RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI 2006/3 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAIZONE W W W. A I A F - A V V O C AT I . I T Anno XI-no 3, settembre-dicembre 2006 Qadrimestrale; registr. Tribunale Roma n.496 del 9.10.95. Stampa: Tip. Quatrini A. & figli snc, v. S.Lucia 43-47, 01100 Viterbo SOMMARIO Editoriale_ 2 Affidamento condiviso. Primo anno di applicazione. MILENA PINI La legge 54/06 e l’affidamento condiviso _ 4 Profili processuali della l. n. 54 del 2006 sul cd. affidamento condiviso dei figli. ANDREA GRAZIOSI 27 Le nuove norme in materia di mantenimento dei figli e di assegnazione della casa familiare. MARIA GRAZIA SCACCHETTI 43 L. 54/06. L'orientamento della giurisprudenza nel primo anno di applicazione. MILENA PINI 53 La giurisprudenza sulla reclamabilità e sulla modifica dei provvedimenti presidenziali e del G.I. 59 Sull'ammissibilità del reclamo avverso il provvedimento del G.I.: l'orientamento dei giudici, di primo e secondo grado, di Genova ENRICO BET 61 La ricerca sull'affidamento e il mantenimento dei figli condotta dall'AIAF Lombardia presso i Tribunali della Lombardia. - Le schede con la raccolta dei dati. - Sunti riepilogativi dei lavori di gruppo: 68 1. Il mantenimento dei figli. Assegno periodico e mantenimento diretto. Spese ordinarie e spese straordinarie ANNO XI - N° 3, SETTEMBRE-DICEMBRE 2006, NUOVA SERIE QUADRIMESTRALE MIRELLA QUATTRONE 69 2. L'ascolto del minore e l'accertamento delle capacita' genitoriali. La consulenza tecnica d'ufficio. La mediazione familiare. L'intervento dei servizi sociali. FRANCA ALESSIO Riforma della professione forense e specializzazione_ 72 I comunicati delle Associazioni forensi sulla specializzazione e la riforma della legge professionale. 74 La specializzazione degli avvocati in Francia. 76 Rapport sur les mentions de specialisation (Rapport adopté par le Conseil National des Barreaux le 7 septembre 2002). AIAF_ 97 Il nuovo statuto dell'AIAF nazionale 102 Il Congresso dell'AIAF convocato a Roma il 24 - 26 maggio 2007 Redazione GALLERIA BUENOS AIRES 1, 20124 MILANO TEL. E FAX 02.29535945 EMAIL: [email protected] WEB: WWW.AIAF-AVVOCATI.IT Direttore responsabile MILENA PINI Stampa TIPOGRAFIA QUATRINI A. & FIGLI SNC V. S.LUCIA 43-47, 01100 VITERBO 1 EDITORIALE L a legge 8.2.2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso) ha compiuto un anno. Come previsto, la sua applicazione ha suscitato un intenso dibattito in dottrina e giurisprudenza su molteplici questioni di natura sostanziale e processuale, logica conseguenza di un testo legislativo lacunoso e approvato frettolosamente a fine legislatura, nonostante le critiche che ne avevano accompagnato il pregresso iter parlamentare. All’atto pratico, giudici e avvocati hanno dovuto tradurre in soluzioni concrete e fun- AFFIDAMENTO CONDIVISO. PRIMO ANNO DI APPLICAZIONE. MILENA PINI * 2 zionali al caso specifico le teoriche affermazioni di chi aveva ispirato la legge e aveva in mente di dividere in due i figli, di farli saltare a giorni alterni dal letto della casa di un genitore a quello dell’altro e soprattutto di non versare alcuna somma all’altro genitore. I giudici di merito, come la stessa Cassazione, sono stati quindi impegnati in questa prima fase di applicazione della legge 54/06 ad elaborare un orientamento che, pur tenendo ovviamente conto del giusto (e mai negato) principio della corresponsabilità genitoriale e dell’importanza della presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli, avesse come riferimento centrale e prioritario l’effettivo interesse dei figli sotto ogni profilo. Esaminando le pronunce sinora emesse, si rileva che la giurisprudenza prevalente continua a confermare il pregresso indirizzo che si era consolidato nel corso degli anni su numerose questioni relative all’espletamento della funzione genitoriale e al mantenimento dei figli. Si è così affermato che l’affidamento condiviso non si identifica con l’affidamento alternato e non comporta una automatica paritaria divisione tra i genitori dei tempi di frequentazione dei figli, ma significa condivisione della responsabilità genitoriale, da attuare con il dialogo e la collaborazione tra i genitori, nel rispetto delle esigenze dei figli; si continua a disporre il collocamento dei figli presso un genitore, per mantenerli nell’habitat domestico dove sono cresciuti fino a quel momento e non sottoporli a traumatiche modifiche delle loro abitudini di vita; si attribuisce quasi sempre un assegno periodico, preferendolo al mantenimento diretto, o si attuano forme miste delle due modalità di contribuzione, specifiche al caso. Rimangono, sinora, isolate le pronunce che dispongono la permanenza dei figli “tre giorni presso la madre e tre giorni presso il padre”, o l’ “assegnazione della casa ai figli” con i genitori che vi si alternano, e minoritarie quelle che dispongono il mantenimento diretto, e che già sono state censurate dalla Cassazione. Sopite le manifestazioni di piazza e le più estreme rivendicazioni del movimento dei padri separati, che avevano fatto temere un rilevante aumento del contenzioso giudiziario anche in sede di modifica di pregressi accordi tra le parti, si è viceversa registrato quasi un effetto placebo della legge 54/06 su queste accese posizioni. I non allarmanti dati di aumento dei procedimenti di separazione, divorzio e relative modifiche, che rientrano nella fisiologia del fenomeno, inducono ad affermare che l’affidamento condiviso introdotto dalla l. 54/06 ha avuto, sotto il profilo socio culturale, un effetto positivo nel sollecitare i genitori a collaborare dopo la separazione, e quasi di rassicurazione per i “padri” circa il “mantenimento” delle loro funzioni genitoriali, quanto meno in linea di astratto principio. Sotto il profilo processuale, la legge 54/06 in sede di applicazione ha evidenziato lacune e contraddizioni, tanto da aggravare la situa- EDITORIALE SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 zione del già malato sistema giudiziario. Non è stato infatti possibile dare una pacifica interpretazione alla legge, per quanto riguarda l’individuazione del giudice competente a decidere sull’affidamento e il mantenimento dei figli naturali, e la conseguente rimessione alla Corte di Cassazione per il regolamento di competenza in relazione alla filiazione naturale, da parte del Tribunale per i minorenni di Milano e dei Tribunali ordinari di Milano e Monza, ha causato, dal maggio 2006 a tutt’oggi, l’impossibilità di ottenere tali provvedimenti in tutta l’area distrettuale di Milano, e quindi una situazione di grave disagio per i figli naturali e le famiglie di fatto, cui solo parzialmente ha potuto sopperire l’attività conciliativa stragiudiziale svolta da noi avvocati. Sono tuttora dibattute, a titolo di esempio, le questioni che riguardano il reclamo dell’ordinanza presidenziale e il relativo procedimento avanti la corte d’appello; l’ammissibilità o meno del reclamo avverso l’ordinanza ex art. 708 cpc emessa dal G.I.; l’ammissibilità o meno nel giudizio di separazione o divorzio, dell’intervento in causa del figlio divenuto maggiorenne per ottenere un assegno di mantenimento; la differenza tra la modifica ex art. 710 cpc e quella ex art. 709 ter cpc; la permanenza o meno del potere di vigilanza del giudice tutelare sull’applicazione delle condizioni della separazione e del divorzio che riguardano l’affidamento e la frequentazione dei figli. La Cassazione avrà dunque prossimamente il compito di fare chiarezza sulle diverse posizioni dei giudici di merito su tali questioni processuali. Occorrerà del tempo anche per valutare se la legge 54/06 ha comportato, a causa della lacunosità del testo, un aumento del contenzioso per quanto riguarda il numero e la durata dei procedimenti. * Direttore della Rivista 3 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO 1. - PREMESSA (QUALCHE RILIEVO DI NATURA SOSTANZIALE) a l. n. 54 del 2006, cd. sull’affidamento condiviso dei figli, è stata l’occasione per introdurre nuove ed importanti modifiche ai processi di separazione e di divorzio dopo che, solo qualche mese prima, questi procedimenti erano stati già ampiamente riformati dalla l. n. 80 del 2005 e dalla l. n. 263 del 2005. Le note che seguono saranno interamente dedicate a queste ultimissime innovazioni processuali, anche allo scopo di completare il quadro e la riflessione che avevo avviato L PROFILI PROCESSUALI DELLA L. N. 54 DEL 2006 SUL CD. AFFIDAMENTO CONDIVISO DEI FIGLI ANDREA GRAZIOSI * in un mio precedente contributo1. Vorrei tuttavia prima spendere qualche parola su quello che, almeno in termini di scelte di valore, vorrebbe essere il nucleo fondamentale della l. n. 54 del 2006, vale a dire Si ringrazia il Prof. Graziosi per la Sua collaborazione e autorizzazione a pubblicare il presente saggio, destinato alla pubblicazione sulla rivista Il diritto di famiglia e delle persone. l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico della regola dell’affidamento condiviso dei figli, legittimi o naturali2, in caso di separazione dei loro genitori3. Va anzitutto chiarito che negli intenti legislativi tale regola altro non è se non il mezzo tecnico attraverso cui realizzare anche all’interno delle coppie in crisi il principio di bigenitorialità, che si concretizza, secondo l’enunciazione programmatica contenuta nel nuovo art. 155, comma 1°, c.c., nel diritto dei figli minori “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con entrambi i genitori anche in caso di loro separazione, e di ricevere da ciascuno di essi “cura, educazione e istruzione”4. Fino ad oggi non è stato così, giacché gli abrogati artt. 155, comma 1°, c.c. e 6 l. n. 898 del 1970 (d’ora innanzi solo l. div.)5 prevedevano che in caso di separazione o divorzio, il giudice dovesse stabilire a quale genitore i figli fossero affidati, dando contestualmente ogni disposizione nel loro esclusivo interesse, ossia, all’atto pratico, quelle necessarie per assicurare la continuità dei rapporti con l’altro genitore (il cd. diritto di visita). Nella prassi giudiziaria poi, come si sa, l’applicazione di queste norme ha condotto quasi sempre a considerare rispondente all’interesse del minore l’affidamento dei figli alla madre, con disciplina più o meno 1 Mi riferisco a GRAZIOSI, Osservazioni sulla riforma dei processi di separazione e di divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 1113 ss.. 2 La l. n. 54 del 2006 si applica anche ai figli naturali per espressa volontà del suo art. 4. Su questo punto v. più diffusamente infra n. 9. 3 Per un primo commento su questo nuovo istituto v. SCHLESINGHER, L’affidamento condiviso è diventato legge. Provvedimento di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corr. giur., 2006, p. 31 ss.; SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili sostanziali, in Fam. dir., 2006, p. 377 ss.; DE MARZO, L’affidamento condiviso, profili sostanziali, in Foro it., 2006, V, c. 90 ss.; SCACCHETTI, L’assetto giuridico della famiglia ricomposta alla luce della nuova legge sull’affidamento condiviso, in Giur. merito, 2006, p. 63 ss.; VILLANI, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati, I e II, in Studium iuris, 2006, p. 519 ss.. 4 Non va dimenticato che già con la riforma del divorzio del 1987 (l. n. 74 del 1987) si era tentato, con scarsissimi risultati pratici, di attuare nel nostro ordinamento il principio di bigenitorialità, introducendo nell’art. 6 della l. div. il potere del tribunale di disporre l’affidamento congiunto o alternato dei figli, se ciò rispondesse al loro interesse. Per uno dei rari precedenti in cui si fece applicazione di questa disposizione v. Trib. Milano, 19 gennaio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1997, p. 320 ss.; per una panoramica delle perplesse posizioni assunte dalla dottrina su questo istituto v. M. FINOCCHIARO, Affidamento congiunto: le tante ragioni per aprire le porte a una rivoluzione, in Guida al diritto, 2002, fasc. 6, p. 12 ss.. 5 Questa parte dell’art. 6 della l. n. 898 del 1970 deve intendersi implicitamente abrogata poiché, come meglio si vedrà al n. 2, la l. n. 54 del 2006, e con essa la regola dell’affidamento condiviso, è applicabile anche ai giudizi di divorzio. 4 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 rigorosa del cd. diritto di visita del padre6. Ciò detto, va peraltro subito aggiunto che l’attuazione del principio di bigenitorialità può avvenire solo a condizione che la stessa non entri in conflitto con l’interesse morale e materiale del minore, il quale, secondo una valutazione ormai definitivamente acquisita dalla nostra cultura giuridica, non può che godere di una tutela sovraordinata a tutti gli altri in ogni procedimento, giudiziario e non, in cui un soggetto minorenne possa essere coinvolto7. Di quest’ultima considerazione si è dimostrata ben consapevole la l. n. 54 del 2006 che, se per un verso ha giustamente introdotto una disciplina tutta centrata sull’assoluta prevalenza dell’interesse del minore in ognuna delle decisioni che devono essere assunte nei processi di separazione e di divorzio, per altro verso ha riconosciuto lo strumento dell’affidamento condiviso solo ed esclusivamente nei limiti in cui sia funzionale ad una compiuta realizzazione di quel medesimo interesse del minore (non lascia adito a dubbi in tal senso l’incipit dell’art. 155, comma 2°, c.c., secondo cui “Per realizzare la finalità indicata dal primo comma – ovvero l’affidamento condiviso n.d.r. – il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa”). Un tale impianto, foss’anche condivisibile in termini teorici (di certo rispondente alle finalità perseguite dall’intervento legislativo), faticherà non poco, temo, ad essere realizzato nella pratica, giacché, nei fatti, è fondato su una sorta di ontologica contraddizione. Affinché qualcosa possa essere “condiviso” è necessario che regni armonia o quantomeno accordo tra i condividenti, e ciò ancor più se ci si appresti a condividere la cura, l’educazione e l’istruzione di un essere umano. Il rilievo mi pare così ovvio da risultare banale. Se quindi, a dispetto della decisione LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO di separarsi, i genitori hanno mantenuto rapporti di dialogo, di fattiva collaborazione e di reciproca stima, nulla osta a che possa essere condiviso l’affidamento dei figli nel loro esclusivo interesse. Ma queste non sono certo le situazioni cui fanno riferimento le norme qui in esame, dettate, non a caso, in tema di separazione giudiziale e non consensuale. Ciò che invece più frequentemente accade, e che la normativa appena introdotta tenderebbe a disciplinare, è che la scelta di separarsi sia il frutto (o avvenga in un contesto) di forti tensioni e litigi tra i due genitori, sempre deleterie per la crescita dell’eventuale prole. Ecco allora che appare contraddittorio stabilire (rectius illudersi) per legge che chi non riesce più a condividere nulla della propria vita (al punto da aver consensualmente o unilateralmente deciso di separarsi) possa condividere l’affidamento di un figlio, senza che ciò possa procurargli un grave pregiudizio. Se la conflittualità tra i genitori è causa di disagi di ogni genere per i figli in costanza di convivenza, la situazione non muta, ovviamente, per il solo fatto della separazione. Ed è quindi evidente che l’affidamento condiviso quasi automaticamente, in questi casi, si porrà in contrasto con l’interesse prevalente del minore. Dover condividere in un clima di latente o continua conflittualità ognuna delle scelte e delle piccole e grandi responsabilità che l’esercizio della funzione genitoriale comporta, inevitabilmente dà luogo a perenni occasioni di scontro tra i genitori, assolutamente incompatibili con l’interesse dei loro figli. Di tali indubbie difficoltà si è reso ben conto lo stesso legislatore che, dopo le affermazioni di principio contenute nei già citati commi 1° e 2° dell’art. 155 c.c., trovandosi a dover dettare le norme operative, ha introdotto una disciplina che definire flessibile è dir poco, e che, verosimilmente, pochissimo muterà nella futura prassi giudiziaria. 6 Sugli orientamenti dei tribunali italiani nei giudizi di separazione e sui loro riflessi nelle relazioni familiari v. BARBAGLI-SARACENO, Separarsi in Italia, Bologna, 1998, passim, spec. p. 190 ss. sulle difficoltà incontrate dai padri non affidatari. 7 La più chiara ed inconfutabile testimonianza di tale definitiva acquisizione è certamente costituita dalla Convenzione di New York del 20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo; sulla risalente tradizione della nozione di interesse del minore, addirittura sino al diritto romano, v. MENGONI, Affidamento del minore nei casi di separazione e di divorzio, in Jus, 1982, p. 241 ss.; per una limpida affermazione giurisprudenziale della assoluta prevalenza dell’interesse del minore su tutti gli altri che con esso eventualmente contrastino v. Trib. Milano 19 giugno 2001, in Fam. dir., 2002, p. 43. 5 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO Si dispone infatti soltanto che l’affidamento condiviso sia “prioritariamente” valutato dal giudice (art. 155, comma 2°, c.c.), e che l’eventuale affidamento monogenitoriale possa avere luogo, de plano, ove l’affidamento anche all’altro genitore sia contrario all’interesse del minore, a condizione che il relativo provvedimento sia motivato (art. 155 bis, comma 1°, c.c.). In pratica queste norme lasciano alla discrezionalità del giudice un margine di manovra amplissimo, visto che l’appezzamento del contrario interesse del minore è un tipo di valutazione che, per forza di cose, si affida molto più alla sensibilità personale del giudice che non a parametri oggettivi e verificabili (né l’obbligo di motivazione, su cui nessuno avrebbe dubitato anche in assenza di una norma espressa, credo possa incidere restrittivamente sulle modalità di esercizio di questo potere). Ampia discrezionalità che probabilmente, nella grandissima parte dei casi, condurrà il giudice a cogliere l’inconciliabilità tra l’interesse dei figli ed il loro affidamento condiviso a genitori in conflitto tra loro e perciò a disporne l’affidamento (magari sotto le mentite spoglie del semplice “collocamento” del figlio) a quello che più appaia in condizione di assumersi le responsabilità genitoriali (non necessariamente la madre, come ormai avviene un po’ troppo meccanicamente nei nostri tribunali8, ma quello dei genitori che effettivamente, caso per caso, dia maggiori garanzie di poter bene assolvere a quell’importantissima funzione). La sensazione, in definitiva, è che si tratti di una riforma dai tratti un po’ gattopardeschi che, dietro grandi proclami di cambiamento, nella realtà poco o nulla muterà quanto alle regole di affidamento dei figli nel caso di separazione dei loro genitori. Meglio sarebbe stato, allora, in una visione più pragmatica e calata nella concreta realtà delle dinamiche familiari, attuare il più che condivisibile principio di bigenitorialità, lasciando sì al giudice la libertà di scegliere tra affidamento condiviso e affidamento monogenitoriale, ma soprattutto, in quest’ul- 8 Le statistiche ci informano che ciò accade in più del 90% dei casi. 6 AIAF RIVISTA 3/2006 timo più frequente caso, rafforzando e irrigidendo enormemente le tutele e le prerogative poste a garanzia del genitore non affidatario. Molto più pregnanti invece, come stiamo per vedere, sono le innovazioni processuali introdotte dalla l. n. 54 del 2006. 2. L’ASSETTO DELLE FONTI NORMATIVE NEI PROCESSI DI SEPARAZIONE E DI DIVORZIO. n primo luogo qualche cenno merita l’ormai articolato sistema di fonti normative che presiedono allo svolgimento dei processi di separazione e di divorzio. I processi di separazione giudiziale sono retti dai nuovi artt. 706 ss. c.p.c. così come sostituiti dall’art. 3 lett. e-ter del d.l. n. 35 del 2005 (nella versione integrata dalla l. di conversione n. 80 del 2005). Ciò, peraltro, con le seguenti precisazioni: 1) l’art. 709 bis c.p.c. è stato a sua volta ulteriormente modificato dalla l. n. 263 del 2005 con l’aggiunta degli ultimi due periodi in tema di sentenza non definitiva di separazione (su cui v. qui infra); 2) l’art. 708, comma 4°, c.p.c. con cui si è introdotta la reclamabilità in corte d’appello dell’ordinanza presidenziale, è stato aggiunto al testo della norma dalla l. n. 54 del 2006 (su cui v. infra n. 6); 3) l’art. 709 ter c.p.c. è stato inserito ex novo nel corpo del c.p.c. dalla l. n. 54 del 2006 (su cui v. infra nn. 7-8); 4) fuori dal c.p.c. il processo di separazione trova disciplina anche nel nuovo art. 155 sexies, comma 1°, c.c. (aggiunto dalla l. n. 56 del 2006 – v. infra n. 3), che ha introdotto l’obbligo di ascoltare i figli minori prima dell’emanazione di qualsiasi provvedimento che li riguardi e che, come già era nella previgente disciplina, autorizza il giudice ad ammettere d’ufficio qualsiasi mezzo di prova se correlato a domande aventi ad oggetto l’affidamento dei figli; 5) sempre fuori dal c.p.c., il nuovo art. 155, comma 6°, c.c. (introdotto anch’esso dalla l. n. 56 del 2006) ammette nel processo di separazione il ricorso agli accertamenti di polizia tributaria sui redditi e sui beni dei genitori (v. infra n. 5). I SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 Il processo di divorzio è retto dal nuovo art. 4 l. div., così come sostituito dall’art. 3-bis del d.l. n. 35 del 2005 (nella versione integrata dalla l. di conversione n. 80 del 2005). Qui con la precisazione che i precitati artt. 708, comma 3°, e 709 ter c.p.c. e 155, comma 6° e 155 sexies, comma 1°, c.c., inseriti nel giudizio di separazione, come si è visto, dalla l. n. 54 del 2006, risultano interamente applicabili anche al processo di divorzio per espressa volontà dell’art. 4, comma 2°, della stessa l. n. 54. In più va notato che al solo processo di divorzio sono applicabili i commi 13°, 14° e 15° del nuovo art. 4 l. div., stante l’intervenuta, implicita, abrogazione dell’art. 23 della l. n. 74 del 1987, come meglio si vedrà tra breve. Tracciato il quadro che emerge dalla successione degli interventi normativi, si pone subito il problema di capire se ancora oggi nel nostro ordinamento possa parlarsi di processo uniforme di separazione e di divorzio, o se invece le recenti riforme abbiano improvvidamente ripristinato la duplicazione dei riti. All’indomani dell’entrata in vigore della l. n. 80 del 2005 mi ero espresso per quest’ultima opzione, rilevando che la chiara volontà della legge di sostituire (rectius abrogare e rimpiazzare con norme nuove) gli artt. 706 ss. e 4 l. div. implicava l’automatica abrogazione dell’art. 23 della l. n. 74 del 19879. Altra parte della dottrina sostiene invece la tesi opposta, notando che l’art. 23 deve considerarsi ancora in vigore poiché, per sua stessa previsione, la sua abrogazione non può che conseguire all’introduzione di un nuovo c.p.c., che certamente non è avvenuta con le ultime pur copiose riforme10. Anche ad una più approfondita riflessione l’argomento continua a non convincermi. Anzitutto mi pare dubbia la tenuta e la valenza di una norma che fissi essa stessa la condizione, unica ed insostituibile, richiesta per 9 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO la sua perdita di efficacia. Se così fosse ci troveremmo in presenza di una patente violazione del principio secondo cui lex posterior derogat priori e con essa della sovranità legislativa del Parlamento (privato del potere di abrogare quella norma). Poi, mi pare che sostenere che l’art. 23 sia ancora oggi in vigore, e perciò che al processo di separazione si applichino “le regole di cui all’art. 4” l. div., conduca ad una conclusione un po’ paradossale. Se infatti così fosse, significherebbe che i nuovi artt. 706 ss. c.p.c. (quelli, per intenderci, introdotti dall’art. 3 lett. e-ter del d.l. n. 35 del 2005 – v. sopra) il giorno stesso in cui sono entrati in vigore (il 1° marzo 2006) sono anche stati abrogati, perché, grazie all’art. 23 ancora in vigore, il giudizio di separazione sarebbe ancora regolato dall’art. 4 l. div. (nuovo o vecchio?) e non dai nuovi artt. 706 ss. c.p.c.. Ma così ovviamente non può essere, in quanto non può darsi una norma che lo stesso giorno (istantaneamente direi) appaia e scompaia dall’ordinamento giuridico (e per di più per volere di una disposizione previgente). Per queste ragioni, a mio avviso insuperabili sul piano della logica giuridica, rimango dell’idea che l’art. 23 della l. n. 74 del 1987 sia stato implicitamente abrogato dalle recenti riforme processuali11, così come, per il vero, rimango anche dell’idea che questa sia stata una pessima scelta del nostro frettoloso legislatore. Prima di concludere, un’ultima rapidissima osservazione. Tra gli effetti nefasti prodotti dal ripristino della duplicazione dei riti nella separazione e nel divorzio, vi era anche quello di aver reso inapplicabile alla separazione l’art. 4, comma 9°, l. div. (oggi comma 12°), e quindi di aver impedito la possibilità di emettere in tempi rapidi la sentenza non definitiva di separazione, con tutto ciò che ne consegue in termini di ritardo nella formazione del giudicato sulla domanda di Per una più esauriente esposizione di questo argomento, mi sia consentito il rinvio a GRAZIOSI, op. cit., p. 1114 ss.. 10 Cfr. TOMMASEO, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. dir., 2006, p. 7; CIPRIANI, I processi di separazione e di divorzio, in Foro it., 2005, V, c. 144; SALVANESCHI, I procedimenti di separazione e di divorzio, testo in corso di pubblicazione che ho potuto leggere in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autrice. 11 In termini anche DANOVI, Il procedimento di separazione e di divorzio alla luce delle ultime riforme normative, testo in corso di pubblicazione in AA.VV, Le prassi giudiziali nei procedimenti di separazione e di divorzio, Torino, 2006, che ho potuto consultare in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autore; più possibilista CASABURI, I nuovi istituti di diritto di famiglia (norme processuali ed affidamento condiviso): prime istruzioni per l’uso, in Giur. merito, 2006, p. 6 ss.. 7 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO separazione e perciò anche sulla proponibilità della domanda di divorzio12. A tale gravissima lacuna si è fortunatamente posto rimedio, forse anche a seguito delle allarmate segnalazioni dottrinarie, con la modifica dell’art. 709 bis c.p.c., ad opera della l. n. 263 del 2005, il quale, oggi, autorizza il tribunale ad emettere sentenza non definitiva se il processo deve proseguire “per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o per le questioni economiche”, ed inoltre ammette contro questa sentenza “soltanto appello immediato” (con esclusione quindi della riserva facoltativa d’appello) “che è deciso in camera di consiglio”. La disposizione, oltre che opportuna per le ragioni cui si è fatto cenno, appare anche particolarmente apprezzabile per via dell’inserimento, tra i casi in cui può essere emessa sentenza non definitiva di separazione, della necessità di proseguire il processo sulla domanda di addebito e sulle domande relative all’affidamento dei figli (diversamente da quanto ancor oggi è previsto nel nuovo comma 12° dell’art. 4 l. div.), risolvendo così i principali dubbi interpretativi13 cui aveva dato luogo l’applicabilità del vecchio art. 4, comma 9°, l. div. al giudizio di separazione14. Appurato che d’ora innanzi la sentenza non definitiva di separazione troverà la sua disciplina nell’art. 709 bis c.p.c., mentre quella non definitiva di divorzio nell’art. 4, comma 12°, l. div., rimane da notare che, stante l’abrogazione dell’art. 23 l. n. 74 del 1987, l’applicabilità dei successivi commi 13° (facoltà del tribunale di far decorrere l’obbligo di corresponsione dell’assegno dal momento della domanda), 14° (provvisoria AIAF RIVISTA 3/2006 esecutorietà della sentenza di divorzio), 15° (rito applicabile in grado d’appello) del medesimo art. 4 sarà circoscritta al solo processo di divorzio15. Qualche incertezza può nascere solo con riguardo al rito da seguire in appello nel processo di separazione, giacché il menzionato art. 709 bis c.p.c. prescrive che (solo) l’appello promosso contro la sentenza non definitiva segua il rito camerale. Viene allora da chiedersi se, per coerenza, quest’ultima regola debba intendersi operante anche quando l’appello è proposto contro la sentenza definitiva, o se invece, stante l’inapplicabilità del nuovo art. 4, comma 15°, l. div. al processo di separazione, l’appello contro la sentenza non definitiva debba celebrarsi in forme ordinarie. Benché mi renda perfettamente conto della plateale disarmonia sistematica che quest’ultima soluzione comporta, credo comunque che essa sia imposta dal rigido dettato legislativo. Per un verso, infatti, non si può trascurare che l’art. 709 bis c.p.c. limita esplicitamente l’applicazione del rito camerale all’appello proposto contro la sentenza non definitiva (“Avverso tale sentenza …”, recita la norma, ovverosia avverso la pronuncia non definitiva), per altro verso, poi, venuto meno l’art. 23, non vedo alcuna possibilità di estendere al processo di separazione l’applicazione del nuovo art. 4, comma 15°, l. div.. Per cui, in definitiva, in mancanza del benché minimo indice normativo in tal senso, non credo vi siano gli estremi per poter derogare al rito ordinario, seppur solo in fase di gravame, a beneficio di un rito speciale16. 12 Come si sa, infatti, l’art. 3, l. div. prevede che se il divorzio è chiesto per pregressa ininterrotta separazione triennale, la domanda non è procedibile finché la sentenza di separazione non sia passata in giudicato. Per una sintesi dei termini in cui si era posto il problema sotto il regime delle vecchie norme e delle soluzioni che erano state elaborate, mi sia consentito il rinvio a GRAZIOSI, op. cit., p. 1141 s.. 13 Da ultimo in arg. v. CIPRIANI, Sulle domande di separazione, di addebito e di divorzio, in Foro it., 2002, I, c. 383 ss. 14 Rimane invece inalterato il difetto tecnico, che già era stato rilevato nel previgente art. 4, comma 9°, l. div. (e tuttora presente nel nuovo comma 12°), rappresentato dal fatto che la disposizione si rivolge al tribunale e non al g. i. come invece dovrebbe (e come certamente era ed è nelle intenzioni del legislatore). Su questi aspetti e sulle problematiche cui si fa cenno nel testo, si v. ancora GRAZIOSI, op. cit., p. 1141 ss.. 15 Rimangono quindi ancor oggi validi i rilievi critici da me in precedenza svolti in merito all’applicabilità al solo processo di divorzio delle norme ora richiamate; v. GRAZIOSI, op. cit., p. 1146 ss.. In senso contrario v. DANOVI, op. cit., n. 3, il quale, appellandosi ad una “estensione analogica”, propende per l’applicabilità alla separazione delle specifiche disposizioni previste per il solo processo di divorzio. 16 Contra TOMMASEO, op. cit., p. 7; nonché DANOVI, op. cit., n. 3, secondo cui una volta preso atto della compatibilità costituzionale tra procedimento camerale e gravame nel processo di divorzio (…), non si può non continuare ad estendere anche alla separazione la disciplina speciale prevista per il divorzio “non potendosi giustificare sotto tale profilo (…) una diversità di disciplina in relazione ad 8 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 3. L’AUDIZIONE DEL FIGLIO MINORE n tema di audizione dei figli minori nei processi di separazione e di divorzio le recenti riforme si sono esibite in una spettacolare, quanto provvidenziale, inversione di rotta. Se con le norme introdotte dalla l. n. 80 del 2005 il diritto dei minori di essere ascoltati in questi processi, non solo non era stato potenziato ma addirittura era stato ridimensionato, la l. n. 54 del 200617, solo pochi mesi dopo, lo ha letteralmente consacrato nel nuovo art. 155 sexies, comma 1°, c.c., ove si prevede che “prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’art. 155” (ossia quelli di affidamento dei minori), il giudice dispone “l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento”. La norma, che finalmente allinea il nostro ordinamento a precise disposizioni di diritto internazionale pattizio18, è chiarissima nell’imporre l’audizione del figlio minore ultradodicenne o comunque capace di discernimento, tanto in fase presidenziale (ciò si desume linearmente dall’inciso “anche in via provvisoria” che compare nell’art. 155 sexies, c.c.), che durante la fase di merito19. Per parte mia, un riconoscimento così esplicito del diritto dei minori di essere sentiti nei processi di separazione e di divorzio che coinvolgono i loro genitori costituisce un grosso passo avanti, in termini di civiltà giuridica, del nostro ordinamento. Ciò detto, in questa sede è preferibile occuparsi delle ricadute pratiche ed esegetiche della nuova nor- I LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO ma, piuttosto che intrattenersi di nuovo sull’animato dibattito che ancora si agita intorno all’opportunità che i minori siano o meno sentiti nei procedimenti giudiziari che li riguardano. Oltre al rilievo che con l’entrata in vigore del nuovo art. 155 sexies c.c. deve ritenersi implicitamente abrogato l’art. 4, comma 8°, l. div. nella parte in cui era (riduttivamente) regolato il potere del presidente di ascoltare i figli minori in sede di udienza presidenziale20, direi che sul piano esegetico due sono le questioni che, in prima battuta, si impongono all’attenzione dell’interprete. Anzitutto non è previsto dalle nuove disposizioni quali siano le conseguenze processuali per il caso di mancata audizione dei figli minori. A me non par dubbio che l’obbligo di sentire i minori vada inteso come una condizione di procedibilità del giudizio e che quindi un’eventuale sua omissione dia luogo a nullità dell’ordinanza presidenziale (rilevabile con il reclamo ex art. 708, comma 3°, c.p.c.), se è stato il presidente a pronunciarsi senza prima aver sentito i figli minori, o della sentenza, se ciò è accaduto durante la fase di merito a cognizione piena21. In tal senso depone, per un verso la chiara lettera dell’art. 155 sexies, comma 1°, c.c., che pone a carico del giudice il dovere di sentire i figli minori in termini rigidamente imperativi; per altro verso rileva che tale obbligo del giudice, in quanto istituito a garanzia di un diritto della personalità - per ciò stesso indisponibile - è certamente insuscettibile di deroghe processuali, tanto ad opera delle parti che ad opera del giudice. aspetti meramente formali”. A questo rilievo mi permetto di obiettare che le profonde divergenze che contrappongono rito camerale e rito ordinario non sono riducibili a meri aspetti formali, essendo il procedimento in camera di consiglio, a mio avviso, un vero e proprio rito speciale. 17 Sulle ragioni per cui era ravvisabile detto ridimensionamento, basti qui ancora il rinvio a GRAZIOSI, op. cit., p. 1130 ss. 18 Mi riferisco evidentemente all’art. 12 della convenzione di New York del 20 novembre 1989 e all’art. 3 della convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996. 19 Cfr. DANOVI, op. cit., n. 3, che assai appropriatamente parla di “vera e propria clausola generale, in linea con l’importanza universalmente riconosciuta all’ascolto del minore nei processi che lo riguardano”; in senso parzialmente differente da quanto sostenuto nel testo MARTINELLI – MAZZA GALANTI, La nuova disciplina dell’affidamento condiviso: una legge improvvisata e approssimativa, in Quest. giust., 2006, p. 468, ove si attribuisce “all’ascolto del minore un carattere normale ma non obbligatorio”; contra LUPOI, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, che ho potuto consultare nel testo dattiloscritto grazie alla cortesia dell’Autore. 20 Mi riferisco, in particolare, all’inciso “qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età” quale condizione cui la legge subordinava il potere del presidente di sentire i figli minorenni, visto che oggi il presidente, ai sensi del nuovo art. 155 sexies, c.c., ha il dovere, non il potere, di sentire i figli minori. Conf. TOMMASEO, op. cit., p. 11. 21 Conf. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili processuali, in Fam. dir., 2006, p. 397. 9 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO In secondo luogo, vi è da chiedersi se l’audizione dei figli minori ultradodicenni o comunque capaci di discernimento, introdotta con riferimento alla separazione giudiziale ed al cd. divorzio contenzioso (arg. ex art. 4, comma 2°, l. n. 54 del 2006 – v. sopra), non sia a questo punto divenuta obbligatoria anche nei giudizi di separazione consensuale e di divorzio su ricorso congiunto. Il quesito nasce spontaneo dalla ovvia constatazione che sarebbe quantomeno strano che l’ordinamento riconoscesse, ed in modo così deciso, il diritto dei minori ad essere ascoltati nelle due procedure contenziose di separazione e di divorzio e lo lasciasse del tutto sguarnito di tutela negli omologhi procedimenti che si svolgono su basi consensuali. A parte l’immediato sospetto di incostituzionalità che potrebbe sorgere in relazione alla disparità di trattamento che si determinerebbe tra i figli di genitori che si separano (o divorziano) giudizialmente, ammessi ad essere previamente sentiti dal giudice, ed i figli di genitori che scelgono la via consensuale, esclusi in radice dalla facoltà di manifestare la loro opinione nella procedura giudiziaria che li concerne, non può non rilevarsi l’assoluta irrazionalità di un sistema che addiviene al riconoscimento di un diritto processuale della personalità (quale certamente è il diritto dei minori di essere ascoltati nei processi che li riguardano), ma al tempo stesso, in modo del tutto arbitrario, esclude alcuni dei potenziali titolari di quel diritto dal suo godimento (si noti che la l. n. 54 del 2006 all’art. 4, comma 2° - su cui v. infra n. 9 - estende anche ai figli naturali il diritto di essere ascoltati nei processi che li riguardano, per cui ne rimarrebbero esclusi, davvero, i soli figli legittimi di genitori separati o divorziati con procedure consensuali). Alla luce di questi ultimi rilievi, pertanto, si può concludere che in realtà l’innovazione contenuta nel nuovo art. 155 sexies c.c. è più ampia di quel che può apparire dalla semplice lettura del testo della norma, in quanto l’obbligo di sentire i figli minorenni investe anche le procedure di separazione consen- AIAF RIVISTA 3/2006 suale e di divorzio su ricorso congiunto. D’altronde, è proprio in queste ultime procedure che è più alto il rischio che le condizioni di affidamento dei figli, liberamente concordate dai genitori al di fuori di ogni controllo giudiziario, confliggano con l’interesse del minore (non a caso l’art. 158, comma 2°, c.c. dispone che la separazione consensuale non può essere omologata se è in contrasto con l’interesse dei figli), per cui qui è ancora più intensa la necessità che il tribunale conosca il punto di vista dei figli minorenni, affinché meglio possa valutare la rispondenza tra il loro prevalente interesse e gli accordi intervenuti tra i coniugi. Quanto alle ricadute pratiche, è chiaro che il nuovo art. 155 sexies c.c. condurrà ad una radicale revisione del modo di celebrare le udienze presidenziali. Non credo, ad esempio, che l’audizione dei figli minorenni possa avvenire nella stessa udienza in cui è preliminarmente celebrato il tentativo di conciliazione, né che possa avvenire alla presenza delle parti o dei loro difensori. Probabilmente, d’ora in avanti nei procedimenti di separazione (giudiziale o consensuale) e di divorzio di coppie con figli minorenni, la fase presidenziale dovrà essere frazionata in due distinte udienze, l’una dedicata al tentativo di conciliazione, l’altra appositamente riservata all’audizione dei figli minori. Inoltre, dovranno essere messi in atto tutti i possibili accorgimenti per limitare al minimo il disagio cui il minore può essere esposto a causa della sua comparizione avanti al giudice, e quindi, per esempio, potrà essere ascoltato a porte chiuse alla sola presenza del giudice, o eventualmente di un esperto da questi nominato; o ancora, la verbalizzazione potrebbe essere omessa (o ridotta all’essenziale) per evitare possibili usi ritorsivi o ricattatori dei verbali da parte di uno o di entrambi i genitori nei confronti dei figli22. I provvedimenti temporanei ed urgenti, infine, potranno essere pronunciati all’esito dell’udienza di audizione dei figli minori, ma anche in un’ulteriore apposita udienza, dopo che il presidente avrà dato la parola ai difensori, 22 Sulle modalità di ascolto protetto del minore tramite l’ausilio di uno psicologo v. le indicazioni operative fornite da MARTINELLI – MAZZA GALANTI, op. cit., p. 469. 10 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 come oggi espressamente prevedono gli art. 708, comma 3°, c.p.c. e 4, comma 8°, l. div.. 4. LA POSIZIONE PROCESSUALE DEI FIGLI MAGGIORENNI NON ANCORA ECONOMICAMENTE AUTOSUFFICIENTI. i sensi del nuovo art. 155 quinquies, comma 1°, c.c. “il giudice … può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”. La norma ha un duplice significato. Da un lato codifica il diritto dei figli maggiorenni ad essere mantenuti dai loro genitori sino al raggiungimento dell’indipendenza economica23, dall’altro stabilisce che l’attuazione di questo diritto deve avvenire attraverso la corresponsione di un assegno periodico, da versarsi direttamente dai genitori obbligati al figlio maggiore di età. Poco o nulla di nuovo è stato introdotto con la prima delle due modifiche, dal momento che l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti era già diritto vivente nell’ormai consolidato orientamento della nostra giurisprudenza 24. Quanto al secondo aspetto, invece, la novità non è di poco conto, poiché sino ad oggi si era abituati a pensare che l’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni andasse corrisposto dal genitore non convivente al genitore con il quale il figlio aveva scelto di convivere. Solo nel caso in cui il figlio risiedesse da solo, si era soliti ammettere la corresponsione diretta dell’assegno di mantenimento al figlio da parte dei genitori. D’ora innanzi invece, stante il chiaro tenore della norma, il tribunale dovrà disporre la corresponsione diretta dell’assegno al figlio A LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO maggiorenne, da parte di tutti e due i genitori, a prescindere da dove lo stesso risieda. Fermo restando, naturalmente, che nel caso in cui il figlio abiti con uno dei due genitori, una parte di quanto ricevuto potrà essere devoluta al genitore convivente quale contributo alle spese abitative. A mio avviso, questa nuova regolamentazione del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni, chiamati ad amministrare in prima persona il loro budget mensile, è più incline della precedente a favorirne la maturazione e la responsabilizzazione, e perciò non può che essere ampiamente condivisa. L’innovativa disciplina contenuta nel riformato art. 155 quinquies, comma 1°, c.c. produce anche alcune notevoli ripercussioni processuali. Ora che si è riconosciuto a pieno titolo il diritto del figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente a vedersi versare direttamene l’assegno per il proprio mantenimento, diviene oltremodo difficile, mi pare, negare che egli, ormai dotato di capacità processuale, sia parte necessaria del processo (di separazione o di divorzio), nel quale si deve stabilire se ed in che misura quel diritto sussista. Se è vero, in altri termini, che oggi il debito di mantenimento assume la forma di un’obbligazione pecuniaria periodica che vede come creditore il figlio e come parti debitrici i due genitori, le più elementari regole processuali sulla legittimazione ad agire esigono che al giudizio nel quale si controverte dell’esistenza e dell’ammontare di quell’obbligazione debba partecipare anche il (preteso) creditore25. Ciò implica, se non erro, che d’ora in avanti se un figlio raggiunge la maggiore età in pendenza del processo di separazione o di divorzio tra i propri genitori e se in quel giudizio si disquisisce anche del suo mantenimento, il contraddittorio debba essere necessariamente integrato nei suoi confronti. Se invece l’azio- 23 Ad esser precisi, la norma, un po’ incautamente, non specifica che il diritto al mantenimento cessa con il conseguimento dell’indipendenza economica da parte del figlio, ma ciò è linearmente desumile, oltre che dal comune buon senso, anche da numerose pronunce intervenute sul punto (alcune vedile citate alla nota successiva). Ed anzi la giurisprudenza ha avuto cura di puntualizzare che il diritto al mantenimento viene meno anche se il mancato raggiungimento della maturità economica è ascrivibile a negligenza del figlio (Cass., 12 dicembre 2002, n. 17717 in Fam. dir., 2003, p. 349), o all’abbandono di un’attività lavorativa precedentemente iniziata (Cass., 7 luglio 2004, n. 12477, in Giust. civ., 2005, I, p. 699). 24 Tra le tante v. Cass., 18 gennaio 2005, n. 951 in Fam. dir., 2005, p. 138; Cass., 3 marzo 2002, n. 4765, in Foro it., 2002, I, c. 1323. 25 Contra LUPOI, Aspetti processuali cit.. 11 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO ne di divorzio o di separazione è promossa quando egli ha già raggiunto la maggiore età, la causa va radicata ab origine anche nei suoi confronti, al fine di consentirgli di far valere, ricorrendone i presupposti di legge, il suo eventuale diritto al mantenimento. Alla ricostruzione qui proposta potrebbe obbiettarsi che in realtà non è configurabile un vero e proprio diritto soggettivo del figlio maggiorenne a ricevere direttamente l’assegno di mantenimento, poiché l’art. 155 quinquies, comma 1°, c.c. fa salva un’eventuale “diversa determinazione del giudice”, ossia il potere di disporre che l’assegno sia versato al genitore con il quale il figlio risiede. A me non pare tuttavia che una simile obbiezione coglierebbe nel segno. Infatti la norma, con l’inciso qui in esame, non rimette affatto al giudice un potere discrezionale di scegliere tra corresponsione diretta dell’assegno e corresponsione al coniuge, ma si limita ad introdurre una salvaguardia per le situazioni limite, nelle quali il figlio, benché maggiorenne, non sia oggettivamente in grado di amministrare la somma ricevuta per il suo mantenimento (si pensi al caso di una grave malattia psichica o fisica). In tali eccezionali casi, e solo in questi, il giudice potrà derogare alla regola generale e stabilire che l’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne sia versato al genitore con il quale lo stesso convive. In tutti gli altri, a norma del nuovo art. 155 quinquies c.c., i figli maggiorenni vantano un vero e proprio diritto soggettivo alla corresponsione diretta dell’assegno di mantenimento. 5. L’ATTIVITÀ ISTRUTTORIA. ome ho già segnalato sopra, la l. n. 54 del 2006 è intervenuta anche sul piano istruttorio, rimodulando, all’art. 155, comma 6°, c.c., il potere del giudice di disporre accertamenti di polizia tributaria, sino ad oggi previsto e regolamentato dall’art. 5, comma 9°, l. div., che quindi ora dovrà considerarsi implicitamente abrogato26. Questa nuova disposizione subordina il potere del giudice di ordinare accertamenti di C 26 Contra LUPOI, Aspetti processuali cit.. 12 AIAF RIVISTA 3/2006 polizia tributaria all’evenienza che “le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate”. Va preliminarmente osservato che la norma col riferirsi alle sole informazioni fornite dai genitori, e non dai coniugi, sembra escludere dal proprio campo di applicazione tutti i procedimenti di separazione e di divorzio tra coppie senza figli. Non è facile capire se questa restrizione sia il frutto di una delle tante sviste redazionali che hanno afflitto quest’ultima stagione di riforme, o sia al contrario una consapevole scelta legislativa, tendente a contenere l’esercizio di un potere istruttorio tanto incisivo ai soli processi nei quali si controverta di diritti indisponibili e di indubbio rilievo costituzionale, quali certamente sono quelli che fanno capo ai figli (specie se minori). Tuttavia quand’anche non sia stata quest’ultima considerazione ad ispirare il legislatore, la sua indubbia coerenza con i principi che governano l’attività istruttoria nel nostro sistema processuale, credo debba comunque condurre ad approvare la restrittiva scelta operata nella norma in esame. Inoltre, ritengo che come ogni altro potere ufficioso del giudice, anche quello di disporre accertamenti di polizia tributaria debba rimanere circoscritto all’accertamento di fatti allegati dalle parti, al fine di scongiurare, in ossequio al principio dispositivo, il rischio di indagini meramente esplorative. A tale scopo, pertanto, il quesito posto all’organo investigativo dovrà essere il più possibile specifico, soprattutto quanto all’esatta individuazione delle circostanze da sottoporre a verifica. Venendo ora ai presupposti che la legge richiede perché le indagini di polizia tributaria possano essere autorizzate, mi pare vadano riconosciuti ogni volta che sia registrabile una significativa discrasia tra le risultanze dei documenti di natura economica prodotti dalle parti e quanto emerge, anche in via indiziaria, da altre acquisizioni processuali circa il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio o, più in generale, la situazione SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 patrimoniale della famiglia. È in questi casi infatti che, come vuole l’art. 155, comma 6°, l. div., le informazioni economiche fornite dai genitori non appaiono sufficientemente documentate, ed è perciò legittimo il sospetto che il patrimonio e/o il reddito di uno dei due genitori siano stati intenzionalmente occultati. Nella delimitazione dell’oggetto delle indagini troviamo la novità più rilevante rispetto al passato, laddove oggi si prevede che gli accertamenti possano essere estesi anche a beni intestati a terzi. La disposizione, più che opportuna, contribuirà certamente a smascherare l’intestazione fittizia di interi patrimoni, o parte di essi, a società di comodo o a prestanome di vario genere e specie, cui spesso nella pratica si fa ricorso per tentarne l’occultamento agli occhi del giudice. Ed anzi, non è escluso che la sola presenza di questo nuovo più penetrante potere d’indagine serva a disincentivare pratiche di questo tipo. Nel complesso, in definitiva, quello introdotto dalla l. n. 54 del 2006 è un potere istruttorio incisivo e ad ampio spettro che, se ben utilizzato, certamente potrà giovare alla completezza dell’istruttoria nei processi di separazione e di divorzio, ma che, al contempo, non deve assolutamente prestarsi ad abusi, trasformando il giudice in una sorta di organo inquirente. LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO 6. LA RECLAMABILITÀ DELL’ORDINANZA PRESIDENZIALE. ra le molte novità processuali introdotte dalla l. n. 54 del 2006, la più ragguardevole è indubitabilmente quella che ammette la reclamabilità in corte d’appello dell’ordinanza presidenziale. Da tempo in dottrina27 e giurisprudenza28 si dibatteva il tema dell’impugnabilità dell’ordinanza presidenziale, pervenendo generalmente a negare questa possibilità29. Ora il legislatore, accogliendo i suggerimenti di parte della dottrina30 e facendo proprie le aperture della giurisprudenza minoritaria31, ha ammesso la reclamabilità, ma non avanti al tribunale in composizione collegiale, come forse era lecito attendersi sulla falsa riga di quanto accade in sede cautelare, bensì avanti alla corte d’appello. La ratio di quest’opzione non è facilmente individuabile. Forse ha giocato la preoccupazione che i giudici di tribunale, chiamati a sindacare il contenuto di un provvedimento reso dal loro presidente, potessero essere condizionati da una sorta di timore reverenziale e quindi non essere del tutto liberi nel giudizio; o forse, più verosimilmente, si è scelta la corte d’appello per assicurare all’interno dei vari distretti quell’uniformità di trattamento che sempre dovrebbe essere garantita nell’applicazione della legge, e che invece in questo campo, per forza di cose, ha scontato sino ad oggi non pochi cedimenti. Quel che comunque è certo è che, all’atto T 27 SALVANESCHI, Provvedimenti ex art. 708 c.p.c. e nuovo rito cautelare uniforme, in Fam. Dir., 1994, p. 65 ss.; OLIVIERI, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. proc., 1991, p. 731 ss.; PROTO PISANI, Su alcuni problemi attuali del processo familiare, in Foro it., 2004, I, c. 2535 ss.. 28 V. nota 31. 29 Il dibattito ruotava principalmente attorno alla possibilità di estendere il reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c. all’ordinanza presidenziale, ma i più escludevano questa possibilità sul presupposto che la possibile ultrattività dell’ordinanza in caso di estinzione del processo, ex art. 189 disp. att. c.p.c., ne rendeva impossibile l’assimilazione ai provvedimenti cautelari. Per tutti OLIVIERI, op. cit., p. 731-732; ed inoltre SALVANESCHI, Provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e della prole e procedimento cautelare uniforme, in Riv. dir. proc., 1994, p. 1079, sulla base, peraltro, della diversa considerazione dell’assoluta specialità del processo di separazione e di divorzio; contra CECCHELLA, Il processo cautelare, Torino, 1997, 243 ss.. 30 Fondamentalmente di CIPRIANI di cui, tra i tanti contributi dedicati a questo tema, v. in particolare ID, L’impugnazione dei provvedimenti <<nell’interesse dei coniugi e della prole>> ed il lento ritorno al garantismo, in Corr. giur., 1998, p. 21 ss.; ma v. anche MARTINELLI, Alcune questioni sull’ambito di applicazione del nuovo rito cautelare uniforme, in Foro it., V, c. 161 ss. spec. c. 174 ss. 31 Trib. Genova, ord. 10 maggio 2004, in Foro it., 2004, I, c, 2534 con nota adesiva di CIPRIANI, Sulla reclamabilità dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c.; Trib. Genova, ord. 10 gennaio 2004, ivi, 2004, c. 931; Trib. Genova, ord. 16 febbraio 2004, ivi, 2004, c. 904; Trib. Rovereto, ord. 18 febbraio 2005 nonché Trib. Genova, ord. 22 novembre 2004, ivi, 2005, I, c. 1592; tra le tante contrarie v. per tutte Trib. Bari ord. 23 dicembre 2004, ivi, 2005, I, c. 1244; Trib. Verona ord., 20 febbraio 2003, ivi, 2003, I, 3156; Trib. Foggia, ord. 30 luglio 2001, ivi, 2002, I, c. 263 con nota di CEA, I provvedimenti nell’interesse dei coniugi e della prole e il reclamo cautelare; recentissimamente, addirittura dopo la l. n. 54 del 2006, v. Trib. Foggia, ord. 2 maggio 2006, in Foro it., 2006, c. 2213. 13 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO pratico, questa scelta metterà a dura prova le già sovraccariche corti d’appello italiane. Come in parte si sta già verificando, assisteremo, soprattutto nelle separazioni giudiziali, ad un ricorso massiccio a questo nuovo mezzo di impugnazione, col risultato di ingolfare ancora di più le nostre già congestionate corti di seconda istanza. Se la scelta di garanzia di cui l’art. 708, comma 4°, c.p.c. è espressione rappresenta certamente un progresso per il nostro ordinamento, quantomeno in termini astratti, analogo giudizio positivo non può essere esteso alla qualità tecnica della norma, che anzi denota gravissime carenze, a cominciare dal fatto che non precisa da quando decorre il termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo. Ma soprattutto, ed è questa certamente una questione che creerà notevolissimi problemi, manca completamente di una disciplina di raccordo tra il nuovo reclamo ed il potere di revoca o modifica dell’ordinanza presidenziale, ancor oggi riconosciuto al g. i. dall’art. 709, comma 4°, c.p.c., per ciò che concerne la separazione, e dall’art. 4, comma 8°, l. div., per ciò che concerne il divorzio. La soluzione del primo interrogativo è semplice: se l’ordinanza è emessa in udienza non mi par dubbio che il termine di dieci giorni debba decorrere da tale data; se invece è resa fuori udienza decorrerà dalla data di notifica del provvedimento, in mancanza della quale, però, sarà il termine annuale di cui all’art. 327 c.p.c. a determinare la decadenza dal potere di proporre reclamo. Assai più complesse e per certi versi inestricabili appaiono invece le problematiche che sorgono a cascata dal difetto di coordinamento di cui si è detto. In termini sintetici direi si possano così schematizzare: a) reclamabile anche il provvedimento del g. i. con cui viene revocata e/o modificata l’ordinanza presidenziale? b) revocabile e/o modificabile dal g. i. l’ordinanza della corte d’appello con cui si è AIAF RIVISTA 3/2006 deciso sul reclamo proposto avverso l’ordinanza presidenziale? c) una volta che si sia consumato il potere di proporre reclamo per l’inutile decorso del termine, la revoca e/o modifica dell’ordinanza presidenziale può essere chiesta al g. i. solo per far valere circostanze sopravvenute o anche per denunciare originari errores in procedendo o in iudicando contenuti nel provvedimento impugnato? d) è revocabile e/o modificabile dal g. i. l’ordinanza presidenziale in pendenza del reclamo promosso contro la stessa? Naturalmente la soluzione offerta ad ogni singolo quesito dovrà essere tale da non entrare in contraddizione logica con le altre, collocandosi possibilmente all’interno di un’armonica sistemazione unitaria. Seguendo l’ordine sopra prospettato, e partendo quindi dalla questione posta sub a), direi che, pur in assenza di un esplicito riferimento normativo in tal senso, non possa esser negata la reclamabilità in corte d’appello anche dell’ordinanza istruttoria con cui è stata modificata l’ordinanza presidenziale. Il provvedimento di revoca o modifica reso dal g. i. all’interno dei giudizi di separazione e di divorzio condivide con l’ordinanza presidenziale funzione e struttura (va interamente o parzialmente a sostituirsi ad essa), per cui sarebbe sistematicamente irrazionale, una volta ammessa la reclamabilità della seconda, non estendere il mezzo di impugnazione anche al primo32. Escluderei invece la reclamabilità dell’ordinanza istruttoria meramente confermativa di quella presidenziale, per la ovvia ragione che se ciò fosse possibile si darebbe vita ad un facile espediente per eludere il termine perentorio previsto per la proposizione del reclamo contro l’ordinanza presidenziale. Più complessa la questione individuata sub b). In apparenza la soluzione negativa parrebbe discendere linearmente dal canone generale secondo cui il giudice di grado infe- 32 Conf. SALVANESCHI, op. cit., ove giustamente si sottolinea che “Un provvedimento del giudice istruttore che revochi o, più probabilmente, modifichi il regime dei provvedimenti presidenziali, è un provvedimento che incide sui diritti delle parti che non potranno quindi, per ragioni di costituzionalità e di coerenza sistematica, essere private del diritto al controllo oggi previsto con riferimento al provvedimento originario”. Di recente in tal senso in giurisprudenza v. anche Trib. Genova ord. 2 maggio 2006, in Foro it., 2006, I, c. 2213 ss., con nota di CEA, La nuova torre di Babele: la legge sull’affidamento condiviso e il reclamo contro i provvedimenti del giudice istruttore. 14 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 riore non può sindacare, né modificare, quanto statuito da quello di grado superiore. In realtà tale regola, pur fondamentale per assicurare il proficuo svolgimento della funzione giurisdizionale e per garantire la progressiva formazione del giudicato, non può essere così meccanicamente estesa al caso di specie, perché il decreto della corte d’appello che sostituisce, modifica o conferma l’ordinanza presidenziale, per un verso è un provvedimento sempre provvisorio (destinato ad essere sostituito dalla futura sentenza di separazione o di divorzio), e, per altro verso, come l’ordinanza presidenziale stessa, tutela posizioni soggettive che strutturalmente non sono suscettibili di dare luogo ad un vero e proprio passaggio in giudicato, ma semplicemente di acquisire una più limitata definitività allo stato degli atti (il cd. giudicato rebus sic stantibus)33. Fatta questa premessa, non può comunque nemmeno essere trascurata l’esigenza di assicurare un certo grado di stabilità al decreto pronunciato dalla corte d’appello in sede di reclamo, pena la sua assoluta inutilità (giacché, una volta emesso, ne potrebbe sempre essere chiesta la modifica al g.i., che potrebbe adottare di nuovo le statuizioni che la corte aveva riformato). Se questi sono i termini del problema, un ragionevole punto d’equilibrio potrebbe LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO esser quello di ammettere il potere del g. i. di revocare e/o modificare il decreto pronunciato dalla corte d’appello in sede di reclamo dell’ordinanza presidenziale (ovvero l’ordinanza presidenziale stessa semplicemente confermata dalla corte d’appello) solo se sopraggiungano nuove circostanze di fatto, o se siano fatte valere circostanze anteriori della cui esistenza la parte provi esser venuta a conoscenza successivamente alla pronuncia del decreto della corte d’appello. Una simile ricostruzione, è ben vero, non trova riscontro negli artt. 709, comma 4°, c.p.c. e 4, comma 8°, l. div. che non subordinano affatto il potere revocatorio del g. i. al sopravvenire di nuove circostanze34, ma è anche vero, al contempo, che queste due norme disciplinano precipuamente il potere di controllo del g.i sull’ordinanza presidenziale, e che quindi, laddove se ne debba estendere il campo di applicazione ad altro provvedimento (il decreto della corte d’appello), non è esegeticamente scorretto un loro adattamento alla nuova fattispecie. Ed in ogni caso, sebbene l’interpretazione qui proposta sia in parte correttiva dello stretto significato letterale delle due disposizioni testé richiamate, è l’unica, mi pare, capace di contemperare le opposte esigenze cui sopra si è fatto cenno35. 33 Il discorso su questo aspetto si farebbe troppo lungo per essere interamente sviluppato in questa sede. Basti qui notare che se i provvedimenti relativi ai figli minori, appartenendo alla categoria della giurisdizione volontaria, certamente sono sempre modificabili anche quando sono contenuti in una sentenza, a prescindere dal mutamento delle circostanze, gli altri possibili capi delle sentenze di separazione o di divorzio (ad esclusione di quello relativo allo scioglimento del matrimonio o alla cessazione dei suoi effetti civili) passano in giudicato, benché solo rebus sic stantibus. Per una più completa esposizione di questo tema, mi sia consentito il rinvio a GRAZIOSI, La sentenza di divorzio, Milano, 1987, pp. 31-241. 34 Lo svincolo del potere revocatorio del g.i. dalla sopravvenienza di circostanze nuove non è una novità introdotta dalle recenti riforme, ma dalla l. n. 74 del 1987 attraverso la novellazione dell’art. 4, comma 8°, l. div., applicabile anche al processo di separazione in forza del già più volte menzionato art. 23 di quella stessa legge. 35 Su posizioni analoghe TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 400; v. DANOVI, op. cit., n. 13 il quale giustamente si appella ad una sorta di automatica consumazione del potere revocatorio del g.i. “per effetto della pronuncia in sede di reclamo da parte di un giudice superiore”, ma ne ammette al contempo una limitata sopravvivenza “in ossequio alla clausola rebus sic stantibus implicitamente sottesa a tutti i provvedimenti in esame”. Contra SALVANESCHI, op.cit., favorevole ad un regime di libera modificabilità del decreto con cui la corte d’appello in sede di reclamo revochi, modifichi o confermi l’ordinanza presidenziale. L’Autrice perviene a questa conclusione, osservando che la specificità del reclamo ideato dal legislatore del 2006 “non lascia spazio ad una applicabilità delle disposizioni in materia di modifica e di reclamo proprie del rito cautelare uniforme, che sono incompatibili con la normativa speciale dei procedimenti qui in esame”; inoltre l’Autrice avverte un rischio di compressione del diritto di difesa del convenuto, legato al fatto che l’ordinanza presidenziale (e con essa l’eventuale provvedimento di conferma della corte d’appello) oggi potrebbe essere pronunciata quando il convenuto non è ancora costituito. A mio modo di vedere entrambi questi rilievi non sono persuasivi. Il primo perché la revocabilità e/o modificabilità di un provvedimento al solo sopravvenire di circostanze nuove non è prerogativa esclusiva dei provvedimenti cautelari (si pensi alle stesse sentenze di separazione o di divorzio, che sono certamente modificabili al solo sopraggiungere di circostanze nuove ex artt. 710 ss. c.p.c. e 9, comma 1°, l. div.), per cui, anche ad ammettere che la relativa disciplina non sia estensibile al nostro decreto reso dalla corte d’appello, ad esso potrebbe ugualmente continuare ad applicarsi la regola della modificabilità e/o revocabilità al solo sopraggiungere di circostanze nuove. Il secondo perché se il convenuto cui sia stato ritualmente notificato il ricorso di separazione o di divorzio omette deliberatamente di costituirsi in giudizio, l’eventuale ingiusta emissione di un provvedimento a lui sfavorevole va imputata alla sua condotta difensiva e non ad una carenza di garanzie attivate nel processo. 15 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO Dalla conclusione or ora raggiunta discende, come indefettibile corollario, anche la risposta al terzo dei quattro quesiti sopra prospettati (sub c). Una volta assodato che l’ordinanza presidenziale eventualmente confermata dalla corte d’appello in esito al reclamo può essere revocata e/o modificata dal g. i. solo se sopraggiungano fatti nuovi, identico regime di stabilità deve valere, per coerenza del sistema, anche per l’ordinanza presidenziale non sottoposta tempestivamente ad impugnazione. Se alla mancata proposizione del reclamo non fosse riconnesso alcun effetto preclusivo, oltre a crearsi l’incongruenza sistematica di cui si è appena detto, non avrebbe alcun senso, nell’art. 708, comma 4°, c.p.c., l’esplicita previsione della perentorietà del termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo36. Veniamo all’ultimo e certamente più spinoso dei quattro quesiti posti sopra (sub d). Direi, prima di tutto, che il problema si pone soltanto con riguardo alla necessità di revocare, modificare o integrare l’ordinanza presidenziale in conseguenza del sopravvenire di nuove circostanze di fatto. Se infatti, in pendenza di reclamo, si ammettesse il potere del g.i. di sindacare l’ordinanza presidenziale in termini puramente impugnatori (e cioè il potere di riformarla sulla base di una semplice diversa valutazione di fatto e di diritto rispetto a quella fatta propria dal presidente), si creerebbe un’intollerabile sovrapposizione tra i due mezzi di gravame, tanto inammissibile sul piano teorico, quanto foriera di un’infinità di possibili disguidi pratici. Non credo invece possa dubitarsi della revocabilità e/o modificabilità dell’ordinanza presidenziale anche in pendenza di reclamo ove sopravvengano fatti nuovi. Se solo si AIAF RIVISTA 3/2006 considera che è la legge a sancire espressamente la costante modificabilità di questo provvedimento per tutto il corso del processo (artt. 709, comma 4°, c.p.c. e 4, comma 8°, l. div.), e che spesso le esigenze di tempestiva revoca o modifica sono connesse a diritti soggettivi direttamente riconducibili alla tutela di bisogni primari della vita (si pensi all’assegno di mantenimento), risulta subito chiaro che la possibilità di immediata correzione dell’ordinanza presidenziale non può esser certo paralizzata dalla semplice pendenza della fase di gravame. Il punto, allora, è capire se tale potere revocatorio competa al g.i. (ex art. 709, comma 4°, c.p.c. e 4, comma 8°, l. div.) ovvero alla corte d’appello avanti a cui pende il reclamo. Nel silenzio della legge esistono argomenti nell’uno e nell’altro senso. In favore della corte di seconda istanza parrebbero invocabili analogicamente le nuove norme in materia cautelare che devolvono al giudice del reclamo la cognizione su tutti i fatti nuovi verificatisi dopo la proposizione dello stesso (nuovo art. 669 terdecies, comma 4°, c.p.c., ma anche art. 23 del d. lgs. n. 5 del 2003 nell’ambito del cd. nuovo processo societario). A questo argomento, però, si può agevolmente opporre che l’ordinanza presidenziale, secondo la tesi dominante in dottrina37, non ha natura cautelare ed è pertanto da escludere che ad essa sia applicabile in via analogica ed automatica quanto oggi previsto nel nuovo procedimento cautelare uniforme. Inoltre, una simile interpretazione, all’atto pratico, si rivelerebbe inidonea ad assicurare il provvedimento richiesto nei tempi molto rapidi che spesso sono necessari perché la tutela sia effettiva38. È evidente, infatti, che anche in condizioni fisiologiche, 36 Conf. Trib. Trani, ord. 28 aprile 2006, in Foro it., 2006, c. 2214, con nota di CEA, La nuova torre di Babele, cit.. 37 Seppur professando differenti opinioni circa la natura del provvedimento in esame (volontaria, ordinatoria, interinale, anticipatoria) ne è stata recisamente esclusa quella cautelare da MANDRIOLI, I provvedimenti presidenziali nel giudizio di separazione dei coniugi, Milano, 1953, p. 49; CIPRIANI, I provvedimenti nell’interesse dei coniugi e della prole, Napoli, 1970, p. 463 ss.; GUARINO, Limiti di efficacia dei provvedimenti presidenziali, in Dir. e giur., 1950, p. 75 ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 2002, p. 200; CARPI, Provvedimenti interinali di condanna, esecutorietà della sentenza e tutela delle parti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977, p. 615 ss.; TOMMASEO, in Comm. dir. fam., VI, 1, sub. art. 4 l. n. 898 del 1970, p. 285; SALETTI, Procedimento e sentenza di divorzio, in Il diritto di famiglia, I, Tratt. diretto da Bonilini e Cattaneo, Torino, 1997, p. 602; CARRATTA, Provvedimenti presidenziali <<nell’interesse dei coniugi e della prole>> ex art. 708 c.p.c. e tutela d’urgenza, in Fam. dir., 1994, p. 380; contra MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, p. 301, spec. nota 382; SALVANESCHI, Provvedimenti nell’interesse, cit., p. 1068 ss., benché quest’ultima Autrice ravvisi la natura cautelare limitatamente al solo profilo funzionale dell’ordinanza presidenziale. 38 A titolo esemplificativo, si pensi al caso in cui sia necessario modificare il cd. diritto di visita del genitore non affidatario, in conseguenza 16 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 le possibilità che una corte d’appello ha di fornire questo tipo di risposta giudiziaria in tempi celeri sono infinitamente più basse di quelle di un tribunale. Basti pensare al fatto che generalmente la corte è dislocata territorialmente più lontano dalla parte richiedente rispetto al tribunale, o al fatto che necessariamente la corte dovrebbe decidere collegialmente, mentre avanti al tribunale la revoca o modifica compete al g.i.. A favore del g. i., sono invece invocabili gli artt. 709, comma 4°, c.p.c. e 4, comma 8°, l. div., nella parte in cui non prevedono alcuna sospensione del potere revocatorio in pendenza del reclamo. Certo quest’opzione, che a me pare preferibile per le ragioni esposte sopra, costringe a fare i conti con l’eventualità che la revoca o la modifica dell’ordinanza presidenziale intervengano quando è ancora in corso il giudizio di reclamo. Non mi pare peraltro una difficoltà insormontabile, potendo esser linearmente superata con la dichiarazione di cessazione della materia del contendere nel procedimento pendente avanti alla corte d’appello, come generalmente avviene nel nostro ordinamento al venir meno del provvedimento impugnato39. Prima di poter considerare esaurito questo punto, vi è necessità di un’ultima precisazione in merito agli eventuali mutamenti di circostanze che sopraggiungano dopo la pronuncia dell’ordinanza presidenziale, quando però la stessa è ancora reclamabile (questo spatium temporis potrebbe essere di soli dieci giorni, e quindi brevissimo, se l’ordinanza presidenziale viene notificata, ma anche molto lungo, per la precisione di un anno e quarantasei giorni, se, in mancanza della notifica, il termine entro cui proporre reclamo è quello di cui all’art. 327 c.p.c.). Esigenze di coerenza con le conclusioni cui sopra si è appena pervenuti farebbero propendere per l’idea che anche questi ultimi mutamenti di circostanze debbano essere fatti valere avanti al g.i. per ottenerne l’even- LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO tuale modifica dell’ordinanza presidenziale. Non può essere sottaciuto tuttavia che nel caso di specie, quando cioè l’ordinanza presidenziale è ancora assoggettabile ad entrambi i mezzi di gravame, potrebbe anche ritenersi prevalente, forse non a torto, l’esigenza di evitare una loro inutile ed antieconomica sovrapposizione. Se così fosse, non potrebbe che essere il reclamo a dover assorbire al suo interno anche la cognizione su circostanze sopravvenute anteriormente alla sua proposizione. Questa nociva situazione di incertezza, che probabilmente si creerà quantomeno nella prima fase di applicazione della riforma, nella pratica giudiziaria potrà comunque essere facilmente ridotta al minimo (ossia limitata a soli dieci giorni) attraverso la sollecita notifica dell’ordinanza presidenziale. 7. IL CONTROLLO ESTERNO SUI PROVVEDIMENTI DI AFFIDAMENTO DEI FIGLI. e nuove previsioni avviluppano il potere di controllo sui provvedimenti di affidamento dei figli minori contenuti nelle sentenze di separazione o di divorzio in un intricato reticolo di disposizioni, la cui ratio rischia di sfuggire anche al più attento degli interpreti. Mi riferisco, in particolare, sperando di non incorrere in omissioni: - all’art. 155 bis, comma 2°, c.c., ove si legge che “Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma (…) se la domanda risulta manifestamente infondata il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli”; - all’art. 155 ter, comma 3°, c.c., ove si legge che “I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle dispo- L delle sue mutate condizioni lavorative. È chiaro che in una situazione del genere, se si vuole che la tutela del diritto del minore alla continuità dei rapporti con questo genitore sia effettiva, il provvedimento di modifica delle condizioni di affidamento deve intervenire in tempi rapidissimi, altrimenti quei rapporti rischieranno di interrompersi per tutto il tempo necessario all’ottenimento del provvedimento di modifica richiesto. 39 Cfr. SCALA, La cessazione della materia del contendere, Torino, 2001, passim, spec. p. 324 ss.. 17 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO sizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo”; - all’art. 709 ter, commi 1° e 2°, c.p.c., ove si legge che “Per la soluzione delle controversie insorte tra i coniugi genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale e delle modalità di affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore. A seguito del ricorso il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. (…)”; - all’immutato art. 710 c.p.c. - all’immutato art. 9, comma 1°, l. div.. Ebbene, la mia impressione è che a dispetto di questo kafkiano guazzabuglio di norme, poco o nulla muti rispetto al passato, ad eccezione del fatto che il nuovo art. 709 ter, comma 1°, c.p.c. attribuisce al tribunale del luogo di residenza del figlio minore la competenza sui procedimenti di modifica delle condizioni di separazione ex art. 710 c.p.c. e su quelli di modifica delle condizioni di divorzio ex art. 9, comma 1°, l. div.. Nessuno avrebbe dubitato, credo, che anche in assenza dei menzionati nuovi artt. 155 bis, comma 2°, c.c., 155 ter, comma 3°, c.c. e 709 ter, commi 1° e 2°, c.p.c. (tutti applicabili anche ai processi di divorzio) ognuno dei provvedimenti in essi previsti avrebbe potuto essere chiesto al tribunale in forza dei già esistenti art. 710, comma 1°, c.p.c. e 9, comma 1° l. div.. Qualche dubbio, forse, avrebbe potuto sorgere per ciò che riguarda il potere del giudice di tener conto della manifesta infondatezza della domanda ai fini della determinazione delle condizioni di affidamento dei figli, oggi previsto dall’art. 155 bis, comma 2°, c.c.. Ma si tratta, a ben vedere, di un potere che già era facilmente derivabile dalla clausola generale di cui all’art. 117, comma 2°, c.p.c., e in ogni caso già largamente invalso nella prassi operativa. Nemmeno si sarebbe dubitato che è compito del giudice del procedimento in corso risolvere le controversie insorte tra i genitori, come oggi espressamente prevede l’art. 709 18 AIAF RIVISTA 3/2006 ter, comma 1°, c.p.c.. Come tutti sanno, questa è una funzione di cui il g.i. veniva già regolarmente investito nella prassi giudiziaria, richiamandosi ai poteri conferitigli dagli artt. 709, comma 4°, c.p.c. e 4, comma 8°, l. div. (risolvere le controversie in corso implica sempre, infatti, modificare o quantomeno fornire un’interpretazione autentica dei provvedimenti temporanei ad urgenti che in quel momento regolano i rapporti familiari). Si tratta quindi, nel complesso, di un profluvio di norme delle quali si poteva agevolmente fare a meno, utili solo a generare confusione in un campo in cui sarebbe invece auspicabile la tendenza alla massima semplificazione. Venendo ora all’unica novità degna di nota, va osservato che con l’attribuzione al tribunale di residenza del minore della competenza sui procedimenti di modifica delle disposizioni che lo riguardano, si persegue il fine, condivisibilissimo, di avvicinare il più possibile l’organo giudicante al soggetto nel cui interesse primario deve essere erogata la tutela giurisdizionale. Tuttavia l’aver ancorato la competenza al semplice luogo di residenza (direi effettiva e non certo anagrafica) del minore, può prestarsi ad abusi e strumentalizzazioni da parte del genitore affidatario (ma non solo), che potrebbe spostare ad arte la residenza del figlio al solo fine di rendere meno agevole il ricorso all’autorità giudiziaria da parte dell’altro (che così, per fare un esempio, troverebbe maggiori difficoltà a chiedere sgradite modifiche delle condizioni di affidamento), o al fine di ricadere nella competenza di un tribunale che ha espresso orientamenti a lui più favorevoli (attuando così una sorta forum shopping familiare). Mi pare allora che forse, al fine di scongiurare il ricorso a espedienti di questo tipo, si sarebbe dovuto adottare un criterio di maggior equilibrio tra la varie istanze, quale, ad esempio, quello della residenza abituale del minore, già impiegato, proprio in quest’ottica, nel regolamento comunitario n. 2001 del 2003, relativo “alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale” all’interno dell’Unione europea. SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 8. IL SISTEMA DI MISURE COERCITIVE INDIRETTE INTRODOTTO DAL NUOVO ART. 709 TER C.P.C. a parte sin qui non ancora esaminata dell’art. 709 ter c.p.c. si fa carico del problema, sentitissimo nella pratica, dell’attuazione coattiva dei provvedimenti di affidamento dei minori a carattere non patrimoniale. Sino ad oggi il rispetto delle numerose disposizioni volte a regolare i rapporti non economici tra genitori e figli contenute nelle sentenze di separazione o di divorzio, nel verbale di separazione consensuale e nell’ordinanza presidenziale, era rimesso in larga misura allo spontaneo adeguamento dei soggetti obbligati. Mi riferisco, ovviamente, non solo e non tanto all’affidamento dei figli in senso proprio, ma anche e soprattutto a quella variegatissima gamma di disposizioni che vanno sotto il nome di diritto di visita e che servono ad assicurare, nel prioritario interesse del minore, la continuità dei rapporti col genitore non affidatario (la frequentazione del figlio durante i week ends e durante i periodi festivi; l’individuazione di più frequenti momenti di contatto infrasettimanali, la condivisione di certe scelte e di certe responsabilità educative, ecc…). Era constatazione ampiamente condivisa, che in caso di inosservanza di questi obblighi ben poco era possibile fare per ottenerne il rispetto, se non chiedere qualche modifica punitiva delle condizioni di affidamento, o ricorrere al poco efficace strumento penale (art. 570 c.p. e 12 sexies l. n. 74 del 1987)40. Naturalmente il problema, in mancanza di un’adeguata disciplina, sarebbe rimasto L LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO assolutamente immutato anche sotto il nuovo regime dell’affidamento condiviso. Ora invece, molto opportunamente, il nuovo art. 709 ter, comma 2°, c.p.c. introduce un vero e proprio sistema progressivo di misure coercitive indirette, volte ad assicurare il rispetto di tutti i provvedimenti in senso lato di affidamento, istruzione ed educazione dei minori. Che tecnicamente si tratti di misure coercitive indirette è reso evidente dal fatto che, come è proprio di questi strumenti, sono previste delle sanzioni come conseguenza dell’inadempimento di un’obbligazione civile al chiaro scopo di indurre l’obbligato ad adempiere, prefigurandogli, con la possibile irrogazione della sanzione, una lesione più cospicua del vantaggio che riuscirebbe a trarre protraendo il suo inadempimento41. Non è questa la sede per indugiare su un tema vasto e dibattutissimo come quello della cd. esecuzione forzata indiretta42, basti ricordare che era ormai risalente e pressoché unanime il suggerimento della dottrina di far ricorso alla tecnica della coercizione indiretta come mezzo di attuazione degli obblighi non patrimoniali in campo familiare43 e quindi, almeno in linea di principio, non può che essere salutata con favore l’introduzione della norma ora in esame. Quel che invece lascia assai perplessi è la bassa qualità tecnica dell’art. 709 ter, comma 2°, c.p.c., ove sono individuate in modo assai approssimativo, tanto le fattispecie sanzionate (“gravi inadempienze o atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità di affidamento”), che le misure afflittive (oltre a “modificare i provvedimen- 40 In generale sui limiti intrinseci dello strumento penale a tutela degli obblighi civili, v. PALAZZO, Tutela dei diritti, tutela del provvedimento giurisdizionale e categorie penalistiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 501 ss.; ma anche, in precedenza, BRICOLA, Sulla tutela penale della condanna civile, in Riv. dir. civ., II, 1962, p. 109 ss.. 41 Che questa sia la caratteristica che contraddistingue le misure coercitive indirette, intese come strumento di attuazione delle obbligazioni infungibili o comunque non eseguibili tramite la tecnica della sostituzione nelle forme regolate dal libro terzo del c.p.c., è affermazione costante in dottrina, per tutti in v. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 1165 ss.; ID, L’effettività dei mezzi di tutela giurisdizionale con particolare riferimento all’attuazione della sentenza di condanna, in Riv. dir. proc., 1975, p. 620 ss. 42 Tra i contributi meno recenti v. CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, passim; COLESANTI, Misure coercitive e tutela dei diritti, in Riv. dir. proc., 1980, p. 601 ss.; FRIGNANI, Le penalità di mora e le <<astreintes>> nei diritti che si ispirano al modello francese, in Riv. dir. civ., 1981, I, p. 506 ss.; più di recente, anche per un aggiornato inquadramento del problema, v. VULLO, L’esecuzione indiretta in Italia, Francia e Unione europea, in Riv. dir. proc., 2004, p. 727 ss.. 43 In particolar modo v. CARPI, Note in tema di tecniche di attuazione dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 110 ss.; PROTO PISANI, La tutela giurisdizionale dei diritti della personalità: strumenti e tecniche di tutela, in Foro it., 1990, V, c. 1 ss.. 19 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO ti i provvedimenti in vigore44” il giudice può “1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; 4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a una massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende”) applicabili sia singolarmente che “congiuntamente”. Il lessico ridondante e ripetitivo utilizzato per definire la condotta punibile ne lascia i contorni talmente indefiniti che finirà quasi certamente per rimettere la concreta applicazione delle sanzioni ad una troppo ampia valutazione discrezionale del giudice45. E ciò, per un verso attenua l’efficacia dissuasiva della misura coercitiva (non essendo ben chiaro ex ante qual è il comportamento vietato), per altro verso viola il principio di legalità al cui rispetto dovrebbe essere informata anche la previsione di un apparato sanzionatorio di questo genere. Direi comunque che possano tranquillamente ritenersi inclusi nel campo di applicazione della norma: il rifiuto del genitore non affidatario di consegnare i figli all’altro46; l’aver violato in qualsiasi maniera il cd. diritto di visita del genitore non affidatario; l’aver assunto decisioni rilevanti per i figli all’insaputa dell’altro genitore; avere allontanato i figli dal luogo di residenza stabilito giudizialmente, senza il previo consenso dell’altro genitore o l’autorizzazione del giudice; e in genere, ritengo, tutti quei comportamenti che, anche indirettamente, mirino ad ostacolare o ad eludere le AIAF RIVISTA 3/2006 disposizioni non patrimoniali relative ai figli, contenute nelle sentenze di separazione o di divorzio, nel verbale di separazione consensuale o nell’ordinanza presidenziale. In proposito, vi è inoltre da chiedersi se l’art. 709 ter, comma 2°, c.p.c. consenta di punire anche l’eventuale inadempimento degli obblighi di natura patrimoniale. Escluso che queste nuove sanzioni possano applicarsi in caso di ritardato o mancato pagamento dell’assegno disposto per il mantenimento dell’altro coniuge, visto che l’art. 709 ter c.p.c. fa riferimento solo ed esclusivamente ai genitori, la questione rimane dubbia con riguardo agli obblighi di mantenimento dei figli. Esigenze di ordinato funzionamento degli istituti suggerirebbero di escludere questa possibilità, giacché gli assegni di mantenimento nel nostro ordinamento godono già di una solida tutela privilegiata (penso ai sequestri ex artt. 156, comma 6°, c.c. e 8, comma 7° l. div.; agli strumenti di distrazione del reddito di cui agli artt. 156, comma 6°, c.c. e 8, comma 3° l. div.; alle sanzioni penali di cui all’12 sexies l. div., oggi esteso alla separazione dell’art. 3 della l. n. 54 del 200647) e l’aggiunta un’ulteriore eterogeneo strumento coattivo rischia di creare indebite sovrapposizioni ai danni dell’obbligato. Vi è però da considerare che la norma non sembra escludere a priori gli obblighi alimentari dal suo campo di applicazione (fa generico riferimento a “gravi inadempienze”) e che siffatte obbligazioni, essendo dirette a soddisfare bisogni primari, ben possono tollerare un surplus di mezzi di esecuzione forzata48. Quanto al catalogo delle sanzioni previste, molto vi sarebbe da dire. Mi limiterò ad osservare che la funzione coercitiva assolta dall’apparato sanzionatorio introdotto dall’art. 44 Giustamente critico sull’uso del potere di modifica in termini puramente sanzionatori, DE MARZO, op. cit., c. 95. 45 Si è giustamente parlato di una previsione “che potrebbe scoperchiare, nel processo, una sorta di vaso di Pandora”; così MARTINELLI – MAZZA GALANTI, op. cit., p. 464. 46 La norma, così, potrebbe essere di grande utilità per affrontare l’annoso e gravissimo problema dell’attuazione degli obblighi di consegna dei minori; su cui, tra i contributi più significativi, v. VACCARELLA, Problemi vecchi e nuovi dell’esecuzione forzata dell’obbligo di consegna dei minori, in Studi in onore di Carnacini, II, Milano, 1984, p. 1590 ss.; SACCHETTI, L’esecuzione dei provvedimenti civili riguardanti i minori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 276; FORNACIARI, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori, Milano, 1991, passim. 47 V. se vuoi per un quadro d’insieme di questi strumenti CARPI-GRAZIOSI, voce Procedimenti in tema di famiglia, in Digesto, Torino, 1996, p. 523 ss.; ed inoltre ACONE, La tutela dei crediti di mantenimento, Napoli, 1985, passim. 48 Contra LUPOI, op. cit. 20 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 709 ter, comma 2°, c.p.c. implica che le condanne risarcitorie di cui ai nn. 2 e 3 abbiano natura prevalentemente punitiva, al pari dell’ammonizione e delle pene pecuniarie previste dai nn. 1 e 4. Ciò naturalmente non può che riflettersi sui criteri di determinazione del danno, che dovrà esser sì commisurato all’entità della lesione, ma anche (e forse soprattutto) alla gravità della condotta illecita. Proprio in considerazione della finalità prevalentemente (se non esclusivamente) punitiva delle misure sanzionatorie qui in esame, è stato posto il problema della loro possibile pronuncia d’ufficio, pervenendo ad ammetterla quantomeno con riguardo ai casi di cui ai nn. 1 e 449. A mio avviso una simile conclusione non è consentita dall’art. 709 ter c.p.c. che, nel suo complesso, colloca chiaramente queste pronunce nell’ambito di un procedimento che si svolge ad istanza di parte. Inoltre, la pronuncia officiosa di un provvedimento a carattere sanzionatorio comporta una tale deviazione dai principi cardine su cui normalmente si regge il processo civile (anche in campo familiare) da richiedere, in ogni caso, un’espressa previsione normativa50. Venendo infine ai profili più strettamente procedurali, riterrei che quando l’applicazione di una delle sanzioni di cui all’art. 709 ter c.p.c. è chiesta in conseguenza della violazione di una statuizione contenuta nell’ordinanza presidenziale, o in un provvedimento del g.i. della stessa modificativo, la competenza a pronunciarsi spetti al “giudice del procedimento in corso”, ossia al g.i., che deciderà verosimilmente con ordinanza. Qualora invece venga in rilievo l’inottemperanza a prescrizioni contenute nelle sentenze di separazione o di divorzio, o nel verbale di LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO separazione consensuale, l’irrogazione delle sanzioni sarà di competenza del tribunale che si pronuncerà all’esito di un procedimento ex art. 710 c.p.c., e perciò con decreto motivato. Questo è quanto si ricava, direi abbastanza linearmente, dal combinato disposto del 1° e del 2° comma dell’art. 709 ter c.p.c., ed in particolare dal fatto che la pronuncia della misure sanzionatorie di cui al comma 2° è chiaramente indicata come la conseguenza dell’instaurazione dei procedimenti radicati secondo le regole di competenza stabilite nel comma 1°51. Stando all’art. 709 ter, comma 3°, c.p.c. l’impugnazione di questi ultimi provvedimenti deve avvenire “nei modi ordinari”. Un precetto non meno che sibillino. L’ambigua lettera della norma parrebbe evocare l’appello, posto che ai sensi dell’art. 324 c.p.c. è il mezzo di impugnazione “ordinario” delle pronunce di primo grado. Fortunatamente però l’art. 709 ter c.p.c. non parla di “mezzi di impugnazione”, ma di “modi di impugnazione”. È agevole allora notare che il modo ordinario di impugnazione nei procedimenti in camera di consiglio è il reclamo ex art. 739 c.p.c., e che quindi, quantomeno i provvedimenti sanzionatori emessi all’esito di un procedimento ex art. 710 c.p.c., saranno reclamabili, avanti alla corte d’appello, nelle forme e nei termini di cui al citato art. 739 c.p.c.. Meno semplice appare la questione relativa all’impugnabilità delle misure sanzionatorie ex art. 709 ter c.p.c., rese dal g.i. quale giudice del procedimento in corso. Escluso tuttavia che l’appello possa considerarsi il modo di impugnazione ordinario di un’ordinanza, non rimane che pensare al reclamo avanti al tribunale in composizione collegia- 49 DE MARZO, op. cit., c. 95, il quale, sia pur dubitativamente, sembra ammettere la condanna risarcitoria d’ufficio anche nel caso in cui venga pronunciata a favore del figlio minore, sul presupposto che quest’ultimo non essendo parte processuale non potrebbe proporre la relativa domanda; l’argomento in realtà prova troppo, perché se fosse fondato il tribunale non potrebbe emettere nemmeno tutti gli altri provvedimenti relativi ai minori generalmente contenuti nelle sentenze di separazione e di divorzio. Più realisticamente si potrebbe pervenire a questa medesima conclusione, notando che il tribunale nei nostri processi è svincolato dal principio della domanda con riguardo all’emanazione dei provvedimenti di affidamento della prole (nuovo art. 155, comma 2°, c.c. e art. 6, comma 9°, l. div.). Nemmeno questo argomento, però, mi sembra dotato della necessaria tenuta, perché l’officiosità riconosciuta al giudice nell’esercizio di quei poteri non può sic et simpliciter essere allargata all’esercizio di un potere tutt’affatto diverso, quale è quello di irrogare le sanzioni di cui all’art. 709 ter c.p.c.; in arg. non nasconde i propri dubbi neanche M. A. LUPOI, in Comm. breve c.p.c. a cura di Carpi e Taruffo, Padova, 2006, p. 2019. 50 Conf. TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 401. 51 Per più ampi ragguagli sui profili procedurali v. LUPOI, Aspetti processuali cit.. 21 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO le, sulla falsa riga del cd. reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c. o, ancor meglio, dell’un po’ desueto reclamo istruttorio ex art. 178 c.p.c. (in quest’ultimo caso il termine di presentazione del reclamo sarebbe ridotto a dieci giorni, mentre nel primo sarebbe, secondo la nuova formulazione dell’art. 669 terdecies, di quindici). 9. L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI NATURALI: CRITERI, GIUDICE COMPETENTE E RITO APPLICABILE. ià da molto tempo mi ero permesso di segnalare la profonda sperequazione esistente nel nostro ordinamento tra le forme di tutela giurisdizionale di cui gode il figlio legittimo, rispetto a quelle a cui ha accesso il figlio naturale. Mi ero spinto fino a rilevare che, paradossalmente, è come se il rapporto di coniugio interferisse sul rapporto di filiazione rendendo la posizione del figlio (legittimo) maggiormente presidiata sotto il profilo processuale, quando, sotto il profilo sostanziale, si sa che il nostro diritto di famiglia è categorico nel proclamare la piena equiparazione tra lo status di figlio naturale e quello di figlio legittimo (artt. 261 e 277 c.c.)52. Non posso quindi che accogliere con estremo favore il tentativo di colmare questo ingiustificabile deficit normativo, operato mediante l’art. 4 della l. n. 54 del 2006 nella parte in cui dichiara “le disposizioni della presente legge” applicabili anche “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”. Non ci si può nascondere, però, che la norma, semplice “disposizione finale” della legge sull’affidamento condiviso, purtroppo dal punto di vista processuale è molto mal confezionata e sarà certamente fonte di una serie innumerevole di problemi interpretativi. Non vedo invece soverchie difficoltà nell’opera di estensione della nuova disciplina sostanziale anche ai figli naturali. D’ora in avanti anch’essi andranno affidati ai genitori in ottemperanza ai criteri di cui agli artt. 155 e 155 bis c.c. e non più secondo quanto sino ad ora previsto dall’art. 317 bis, comma 2°, G AIAF RIVISTA 3/2006 c.c.. E così pure l’assegno di mantenimento andrà determinato sulla base dei parametri fissati dall’art. 155, comma 4°, c.c.. Certamente, poi, il giudice potrà procedere all’assegnazione della casa familiare anche in caso di separazione di genitori naturali, facendo integrale applicazione della disciplina di cui all’art. 155 quater c.c.. Infine, i figli maggiorenni di genitori non coniugati avranno anch’essi diritto al “pagamento di un assegno periodico” per il loro mantenimento sino al raggiungimento dell’indipendenza economica (art. 155 quinquies c.c. – v. sopra n. 4). Venendo alla disciplina processuale, prederei le mosse dalle questioni che mi paiono più semplici, se non addirittura pacifiche, per poi passare via via a quelle più spinose. Non mi par dubbio in primo luogo che in forza dell’art. 155 sexies c.c. il figlio naturale minorenne abbia diritto di essere ascoltato in tutti i procedimenti che lo riguardano al pari di quanto avviene per il figlio legittimo. Direi anche, con relativa tranquillità, che nei procedimenti relativi all’affidamento di figli naturali il giudice possa ammettere d’ufficio qualsiasi mezzo di prova (art. 155 sexies, comma 1°, c.c.), ivi compresi gli accertamenti di polizia tributaria (art. 155, comma 6°, c.c. v. sopra n. 5), oltre che dare avvio ad un percorso di mediazione familiare se ricorrono le condizioni di cui all’art. 155, comma 2°, sexies c.c. Altrettanto certo mi pare, da ultimo, che ognuno dei genitori possa in qualsiasi momento chiedere “la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli” ex art. 155 ter c. (sul punto v. comunque quanto osservato al precedente n. 7). Si tratta ora di capire, ed è qui che si aprono le più grosse difficoltà interpretative, quale sia l’organo giudiziario competente a conoscere dei procedimenti di affidamento dei figli naturali e quale rito si debba seguire. Sino ad oggi è stato il tribunale per i minorenni a conoscere dei procedimenti relativi all’affidamento di figli naturali, in forza del rinvio all’art. 317 bis c.c. contenuto nell’art. 38 disp. att. c.c.. Mentre al tribunale ordinario era attribuita la competenza sulle que- 52 Mi si consenta il rinvio a GRAZIOSI, Strumenti processuali a tutela dei figli legittimi e dei figli naturali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995, p. 314 ss. 22 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 stioni economiche relative al loro mantenimento, in base al combinato disposto degli artt. 148 e 261 c.c. Comincerei con l’osservare che fortunatamente la legge sull’affidamento condiviso ha superato quest’assurda dicotomia. Il nuovo art. 155, comma 2°, c.c., indubitabilmente applicabile anche ai figli naturali, prescrive che quando il giudice provvede sull’affidamento dei figli, fissi “altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento…”. Se ne desume che dovranno esser contestuali e contenute nello stesso provvedimento, le misure relative all’affidamento (condiviso o non) dei figli e quelle economiche inerenti al loro mantenimento53. Analoghe indicazioni, sia pur in via indiretta, si traggono dal comma 4° della stesso art. 155 c.c. che, nell’autorizzare il giudice a disporre la corresponsione “di un assegno periodico”, fa implicito ma chiaro riferimento allo stesso organo che ha provveduto sulle questioni relative all’affidamento. Assodato che, come è normale e giusto che sia, lo stesso ufficio giudiziario, d’ora innanzi, dovrà provvedere contestualmente sull’affidamento e sul mantenimento dei figli naturali, va chiarito se questa attribuzione spetti al tribunale ordinario o al tribunale per i minorenni. A favore del tribunale per i minorenni depone certamente il fatto che, almeno formalmente, non sono state modificate né abrogate dalle recenti riforme le norme che sino ad oggi gli hanno attribuito la competenza in questa materia (i già citati artt. 317 bis, comma 2°, c.c. e 38, comma 1°, disp. att. c.c.)54. Questa soluzione, in apparenza sicura e tranquillizzante, si pone però in contrasto con l’art. 4 comma 2°, della l. n. 54 del 2006 che, senza distinzioni di sorta, e senza nemmeno la clausola di compatibilità, prevede l’appli- LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO cazione ai figli naturali (recte ai procedimenti che li riguardano) di tutte le norme, processuali e sostanziali, contenute in quella stessa legge55. Vi sono infatti alcune disposizioni che, innestandosi nella disciplina prevista per il processo di separazione giudiziale, presuppongono, per la loro applicabilità, che il processo si svolga nelle forme di cui agli art. 706 ss. c.p.c., e non in quelle camerali tipiche dei processi minorili ex art. 38, comma 3°, disp. att. c.c.. Mi riferisco in particolare: sia al nuovo art. 708, comma 4°, c.p.c. che, nel prevedere la reclamabilità dell’ordinanza presidenziale, sottintende ovviamente che ordinanza presidenziale vi sia stata e che quindi il processo si sia svolto nelle forme di cui agli artt. 706 ss. c.p.c.; sia all’art. 709 ter, comma 1°, c.p.c. che, presupponendo un procedimento di modifica delle condizioni di separazione (giudiziale o consensuale), parla di “tribunale” e non di “tribunale per i minorenni”. È del tutto evidente, in definitiva, che se fosse il tribunale per i minorenni ad esser considerato competente, nel nuovo contesto normativo queste ultime norme sarebbero destinate a rimanere del tutto inapplicate, in spregio a quanto previsto dall’art. 4, comma 2°, della l. n. 54 del 2006. Come si vede, quindi, oggi l’applicazione pura e semplice della vecchia normativa è operazione tutt’altro che lineare sul piano esegetico, perché ha come immediata conseguenza quella di determinare l’automatica disapplicazione di norme nuove, che invece, secondo i più elementari canoni ermeneutici, dovrebbero avere la prevalenza su quelle preesistenti. A questo rilievo vi è da aggiungere che oggi al binomio costituito dagli artt. 317 bis, comma 2° e 38, comma 1°, disp. att. c.c. non può più essere attribuita la stessa valenza precet- 53 TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 391; ZAMAGNI VILLA, Affido condiviso: quale competenza per i figli naturali, in www.minoriefamiglia.it; contra DANOVI, I provvedimenti a tutela dei figli naturali dopo la l. 8 febbraio 2006, n. 54, n. 4, in corso di pubblicazione in Riv. dir. proc., che ho potuto leggere in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autore, il quale nota che l’avverbio “altresì” che compare nella norma in esame “non ha necessariamente valenza aggregativa”. 54 Su questa linea interpretativa, sia pur con maggiori sfumature argomentative, sembrano porsi alcune delle prime pronunce giurisprudenziali, tra cui Trib. Milano, 28 giugno 2006, n. 7711 in Guida al diritto, 2006, fasc. 32, p. 74 ss.; Trib. Min. Bologna, decr. 26 aprile 2006, inedito; DOSI, L’affidamento condiviso,in minoriefamiglia.it. 55 Contra, TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 390, il quale muove dal presupposto che “l’estensione delle regole dettate per la separazione coniugale anche ai conviventi more uxorio con prole riguardi essenzialmente le norme sostanziali”. 23 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO tiva di prima. Come giustamente è stato rilevato56, la parte dell’art. 317 bis c.c. in cui si stabiliva che il giudice, “nell’esclusivo interesse del figlio”, potesse provvedere sull’affidamento in modo differente rispetto ai criteri predeterminati poco sopra dalla stessa norma (esercizio congiunto della potestà in caso di convivenza dei genitori ed esercizio in capo al genitore convivente con il figlio in caso di separazione) deve ritenersi sostituita, e quindi abrogata, dall’art. 155 c.c. che, anche con riguardo ai figli naturali, individua con molta più precisione i nuovi e diversi criteri cui il giudice deve attenersi. Se così è, come anche a me pare che sia, non v’è dubbio che anche il rinvio effettuato dall’art. 38, comma 1° all’art. 317 bis perde il suo originario significato, perché l’unica parte della norma interessata da quel rinvio non esiste più. Esattamente, l’art. 38, comma 1° prevede che “i provvedimenti” di cui all’art. 317 bis siano di competenza del tribunale dei minorenni. Ma siccome quei “provvedimenti” non esistono più (perché sostituiti dai provvedimenti ex art. 155 c.c.) non possono più essere di competenza di nessuno. Né si può ritenere che, a questo punto, ricadano nella competenza del tribunale per i minorenni i nuovi provvedimenti ex art. 155 c.c., giacché il comma 2° dello stesso art. 38 dispone che sono emessi “dal tribunale ordinario i provvedimenti per i quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria”. E di certo non vi è disposizione alcuna nel nostro ordinamento in cui sia espressamente stabilito che i provvedimenti (di affidamento) di cui all’art. 155 c.c., se riguardano figli naturali, siano di competenza del tribunale ordinario. In conclusione, venuto meno il rinvio all’art. 317 bis c.c. contenuto nell’art. 38 disp. att. c.c. che espressamente devolveva al tribunale per i minorenni la competenza sui proce- AIAF RIVISTA 3/2006 dimenti di affidamento dei figli naturali, rimane applicabile anche a tali processi la competenza residuale del tribunale ordinario stabilita dal comma 2° dello stesso art. 38 disp. att. c.c.57. La scelta interpretativa adottata facilita la soluzione anche della conseguante questione del rito applicabile. Si è detto sopra che l’art. 4 della l. n. 54 del 2006 è molto esplicito nel prescrivere che tutte le norme processuali contenute nella legge sull’affidamento condiviso si applichino anche ai giudizi relativi all’affidamento ed al mantenimento dei figli naturali, ma si è del pari osservato che affinché ciò possa avvenire è indispensabile che quei giudizi siano strutturati nelle forme procedimentali previste per il processo di separazione dagli artt. 706 ss. c.p.c.; ne discende che la voluntas legis espressa dal menzionato art. 4 è nel senso che anche i processi di affidamento dei figli naturali, ormai di competenza del tribunale ordinario, si svolgano secondo il rito previsto per la separazione giudiziale. A questo argomento, di indubbia tenuta sul piano logico ma obbiettivamente un po’ formale, se ne può aggiungere un altro più corposo in termini di effettività della tutela. L’eventuale celebrazione dei processi di affidamento dei figli naturali in forme camerali, come apparentemente ancora prescritto dall’art. 38, comma 3° disp. att. c.c., esporrebbe questi ultimi ad una macroscopica disparità di trattamento rispetto ai figli legittimi, in quanto per questi ultimi, avanti al tribunale ordinario, trova applicazione il rito ben più garantista seguito nella separazione e nel divorzio. Il confronto tra il modello camerale di cui agli art. 737 ss. c.p.c. e quello delineato dagli art. 706 ss. c.p.c. evidenzia una differenza abissale in termini di garanzie processuali. Si pensi solo (ma in realtà quest’ultima affermazione è talmente evidente da non 56 Trib. Min. Milano, decr. 12 maggio 2006, in Guida al diritto, 2006, fasc. 32, p. 68 ss.; ed ora anche in Foro it., 2006, I, c. 2204, con ampia nota di CASABURI; conf. ZAMAGNI VILLA, op. cit.; LUPOI, Aspetti processuali cit. 57 Contra TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 391 ss.; DANOVI, op. ult. cit., il quale per sostenere che la competenza del tribunale dei minorenni si regga ancora sull’art. 38 comma 1° disp. att. c.c. è costretto ad ipotizzare “che il richiamo in esso operato avvenga secondo una sorta di “doppio passaggio”, contenendo prima un rimando all’art. 317 bis c.c. e un ulteriore rinvio per relationem alla nuova disciplina”. 24 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 richiedere alcuna dimostrazione) alla presenza dell’udienza presidenziale che consente di ottenere sempre e comunque una disciplina temporanea dei rapporti familiari, idonea, tra l’altro, a rimanere in vita in caso di estinzione del giudizio di merito (art. 189 disp. att. c.p.c.); o all’applicabilità nei processi di separazione e di divorzio della disciplina ordinaria sulle prove, con tutto ciò che ne discende quanto alla corretta formazione del materiale istruttorio su cui il giudice dovrà formare il proprio convincimento; o ancora all’applicabilità delle norme in materia di impugnazioni ordinarie, che assicurano un sistema di controllo sul provvedimento del LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO giudice di grado inferiore ben più efficace di quello configurato dal solo art. 739 c.p.c.. Ebbene, se una simile differenza poteva trovare parziale giustificazione fino a quando i giudizi di affidamento dei figli naturali appartenevano alla competenza del tribunale per i minorenni, se non altro in considerazione della peculiarità della composizione, dei poteri e delle funzioni di questo organo giurisdizionale, ora non può più essere accettata se, nell’ottica dell’art. 29 cost., si vuole perseguire la piena parificazione tra lo status di figlio legittimo e quello di figlio naturale. Intendo dire che se si fa applicazione del canone ermeneutico secondo cui laddove sia- 25 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO no astrattamente possibili due o più ricostruzioni del dato normativo, deve essere prescelta quella maggiormente orientata alla realizzazione dei principi espressi dalla nostra Carta costituzionale, nel nostro caso, deve certamente essere privilegiata quella che vuole anche i giudizi di affidamento e mantenimento dei figli naturali assoggettati al rito previsto per la separazione giudiziale58. Sempre a proposito di equiparazione tra la condizione di figlio legittimo e quella di figlio naturale, un cenno finale merita la questione, non nuova, della regolamentazione consensuale dell’affidamento. In base alla vigente normativa, se due genitori naturali interrompono la relazione sentimentale che li lega e soprattutto la convivenza possono accordarsi come meglio credono, anche in deroga alle regole fissate dall’art. 317 bis c.c., sulle modalità di esercizio della loro potestà sul figlio minorenne e sulla ripartizione degli oneri economici. Su questo non trascurabile aspetto non dovrebbe aver inciso la nuova legge sull’affidamento condiviso, giacché gli artt. 155 e 155 bis c.c fanno chiaramente riferimento ai soli casi in cui il giudice debba intervenire per comporre un contrasto tra i genitori59. In altri termini, i figli naturali, oggi come ieri, sono interamente assoggettati all’autonomia “negoziale” dei loro genitori. Solo in caso di mancato raggiungimento di un (auspicabilissimo) accordo possono contare sull’intervento del giudice. Per i figli legittimi il regime è parzialmente diverso. Anche caso di separazione consensuale o di divorzio congiunto, la legge gli garantisce sempre un vaglio giurisdizionale volto a verificare se le condizioni negoziate dai loro genitori siano conformi al loro prioritario interesse. Da un lato, infatti, l’art. 158 c.c. prescrive al tribunale di rifiutare l’omologazione delle condizioni di separazione consensuale se contrastano con l’interesse dei figli minori; dall’altro l’art. 4, comma AIAF RIVISTA 3/2006 16°, l. div. (immutato rispetto al vecchio comma 13°) vieta al tribunale di pronunciare la sentenza di divorzio, imponendogli la conversione del rito, se nel ricorso presentato congiuntamente dai coniugi siano indicate condizioni in contrasto con l’interesse dei figli minori. Non può non cogliersi una disparità di trattamento arbitraria e del tutto ingiustificata. Sia i genitori naturali che i coniugi quando stabiliscono convenzionalmente il regime di affidamento dei loro figli dispongono di posizioni giuridiche delle quali in realtà non hanno alcuna disponibilità (sia perché si tratta di situazioni giuridiche oggettivamente indisponibili, sia perché fanno capo ai figli e non ai genitori), per cui non si vede per quale ragione siano solo i figli legittimi a poter contare sul controllo del giudice a tutela del loro prevalente interesse. Fatte queste considerazioni, va da sé che non è certo questo il momento per auspicare un ulteriore intervento normativo nel campo del diritto processuale di famiglia (né, per il vero, in nessun altro settore del diritto processuale civile!). Tuttavia nel concludere queste mie riflessioni non posso esimermi dal rilevare che il problema dell’effettiva equiparazione, senza più zone d’ombra, del trattamento dei figli legittimi e dei figli naturali non è ancora stato risolto e che, a questo punto, non può più essere eluso o rinviato. * Straordinario dell’Università di Ferrara 58 Contra DANOVI, op. ult. cit.. 59 Così parrebbe anche DANOVI, op. ult. cit., n. 5, ove si osserva che il presupposto di applicazione “della nuova disciplina ai rapporti tra genitori e figli naturali risulta quello della mancanza di coesione, dall’art. 317 bis c.c. intesa in termini di convivenza”; salvo poi riconoscere anche ai genitori non coniugati la possibilità di rivolgersi congiuntamente al tribunale minorile per la verifica del proprio accordo. 26 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 L a legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 non si è limitata ad introdurre l’affidamento condiviso dei figli ed a conferirgli un ruolo preferenziale rispetto agli altri tipi di affido, ma ha altresì sensibilmente novellato i correlati istituti del mantenimento della prole e dell’assegnazione della casa coniugale. Dalle modifiche apportate a detti istituti traspaiono con nitore due delle reali, ma non dichiarate, rationes che hanno spinto le associazioni dei padri separati a “scendere in campo”, ad “entrare in politica” o, quantomeno, ad affidarsi a partiti ed a singoli uomini politici da loro stessi appoggiati e votati, per eliminare i due soli strumenti che - nel complesso delle norme previgenti in materia di separazione, divorzio e rottura della convivenza more-uxorio -, potevano davvero garantire il minore ed i suoi diritti a non subire cambiamenti di vita a causa delle vicende separative dei genitori: trattasi dell’assegno di mantenimento per il figlio da versare al genitore affidatario e dell’assegnazione a quest’ultimo della casa coniugale. Nell’intenzione dei proponenti la riforma, con l’eliminazione dell’affidamento monogenitoriale si sarebbero eliminati, automaticamente, entrambi. Fortunatamente, grazie alle numerose critiche sollevate ed ai molteplici emendamenti formulati anche dalle associazioni di operatori del diritto (quali, tra le tante, il Forum Associazione Donne Giuriste, l’AIAF, le Camere Minorili, l’A.N.M., l’A.I.M.M.F., etc.), tali obiettivi non sono stati completamente raggiunti ma non v’è dubbio che i nuovi articoli 155, 155 bis, 155 ter, 155 quater e 155 quinquies, introdotti nel codice civile dall’art. 1 legge n. 54/06, hanno sensibilmente intaccato la certezza che caratterizzava entrambi gli istituti. 1. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI on la legge c.d. sull’affidamento condiviso cambia la regolamentazione del mantenimento dei figli. Come è noto, la prassi nazionale unitaria che si era radicata sulla vaga prescrizione del vecchio art. 155 c.c. introdotto dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, si concretizzava nell’attribuzione al genitore affidatario C LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO Il presente articolo costituisce la rielaborazione del contributo Le nuove norme introdotte dalla legge sull’affido condiviso in materia di mantenimento dei figli e di assegnazione della casa familiare interpretate anche alla luce del leading case Carrisi/Power (Cass. n. 18187/06 DEL 18.08.06) pubblicato in D & G, 2006, 38, 112 ss. di un assegno, di regola mensile, posto a carico dell’altro genitore, assegno con cui quest’ultimo era tenuto a contribuire al mantenimento dei figli. LE NUOVE NORME IN MATERIA DI MANTENIMENTO DEI FIGLI E DI ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE Il precedente art. 155 c.c. prevedeva infatti che «…il giudice stabilisce la misura e il modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli». Tale disposizione è stata riportata inalterata nel testo del nuovo art. 155 c.c., secondo comma, che recita: «il giudice determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura ed il modo in cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione ed all’educazione dei figli». Sin qui si potrebbe inferire che, nella inten- MARIA GRAZIA SCACCHETTI * 27 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO zione del legislatore, nulla cambi, ma il nuovo quarto comma della norma in esame elimina ogni certezza. In esso si legge infatti che: «salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito;…». Il testo non brilla certo per chiarezza. L’intenzione delle associazioni dei padri separati, fatta propria dagli autori delle cinque proposte di legge, era quella di introdurre un regime di contribuzione basato sul mantenimento in forma diretta, con individuazione dei relativi capitoli di spesa. La norma, pur non accogliendo espressamente regole di questo tipo, lascia pericolosamente aperta la possibilità che tale risultato venga raggiunto attraverso una interpretazione dottrinale1 e giurisprudenziale che porterebbe a disastrose ricadute pratiche. Come è infatti possibile anche soltanto ipotizzare che due genitori impegnati in una causa di separazione o divorzio giudiziale, che si vedono imposto dalla legge e dal giudice un affidamento condiviso non scelto e non voluto, raggiungano un accordo sul tenore di vita da garantire al minore e sulla ripartizione dei “capitoli di spesa”?! Ed ancora: nel caso in cui il genitore che, ad esempio, deve provvedere al capitolo di spesa “abbigliamento”, a novembre non lo faccia adducendo che per i mesi successivi dovrà invece pagare il proprio dentista, l’altro cosa potrà fare? - mandare in giro il figlio senza cappotto? - anticipare i soldi? E se non li ha? - fargli mandare la “lettera dall’avvocato”? La comune esperienza insegna che, nonostante l’abolizione dei minimi tariffari, la lettera del legale spesso costa più del cappotto! AIAF RIVISTA 3/2006 Ed ancora, se la diffida formale dell’avvocato non bastasse? - fargli causa? Ma con quale tipo di procedura? a) un precetto? Non sappiamo - e la legge non lo dice - se l’accordo omologato o la sentenza sul mantenimento in forma diretta potranno essere considerati, a tale specifico fine, titoli esecutivi. Il credito, a parere di chi scrive, in base ad un’interpretazione rigida, rimane di ammontare non certo2. b) un decreto ingiuntivo? Il genitore gestito potrà sempre fare opposizione eccependo di non avere autorizzato né la gestione dell’acquisto di un cappotto né tantomeno dell’acquisto di quel cappotto! E ci vorranno anni, soldi ed avvocati per arrivare alla sentenza sul cappotto! c) una causa civile ordinaria? Ci vorranno ancora più anni e più soldi - il numero degli avvocati potrà anche non cambiare per la definizione del giudizio! d) un ricorso ai sensi del nuovo art. 709 ter c.p.c.? Una risposta affermativa da parte della giurisprudenza sarebbe quanto mai opportuna ed auspicabile stante la notoria difficoltà pratica di recuperare coattivamente il credito per le spese c.d. “straordinarie”. In dottrina la prima voce autorevole sul punto si è espressa in senso possibilista seppure al termine di un excursus logico-giuridico più atto a giustificare una soluzione contraria. Con eccessivo appiattimento al quadro normativo (peraltro compiutamente declinato) ed insufficiente attenzione al dato di comune esperienza tra gli operatori del diritto di famiglia, Graziosi, ritiene che gli assegni di mantenimento «nel nostro ordinamento godono già di una solida tutela privilegiata»3. 1 Che il mantenimento diretto sia oggi da considerarsi la forma ordinaria e preferenziale di contribuzione, nonché quella che meglio si attaglia allo spirito ed al significato della riforma, è sostenuto da DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova, 2006, 106, SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: A) profili sostanziali, in Fam. dir., 2006, 4, 385 e da SERVETTI, Affido condiviso, prime osservazioni e nodi problematici, 4, www.unicostmilano.it.Tale dottrina, che rischiava di essere maggioritaria, è oggi autorevolmente superata dalla sentenza n. 18187/06 di cui infra. 2 Con la conseguenza «che non trattandosi di un diritto ancora liquidato il genitore che ne è creditore dovrà rivolgersi al giudice competente per ottenere l’accertamento e la liquidazione di quel diritto prima di potere agire esecutivamente» : così DOSI, Le nuove norme sull’affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo processo di separazione e di divorzio, 28, testo della relazione tenuta dall’Autore al Convegno “Affido condiviso: verso una prassi condivisibile” tenutosi a Roma il 29 maggio 2006. La relazione è pubblicata sul sito www.aiaf-avvocati.it. 3 GRAZIOSI, Profili processuali della l. n. 54 del 2006 sul cd. Affidamento condiviso dei figli, testo in corso di pubblicazione in Dir. fam e pers., che ho potuto leggere in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autore. 28 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 La realtà dimostra esattamente il contrario, posto che: a) i sequestri ex art. 156, comma 6°, c.c. e 8, comma 7° l. div., sono un’arma spuntata contro il genitore che abbia dolosamente occultato il proprio patrimonio (come da prassi sempre più sparsa); b) gli strumenti di distrazione del reddito non possono certo tutelare la prole dei liberi professionisti, dei lavoratori “in nero”, dei commercianti, dei managers che operano in Cindia, etc., e di tutti coloro (sempre più numerosi) che, pur di sfuggirvi, si licenziano o si fanno licenziare; c) le sanzioni penali di cui all’art. 12 sexies l. div., estese anche alla separazione dall’art. 3 l. 54/06, sono irrimediabilmente neutralizzate dalla prassi dei Giudici penali - conforme in tutto il Paese - che degrada le violazioni dei doveri di mantenimento al rango di reati bagatellari e, conseguentemente, lascia giacere intonse le relative querele fino alla prescrizione dei reati stessi. A ciò si deve altresì aggiungere la pressoché insormontabile e notoria impossibilità di ottenere il pagamento forzoso del fantomatico concorso alle c.d. spese straordinarie, uno dei più aleatori modi di contribuzione al mantenimento dei figli! A fronte della descritta situazione, l’introduzione di un ulteriore mezzo di tutela del diritto al mantenimento della prole è pertanto più che mai urgente e necessaria. D’altronde il legislatore del 2006, nella campagna mediatica di suasio della legge sull’affidamento condiviso dei figli, ha agitato sino all’esasperazione la ratio della tutela degli interessi della prole, per cui è di questi interessi che una corretta interpretazione teleologica e sistematica dovrebbe preoccuparsi e non certo di quelli, confliggenti e sicuramente meno meritevoli, del genitore obbligato ed inadempiente. In giurisprudenza abbiamo, per fortuna, già un precedente favorevole all’applicabilità dell’art. 709 ter c.p.c. alle fattispecie di inadempimento agli obblighi di natura patrimoniale. Si tratta dell’ordinanza emessa il 7 aprile 2006 dal G.I. nell’ambito di una procedura di separazione giudiziale pendente innanzi al 4 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO Tribunale di Modena4: nella fattispecie il genitore non affidatario si era reso inadempiente sia al pagamento del contributo per il mantenimento del minore, sia al regime di visita, così come stabiliti dall’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c. A fronte di un tenore letterale dell’articolo ancora una volta privo di chiarezza e di intracoerenza [perché al primo comma prevede che «per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso», ed al secondo comma allarga, in modo lato ed atecnico, la fattispecie ai casi di gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore], il provvedimento ha il merito di inaugurare l’interpretazione giurisprudenziale ritenendo che lo strumento dell’art. 709 ter c.p.c. sia applicabile anche al caso di violazione degli obblighi di mantenimento. Il dispositivo dell’ordinanza mette però in luce i gravissimi limiti della norma. Il Giudice ha ammonito il genitore e gli ha inflitto una sanzione amministrativa di 750 euro a favore della Cassa delle ammende, riservandosi di disporre successivamente, nel caso di protrazione dell’inottemperanza e di specifica prova dei danni, il risarcimento patrimoniale a carico del convenuto. La decisione è sicuramente legittima, fondata e mirata ad una interpretazione equa ed estensiva della norma: è però evidente che non fa giustizia! Quanto può giovare al figlio non mantenuto ed al genitore non coadiuvato che 750 euro vadano a finire nella Cassa delle ammende? Se lo scopo della riforma è davvero quello di tutelare i minori non sarebbe stato più conforme a tale ratio destinare in un qualche modo detto importo, in tutto o in parte, al figlio e/o alla madre affidataria, ad esempio, a titolo di risarcimento danni - danni che sicuramente ci sono stati - valutati, in mancanza di una specifica prova, in via equitativa così come del resto già prevede e consente il codice civile all’art. 1226? Ordinanza redatta dal dott. Pagliani e pubblicata in D & G, 2006, 25, 22 ss. 29 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO Ed, ancora, il legislatore avrebbe ben potuto conferire al Giudice il potere di emettere ordinanze di ingiunzione ex art. 186 bis e 186 ter c.p.c. Il Giudicante del 709 ter c.p.c deve infatti preliminarmente accertare se il mantenimento dovuto (tanto in forma diretta quanto in forma indiretta) sia stato o meno prestato: perché non conferirgli quindi anche il potere di condannare l’inadempiente al pagamento del debito? Se il legislatore non ha avuto l’accortezza di conferire espressamente al Giudice tale potere, lo stesso può essergli riconosciuto dalla giurisprudenza di merito e di legittimità, in sede di interpretazione giudiziale, a nulla ostando l’applicabilità degli art. 186 bis c.p.c. e 186 ter c.p.c. alle fattispecie di cui all’art. 709 ter c.p.c. Tale soluzione sarebbe, oltre che legittima sotto il profilo del diritto sostanziale e processuale, fortemente auspicabile sotto quello della politica legislativa. Essa, infatti, eviterebbe dispendio di denaro, l’aumento esponenziale delle cause e la possibilità di contrasto tra giudicati! Quanto sopra basta a dimostrare come il mantenimento in forma diretta e per capitoli di spesa non solo non risolve i problemi, ed aumenta anzi il numero delle controversie, ma non tutela affatto il diritto del minore a mantenere lo stesso tenore di vita goduto in costanza del matrimonio dei suoi genitori. La lettera dell’art. 709 ter c.p.c. inoltre, laddove ha previsto che, in caso di «gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento», il giudice «può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore; 3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; 4) condannare il genitore ina- AIAF RIVISTA 3/2006 dempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende », non ha chiarito quando il genitore sia da considerarsi gravemente inadempiente. È sufficiente il mero inadempimento di una sola mensilità come in materia di locazioni? È necessaria una formale costituzione in mora ex art. 1219 c.c.? È sufficiente quest’ ultima o è necessaria una pronuncia del Giudice? Passata in giudicato? L’inadempimento deve raggiungere un certo ammontare? Se sì, quale? Se no, lasciamo al Giudice la discrezionalità di valutare se l’inadempimento è abbastanza grave da giustificare non solo il passaggio da una forma all’altra di mantenimento ma anche l’irrogazione delle sanzioni di cui ai punti 1,2,3 e 4? A questo proposito pare doveroso sottolineare che il testo del disegno di legge5 risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione Giustizia l’8.2.2005, almeno prevedeva, all’art. 155 quater c.c., che, in caso di inadempienza - e non già di grave inadempienza -, rispetto agli obblighi di mantenimento diretto, il Giudice disponesse, relativamente al genitore inadempiente, la loro sostituzione tramite corrispondente assegno da versare all’altro genitore. Malauguratamente questa disposizione, che sarebbe di certo stata una efficace sanzione per il genitore inadempiente, è sparita, insieme al richiamo esplicito al mantenimento in forma diretta6. Il vuoto però non è stato colmato da previsioni certe, ma da un generico dovere, in capo a ciascun coniuge, di contribuire al mantenimento con modalità rimesse alla discrezionalità dei Giudici! A chiusura della disciplina del mantenimento, il quarto comma del nuovo art. 155 c.c. prosegue precisando che «il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il 5 Testo risultante dall’unificazione dei disegni di legge 66 (Tarditi +), 453 (Cento +), 643 (Lucchese +), 1268 (Trantino), 1558 (Vitali +), 2233 (Lucidi +), 2344 (Mussolini +), 2576 (Mantini +), 4027 (Di Teodoro +), 4068 (Mazzuca +) e modificato in più punti dopo che, nel corso delle audizioni alla Commissione Giustizia della Camera, numerose associazioni (tra cui l’Associazione Magistrati Minorili, Camere Minorili, Avvocati della Famiglia e dei minori, Forum Donne Giuriste, Avvocate di riferimento delle Case contro la violenza alle donne, Organismo Unitario dell’Avvocatura, mediatori familiari) avevano presentato analisi critiche al precedente testo unificato c.d. Paniz. 6 Sulla applicabilità del mantenimento in forma diretta cfr. MAGLIETTA, Quelle interpretazioni sull’affido che rischiano di pregiudicarne le finalità, in Guida al diritto, 2006, 11, 12. 30 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 principio di proporzionalità», senza chiarire tuttavia né il ruolo - prioritario o meno - dell’assegno tra le varie modalità di contribuzione, né i concetti di periodicità e proporzionalità. Il legislatore del 2006 ha così affidato il diritto dei minori al proprio mantenimento e, ancor più, la certezza del diritto al loro mantenimento, al caso ed alla aleatoria fortuna di incappare in Giudici non solo specializzati e sensibili ma pure dotati di buon senso, di praticità e, soprattutto, di figli, e perciò presumibilmente in grado di adottare provvedimenti equi che possano concretamente garantire alla prole il diritto di essere mantenuti da entrambi i genitori7. È evidente che, a fronte dei sopracitati dati testuali, l’assegno ha rischiato di diventare uno strumento residuale, con la sola funzione di attuare il principio di proporzione che deve governare la regolamentazione del mantenimento dei figli8. Infatti, dal momento che i figli sono affidati ad entrambi i genitori ciascuno dei quali deve provvedere al loro mantenimento, l’assegno potrebbe finire con l’essere disposto solo nei casi di rilevante disparità di condizioni reddituali9 e tenuto conto del mantenimento diretto. Non è scritto chiaramente, e perciò ai non operatori del diritto di famiglia poteva anche sfuggire, che, come conferma la pronuncia della Corte di Cassazione di cui infra, all’interpretazione giudiziale è stata così rimessa anche la sopravvivenza o meno dell’assegno mensile di contributo al mantenimento dei figli, unica forma - peraltro perfettibile - che garantisce al genitore che, di fatto, continua a convivere con il figlio (anche se in regime di “condivisione” dell’affido con l’altro), un LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO effettivo concorso alle spese a tal fine necessarie. Fortunatamente le gravi incertezze inopinatamente introdotte dalla legge 54/06 hanno avuto vita breve10. La prima sezione della Corte Suprema, infatti, è già intervenuta sul tema con la sentenza n. 18187 del 18.08.2006 (Relatore Spagna Musso, Presidente Gabriella Luccioli)11, sentenza che, sia per la persuasività logica e la esaustività delle argomentazioni svolte, sia per la sua immediata e capillare divulgazione sulle reti televisive e sulla stampa12 “a causa” della notorietà delle parti in lite (Carrisi - Power), pare destinata ad assumere il rango di precedente “piuttosto vincolante”. Con tale pronuncia la Cassazione ha censurato il decreto della Corte d’Appello di Lecce (emesso ex art. 739 c.p.c. in sede di reclamo del decreto di primo grado ex art. 710 c.p.c.) nella parte in cui ha attribuito all’affidamento congiunto una valenza patrimoniale prescindendo dalla considerazione che detto istituto, fondato sull’esclusivo interesse del minore, attiene invece alla qualità della vita di quest’ultimo. Prendendo le mosse da una inedita quanto necessaria ed opportuna distinzione tra le diverse rationes dei due istituti - posto che, mentre l’affidamento condiviso è volto a realizzare l’interesse “esistenziale” del minore, la corresponsione dell’assegno di mantenimento è finalizzata a soddisfare i suoi bisogni di natura “patrimoniale - assistenziale”, con apprezzabile nitore la Cassazione ha finalmente chiarito che l’affidamento congiunto «non può comportare necessariamente, in ordine al mantenimento dei figli, un “pari” obbligo patrimoniale a carico dei genitori, nel senso che dall’affidamento con- 7 In senso analogo v. anche MISSIAGGIA, L’affido condiviso alla prova dei fatti. Se la tutela va più ai genitori che ai figli,in D & G, 2006, 7, 121-122. Propende per la funzione residuale dell’assegno SESTA, op. loc. cit. 8 Il rischio è altresì segnalato da DOSI, op. loc. cit.. 9 Si veda, ad esempio, KING,Contributo proporzionale al reddito, in Il sole 24 Ore, 16 febbraio 2006, 13. 10 Opportunamente FIORINI, L’affidamento congiunto della prole non esclude il versamento dell’assegno, in Guida al diritto, 2006, 35, 47, rileva che «con la sentenza 18187/2006 la Cassazione ha sgombrato il campo da un pericoloso equivoco interpretativo che la legge 54/2006 sembrava poter creare, e ciò ancora prima di essere chiamata a pronunciarsi su un provvedimento che di quella legge abbia fatto diretta applicazione, anticipando in tal modo l’esercizio della sua, sempre preziosa, funzione nomofilattica». 11 Pubblicata qui di seguito. 12 Cfr., ex pluribus, il quotidiano La Repubblica, 19.08.06, p.18. 31 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO giunto debba discendere l’obbligo per ciascun coniuge di provvedere “in via diretta” al mantenimento dei figli. Tale tipo di valutazione non può assolutamente essere consentita qualora si tenga conto che l’affidamento congiunto, come detto, attiene all’interesse del minore dal punto di vista del suo sviluppo, del suo equilibrio psico-fisico, anche in considerazione di situazioni socioambientali, del perpetuarsi dello schema educativo già sperimentato durante il matrimonio, mentre la corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli ha natura patrimoniale- assistenziale (c.d. assistenza materiale), ed è finalizzata a sostenere le spese necessarie per consentire le attività dirette a detto sviluppo psico - fisico del minore (senza esclusione del relativo obbligo in caso di raggiungimento della maggiore età da parte dei figli ove detto assegno si renda comunque necessario). In definitiva, l’affidamento congiunto è istituto che, per le sue finalità riguardanti l’interesse dei figli, non esclude l’obbligo del versamento di un contributo, ove ne sussistano i presupposti, a favore del genitore con il quale i figli stessi convivono.». Con singolare attenzione - oltre che al criterio sociologico ed equitativo - al dato normativo ed all’esigenza di certezza del diritto, la sentenza in esame, sebbene deliberata il 27.02.06, non ha mancato di stabilire il rapporto esistente tra il proprio precipitato e la legge n. 54 dell’8 febbraio 2006, quantunque quest’ultima sia stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale soltanto in data successiva, e cioè il 1o marzo 2006, ed entrata in vigore il 16 marzo 2006. Il testo della parte motiva infatti così prosegue: « In proposito, è da rilevare come anche la recente legge n. 54/2006, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, pur se successiva alla data dell’impugnata decisione, introduca il c.d. principio della bigenitorialità, con ciò ovviamente privilegiando l’interesse “esistenziale” del minore e prescindendo, in particolare, sia dal rapporto patri- AIAF RIVISTA 3/2006 moniale tra i due ex coniugi, sia dagli aspetti economici riguardanti la vita del minore, autonomamente disciplinati dal quarto comma di detto art. 155 c.c., in cui è previsto che ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito e che “il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità”, sulla base di vari parametri, tra cui le “risorse economiche di entrambi i genitori”. È un’ulteriore e definitiva conferma che l’affidamento congiunto non può certo far venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire con la corresponsione di un assegno al mantenimento dei figli in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza. Ne consegue che censurabile è la decisione in esame là dove ha erroneamente fatto derivare, come conseguenza “automatica”, dell’affidamento congiunto il principio che ciascuno dei genitori provvede in modo diretto ed autonomo alle esigenze dei figli.». È pertanto incontrovertibile che l’autorevole opzione ermeneutica della Suprema Corte abbia eliminato i dubbi inferibili dal dettato normativo statuendo che la legge n. 54/06 non ha affatto introdotto, come esclusiva modalità di contribuzione correlabile all’affido condiviso, il mantenimento in forma diretta ed autonomo da parte di ciascun genitore ma, viceversa, ha previsto e disciplinato, quale istituto tuttora applicabile anche in caso di affidamento condiviso, l’obbligo, a carico del genitore non convivente, della corresponsione di un assegno di mantenimento per i figli da versare al genitore coaffidatario e collocatario della prole13. Il legislatore del 2006 - facendosi evidentemente carico delle istanze avanzate dai padri separati - ha espressamente subordinato tale obbligo alla condizione che lo stesso sia “necessario” ma è di tutta evidenza come la clausola “ove necessario” non incida affatto sulla sussistenza e sulla funzione (preferenziale o residuale) dell’istituto, integrando la 13 In dottrina, in senso conforme alla Suprema Corte si era già espresso PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, 60. 32 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 stessa un tacita condicio iuris alla quale, sia pure implicitamente, era sottoposto l’obbligo in esame anche dalla precedente normativa in forza del principio di proporzionalità di cui all’art. 148 c.c., principio che regola il concorso dei genitori all’adempimento degli obblighi, anche di mantenimento, verso i figli, sin dalla ben melius perpensa et scripta riforma del 1975. Riprendendo l’esegesi del nuovo art. 155 c.c. è infatti a dire che il legislatore del 2006, in limine al quarto comma, ha indicato, quale unico criterio quantificativo, quello del reddito dei coniugi, e ciò in aperto contrasto con l’art. 148 c.c. laddove è disposto il concorso dei coniugi all’obbligo di mantenimento dei figli «in proporzione alle rispettive sostanze (concetto, quest’ultimo, ben più ampio rispetto a quello del reddito) e secondo la loro capacità di lavoro professionale e casalingo». Non solo: la nuova norma ha cancellato oltre venti anni di attente ed opportune pronunce interpretative e perequative (queste sì) della Corte di Cassazione la quale, al fine che qui interessa, aveva elaborato il ben più esteso criterio della capacità contributiva, capacità da commisurarsi non solo in base al reddito, ma alla complessiva consistenza del patrimonio di ciascuno di essi, nella misura espressa da ogni forma di reddito od utilità14, e quindi anche dal valore intrinseco di beni immobili, siano essi direttamente abitati o diversamente utilizzati 15 precisando, con apprezzabile ed acuta attenzione al dato di comune esperienza, che, ai fini della quantificazione in parola, concorrono alla determinazione dello status patrimoniale dei genitori, anche i cespiti immobiliari non produttivi di reddito, poiché detti cespiti, oltre ad essere comunque idonei ad assicurare benefici di rilevanza patrimoniale al loro titolare (ad esempio per la maggiore facilità del credito e delle sue condizioni), rappresentano una entità che può essere resa liquida16. LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO Adesso cosa accadrà? Occorreranno altri dieci anni di interventi della Suprema Corte per estendere tale sedimentato criterio applicativo anche alla nuova norma? L’articolo prosegue elencando poi i parametri per la quantificazione dell’eventuale assegno periodico [non si può sottacere la circostanza che, per qualificare detto assegno, il legislatore del 2006 ha accuratamente quanto emblematicamente evitato il binomio “di mantenimento”], ovvero: 1) «le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore». Trattasi di una elencazione alquanto parziale e fuorviante. Il parametro sub 2) denuncia ancora una volta sia la mancata conoscenza, da parte del legislatore del 2006, degli orientamenti giurisprudenziali -anche di legittimità- volti ad interpretazioni applicative più congruenti con la realtà sociale disciplinata e più conformi al senso di giustizia della collettività, sia la conseguente discrasia tra la ratio proclamata (ovvero la tutela degli interessi del minore) e gli strumenti approntati per la sua realizzazione. Da oltre 10 anni, infatti, la Cassazione, seppure statuendo in materia di assegno divorzile, ha precisato che, per tenore di vita goduto, deve intendersi non soltanto quello che la persona beneficianda ha effettivamente tenuto ma anche quello che avrebbe potuto godere in base ai redditi della persona obbligata; la quantificazione, cioè, va fatta con riferimento al tenore di vita offerto dalle effettive potenzialità economiche della persona obbligata, e non a quello, eventualmente più morigerato, frutto di tolleranza, imposizione o anche di accordo17. 14 Cass. 4.4.2002 n. 4800, in Giust. civ. Mass., 2002, 739; Cass. 3.7.1999 n. 6872, in Giust. civ. Mass., 1999,1551; Cass. 29.11.1990 n. 11523, in Giur. It., 1991, I, 1, 1022; Cass. 2.7.1990 n. 6774, in Giust. civ., 1991, I, 1799. 15 Cass. 21.1.1995 n. 706, in Giust. civ. Mass.,1995,125. 16 Cass. 15.1.1990 n. 110, in Giust.civ. Mass.,1990, fasc. 1. 17 In tal senso cfr. Cass. 6.10.2005 n. 19446, in Giust. civ. Mass., 2005, 10, Cass. 15.5.2001 n. 6660, in Giust. civ. Mass., 2001, 974,Cass. 26.11.1996 n. 10465, in Giust. civ., 1997, I, 3140. 33 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO È evidente che l’effettiva tutela degli interessi patrimoniali - assistenziali del minore sarebbe stata più efficacemente garantita se, al punto in esame, fosse stato previsto, quale criterio quantificativo, “il tenore di vita goduto dal figlio o quel tenore di vita che il figlio avrebbe potuto godere in base alle effettive capacità economiche dei genitori”. Particolarmente insidioso appare il parametro sub 3): traspare qui, in modo solare, la confusione che permea tutta la riforma tra il concetto di “affido condiviso” (mai definito dal legislatore ma da intendersi - alla luce dei principi generali del diritto di famiglia e della potestà genitoriale - come esercizio congiunto della potestà e conseguente condivisione della responsabilità genitoriale) e quello di “collocamento equitemporale” della prole presso ciascun genitore. È infatti evidente che, a differenza di quanto pretendono di sostenere i padri separandi, separati, divorziandi, divorziati, etc… ed i loro difensori, una uguale ripartizione dei tempi di permanenza presso l’uno o l’altro genitore non realizza di per sé il principio di proporzionalità, posto che i tempi di coabitazione possono incidere sulle spese di vitto e di alloggio ma non certo su quelle mediche, scolastiche, sportive, assicurative, di abbigliamento, etc… Certamente positivo è, semmai, il criterio sub 5), criterio non previsto nei vari disegni di legge (e ciò con evidente revirement rispetto alla riforma del 1975 ed in contrasto, ancora una volta, con l’art. 148 c. c., fortunatamente non novellato) ma introdotto soltanto a seguito delle critiche ed istanze reiteratamente sollevate dal Forum Associazione donne Giuriste. A fronte di un dato di comune esperienza quale il costo orario di colf e baby sitter, era quanto mai equo ed urgente valorizzare il lavoro domestico svolto da ciascun genitore, a maggior ragione se si considera che, nonostante l’evoluzione dei costumi e l’impegno delle donne in attività extrafamiliari, i com- AIAF RIVISTA 3/2006 piti domestici e di cura continuano ad essere svolti prevalentemente dalle madri e che i figli, in occasione delle permanenze presso il padre, vi giungono lavati, pettinati e con abiti e biancheria pulita mentre ritornano presso l’abitazione materna con gli indumenti personali in ben altre condizioni e, per lo più, i compiti ancora da svolgere! Ai parametri suelencati deve aggiungersi quello del godimento della casa familiare di proprietà di un genitore (o in comproprietà di entrambi), ma assegnata all’altro (o ad uno solo dei due) in considerazione dell’interesse dei figli, anche se quest’ ultimo criterio è stato inserito non già nella disposizione in esame ma nell’art. 155, quater, secondo comma, c.c.18. 2. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI. ltra deleteria novità introdotta dalla legge sull’affido condiviso riguarda la disciplina del mantenimento dei figli maggiorenni. Il nuovo articolo 155 quinquies c.c. stabilisce che «il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salva diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto.». È opportuno ricordare che al venir meno dell’esercizio della potestà genitoriale per il raggiungimento della maggiore età, il figlio non ancora economicamente autosufficiente ha diritto alla prestazione del mantenimento da parte di entrambi i genitori finchè non sia in grado, non per sua colpa, di mantenersi da sé19. Il mantenimento cui si fa riferimento è comprensivo, oltre che delle spese per i bisogni fondamentali, anche delle spese per una personale vita di relazioni sociali ed amicali secondo il livello proprio dell’ambiente in cui la famiglia è inserita. Conformemente a questi principi generali, A 18 In senso conforme cfr. SESTA, Le nuove norme, cit., 385, il quale, però, fa riferimento soltanto alla ipotesi della casa familiare di proprietà esclusiva di uno dei coniugi mentre, a mio parere, è innegabile che l’assegnazione della stessa abbia una valenza economica anche nel caso di comproprietà. 19 Cass. 3.4.2002 n. 4765 in Giur.it., 2003, 476 con nota di ENRIQUEZ. 34 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 nel vigore della precedente normativa, che nulla disponeva al proposito, si era consolidato in giurisprudenza l’orientamento secondo il quale l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne veniva meno quando questi percepiva un reddito corrispondente alla professionalità effettivamente acquisita, ma non nel caso in cui il figlio fosse privo di redditi propri per avere rifiutato un impiego non adeguato alla sua preparazione20. La riforma introduce significativi elementi di novità: da un lato, viene meno l’automatismo per cui i genitori sono tenuti a mantenere i figli maggiorenni, salvo provare la loro intervenuta indipendenza economica, dall’altro, «salva diversa determinazione del giudice», l’assegno periodico viene corrisposto direttamente al figlio maggiorenne. Sotto il primo aspetto la norma sembra presentare un forte profilo di incostituzionalità in quanto introduce una evidente disparità di trattamento tra i figli maggiorenni di genitori separati e/o divorziati ed i figli maggiorenni di genitori non separati. Mentre questi ultimi hanno diritto ex lege ad essere mantenuti, i primi, che già hanno subito i traumi del conflitto genitoriale, devono anche subire l’ulteriore disagio di citare in giudizio il/i genitore/i che non provvedono spontaneamente al loro mantenimento. Sotto il secondo aspetto la nuova disposizione è foriera di ulteriori dubbi lasciando al Giudice il potere/dovere di valutare se, nel caso concreto, sia più opportuno che l’assegno venga versato all’altro coniuge oppure direttamente al figlio maggiorenne21, modalità, quest’ultima chiaramente indicata come prioritaria dal testo normativo. Con il versamento diretto, tuttavia, si aggraverebbe la posizione del figlio maggiorenne che potrebbe essere costretto ad agire in giudizio contro il genitore per vedersi riconoscere sia il diritto al mantenimento sia, in caso di inadempimento, per ottenere la LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO riscossione forzosa del credito. La questione non è stata sottoposta alla cognizione della Suprema Corte dai pur autorevoli legali della ex coppia CarrisiPower, quantunque all’epoca del deposito del ricorso ex art. 111 Cost., risalente al 2003, fosse già iniziata, e con clamore, la discussione in Commissione Giustizia sul testo unificato c.d. Paniz. Dalla suesaminata pronuncia, tuttavia, è legittimo dedurre che l’orientamento della Cassazione sia quello di ritenere che la riforma del 2006 non abbia modificato in maniera significativa il disciplinamento dell’istituto. La parte motiva che segue immediatamente il periodo sopra riportato così prosegue: «È da rilevare, poi, in relazione alla vicenda in esame, che, pur essendo venuto meno l’affidamento in oggetto per essere le figlie divenute nel frattempo maggiorenni, tale circostanza non modifica per il giudice del rinvio i termini della questione, perdurando l’obbligo del mantenimento, indipendentemente dal raggiungimento della maggiore età, finché le figlie non diventino autosufficienti dal punto di vista economico.». A fronte dell’affermazione secondo cui il raggiungimento della maggiore età non cambia “per il Giudice del merito” - cui la causa viene rinviata per la quantificazione dell’assegno di mantenimento per le figlie maggiorenni- i termini della questione (id est «l’obbligo del versamento di un contributo, ove ne sussistano i presupposti, a favore del genitore con il quale i figli stessi convivono»), è ragionevole dedurre che il Giudice di Legittimità non abbia ritenuto che la Corte d’Appello di Lecce dovesse anche deliberare sulla legittimazione (della madre convivente o della prole maggiorenne) a ricevere il contributo. La preterizione di quest’ultima quaestio appare emblematica della tendenza della Suprema Corte a non considerare affatto preferenziale, quale modus solvendi, il versa- 20 Cass. 18.1.2005 n. 951 in D &G 2005, 6, 29 con nota di FITTIPALDI; Cass. 3.4.2002 n. 4765, in Dir. Fam. pers., 2002, 310 ; Cass. 22.11.2000 n. 15065, Giust. civ. Mass., 2000, 2406. 21 Secondo BUCCI, SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2006, 143, «La diversa determinazione» che consentirebbe al giudice di disporre il pagamento in favore dell’altro genitore potrebbe consistere nella ricorrenza di circostanze quali la convivenza, l’età del ragazzo, l’assunzione diretta degli oneri connessi alla sua istruzione ed alla ricerca di una attività lavorativa, anche al di fuori di una vera e propria convivenza. 35 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO mento diretto nelle mani dell’avente diritto, essendo ragionevole supporre ed argomentare che, nel caso contrario, la Corte non avrebbe ritenuti “non modificati i termini della questione” né avrebbe passato sotto silenzio l’aspetto che qui interessa. È tuttavia innegabile che detto aspetto non è stato affrontato in modo diretto dalla Cassazione la quale, come detto ante, non è neppure stata chiamata a farlo. Permangono pertanto problemi enormi circa la titolarità del diritto e la legittimazione a farlo valere: se il figlio è il titolare ed il legittimato esclusivo22, egli, secondo alcuni autori, dovrà anche essere legittimato a partecipare al giudizio di separazione o di divorzio, che si svolge tra i suoi genitori, limitatamente alle proprie pretese economiche ad un assegno periodico nei confronti di entrambi23, posto che, pur nel silenzio della norma, non si può che ritenere che la misura di tale assegno dovrà essere stabilita tenendo conto della capacità contributiva degli stessi. Certamente meno gravose sarebbero le ricadute della soluzione opposta24, secondo la quale il silenzio della norma sul punto autorizza a ritenere che continui a sussistere la legittimazione iure proprio a richiedere l’assegno in capo all’altro genitore, se convivente con il figlio. Più condivisibile pare la soluzione prospettata da Sesta25 il quale osserva che: «A ben vedere, tuttavia, la regola secondo cui quanto dovuto per il mantenimento, salva diversa determinazione del giudice, deve essere versato direttamente all’avente diritto - cioè al figlio stesso-, non comporta che sia stata introdotta una legittimazione esclusiva del figlio maggiorenne a chiedere l’assegno di mantenimento in proprio favore, cosicché deve ritenersi tuttora sussistente la legittimazione concorrente del genitore convivente AIAF RIVISTA 3/2006 con il figlio ad ottenere il predetto assegno, secondo gli indirizzi giurisprudenziali formatisi prima della legge. In tal senso deve rimarcarsi che il testo di legge, nel prescrivere il versamento diretto all’avente diritto, fa salva la diversa determinazione del giudice che ben potrà disporre per la legittimazione del genitore.»26. Infine un ultimo rilievo critico si impone sulla norma in esame: il legislatore non ha riproposto né richiamato qui i criteri dettati al 4° comma dell’art. 155 c.c. per la quantificazione dell’assegno periodico per i figli minorenni, così come sarebbe stato doveroso fare in ottemperanza al principio di parità, e neppure ne ha indicati altri, così come sarebbe invece stato opportuno in osservanza al principio della certezza del diritto. La lacuna dovrà ancora una volta essere colmata dall’interpretazione giurisprudenziale. 3. LA ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE ell’art. 155 quater c.c. troviamo, malcelata, la seconda vera ratio dell’affidamento condiviso imposto per legge: vale a dire la abolizione dell’assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario. Cancellato il secondo, come già scritto, nell’intenzione dei firmatari delle proposte di modifica, si sarebbe dovuto cancellare ipso iure anche la prima! La norma è fumosa, farraginosa ed intracontradditoria. Da anni i “padri separati” rumoreggiavano e protestavano per la assegnazione della casa coniugale alle madri e, ancor più, per l’assegnazione della stessa alle mogli non affidatarie. Ora hanno individuato le chiavi tecnicogiuridiche per ridurre “signorilmente” questo rischio economico: l’eliminazione dell’affidamento monogenitoriale dei figli alle N 22 È di questo avviso M. FINOCCHIARO, Assegno versato direttamente al maggiorenne, in Guida al diritto, 11, 2006, 42. 23 Oppure dovrà promuovere un autonomo giudizio ordinario: così DOSI, op. cit., 34. Contrario a tale opzione interpretativa è CIFARELLI, Il mantenimento dei figli maggiorenni, testo in corso di pubblicazione che ho potuto leggere in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autore. 24 Sostenuta ex pluribus da DOSI, op. loc. ult. cit.. 25 Op. cit., 386. 26 V. anche PADALINO, op. cit., 174, SERVETTI, op. cit., 7 e DE FILIPPIS, op. cit., 131. Per una esaustiva analisi di tali problematiche si rinvia in particolare a CIFARELLI, op. cit., che affronta in modo esaustivo ed ampliamente motivato tutti i problemi interpretativi ed applicativi introdotti dall’art. 155 quinquies c.c. 36 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 madri (le quali, ovviamente, anche senza titolo, se non quello di genitore collocatario, saranno quelle che, di fatto, continueranno a provvedere in via esclusiva o comunque prevalente alla cura e custodia quotidiane dei figli) e l’assegnabilità della casa in presenza di prole minorenne o maggiorenne ma economicamente non autosufficiente! L’odierno art. 155 quater c.c. è il pessimo risultato della mediazione tra i desiderata dei padri separati e le battaglie fatte dal Forum, dall’AIAF, dalle Camere Minorili, etc… per salvaguardare il diritto dei figli alla conservazione dell’habitat domestico. Il vecchio art. 155 c.c., introdotto con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975, prevedeva, al 4° comma, che «l’abitazione familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli». L’art. 6, 6° comma della legge 1.12.1970 n. 898, modificato dall’art. 11 della legge 6.3.1987 n. 74, ha sancito che «l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età (…). L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.». Quest’ ultima norma ha dunque esteso l’assegnazione della casa familiare al coniuge convivente con il figlio maggiorenne ed ha ammesso la possibilità della trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa familiare e l’opponi- LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO bilità ai terzi ai sensi dell’art. 1599 c.c. Il nuovo art. 155 quater, 1° comma c.c., dispone che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli». Dal raffronto di tali disposizioni emerge con evidenza che il tenore letterale della normativa riformata potrebbe prestare il fianco ad una interpretazione giurisprudenziale che sostenga: 1) che è sparito il “diritto” o, se vogliamo, la legittima aspettativa del coniuge affidatario, o coaffidatario ma di fatto collocatario, alla assegnazione della casa familiare, e, di conseguenza, è venuto meno anche il diritto dei figli minori e maggiori che continuano a convivere con il genitore a conservare l’habitat domestico; 2) che la conservazione dell’habitat domestico per la prole è stata derubricata da diritto (o legittima aspettativa) a mero interesse, interesse che parrebbe non avere più la valenza giuridica di una situazione meritevole di tutela, ma la mera funzione di uno dei criteri di cui il giudice deve tenere conto nell’attribuzione non più dell’«abitazione nella casa familiare» [locuzione ricorrente in entrambe le vecchie norme] ma del mero «godimento» della stessa. A fronte del vivace dibattito esistente in dottrina27 ed in giurisprudenza sulla natura (reale28, personale29, mista30) del “diritto di abitazione nella casa coniugale”31, la modifica les- 27 In dottrina cfr. per tutti C.M. BIANCA, Diritto civile, II, Milano, 2005, il quale ha affermato che la natura del diritto acquistato in virtù dell’assegnazione è di natura reale o personale a seconda del corrispondente diritto già vantato dall’altro coniuge anteriormente all’assegnazione. 28 Sostengono la realtà del diritto di abitazione: GRASSI, La separazione personale dei coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Napoli, 1975,167; TAMBURRINO, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino, 1978, 277; CANTELMO, La situazione del coniuge superstite, in Rass. dir. civ., 1980, I, 52 ss.; AMAGLIANI, Separazione dei coniugi e assegnazione della casa familiare, in Rass. dir. civ., 1980, I, 17; DI NARDO, L’assegnazione della casa familiare: evoluzione legislativa e attuali orientamenti giurisprudenziali, in Nuova giur. civ. comm., 1988, II, 358; C.M. BIANCA, Diritto civile, op. cit., 197 s. In giurisprudenza cfr. Trib. Catania 11.7.1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 339 ss. con nota di GIUSTI; Pret. Monza 8.6.1985, in Foro it., 1986, I, 1317 con nota di JANNARELLI. 29 Secondo alcuni autori il diritto di abitazione nella casa familiare è assimilabile al comodato: cfr. A. FINOCCHIARO, in A. Finocchiaro - M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, III, Divorzio, Milano, 1988, 495. In giurisprudenza, v., Cass. 2.4.1992, n. 4016, in Mass. Giur. It., 1992. Per altri, invece, lo stesso è assimilabile ad un rapporto di locazione: cfr. FRALLACIARDI, Assegnazione della casa familiare nella separazione personale e nel divorzio: quale diritto per l’assegnatario?, in Studi Capozzi, Milano, 1992, I, 1, 609 ss., ed, in giurisprudenza, Cass. 6.5.1999, n. 4529, in Giust. civ., 1999, I, 2305 ss., in Foro it., 1999, I, 2215 ss., con nota di PIOMBO; in Nuova giur. civ. comm., 2000, I, 103 ss., con nota di E. QUADRI, Trascrizione e opponibilità dell’assegnazione della casa familiare, in. Dir. Fam. pers., 1999, 554, con nota di PADOVINI, Sull’opponibilità ai terzi di assegnazioni non trascritte della casa familiare. 30 ZATTI, La separazione personale, in Tratt. Rescigno, 1982, 262; TRABUCCHI, L’abitazione della casa coniugale dopo il divorzio, in Giust. civ., 1978, I, 2103; BRECCIA, Il diritto di abitazione, Milano, 1980, 337; COCCIA, La casa familiare: qualificazione giuridica e diritti del coniuge, in Dir. Fam. pers., 1985, 1102; MANTOVANI, La separazione personale tra coniugi - aspetti sostanziali, in Enc. giur., XXVII, Roma, 1992, 27; F. FINOCCHIARO, Il matrimonio, in Comm. Scialoja -Branca, Bologna-Roma, 1993, 415; DOGLIOTTI, La separazione personale tra coniugi ed il divorzio, in Separazione e divorzio, Torino, 1995, 90; JANNARELLI, L’assegnazione della casa 37 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO sicale operata dal legislatore con l’introduzione del meno pregnante termine “godimento” è quanto mai inopportuna e pericolosa. Ed il dato appare ancor più emblematico se si tiene presente che sia la Corte Costituzionale con le sentenze nn.166/1998 e 394/2005 redatte entrambe dal Giudice Fernanda Contri -, e n. 454/198932, sia la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le sentenze nn. 2494/1982, 11297/1995, 11096/2002 (Giudice relatore di quest’ultima Gabriella Lucidi), nell’affrontare il tema della trascrivibilità dell’assegnazione della casa coniugale, hanno fondato le loro pronunce sul “diritto” del minore a mantenere l’habitat domestico in cui ha sempre vissuto, diritto che trova la propria fonte nel principio generale della responsabilità genitoriale di cui all’art. 30 della Costituzione e all’art. 147 c.c. il quale individua, quale primo obbligo genitoriale, quello di mantenimento della prole, il cui contenuto comprende in primis «il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, e segnatamente fra queste [...] la predisposizione e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita33. Pertanto, se l’obbligo di mantenimento si traduce anche nell’assicurare ai figli un’idonea dimora, intesa come luogo di formazione della loro personalità, la concreta attuazione dello stesso non può incontrare differenziazioni in ragione della natura del vincolo che lega i genitori»34. L’auspicio è pertanto che i Giudici, nell’interpretare ed applicare l’ambigua formulazione del 1° comma del nuovo art. 155 quater c.c., tenendo pregiudizialmente conto che il legislatore del 2006 non ha abolito e neppure modificato né l’art. 30 Cost. né gli art. AIAF RIVISTA 3/2006 147 e 261 c.c., e ricordando che ad ogni obbligo corrisponde un diritto, concludano che, in base ai principi generali del nostro ordinamento, la conservazione dell’habitat domestico è ancora un diritto della prole e non un mero criterio di valutazione. L’altro aspetto critico della disposizione in esame è il riferimento all’interesse dei figli tout court: il legislatore cioè non ha precisato se il criterio vale solo per i figli minori o se è esteso anche ai figli maggiorenni conviventi. La lacuna potrebbe dare adito ad interpretazioni restrittive, incoraggiate dalla considerazione che il legislatore del 2006 ha introdotto una macroscopica disparità di trattamento tra i figli minori e i figli maggiorenni per di più regolando il loro mantenimento in modo differenziato ed in articoli separati. Né, d’altra parte, tale pericolo può ritenersi superato dalla sentenza della Suprema Corte n. 18187/06, avendo la stessa -come sopra evidenziato- statuito in modo espresso con riferimento ad alcuni aspetti soltanto del problema. Ciò detto, a proposito del raffronto tra la vecchia e la nuova normativa, non si può non rilevare la contraddittorietà interna e la illegittimità costituzionale dell’art. 155 quater c.c. Dopo l’enunciazione del primo comma secondo cui «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli», in modo del tutto incoerente il secondo comma prevede che «il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio» senza fare più alcun riferimento all’interesse del minore, interesse che continua certamente ad essere quello di conservare il proprio habitat domestico indipendentemente dalle scelte del genitore con il quale convive ed, anzi, a maggior ragione, nel caso in cui, a seguito di tali scelte, egli familiare nella separazione personale dei coniugi, in Foro it., 1981, I, 1389. In giurisprudenza, è considerato diritto personale di godimento atipico da: Cass. S.U. 26.7.2002, n. 11096, in Foro it., 2003, I, 183; Cass. S.U. 21.7.2004, n. 13603, in Foro it., 2005, 443. 31 Sulla natura del diritto di assegnazione della casa familiare v., di recente, SCARANO, Coabitazione e casa familiare, in Giust. civ., suppl. al n. 12, 2005, 51-56 e TULLIO, L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio, in Fam. pers. succ., 2, 2005, 119-123. 32 Pronuncia, quest’ultima, che ha operato l’estensione alla separazione della trascrivibilità ex art. 1599 c.c. 33 Corte Cost. 13.5.1998, n. 166, in Cons. Stato, 1998, II, 736; ed in Giur. cost,. 1998, 1419. 34 Corte Cost. 12-21 ottobre 2005 n. 394, in D & G, 40,2005, con nota di DOSI. 38 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 debba adattarsi ad abitare con un nuovo genitore sociale che certamente non ha scelto e, forse, neppure voluto! Traspare, qui con maggior nitore che altrove, l’intento punitivo dei mariti separati associati nei confronti delle mogli “che si rifanno una vita”. Il terzo comma, inoltre, prevede che «nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici». Il combinato disposto di questi tre commi porta, nella pratica, a tali conseguenze: in caso di nuove nozze (o di convivenza), perso ipso iure il diritto di godimento sulla casa familiare ed avvenuto, di conseguenza, il cambio obbligato di residenza o di domicilio, l’ex coniuge (o l’ex convivente) è ulteriormente penalizzato dal diritto dell’altro genitore biologico di chiedere la riduzione dell’assegno di mantenimento nonchè la modifica delle modalità di affidamento35. È pertanto evidente come, con la nuova norma, venga penalizzata gravemente sia la posizione del genitore che si risposa o che inizia a convivere, sia quella del figlio a lui affidato o coaffidato e presso di lui collocato36 e, in prospettiva, si sanzioni la composizione di nuove famiglie, in evidente viola- LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO zione del diritto di libertà costituzionalmente garantito (art. 2) e, al contempo, si consenta al genitore non collocatario di violare il diritto della prole di conservare l’ambiente domestico, diritto parimenti garantito dalla Costituzione (art. 30). Anche la disposizione in esame suscita pertanto fondati dubbi di incostituzionalità37. Vi è un ulteriore profilo che non può essere preterito. Per molti anni la giurisprudenza si è occupata, con orientamenti contrastanti, della questione dell’assegnabilità della casa coniugale anche in assenza di prole. Alcune pronunce della Suprema Corte ritenevano che l’assegnazione della casa coniugale al coniuge economicamente più debole, anche in assenza di prole, potesse essere considerata legittima in quanto integrante uno «strumento per realizzare (in tutto o in parte) il diritto al mantenimento»38. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario, di legittimità e di merito39, aveva invece fatto proprio il principio nomofilattico fissato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con le sentenze n. 11297 del 28.10.199540 e n. 11096 del 26.7.200241, e ribadito dalla Corte Costituzionale con le sentenze del 27.7.1989 n. 45442 e del 6-13 maggio 1998 n. 16643. Nella parte motiva della prima pronuncia, la Corte Costituzionale afferma testualmente 35 Il tentativo di “salvare” la norma (cfr. COTTONE, Via libera all’affido condiviso, in Il sole 24 ore 25.1.2006) adducendo che il venir meno del diritto di godimento sulla casa non è automatico ma subordinato ad una richiesta al giudice in tal senso da parte dell’altro coniuge e ad una valutazione dell’interesse del minore a che l’assegnatario non abbandoni la casa coniugale, è priva di fondamento: testualmente l’articolo infatti commina “il venir meno del diritto al godimento della casa familiare” non subordinando tale estinzione, come invece esplicitamente fa il terzo comma, ad una richiesta giudiziale avanzata dall’altro coniuge. Negli stessi termini MAGLIETTA, op. loc. cit., secondo il quale «in caso di convivenza more uxorio dell’assegnatario della casa coniugale(…) nessuno chiederà al figlio di muoversi(…)per cui non sarà un problema se, al più, nella casa familiare un genitore prenderà il posto dell’altro». 36 Così anche DE FILIPPIS, op. cit., 123, M. PINI, Primi orientamenti nell’applicazione della legge 54/06, in AIAF,Rivista dell’associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori,2006, 1, 61. 37 Ho già sollevato tale rilievo critico in SCACCHETTI, L’assetto giuridico della famiglia ricomposta alla luce della nuova legge sull’affido condiviso, in Giur.mer.,Speciale riforma dir. fam., 2006,63. In senso conforme cfr. SESTA, op.cit., 387. 38 Cass. 11.4.2000 n. 4558, in Giust. civ. Mass., 2000, 776, nello stesso senso Cass. 7.7.1997 n. 6106, in Fam. dir.,1998, 161 con nota di CORTESI. 39 Cfr. ex pluribus Cass. Civ. 30.8.1995 n. 9163 in Giur. It., 1996, I, 1, con nota di FREZZA; Cass. Civ. 28.1.1998, n. 822 in Fam. e Dir, 1998, 125, con nota di DE MARZO; Cass. Civ. 15.1.1999 n. 376 in Fam. e Dir.1999, 5, 458 con nota di FRANCOLINI; Cass. Civ. 12.1.2000 n. 266 in Giust. Civ. Mass., 2000, 46; Cass. Civ. 18.9.2001 n. 11696 in Giust. Civ. Mass. 2001, 1672; Cass. Civ. 6.7.2004 n,. 12309 in Giust. Civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. Civ. 13.2.2006 n. 3030 in www.affidocondiviso.it 40 In Fam. e Dir., 1995, 6, 521. 41 In Fam. e Dir., 2002, 461, con nota di CARBONE. 42 In Dir. Eccl., 1989, II, 490. 43 In Giur. Cost., 1998, II, 736. 39 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO «Il titolo ad abitare per il coniuge è infatti strumentale alla conservazione della comunità domestica e giustificato esclusivamente dall’interesse morale e materiale della prole affidatagli». Con la seconda pronuncia, la Corte Costituzionale, nel dichiarare applicabile l’art. 155 c.c. anche alle fattispecie di filiazione naturale, afferma che «La tutela dell’interesse della prole rappresenta infatti la ratio in forza della quale il legislatore, prevedendo la disciplina circa l’assegnazione della casa familiare in sede di separazione dei coniugi, ha introdotto il criterio preferenziale, ancorché non assoluto, indicato dal quarto comma dell’art. 155 del codice civile…», derivando da tale assunto inevitabilmente che, per disporre l’assegnazione, non esiste altro parametro di riferimento se non la sola tutela della prole. Tale principio è oggi norma con la conseguenza che la sua applicazione non è più rimessa alla discrezionalità del Giudice. L’art. 155 quater, 1° comma, c.c., introdotto dalla L. 54/2006, innovando radicalmente la regolamentazione dell’istituto, dispone infatti che «Il godimento della casa è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori […]». Pare perciò evidente che, in base al nuovo impianto normativo, l’assegnazione della casa coniugale possa essere disposta dal Giudice soltanto in presenza di figli minori e/o di figli maggiorenni non autonomi e conviventi con uno dei genitori. Nel caso contrario, infatti, il legislatore del 2006 avrebbe fatto scelte lessicali e sistematiche ben diverse, parlando di coniugi e non già di meri genitori ed estendendo il criterio quantificativo del godimento della casa AIAF RIVISTA 3/2006 coniugale non solo al contributo al mantenimento dei figli ma anche a quello del coniuge debole44. Dalle opzioni operate traspare con chiarezza che la riforma si è fatta ampiamente carico delle richieste dei “mariti separati” eliminando ex lege, seppure con un obiter dictum, la possibilità di assegnare il godimento della casa familiare al coniuge (cioè, in base all’id quod plerumque accidit, alla moglie) più debole ma non affidataria della prole La norma prevede espressamente che il provvedimento di assegnazione (così come quello di revoca) siano trascrivibili ed opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c. L’opponibilità dipende quindi dalla avvenuta trascrizione. È un passo indietro rispetto alla tutela che era già stata assicurata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, le quali, con la sentenza n. 11096/2002, avevano garantito l’opponibilità ai terzi dell’assegnazione ai sensi dell’art. 1599 c.c., con la conseguenza che anche le assegnazioni non trascritte erano opponibili ai terzi seppure nei limiti di un novennio dall’assegnazione stessa45. Ma vi è di più. L’esperienza quotidiana dimostra come i padri separandi (e non già separati), appena maturano la scelta separativa (o appena percepiscono che tale scelta sta maturando la moglie) mettono al sicuro la casa coniugale di loro proprietà con contratti di comodato o di locazione46 simulati, fittizie vendite a terzi, conferimenti nelle società immobiliari, magari della loro stessa famiglia d’origine, improvvise divisioni in due unità abitative attraverso repentine alzate di muri, chiusure e/o aperture in muratura di vani porte e, addirittura, del vano ascensore47. È allora necessario che per il diritto del minore alla conservazione dell’ambiente 44 Il senso della riforma è stato puntualmente colto dai suoi primi commentatori: cfr. FREZZA, La casa (già) familiare, in Dir. Fam. Pers., 2, 2006, 718 ss. e DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova 2006, 72 ss. e nota 98. 45 Negli stessi termini: DE FILIPPIS, op. cit., 127 secondo il quale «la posizione dell’assegnatario, sotto questo profilo,è meno tutelata». 46 Vedi il caso sottoposto alla cognizione della Corte d’Appello di Bologna e deciso con decreto 12-17.5.06 in www.giuraemilia.it. 47 Emblematico è il caso dedotto nel procedimento possessorio n. 2465 /06 R.G., deciso dal Tribunale di Modena con decreto 17-18. 04.2006: il marito, proprietario esclusivo della casa familiare collocata sui quattro piani di una palazzina, ante causam di separazione ha dapprima locato ad un terzo gli ultimi due piani della casa, dopo 10 giorni ha impedito alla moglie l’accesso a detti piani bloccando l’ascensore interno che li univa alla restante parte dell’abitazione e, “per stare nel sicuro”, dopo 21 giorni, li ha venduti alla società immobiliare di famiglia! 40 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 domestico (diritto previsto e tutelato dall’art. 30 della Costituzione e dagli art.li 147 e 261 c.c.) vengano apprestati adeguati mezzi preventivi di tutela quali, ad esempio, la trascrivibilità non solo del provvedimento Presidenziale di assegnazione ex art. 708 c.p.c., ma anche del ricorso per separazione giudiziale contenente la domanda di assegnazione (trascrivibilità già riconosciuta dalla giurisprudenza di merito) la concedibilità del sequestro conservativo della casa familiare ed un’azione revocatoria ad hoc per gli atti dolosi di disposizione, sia a titolo gratuito che a titolo oneroso, della casa coniugale in vista di una futura separazione (o interruzione della convivenza). A favore della trascrivibilità del ricorso per separazione personale contenente, tra l’altro, domanda di assegnazione della casa coniugale, si sono espresse alcune Corti di merito48 ritenendo che «il riferimento fatto, negli artt. 2652 e 2653 c.c., agli atti soggetti a trascrizione di cui all’art. 2643 c.c., deve essere inteso non alla lettera, ma in via di interpretazione sistematica, tenuto presente che la ragione della norma che impone la trascrizione della domanda giudiziale, è costituita dall’esigenza di evitare possibili elusioni della tutela nelle more del giudizio»49. Tuttavia la trascrivibilità di tale domanda rischia di essere un rimedio esperito quando ormai è troppo tardi, sia perché essa presuppone la notifica del ricorso, sia perché, comunque, in base all’id quod plerumque accidit, gli atti di disposizione dolosa e fraudolenta della casa coniugale vengono posti in essere prima della notifica del ricorso. A fronte del diffondersi di simili prassi - volte non solo a sottrarre la casa coniugale sia al genitore affidatario o collocatario sia alla prole, ma, ancor peggio, a privare di fatto il Presidente prima ed il G.I. poi del diritto/dovere di assegnare la casa coniugale «tenendo prioritariamente conto dell’interes- LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO se dei figli»- è urgente individuare strumenti giuridici di tutela preventiva ed efficace. In un caso, che rischia di diventare un classico, in cui il marito, il giorno antecedente la proposizione del ricorso per separazione personale, aveva ceduto la casa familiare alla moglie dell’avvocato che lo assisteva, il Tribunale di Milano giustamente ha giudicato «ammissibile l’azione revocatoria proposta dalla moglie, anche per conto del figlio minore, nei confronti del marito il quale abbia venduto la casa coniugale ad un terzo ritenendo che il primo abbia recato pregiudizio sia al diritto al mantenimento nascente dal matrimonio sia al diritto di credito da determinare in sede di separazione». In particolare il Giudice ambrosiano ha reputato che al momento della vendita sussistessero da parte del marito e del terzo sia il “consilium fraudis”, relativo all’attuale diritto al mantenimento, sia la dolosa preordinazione, relativa al futuro diritto di credito nascente dalla separazione50. De iure condendo interessante è anche una pronuncia del Tribunale di Modena51, che ha riconosciuto a ciascun coniuge, anche in assenza di una sentenza di separazione passata in giudicato e, addirittura, ancor prima della pronuncia dei provvedimenti presidenziali, la possibilità di domandare il sequestro giudiziario dei beni della comunione ove tale domanda sia preordinata ad anticipare gli effetti di un futuro giudizio di accertamento della consistenza della comunione. Tale decisione si è inserita nel dibattito relativo all’ammissibilità del sequestro giudiziario in vista di una futura azione di mero accertamento. A questo proposito si sono registrate due opinioni contrastanti: da un lato si è sostenuto che il sequestro giudiziario è strumentale rispetto ad una pronuncia di merito che miri al conseguimento del possesso dei beni per cui si chiede la misura cautelare e che per- 48 Trib. Milano, 26.4.1997, in Dir. Fam. pers, 1999, 669 con nota di FRACCON; Trib. Venezia, 20.7.1993, in Giust. Civ.,1994, I, 262. 49 Trib. Milano 27.4.1997, cit. 50 Trib. Milano, 22.7.1993, in Gius., 1993, fasc. 5, 98. 51 Trib. Modena, Sez. I civ., decreto 7.5.2005, estensore Dott. Pagliani, in D & G, 2005, 31, 24 ss., con nota di PILLA, ed in D & G, 2005, 44, 30 ss. con nota di MISSIAGGIA. 41 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO tanto, lo stesso non può essere concesso in relazione ad una domanda di mero accertamento52; dall’altro il Tribunale di Modena, aderendo all’opinione espressa dalla Corte di Cassazione (sebbene in merito al sequestro conservativo)53, ha ritenuto ammissibile un provvedimento cautelare ante causam volto ad assicurare gli effetti di una domanda di mero accertamento e non già di condanna. La pronuncia del Giudice modenese erode il principio della non concedibilità della tutela cautelare dei diritti di un coniuge in vista della divisione dei beni comuni consentendo il sequestro dei beni che ne fanno parte anche prima della separazione purché sussistano i requisiti per l’adozione della misura cautelare (periculum in mora e consilium fraudis). Il precedente giurisprudenziale potrebbe aprire la via per la concedibilità del provvedimento cautelare a favore del coniuge in regime di comunione dei beni qualora vi sia il concreto pericolo di sottrazione della casa familiare caduta in comunione. Quid juris se, nel momento della crisi coniugale, uno dei coniugi compia attività fraudolente dirette a privare l’altro coniuge della casa familiare di sua esclusiva proprietà? È ammissibile il sequestro (questa volta) conservativo del bene immobile nelle more del giudizio di separazione o ante causam? L’art. 671 c.p.c. consente al creditore che ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito di domandare il sequestro conservativo di beni immobili e mobili del debitore o delle somme o cose a lui dovute. Poiché si ammette «la concessione del sequestro conservativo anche a garanzia di un credito non ancora scaduto o sottoposto a AIAF RIVISTA 3/2006 condizione, posto che l’esigenza cautelare in tal caso può presentarsi con carattere di maggiore urgenza per l’impossibilità di escutere immediatamente il debitore»54, qualora la posizione del coniuge in attesa di separazione venisse configurata come una aspettativa giuridica o legittima meritevole di tutela secondo l’ordinamento, si potrebbe riconoscere l’esperibilità degli ordinari strumenti di tutela cautelare. D’altra parte il diritto romano, radice dell’esperienza giuridica italiana e, più in generale, continentale, diritto al quale risale la regola tuttora vigente della non punibilità dei delitti contro il patrimonio commessi da un coniuge ai danni dell’altro, a partire dalla metà dell’ultimo secolo della Repubblica, a fronte del dilagare dei divorzi e del correlato proporzionale aumento dei casi di sottrazione divortii causa, creò, ad opera della giurisprudenza e del pretore, un apposito sistema di mezzi di repressione di tali illeciti, quali la retentio propter res amotas55 e, ancor più, l’actio rerum amotarum, per il recupero delle cose - o del valore delle cose - sottratte in vista del divorzio dalla moglie al marito56. E se a tali rimedi - scomparsi nel corso dei secoli - l’ordinamento giuridico romano era giunto oltre 2000 anni fa, non si comprende perché l’odierno legislatore, dagli stessi, non tragga alcun insegnamento e slancio ripropositivo. * Professore associato all’Università di Modena e Reggio Emilia, Avvocato 52 Trib. Potenza, 2.8.1995, in Gius., 1996, 3373. 53 Cass.18.4.1995, n. 4333 in Giust. civ. Mass., 1995, 845. 54 Cass. 18.4.1995, n. 4333, cit. 55 Strumento approntato dalla giurisprudenza e che, in caso di scioglimento del matrimonio per divorzio, o per morte del marito, o per morte della moglie, consentiva al marito, o ai suoi eredi, al momento della restituzione della dote alla moglie, o ai di lei eredi, di operare delle ritenzioni di carattere patrimoniale per un valore corrispondente a quello dei beni sottratti dalla donna al consorte pendente matrimonio. 56 Con tale azione, già dalla tarda Repubblica o dagli inizi del principato, al marito era concessa dal pretore la possibilità di agire, una volta scioltosi il matrimonio, contro la ex moglie per recuperare il semplice valore dei beni da questa sottrattigli in costanza di matrimonio. Se, dopo il divorzio, il marito fosse deceduto senza aver esperito l’azione, questa si sarebbe trasmessa agli eredi. Se invece il matrimonio si fosse sciolto per morte del marito e gli eredi avessero inteso recuperare presso la vedova beni che sostenevano essere stati dalla medesima sottratti, a questi ultimi, a partire dagli inizi del II sec. d.C., era concessa l’azione di petizione dell’eredità. Forse già in diritto classico fu poi concessa anche alla ex moglie l’esperibilità dell’actio rerum amotarum nei confronti del marito. Su tali istituti vedi amplius SCACCHETTI, La presunzione Muciana, Milano, 2002, 340 ss. 42 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 I l primo anno di applicazione della legge 8.2.2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso) ha visto l’affermarsi di un orientamento della giurisprudenza di merito nel prevalente segno della continuità con il pregresso orientamento della Cassazione su numerose questioni relative all’espletamento della funzione genitoriale e al mantenimento dei figli, che si era consolidato nel corso degli anni. Sopite le manifestazioni di piazza e le più estreme rivendicazioni del movimento dei padri separati, che avevano fatto temere un rilevante aumento del contenzioso giudiziario anche in sede di modifica di pregressi accordi tra le parti, si è viceversa registrato quasi un effetto placebo della legge 54/06 su tali accese posizioni. I non allarmanti dati di aumento dei procedimenti di separazione, divorzio e relative modifiche, che rientrano nella fisiologia del fenomeno, consentono di affermare che l’affidamento condiviso introdotto dalla l. 54/06 ha avuto, in generale e sotto il profilo culturale, il positivo effetto di rassicurare i padri circa il mantenimento delle loro funzioni genitoriali al momento della separazione o del divorzio, e di sollecitare i genitori separati ad una effettiva collaborazione nell’interesse dei figli. In sede di applicazione, la legge 54/06 ha peraltro evidenziato le lacune di un testo legislativo che era stato molto criticato nella lunga fase che ne aveva preceduto la raffazzonata approvazione in periodo preelettorale. Dall’esame delle pronunce dei giudici di merito emesse in questo primo anno di applicazione, si possono enucleare alcune questioni su cui già si è registrato un orientamento pressoché unanime, e altre in merito alle quali sono emerse posizioni contrastanti1. L’AFFIDAMENTO CONDIVISO a definizione di affidamento condiviso e la sua pratica applicazione sono le due questioni principali su cui si è incentrata l’elaborazione giurisprudenziale della L 1 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO l. 54/06, nel cui testo non si rinviene una precisa definizione dell’affidamento condiviso, né di quello esclusivo, e non si fa più menzione dell’affidamento congiunto e dell’affidamento alternato che erano previsti dall’art. 6, co. 2, l. 1.12.1970 n. 898. Nel testo di legge non viene neppure indicato come debba essere regolamentato l’affidamento condiviso, se e dove collocare i figli. La giurisprudenza di merito, con voce unanime, ha interpretato il novellato art. 155 c.c. che riconosce al figlio minore il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e conti- LEGGE 54/06. L’ORIENTAMENTO DELLA GIURISPRUDENZA NEL PRIMO ANNO DI APPLICAZIONE nuativo con ciascun genitore, e di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi sostenendo che per realizzare detta esigenza il giudice deve adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa, valutando prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori, salva la possibilità, in deroga a tale principio, di disporre l’affidamento esclusivo, e pertanto alla luce della nuova normativa (nell’interesse dei minori, e non già nel- MILENA PINI* Le pronunce dei giudici di merito sull’affidamento condiviso richiamate in questo articolo sono pubblicate per esteso sui siti www.minoriefamiglia.it dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, e www.affidamentocondiviso.it 43 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO l’interesse del genitore) la regola è l’affidamento condiviso, mentre l’eccezione (giustificata da validi e comprovati motivi) è l’affidamento esclusivo (v. Trib. Catania, ord. 24 aprile 2006, Pres. E rel. Escher, B.c.V.; Trib. Bologna, sent. 10 aprile 2006, n. 800). Unanime è l’orientamento secondo cui l’affidamento condiviso comporta, con l’esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori, una comune responsabilizzazione della coppia genitoriale2 e una condivisione delle decisioni di maggiore importanza. La giurisprudenza prevalente ritiene quindi che l’affidamento condiviso non determina una automatica parificazione di modalità e tempi di svolgimento del rapporto tra i figli e ciascuno dei genitori, bensì comporta l’esercizio della potestà genitoriale da parte di entrambi e l’impegno a concordare e attuare un progetto per l’educazione, la formazione, la cura e la gestione della prole, nel rispetto delle esigenze e delle richieste dei minori (Trib. Bologna, sent. 10 aprile 2006)3. Assolutamente minoritaria è la posizione che identifica l’istituto con il diritto ad una paritaria distribuzione di tempi e modalità di permanenza del figlio presso ciascun genito- AIAF RIVISTA 3/2006 re (v. Trib. Chieti, ord. 28 giugno 2006, G.I. Medica, D.F. c. C., con la quale si è disposto che il minore di tre anni trascorra con la madre i giorni di lunedì e martedì e con il padre, che abita a circa 6 km. di distanza, il mercoledì ed il giovedì, pernottando nei giorni sopra indicati presso il genitore a cui è affidato, i fine settimana alternati dal sabato mattina al lunedì mattina, trascorrendo sempre il venerdì con il genitore a cui non spetta il fine settimana; Trib. Catania, sent. 12 luglio 2006, che ha suddiviso il tempo della figlia minore i primi tre giorni con la madre e gli altri tre con il padre e le domeniche alternate). Prevale dunque la tesi secondo la quale l’affidamento condiviso non si esplica nella forma dell’affidamento alternato, in quanto la convivenza alternata dei figli con i genitori (ad esempio a giorni o settimane alterne) può comportare problemi anche pratici tali da rendere la modalità non rispondente all’interesse dei figli (App. Bologna, decreto 17 maggio 2006, est. De Meo)4. Sulla ripartizione dei “tempi della presenza” del figlio presso l’uno e l’altro genitore5, emergono due orientamenti, tendente l’uno a 2 M. DELL’UTRI, L’affidamento condiviso. L’applicazione giurisprudenziale delle tutele sostanziali. Linee di una rassegna ‘ragionata’ (relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale, sul tema “L’affidamento condiviso”, Roma, 15-17 gennaio 2007, da www.csm.it/incontri): “Dalla scelta adottata dal legislatore emerge l’idea della ‘condivisione’ come regime di ‘responsabilizzazione’ dei genitori, nei confronti della prole minorenne, in relazione al quale deve ritenersi imprescindibile l’aspirazione ad una ‘convergente’, e pertanto ‘condivisa’ volontà dei genitori e degli stessi figli (là dove capaci di esprimere consapevolmente il proprio originale punto di osservazione) sui modi e le forme di organizzazione della propria vita per il tempo futuro.” 3 R. RUSSO, giudice del Tribunale di Messina, L’affidamento condiviso. Applicazione giurisprudenziale delle tutele sostanziali (relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale, sul tema “L’affidamento condiviso”, Roma, 15-17 gennaio 2007, da www.csm.it/incontri): “In tal senso la prassi, ad esempio del Tribunale di Messina: sebbene affidamento ad entrambi possa in qualche caso significare anche dual-residence, in casi particolarmente favorevoli, di norma al giudice spetta stabilire la residenza privilegiata del minore, provvedimento al quale segue quello sulla assegnazione delle casa coniugale e stabilire i tempi di permanenza del minore presso l’altro genitore, che tuttavia non ripetono lo schema del c.d. diritto di visita, ma fungono da cornice minima all’interno della quale si dà ampio spazio agli accordi tra i genitori ed anche alla stessa volontà del minore se in età da discernimento. È sempre prassi del Tribunale di Messina che almeno su questo punto (domiciliazione del minore e tempi di permanenza) si solleciti sin dalla fase presidenziale il raggiungimento un accordo anche parziale tra i genitori, che non di rado viene raggiunto con certa serenità, se nella consapevolezza delle parti che sarà recepito ma anche sottoposto a verifica nel corso del giudizio ed eventualmente modificato. Di solito nel provvedimento si aggiunge la clausola che “le modalità del provvedimento possono essere modificate per accordo tra i coniugi anche su richiesta dei figli e tenendo conto delle loro esigenze, purché nel complessivo rispetto dei periodi di tempo riservati al rapporto tra il genitore non domiciliatario ed i figli minori.” 4 Trib. Messina, 18 luglio 2006 : “Il minore necessita di un riferimento abitativo stabile e di una organizzazione domestica coerente con le sue necessità di studi e di normale vita sociale: da qui la necessità di una collocazione privilegiata e di una regola organizzativa anche sui tempi da trascorrere con il genitore non domiciliatario. Si tratta, però, per l’appunto di una regola organizzativa e non limitativa (ovvero esaustiva) dei diritti e doveri del genitore che restano improntati alla regola della parità dei ruoli e che vengono esercitati non solo attraverso i tempi di frequentazione, ma anche con la facoltà di interloquire costantemente con l’altro genitore sulle vicende che riguardano i figli, con l’adozione concordata delle scelte di maggiore interesse, con l’assunzione di compiti di cura, educazione ed istruzione dei figli da parte di entrambi, nonché con l’assunzione, da parte di entrambi, di un reciproco dovere di informazione sulle questioni che riguardano la prole, molto più incisivo, per evidenti ragioni connesse alla diversità di dimora, di quello proprio dei genitori conviventi” 5 M. DELL’UTRI, L’affidamento condiviso, cit.: “L’espressione che allude ai ‘tempi della presenza’ del figlio presso ciascun genitore vale a 44 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 regolamentare dettagliatamente la frequentazione del figlio con il genitore non collocatario (App. Trento ord. 24 agosto 2006; Trib. Catania ord. 21 aprile 2006), l’altro a lasciare ai genitori un ampio spazio di regolamentazione, quando non si registri tra loro una accesa conflittualità6. In Lombardia, secondo la ricerca effettuata dall’AIAF presso i tribunali delle due sedi distrettuali, in sede di emissione di provvedimenti presidenziali nei procedimenti contenziosi di separazione e divorzio risulta prevalere l’affidamento ad entrambi i genitori se vi è domanda da parte di entrambi e non sussistono comportamenti del genitore o fatti che possano far ritenere tale provvedimento contrario all’interesse del minore; è di prassi anche il collocamento permanente presso un genitore e la regolamentazione di un’ampia frequentazione tra il minore e il genitore non collocatario. LA RILEVANZA DELLA CONFLITTUALITÀ AI FINI DELL’AFFIDAMENTO eventuale conflittualità esistente tra i genitori non è più motivo di per sé sufficiente ad escludere l’affidamento condiviso, in quanto, si è affermato, diversamente avrebbe solo un applicazione residuale, e ciò anche considerato che l’uno dei coniugi potrebbe strumentalmente innescare in via unilaterale i conflitti al fine di orientare il giudice verso un affidamento esclusivo (Trib. Catania, ord. 18 maggio 2006; Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano; App. Bologna, decreto 17 maggio 2006, est. De Meo)7. Semmai l’ostinata ricerca del conflitto con L’ LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO l’altro genitore può comportare ai sensi del nuovo art. 155-bis c.c. una modifica dell’affidamento. Nell’ipotesi di conflittualità, si rileva un orientamento prevalente dei tribunali della Lombardia nel consigliare ai genitori di rivolgersi ad un centro di mediazione familiare, e spesso, nei casi più gravi, si dispone una consulenza tecnica d’ufficio o una verifica della situazione da parte dei servizi psicosociali territorialmente competenti, sulla situazione familiare e le capacità genitoriali. Peraltro anche nelle conclusioni delle relazioni peritali si rileva una netta inversione di tendenza rispetto all’orientamento precedente alla riforma, in quanto mentre prima, in presenza di conflittualità tra i genitori, si prendeva netta posizione contro l’affidamento congiunto, ora si propone in analoghe situazioni l’affidamento condiviso. In tal caso i CTU consigliano un sostegno psicologico a uno o a entrambi i genitori, o la mediazione familiare se ve ne sono i presupposti. L’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO affidamento esclusivo, secondo l’orientamento che prevale, può essere adottato solo in via di eccezione, in presenza, secondo il disposto dell’art. 155-bis c.c, del manifestarsi di concrete ragioni che ritengano l’affidamento condiviso contrario all’interesse del minore, quali in via esemplificativa, la obiettiva lontananza del genitore, il suo stato di salute psichica, l’insanabile contrasto con i figli, la sua anomala condotta di vita, ad esempio se detenuto o altro (Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano), ovvero il disinteresse e la mancanza di L’ confermare, sotto una diversa e concorrente prospettiva, la scomparsa dell’idea di una possibile ‘gerarchia’ dei ruoli genitoriali, che l’impropria e mortificante nozione del ‘diritto di visita’ aveva finito per nascondere ed implicare in modo surrettizio. 6 M. DELL’UTRI, L’affidamento condiviso, cit.: “Una prima osservazione induce ad interrogarsi sull’effettiva opportunità, o financo la necessità, che il giudice provveda, sempre e comunque, a dettare una specifica o minuta regolamentazione dei tempi della presenza del minore presso i genitori, o se non sia vice-versa raccomandabile lasciare uno spazio adeguatamente fruibile dalle parti nel quadro di una più flessibile gestione degli impegni educativi o dei tempi dello svago.” 7 Trib. Catania, ord. 18 maggio 2006 : “in tema di affidamento dei figli minori, alla luce della ratio legis sottesa alla novella, la sussistenza di una notevole conflittualità tra i coniugi, di per sé, non è ostativa all’affidamento condiviso; ne consegue che l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori può essere disposto soltanto in presenza di elementi che travalicano i limiti dell’ordinaria conflittualità, in presenza dei quali l’affidamento condiviso risulterebbe contrario all’interesse morale e materiale del minore”. App. Bologna, decreto 17 maggio 2006: “in tema di affidamento della prole, la scelta operata dal legislatore a favore dell’affidamento condiviso non consente di ritenere la conflittualità tra i genitori elemento sufficiente, di per sé solo, a disporre l’affidamento esclusivo; l’inevitabile, e, in certa misura, fisiologica diversità di scelte educative tra i genitori è connaturata all’affidamento condiviso e, di per sé, non consente di superare la scelta della soluzione preferenziale adottata dal legislatore”. 45 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO richiesta da parte del genitore (Trib. Catania, ord. 5 giugno 2006, Pres. ed est. Maiorana, P. c. C.). L’affidamento esclusivo può essere adottato anche qualora sia concordato tra le parti, poiché ai sensi dell’art. 155 c.c il giudice “prende atto, se non contrari all’interesse dei figli degli accordi intervenuti tra i genitori”, e pertanto la norma va letta sganciandola dal successivo art.155 bis c.c. secondo cui deve valutarsi se il mancato affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore (Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano). La giurisprudenza è pressoché unanime nel rispettare l’autonomia dei coniugi nella regolamentazione dei loro rapporti, anche genitoriali, fatto salvo il potere d’ufficio di verifica degli accordi che riguardano i figli minori, e di rifiuto dell’omologa del verbale di separazione consensuale laddove risultino palesemente contrari al loro interesse. Contrari a questo orientamento risultano i provvedimenti assunti dal Tribunale di Bologna (sent. 9-22 maggio 2006), dal Tribunale per i Minorenni di Trento (23 maggio 2006) e, costantemente, dal Tribunale di Como, che hanno disatteso l’accordo raggiunto dai genitori in ordine all’affidamento esclusivo del figlio ad un solo genitore, ed hanno imposto autoritativamente l’affidamento condiviso. LA POTESTÀ GENITORIALE i sensi del novellato art. 155, co. 3, c.c. la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori, che devono assumere di comune accordo le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute degli stessi, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Poiché la legge 54/06 consente però un esercizio separato o disgiunto (che secondo alcuni è da intendersi come esclusivo) della potestà A 8 AIAF RIVISTA 3/2006 su questioni di ordinaria amministrazione, sono emersi sul punto diverse interpretazioni. Secondo alcuni giudici l’esercizio della potestà sulle questioni di ordinaria amministrazione deve essere attribuito in via esclusiva al genitore affidatario in caso di affidamento esclusivo (Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano; in senso contrario Trib. Min. Trento, decreto 11 aprile 2006, Pres. ed est. SPINA, B.K. c. V.D., secondo cui l’esercizio della potestà spetta ad entrambi i genitori anche nel caso di affidamento esclusivo). Altri hanno disposto, nell’ambito dell’affidamento condiviso, che ciascun genitore eserciti in maniera separata ed esclusiva la potestà genitoriale limitatamente alle questioni di ordinaria amministrazione durante il tempo in cui il minore resterà presso lo stesso (Trib. Min. Bologna, decreto 26 aprile 2006, Pres. ed est. Magagnoli, G. c. G.; Trib. Bari, ord. 11 luglio 2006, D. c. F.; Trib. Catania, ord. 24 aprile 2006, Pres. e Rel. Escher, B. c. V.; App. Trento, ord. 15 giugno 2006)8. Si è anche disposto l’esercizio disgiunto della potestà genitoriale per le questioni di ordinaria amministrazione da parte del genitore che di volta in volta sia materialmente preposto alla cura della minore, in ragione di una elevata conflittualità tra i genitori (App. Trento, ord. 15 giugno 2006, Pres. Chimenz; Rel. Santaniello, R. c. J.B.), e si è sottolineato che la gestione condivisa dei figli non può significare immediata e capillare assunzione di decisioni unanimi in ordine alla quotidianità (App. Trento, ord. 24 agosto 2006, Pres. Nuzzi, est. Santaniello, B.R. c. B.M.G.) La prassi più seguita nel caso di affidamento esclusivo ad un genitore sembra quella che, ferma restando la titolarità della potestà ad entrambi i genitori, attribuisce l’esercizio della potestà sulle questioni di ordinaria amministrazione al solo genitore affidatario, Nello stesso senso Trib. Messina; v. R. RUSSO, L’affidamento condiviso, cit. “Nella prassi del Tribunale di Messina, l’esercizio separato della potestà viene evidenziato sin dai provvedimenti provvisori con la formula “i genitori possono esercitare la potestà separatamente per le decisioni di ordinaria amministrazione in relazione ai rispettivi tempi di permanenza del minore presso di loro; le decisioni di maggiore interesse vanno adottate di comune accordo ed i coniugi devono reciprocamente e regolarmente informarsi sulle questioni significative relative al figlio.”. Altra possibilità è quella di ripartire le materie di competenza di ciascun genitore (sempre di ordinaria amministrazione) ma in questo modo si rischia di attribuire in realtà non già un esercizio separato di potestà – che diventa più o meno effettivo secondo i tempi di permanenza- ma esclusivo per materia.” 46 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 e dispone che le decisioni di maggiore interesse relative all’istruzione, educazione e salute dei figli siano assunte di comune accordo dai genitori (App. Napoli, decreto 22 marzo 2006). Orientamento già pacifico nel periodo precedente alla riforma introdotta dalla legge 54/06. Queste pronunce evidenziano la difficoltà di trovare nel testo della legge 54/06 una soluzione all’incapacità dei genitori separati di dialogare e collaborare, che non può certo essere superata con l’affidamento condiviso, se inteso solo come dichiarazione di principio. Lo strumento della mediazione familiare dovrebbe perciò essere maggiormente consigliato dai giudici ed utilizzato dai genitori. L’APPLICAZIONE DELL’ART. 709 TER C.C. n caso di controversia circa le modalità dell’affidamento o l’esercizio della potestà, o le “decisioni di maggiore interesse” per i figli, la l. 54/06 ha introdotto con l’art. 709 ter c.c. la possibilità di proporre un ricorso al giudice (istruttore) avanti al quale pende il procedimento di separazione o divorzio, o, se il procedimento si è già concluso, avanti il tribunale (trattasi di procedimento camerale) ove il minore risiede. I provvedimenti ex art. 709 ter c.c. sinora emessi e noti sono scarsi. Nel caso di inadempimento di un padre al dovere di mantenere un rapporto costante e continuativo con i figli e all’obbligo di corrispondere il contributo al mantenimento della prole, questi è stato “ammonito” e “richiamato” all’adempimento dei propri obblighi sanciti dal provvedimento presidenziale, e condannato al pagamento di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, con avvertimento che in caso di protrazione dell’inottemperanza e di specifica prova dei danni, si sarebbe provveduto al risarcimento patrimoniale a suo carico (Trib. Modena, ord. 7 aprile 2006). In altro caso si è “invitato” il genitore (che frapponeva ostacoli alla frequentazione del figlio con l’altro genitore) ad astenersi da tale condotta pregiudizievole per il figlio, con l’avvertimento che il perdurare di tale comportamento potrà comportare l’adozione I LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO dei provvedimenti di cui all’art. 709 ter c.p.c. (Trib. Catania, ord. 11 luglio 2006; G.I. Murana, F. c. T.). LE MODALITÀ DI CORRESPONSIONE DEL MANTENIMENTO PER I FIGLI MINORI a Cassazione, nella prima pronuncia in materia di affidamento a entrambi i genitori, ha affermato con chiarezza che il contributo al mantenimento del figlio è disposto nel suo esclusivo interesse e attiene alla qualità della vita dello stesso, e pertanto non ha una valenza patrimoniale. Ove disposto, ha precisato la Suprema Corte, non può comportare necessariamente, in ordine al mantenimento dei figli, un pari obbligo patrimoniale a carico dei genitori, nel senso che dall’affidamento congiunto debba discendere l’obbligo per ciascun coniuge di provvedere in via diretta al mantenimento dei figli. Tale tipo di valutazione non può assolutamente essere consentita, sostiene la Cassazione, qualora si tenga conto che l’affidamento congiunto attiene all’interesse del minore dal punto di vista del suo sviluppo, del suo equilibrio psico- fisico, anche in considerazione di situazioni socio- ambientali, del perpetuarsi dello schema educativo già sperimentato durante il matrimonio, mentre la corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli ha natura patrimonialeassistenziale (cd assistenza materiale), ed è finalizzata a sostenere le spese necessarie per consentire le attività dirette a detto sviluppo psico-fisico del minore (senza esclusione del relativo obbligo in caso di raggiungimento della maggiore età da parte dei figli, ove detto assegno si renda comunque necessario fino al raggiungimento dell’autonomia economica). È pertanto censurabile la decisione che erroneamente fa derivare, come conseguenza automatica, dall’affidamento congiunto il principio che ciascun genitore provvede in modo diretto ed autonomo alle esigenze dei figli, in quanto “l’affidamento congiunto non può certo far venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire con la corresponsione di un assegno al mantenimento dei figli in relazione alle loro esigen- L 47 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO ze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza” (Cass., sez. I civile, sentenza 18.08.2006, n° 18187). La pronuncia della Suprema Corte contraddice l’orientamento – minoritario - della giurisprudenza di merito che aveva dato interpretazione all’art. 155 comma 4 c.c. (“il giudice stabilisce ove necessario la corresponsione dell’assegno”) in senso letterale e restrittivo, prevedendo un assegno all’altro genitore, collocatario, solo nel caso in cui la corresponsione diretta non copriva interamente il budget a carico del genitore non collocatario (Trib. Catania sentenza 12 luglio 2006; Trib. Catania, ord. 24 aprile 2006). Dalla ricerca dell’AIAF presso i tribunali della Lombardia è emerso che nessun tribunale dispone d’ufficio il mantenimento in forma diretta, e viene di regola disposto un contributo al mantenimento del figlio, minore o maggiorenne non autonomo, mediante corresponsione di un assegno mensile posto a carico del genitore non convivente con il figlio, e la suddivisione al 50% delle spese scolastiche, di salute, ricreative e sportive, fatto salvo ogni diverso accordo tra i genitori, nei limiti di legge. IL MANTENIMENTO DEL FIGLIO MAGGIORENNE NON AUTONOMO art. 155-quinquies c.c. che prevede la possibilità per il giudice, in sede di separazione o divorzio, di riconoscere ai figli maggiorenni “non indipendenti economicamente” un assegno di mantenimento periodico, che “salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”, ha da subito sollevato interrogativi e perplessità. I problemi sollevati si incentravano sulla legittimazione del genitore convivente o dello stesso figlio a proporre la domanda di assegno, sui presupposti per il riconoscimento dell’assegno, sulle modalità di pagamento, etc. Quanto ai requisiti per la corresponsione del mantenimento a favore del figlio maggiorenne e alla legittimazione a proporre la relativa domanda, la giurisprudenza di merito ha mentenuto fermo il pregresso orientamento della Cassazione, ed è pertanto pacifica nel ritenere che la previsione della possibilità di L’ 48 AIAF RIVISTA 3/2006 corrispondere l’ assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne non fa venir meno la legittimazione del genitore con cui lo stesso convive di agire iure proprio per il relativo riconoscimento (App. Trento, ord. 6 luglio 2006, Pres. Chimenz, Rel. Santaniello, Z.c.R.; Trib. Messina, decreto 5 maggio 2006, Pres. Amato, Rel. Russo; Trib. Messina, ord. 31 ottobre 2006). È altrettanto pacifico che, in tema di mantenimento dei figli maggiorenni, la l. 54/06 non ha abrogato, o modificato, il sistema degli obblighi parentali inderogabili così come previsti dagli artt. 147 e 148 c.c., sicché costituisce, tuttora, un dovere inderogabile contribuire al mantenimento dei figli anche oltre la maggiore età e finché questi non abbiano conseguito una indipendenza economica. Ne consegue che l’unico significato che può attribuirsi alla locuzione “può disporre”, contenuta nell’art. 155-quinquies c.c., è quello della preliminare valutazione del giudice sulle condizioni effettive del figlio maggiorenne (Trib. Messina, decreto 5 maggio 2006, Pres. Amato, Rel. Russo). L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE assegnazione della casa familiare costituisce altra questione su cui si erano inizialmente incentrate forti preoccupazioni per una inversione di tendenza, contraria all’interesse dei figli e più favorevole alla salvaguardia del diritto di proprietà del genitore non collocatario. L’orientamento sin qui prevalente ha però confermato i criteri dettati dalla consolidata giurisprudenza della Suprema Corte, che nell’interesse del figlio minore o maggiorenne non autonomo economicamente attribuisce in godimento la casa al genitore collocatario o convivente, al fine di consentire al figlio di continuare a vivere nel suo consueto habitat domestico (Trib. Bari, ord. 11 luglio 2006, D. c. F.; Trib. Catania, ord. 11 luglio 2006, G.I. Murana, F. c. T.; Trib. Catania, ord. 5 giugno 2006, Pres. ed est. Maiorana, P. c. C.; Cass. 13 febbraio 2006, n. 3030). Non sono però mancate pronunce di diverso orientamento o motivazione, come nel caso del Tribunale di Bari che ha assegnato la L’ SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 casa familiare «al genitore con cui il minore trascorrerà la maggior parte del proprio tempo» (Trib. Bari, ord. 11 luglio 2006). Quanto alla disposizione che prevede il ‘venir meno’ del ‘diritto al godimento’ della casa familiare per il caso in cui l’assegnatario «non abiti o cessi di abitare stabilmente la casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio», ed in particolare per quanto riguarda l’ipotesi di convivenza o nuovo matrimonio, non si registra un significativo orientamento che abbia disposto l’”automatico” rilascio della casa familiare da parte del genitore collocatario e del figlio, ed anzi alcuni giudici di merito hanno ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale rimettendo gli atti alla Consulta (T. Busto Arsizio). LE QUESTIONI PROCESSUALI. LA COMPETENZA IN MATERIA DI AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI FIGLI NATURALI uanto alle questioni di natura processuale emerse a seguito dell’applicazione della l.54/06, la più complessa riguarda la competenza funzionale in merito alla regolamentazione dei rapporti genitoriali nell’interesse dei figli naturali. Prima della entrata in vigore della l. 54/06, i genitori naturali si rivolgevano al Tribunale per i minorenni, competente secondo quanto previsto dall’art. 38 disp. att. c.c., con ricorso ex art. 317 bis c.c., per ottenere i provvedimenti inerenti l’affidamento del figlio e la regolamentazione del diritto di visita spettante al genitore non affidatario o collocatario, e al Presidente del Tribunale ordinario, con ricorso ex art. 148 c.c., per i provvedimenti relativi al mantenimento e all’assegnazione della casa familiare. La l. 54/06 ha esteso ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati l’applicabilità di tutte le disposizioni di legge, causando in sede applicativa un contrasto giurisprudenziale che si è espresso in diversi orientamenti. Secondo un primo orientamento, sostenuto dal Tribunale per i minorenni di Milano che si è dichiarato incompetente a decidere in materia di affidamento dei figli naturali (decreto 12 maggio 2006, est. Zamagni, cui hanno fatto seguito numerose pronunce dello Q LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO stesso Tribunale, tutte conformi, v. decreto 7 luglio 2006, est. Domanico, V. c. R. V.; recentemente anche il Tribunale per i minorenni di Roma, con decreto del 23 ottobre 2006, si è espresso nello stesso senso), la l. 54/06 ha uniformato i procedimenti relativi all’esercizio della potestà sui figli naturali a quelli relativi ai figli legittimi non solo sotto il profilo sostanziale ma anche sotto il profilo processuale. Sotto il profilo sostanziale, la previsione dell’art. 317 bis c.c. che esclude dall’esercizio della potestà il genitore non convivente con il figlio, salvo attribuire al giudice il potere di disporre diversamente, non può oggi più ritenersi in vigore poiché, in caso contrario, si realizzerebbero illegittime ed irragionevoli disparità di trattamento tra figli legittimi e figli naturali riconosciuti, avendo la novella sancito, per tutti i figli, il principio della bigenitorialità. Il giudice deve pertanto fare riferimento per le questioni relative all’affidamento e al mantenimento dei figli, legittimi e naturali, agli artt. 155 e ss. c.c., e non più agli artt. 317 bis e 148 c.c., in quanto la l. 54/06 prevede una disciplina unitaria che si riferisce all’affidamento dei figli, al diritto di visita nonché al mantenimento e all’assegnazione della casa. Non sembra pertanto possibile scindere le decisioni relative all’affidamento da quelle relative alle questioni economiche, ma, sostiene il T.M. di Milano, non appare convincente la tesi secondo cui il richiamo, da parte dell’art. 38 disp. att. c.c., dell’art. 317 bis c.c. che, a sua volta, avrebbe assorbito l’art. 155 c.c. riformato, avrebbe come conseguenza lo spostamento dell’intera competenza sull’affidamento e sul mantenimento dei figli naturali ai tribunali per i minorenni. L’autorità giudiziaria competente ad applicare la nuova disciplina nel caso dei figli naturali è, secondo il T.M. di Milano, il tribunale ordinario, che dovrà applicare a tali controversie il rito ex art. 706 e ss. c.p.c.. Un secondo orientamento sostiene viceversa che la competenza in materia di affidamento dei figli naturali permane in capo al tribunale per i minorenni in forza del combinato disposto degli artt. 317-bis c.c. e 38 disp. att. c.c., mentre il tribunale ordinario continua ad essere competente in merito alle domande di mantenimento e di assegnazione della 49 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO casa familiare (Trib. Milano, ord. 20 luglio 2006, Pres. Siniscalchi, Rel. Bonfilio, G. c. T.; conformi nel ritenere che la competenza in tema di affidamento di figli di genitori naturali spetti al tribunale per i minorenni: Trib. Min. Bologna, decreto 26 aprile 2006; Trib. Min. Trento, decreto 11 aprile 2006). Ritenendo la propria incompetenza per materia a conoscere una controversia in relazione alla quale il Tribunale per i minorenni di Milano si era in precedenza dichiarato incompetente, il Tribunale di Milano con ordinanza del 20.7.2006 ha disposto la trasmissione del procedimento alla Cassazione, richiedendo d’ufficio il regolamento di competenza. La nuova legge, si sostiene, non contiene alcuna nuova disposizione espressa in tema di competenza giurisdizionale a conoscere delle controversie ivi contemplate, e la mancata modifica dell’art. 38 disp. att. c.c. come il mancato coordinamento dell’art. 317 bis c.c. alla nuova disciplina sostanziale, fanno ritenere che il legislatore abbia voluto limitarsi ad estendere i nuovi principi e criteri sostanziali in tema di affidamento dei figli minori a tutti gli ambiti di possibile rilevanza applicativa, senza farsi carico della disciplina processualistica. Ne consegue che, secondo questa interpretazione, permane la competenza funzionale del tribunale per i minorenni per le controversie che riguardano l’affidamento e l’esercizio della potestà sui figli naturali. Altro orientamento sostiene che al tribunale per i minorenni spetti la competenza sia in materia di affidamento dei figli naturali, che di mantenimento e assegnazione della casa familiare. Il Tribunale di Monza, il cui territorio di competenza appartiene alla circoscrizione distrettuale del T.M. di Milano, pure ritenendosi incompetente a decidere in merito all’affidamento dei figli naturali, ha rimesso gli atti di un procedimento alla Cassazione per il regolamento di competenza (ord. 10 ottobre 2006, Pres. Rel. Calabrò), sostenendo che la l. 54/06 ha inciso solamente sul merito della regolamentazione dell’affidamento e dell’esercizio della potestà dei genitori naturali, senza modificare l’assetto processuale attributivo della competenza funzionale al tribunale per i minorenni. 50 AIAF RIVISTA 3/2006 Ha però anche sostenuto che la l. 54/06, nel disporre che il giudice debba decidere sull’affidamento condiviso e contestualmente fissare anche “la misura e il modo con cui ciascuno dei genitori deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli” e che l’art. 155, co. 2, c.c., applicabile anche alle unioni di fatto, preveda l’adozione di “ogni altro provvedimento relativo alla prole”, abbia fatto venire meno il precedente sdoppiamento di competenze, con la conseguenza che il giudice minorile deve adottare anche i provvedimenti economici a favore dei figli naturali (conformi Trib. Monza, sentenza 29 giugno 2006, est. Buratti; Trib. Catania, sentenza 14 aprile 2006; App. Napoli 27 settembre 2006). Stante la posizione assunta dai giudici minorili milanesi, cui non ha fatto ad oggi riscontro l’assunzione di competenza in materia da parte di nessun tribunale ordinario del distretto della corte d’appello di Milano, non è possibile ottenere alcun provvedimento di affidamento, regolamentazione dell’esercizio della potestà e del diritto di visita nei confronti di figli naturali. Infine, un ulteriore orientamento è stato di recente espresso dal Tribunale per i minorenni di Napoli (ord. 29 settembre 2006, Pres. Battimeli, C. S. c. G.D.R.) che si è dichiarato competente a decidere in merito alle domande di affidamento e di assegnazione della casa coniugale, ma incompetente in relazione alla domanda di determinazione del contributo al mantenimento. In attesa di una pronuncia chiarificatrice e definitiva dalla Corte di Cassazione, “necessaria attesa la sostenibilità delle diverse interpretazioni tutte ampiamente motivate dalla giurisprudenza di merito”, il T.M. di Napoli ha ritenuto preferibile attenersi alla ripartizione della competenza tra T.O. e T.M. finora in atto, ma precisa che la disciplina dell’assegnazione della casa familiare non è questione di natura economica e può essere trattata dal tribunale per i minorenni in quanto strettamente connessa ai tempi e alle modalità di presenza del minore presso ciascun genitore. SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 IL RECLAMO AVVERSO I PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI ultimo comma dell’art. 708 cpc, nella formulazione introdotta dalla legge 54/06, consente la possibilità di proporre reclamo alla Corte d’appello avverso i provvedimenti emessi dal presidente. Secondo l’orientamento prevalente, stante il “carattere necessariamente sommario delle decisioni presidenziali” i poteri di controllo affidati al giudice del reclamo sono limitati, “con la conseguenza che possono assumere rilievo ed essere eliminati soltanto errori decisionali evidenti e frutto di una non corretta valutazione degli elementi di massima acquisiti nella fase iniziale del processo di separazione, senza alcuna anticipazione dell’istruttoria vera e propria demandata al G.I.” (App. Trento, sez. I, Pres. Chimenz, Rel. Santaniello, ord. 17 maggio 2006; conforme App. Trento, ord. 24 agosto 2006; App. Bologna, sez. I, Pres. De Robertis, Rel. de Meo, decreto 17 maggio 2006). L’ SULLA RECLAMABILITÀ DEI PROVVEDIMENTI EMESSI DAL G.I. a questione della reclamabilità dei provvedimenti del G.I. è da tempo oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario ha sempre escluso l’ammissibilità del reclamo ai sensi degli artt. 669-terdecies c.p.c. avverso il provvedimento del G.I. in quanto non riveste natura cautelare. Anche dopo la novella della legge 54/06 si continua ad escludere la possibilità di reclamare i provvedimenti adottati nella fase istruttoria del giudizio di separazione, considerata “l’indiscutibile differenza esistente tra i provvedimenti interinali del Presidente e quelli emessi dal giudice istruttore designato per la trattazione della controversia, soprattutto in considerazione del fatto che i L 9 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO secondi sono sempre suscettibili di essere modificati o revocati dalla medesima autorità giudiziaria che li ha adottati alla luce delle doglianze delle parti o delle variazioni della situazione di fatto: tale differenza fa venir meno anche qualsiasi dubbio circa la legittimità costituzionale della mancata previsione di una facoltà di impugnativa anche per i provvedimenti del G.I. a differenza di quanto statuito per quelli presidenziali.” (App. Trento, sez. I, decreto 21 settembre 2006).9 In senso opposto, un orientamento minoritario sostenuto dai giudici del Tribunale di Genova, afferma che “se i provvedimenti presidenziali sono reclamabili con ricorso alla corte d’appello ai sensi dell’art. 708 u.c. cpc ed i provvedimenti assunti dal Giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari, e se entrambi i provvedimenti hanno analoga natura, si debbono considerare impugnabili con reclamo alla Corte d’Appello anche questi ultimi: infatti l’identica natura giuridica del provvedimento impone, con interpretazione estensiva, che ad esso sia riservato lo stesso mezzo di impugnazione quale che ne sia la funzione (Presidenziale o istruttoria) svolta dal magistrato che lo ha emesso” (Trib. Genova, Pres. Martinelli, Rel. Oddone, ord. 2 maggio 2006). Secondo la Corte d’appello di Genova deve invece ritenersi che “la novella che ha inserito la espressa previsione della reclamabilità in Corte del provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c. abbia previsto una modalità impugnatoria anomala ed eccezionale, che non ha riprodotto per il provvedimento modificativo successivamente emesso dai G.I., con la conseguenza che questo deve ritenersi impugnabile nei modi “ordinari”, ovvero secondo le modalità ordinariamente previste per i provvedimenti cautelari…. da tanto deve trarsi che… non sarà più possibi- Nello stesso senso, App. Bari, ord. 16 giugno 2006: “i provvedimenti in subiecta materia esulano dalla previsione di cui all’art. 669quaterdecies c.p.c. che definisce, unitamente all’art. 703 c.p.c., l’ambito di applicazione del processo cautelare uniforme. A tal proposito va sinteticamente rimarcato che gli art. 708/709 c.p.c. rientrano nel capo I del titolo II, non richiamato nell’art. 669-quaterdecies c.p.c., e che i provvedimenti di cui agli art. 708/709 c.p.c. prescindono del tutto dalla valutazione del periculum in mora, sono ampiamente modificabili e, anche se confermati con la sentenza definitiva del giudizio, sono mutabili e revocabili pure dopo la conclusione del processo nelle forme del rito camerale (art. 710 c.p.c.). Non v’è dunque ragione per l’applicazione diretta, «in quanto compatibile» o analogica, del procedimento cautelare uniforme (Cass. 1° aprile 1998, n. 3374, id., Rep. 1999, voce Separazione di coniugi, n. 89), e quindi dell’art. 669-terdecies c.p.c.». 51 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO le sottoporre al G. I. una istanza di modifica dei provvedimenti presidenziali che non si fondi su di un quid novi, (quantomeno la miglior conoscenza di circostanze preesistenti) rispetto a quanto prospettato al Presidente, giacchè diversamente la cognizione della Corte e del G.I. in prima battuta sarebbero sovrapponibili, e si finirebbe per consentire avverso un provvedimento una duplice modalità di reazione, con sostanziate inutilità del reclamo, il cui effetto potrebbe sempre essere vanificato dalla successiva decisione del GA, sulla scorta detta medesima situazione fattuale. (nello stesso senso Trib. Trani, ord. 18 aprile 2006 e ord. 28 aprile 2006, che ammettono il reclamo al collegio ex art. 669-terdecies c.p.c. contro l’ordinanza con la quale il giudice istruttore modifichi, nel corso del giudizio di separazione, i provvedimenti nell’interesse della prole e dei coniugi pronunciati dal presidente del tribunale). AIAF RIVISTA 3/2006 appare ammissibile il ricorso per revoca/modifica al g.i., allo scopo (anche) di rivedere il provvedimento presidenziale, rivalutabile anche sotto il profilo dell’opportunità.” (Trib. Modena, cit.) * avvocato in Milano LA REVOCA O MODIFICA DEI PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI E DEL G.I. provvedimenti presidenziali e quelli emessi dal G.I. possono essere revocati o modificati, senza alcun vincolo ai mutamenti nelle circostanze, come prevede il novellato art. 709 cpc.10 Una volta scelta la via del reclamo alla corte d’appello, il provvedimento emesso dalla corte non potrà però essere revocato o modificato dal G.I. a meno che non siano intervenuti fatti nuovi modificativi della preesistente situazione esaminata dal giudice d’appello (Trib. Modena, ord. 5 ottobre 2006; conforme l’orientamento del Trib. di Milano). Il provvedimento presidenziale che non è stato reclamato può invece essere revocato o modificato dal G.I.. Si ritiene pertanto necessario che venga notificata l’ordinanza presidenziale al fine di far decorrere i termini per la proposizione del reclamo; solo “perenta la via del reclamo, I 10 Trib. Modena, ord. 5 ottobre 2006: “ Il potere modificativo in oggetto pare avere subito una sorta di mutazione genetica; da strumento di adeguamento dello stato di diritto al mutare dello stato di fatto, a strumento di eventuale revisione e controllo (dell’esattezza) delle determinazioni presidenziali, e perciò (anche) quale revisio prioris instantiae.” 52 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO LA GIURISPRUDENZA SULLA RECLAMABILITÀ E SULLA MODIFICA DEI PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI E DEL G.I. 1. SUI LIMITI DI POTERE DI CONTROLLO Così deciso in Bologna nella camera di mensile rivalutabile di Euro 120,00 escluDEL GIUDICE DEL RECLAMO consiglio della prima sezione civile il 12 dendo qualsiasi concorso a carico della LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA SEZIONE PRIMA CIVILE Riunita in Camera di Consiglio in persona dei Signori Magistrati: Dott. Leonardo De Robertis - Presidente Dott. Miranda Bambace - Consigliere Dott. Angela de Meo - Consigliere rel. nel procedimento xxx, ha pronunciato il seguente DECRETO Omissis – … l’art. 708, quarto comma, cod. proc. civ., nella formulazione introdotta dalla legge 16 marzo 2006, n. 54, prevede la facoltà di proporre il reclamo previsto avverso i provvedimenti presidenziali senza richiedere, neppure implicitamente, l’intervento di fatti nuovi. La abolizione, ad opera della stessa legge, del presupposto degli intervenuti “mutamenti delle circostanze” ai fini della revoca o modifica dei provvedimenti presidenziali da parte dell’istruttore conferma, anzi, l’ampliamento delle possibilità di riesame anche indipendentemente dalla sopravvenienza di fatti nuovi. …. Omissis … L’ordinanza presidenziale emessa ai sensi dell’art. 708 cod. proc. civ. è un provvedimento avente natura ed efficacia meramente incidentale nel processo di separazione personale, ed è fondato su ragioni di provvisorietà ed urgenza; è volto a dettare una regolamentazione dei rapporti tra i coniugi e nei confronti dei figli nella pendenza del giudizio, nel corso del quale è previsto lo svolgimento dell’attività istruttoria e nella cui decisione finale sono destinati ad essere assorbiti. Questo carattere di delibazione necessariamente sommaria non muta in sede di reclamo. Dunque in questa fase rilevano unicamente profili di erroneità dell’ordinanza presidenziale immediatamente rilevabili. … omissis …. xxx per il mantenimento del figlio. maggio 2006 La decisione risultava sommariamente Il Presidente Provvedimento pubblicato il 17 maggio motivata dalla modestia del reddito della xxx, ammontante ad Euro 700,00 mensili 2006 in relazione ad un lavoro temporaneo, a fronte di un reddito di circa Euro 1.200,00 LA CORTE D’APPELLO DI TRENTO in capo al marito. Sezione Prima Con l’impugnazione il reclamante eviriunita in camera di consiglio nelle perso- denziava che quanto statuito dal Presine dei Signori Magistrati: dente del Tribunale collideva con l’obbli1)Dott. Giuseppe Chimenz Presidente go gravante su entrambi i genitori dì farsi 2)Dott. Paola De Falco Consigliere carico del mantenimento dei figli fino al 3)Dott. Bernardetta Santaniello Consi- raggiungimento dell’autonomia econogliere Rel. mica e portava ad un risultato iniquo, in ha emesso la seguente quanto finiva per garantire alla controparORDINANZA te una somma mensile superiore a quelnel procedimento in grado di appello la che sarebbe residuata al marito ed al iscritto a ruolo al n. ***/06 C.C. promos- figlio: insisteva quindi per una riforma dei so con ricorso depositato in data provvedimenti provvisori con imposizio**/*/2006 ne alla moglie di un contributo per il figlio DA e con esclusione di qualsiasi obbligo a xxx rappresentato e difeso dagli avv. - suo carico per il mantenimento della RECLAMANTE stessa. CONTRO Si costituiva in questa sede la xxx per solxxx rappresentata e difesa dagli avv. - lecitare il rigetto del reclamo e la conferRESISTENTE ma dei provvedimenti presidenziali, eviOGGETTO / Separazione giudiziale denziandone la correttezza sostanziale in Reclamo avverso l’ordinanza xxx 2006 considerazione delle modestissime e del Presidente del Tribunale di Rovereto, temporanee risorse economiche di cui depositata il xxx 2006 poteva disporre; eccepiva la carenza di legittimazione passiva del marito a preIl Presidente del Tribunale di Rovereto, a tendere un contributo per il mantenimenseguito del ricorso per separazione pre- to del figlio in contrasto con le previsioni sentato in data xxx 2006 dall’odierno di cui al nuovo art. 155 quinquies cc; reclamante nei confronti di xxx, stante l’ manifestava comunque l’intenzione di esito negativo del tentativo di conciliazio- contribuire al mantenimento del figlio con ne ed in mancanza della disponibilità del- altre forme di interventi non strettamente le parti ad una soluzione consensuale, monetarie e ribadiva che la situazione adottava i provvedimenti provvisori diret- economica del marito era decisamente ti a disciplinare i rapporti tra i coniugi migliore, atteso che egli, oltre alla pensioanche in relazione al figlio maggiorenne ne, era titolare anche di una rendita INAIL ma economicamente non autonomo, fis- e svolgeva lavoretti saltuari in nero. sando udienza davanti al G.I. per la fase Questa Corte ritiene che il reclamo prodi trattazione della vertenza. posto sia parzialmente fondato e debba In particolare il Presidente: trovare accoglimento nei limiti di seguito - attribuiva il diritto di abitazione sulla specificati. casa coniugale al ricorrente con il quale In via preliminare, va evidenziato il caratcoabitava il figlio studente universitario; tere necessariamente sommario delle - poneva a carico dello stesso l’obbligo decisioni presidenziali e conseguentedi contribuire al mantenimento della mente i limiti dei poteri di controllo moglie con il versamento di un assegno affidati al giudice del reclamo, con la 53 AIAF RIVISTA 3/2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO conseguenza che possono assumere rilievo ed essere eliminati soltanto errori decisionali evidenti e frutto di una non corretta valutazione degli elementi di massima acquisiti nella fase iniziale del processo di separazione, senza alcuna anticipazione dell’istruttoria vera e propria demandata al G.I. Ciò premesso, si rileva che nella fattispecie concreta la scelta di escludere del tutto per la xxx l’onere economico di concorrere al mantenimento del figlio non può essere giustificato dalla modestia attuale dei suoi redditi, stante l’obbligo per ciascun genitore di procurarsi con la ricerca di un lavoro adeguato fonti economiche idonee a garantire l’assolvimento di tale onere. Ne consegue che, pur dovendosi condividere che l’attuale disparità di condizioni reddituali dei coniugi legittimi l’imposizione allo xxx, che gode sia di pensione INPS per un importo mensile di circa Euro 1.200,00 che di rendita INAIL di cui allo stato non si conosce l’entità, di un assegno di mantenimento per la moglie, si ritiene tuttavia che il mancato concorso della stessa nel mantenimento del figlio, possa giustificare la revoca dell’assegno stabilito dal Presidente del Tribunale con una sostanziale compensazione degli obblighi: è appena il caso di evidenziare che la previsione della possibilità di corrispondere l’assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne non fa venir meno la legittimazione del genitore con cui lo stesso convive di agire per il relativo riconoscimento. Sarà compito del G.I. adeguare tali statuizioni alla diversa situazione che dovesse emergere dall’istruttoria da svolgere. La natura della vertenza ed il carattere interlocutorio della fase non consentono alcuna statuizione in ordine alle spese. P.Q.M. In parziale riforma del provvedimento reclamato, tenuto conto dell’obbligo di xxx di concorrere economicamente al mantenimento del figlio, revoca la statuizione di obbligo per lo xxx di corrispondere alla stessa un assegno di mantenimento. Trento 6 luglio 2006 IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE (Dott.B.Santaniello) (Dott.G.Chimenz) 2. SULLA AMMISSIBILITÀ DEL RECLAMO menti Presidenziali di cui al precedenAVVERSO I PROVVEDIMENTI DEL G.I. te punto sono reclamabili con ricorso IL TRIBUNALE DI GENOVA SEZIONE QUARTA CIVILE Composto dai magistrati MARTINELLI dr. Paolo Presidente ODDONE dr.ssa Maria Teresa Giudice rel. SCIRÈ dr.ssa Delia Giudice riuniti in camera di consiglio ha pronunciato la seguente ORDINANZA COLLEGIALE nella procedura relativa al reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. avverso il provvedimento emesso dal G.I. dr.ssa M. Parentini, con cui veniva rigettata la richiesta di revoca dell’assegnazione della casa coniugale e del contributo di mantenimento per la figlia xxx, nonché rideterminato in euro 200,00 l’assegno mensile dovuto dal xxx alla xxx come contributo al mantenimento del figlio xxx, reclamo proposto da *** reclamante già ricorrente, avv. *** nei confronti di *** resistente già resistente, avv. *** il Collegio, rilevato - che il presente reclamo risulta proposto ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.; - che tuttavia ai sensi dell’art. 708 u.c. c.p.c., come modificato dall’art. 2, comma 1 della l. 8 febbraio 2006, n. 54, provvedimenti temporanei ed urgenti emessi dal Presidente ai sensi del III comma dello stesso articolo sono ora reclamabili con ricorso alla Corte d’Appello; - che inoltre ai sensi dell’art. 709 ter u.c. c.p.c. i provvedimenti (ivi contemplati) assunti dal Giudice del procedimento sono impugnabili dei modi ordinari; - che provvedimenti Presidenziali provvisori ed urgenti assunti dal Presidente ai sensi del III comma art. 708 c.p.c. e quelli successivamente presi dal G.I. ai sensi dell’art. 709 u.c. c.p.c., come è noto (cfr. Cass. 99/1766; 98/9325) potenzialmente possono sopravvivere anche all’estinzio* Nello stesso senso, Corte Appello ne del processo, ed appaiono tra loro di Trento, ordinanza 24 agosto 2006. analoga natura; - che, conseguentemente, se provvedi- 54 alla Corte d’Appello ai sensi dell’art. 708 u.c. c.p.c. ed i provvedimenti assunti dal Giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari, e se entrambi i provvedimenti hanno analoga natura, si debbono considerare impugnabili con reclamo alla Corte d’Appello anche questi ultimi: infatti l’identica natura giuridica del provvedimento impone, con interpretazione estensiva, che ad esso sia riservato lo stesso mezzo di impugnazione quale che ne sia la funzione (Presidenziale o istruttoria) svolta dal magistrato che lo ha emesso; - che tale interpretazione sembra confortata anche dalla previsione dell’art. 177 punto 3) c.p.c., secondo il quale non sono modificabili né revocabili dal Giudice che le ha pronunciate le ordinanze per le quali la legge predispone uno speciale mezzo di reclamo; - che, conseguentemente, il presente reclamo deve ritenersi inammissibile, poiché proposto ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. anziché ai sensi dell’ultimo comma art. 708 c.p.c., e cioè con ricorso alla Corte d’Appello; - ritenuto, infine, che la novità della questione consenta la compensazione delle spese di giudizio P.Q.M. dichiara inammissibile il reclamo; compensa le spese di procedimento tra le parti. Genova, 2 maggio 2006 LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA SEZIONE TERZA CIVILE DECRETO nel procedimento n. Reg. … promosso da … elett. dom. in Genova, presso l’avv. …. che lo rappresenta e difende per mandato a margine del reclamo, reclamante avverso …, elett. dom. in Genova, presso l’avv. Enrico Bet che la rappresenta per mandato in atti, reclamata Con l’intervento del P.G., che ha chiesto il rigetto del reclamo SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 Rilevato: che tra le parti pende causa di separazione personale, e che nell’ambito di tale procedimento il Presidente del Tribunale di Genova in data …, autorizzati in provvisorio i coniugi a vivere separati, emetteva ì provvedimenti urgenti e provvisori, affidava i figli ai genitori congiuntamente, concedeva il godimento detta casa familiare al …, regolava le frequentazioni genitori-figli e provvedeva in ordine ai rapporti personali ed economici conseguenti; che successivamente, anche all’esito di ricorsi proposti in via di urgenza, il regime di affido detta prole, sentite le parti, acquisite informazioni e dato corso a CTU, veniva modificato, disponendosi in un primo tempo l’affido dei minori al padre, e successivamente l’affidamento ai Servizi Sociali del Comune di Genova (ordinanza in data …); che veniva presentato ricorso per la modifica urgente anche dei provvedimenti in punto economico, sì che, sentite te parti ed acquisita la relazione, nuovamente la regolamentazione di rapporti di cui sopra veniva modificata con il provvedimento in data … che definiva in euro 1000,00 il contributo a carico del …per i figli - fermo l’obbligo dei genitori di sostenere le spese sanitarie non coperte dal SSN, le spese scolastiche e sportive inerenti alla prole al 50% -, e in euro 800,00 il c.d. “contributo alloggio”; che avverso detto provvedimento ricorreva ancora una volta il …, resisteva la … e che infine il G.I. emanava il provvedimento impugnato, che ridefiniva in euro 850,00 il contributo paterno per i figli, da corrispondersi alla …, e confermava in favore di costei il contributo di euro 800,00 per il godimento dell’alloggio già familiare rimasto al marito; che avverso detto provvedimento notificato in data … ha proposto reclamo la difesa … (del marito), chiedendo la riduzione dell’onere posto a suo carico nel contempo sollecitando la eliminazione o riduzione del contributo per l’alloggio, in relazione atta novità fattuale, che indicava nella ammissione, resa dalla controparte, di fruire di apporti economici da parte dei propri genitori, contestualmente proponendo le domande ulteriori, di cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive con risarcimento danni ex 89 c.p.c., e di risarcimento danni anche ex art. 96 c.p.c.; LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO che ha resistito la …, eccependo la inammissibilità o improcedibilità del reclamo, proposto avverso un provvedimento emesso dal G. I., tra l’altro in una fase incidentale incardinata nella procedura di separazione, ai sensi dell’art. 700 c.p.c.; che nel merito la parte resistente sosteneva il difetto di rilevanza della circostanza dedotta ex adverso, allegando che l’apporto economico dei genitori era stato erogato precariamente, stante la situazione di emergenza nella quale essa versava anche a seguito delle avversarie inadempienze, e di fatto già era venuto meno stanti te gravi condizioni di salute della propria madre; che le avversarie insistenti richieste, di riduzione del contributo per i figli, apparivano del tutto ingiustificate, stanti le ampie possibilità economiche del Tomassini; che era, data la situazione che si era creata, opportuno che il godimento detta casa familiare fosse assegnato alla reclamata. Dato atto che la questione pregiudiziale riveste una rilevanza suscettibile di decidere la controversia, la Corte ha invitato i patroni a discuterla oralmente e si è riservata la decisione, che assume come in appresso. La questione pregiudiziale sollevata dalla difesa appellata merita una attenta valutazione, stanti i contrasti interpretativi che da tempo si sono registrati e in dottrina e in giurisprudenza quanto alla reclamabilità dei provvedimenti di modifica in via urgente e provvisoria detta regolamentazione dei rapporti personali ed economici nelle procedure di separazione, problemi che la lettera assai poco perspicua della novella 54/2006 non ha certo contribuito a risolvere. Il problema della reclamabilità di detti provvedimenti è concettualmente suscettibile di ricevere tre diverse soluzioni. La prima, adottata sino alla novella da buona parte dei giudici di merito, seppure con qualche autorevole voce in contrasto sostenuta da autorevole dottrina, escludeva tout court la ammissibilità del reclamo. I seguaci di detta opzione ermeneutica partivano dal presupposto che tali provvedimenti non rivestissero natura cautelare (cosi ex multis Trib. di Verona 20/2/2003 in F.I. 2003,11,3156, Trib. Arez- zo 11/6/1997, in F.I. 1998,1,2285, Trib. Pavia 9/1/1997, ib. 1998,1,232, Trib. Catania 21/7/1993 in F.I. 2004,1, 1216 e Trib. Roma 27/1/1994 ibidem,), ditalchè dando applicazione alla regola generale, tratta dall’art. 177 c. p. c., se ne traeva che dette misure si sottraessero ad ogni impugnativa. Sulla scorta della novella 54 e 80/2006, tale soluzione pare trovare conforto nella interpretazione letterale della norma: sulla base del ben noto brocardo ubi lex voluit, dixit, si è anche di recente sostenuto (Trib. Foggia 2/5/2006 in F.I. 2006,1,2214) che, poiché la nuova legge espressamente prevede il reclamo solo avverso il provvedimento emesso dal Presidente, da tanto deriverebbe che il provvedimento modificativo eventualmente assunto dal G.I. non sia impugnabile, e ciò senza lesione degli interessi e delle ragioni dette parti, che troverebbero adeguata tutela nella pur sempre consentita possibilità di rivalutazione dette situazioni, da parte detto stesso G.I.. Un secondo filone interpretativo - al quale aderisce parte reclamante ammette il reclamo, affermando la sua proponibilità alla Corte di Appello territorialmente competente. La considerazione -si sostiene - della ratio e della natura dei provvedimenti dell’Istruttore, del tutto assimilabili nel contenuto e nella ultrattività a quelli assunti dal Presidente ai sensi dell’art. 708 c.p.c.; imporrebbe, in una lettura della norma costituzionalmente orientata, alla necessità di ammettere il doppio grado e così il riesame del contenuto del provvedimento da parte di un giudice diverso da quello che lo ha emesso; avendo la novella espressamente regolato il reclamo avverso l’art. 708, attribuendolo atta cognizione detta Corte, detta previsione, da applicarsi in toto ed estensivamente, devolverebbe al Giudice del secondo grado ogni impugnativa proposta anche contro i provvedimenti modificativi dell’Istruttore, secondo una modalità che verrebbe ad essere il “modo ordinario” di riesame per i provvedimenti emessi netta materia de qua. Terza possibilità concettualmente prospettabile - alla quale la difesa reclamata nel grado ha aderito - è quella di ammettere il reclamo, e di ritenerlo proponibile dinanzi all’organo collegiate cui appartiene il G.I. che ha emesso il provvedimento gravato, in diversa composizione. 55 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO La specificità degli interessi cautelati, e la delicatezza detta materia - si è sostenuto - imporrebbero di ammettere comunque il vaglio da parte di un Giudice diverso da quello che ha assunto la misura in parola, per la compiuta verifica detta legittimità ed opportunità nel merito dette suddette disposizioni, onde impedire che conseguenze rilevanti nell’ambito dei rapporti familiari abbiano a cristallizzarsi nel tempo, senza un adeguato controllo dell’operato del singolo istruttore. La natura anticipatoria del provvedimento in questione – analogo nella portata a quello assunto in limine dal Presidente e la sua ultrattività comporterebbero la soggezione dello stesso allo strumento previsto per il riesame dei provvedimenti cautelari. In tal senso, del resto, già prima della riforma si era espresso il Tribunale di Genova (ordinanza 16/3/2001, in F.I. 2001, 1, 2356, Trib. Genova 10/1/2004, in F.I. 2004, I, 931,) e il Trib. Brindisi (ordinanza 12/8/2003 in F.I. 2003,1, 3156, quest’ultima, peraltro con un distinguo limitativo, riferito alle sole fattispecie di ordinanze emesse per ovviare a situazioni di pericolo di danno grave ed irreparabile). Secondo tale opzione ermeneutica, l’avere previsto la novella, quanto ai provvedimenti emessi da Presidente, la reclamabilità in Corte non avrebbe innovato se non netta individuazione del Giudice competente, giacché la previsione della soggezione di detti provvedimenti al reclamo discenderebbe de plano dalla loro natura (così Trib. Trani 28/4/2006 in F. I. 2006, 1, 2212). Ne conseguirebbe secondo il provvedimento da ultimo richiamato che “in assenza di specifica norma derogatrice, la competenza in ordine ai reclami delle ordinanze emesse dal giudice istruttore nell’interesse dei coniugi e della prole che abbiano modificato o revocato i provvedimenti presidenziali spetti al collegio, così come previsto in via generale nella disciplina del processo cautelare”, apparendo conforme a logica ritenere che con l’aggiunta dell’ultimo comma dell’art. 708 c.p.c. si sia voluto evitare che a pronunziarsi sulla impugnazione avverso il provvedimento emesso dal Presidente fossero i giudici del medesimo ufficio giudiziario, con possibile pericolo di metus reverentialis e così di condizionamento della decisione. Solo detta particolarità potrebbe costituire ragionevole spiegazione della previ- 56 sione di un reclamo attuato con una modalità francamente anomala, che dovrebbe ritenersi eccezionale. Questa Corte, dato atto dette diverse tesi che si sono come sopra rapidamente riassunte, prima di statuire sulla fattispecie reputa di dover effettuare alcune brevi considerazioni che cosi si espongono. Anzitutto non può trascurarsi che il Giudice delle leggi è venuto costantemente affermando che la alterità del giudice della impugnazione rappresenta, secondo l’ordinamento, ma anche secondo il comune sentire, un fattore di maggior garanzia “(così Corte Cost. 253/1994); “ la mancata previsione della revisio prioris instantiae - ha rilevato la Corte - in cui si concreta il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. in favore della parte che subisca la situazione assunta come lesiva del proprio diritto.. realizza uno amputazione del diritto di difesa... la sperequazione determinato dalla reclamabilità dei soli provvedimenti di accoglimento non può ritenersi compensata dalla prevista riproponibilità della istanza al medesimo giudice in caso di mutamento delle circostanze o di deduzioni di nuove circostanze di fatto o di diritto, giacchè tra i rimedi della reclamabilità e della riproponibilità non vi è rapporto di equivalenza in termini di garanzia, operando gli stessi su piani diversi, non sovrapponibili ma complementari...” È sì vero che dette affermazioni sono state rese con riferimento al procedimento cautelare, e alla originaria omessa previsione del reclamo avverso il provvedimento reiettivo, ma è da ritenersi che esse per la loro generalità ben possono trovare applicazione alla materia di cui ci si occupa, sì che parrebbe davvero difficile sostenere che la ammissibilità della revisione del provvedimento da parte del medesimo G.I. assorba ogni esigenza, di revisio, che la parte incisa possa vantare. Tanto premesso quanto alla garanzia del diritto di difesa, è a dire che la previsione normativa detta reclamabilità dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c. ha superato, di fatto (a sostenibilità di tale impostazione anche sotto il diverso profilo, detta necessaria eguaglianza detta tutela assentita a situazioni consimili, giacché non si sottrarrebbe ad un fondato dubbio di costituzionalità il negare la garanzia del secondo grado al provvedimento modificativo assunto dal G.I. dopo averlo riconosciuto all’analogo provvedimento presidenziale, sì che, conclusiva- AIAF RIVISTA 3/2006 mente, la prima tesi pare, in oggi, francamente non più sostenibile. Ammessa pertanto la reclamabilità, non essendovi una previsione normativa specifica, l’interprete deve colmare un vuoto dei sistema, e la scelta pertanto si pone tra la adesione alla seconda o alla terza ipotesi e così tra l’inquadramento della fattispecie nel solco dette previsioni dettate per il reclamo dei provvedimenti anticipatori, secondo i principi generati, e la sua assimilabilità atte previsioni della novella, con devoluzione del gravame alla Corte di appello. Ogni circostanza valutata, questo Collegio reputa che sia preferibile la adesione alla tesi, che postula la applicazione analogica delle norme dettate per il reclamo del provvedimento cautelare. Anzitutto, in tal senso induce la considerazione della natura dei provvedimenti in questione, che impartiscono una provvisoria regolamentazione a situazioni e posizioni soggettive, volta a volta qualificabili come diritti, potestà od oneri, in ragione di circostanze che non raramente sono inquadrabili netta vera e propria urgenza. È poi pacifico perché discende dalla legge che detti provvedimenti mantengano la loro efficacia anche in caso di estinzione del procedimento; è incontestato che il loro obiettivo sia l’impartire alla situazione un assetto in prospettiva destinato a protrarsi nel tempo e, se le previsioni sono state adeguate, ipoteticamente ed auspicabilmente a durare, quantomeno sino alla definizione del processo ed anzi fino atta modifica della fattispecie. Non sembra azzardato a questo punto inquadrare detti provvedimenti nel novero dei c.d. “anticipatori”, di creazione dottrinale, ma oggi riconosciuti dal legislatore che, prima col d. l.vo 5/2003, poi con la novella 80/2006 ha chiaramente distinto il cautelare a strumentalità forte - che richiede la successiva proposizione del giudizio di merito, onde non vanificarne gli effetti - da quelli a strumentalità debole o attenuata ai quali si applicano le previsioni del comma 6 dell’art. 669 octies c.p.c. Deve pertanto ritenersi che la novella che ha inserito la espressa previsione della reclamabilità in Corte del provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c. abbia previsto una modalità impugnatoria anomala ed eccezionale, che non ha riprodotto per il provvedimento modificativo suc- SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 cessivamente emesso dai G.I., con la conseguenza che questo deve ritenersi impugnabile nei modi “ordinari “, ovvero secondo le modalità ordinariamente previste per i provvedimenti cautelari. Ulteriormente, da tanto deve trarsi che, pur essendo stata elisa la previsione dell’originario quarto comma dell’art. 708 c.p.c., comunque la vigenza di tale previsione debba ricavarsi dal disposto dell’art. 669 decies c.p.c., sì che non sarà più possibile sottoporre al G. I. una istanza di modifica dei provvedimenti presidenziali che non si fondi su di un quid novi, (quantomeno la miglior conoscenza di circostanze preesistenti) rispetto a quanto prospettato al Presidente, giacchè diversamente la cognizione della Corte e del G.I. in prima battuta sarebbero sovrapponibili, e si finirebbe per consentire avverso un provvedimento una duplice modalità di reazione, con sostanziate inutilità del reclamo, il cui effetto potrebbe sempre essere vanificato dalla successiva decisione del GA, sulla scorta detta medesima situazione fattuale. Conclusivamente, se ne ricava l’uniformarsi della disciplina della revoca o modifica dette ordinanze dell’art. 50 c.p.c., deve essere concesso termine, per la riassunzione del procedimento dinanzi al Tribunale di Genova che è competente per materia e territorio. Stante il tenore della decisione, non è luogo a provvedere quanto alle spese. P. Q. M. Dichiara la propria incompetenza a provvedere quanto al reclamo di cui sopra, per il quale competente è il Tribunale di Genova, dinanzi al quale la procedura potrà essere riassunta, entro trenta giorni dalla comunicazione del presente decreto. Nulla per le spese. Così deciso in Genova, il 20/10/2006 IL PRESIDENTE TRIBUNALE DI TRANI Ord. 18 aprile 2006, Pres. SAVINO, Rel. CATALANI «In tema di impugnabilità delle ordinanze rese dal giudice istruttore di revoca o modifica dei provvedimenti temporanei ed urgenti nei giudizi di separazione e divorzio, va ammessa la loro autonoma reclamabilità dinanzi al Collegio, così come previsto in via generale dalla disci- LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO plina del processo cautelare uniforme, onde impedire che conseguenze rilevanti nell’ambito dei rapporti familiari abbiano a cristallizzarsi nel tempo, senza un adeguato controllo dell’operato del giudice istruttore» TRIBUNALE DI TRANI Ord. 28 aprile 2006 «È ammissibile il reclamo al collegio ex art. 669-terdecies c.p.c. contro l’ordinanza con la quale il giudice istruttore modifichi, nel corso del giudizio di separazione, i provvedimenti nell’interesse della prole e dei coniugi pronunciati dal presidente del tribunale», e tanto, in forza del presupposto secondo cui «in assenza di specifica norma derogatrice, la competenza in ordine ai reclami delle ordinanze emesse dal giudice istruttore nell’interesse dei coniugi e della prole che abbiano modi-ficato e revocato i provvedimenti presidenziali spetta al collegio, così come previsto in via generale dalla di-sciplina del processo cautelare». 3. SULL’INAMMISSIBILITÀ DEL RECLAMO AVVERSO I PROVVEDIMENTI DEL G.I. CORTE D’APPELLO DI TRENTO PRIMA SEZIONE DECRETO xxx è stato convenuto davanti al Tribunale di Rovereto dalla moglie xxx per conseguire la separazione giudiziale con disciplina dei rapporti anche rispetto ai figli ancora conviventi, di cui xxx maggiorenne ed economicamente non autonomo ed xxx ancora minorenne. Dopo lo svolgimento della fase presidenziale con esito negativo del tentativo di conciliazione, anche per una soluzione consensuale della lite, e con l’ adozione dei relativi provvedimenti, era iniziata la fase istruttoria, nell’ ambito della quale il G.I., dopo l’espletamento di una CTU, con ordinanza di data xxx 2006 aveva modificato le statuizioni presidenziali per quanto riguardava la disciplina dei rapporti del xxx con la figlia minore, confermando l’ entità dell’ assegno di mantenimento per i figli a carico dell’ odierno reclamante. Il xxx con ricorso depositato in data xxx/2006, impugnava detto provvedimento davanti a questa Corte nella ritenuta applicabilità estensiva del disposto del novellato art. 708 cpc, contestandone le statuizioni sia con riferimento alla soppressione del diritto di visita nei confronti della figlia sia con riferimento alla conferma dell’ entità dell’ assegno di mantenimento a suo carico. Si costituiva in giudizio l’ xxx per eccepire in via preliminare l’ inammissibilità del reclamo e per chiedere nel merito il rigetto dello stesso. Del pari il Procuratore Generale concludeva per la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione. Questa Corte ritiene di condividere la tesi dell’inammissibilità del reclamo in mancanza di una previsione normativa legittimante la sua proposizione. Va infatti escluso che la disposizione contenuta nell’ ultimo comma dell’ art. 708 cpc, a seguito dell’ entrata in vigore della l. 54/06, in base alla quale è stata introdotta la possibilità di impugnare i provvedimenti presidenziali, sia suscettibile di applicazione estensiva o analogica rispetto ai provvedimenti adottati nel corso della fase istruttoria del giudizio di separazione, stante il tenore letterale della norma e la mancanza di qualsiasi elemento che possa militare in favore della tesi sostenuta dal reclamante. In particolare, va considerato, sul piano logico sistematico, l’indiscutibile differenza esistente tra i provvedimenti interinali del Presidente e quelli emessi dal giudice istruttore designato per la trattazione della controversia, soprattutto in considerazione del fatto che i secondi sono sempre suscettibili di essere modificati o revocati dalla medesima autorità giudiziaria che li ha adottati alla luce delle doglianze delle parti o delle variazioni della situazione di fatto: tale differenza fa venir meno anche qualsiasi dubbio circa la legittimità costituzionale della mancata previsione di una facoltà di impugnativa anche per i provvedimenti del G.I. a differenza di quanto statuito per quelli presidenziali. La natura della vertenza ed il carattere interlocutorio della fase non consentono alcuna statuizione in ordine alle spese. PQM Dichiara l’ inammissibilità del reclamo proposto da xxx avverso l’ ordinanza del xxx emessa dal G.I. del Tribunale di Rovereto nell’ ambito della causa di 57 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO separazione in corso tra lo stesso ed xxx Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Trento 21 settembre 2006 IL CONSIGLIERE EST IL PRESIDENTE (Dott.B.Santaniello) (Dott.G.Chimenz) 4. SULLE CONDIZIONI DI PROPONIBILITÀ DELL’ISTANZA DI REVOCA O MODIFICA DEL PROVVEDIMENTO PRESIDENZIALE, AL GIUDICE ISTRUTTORE TRIBUNALE DI MODENA (Sezione II civile) Il g.i. a scioglimento della riserva che precede osserva quanto segue: va dato conto che, nel nuovo processo familiare riformato, prima dalla l. n. 80/2005 e poi dalla l. n. 54/2006, è possibile assoggettare a controllo l’ordinanza presidenziale avente ad oggetto i “provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse della prole e dei coniugi”, di cui all’art. 708, 3° co., c.p.c., sotto un duplice versante. Da un canto, la nuova disciplina ammette uno strumento di revisione in precedenza non previsto dall’ordinamento processuale, costituito dal reclamo in Corte, entro il termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento (art. 708, 4° co., c.p.c.). In passato, veniva di solito esclusa l’ammissibilità del reclamo previsto dall’art. 669 terdecies c.p.c., ritenendosi in prevalenza che l’ordinanza interinale fosse priva di cautelarità, cosicché si permetteva il riesame di tale provvedimento solo da parte del collegio con la pronuncia della sentenza, salva la sola possibilità per il g.i. di modificarne il dictum se “si verificavano mutamenti nelle circostanze”. A tutt’oggi, si è mantenuta quest’ultima possibilità. Nella nuova formulazione normativa è, però, stato espunto il riferimento, in precedenza presente nel vecchio testo dell’art. 708 c.p.c., quale presupposto di ammissibilità, “al mutamento nelle circostanze”. L’art. 709 c.p.c. ha, perciò, acquisito una formulazione analoga a quella contenuta nell’art. 4, co. 8, l. 898/70, cosicché oggi il potere di modifica/revoca non sembra essere vincolato. Il potere modificativo in oggetto pare avere subito una sorta di mutazione 58 genetica; da strumento di adeguamento dello stato di diritto al mutare dello stato di fatto, a strumento di eventuale revisione e controllo (dell’esattezza) delle determinazioni presidenziali, e perciò (anche) quale revisio prioris instantiae. Il legislatore non si è curato, però, di procedere al coordinamento tra le due forme di revisione dell’ordinanza presidenziale, quest’ultimo provvedimento interinale ed incidentale reso rebus sic stantibus, affidandosi perciò implicitamente all’interpretazione. Ebbene, in base ad un criterio di logica ed ancor prima di economicità dei mezzi processuali, non può ritenersi che concorrano insieme due misure di controllo della medesima ordinanza presidenziale, una volta espunto il riferimento al “mutamento nelle circostanze”. Piuttosto, all’interno del sistema normativo, va individuata una forma di coordinamento tra di esse (electa una via non datum recursum ad alteram). Ebbene, una volta scelta la via del reclamo in Corte non è ammessa istanza di revoca, se non in presenza di un “mutamento nelle circostanze”. Non coltivata e perciò perenta la via del reclamo, appare, invece, ammissibile il ricorso per revoca/modifica al g.i., allo scopo (anche) di rivedere il provvedimento presidenziale, rivalutabile anche sotto il profilo dell’opportunità. Posto che il potere del g.i. non appare più condizionato dal requisito del “mutamento nelle circostanze”. Nello specifico, il mancato esperimento del reclamo, condizionante l’ammissibilità dell’istanza di revoca/modifica al g.i., presuppone l’inutile decorso del termine di dieci giorni dalla notificazione. Il termine di proposizione del mezzo, precisa l’art. 709, c.p.c., decorre dalla “notificazione del provvedimento”. Stando all’interpretazione affermatasi sotto la vigenza del precedente testo dell’art. 669 terdecies c.p.c., ante novella del 2005, il termine di proponibilità del gravame decorreva dalla “notificazione da parte dell’ufficiale giudiziario ad istanza di parte” (Cass, Sez. Un., 29 aprile 1997, n. 3670). Tale interpretazione appare ancor’oggi plausibile alla luce del testo innovato dell’art. 708, 4 co., c.p.c, che richiama la notificazione del provvedimento, pur se laconicamente non aggiunge altro (in tal senso, implicitamente, App. Bologna, AIAF RIVISTA 3/2006 8.5.2006, decreto, Rass. merito Giur. it., 2006, 271-272). Nella specie, non risulta in atti che tal termine sia stato fatto decorrere ad istanza di parte, provvedendosi alla notificazione dell’ordinanza presidenziale alla controparte, con la conseguenza che lo stesso ancora potrebbe essere attivato, con reclamabilità del provvedimento in Corte. SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 N el 2002 il Tribunale di Genova emetteva un’innovativa ordinanza (Trib. Genova, sez. IVa, ordinanza del 07.03.2002, Pres. ed estensore Martinelli, Famiglia e Diritto, n. 6/2002, p. 631) in virtù della quale veniva ritenuto ammissibile il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. avverso un provvedimento emesso dal giudice istruttore in un procedimento di separazione personale. Il Tribunale si era pronunciato in un caso in cui il provvedimento del giudice istruttore aveva ad oggetto la collocazione dei figli minori delle parti, rendendo necessario un intervento urgente, ed aveva ritenuto che “il provvedimento adottato a sensi dell’art. 708 c.p.c. ha natura anticipatoria più che cautelare, per cui un’interpretazione letterale dell’art. 669 terdecies c.p.c. parrebbe non consentire il rimedio del reclamo cautelare”. Il Tribunale di Genova risolveva quindi la questione ammettendo il reclamo di tipo cautelare, con una lettura costituzionalmente adeguata dell’art. 669 terdecies c.p.c.. Tale indirizzo giurisprudenziale è rimasto sostanzialmente isolato nel panorama nazionale, nonostante i motivi posti a fondamento della decisione fossero sì innovativi, ma frutto comunque di un’applicazione dei principi degli art. 3 e 24 Cost. in tema di contraddittorio, di obbligo di motivazione e di posizione processuale delle parti, con particolare riferimento alla questione delle garanzie e dell’effettività del diritto di difesa. Successivamente, nel maggio 2006 – a seguito dell’entrata in vigore della riforma di cui all’art. 2, I° c., L. 08.02.2006, numero 54, che ha modificato l’art. 708 c.p.c. introducendo la possibilità di proporre reclamo davanti alla Corte d’Appello avverso i provvedimenti presidenziali provvisori – il Tribunale di Genova ha emesso un’ordinanza collegiale decisamente innovativa – che non è rimasta isolata come la precedente – con la quale è stato ritenuto ammissibile il reclamo davanti alla Corte d’Appello anche per i provvedimenti del giudice istruttore (Trib. Genova, sez. IVa, ordinanza del 07.03.2002, Pres. Martinelli, estensore Oddone). Il Tribunale ha anzitutto constatato che i provvedimenti presidenziali provvisori ed urgenti assunti dal Presidente a sensi del- LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO l’art. 708, III° c., c.p.c. e quelli successivamente adottati dal giudice istruttore a sensi dell’art. 709, u. c., c.p.c. (provvedimenti che possono potenzialmente sopravvivere anche all’estinzione del processo), appaiono tra di loro di analoga natura. Il Tribunale ha quindi ritenuto che, se i provvedimenti presidenziali sono reclamabili con ricorso alla Corte d’Appello a sensi dell’art. 708, III° c., c.p.c. ed i provvedimenti emessi dal giudice istruttore del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari a sensi dell’art. 709, u. c., c.p.c., e se entrambi i provvedimenti hanno analoga natura, proprio per SULL’AMMISSIBILITÀ DEL RECLAMO AVVERSO IL PROVVEDIMENTO DEL G.I.: L’ORIENTAMENTO DEI GIUDICI, DI PRIMO E SECONDO GRADO, DI GENOVA questo motivo anche i provvedimenti del giudice istruttore sono da considerarsi impugnabili davanti alla Corte d’Appello. Secondo il Tribunale infatti l’identica natura giuridica e degli effetti dei due provvedimenti impone che – con un’interpretazione estensiva – si debba loro riservare lo stesso mezzo di impugnazione, quale che ne sia la funzione (presidenziale od istruttoria) svolta dal magistrato che lo ha emesso. Quest’ultima interpretazione ha però avuto vita breve in quanto la Corte d’Appello di Genova, dopo pochi mesi, ha riformato tale pronuncia, ritenendo che i provvedimenti del ENRICO BET* 59 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO giudice istruttore non possano e non debbano essere reclamati davanti all’organo di secondo grado (App. Genova, sez. IIIa, decreto del 20.10.2006, Pres. Rovelli, estensore Sangiuolo). La Corte d’Appello ha quindi dichiarato la propria incompetenza a provvedere e non è neppure entrata nel merito, avendo affrontato e risolto una questione pregiudiziale e meramente procedurale. In primo luogo la Corte d’Appello ha ritenuto che il problema della reclamabilità dei provvedimenti del giudice istruttore sia suscettibile di tre soluzioni: - la prima, maggioritaria, esclude del tutto l’ammissibilità del reclamo; - la seconda – adottata dal Tribunale di Genova con il provvedimento del 2006 sopracitato – ammette il reclamo davanti alla Corte d’Appello, analogamente al provvedimento presidenziale; - la terza ammette la possibilità del reclamo invece “nei modi ordinari”, come previsto dall’art. 709 u. c., c.p.c., sulla base del noto brocardo ubi lex voluit, dixit. La Corte nella sua decisione ha preso atto, in primo luogo, del fatto che “la previsione normativa della reclamabilità dei provvedimenti presidenziali provvisori ha superato la sostenibilità di tale impostazione anche sotto il diverso profilo della necessaria eguaglianza della tutela assentita a situazioni consimili, giacchè non si sottrarrebbe ad un fondato dubbio di costituzionalità il negare la garanzia del secondo grado al provvedimento modificativo assunto dal G. I. dopo averlo riconosciuto all’analogo provvedimento presidenziale”. L’organo di secondo grado ha quindi ritenuto che – contrariamente all’interpretazione data dal Tribunale di Genova – ai provvedimenti emessi dal giudice istruttore si debbano applicare le norme dettate per il reclamo ai provvedimenti cautelari. La Corte ha accolto la tesi – tra le tre diverse riassunte – secondo cui la novella di cui alla L. 54 / 2006 (che prevede la reclamabilità dei provvedimenti presidenziali provvisori) ha introdotto una modalità di impugnazione anomala e del tutto eccezionale, modalità che non è stata in alcun modo prevista espressamente anche per i provvedimenti 60 AIAF RIVISTA 3/2006 modificativi che vengono eventualmente adottati dal giudice istruttore, con la conseguenza che (come eccepito dalla difesa reclamata) per questi ultimi è previsto un preciso mezzo di impugnazione, indicato dall’ultimo comma dell’art. 709 c.p.c. che prevede il reclamo avverso detti provvedimenti con i “mezzi ordinari”, ovvero secondo le modalità previste per i provvedimenti cautelari. La Corte ha da ultimo sollevato un ulteriore, e possibile, problema in ordine alla modifica dei provvedimenti del giudice istruttore in quanto ha osservato che “ulteriormente, da tanto deve trarsi che, pur essendo stata elisa la previsione dell’originario quarto comma dell’art. 708 c.p.c., comunque la vigenza di tale previsione debba ricavarsi dal disposto dell’art. 669 decies c.p.c., sì che non si fondi su un quid novi; (quantomeno la miglior conoscenza di circostanze preesistenti) rispetto a quanto prospettato al Presidente, giacchè diversamente la cognizione della Corte e del G. I. in prima battuta sarebbero sovrapponibili, e si finirebbe per consentire avverso un provvedimento una duplice modalità di reazione, con sostanziale inutilità del reclamo, il cui effetto potrebbe essere sempre vanificato dalla successiva decisione del G. I. sulla scorta della medesima situazione fattuale”. È da tenere presente che la possibilità della “duplice modalità di reazione” ai provvedimenti emessi durante un procedimento di separazione (il reclamo ex art. 708 u. c. c.p.c. e la richiesta di modifica dei provvedimenti al giudice istruttore) sarà certamente fonte di problemi in quanto per tale eventuale sovrapposizione la riforma non ha previsto rimedio alcuno (come osservato anche dalla stessa Corte che ha rilevato che “la lettera assai poco perspicua della novella 54 / 2006 non ha certo contribuito a risolvere” la questione), come del resto accade quando le riforme vengono introdotte in modo non organico. * avvocato in Genova SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO LA RICERCA SULL’AFFIDAMENTO E IL MANTENIMENTO DEI FIGLI CONDOTTA DALL’AIAF LOMBARDIA PRESSO I TRIBUNALI DELLA LOMBARDIA. L’AIAF Lombardia ha effettuato una ricerca presso i tribunali delle due sedi distrettuali, per rilevare l’orientamento giurisprudenziale in merito all’affidamento condiviso, alla sua pratica applicazione e regolamentazione, all’ascolto dei figli, al mantenimento e alle modalità di corresponsione, i cui risultati sono sinteticamente riportati nelle tabelle pubblicate in questo numero. Al termine della ricerca si è tenuto, a Milano il 16 ottobre 2006, un incontro di studio organizzato dall’AIAF Lombardia che è stato strutturato in tre gruppi di discussione, coordinati da un gruppo di avvocati, magistrati e docenti universitari. La discussione si è sviluppata sull’esame delle prassi locali e su casi pratici, di cui riportiamo brevi sunti. GLI ORIENTAMENTI DEI TRIBUNALI DELLA LOMBARDIA SULLA LEGGE 54/06 Milano, 20 ottobre 2006 SCHEDE DI RACCOLTA DATI 1. AFFIDAMENTO CONDIVISO ED ESCLUSIVO. AFFIDAMENTO EX ART. 330 C.C. ESERCIZIO DELLA POTESTÀ CONGIUNTO E DISGIUNTO A. SEPARAZIONE CONSENSUALE L’accordo dei coniugi sulle condizioni di affidamento è determinante, anche se si è scelto l’affidamento esclusivo: SI NO MILANO B. ARSIZIO x x COMO x LECCO x MONZA x PAVIA x VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x Il Presidente davanti ad un accordo di affidamento esclusivo: MILANO B. ARSIZIO espone quanto previsto dalla x x l. 54-06 e consiglia l’affidamento ad entrambi i genitori espone quanto previsto dalla l. 54-06 e di fronte alla conferma dei genitori sulla scelta dell’affidamento esclusivo dispone un rinvio per sentire i figli o rinvia in quanto consiglia ai coniugi la mediazione familiare recepisce l’accordo senza entrare nel merito (salvo contro interessi per il minore) espone quanto previsto dalla legge 54-06 e impone l’affidamento ad entrambi i genitori COMO LECCO MONZA x PAVIA x (se abbastanza grandi) x x x x x x x 61 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO AIAF RIVISTA 3/2006 B. SEPARAZIONE CONTENZIOSA Il Giudice (Presidente o G.I.) dispone l’affidamento a entrambi i genitori: MILANO B. ARSIZIO sempre (tranne i casi limite di evidente x x comportamento pregiudizievole di un genitore verso il figlio), anche nel caso in cui entrambi i genitori hanno chiesto l’affidamento esclusivo e sono in conflitto sempre (tranne i casi limite di evidente comportamento pregiudiziale di un genitore verso il figlio), se vi è la domanda di affidamento condiviso di almeno un genitore solo se non c’è conflittualità tra i genitori COMO x LECCO x MONZA PAVIA x VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x x Se il Giudice dispone l’affidamento ad entrambi i genitori, che sono in conflitto: consiglia loro di rivolgersi ad un centro di mediazione familiare dispone un controllo della situazione da parte dei servizi sociali territoriali MILANO B. ARSIZIO x COMO x LECCO MONZA x PAVIA VARESE x x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x (seppure x non sempre e non necessariamente) Se il Giudice dispone l’affidamento a entrambi i genitori, colloca il figlio: MILANO B. ARSIZIO permanentemente presso un genitore, x x disponendo le modalità di frequentazione con l’altro genitore in via alternata, a metà tempo con x l’uno e l’altro genitore: Se vi è richiesta in tal senso x (solo in x dei genitori questo caso) O se il figlio ha un’età di........ COMO x LECCO x MONZA x PAVIA x VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x x 5 anni Il Giudice (Presidente o G.I.) dispone l’affidamento esclusivo: MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO in caso di evidente comportamento x x x pregiudizievole di un genitore verso il figlio quando i genitori sono in conflitto x (il presid.) altro i G.I. hanno diverso comportamento MONZA x PAVIA VARESE x x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x In caso di affidamento ad entrambi con collocamento presso un genitore, e di affidamento esclusivo, la frequentazione del figlio con il genitore non convivente o non affidatario è di regola così regolamentata dal Giudice: a) week end alternati dal venerdi pomeriggio alla domenica sera, con prelievo e rientro dalla casa del genitore collocatario dal venerdi pomeriggio o sabato mattina con prelievo dalla scuola al lunedi mattina con rientro a scuola 62 MILANO B. ARSIZIO x x COMO x LECCO x MONZA x PAVIA x x VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x (dipende x x dai singoli casi) x x SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO b) durante la settimana coincidente con il proprio week end: MILANO B. ARSIZIO 1 pomeriggio senza pernottamento x 1 pomeriggio con pernottamento e riaccompagnamento a scuola la mattina successiva 2 pomeriggi senza pernottamento x 2 pomeriggi, uno con pernottamento e l’altro senza 2 pomeriggi con pernottamento e riaccompagnamento a scuola la mattina suc. Altro COMO x LECCO x MONZA x PAVIA VARESE x 1 / 2 pomeriggi senza pernottamento BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x dipende della richiesta del Collega variabile a seconda c) durante la settimana non coincidente con il proprio week end: MILANO B. ARSIZIO 1 pomeriggio senza pernottamento 1 pomeriggio con pernottamento e riaccompagnamento a scuola la mattina successiva 2 pomeriggi senza pernottamento x 2 pomeriggi, uno con pernottamento e l’altro senza 2 pomeriggi con pernottamento e riaccompagnamento a scuola la mattina successiva x altro COMO LECCO x x MONZA X x PAVIA VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x dipende variabile d) vacanze di Pasqua, di carnevale e ponti, alternativamente ogni anno con l’uno e l’altro genitore: MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO MONZA si x x x x x no * all’interno della stessa festività, si suddivideNatale e S.Stefano, Pasqua e festa dell’Angelo PAVIA x VARESE x* BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA e) durante le vacanze estive: MILANO B. ARSIZIO non si determina il periodo, e si lascia all’accordo dei genitori si dividono a metà le vacanze dei figli con i due genitori si determina un periodo di 15 giorni x x consecutivi con il genitore non collocatario o non affidatario o 1 mese consecutivo con il genitore x non collocatario o non affidatario altro anche 30 gg non consecutivi COMO LECCO MONZA x x x x PAVIA x generalmente il padre tiene il figlio 2/3 sett. oppure si divide a metà la vacanza estiva x dipende x x un mese non consecutivo f) durante le vacanze invernali: non si determina il periodo, e si lascia all’accordo dei genitori si dividono a metà le vacanze dei figli con i due genitori, senza indicare le date si indicano i due periodi dal 24.12 al 30.12 e dal 31.12 al 6.1 MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO MONZA PAVIA VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x x x x x x x 63 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO AIAF RIVISTA 3/2006 g) Nella regolamentazione si tiene conto dell’età dei figli, e: il pernottamento è disposto dall’età di: MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO non esiste qualunque no, non esiste regola fissa previo raramente regola accordo dei fissa genitori MONZA 3 anni PAVIA VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA 2 anni 1 / 2 anni 4 o 6 anni 3/4 anni Oltre 3 anni (salvo casi specifici in cui il minore può avere età inferiore) MONZA x PAVIA x VARESE fino a tre anni: MILANO B. ARSIZIO la frequentazione con il genitore non convivente è ridotta e senza pernottamenti la frequentazione con il genitore non convivente è ridotta ma vi sono dei pernottamenti la frequentazione con il genitore non convivente è incrementata, ma senza pernottamenti la frequentazione con il genitore x x non convivente è incrementata, anche con pernottamenti COMO LECCO x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x x x x x x x nell’età preadolescenziale e adolescenziale, fino alla maggiore età: il Giudice dispone la frequentazione con il genitore non convivente dopo aver sentito il figlio MILANO B. ARSIZIO si no x x COMO x LECCO x MONZA x PAVIA VARESE x x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x il Giudice nel provvedimento precisa che devono essere rispettati i desideri del figlio MILANO B. ARSIZIO x si si, ma solo dopo l’età di no note COMO LECCO x MONZA x PAVIA x se ci sono problemi si, altrimenti no VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x 12/13 anni 14 anni, prima viene previsto che siano rispettati gli impegni scolastici /ludici) 2. MANTENIMENTO DEI FIGLI. ASSEGNO PERIODICO E MANTENIMENTO DIRETTO. SPESE ORDINARIE E SPESE STRAORDINARIE. Il contributo al mantenimento è disposto d’ufficio dal Presidente o dal G.I.: in via diretta: sempre, in ogni caso quando ne fanno richiesta i due genitori quando ne fa richiesta il genitore non convivente MILANO B. ARSIZIO x COMO x LECCO MONZA x x PAVIA VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x quando è disposto il mantenimento in via diretta: si lascia ai genitori di liberamente provvedere ai bisogni del figlio, si precisano i capitoli di spese che spettano all’uno e all’altro genitore 64 MILANO B. ARSIZIO x COMO LECCO x MONZA x PAVIA VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO mediante corresponsione di assegno mensile e la suddivisione al 50% delle spese scolastiche, di salute, e straordinarie: sempre, in ogni caso quando ne fanno richiesta i due genitori quando ne fa richiesta il genitore affidatario o collocatario altro MILANO B. ARSIZIO x COMO LECCO x MONZA x PAVIA x VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x solo straordinario mediante corresponsione di assegno mensile, comprensivo di ogni altra spesa MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO sempre, in ogni caso quando ne fanno richiesta i due genitori quando... ipotesi che, a discrezione di solito, del Giudice viene adottata in corso di causa MONZA PAVIA VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA solo con l’accordo dei genitori con la forma mista dell’assegno periodico e del mantenimento diretto, disponendo un assegno periodico e la ripartizione tra i genitori per capitoli di spesa cui provvedere al 100% (spese scolastiche, mediche, straordinarie, etc. quando ne fanno richiesta i due genitori altro MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO solo se le parti lo richiedono e vi è accordo anche sul quantum MONZA sempre, in ogni caso PAVIA VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA altre modalità omnicomprensivo fisso Il contributo al mantenimento è quantificato sulla base: delle dichiarazioni dei redditi prodotte del tenore di vita dei coniugi altro MILANO B. ARSIZIO x x x (quale emerge all’esito dell’istruttoria, il contributo è quantificato in sentenza) COMO x LECCO x x documentazione prodotta MONZA PAVIA x x (ultimi 3 anni) x VARESE x x informazioni assunte dai coniugi e indagini bancarie BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x se prodotti la produzione delle dichiarazione dei redditi è richiesta con riferimento agli ultimi tre anni nel decreto presidenziale che fissa l’udienza di comparizione si no MILANO B. ARSIZIO x (problema: x in alcuni casi, le parti non producono, neppure in corso di causa, le dich.) COMO LECCO x x MONZA x PAVIA x VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x il presidente ritiene che la richiesta di produzione sia implicita con l’invito a costituirsi con memoria e documenti x 65 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO AIAF RIVISTA 3/2006 d) se le parti non producono le dichiarazioni dei redditi richieste: MILANO B. ARSIZIO si dispone un rinvio con termine per la produzione si assume un provvedimento sulla x (salvo x base degli elementi raccolti in udienza modifica) nell’ipotesi di soggetto disoccupato x si procede ugualmente alla determinazione del contributo per il figlio in tale ultimo caso nella misura minima di euro COMO LECCO MONZA PAVIA VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x x x x x x 200 compatibile comunque 150/200 x 170/180 e) se la parte non produce la dichiarazione dei redditi o se le dichiarazioni sono palesemente difformi dal tenore di vita della famiglia: MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO MONZA PAVIA VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA si attiva d’ufficio la Polizia Tributaria x x per gli accertamenti si attiva la Polizia Tributaria solo su x x x x x x x istanza della parte Commenti: * CTU NO * è molto frequente la richiesta delle parti, quindi non viene mai disposta d’ufficio; peraltro, non sempre viene accolta richiesta della/e parte/i. In ogni caso evidenzia il Presidente che, molto spesso, le indagini della Polizia Tributaria si rivelano inutili 3. L’ASCOLTO DEL MINORE E L’ACCERTAMENTO DELLE CAPACITÀ GENITORIALI. LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO. LA MEDIAZIONE FAMILIARE. L’INTERVENTO DEI SERVIZI SOCIALI. a) I minori sono ascoltati direttamente dal Giudice (Presidente o G.I.): sempre, anche se non vi è richiesta del genitore spesso, quando: - vi è richiesta del genitore - vi sono motivi gravi (intervento servizi, T.M., etc.) - vi è conflittualità tra i genitori raramente, quando: - vi sono motivi gravi (intervento servizi, T.M., etc.) - vi è conflittualità tra i genitori altro mai MILANO B. ARSIZIO COMO x x LECCO MONZA PAVIA x x x VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x x x x x x su richiesta anche di un solo genitore x x b) Il Giudice sente direttamente i minori: MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO da solo x solo con l’assistenza di un cancelliere x x solo con l’assistenza di un esperto x (psicologo) con la presenza dei difensori no x con la presenza delle parti e dei difensori no x altro senza possibilità per i difensori di parlare MONZA x PAVIA VARESE x no no x x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x no no no no no no no no Il Giudice sente direttamente i minori: nella sua stanza in un’aula attrezzata con registratore e videocamera 66 MILANO B. ARSIZIO x COMO x LECCO MONZA x PAVIA VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO c) Il Giudice delega l’ascolto del minore MILANO B. ARSIZIO x (se disposta x CTU, il Giudice non lo sente) ai servizi psicosociali dell’ASL x ai servizi sociali del Comune x a operatori di Centri privati specializzati x al CTU COMO LECCO MONZA x PAVIA VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x d) Il Giudice dispone la CTU per l’affidamento del minore (o la sua frequentazione), quando: MILANO B. ARSIZIO COMO LECCO MONZA PAVIA VARESE vi è conflittualità tra i genitori, x x e vi è richiesta di parte vi è conflittualità tra i genitori, x x x x anche se non c’è richiesta di parte anche se non vi è conflittualità nè x richiesta di parte, per meglio decidere * nel senso che entrambe le parti chiedono l’affidamento esclusivo, denunciando inidoneità genitoriale dell’altro genitore BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x e) Il Giudice delega al CTU: MILANO B. ARSIZIO COMO l’indagine sulle capacità genitoriali x x x l’indagine sulla personalità dei genitori x x test sui genitori x x test sui figli x x altro * * il CTU decide se sottoporre le parti (solo i genitori, MAI i minori) a i test LECCO x x x x MONZA x x x x PAVIA x VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x x x x x x f) Il Giudice dispone l’indagine dei servizi sociali del Comune quando: MILANO si devono disciplinare i rapporti con il genitore non collocatario/ affidatario e si deve verificare la situazione complessiva del/i minore/i MONZA gravi problematiche B. ARSIZIO nell’ipotesi di problemi socioeconomici/intervento pregresso T.M. o dei servizi COMO la fam. risulta già seguita dai S.S. o in caso di indigenza PAVIA VARESE in caso di rischio, almeno apparente, per il minore MANTOVA d’ufficio se vi è conflittualità o se richiesta di parte BERGAMO i genitori versano in uno stato di indigenza LECCO BRESCIA CREMONA g) Il Giudice dispone l’intervento dei servizi psico-sociali dell’ASL con sostegno psicologico ai genitori quando: MILANO l’esigenza viene segnalata dai S.S. LECCO iIn caso di violenze sessuali o abusi o rifiuto di un genitore a consentire i rapp. del figlio con l’altro BRESCIA B. ARSIZIO nell’ipotesi di problemi socio-economici/ intervento pregresso T.M. o dei servizi MONZA PAVIA vi è la necessità di specifici e specialistici interventi di sostegno BERGAMO COMO VARESE in caso di rischio, almeno apparente, per il minore MANTOVA CREMONA h) Il Giudice sollecita i genitori a rivolgersi ad un centro di mediazione familiare: MILANO B. ARSIZIO in sede presidenziale, prima di x assumere i provvedimenti in sede presidenziale, dopo aver x assunto i provvedimenti in fase istruttoria x x altro quando c’è conflittualità tra i genitori x x anche quando non c’è conflittualità, per meglio sviluppare la loro collaborazione COMO LECCO MONZA PAVIA VARESE x BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA x no non sollecitano x x x x x x x x 67 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO AIAF RIVISTA 3/2006 Si riportano di seguito i sunti riepilogativi dei lavori di gruppo, che evidenziano le questioni più importanti discusse tra i Colleghi esaminando le prassi dei diversi Tribunali. Per quanto riguarda l’affidamento condiviso e la sua applicazione, si rinvia alla lettura dell’articolo di M. Pini, L. 54/06. L’orientamento della giurisprudenza nel primo anno di applicazione, in questo numero della Rivista. GLI ORIENTAMENTI DEI TRIBUNALI DELLA LOMBARDIA SUNTI RIEPILOGATIVI DEI LAVORI DI GRUPPO. 1. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI. ASSEGNO PERIODICO E MANTENIMENTO DIRETTO. SPESE ORDINARIE E SPESE STRAORDINARIE. MIRELLA QUATTRONE (AVVOCATO IN COMO) Il contributo al mantenimento previsto dalla maggior parte dei Presidenti dei tribunali della Lombardia è ancora disposto con la corresponsione di una somma mensile alla quale vengono aggiunte le spese di istruzione, salute, educazione, che ancora vengono spesso indicate come “straordinarie”. È emersa la necessità di evitare indicazioni generiche tipo “spese straordinarie “ che ingenerano confusione e ulteriore contenzioso tra i genitori sulla qualificazione di “spesa straordinaria”. Solo su richiesta delle parti, e quindi se vi è l’accordo, viene disposto il mantenimento in forma diretta. Per quanto riguarda la determinazione dell’assegno periodico a titolo di contributo al mantenimento dei figli, è emersa la necessità di tenere in maggiore considerazione i redditi dei genitori e l’entità dei loro patrimoni, ma soprattutto si è rilevata la necessità di elencare nel modo più analitico possibile le spese che i genitori dovranno ripartire - in proporzione ai loro redditi - e quindi non sempre al 50% ciascuno, indicando in particolare le spese per: - l’assistenza (baby- sitter in assenza dei genitori per motivi di lavoro, rette nido e o scuola materna), - l’istruzione (tasse, rette, libri, cancelleria, gite scolastiche, eventuali ripetizioni, dopo scuola) - la salute (ticket anche per le medicine, visite specialistiche, dentistiche, etc.) - l’educazione (corsi sportivi con relativa attrezzatura, corsi culturali, vacanze studio) - l’assistenza durante l’estate in assenza dei genitori (grest, centri estivi, vacanze che i figli faranno da soli) - mancia settimanale - costo patente, acquisto e manutenzione di mezzo (motorino e o auto) Nell’ottica dell’applicazione dell’affidamento ad entrambi i genitori potrebbe essere omessa la dicitura, “previo accordo di entrambi i genitori”, in quanto l’accordo è sottointeso; sarà il genitore che eventualmente non è d’accordo a dover prendere le iniziative del caso. In merito al mantenimento del figlio maggiorenne non autonomo, si ribadisce la preferenza che l’assegno venga erogato al genitore convivente che anticipa le spese di mantenimento dello stesso figlio. Si ritiene che il versamento diretto dell’assegno al figlio debba essere disposto solo nel caso in cui il figlio maggiorenne non conviva più con il genitore presso il quale era collocato. Una soluzione intermedia potrebbe consistere nella corresponsione dell’assegno per una parte al genitore convivente, per le spese correnti quali alimenti, concorso spese casa etc., e altra parte direttamente al figlio, per abbigliamento e spese varie. Per quanto riguarda la produzione in giudizio delle dichiarazioni dei redditi, la nuova normativa viene rispettata dalla parte ricorrente, in quanto le cancellerie di quasi tutti i Tribunali della Lombardia non accettano i ricorsi se non viene prodotta la documentazione fiscale degli ultimi tre anni. Minore attenzione viene prestata dai Presidenti nei confronti del convenuto; spesso i provvedimenti presidenziali vengono assunti anche se il convenuto non ha prodotto le sue dichiarazio- 68 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO ni dei redditi, e si ritiene sufficiente la sua dichiarazione verbale resa in udienza. Si ritiene necessario che in caso di mancata produzione della dichiarazione dei redditi da parte del convenuto, il Presidente si riservi di emettere i provvedimenti ex art. 708 cpc, concedendo un termine intermedio per la produzione di tale documentazione. Si auspica inoltre che venga fatta sottoscrivere in udienza una dichiarazione sostitutiva di atto notorio circa il reddito percepito, ai fini dell’eventuale punibilità per dichiarazione mendace. L’utilizzo degli accertamenti a mezzo della Polizia Tributaria è poco utilizzato. Si auspica, proprio perchè consapevoli delle difficoltà della Polizia Tributaria a redigere relazioni contenenti elementi utili, che diversa collaborazione venga stretta tra i Tribunali e gli Uffici Imposte Locali - Polizia Tributaria Amministrativa - che più agevolmente possono dare dati e notizie utili e qualificate in merito ai redditi. 2. L’ASCOLTO DEL MINORE E L’ACCERTAMENTO DELLE CAPACITÀ GENITORIALI. LA CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO. LA MEDIAZIONE FAMILIARE. L’INTERVENTO DEI SERVIZI SOCIALI. FRANCA ALESSIO (AVVOCATO IN LECCO) In tema di ascolto del minore si registra una prassi pressoché unanime dei tribunali della Lombardia di non sentire i minori nei procedimenti di separazione consensuale o nei procedimenti contenziosi laddove non si riscontri una conflittualità dei genitori sull’affidamento o i tempi di presenza del figlio presso l’uno o l’altro. Avanti il Tribunale di Monza i minori vengono ascoltati in caso di conflittualità dei genitori in ordine al loro affidamento o al loro collocamento; l’ascolto viene eseguito dal Presidente o dal Giudice Istruttore, senza la presenza dei genitori e senza la presenza dei difensori. Quanto all’età, può essere ascoltato anche un minore di anni 12; in un caso particolare un giudice ha disposto l’ascolto di un bambino di 4 anni, alla presenza di uno psicologo, nominato ausiliario del giudice. In alcuni casi viene disposta consulenza tecnica d’ufficio e al consulente viene affidato anche l’incarico di ascoltare i minori; in caso di conflittualità, la consulenza tecnica viene disposta anche senza la richiesta di parte e al consulente viene conferito l’incarico di indagare sulle capacità genitoriali. Quanto all’intervento dei servizi sociali, di solito viene disposto quando già i servizi sociali sono stati incaricati dal Tribunale per i Minorenni o dal Giudice Tutelare e in ogni caso solo in presenza di problemi di particolare gravità (assoluto rifiuto dei figli di vedere uno dei genitori, maltrattamenti, percosse, abusi); alcuni giudici hanno un rapporto diretto con i servizi sociali, ritenendo che il Tribunale ordinario abbia gli stessi poteri del Tribunale per i Minorenni e l’incarico al consulente viene dato in funzione “terapeutica”. Il Presidente del Tribunale di B. ARSIZIO di prassi non dispone l’ascolto del minore, se non per comprovati motivi, ma nomina un consulente tecnico d’ufficio, anche se non vi è richiesta di parte. Quanto all’intervento dell’ASL, anche in questo Tribunale viene disposto solo se già vi è stato un decreto del Tribunale per i Minorenni, che viene in generale confermato, demandando all’ASL o ai Servizi Sociali territorialmente competenti di compiere una sorta di vigilanza. L’incarico al Consulente tecnico d’ufficio viene formulato in modo molto ampio, comprendendo l’indagine sulle capacità genitoriali, l’indagine sulla personalità dei genitori, test sui genitori e sui figli e quesiti analoghi vengono formulati dai Tribunali di Como, Lecco, Monza, Bergamo. Avanti il Tribunale di Mantova i minori vengono sentiti quando vi è la richiesta di parte; il Presidente sente il minore da solo con l’assistenza del cancelliere, senza le parti e senza i difensori, così come a Brescia, Bergamo e Cremona. 69 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO AIAF RIVISTA 3/2006 La prassi del Tribunale per i Minorenni di Brescia prevede l’ascolto dei minori, da soli, senza le parti, né i difensori, ma a volte il magistrato delega l’ascolto a un consulente tecnico d’ufficio. Il Presidente del Tribunale ordinario di prassi non ascolta i minori, perché ritiene l’ambiente giudiziario incompatibile, ma dispone consulenza tecnica d’ufficio di tipo sistemico. Se una delle parti propone di attivare un percorso di mediazione familiare, sostiene la proposta, ma non la impone. Il Tribunale per i Minorenni ha stipulato un accordo con il servizio pubblico di mediazione e il ricorso alla mediazione familiare è più frequente rispetto al Tribunale ordinario. Quanto all’età del minore di cui viene disposto l’ascolto, al Tribunale per i Minorenni vengono ascoltati anche minori di anni 12, mentre al Tribunale ordinario, di prassi, gli ultra dodicenni. Avanti il Tribunale di Como, nelle udienze presidenziali il minore non viene mai ascoltato dal Presidente. Solo nella successiva fase avanti il Giudice istruttore, se necessario, si procede all’ascolto del minore avvalendosi di un ausiliario o si dispone consulenza tecnica d’ufficio affidando al consulente l’incarico di raggiungere una mediazione o un accordo sulle condizioni, per esempio inserendo nel quesito, al fine di attenuare la conflittualità, la predisposizione di un calendario di incontri. Secondo i Giudici del Tribunale di Como, il magistrato solo trasversalmente si deve occupare dei minori, perché è necessario avere il massimo scrupolo in ordine alla presenza di un contesto neutro, quindi l’audizione viene disposta alla presenza di un consulente o direttamente affidata a un consulente tecnico d’ufficio. Al Tribunale per i Minorenni di Milano, l’ascolto del minore viene fatto direttamente dal Giudice, dopo uno o più incontri preliminari con i genitori e con i legali per isolare i temi sui quali il minore deve essere sentito; se l’istruttoria è delegata a un Giudice onorario, provvede questi all’ascolto; i minori di 12 anni o più vengono sempre ascoltati. All’ascolto del minore viene dedicato molto tempo, anche perché spesso il minore chiede che alcune delle cose dette non vengano riferite e quindi non riportate a verbale, verbale che, in ogni caso, viene fatto sottoscrivere al minore. In alcuni casi specifici e quando si tratta di un possibile grave pregiudizio recato al minore, l’audizione si svolge con la collaborazione dell’ASL e viene video registrato il colloquio; spesso, piuttosto che nominare un consulente tecnico d’ufficio, viene affidato l’incarico ai servizi sociali. Al Tribunale ordinario di Milano, si procede spesso all’ascolto del minore, quando vi è richiesta di uno dei genitori o di entrambi, che rivendicano l’affidamento esclusivo, denunciando l’inidoneità dell’altro genitore; il minore può venire sentito da solo dal giudice, o con l’assistenza di un cancelliere o di un esperto ausiliario del Giudice, a meno che non si ritenga di disporre C.T.U. al fine di condurre un’indagine sulle capacità genitoriali. Può essere conferito un incarico ai Servizi Sociali per una indagine sulla situazione familiare e dei minori o quando si deve procedere a incontri protetti in luogo neutro. Nel caso sia necessario un sostegno psicologico terapeutico per il minore o i genitori, l’incarico viene conferito alla ASL o al CPS della zona di residenza. Il Presidente del Tribunale di Lecco procede spesso all’ascolto dei minori, su richiesta di una delle parti, senza la presenza dei genitori e dei loro difensori, dopo averli ascoltati all’inizio dell’udienza; riassume poi alle parti e ai difensori il contenuto delle dichiarazioni e il cancelliere verbalizza in modo sintetico le dichiarazioni del minore. Raramente invece i minori vengono ascoltati dal Giudice Istruttore, che preferisce nominare un consulente tecnico d’ufficio per condurre l’indagine sulle capacità genitoriali, sulla personalità dei genitori, con possibilità di sottoporre a test sia i genitori, che i figli minori. L’intervento dei servizi sociali viene disposto quando è già intervenuto il Tribunale per i Minorenni o il Giudice Tutelare, di norma per regolamentare gli incontri con il genitore non 70 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO affidatario/collocatario. Raramente viene sollecitato il ricorso a centri di mediazione familiare, anche se spesso la consulenza viene affidata a psicologi, che sono anche mediatori familiari. A Cremona, come a Crema, il Presidente procede raramente all’ascolto dei minori di almeno 12 anni, e solo in caso di elevata conflittualità tra i genitori; l’ascolto avviene alla presenza del cancelliere, senza genitori, né difensori; non delega mai l’ascolto ai servizi sociali, a meno che siano già stati coinvolti. Al Tribunale di Varese, dopo l’entrata in vigore della riforma, viene disposto dal Presidente l’ascolto del minore, nella sua stanza, con l’assistenza del cancelliere; solo in casi eccezionali di estrema conflittualità l’ascolto viene delegato a un consulente tecnico d’ufficio e raramente ai servizi sociali; in ogni caso è diminuito il ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio. Il Giudice suggerisce di avviare un percorso di mediazione familiare solo sull’accordo degli avvocati e in situazioni molto compromesse, ossia quando la situazione non trova adeguata risposta in ambito giudiziario. Al gruppo di lavoro sull’“ascolto del minore” erano presenti alcuni psicologi che hanno espresso una posizione critica in merito all’ascolto del minore da parte del magistrato, sostenendo che, se l’ascolto è volto a stabilire il benessere del bambino, è molto difficile che possa essere fatto da un magistrato. Hanno posto in evidenza come il bambino possa essere strumentalizzato, rendendo quindi inutile il suo ascolto, perché quello che dice potrebbe non essere attendibile. Si è detto che vanno invece preferiti modelli di consulenza tecnica sistemica, che non è centrata sul conflitto, ma sulle tre generazioni coinvolte; il quesito è aperto e si tende a verificare cosa il bambino ha interiorizzato del genitore. Si è anche evidenziato come il codice deontologico degli psicologi vieti di sentire un minore, se non con l’espresso consenso di entrambi i genitori e ci si è quindi domandati se non sia opportuno che il codice deontologico degli avvocati specializzati in diritto di famiglia inserisca una norma analoga. In conclusione, nonostante la legge 54/06 preveda che “Il giudice dispone l’audizione del figlio minore” e sembri introdurre un obbligo di audizione, secondo il gruppo di lavoro si deve procedere all’audizione solo se necessario, omettendola in tutti quei casi in cui non porterebbe alcuna utilità ai fini del provvedimento da adottare. Si auspica che l’ascolto del minore da parte del magistrato avvenga in idoneo ambiente, possibilmente al di fuori dell’orario delle udienze comuni, per non creare tensioni e difficoltà al minore. Non deve essere consentita la presenza dei genitori e dei rispettivi difensori, né di consulenti di parte. Il magistrato può essere coadiuvato da uno psicologo, o altro esperto, quale suo ausiliario. A seconda dei casi il magistrato potrà procedere alla redazione di un verbale che il minore sottoscriverà, oppure potrà riassumere oralmente l’esito dell’ascolto ai genitori e ai rispettivi difensori in un secondo momento, quando il minore avrà lasciato l’aula. Si auspica che possano presto essere reperiti idonei spazi all’interno degli uffici giudiziari dove svolgere con serenità tali adempimenti. Quanto allo strumento della mediazione familiare, si rileva che manca ancora, da parte di magistrati e avvocati, un’appropriata conoscenza delle modalità di svolgimento e delle finalità della mediazione familiare, e spesso si fa confusione tra consulenza tecnica d’ufficio, terapia psicologica e mediazione familiare. La confusione è accentuata dal fatto che non esiste ancora un albo dei mediatori familiari e che sul territorio vi sono numerosi centri pubblici e privati che offrono in contemporanea servizi di mediazione e di terapia, senza la necessaria chiarezza e autonomia di ruoli e competenze. 71 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE DDL BERSANI E DDL MASTELLA DOCUMENTO DELLE ASSOCIAZIONI FORENSI Il Disegno di legge per la Riforma delle professioni intellettuali (cd ddl Mastella) si propone l’introduzione di una regolamentazione di principio volta al riordino del sistema delle professioni intellettuali complessivamente considerate, da attuarsi poi ad opera di appositi decreti delegati. Predispone dunque una cornice entro la quale questi ultimi saranno destinati comunque a “muoversi”. Questo approccio per così dire “unitario” privilegia la comune essenza delle prestazioni professionali, ovvero essere le stesse il frutto esclusivo di un sapere intellettuale, piuttosto che gli elementi di specificità di ciascuna, che ne imporrebbero una regolamentazione distinta; elementi di specificità che per la professione forense consistono essenzialmente nell’essere questa un’attività che non solo tutela diritti costituzionalmente garantiti, ma che -unica fra le altresi fa garante delle libertà individuali e dunque della protezione dello stato di diritto. Tale considerazione avrebbe dovuto determinare il legislatore a dotare la disciplina della professione forense di una autonoma regolamentazione, che tenesse in specifico conto la “funzione cruciale esercitata dalle professioni legali in una società democratica, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, lo stato di diritto e la sicurezza nell’applicazione della legge”, così come si legge nel testo della risoluzione del parlamento europeo (p6_ta (2006)0108). Se pure dunque il governo ha ritenuto prioritaria l’introduzione di una disciplina “di massima”, uniforme per tutti i prestatori di servizi professionali, resterà comunque imprescindibile, in sede di emanazione dei decreti delegati, tener conto della specificità della professione legale nel senso sopra enunciato. È dunque fin d’oggi imprescindibile che la normativa di cornice ponga attenzione alla specificità della professione forense al fine di non pregiudicarla, coerentemente con la normativa dell’Unione Europea richiamata nella stessa relazione al ddl Mastella, e con la risoluzione del Parlamento Europeo appena citata, la quale, “considerando che qualsiasi riforma delle professioni legali ha conseguenze importanti che vanno al di là delle norme della concorrenza incidendo nel campo della libertà, della sicurezza e della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello stato di diritto nell’unione europea” (…) “evidenzia le alte qualificazioni richieste per accedere alla professione legale, il bisogno di proteggere tali qualificazioni che caratterizza le professioni legali, nell’interesse dei cittadini europei e il bisogno di creare una relazione specifica basata sulla fiducia tra i membri delle professioni legali e i loro clienti”; ribadendo inoltre “…l’importanza delle norme necessarie ad assicurare l’indipendenza, la competenza, l’integrità e la responsabilità dei membri delle professioni legali, con lo scopo di garantire la qualità dei loro servizi, a beneficio dei loro clienti e della società in generale, e per salvaguardare l’interesse pubblico”. La qualità della prestazione professionale assume dunque, per le professioni legali, una valenza che travalica il semplice interesse del cittadino ad una prestazione adeguata, per farsi condizione imprescindibile dell’attuazione di valori costituzionali di rango prioritario e della stessa esistenza di una società democratica. Il ddl Mastella riconosce tali esigenze di qualità: la stessa relazione che accompagna il testo di legge, infatti, indica già in premessa che l’essenza del servizio professionale è costituita dall’apporto di cultura e saperi specialistici, da conoscenze tecniche, da capacità dell’intelletto e dell’ingegno. In linea con tale premessa la relazione individua, quale obiettivo del disegno riformatore, il conseguimento di una maggiore “qualità” del servizio professionale e rimette agli ordini ed alle associazioni professionali la cura della qualificazione e dell’aggiornamento dei propri iscritti ed il controllo della qualità dell’offerta. In particolare, la relazione riconosce alle Associazioni Professionali il compito di garantire ai cittadini una prestazione altamente qualificata e specialistica: si legge infatti che “l’obiettivo di tali associazioni è soprattutto quello di dare evidenza pubblica ai requisiti professionali dei propri iscritti” e che proprio per tale motivo, ad esse (la cui registrazione in “un apposito registro ministeriale” è subordinata a rigorosi requisiti), competano funzioni “di verifica della professionalità dei propri associati, di aggiornamento professionale, di adesione a regole deontologiche”, e spetti “la capacità di rilasciare attestati di competenza”. La volontà del governo di riformare il sistema delle professioni intellettuali in maniera da garantire una prestazione di elevata qualità e specializzazione emerge con maggior chiarezza nel testo normativo, il quale tuttavia, forse in ragione delle stesure succedutesi nel tempo, necessita, proprio al fine di conseguire gli obiettivi dichiarati, di taluni interventi correttivi. A titolo esemplificativo: l’art. 8 del ddl, coerentemente con quanto affermato nella relazione, traccia caratteristiche, requisiti e funzioni delle associazioni professionali riconosciute, ribadendo che le stesse adempiono alla funzione di “dare evidenza ai requisiti professionali degli iscritti, di favorire la selezione qualitativa e la tutela dell’utenza” e che pertanto devono essere dotate “di una struttura organizzativa, e tecnico-scientifica adeguata all’effettivo raggiungimento delle finalità dell’associazione, e in particolare i livelli di qualificazione professionale, la costante verifica di 72 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE professionalità per gli iscritti e l’effettiva applicazione del codice etico”. Non si comprende allora perché sia sottratto alle medesime, con riferimento alle attività riservate di cui all’articolo 2 comma 1 lettera e), il potere di “rilasciare attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica e le relative specializzazioni”. Se le attività riservate sono quelle definite dall’art. 2 e dunque “quelle strettamente necessarie per la tutela di diritti costituzionalmente garantiti”, è di tutta evidenza che, proprio in relazione ad esse deve essere garantito un elevato livello di formazione specialistica. E solo le associazioni professionali, così come definite dal ddl, possono oggi garantire la effettiva specializzazione della formazione. A tal fine, anche per chiarire ulteriori ed essenziali punti del Disegno di legge all’esame del Parlamento, le sottoscritte Associazioni chiedono di essere convocate in audizione presso le Commissioni in seduta congiunta deputate all’esame della riforma. Roma, 12 gennaio 2007 AGI (Associazione Giuslavoristi Italiani) AIAF (Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia e i minori) ANF (Associazione Nazionale Forense) UNCAT (Associazione Nazionale Camere Avvocati Tributaristi) Società Italiana Avvocati Amministrativisti UCPI - Unione delle Camere Penali Italiane DOCUMENTO SULLA SPECIALIZZAZIONE FORENSE Sottoscritto a Roma il 16 novembre 2006 nel corso del convegno dell’UCPI QUALIFICAZIONE DELL’AVVOCATO: ACCESSO, SPECIALIZZAZIONE, ALBI DI SPECIALITÀ NELLA NUOVA LEGGE PROFESSIONALE FORENSE A conclusione della Giornata di Studio su “Qualificazione dell’Avvocato: accesso, specializzazione, albi di specialità nella nuova legge professionale forense”, tenutasi a Roma il 16 novembre 2006 su iniziativa dell’Unione delle Camere Penali Italiane, è da registrare un’ampia convergenza, definitasi nel corso della discussione. In un quadro di riferimento generale di disciplina delle professioni intellettuali, con particolare riguardo all’accesso e alla specializzazione, Ordini e Associazioni devono perseguire obiettivi idonei ad assicurare la qualità delle prestazioni. Ferma restando, infatti, l’impossibilità di stabilire vincoli all’esercizio professionale e quindi la facoltà per ogni avvocato di esercitare la propria attività in tutti i settori dell’esperienza giuridica, deve però essere garantita al cittadino la possibilità di scegliere con cognizione di causa un avvocato qualificato e cioè specializzato. Per tali ragioni, nel quadro delle proposte di legge di riforma dell’ordinamento delle professioni, e in particolare di quella forense, meritevoli di interesse, i riferimenti alla specializzazione richiedono di essere valorizzati e integrati con una più analitica disciplina che assicuri l’istituzione di Elenchi di Specialità sulla base di criteri di preparazione professionale, di superamento di esami di specialità all’interno di uno specifico percorso formativo, teorico e pratico e che preveda il mantenimento di un aggiornamento permanente verificato ed attestato dalle associazioni professionali forensi riconosciute come maggiormente diffuse. I sottoscrittori del presente documento per la specializzazione forense auspicano perciò che l’elaborazione legislativa prosegua tenendo conto delle considerazioni sopra sinteticamente esposte. Avv. Oreste Dominioni (Unione Camere Penali Italiane) Avv. Mario Fezzi (AGI, Associazione Giuslavoristi Italiani) Avv. Marina Marino (AIAF, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia e i minori) Avv. Valter Militi (AIGA) Sen. Guido Calvi (Ulivo, vicepresidente della commissione Affari costituzionali del Senato) Sen. Antonino Caruso (An) Sen. Nicolò Ghedini (Fi) Sen. Giuseppe Valentino (An) Avv. Giuliano Pisapia (responsabile Giustizia Prc, e presidente della commissione di riforma del codice penale) 73 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE I n Francia la specializzazione dell’avvocato e la possibilità di renderla nota al pubblico è stata introdotta con la legge n. 71-1130 del 31 dicembre 1971, che ha demandato al Consiglio nazionale dei “Barreaux” (Ordini degli Avvocati) la determinazione delle condizioni generali per ottenere la “mention de spécialisation”. La specializzazione è stata successivamente regolamentata con il decreto n. 91-1197 del 27.11.1991, che prevede: - un elenco di specializzazioni (disposto dal Ministro della Giustizia su proposta del LA SPECIALIZZAZIONE DELL’AVVOCATO IN FRANCIA MILENA PINI Consiglio nazionale dei “Barreaux” (Ordini degli Avvocati); - l’obbligo per l’avvocato di portare a conoscenza del locale Consiglio dell’ordine l’uso della “mention de spécialisation”, con una domanda finalizzata all’iscrizione nell’elenco di quella specializzazione, accompagnata dal certificato che attesta di aver conseguito la specializzazione. Questo certificato è rilasciato a seguito di un esame di verifica della conoscenza della materia, che l’avvocato è ammesso a sostenere dopo almeno quattro anni di esercizio professionale nella specialità rivendicata. La pratica professionale di quattro anni, necessaria per ottenere la “mention de spécialisation” può essere svolta: - in qualità di avvocato o collaboratore di un avvocato già autorizzato qa fare uso della “mention de spécialisation” che si vuole ottenere, 74 AIAF RIVISTA 3/2006 - o in qualità di avvocato associato ad una associazione o ad una società di avvocati in cui uno o più avvocati sono già autorizzati a far uso della “mention de spécialisation” che si vuole ottenere, - risultare, a titolo individuale, da attività, lavori o pubblicazioni relative alla specialità, purché queste attività abbiano una durata di almeno quattro anni. Il periodo di quattro anni della pratica professionale deve essere stato compiuto alle seguenti condizioni, per poter essere preso in considerazione: - rispondere alla durata normale del lavoro, per la categoria professionale considerata; - sere stata remunerata conformemente agli accordi, regolamenti o usi; - n aver subito sospensioni per un periodo superiore ai tre mesi La domanda di ammissione all’esame è rivolta al presidente della Scuola degli Avvocati nel distretto della Corte d’Appello avanti cui l’avvocato esercita. L’esame si svolge una volta all’anno, davanti a un “jury”, composto da un avvocato, un magistrato e un docente universitario; la presidenza del “jury” è assegnata al docente universitario. L’esame è organizzato dai C.F.P.A. (Centri regionali di formazione professionale degli Avvocati, costituiti presso le Facoltà di Diritto, cui è anche demandata la formazione professionale per l’accesso alla professione forense). Il candidato è convocato ad un primo colloquio davanti ad alcuni membri del Consiglio di amministrazione del Centro regionale di formazione professionale, per esporre nei particolari la pratica professionale svolta e le prestazioni effettuate nell’ambito di competenza di cui si vuole ottenere il riconoscimento. Il candidato ammesso all’esame, dopo questo colloquio, deve svolgere: - una esposizione orale (circa 20 minuti) sulla materia (il candidato porta diversi casi professionali o studi su particolari argomenti; il “jury” sceglie tra questi tre casi o studi e lascia poi al candidato la scelta di uno tra questi tre, da esporre) - una interrogazione (circa 30 minuti) sulla redazione degli atti, sulle formalità processuali relative a detti atti, sulla respon- SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE sabilità professionale dell’avvocato nell’ambito di queste attività, sugli aspetti deontologici dell’esercizio professionale nell’ambito della sua pratica specialistica Il candidato, se supera l’esame, ottiene il certificato che attesta il conseguimento della specializzazione in uno o più campi di competenza. Negli elenchi redatti con la legge del 1971 le specializzazioni indicate erano troppo ampie rispetto alla realtà della pratica professionale specializzata degli avvocati, e così un avvocato specializzato in diritto di famiglia non poteva indicare tale specializzazione, ma il più generale “droit des personnes”. Con provvedimento del Ministro della Giustizia del 8.6.1993 è stata modificata la lista delle specializzazioni, che per quanto riguarda il “diritto delle persone” è suddivisa nei seguenti campi di competenza: - droit de la famille - réparation du préjudice corporel - droit des étrangers en France - droit des successions et donation - droit du patrimoine - droit du surendettement - responsabilité civile - assurance des particulers - droit des mineurs. Nel 2002 un dettagliato rapporto del Consiglio Nazionale dei Barreaux ha messo in luce numerosi problemi connessi al riconoscimento della specializzazione e alle modalità dell’esame, emersi nel corso degli anni, che risultano di particolare interesse. Il rapporto evidenzia che: - la “mention de spécialisation” è accordata di preferenza a persone che hanno un’esperienza professionale anteriore al loro accesso alla professione di avvocato; - i docenti universitari e i magistrati che decidono di svolgere successivamente la professione di avvocato ottengono di regola il riconoscimento della specializzazione; - il certificato di specializzazione è divenuto una sorta di diploma universitario che riconosce non tanto l’esperienza professionale, bensì delle conoscenze teoriche; - alcuni “jury” sono stati contestati dai candidati per favoritismi; - non vi è stato sufficiente controllo sulle modalità di rilascio dei certificati di specializzazione. Il Consiglio Nazionale dei Barreaux ha pertanto deciso di modificare l’esame per il conseguimento della specializzazione, dando priorità all’accertamento dell’effettiva pratica e competenza dell’avvocato nel campo rivendicato; pertanto l’esame si svolge oggi secondo le modalità sopra riportate. Per quanto riguarda il titolo della specializzazione e la relativa pubblicità, essendo emerso che molti avvocati titolari della specializzazione e che esercitano effettivamente la loro attività in tale ambito, si rifiutano di menzionarla sulla carta da lettera, per timore di perdere clienti che necessitano di assistenza anche in altri settori di competenza. Per contro, altri avvocati lamentano di non poter indicare il loro specifico campo di competenza in quanto non ricompreso nel titolo della specializzazione, più ampio. Si è pertanto deciso di autorizzare gli avvocati ad indicare sulla carta da lettera, oltre alla menzione della specializzazione conseguita, anche i campi di competenza che rivendicano all’interno della specialità a condizione che abbiano conseguito la specializzazione in tali specifici campi. Successivamente nel 2004 il Consiglio Nazionale dei Barreaux ha adottato le seguenti risoluzioni: - l’avvocato titolare di una “mention de spécialisation” può avvalersene solo se ha conseguito una specifica autorizzazione relativa ad uno o più campi di competenza; - il titolo di “specialista” è riservato ai soli titolari di “mention de spécialisation” che possono, conformemente al decreto del 8.6.93 che fissa la lista delle specializzazioni consentite all’avvocato, farne uso sui loro documenti professionali, indicando “specialista in …”; - negli elenchi e annuari professionali i titolari dei certificati di specializzazione in uno o più campi di competenza sono repertoriati per ordine alfabetico, sotto la rubrica “certificati di competenza” che elenca tutte le specializzazioni. 75 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 Rapport adopté par l’Assemblée générale le 07 septembre 2002. RAPPORT SUR LES MENTIONS DE SPECIALISATION. I/ Rapport de présentation. Le Conseil National des Barreaux a eu, depuis son dernier renouvellement, l'occasion, à plusieurs reprises, l'occasion de se pencher sur la question des spécialisations, au vu des rapports d'étapes successifs qui lui ont été présentés par la Commission de la Formation Professionnelle. Les rapports présentés et leurs annexes ont été diffusés à l'ensemble des barreaux et des différentes organisations professionnelles, pour avis. Le résumé des rapports d'étape a été diffusé à deux reprises à l'ensemble de la profession dans le bulletin "En direct" du Conseil National des Barreaux. Le présent rapport rappelle la méthode retenue et résume l'objet et le contenu de la délibération soumise à l'assemblée générale. A/ La méthode : - la critique : il faut, d'entrée, mettre en exergue le fait que la délibération ci-jointe n'aurait pas pu être 76 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO élaborée si la Commission de la Formation Professionnelle et l'Assemblée générale n'avaient pas, avant le renouvellement du Conseil intervenu le premier janvier 2000, travaillé de façon approfondie sur ce sujet. Le rapporteur s'est appuyé, notamment pour ce qui concerne le constat de la situation, sur les rapports successifs préparés par Eric AZOULAY Les imperfections constatées peuvent être rassemblées de façon sommaire en plusieurs catégories : - la mention de spécialisation est accordée de façon plus libérale aux personnes disposant d'une expérience professionnelle antérieure à leur entrée dans la profession d'avocat, qu'aux personnes disposant d'une expérience professionnelle d'avocat. - bien qu'il s'agisse de reconnaître la réalité de l'expérience professionnelle spécialisée d'avocats, les universitaires et les magistrats prennent plus de place que les avocats dans les jurys. En même temps, on a assisté à une dérive consistant à faire du certificat de spécialisation un semblant de diplôme universitaire reconnaissant non pas une expérience professionnelle, mais des connaissances théoriques. - la pratique de certains jurys dans les Centres Régionaux de Formation Professionnelle a été radicalement contestée par des candidats, dans la mesure où elle a donné lieu à des suspicions de favoritisme et de malthusianisme, tant pour ce qui a trait aux conditions dans lesquelles l'examen s'est déroulé, qu'en ce qui a trait au montant des droits d'inscription exigés, parfois supérieurs à ceux de l'année de formation initiale. - les conditions dans lesquelles les mentions de spécialisation ont été reconnues dans le cadre des mesures transitoires à ceux qui ont pu s'en prévaloir ont été beaucoup trop laxistes, en l'absence de tout contrôle. - enfin, la majeure partie des douze mentions de spécialisation créées en sus de celles que connaissaient les conseils juridiques n'a pas correspondu à la réalité des pratiques professionnelles des avocats, certaines mentions étant beaucoup trop larges par rapport aux activités spécialisées des avocats qui auraient pu les demander, certaines pratiques professionnelles spécialisées se trouvant à cheval sur plusieurs mentions de spécialisation, et le libellé de certaines mentions se trouvant déceptif par rapport à la compréhension du public. C'est notamment sur ce dernier point que se sont focalisées nombre de critiques, sans que les débats de la précédente mandature du Conseil National des Barreaux aient permis de déboucher sur une nouvelle liste. - les solutions envisagées : l'expérience du projet de loi venant réformer la formation initiale des avocats qui n'est toujours pas venu en discussion au parlement, alors que le Conseil National des Barreaux y travaille depuis 1997, démontre que le recours à une méthode de réforme partant d'une modification des textes majeurs, donc de la loi, pour redescendre ensuite par des textes d'application au décret et aux éventuels arrêtés nécessaires pour que la réforme législative entre en vigueur, si elle est satisfaisante sur le plan intellectuel, manque cependant cruellement de rapidité et, en conséquence d'efficacité. Elle se trouve, en outre, soumise aux aléas de la discussion parlementaire et il n'est pas évident que les promoteurs de la réforme se retrouvent dans le texte de loi modifié à leur initiative. Il a paru préférable de recourir à une autre méthode qui prenne en considération les remèdes nécessaires pour répondre aux critiques formulées, et la compétence juridique des autorités susceptibles de les apporter, en essayant de donner toute son application au principe de subsidiarité. Il s'avère, ainsi, que le Conseil National des Barreaux dispose, en vertu de l'article 21-1 de la loi du 31 décembre 1971 modifiée, du pouvoir de : 77 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 "... déterminer les conditions générales d'obtention des mentions de spécialisation..." Une première réflexion aurait conduit à se demander s'il restait de la place pour une autorité entre le législateur et le Conseil National des Barreaux, et si, dans le cadre des dispositions de la loi du 31 décembre 1990, toutes les dispositions concernant les spécialisations prévues par le décret, et, notamment, la composition des jurys ainsi que les conditions particulières conduisant à reconnaître l'expérience professionnelle des avocats tant au cours de l'exercice de la profession que dans leurs activités antérieures à leur entrée dans cette profession, n'entraient pas dans le cadre des "conditions générales d'obtention des mentions de spécialisation". Dans cet ordre d'idées, on aurait pu penser qu'il était nécessaire que le décret du 27 novembre 1991 contienne des dispositions relatives aux spécialisations tant que le Conseil National des Barreaux n'était pas constitué. Néanmoins, était-il justifié que le décret fasse référence à des arrêtés ministériels pour organiser les examens de spécialisation, compte tenu de la compétence attribuée par la loi au Conseil National des Barreaux ? En effet, à partir du moment où cette institution était constituée, il était évident qu'elle devait disposer de l'ensemble de ses prérogatives légales et qu'aucune autorité ne pouvait entrer en concurrence avec elle, sauf disposition spécifique qui n'existe pas en l'occurrence. Ceci d'autant plus que l'article 21-1 de la loi contient des dispositions à caractère tout à fait général, sans restriction aucune. 0n pouvait alors s'interroger sur la légalité de l'intervention ministérielle ayant conduit à l'adoption des divers arrêtés organisant l'examen de spécialisations des 7 janvier et 8 décembre 1993, alors que le Conseil National des Barreaux était constitué. On pouvait aussi s'interroger sur la légalité de la disposition du décret confiant au Ministre de la Justice le soin d'arrêter la liste des mentions de spécialisation. Cependant, ce n'est pas cette première réflexion qui a été retenue dans les rapports d'étape approuvés par le Conseil National des Barreaux. L'idée retenue a été de partir des textes tels qu'ils étaient dans leur état actuel et que le Conseil National des Barreaux engage dès à présent les démarches qui lui sont réservées du fait du contenu de l'article 21-1 de la loi du 31 décembre 1971 modifiée, en adoptant des décisions pour compléter les dispositions actuelles, pour apporter les remèdes adaptés aux pratiques actuelles qui se trouvent contestées. La démarche vise à l'efficacité du système des mentions de spécialisation et non pas à l'affirmation des prérogatives du Conseil National des Barreaux à l'encontre de celles dont la Chancellerie s'est trouvée attributaire par l'effet d'un décret dont la légalité semble pouvoir, sur ce point précis, être contestée. Plus simplement, il s'agit pour le Conseil National des Barreaux, prenant le relais du ministre de la Justice, d'exercer désormais les pouvoirs qui lui ont été dévolus par la loi dans des circonstances où la profession d'avocat a besoin d'une amélioration du système des mentions de spécialisation, ainsi que cela ressort des consultations répétées auxquelles le Conseil a procédé. Il en résultera peut-être que coexisteront sur cette matière des textes de nature différente, issus d'autorités différentes, à des dates différentes. Peut-être sera-t-il, dans l'avenir, nécessaire d'harmoniser ces textes, si, à l'usage, leur coexistence conduisait à un enchevêtrement inextricable de responsabilités ! Ce sera alors la tâche du Conseil National des Barreaux que de s'atteler à cette harmonisation. Pour l'instant il devrait être suffisant d'engager des conversations avec les services de la Chancellerie pour 78 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE examiner en commun les conséquences des dispositions de l'article 21-1 en matière de spécialisations, l'essentiel étant d'apporter immédiatement les remèdes aux inconvénients constatés. C'est cette méthode, proposée par la Commission de la Formation Professionnelle, qui a été adoptée par l'assemblée générale du Conseil National des Barreaux, qui a conduit à envisager deux actions : - une modification du règlement intérieur harmonisé, - une décision du Conseil National des Barreaux concernant les modalités d'attribution des mentions des spécialisation Compte tenu de ce qui précède, la qualification de recommandation qui avait été envisagée initialement paraît insuffisante et il est apparu préférable, compte tenu des dispositions de l'article 21-1 de la loi du 31 décembre 1990, de recourir au terme de décision. C'est ce qui a conduit la Commission de la Formation Professionnelle à présenter à l'assemblée générale le projet d'une véritable décision. B/ L'objet et le contenu de la délibération: Il est apparu à la Commission de la Formation Professionnelle, compte tenu de la méthode retenue, que des remèdes pouvaient être apportés dès à présent sur un certain nombre de sujets, d'autres devant sans doute faire l'objet de discussions complémentaires, car, pour autant que l'existence des dispositions du décret du 27 novembre 1991 en matière de spécialisations ne doive pas être remise en cause, les remèdes envisagés conduiraient à faire perdre leur effet à certaines d'entre elles. Ce serait le cas des dispositions concernant la composition des jurys et de celles concernant l'appréciation de l'expérience professionnelle obtenue par des avocats dans des professions autres avant qu'ils ne soient devenus avocats. Eu égard aux implications de ces dispositions sur la situation personnelle des candidats et aux risques de recours qu'entraînerait nécessairement la présence de décisions du Conseil National des Barreaux rendant de fait désuètes les dispositions du décret dans ces deux domaines, il a paru préférable de ne pas les traiter dès à présent, la situation juridique méritant d'être éclaircie au préalable. La solution la plus simple serait apparemment que le décret soit modifié dans le sens voulu par le Conseil National des Barreaux. Mais on n'évitera pas, cependant, le risque qu'un candidat ne se prévale, un jour, de l'illégalité des dispositions du décret du 27 novembre 1990 ou du décret qui l'aurait modifié, eu égard aux dispositions de l'article 21-1 de la loi réservant au Conseil National des Barreaux le soin de statuer dans ce domaine. Il faudra donc régler un jour cette question de compétence. Dès à présent, les questions de fond que l'assemblée générale du Conseil National des Barreaux a soumises à deux reprises à la consultation générale de la profession sont les suivantes : - l'organisation concrète de l'examen de spécialisation, en insistant sur la vérification de l'expérience professionnelle du candidat et sur le fait que le contrôle des connaissances prévu par les textes actuels ne doit pas dériver vers un examen à caractère universitaire. L'examen doit conduire à la 79 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 vérification de la réalité de l'expérience professionnelle spécialisée du candidat au vu de ses travaux. - la possibilité pour les candidats de demander à ne passer l'examen que sur une partie des matières relevant de la mention de spécialisation et constituant un champ de compétences particulier, avec, dans ce cas, l'obligation, si la mention de spécialisation leur est attribuée, de ne faire état que du champ de compétences correspondant à ces matières pour lesquelles la mention de spécialisation aura été demandée et non pas de la mention globale de spécialisation, - le regroupement de l'ensemble des pratiques professionnelles spécialisées des avocats en un certain nombre de rubriques ou champs de compétence et le rattachement de chacun de ces champs de compétence spécialisés à l'une des mentions de spécialisation existantes, qu'il n'est pas envisagé de modifier. Ce rattachement peut être partiellement contestable dans certains cas, mais il a fallu que chaque pratique professionnelle spécialisée soit rattachée à une des quinze mentions de spécialisations existantes. - il n'a pas été jugé utile de prévoir des dispositions transitoires comparables à celles qui avaient été adoptées en 1990, et qui, à l'expérience, se sont avérées très contestables, du fait du laxisme qui a présidé à l'attribution des mentions de spécialisation pour les personnes qui ont pu bénéficier des mesures transitoires. Par suite, si une personne titulaire actuellement d'une mention de spécialisation souhaitait pouvoir se prévaloir d'une pratique professionnelle spécialisée dans l'un des champs de compétence qui en relève, elle devra justifier de la pratique correspondante, avant de pouvoir en faire état. ceci permettra de garantir au public l'expérience professionnelle spécialisée de l'intéressé. - en parallèle, une modification des dispositions du règlement intérieur relatives à la publicité s'imposait, pour permettre à l'avocat de faire état de sa pratique professionnelle spécialisée dans le champ de compétence pour lequel elle aura été reconnue. En effet, à l'heure actuelle, le règlement intérieur harmonisé ne permet pas de faire état sur le papier à lettres de l'avocat des champs de compétences spécialisés dans lesquels une expérience professionnelle lui serait reconnue par le centre régional de formation professionnelle. Il ne permet que la référence à la mention de spécialisation. L'assemblée générale ayant déjà examiné les questions soumises à la consultation, il n'a pas été jugé nécessaire de les commenter dans le présent rapport une nouvelle fois, d'autant plus que les solutions de fond proposées figurent dans la délibération ci-jointe. La consultation de la profession s'est traduite par un certain nombre de remarques et de prises de position émanant d'Ordres, de centres régionaux de formation professionnelle, et d'organisations syndicales. Certains avocats ont également fait part de leur point de vue personnel sur la question, après avoir lu les bulletins "En direct" dans lesquels des développements avaient été consacrés à la question. Au vu des réponses parvenues au Conseil National des Barreaux, le sujet a été examiné avec beaucoup d'attention. Certaines institutions, Ordres, Centres Régionaux de Formation Professionnelle, Syndicats, ont consacré des séances particulières au sujet des spécialisations et ont fait connaître leur point de vue au Conseil National des Barreaux. Certains organismes ont adopté des délibérations ou motions concernant le projet qui leur avait été communiqué, sans pour autant les transmettre au Conseil National des Barreaux. Même si le contenu de certaines d'entre elles a été rendu public, il est certain que le rapporteur n'a pas eu en mains un inventaire exhaustif des réactions de la profession à la consultation. De même, certaines des réactions obtenues ont fait référence au projet qui leur avait été communiqué et il a été facile d'identifier la nature de cette réaction, la plupart du temps positive. Mais certaines des délibérations et motions adoptées l'ont été au vu d'un rapport présenté par un membre de cette institution qui ne faisait pas nécessairement référence uniquement au projet présenté. 80 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE Il a donc fallu analyser le contenu des délibérations et motions ou de leur résumé, lorsque seul ce résumé a été porté à la connaissance du rapporteur, pour identifier leur sens par rapport au projet sur lequel la consultation a été organisée. On peut donc, sous les réserves exprimées plus haut, résumer comme suit le sens des réactions de la profession : - Les constats suivants sont partagés par une grande majorité des réponses : * inadéquation de la majeure partie des mentions de spécialisation actuelles à la réalité des pratiques professionnelles spécialisées des avocats : la plupart des mentions de spécialisation sont beaucoup trop larges par rapport à la pratique professionnelle spécialisée des avocats, ce qui implique pour les candidats de justifier de connaissances dans des secteurs d'activité ne correspondant pas à leur activité spécialisée. * contestation des conditions dans lesquelles l'examen de contrôle des connaissances est réalisé, et réactions contre la trop grande proximité entre les candidats et les avocats spécialisés membres des jurys avec des effets inverses selon les cas : favoritisme, malthusianisme. * nécessité de recentrer l'examen de spécialisation sur une stricte vérification objective de l'existence d'une pratique professionnelle spécialisée de l'avocat au vu des dossiers dont il fera état en abandonnant toute volonté de vérifier les connaissances du candidat dans les matières qu'il ne revendique pas au sein de celles relevant de la mention de spécialisation. - L'idée de prévoir des champs de compétence spécifiques au sein de chacune des mentions de spécialisation et de permettre au candidat de ne revendiquer, au sein de la mention de spécialisation, que certains de ces champs de compétences spécialisés reçoit un accueil très favorable de la plupart des organismes consultés dont la réponse s'attache à la question. Aucune réponse négative n'a été reçue. Quelques réponses en restent à l'idée de se contenter de modifier la liste des mentions de spécialisation. - Le rattachement de certains champs de compétence spécialisés à une mention de spécialisation plutôt qu'à une autre a été contesté. De même, des suggestions ont été présentées pour la dénomination de certains de ces champs de compétence. Des propositions ont également été formulées pour redéfinir le découpage des matières au sein de certaines mentions de spécialisation. Comme conséquence de la consultation, la Commission de la Formation Professionnelle a décidé de modifier le projet en retenant certaines des propositions concernant l'identification des champs de compétence spécialisés au sein des mentions de spécialisation. Elle n'a pas envisagé de modifier sur d'autres points le dispositif proposé et sur lequel l'assemblée s'était déjà prononcée au vu des rapports d'étape précédents. Le texte ci-joint représente donc le dernier état du projet présenté à l'approbation et à la décision l'assemblée générale du Conseil National des Barreaux. 81 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 II/ Délibération: Ce projet a été soumis à la Commission lors de sa séance du 6 septembre 2002. Il comporte deux parties: - la première partie constitue la décision que le Conseil National des Barreaux pourrait adopter, - la deuxième partie constitue la circulaire d'accompagnement qui pourrait être envoyée aux barreaux et aux C.R.F.P. avec le texte de la décision. A/ Première partie. 1 - Le Conseil National des Barreaux décide de compléter l'article 10.4 du règlement intérieur harmonisé en ajoutant dans le sixième paragraphe, après les mots "une ou plusieurs spécialisations régulièrement acquises", les mots "ainsi que la mention des champs de compétence pour lesquels l'avocat revendique une pratique professionnelle spécialisée dans la spécialité pour laquelle il a reçu une mention de spécialisation et qu'il a demandé à faire reconnaître dans sa demande de certificat de spécialisation." 2 - Le Conseil National des Barreaux, vu les dispositions de l'article 21-1 de la loi du 31 décembre 1971 modifiée le chargeant de déterminer les conditions générales d'obtention des mentions de spécialisation, décide ce qui suit : - les champs de compétence suivants sont reconnus au sein de chacune des mentions de spécialisation : Droit des personnes : Droit de la famille Réparation du préjudice corporel Droit des étrangers en France Droit des successions et donations Droit du patrimoine Droit du surendettement Responsabilité civile Assurances des particuliers Droit des mineurs Droit pénal : Droit pénal général Droit pénal des affaires Droit de la presse Droit immobilier : Construction Urbanisme 82 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE Copropriété Baux d’habitation Baux commerciaux et professionnels Expropriation Droit des mines Droit rural : Baux ruraux et entreprise agricole Droit des produits alimentaires Droit de la coopération agricole Droit de l’environnement Droit public : Droit électoral Collectivités locales Fonction publique Droit public économique Droit de la propriété intellectuelle : Droit des brevets Droit des marques Droit des dessins et modèles Propriété littéraire et artistique Droit de l’informatique et des télécommunications Droit commercial : Droit bancaire et financier Procédures collectives et entreprises en difficulté Ventes de fonds de commerce Droit boursier Transport aérien Transport maritime Transports terrestres Droit de la publicité Droit des sociétés : Droit des sociétés commerciales et professionnelles Fusions et acquisitions Droit des associations et fondations Droit fiscal : Fiscalité des particuliers Fiscalité de l'activité professionnelle Fiscalité internationale Fiscalité du patrimoine T.V.A. Fiscalité immobilière 83 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 Droit social : Droit du travail Droit de la sécurité sociale Droit de la protection sociale Droit économique : Droit des réglementations professionnelles Droit de la concurrence Droit de la consommation Droit de la distribution Droit des mesures d’exécution : Mesures d’exécution forcée Mesures conservatoires Droit communautaire : Droit public européen et communautaire Contentieux devant les juridictions européennes Droit européen de la concurrence Droit des relations internationales : Droits étrangers :Il existe autant de champs de compétence que d’Etats indépendants Contentieux internationaux Contrats internationaux Cette liste a vocation à être complétée à tout moment. Les demandes devront être adressées à la Commission de la formation du Conseil National des Barreaux qui instruira les suggestions présentées et les soumettra à l’assemblée générale pour décision. - les candidats à la mention de spécialisation pourront indiquer dans leur demande qu'ils souhaitent que la vérification de leur pratique professionnelle spécialisée et l'examen de contrôle des connaissances ne portent que sur l'un ou plusieurs des champs de compétence ci-dessus reconnus dans la mention de spécialisation qu'ils revendiquent. - les candidats qui demanderont à faire usage de cette faculté prendront l'engagement, dans leur demande, de ne pas faire usage dans tout document professionnel de la mention de spécialisation, mais uniquement des champs de compétence pour lesquels la mention de spécialisation leur aura été accordée. - ces candidats devront également prendre, dans leur demande, un engagement exprès de suivre une formation continue dans les champs de compétence pour lesquels la mention de spécialisation leur aura été accordée, et de cesser de faire état de ces champs de compétence dans le cas où ils n'auraient pas respecté cet engagement. - les Centres Régionaux de Formation Professionnelle vérifieront, outre la durée et les conditions concrètes de la pratique professionnelle spécialisée revendiquée, son adéquation avec la spécialisation revendiquée, ainsi que, pour les candidats faisant état d'une pratique professionnelle spécialisée limitée à un ou plusieurs des champs de compétence reconnus dans cette spécialisation, l'adéquation entre cette pratique et les champs de compétence pour lesquels la mention de 84 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE spécialisation est revendiquée. - cette vérification pourra prendre la forme d'un entretien avec un membre du conseil d'administration du Centre Régional de Formation Professionnelle au cours duquel le candidat présentera les travaux représentatifs de la pratique professionnelle spécialisée dont il fait état, dont il sera fait rapport au conseil d'administration du centre. - lors de l'examen de contrôle des connaissances, le jury apprécie si le candidat dispose de la connaissance des pratiques professionnelles nécessaires à l'exercice de la profession dans la spécialisation ou dans les champs de compétence auxquels le candidat a limité sa demande. Il vérifie la capacité du candidat à accomplir les actes de sa profession entrant dans les champs de compétence qu'il revendique. - lorsque le candidat limite sa demande de certificat de spécialisation à certains des champs de compétence reconnus en son sein, les sujets de l'exposé sont choisis dans ces champs de compétence. Le candidat peut, dans sa demande de certificat, choisir un ou plusieurs documents à caractère professionnel rédigés par lui et présentés au conseil d'administration comme justificatifs de sa pratique professionnelle spécialisée parmi lesquels le jury devra alors choisir les sujets de l'exposé. - lors de l'entretien suivant l'exposé, le jury pourra notamment interroger le candidat sur la rédaction des actes ressortissant des champs de compétence revendiqués, sur les formalités et sur la responsabilité professionnelle de l'avocat attachées à ces actes, ainsi que sur les aspects déontologiques de l'exercice professionnel de l'avocat dans le cadre de la pratique professionnelle spécialisée dont il fait état. - les Centres Régionaux de Formation Professionnelle devront organiser en commun les épreuves de contrôle des connaissances lorsque le nombre de candidats dans le ressort du centre pour la mention de spécialisation en cause aura été inférieur à deux au cours de l'année précédente ou lorsque le nombre d'avocats disposant de la mention de spécialisation pour laquelle l'examen est organisé est inférieur à dix dans le ressort du Centre Régional de Formation Professionnelle. - les avocats titulaires d'un certificat de spécialisation sans limitation à certains des champs de compétence qui sont reconnus dans cette spécialisation souhaitant faire mention sur leurs documents professionnels d'un ou plusieurs des champs de compétence reconnus au sein de cette spécialisation devront en faire la demande au Centre Régional de Formation Professionnelle. Cette demande sera identique à celle des candidats à la mention de spécialisation demandant qu'elle ne leur soit accordée que pour un ou plusieurs des champs de compétence reconnus au sein de cette spécialité et la vérification de la pratique professionnelle comme l'examen de contrôle des connaissances auront lieu dans les mêmes conditions que pour ces candidats. 85 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 B/ Deuxième partie : Circulaire d'accompagnement SPECIALISATIONS Recommandation destinée aux Bâtonniers et aux Centres Régionaux de Formation Professionnelle d’Avocats. Introduction La complexité croissante des réglementations auxquelles doit faire face le citoyen multiplie les besoins du public en avocats spécialisés. Le législateur de 1971 avait pensé répondre à cette préoccupation en créant quinze mentions de spécialisation. Dix ans plus tard, il s’avère que les pratiques professionnelles spécialisées des avocats ne recoupent qu'occasionnellement les spécialités proposées par les textes. Ainsi, d’une part, des avocats titulaires d’une mention de spécialisation et exerçant leur activité professionnelle dans le cadre des matières relevant de cette spécialisation se refusent de mentionner sur leur papier à lettres la mention dont ils bénéficient, de peur que le public ne s’adresse à eux à propos de sujets qui, tout en ressortissant de la spécialisation qui leur a été reconnue, sont extérieurs à leur activité et à leur compétence. D’autre part, les champs de compétence recouverts par certaines mentions de spécialisation sont si vastes que le titre de la spécialisation n’est pas assez précis pour que le public puisse identifier les compétences des avocats qui en font usage. La profession d’avocat ne saurait pas correctement répondre à l’immense besoin du public dans tous les domaines du droit, si elle n’était pas en mesure de faire connaître au citoyen les compétences des avocats d’une manière qui permette, à la fois, d’identifier les champs d’activité limités revendiqués par l’avocat, et d’assurer la reconnaissance officielle de la compétence spécialisée de l'avocat qui se présente au public comme spécialiste En effet, l’indépendance reconnue à l’avocat dans son exercice professionnel fait qu’on ne peut en aucune façon le contraindre à exercer l’intégralité des champs d’activité entrant dans le territoire de la mention de spécialisation qu’il a obtenue. Ceci a conduit le Conseil National des Barreaux, qui est chargé, en vertu des dispositions de l’article 21-1 de la loi du 31 Décembre 1971 modifiée, de déterminer les conditions générales d’obtention des mentions de spécialisation, à prendre, après consultation de l’ensemble des Ordres et des organisations professionnelles, deux décisions. Tout d’abord, le Conseil a modifié le règlement intérieur harmonisé en autorisant les avocats à faire figurer sur leur papier à lettres, outre les mentions de spécialisation dont ils bénéficient, les champs de compétence qu’ils revendiquent à l’intérieur de la spécialité, sous réserve qu’ils justifient que le CRFP 86 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE leur ait accordé le certificat de spécialisation au vu d’une pratique professionnelle spécialisée dans ces champs de compétence. En même temps, le Conseil National des Barreaux a défini, à l’intérieur de chaque spécialité, un certain nombre de champs de compétence dans lesquels les avocats candidats à la spécialisation sont appelés, s’ils le souhaitent, à faire leur choix. La deuxième décision prise par le Conseil National des Barreaux est de recommander aux Centres Régionaux de Formation Professionnelle de donner la possibilité aux candidats à la mention de spécialisation de ne revendiquer, à l’intérieur de la spécialité, qu’un ou plusieurs champs de compétence parmi ceux qu’il a définis. A charge pour les avocats qui bénéficieraient de la mention de spécialisation en justifiant d’une pratique professionnelle spécialisée limitée à l’un ou plusieurs des champs de compétence ressortissant de la mention de spécialisation correspondante de prendre l’engagement de faire état sur leur papier à lettres des seuls champs de compétence dans lesquels leur pratique professionnelle spécialisée aura été reconnue, et de ne pas faire état de la spécialisation globale. Les avocats candidats recourant à cette faculté prendront aussi l’engagement de suivre une formation continue. La liste des champs de compétence identifiés par le Conseil National des Barreaux n’est pas définie de façon définitive. Elle pourra être complétée chaque année à la demande de la profession, qu’il s’agisse d’avocats agissant individuellement, d’associations ou syndicats d’avocats, des Centres Régionaux de Formation Professionnelle ou des Bâtonniers et des Conseils de l’Ordre. Le Conseil National des Barreaux se réserve la faculté de compléter cette liste de sa propre initiative. 1) Modification de l’article 10.4 du Règlement Intérieur Harmonisé. L’Assemblée Générale du Conseil National des Barreaux a décidé de compléter l’article 10.4 du règlement intérieur harmonisé. Il s’est agi de modifier les dispositions relatives au contenu du papier à lettres de l’avocat. La modification adoptée consiste à ajouter, in fine, dans les mentions qui sont également autorisées, après la mention du logo et celle de la certification, la mention ou des champs de compétence que l’avocat revendique au sein de la spécialisation qu’il a acquis. Le texte ajouté est le suivant : «La mention des champs de compétence pour lesquels l’avocat revendique une pratique professionnelle spécialisée dans la spécialité pour laquelle il a reçu un certificat de spécialisation et qu'il a demandé à faire reconnaître dans sa requête de spécialisation.» Commentaire : Le papier à lettres étant pour la plupart des avocats le principal moyen de se présenter à la clientèle et à ses correspondants, il était particulièrement important que l’avocat puisse faire connaître, s’il le souhaite, le ou les champs de compétence particuliers dans lesquels, à l’intérieur des quinze spécialités reconnues par les textes, il souhaite exercer plus particulièrement son activité. Le silence qu’il marque sur les autres champs de compétence faisant partie de la spécialisation fait apparaître que l’avocat ne souhaite pas y développer son activité. 87 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 Il s’agit, de la sorte, de permettre à l’avocat qui le souhaite de faire apparaître avec plus de précision les domaines d’activité dans lesquels il pense être en mesure d’apporter une compétence particulière au public. Il est en même temps recommandé aux Ordres qui font apparaître les spécialisations reconnues sur les listes des avocats du Barreau qu’ils mettent à la disposition du public, de faire apparaître également les champs de compétence particuliers qui ont été reconnus à l’avocat lors de l’examen de spécialisation. Il est par ailleurs rappelé, on le verra plus loin, que l’avocat qui a demandé à faire examiner sa pratique professionnelle dans des champs de compétence particuliers au sein d’une spécialisation s’est engagé, dans sa demande, à ne faire état, lorsque la spécialisation lui sera accordée, que des seuls champs de compétence pour lesquelles sa pratique professionnelle et ses connaissances ont été reconnues. Les barreaux devront en tenir compte lors de l’établissement des listes susvisées. 2) L’admission à la spécialisation. a) La demande. Le Conseil National des Barreaux, dans le cadre de la mission qui lui a été confiée par la loi, qui le charge de la détermination des conditions générales d’obtention des mentions de spécialisation, a décidé que les candidats pourraient indiquer dans leur demande d’un certificat de spécialisation, leur souhait que l’examen de leur pratique professionnelle spécialisée et celui de leurs connaissances ne porte que sur un ou plusieurs des champs de compétence qu’ils revendiquent à l’intérieur de la spécialisation. Si leur pratique professionnelle spécialisée est reconnue par le CRFP et qu’ensuite ils ont passé avec succès l’examen de contrôle des connaissances, le tout dans les conditions définies ci-après, ils pourront alors faire apparaître sur leur papier à lettres, notamment, les champs de compétence de la spécialisation sur lesquels leur demande a porté. Ils devront s’être engagés, dans leur demande, à ne pas faire usage de la mention de spécialisation à laquelle appartiennent les champs de compétence dont ils se prévalent, mais à ne faire apparaître que la mention de ces champs de compétence. Des modèles de demande sont joints en annexe. On remarquera que l’existence de demandes de ce type ne met pas fin au régime antérieur des demandes de certificats de spécialisation. Comme par le passé, les candidats pourront continuer à se faire reconnaître la spécialisation pour l’ensemble des matières relevant de la mention de spécialisation. Dans ce cas, comme par le passé, l’examen de la réalité de la pratique professionnelle spécialisée et l’examen de contrôle des connaissances porteront sur l’ensemble des matières ressortissant de la mention de spécialisation. Les intéressés pourront , lorsque le certificat de spécialisation leur aura été accordé dans ce cadre faire usage, bien entendu, de la mention attribuée sans restriction. Le Conseil National des Barreaux a également décidé que les demandes de certificats de spécialisation devront nécessairement contenir, à l’avenir, un engagement exprès du candidat à suivre une formation continue et à cesser de faire usage de la mention de spécialisation ou de faire apparaître les champs de compétence au vu desquels le certificat de spécialisation leur a été accordé, dans le cas où ils n’auraient pas respecté leur engagement de formation continue. 88 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE Le Conseil National des Barreaux adressera ultérieurement une recommandation sur la nature et l’importance des actions de formation continue que devront suivre les avocats ayant reçu un certificat de spécialisation pour satisfaire à leur engagement. b) Appréciation de la pratique professionnelle par le Centre Régional de Formation Professionnelle. L’arrêté du 8 Décembre 1993 indique que le dossier de candidature comprend, outre la requête de l’intéressé précisant la ou les mentions de spécialisation dont il sollicite l’usage, tous les documents justificatifs de la pratique professionnelle nécessaires à l’obtention d’une mention de spécialisation. Il incombe au Centre Régional de Formation Professionnelle d’arrêter la liste des candidats admis à passer l’examen. Seuls sont admis à l’examen les candidats dont le Centre a pu apprécier que la pratique professionnelle répondait aux exigences des articles 88 et suivants du décret du 27 Novembre 1991. Le Conseil National des Barreaux recommande aux Centres Régionaux de Formation Professionnelle de s’attacher à examiner non seulement la durée et les conditions concrètes de la pratique professionnelle revendiquée, mais aussi l’adéquation entre cette pratique et la spécialisation revendiquée ainsi que, pour les candidats faisant état d’une pratique professionnelle spécialisée limitée à un ou plusieurs des champs de compétence composant la spécialisation, l’adéquation entre cette pratique professionnelle spécialisée et les champs de compétence revendiqués à l’intérieur de la spécialisation. Le Conseil National des Barreaux considère que le candidat doit être convoqué individuellement à un entretien au cours duquel il devra présenter sa pratique professionnelle spécialisée à des représentants du conseil d’administration du CRFP. Pour que les représentants du conseil d’administration soient en mesure de donner au conseil qui devra trancher un avis autorisé, il est apparu au conseil d’administration que cet entretien ne devait pas durer moins d’une heure, et que le candidat devait pouvoir y présenter ses travaux , le rôle des représentants du conseil d’administration n’étant pas d’apprécier la qualité de ces travaux, mais leur lien avec la spécialisation et les champs de compétence revendiqués. Il est apparu au Conseil National des Barreaux que la délibération du conseil d’administration du CRFP, admettant un candidat à soutenir l'examen de contrôle des connaissances, devait mentionner, pour chaque candidat, soit qu’il sollicitait la spécialisation pour la totalité des champs de compétence qui la composent, soit qu’il limite sa demande à un ou plusieurs des champs de compétence composant la spécialisation, et qu’après vérification, le conseil d’administration avait pris acte du fait que la pratique professionnelle spécialisée présentée était en rapport avec les champs de compétence revendiqués. c) Examen de contrôle des connaissances. L’arrêté du 8 Décembre 1993 prévoit que l’examen de contrôle des connaissances prévu par les articles 91 et suivants du décret du 27 Novembre 1991 se compose de deux parties : - un exposé oral de vingt minutes environ, après préparation d’une heure, sur un sujet tiré au sort par le candidat portant sur la spécialisation revendiquée, - un entretien avec le jury, d’une durée n’excédant pas trente minutes, sur la spécialité. 89 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 Le Conseil National des Barreaux rappelle que le certificat de spécialisation n’est pas un diplôme de nature universitaire, mais une attestation visant à reconnaître que le candidat à la spécialisation dispose de la pratique professionnelle spécialisée nécessaire et suffisante pour donner satisfaction aux besoins du public pour une prestation juridique relevant de la spécialisation. L’objectif de l’examen de contrôle des connaissances doit être un des moyens d’apprécier si l’intéressé dispose de l’expérience nécessaire et de la qualité de cette expérience. Il doit s’agir d’un examen à caractère objectif, destiné à tester, non pas des connaissances universitaires à caractère théorique, mais la connaissance des pratiques professionnelles nécessaires à l’exercice de la pratique professionnelle revendiquée. Les jurys devront donc s’attacher à vérifier la capacité pratique de l’avocat candidat à la mention de spécialisation à accomplir les actes de sa profession entrant dans les champs de compétence qu’il revendique. Le but était de vérifier la capacité du candidat à accomplir des actes professionnels dans un champ de compétence déterminé, les jurys s’attacheront à ne pas interroger les candidats sur des sujets extérieurs aux champs de compétence revendiqués. Compte tenu de la diversité des expériences que le jury aura à examiner, il est recommandé par le Conseil National des Barreaux que le choix des sujets de l’exposé soit aussi proche que possible des champs de compétence revendiqués par le candidat. Le Conseil National des Barreaux a ainsi décidé que le candidat pourrait, s’il le souhaite, proposer au jury, comme lieu de choix des sujets, un texte rédigé par lui, soit que ce texte fasse partie des travaux dont il se prévaut pour la reconnaissance de sa pratique professionnelle, soit qu’il s’agisse d’un mémoire ou d’un acte rédigé à l’occasion de la préparation de l’examen de contrôle des connaissances. Ce choix devra être effectué dans la requête du candidat. Le jury choisira alors trois sujets d’exposé parmi les thèmes du texte présenté par le candidat. Il laissera au candidat le choix du sujet de l’exposé. Il va sans dire que les exigences du jury pourront être renforcées lorsque le candidat aura demandé à présenter un sujet issu de ses propres travaux. Lors de l’entretien qui suit l’exposé, les membres du jury pourront notamment interroger le candidat sur la manière de rédiger des actes ressortissant des champs de compétence correspondant à la pratique professionnelle spécialisée présentée, sur les formalités attachées à ces actes, sur la responsabilité professionnelle de l’avocat dans le cadre de ces opérations, sur les aspects déontologiques de l’exercice professionnel de l’avocat dans le cadre de sa pratique spécialisée. d) Infractions aux engagements pris. Le Conseil National des Barreaux a considéré que l’avocat qui ne respecterait pas les engagements qu’il aurait pris dans la demande et au vu desquels le certificat de spécialisation lui aura été accordé, pourrait avoir commis une infraction aux règles professionnelles, et aurait manqué aux principes essentiels de la profession d’avocat et aux devoirs de l’avocat envers son client, cette infraction pouvant donner lieu à sanction disciplinaire. 90 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE 3) Liste des champs de compétence. Le Conseil National des Barreaux a tenu a réaffirmer le principe selon lequel tous les champs de compétences spécialisés devaient nécessairement se retrouver dans une des quinze spécialisations créées par l’arrêté du 8 Juin 1993. Le Conseil National des Barreaux a décidé de classer les champs d’activité dans les spécialisations, de la manière suivante : Droit des personnes : Droit de la famille Réparation du préjudice corporel Droit des étrangers en France Droit des successions et donations Droit du patrimoine Droit du surendettement Responsabilité civile Assurances des particuliers Droit des mineurs Droit pénal : Droit pénal général Droit pénal des affaires Droit de la presse Droit immobilier : Construction Urbanisme Copropriété Baux d’habitation Baux commerciaux et professionnels Expropriation Droit des mines Droit rural : Baux ruraux et entreprise agricole Droit des produits alimentaires Droit de la coopération agricole Droit de l’environnement : Droit public : Droit électoral Collectivités locales Fonction publique Droit public économique Droit de la propriété intellectuelle : 91 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE Droit des brevets Droit des marques Droit des dessins et modèles Propriété littéraire et artistique Droit de l’informatique et des télécommunications Droit commercial : Droit bancaire et financier Procédures collectives et entreprises en difficulté Ventes de fonds de commerce Droit boursier Transport aérien Transport maritime Transports terrestres Droit de la publicité Droit des sociétés : Droit des sociétés commerciales et professionnelles Fusions et acquisitions Droit des associations et fondations Droit fiscal : Fiscalité des particuliers Fiscalité de l'activité professionnelle Fiscalité internationale Fiscalité du patrimoine T.V.A. Fiscalité immobilière Droit social : Droit du travail Droit de la sécurité sociale Droit de la protection sociale Droit économique : Droit des réglementations professionnelles Droit de la concurrence Droit de la consommation Droit de la distribution Droit des mesures d’exécution : Mesures d’exécution forcée Mesures conservatoires Droit communautaire : Droit public européen et communautaire Contentieux devant les juridictions européennes Droit européen de la concurrence 92 AIAF RIVISTA 3/2006 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE Droit des relations internationales : Droits étrangers :Il existe autant de champs de compétence que d’Etats indépendants Contentieux internationaux Contrats internationaux Cette liste a vocation à être complétée à tout moment. Les demandes devront être adressées à la Commission de la formation du Conseil National des Barreaux qui instruira les suggestions présentées et les soumettra à l’assemblée générale pour décision. 4) Organisation des épreuves de l’examen. L’article 91 du décret du 27 novembre 1991 envisage le cas où plusieurs centres organisent en commun les épreuves de l’examen de spécialisation. Le Conseil National des Barreaux encourage très vivement cette pratique. D’une part, il s’avère que tous les Centres Régionaux de Formation Professionnelle ne disposent pas dans les barreaux de leur ressort de spécialistes dans toutes les spécialités. Ce sera encore plus le cas dans l'avenir puisque les champs de compétence revendiqués par les avocats sont affinés lorsqu’un candidat ne revendique qu’une partie de la spécialisation. D’autre part, il est très difficile, dans bon nombre de Centres, y compris les plus importants, que les candidats à la spécialisation ne soient pas soumis à un examen devant un jury dont fait partie un avocat spécialiste dont l’impartialité ne puisse pas être suspectée car trop proche du candidat. La volonté d’empêcher l’arrivée d’un concurrent direct n’est pas toujours improbable. Le Conseil National des Barreaux recommande aux Centres Régionaux de Formation Professionnelle d’organiser en commun les épreuves de spécialisation et de faire en sorte que les jurys ne contiennent pas d’avocat de la spécialité revendiquée appartenant aux Barreaux de la même Cour d’Appel que le candidat. 93 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 ANNEXES. A/ Modèle de la requête prévue par l’arrêté du 8 Décembre 1993. Le soussigné : Nom Prénoms Date et lieu de naissance Date de prestation de serment Barreau d’appartenance à la date de la requête Domicile professionnel Sollicite l’usage de la mention de spécialisation suivante : Et fait état d’une pratique professionnelle spécialisée dans les champs de compétences suivants, ressortissant à la spécialisation sollicitée : S’engageant, dans le cas où il fait état de champs de compétence spécialisés à l’intérieur d’une des quinze spécialisations reconnues par l’arrêté du 8 Juin 1993, sans faire état de tous les champs de compétence composant cette spécialisation, à ne mentionner, dans le cas où le certificat de spécialisation sollicité lui serait attribué, sur tout document destiné à sortir de son cabinet, que les champs de compétence dont il fait état dans la présente requête, sans faire usage de la mention de la spécialisation accordée. Il s’engage également à cesser de faire usage de la mention de spécialisation qui lui aura été attribuée, et à cesser de mentionner sur tout document destiné à sortir de son cabinet les champs de compétence pour lesquels il a fait état d’une pratique professionnelle spécialisée dans sa demande de certificat de spécialisation et au vu de laquelle le certificat de spécialisation, dans le cas où il n’aurait pas participé à des actions de formation permanente d’une importance suffisante par rapport aux exigences minimales publiées par le Conseil National des Barreaux. Il joint à la présente requête les documents prévus par l’arrêté du 8 Décembre 1993, savoir : - tous documents justificatifs, en originaux ou copies certifiées conformes, de son identité et de son domicile professionnel, - une attestation de sa qualité d’avocat inscrit à un Barreau français, délivrée par le Bâtonnier en exercice, - tous documents justificatifs, en originaux ou en copies certifiées conformes, de la pratique professionnelle nécessaire à l’obtention d’une mention de spécialisation Il s’engage à se rendre à la convocation qui lui sera adressée par le Centre Régional de Formation Professionnelle pour la séance au cours de laquelle il sera amené à présenter aux représentants du 94 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE conseil d’administration la pratique professionnelle spécialisée dont il fait état à l’appui de la présente demande. Il déclare avoir pris connaissance de la faculté qui lui est donnée de demander au jury de choisir les sujets de l’examen de contrôle des connaissances à partir d’un texte rédigé par lui, soit que ce texte fasse partie des travaux dont il se prévaut pour la reconnaissance de sa pratique professionnelle, soit qu’il s’agisse d’un mémoire ou d’un acte rédigé à l’occasion de la préparation de l’examen de contrôle des connaissances, ce texte devant être remis au Centre Régional de Formation Professionnelle destinataire de la présente requête au plus tard le jour où il présentera la pratique professionnelle dont il fait état. Fait à Le Signature du candidat B/ Modèle de certificat de spécialisation. 1) Certificat de spécialisation délivré à un candidat n’ayant pas fait état d’une pratique professionnelle spécialisée limitée à certains des champs de compétence composant la spécialisation : Par délibération du (…), le conseil d’administration du Centre Régional de Formation d’Avocats de (…) a décerné le certificat de spécialisation de droit pénal A M. Avocat inscrit au Barreau de Rappelant que M (…) a pris, dans la requête qu’il a présentée pour solliciter le certificat de spécialisation, l’engagement de cesser de faire usage de la spécialisation qui lui a été reconnue sur tout document destiné à sortir de son cabinet dès lors qu’il n’aurait pas respecté les obligations de formation permanente déterminées par le Conseil National des Barreaux pour les avocats spécialistes. Fait à Le Le président du conseil d’administration 2) Certificat de spécialisation délivré à un candidat à la mention de spécialisation ayant fait état d’une pratique professionnelle limitée à un ou plusieurs des champs de compétence composant une des quinze spécialisations : Par délibération du (…), le conseil d’administration du Centre Régional de Formation d’Avocats de (…) a décerné le certificat de spécialisation de droit pénal A M. Avocat inscrit au Barreau de 95 RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE AIAF RIVISTA 3/2006 Eu égard à la pratique professionnelle spécialisée dont il a fait état dans les champs de compétence suivants: Rappelant que M (…) a pris, dans la requête qu’il a présentée pour solliciter le certificat de spécialisation, l’engagement de ne faire état dans tout document destiné à sortir de son cabinet que des champs de compétence désignés plus haut, pour lesquels sa pratique professionnelle spécialisée a été reconnue à l’exclusion de la mention de spécialisation à laquelle ils appartiennent. Et qu’il a également pris l’engagement de cesser de faire état de ces champs de compétence sur tout document destiné à sortir de son cabinet dès lors qu’il n’aurait pas respecté les obligations de formation permanente déterminées par le Conseil National des Barreaux pour les avocats spécialistes. Fait à Le Le président du conseil d’administration 96 AIAF IL NUOVO STATUTO DELL’AIAF NAZIONALE Approvato a Roma il 16 dicembre 2006 dall’Assemblea nazionale dei delegati AIAF STATUTO dell’associazione nazionale denominata Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori AIAF Articolo 1 - Scopi L’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori, con la denominazione AIAF, con sede in Roma è un’associazione di rappresentanza e di categoria senza fini di lucro che opera sul territorio nazionale, aperta all’adesione di avvocati che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori. L’Associazione si propone: a) di promuovere la rappresentanza associativa tra gli avvocati che esercitano la professione, con continuità o prevalentemente, nel settore del diritto di famiglia e dei minori., b) di fornire ai cittadini che si accingono a scegliere il professionista al quale affidare la propria difesa un criterio fondato sulla capacità tecnica ed di conseguenza si propone di dare pubblica visibilità ai requisiti professionali dei propri associati, e per il raggiungimento di tale finalità, ove previsto in via normativa, potrà chiedere un riconoscimento in via amministrativa che sancisca la legittimazione socioeconomica della loro funzione nel mercato dei servizi professionali. c) di garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto e delle norme deontologiche e di conseguenza prevede come requisito di iscrizione all’associazione l’inesistenza di sanzioni sostanziali disciplinari definitive a carico degli associati. d) di garantire ulteriormente i cittadini prevedendo l’obbligo per i propri associati di avere in atto una assicurazione professionale. e) di provvedere anche tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e penale alla specializzazione e formazione continua degli associati e di quanti, in possesso dei requisiti, vorranno raggiungere una specializzazione in materia di diritto di Famiglia e minorile civile e penale, nonché alla costante verifica di professionalità per gli iscritti dandone comunicazione al CNF e agli Ordini; di rilasciare, sempre tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e penale attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica e le relative specializzazioni, assicurando che tali attestati siano preceduti da una verifica di carattere oggettivo, abbiano un limite temporale di durata e siano redatti sulla base di elementi e dati concernenti la professionalità e le relative specializzazioni direttamente acquisiti o in possesso dell’associazione; f) di promuovere il dibattito sulle tematiche della famiglia e della condizione giovanile, con particolare riferimento alle esigenze di miglioramento e di riforma della legislazione familiare e minorile; g) di incoraggiare, in una prospettiva multidisciplinare, il confronto e la collaborazione con le altre figure professionali che si occupano dell’età evolutiva e della famiglia; h) di favorire, soprattutto tra le giovani generazioni di avvocati, l’acquisizione di una competenza adeguata alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, contribuendo di conseguenza al pieno rispetto dei diritti di ogni persona coinvolta in un procedimento giudiziario, anche attraverso corsi di formazione ed aggiornamento. 97 AIAF AIAF RIVISTA 3/2006 Essa pertanto, svolgerà ogni attività, di carattere formativo, didattico, editoriale, culturale per promuovere l’attività dell’avvocato nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori. L’associazione promuoverà, inoltre, direttamente e/o in collaborazione con altre Associazioni, Enti Pubblici e Privati, ogni iniziativa ritenuta utile e/o necessaria al raggiungimento dello scopo sociale. Articolo 2 - Organizzazione L’AIAF per il conseguimento dei propri scopi sull’intero territorio nazionale, l’AIAF opera anche tramite associazioni territoriali denominate “AIAF-Regioni”. Il Comitato Direttivo Nazionale dell’Associazione riconosce quali associati dell’AIAF Nazionale le Associazioni costituitesi a livello regionale. Il Comitato Direttivo Nazionale ove lo ritenga opportuno, ai fini del raggiungimento degli scopi di cui al art.1 e secondo un equo principio di distribuzione delle Associazioni, e di numero di soci - può autorizzare, a maggioranza dei voti, la costituzione di una Associazione distrettuale denominata “AIAFDistretto”avente le medesime caratteristiche di autonomia e poteri delle Associazioni Regionali. Le AIAF distrettuali sono rappresentate al Comitato direttivo Nazionale solo dal Presidente dell’Associazione Distrettuale. In ogni caso non possono esistere più di due AIAF (del Capoluogo e Distrettuale) nella medesima regione. Le “AIAF Regionali” e “Distrettuali” operano sul territorio delle singole Regioni Italiane, sono costituite in conformità ai principi stabiliti dal presente Statuto e dal Regolamento di Funzionamento delle Associazioni Regionali, parte integrante del presente Statuto. Lo Statuto delle “AIAF Regionali” e “distrettuali” dovrà essere uniformato al modello deliberato dal Comitato Direttivo Nazionale. Detto modello non è modificabile nelle sue parti essenziali. Gli Statuti locali entrano in vigore solo dopo l’approvazione definitiva e la ratifica del Comitato Direttivo Nazionale. Le Associazioni Regionali/Distrettuali non possono avere un numero di soci inferiore a quello stabilito dal Comitato Direttivo Nazionali. Il Presidente Regionale/Distrettuale è garante della politica dell’AIAF sul suo territorio, cura e controlla la gestione amministrativa della Sezione Regionale/di-strettuale e ne è il Legale Rappresentante. Le Associazioni Regionali/Distrettuali sono tenute a conformarsi alle linee programmatiche stabilite dal Comitato Direttivo Nazionale. Le cariche delle Associazioni Regionali/Distrettuali hanno la stessa durata di quelle nazionali, ma devono essere rinnovate almeno 30 giorni prima del rinnovo di quelle nazionali. Articolo 3 – Soci Potranno essere soci dell’A.I.A.F tutti gli avvocati, regolarmente iscritti all’ordine di appartenenza, che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori. Per aderire all’AIAF in qualità di socio, sarà necessario avanzare domanda al Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale ove costituiti o al Comitato Direttivo Nazionale, laddove non sia costituita la Associazione Regionale/Distrettuale essere iscritto all’albo da almeno quattro anni, di garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto e di non avere o avere avuto sanzioni disciplinari sostanziali definitive; di avere in atto e mantenere durante tutto il periodo di iscrizione all’associazione una assicurazione professionale. I1 Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale ove costituiti o il Comitato Direttivo Nazionale, laddove non sia costituita la Sezione Regionale/Distrettuale, ricevuta la domanda, delibera in merito alla sua accettazione o meno entro centoventi giorni dalla sua ricezione. All’accettazione della richiesta di iscrizione, il socio dovrà versare la quota di iscrizione, nella misura stabilita per l’anno in corso dal Comitato Direttivo Nazionale. In caso di mancata accettazione della domanda a socio, il Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale ove costituiti o il Comitato Direttivo Nazionale, laddove non sia costituita la Associazione Regionale/Distrettuale, è tenuto ad indicare i motivi della propria decisione. Il socio che aderisce all’AIAF è automaticamente iscritto alla Associazione Regionale eventualmente costituita sul territorio di appartenenza. La decadenza della qualifica di associato comporta la decadenza anche dalla Associazione Regionale/Distrettuale. 98 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 AIAF Articolo 4 - Patrimonio Il patrimonio dell’AIAF è costituito dai contributi dei soci, dai beni acquistati con questi contributi nonché da eventuali legati e donazioni. La gestione del patrimonio è curata dal Legale Rappresentate dell’associazione, nominato secondo quanto disposto dal successivo articolo 10. I contributi vengono riscossi dalle Associazioni Regionali/Distrettuali entro il trentuno marzo di ogni anno, salve le nuove iscrizioni. Le Associazioni Regionali / Distrettuali dovranno provvedere al versamento della quota annualmente stabilita dal Comitato Direttivo Nazionale, sul conto corrente dell’AIAF Nazionale entro i trenta giorni dalla ricezione della quota. Articolo 5 - Bilanci L’esercizio finanziario dell’associazione ha inizio il 1^ gennaio e termina il 31 dicembre di ciascun anno. Entro il 28 febbraio di ogni anno il Comitato di Presidenza, su proposta del Legale Rappresentate, deve predisporre il rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso da sottoporre all’approvazione del Comitato Direttivo Nazionale. Il Comitato Direttivo Nazionale deve convocare l’Assemblea Generale dei Soci per l’approvazione del rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, entro 120 giorni dalla chiusura dell’esercizio. Il rendiconto ed il preventivo devono rimanere depositati presso la sede dell’Associazione, per almeno i 15 giorni precedenti all’assemblea generale dei soci, e devono essere inviati in copia alle Associazioni Regionali/Distrettuali, almeno 15 giorni prima della data fissata per l’Assemblea. Articolo 6 - Diritti e obblighi dei soci I soci dell’AIAF, in regola con la quota di iscrizione, godono dell’elettorato attivo e passivo rispetto a tutte le cariche; essi sono tenuti al pagamento di un contributo annuale nella misura che verrà determinata dal Comitato Direttivo Nazionale. A partire dal 2007 potranno essere soci dell’AIAF coloro che siano iscritti all’albo da almeno quattro anni e che svolgano in via prevalente o continuativa l’attività professionale nell’ambito del diritto di famiglia e/o minorile civile e penale. In via transitoria gli iscritti all’associazione al 31 dicembre 2006 potranno rinnovare la propria iscrizione pur se iscritti all’albo da tempo inferiore in considerazione della partecipazione all’attività associativa ed alla frequenza dei corsi dalla medesima organizzati, attestati dalla regione di appartenenza. Il versamento del contributo annuale viene eseguito a cura dell’associazione aderente di appartenenza del socio. La qualità di associato si perde: 1. per sopravvenuti motivi di incompatibilità; 2. per aver commesso atti in contrasto con le finalità ed il buon nome della associazione; 3. per accertate gravi inadempienze o di sostanziali mutamenti nell’attività dell’associato che rendano incompatibile o pregiudizievole la sua permanenza nell’associazione; 4. per morosità protratta per oltre un esercizio; 5. per recesso, da comunicarsi per iscritto, almeno tre mesi prima dello scadere dell’anno sociale; 6. per la perdita dei requisiti personali in base ai quali è stata deliberata l’ammissione. 7. per il mancato rispetto del regolamento dell’Associazione; 8. per l’irrogazione di sanzioni disciplinari sostanziali definitive; 9. per non avere in corso l’assicurazione professionale prevista dall’articolo 3 comma 2 del presente statuto; 10. per non aver frequentato quale docente o discente almeno due iniziative di aggiornamento professionale specialistico promosse dall’associazione nell’anno. La perdita della qualità di associato è deliberata, previa audizione dell’interessato ed il parere dei probi viri, dal Comitato Direttivo Nazionale di propria iniziativa o su richiesta del Comitato Direttivo della Associazione Regionale/Distrettuale di appartenenza del socio. Il socio escluso non ha diritto alla restituzione delle quote associative versate. Articolo 7 – Organi dell’associazione Sono organi dell’AIAF: A) l’Assemblea Generale dei Soci; 99 AIAF AIAF RIVISTA 3/2006 B) il Comitato Direttivo Nazionale; C) il Comitato di Presidenza ed il Legale Rappresentante dell’associazione; D) il Collegio dei Probiviri. Le elezioni a qualsiasi carica collegiale devono avvenire per iscritto e sempre con voto limitato a due terzi (arrotondati per eccesso) degli eligendi. Il componente di qualsiasi organo collegiale che non partecipa, senza giustificato motivo a più di tre riunioni consecutive del consesso di cui fa parte viene dichiarato decaduto dall’organo di appartenenza che provvede alla sua sostituzione. Gli organi collegiali durano in carica per un triennio e le cariche di cui al comma precedente sono rinnovabili anche consecutivamente. Articolo 8 - Assemblea Generale dei Soci L’Assemblea Generale dei Soci è costituita da un rappresentante dei soci aventi sede in regioni ove non sia costituita una associazione AIAF regionale/distrettuali, detto rappresentante sarà eletto a maggioranza semplice dei soci di detta regione, ovvero dai delegati delle Associazioni Regionali/Distrettuali costituite, in misura pari a un delegato ogni dieci soci ed in caso di loro impedimento dai delegati supplenti. Ogni partecipante all’Assemblea Generale dei Soci ha un voto e non può avere deleghe. L’assemblea delibera, anche per le modifiche dello Statuto, con le maggioranze previste nell’art. 21, comma 1, del codice civile. L’Assemblea Generale ordinaria è convocata dal Comitato di Presidenza, almeno una volta l’anno per l’approvazione del rendiconto annuale e del bilancio di previsione. L’Assemblea Generale straordinaria è convocata d’iniziativa del Comitato di Presidenza o quando ne facciano richiesta cinque Presidenti Regionali/Distrettuali, per questioni di rilevante interesse associativo. L’Assemblea Generale, ordinaria e straordinaria, viene convocata dal Comitato di Presidenza con avviso di convocazione spedito al domicilio di tutti i delegati, con lettera raccomandata, e-mail, fax o altro mezzo equivalente, purché ne sia certa l’avvenuta ricezione, almeno 30 giorni prima di quello fissato per l’adunanza. In caso di urgenza il termine di convocazione può essere ridotto a 15 giorni. L’Assemblea Generale dei Soci è presieduta da uno dei componenti il Comitato di Presidenza e, in caso di impedimento, dal membro più anziano del Comitato Direttivo. Il Presidente dell’assemblea di turno nomina il segretario dell’assemblea per la redazione del verbale. Spetta all’assemblea: 1. fornire le indicazioni per l’attuazione degli scopi sociali; 2. eleggere ogni 3 anni i componenti non di diritto del Comitato direttivo; 3. approvare la relazione annuale del Comitato di presidenza; 4. approvare annualmente il rendiconto di gestione ed il bilancio di previsione; 5. approvare le modifiche dello statuto. Articolo 9 - Comitato Direttivo Nazionale Il Comitato Direttivo Nazionale è composto, di diritto, dai Presidenti delle Associazioni Regionali / Distrettuali e da un massimo di venti soci eletti dall’Assemblea Generale dei Soci, in modo che ciascuna Regione, proporzionalmente al numero dei soci, non abbia più di due rappresentanti eletti. Il Comitato Direttivo Nazionale elegge al suo interno: a) il Comitato di Presidenza, composto al massimo da tre membri; b) il Direttore Responsabile della rivista; Il Comitato Direttivo Nazionale può eleggere un tesoriere. Il Comitato Direttivo: a. determina la politica associativa; b. indica le linee programmatiche dell’associazione; c. approva annualmente il rendiconto annuale ed il bilancio di previsione predisposto dal Comitato di Presidenza e lo sottopone all’approvazione dell’Assemblea Generale dei soci, ai sensi del precedente articolo 3; d. presenta le eventuali proposte di modifica dello statuto; 100 SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 AIAF e. delibera in ordine alle nuove domande di adesione all’associazione in assenza della Associazione Regionale/Distrettuale; f. stabilisce annualmente le quote sociali e l’ammontare del contributo che l’Associazione Regionale/Distrettuale deve versare all’Associazione Nazionale; g. emana e modifica il regolamento interno. Il Comitato Direttivo Nazionale si riunisce almeno tre volte l’anno per la programmazione, la discussione e la verifica delle iniziative associative. La riunione dovrà essere convocata almeno 20 giorni prima della relativa seduta con lettera raccomandata, e-mail, fax o altro mezzo equivalente, purché ne sia certa l’avvenuta ricezione. In caso di urgenza il termine di convocazione può essere ridotto a 10 giorni. Il Comitato Direttivo Nazionale è presieduto da uno dei componenti il Comitato di Presidenza a turno e può eleggere al suo interno un Segretario per l’organizzazione del lavoro e per la redazione del verbale delle riunioni. Il verbale verrà inviato, a cura del presidente di turno del Comitato Direttivo, a tutti i componenti anche a mezzo fax o e-mail. Articolo 10 - Comitato di presidenza Il Comitato di Presidenza ha i poteri decisionali ed operativi del Comitato Direttivo, salvo quelli riservati per Statuto al Comitato. Il Comitato di Presidenza, elegge al suo interno, il Legale Rappresentante dell’Associazione, che ha i poteri di legge. Il Comitato di Presidenza, predispone la relazione annuale da sottoporre unitamene al rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, al comitato Direttivo Nazionale. Il Comitato di Presidenza, predispone il rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, da presentare al Comitato Direttivo Nazionale entro il 28 febbraio di ogni anno. Il Comitato di Presidenza dura in carica tre anni e può essere rieletto. Articolo 11 - Collegio dei Probiviri Il Collegio dei Probiviri è composto da tre membri eletti, ogni triennio, dall’Assemblea Generale dei Soci tra gli iscritti alle associazioni aderenti. Il collegio dei probiviri dura in carica un triennio, in quanto i suoi membri conservino la qualità di iscritti a un’associazione aderente; la perdita di tale qualità comporta la sostituzione con un supplente, fino allo scadere del triennio. Il Collegio elegge al suo interno un Presidente e giudica inappellabilmente, senza formalità e secondo equità, su ogni controversia tra soci e Organi Centrali e su quanto attiene all’osservanza del presente Statuto, del regolamento e del codice deontologico forense. Deve essere rimessa pregiudizialmente al Collegio dei Probiviri qualsiasi controversia tra soci, tra soci e associazione, anche in relazione alla interpretazione del presente Statuto. Articolo 12 - Durata L’Associazione ha durata illimitata e il suo scioglimento può essere deliberato dall’Assemblea la quale provvederà alla nomina di un liquidatore e delibererà in ordine alla devoluzione del patrimonio. La devoluzione del patrimonio associativo in caso di scioglimento per qualunque causa dell’Associazione avverrà a favore di associazioni con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità. Articolo 13 - Rinvio Per tutto quanto non previsto nel presente Statuto si fa riferimento al codice civile e alle disposizioni di legge in materia. Articolo 14- disposizioni transitorie Statuto e Regolamento di funzionamento delle Associazioni Regionali, parte integrante del presente statuto, entrano in vigore al momento stesso della loro approvazione da parte degli organi a ciò preposti. Gli associati e gli organi statutari attualmente in carica dovranno adeguarsi alle nuove normative previste dal presente Statuto, entro il 31.03.2007. 101 AIAF AIAF RIVISTA 3/2006 L’AIAF VERSO IL CONGRESSO 2007 L'AIAF è arrivata all'appuntamento congressuale in un momento di grande impegno della classe forense ed in particolare di tutte quelle associazioni, come la nostra, che hanno fatto della specializzazione e della formazione continua degli avvocati una bandiera distintiva rispetto alle associazioni generaliste. Non vi è dubbio che negli anni ci siamo trasformati da associazione culturale che si poneva l'obiettivo, utile ed interessante, cui non pensiamo di rinunciare, di approfondimento dei temi della famiglia e delle connesse problematiche di diritto sostanziale e processuale, in una associazione capace di rappresentare gli interessi di quei Colleghi che svolgono attività nel campo del diritto di famiglia e minorile. Per questo è necessario essere capaci di esprimere il nostro punto di vista su questioni quali la formazione e l'aggiornamento professionale, la specializzazione, l'ordinamento professionale, la politica legislativa che ci riguarda in quanto avvocati e quella che riguarda il diritto di famiglia e minorile ( in questo momento i temi all'attenzione del Parlamento sono davvero molti: la riforma ordinamentale in materia di diritto di famiglia e minorile, il cognome, i pacs, il testamento biologico..). Questa è senza dubbio una sfida impegnativa, sfida che dobbiamo essere pronti a raccogliere con entusiasmo ed impegno, utilizzando concretamente tutte le potenzialità della nostra associazione, facendo conto anche sull'impegno di forze giovani ed entusiaste nell'ambito di un necessario processo di rinnovamento. Non vi è dubbio che questo appuntamento congressuale è di grande importanza anche perché ci consentirà di riflettere su quelle che sono state le esperienze passate e di comprendere come aggiornare e raddrizzare la barra del timone dell'associazione per renderla adeguata ai tempi ed agli impegni che ci attendono, e perché la stessa possa esprimere al meglio tutte le potenzialità che la caratterizzano. Già da tempo, proprio in considerazione dell'importanza del momento che l'associazione si accinge a vivere, abbiamo invitato i rappresentanti delle istituzioni, nonché i rappresentanti delle più importanti associazioni forensi di magistrati a partecipare alla giornata del 24 maggio 2007 e già abbiamo raccolto le prime adesioni e dichiarazioni di disponibilità a partecipare . Auspichiamo pertanto la più ampia partecipazione dei soci dell'AIAF a questo importante appuntamento congressuale. AVV. 102 MARINA MARINO SETTEMBRE - DICEMBRE 2006 AIAF CONGRESSO NAZIONALE AIAF ROMA, 24 - 26 MAGGIO 2007 Giovedì 24 maggio 2007 Sabato 26 maggio 2007 Ore 16 Cerimonia inaugurale Saluti degli invitati Relazione di sintesi degli ultimi tre anni dell'Associazione Ore 9 3a sessione: “L'attività di formazione specialistica e di aggiornamento professionale dell'AIAF” Relazione introduttiva Avv. Milena Pini Dibattito congressuale Ore 19 Cocktail Venerdì 25 maggio 2007 Ore 9,30 1a sessione “L'AIAF esperienza passata e proposte per il futuro” Relazione introduttiva Avv. Marina Marino Dibattito congressuale Ore 13,30 Colazione di lavoro Ore 13 Colazione di lavoro Ore 14,30 4a sessione: “Proposte modifica statuto” Relazione introduttiva Dibattito congressuale Ore 17,30 Presentazione ed approvazione delle mozioni congressuali Elezione e proclamazione dei componenti degli organismi nazionali Chiusura lavori Ore 15 2a sessione Ore 21,30 “Proposte AIAF in tema di Ordinamento forense” Cena di gala Relazione introduttiva Avv. Luisella Fanni Dibattito congressuale Ore 21 Spettacolo Si ricorda che ai sensi dello statuto dell'AIAF nazionale tutti i soci possono partecipare ai lavori congressuali, mentre gli organismi nazionali vengono eletti dai delegati delle AIAF regionali e distrettuali, a loro volta eletti nei Congressi che saranno precedentemente convocati in sede locale. Verranno rese note prossimamente le modalità di partecipazione al Congresso. 103 AIAF RIVISTA 3/2006 AIAF AIAF - ORGANI STATUTARI Consiglio di Presidenza Marino Marina (rappresentante legale) Fanni Luisella Dionisio Antonio Comitato Direttivo Centrale Presidenti delle sezioni regionali: Serafini Maria Carla viale Leopoldo Muzii 100, 65123, Pescara; tel 085.4214275, fax 085.4229715; [email protected] Mendicino Stefania via del mare, 88040, Lamezia Terme (CZ); tel. 0968.51003; [email protected] Campania - Napoli: Delcogliano Erminia via Scipione Capece 3/c, 80121, Napoli; tel. 081.640726 - 0824.312909 Campania - Salerno: Gassani Gian Ettore corso Vittorio Emanuele 203, 84122 Salerno; tel/fax 089.220254; [email protected]; www.studiolegalegassani.it Emilia Romagna: Fabj Ada Valeria via Garibaldi 5, 40124, Bologna; tel 051.581706, fax 051.581329; [email protected] via Nazario Sauro 3, 33100, Udine; [email protected] Friuli Venezia Giulia: Montemurro Maria Lazio: Marino Marina viale Mazzini 9 -11, 00195, Roma; tel 06.3202351, fax 06.3202345; [email protected] Liguria: Figone Alberto piazza Leonardo da Vinci, 2/3, 16146 Genova; tel 010.367908, fax 010.367908 Lombardia: Pini Milena Galleria Buenos Aires 1, 20124, Milano; tel 02.29525195, fax 02.29531352; [email protected] Marche: Pelamatti Cagnoni Anna via Calatafimi 2, 60121, Ancona; tel 071.202108, fax 071.200972; [email protected] Piemonte: Scolaro Antonina corso Re Umberto 28, 10128, Torino; tel 011.5617102, fax 011.5617188; [email protected] Puglia: Marseglia Ada via Tasso 12, 72019, S.Vito dei Normanni (BR); tel 0831.951611, fax 0831.952872; [email protected] Sardegna: Fanni Luisella via Deledda 39, 09127, Cagliari; tel.070.663904, fax 070.663904; [email protected] Sicilia: D’Agata Remigia via G.Almirante 15/17, 95030, Tremestieri Etnero (CT); tel 095.4032053, fax 095.4034393; [email protected] Toscana: Cecchi Manuela via Bonifacio Lupi 14, 50129, Firenze; tel 055.494284, fax 055.486912; [email protected] Umbria: Tiburzi Maria Rita viale Indipendenza, 06124, Perugia; tel 075.5726151, fax 075.5726151; [email protected] Veneto: Sartori Alessandro via Dominutti 20, 37135, Verona; tel 045.8011711, fax 045.8002752; [email protected] Abruzzo: Calabria: Componenti eletti: Abram Daniela via Barberia 14, 40100 Bologna; tel. 051.583338 Alessio Franca via Roma 45, 22053, Lecco; tel 0341.282181, fax 0341.286164; [email protected] Bet Enrico p.zza della Vittoria 11/16, 16121, Genova; tel 010.5959159-010.580117, fax 010.5760014; [email protected] Bond Lorenza via D’Azeglio 27, 40123, Bologna; tel 051.6486123, fax 051.6565579 Cacco Maria Paola via Longhin 121, 35129, Padova; tel 049.774276, fax 049.776909; [email protected] Dama Rosanna viale Costituzione Is.G/1, 80143, Napoli; tel 081.7879271, fax 081.7879274 De Strobel Gabriella via Santa Chiara 15, 37129, Verona; tel 045.594301, fax 045.8011023 Dionisio Antonio c.so Vittorio Emanuele 92, 10121 Torino; tel. 011.5613742, fax 011.5613982; [email protected] Geraci Diego via D’Annunzio 62, 95129 Catania; tel. 095.552183, fax 095.445011; [email protected] Macis Valentina via Rossini 61, 09128, Cagliari; tel.070.41082, fax 070.485101; [email protected] Maggiano Liana via Assarotti 10/18, 16122 Genova; tel. 010.8313041, fax 010.816805; [email protected] Marcucci Carla via Francesco Carrara 28, 55100 Lucca; tel. 0583.495616, fax 0583.490484; [email protected] Marinucci Anna piazza Duomo 11 / B, 07100, Sassari; tel e fax 079.235548; [email protected] Mirto Caterina via Agrigento 51, 90141, Palermo; tel 091.6257151, fax 6254575; [email protected] Montano Maria Gigliola piazza Benamozegh 17, 57123, Livorno; tel 0586.891084, fax 0586.899857; [email protected] Morandi Nicoletta viale Carso 51, 00195, Roma; tel. 06.3720292, fax 06.37352806; [email protected] Pacciarini Anna Maria via Marconi 3, 06012 Città di Castello (PG); tel. 075.8554434, fax 075.8554434; [email protected] Pomarici Costanza via Lucrezio Caro 38, 00193, Roma; tel 06.3244839, fax 06.32609700 Quattrone Mirella via Varese 67, 22100, Como; tel 031.272461, fax 031.271647; [email protected] Collegio dei probiviri Ferraris Giovanna Lupo Marina Pozzi Angela 104 via Manzoni 3, 21100, Varese; tel 0332.234601, fax 0332.835255; email [email protected] corso Italia 29, 50123 Firenze; tel. 055.286207, fax 055.2645821; [email protected] via Rubbiani 1, 40124, Bologna;tel 051.580096, fax 051.580759