146
del 1990, testo novellato, tutte le nuove tipologie di manifestazioni conflittuali meritevoli di regolamentazione, trova una sponda nell’ordine giuridico sovranazionale. La Carta di Nizza 49, infatti, ha considerato la sciopero
quale species del più ampio genus espresso dal diritto di intraprendere
azioni collettive, riconosciuto dalla Carta sia ai lavoratori (senza ulteriori
48
Su tutti questi aspetti cfr. SOMMA, MOSTACCI 2016.
Sulla Carta di Nizza v. PADOA SCHIOPPA 2001; CARTABIA 2000; PERONE, 2001. Con
riguardo agli aspetti tecnico applicativi correlati alla Carta v. SORRENTINO 2010, p. 145
ss.; SCIARABBA 2008; CARUSO 2010; PARISI 2009; nonché nel loro complesso molti degli
interventi pubblicati in BRONZINI, GUARRIELLO, PICCONE 2009; ma si veda pure il volume
di FOGLIA, COSIO 2011; sul processo di costituzionalizzazione dell’ordinamento europeo
v. PACE 2001. Sulle prospettive della strumentazione giuridica dell’azione sindacale a livello europeo, a partire proprio da questa norma, v. ZOPPOLI L. 2006, spec. p. 25.
49