la legge 54/06 e l`affidamento condiviso riforma della

RIVISTA DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DEGLI AVVOCATI PER LA FAMIGLIA E PER I MINORI
2006/3
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO
CONDIVISO
RIFORMA DELLA
PROFESSIONE FORENSE E
SPECIALIZZAIZONE
W W W. A I A F - A V V O C AT I . I T
Anno XI-no 3, settembre-dicembre 2006
Qadrimestrale; registr. Tribunale Roma n.496 del 9.10.95.
Stampa: Tip. Quatrini A. & figli snc, v. S.Lucia 43-47, 01100 Viterbo
SOMMARIO
Editoriale_
2 Affidamento condiviso. Primo anno di applicazione.
MILENA PINI
La legge 54/06 e l’affidamento condiviso _
4 Profili processuali della l. n. 54 del 2006 sul cd. affidamento condiviso dei figli.
ANDREA GRAZIOSI
27 Le nuove norme in materia di mantenimento dei figli e di assegnazione della casa familiare.
MARIA GRAZIA SCACCHETTI
43 L. 54/06. L'orientamento della giurisprudenza nel primo anno di applicazione.
MILENA PINI
53 La giurisprudenza sulla reclamabilità e sulla modifica dei provvedimenti presidenziali e del G.I.
59 Sull'ammissibilità del reclamo avverso il provvedimento del G.I.: l'orientamento dei giudici, di
primo e secondo grado, di Genova
ENRICO BET
61 La ricerca sull'affidamento e il mantenimento dei figli condotta dall'AIAF Lombardia presso i
Tribunali della Lombardia.
- Le schede con la raccolta dei dati.
- Sunti riepilogativi dei lavori di gruppo:
68 1. Il mantenimento dei figli. Assegno periodico e mantenimento diretto. Spese ordinarie e spese straordinarie
ANNO XI - N° 3,
SETTEMBRE-DICEMBRE 2006,
NUOVA SERIE QUADRIMESTRALE
MIRELLA QUATTRONE
69 2. L'ascolto del minore e l'accertamento delle capacita' genitoriali. La consulenza tecnica d'ufficio. La mediazione
familiare. L'intervento dei servizi sociali.
FRANCA ALESSIO
Riforma della professione forense e specializzazione_
72 I comunicati delle Associazioni forensi sulla specializzazione e la riforma della legge professionale.
74 La specializzazione degli avvocati in Francia.
76 Rapport sur les mentions de specialisation (Rapport adopté par le Conseil National des Barreaux le
7 septembre 2002).
AIAF_
97 Il nuovo statuto dell'AIAF nazionale
102 Il Congresso dell'AIAF convocato a Roma il 24 - 26 maggio 2007
Redazione
GALLERIA BUENOS AIRES 1,
20124 MILANO
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EMAIL: [email protected]
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Direttore responsabile
MILENA PINI
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TIPOGRAFIA
QUATRINI A. & FIGLI SNC
V. S.LUCIA 43-47,
01100 VITERBO
1
EDITORIALE
L
a legge 8.2.2006, n. 54 (Disposizioni
in materia di separazione dei coniugi
e affidamento condiviso) ha compiuto
un anno.
Come previsto, la sua applicazione ha suscitato un intenso dibattito in dottrina e giurisprudenza su molteplici questioni di natura
sostanziale e processuale, logica conseguenza di un testo legislativo lacunoso e approvato frettolosamente a fine legislatura, nonostante le critiche che ne avevano accompagnato il pregresso iter parlamentare.
All’atto pratico, giudici e avvocati hanno
dovuto tradurre in soluzioni concrete e fun-
AFFIDAMENTO
CONDIVISO.
PRIMO ANNO DI
APPLICAZIONE.
MILENA PINI *
2
zionali al caso specifico le teoriche affermazioni di chi aveva ispirato la legge e aveva in
mente di dividere in due i figli, di farli saltare a giorni alterni dal letto della casa di un
genitore a quello dell’altro e soprattutto di
non versare alcuna somma all’altro genitore.
I giudici di merito, come la stessa Cassazione, sono stati quindi impegnati in questa prima fase di applicazione della legge 54/06 ad
elaborare un orientamento che, pur tenendo
ovviamente conto del giusto (e mai negato)
principio della corresponsabilità genitoriale
e dell’importanza della presenza di entrambi
i genitori nella vita dei figli, avesse come
riferimento centrale e prioritario l’effettivo
interesse dei figli sotto ogni profilo.
Esaminando le pronunce sinora emesse, si
rileva che la giurisprudenza prevalente continua a confermare il pregresso indirizzo che
si era consolidato nel corso degli anni su
numerose questioni relative all’espletamento
della funzione genitoriale e al mantenimento
dei figli.
Si è così affermato che l’affidamento condiviso non si identifica con l’affidamento
alternato e non comporta una automatica
paritaria divisione tra i genitori dei tempi di
frequentazione dei figli, ma significa condivisione della responsabilità genitoriale, da
attuare con il dialogo e la collaborazione tra
i genitori, nel rispetto delle esigenze dei
figli; si continua a disporre il collocamento
dei figli presso un genitore, per mantenerli
nell’habitat domestico dove sono cresciuti
fino a quel momento e non sottoporli a traumatiche modifiche delle loro abitudini di
vita; si attribuisce quasi sempre un assegno
periodico, preferendolo al mantenimento
diretto, o si attuano forme miste delle due
modalità di contribuzione, specifiche al
caso.
Rimangono, sinora, isolate le pronunce che
dispongono la permanenza dei figli “tre giorni presso la madre e tre giorni presso il
padre”, o l’ “assegnazione della casa ai figli”
con i genitori che vi si alternano, e minoritarie quelle che dispongono il mantenimento
diretto, e che già sono state censurate dalla
Cassazione.
Sopite le manifestazioni di piazza e le più
estreme rivendicazioni del movimento dei
padri separati, che avevano fatto temere un
rilevante aumento del contenzioso giudiziario anche in sede di modifica di pregressi
accordi tra le parti, si è viceversa registrato
quasi un effetto placebo della legge 54/06 su
queste accese posizioni.
I non allarmanti dati di aumento dei procedimenti di separazione, divorzio e relative
modifiche, che rientrano nella fisiologia del
fenomeno, inducono ad affermare che l’affidamento condiviso introdotto dalla l. 54/06
ha avuto, sotto il profilo socio culturale, un
effetto positivo nel sollecitare i genitori a
collaborare dopo la separazione, e quasi di
rassicurazione per i “padri” circa il “mantenimento” delle loro funzioni genitoriali,
quanto meno in linea di astratto principio.
Sotto il profilo processuale, la legge 54/06 in
sede di applicazione ha evidenziato lacune e
contraddizioni, tanto da aggravare la situa-
EDITORIALE
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
zione del già malato sistema giudiziario.
Non è stato infatti possibile dare una pacifica interpretazione alla legge, per quanto
riguarda l’individuazione del giudice competente a decidere sull’affidamento e il mantenimento dei figli naturali, e la conseguente
rimessione alla Corte di Cassazione per il
regolamento di competenza in relazione alla
filiazione naturale, da parte del Tribunale per
i minorenni di Milano e dei Tribunali ordinari di Milano e Monza, ha causato, dal maggio
2006 a tutt’oggi, l’impossibilità di ottenere
tali provvedimenti in tutta l’area distrettuale
di Milano, e quindi una situazione di grave
disagio per i figli naturali e le famiglie di fatto, cui solo parzialmente ha potuto sopperire
l’attività conciliativa stragiudiziale svolta da
noi avvocati.
Sono tuttora dibattute, a titolo di esempio, le
questioni che riguardano il reclamo dell’ordinanza presidenziale e il relativo procedimento avanti la corte d’appello; l’ammissibilità o meno del reclamo avverso l’ordinanza
ex art. 708 cpc emessa dal G.I.; l’ammissibilità o meno nel giudizio di separazione o
divorzio, dell’intervento in causa del figlio
divenuto maggiorenne per ottenere un assegno di mantenimento; la differenza tra la
modifica ex art. 710 cpc e quella ex art. 709
ter cpc; la permanenza o meno del potere di
vigilanza del giudice tutelare sull’applicazione delle condizioni della separazione e
del divorzio che riguardano l’affidamento e
la frequentazione dei figli.
La Cassazione avrà dunque prossimamente il
compito di fare chiarezza sulle diverse posizioni dei giudici di merito su tali questioni
processuali.
Occorrerà del tempo anche per valutare se la
legge 54/06 ha comportato, a causa della
lacunosità del testo, un aumento del contenzioso per quanto riguarda il numero e la
durata dei procedimenti.
* Direttore della Rivista
3
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
1. - PREMESSA (QUALCHE RILIEVO DI
NATURA SOSTANZIALE)
a l. n. 54 del 2006, cd. sull’affidamento
condiviso dei figli, è stata l’occasione
per introdurre nuove ed importanti
modifiche ai processi di separazione e di
divorzio dopo che, solo qualche mese prima,
questi procedimenti erano stati già ampiamente riformati dalla l. n. 80 del 2005 e dalla l. n. 263 del 2005.
Le note che seguono saranno interamente
dedicate a queste ultimissime innovazioni
processuali, anche allo scopo di completare
il quadro e la riflessione che avevo avviato
L
PROFILI PROCESSUALI
DELLA L. N. 54 DEL 2006
SUL CD. AFFIDAMENTO
CONDIVISO DEI FIGLI
ANDREA
GRAZIOSI *
in un mio precedente contributo1.
Vorrei tuttavia prima spendere qualche parola su quello che, almeno in termini di scelte
di valore, vorrebbe essere il nucleo fondamentale della l. n. 54 del 2006, vale a dire
Si ringrazia il Prof. Graziosi per la Sua collaborazione e autorizzazione a pubblicare il
presente saggio, destinato alla pubblicazione sulla rivista Il diritto di famiglia e delle
persone.
l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico della regola dell’affidamento condiviso
dei figli, legittimi o naturali2, in caso di separazione dei loro genitori3.
Va anzitutto chiarito che negli intenti legislativi tale regola altro non è se non il mezzo
tecnico attraverso cui realizzare anche all’interno delle coppie in crisi il principio di bigenitorialità, che si concretizza, secondo l’enunciazione programmatica contenuta nel
nuovo art. 155, comma 1°, c.c., nel diritto dei
figli minori “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo” con entrambi i genitori
anche in caso di loro separazione, e di ricevere da ciascuno di essi “cura, educazione e
istruzione”4. Fino ad oggi non è stato così,
giacché gli abrogati artt. 155, comma 1°, c.c.
e 6 l. n. 898 del 1970 (d’ora innanzi solo l.
div.)5 prevedevano che in caso di separazione
o divorzio, il giudice dovesse stabilire a quale genitore i figli fossero affidati, dando contestualmente ogni disposizione nel loro
esclusivo interesse, ossia, all’atto pratico,
quelle necessarie per assicurare la continuità
dei rapporti con l’altro genitore (il cd. diritto
di visita). Nella prassi giudiziaria poi, come
si sa, l’applicazione di queste norme ha condotto quasi sempre a considerare rispondente
all’interesse del minore l’affidamento dei
figli alla madre, con disciplina più o meno
1
Mi riferisco a GRAZIOSI, Osservazioni sulla riforma dei processi di separazione e di divorzio, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2005, p. 1113 ss..
2
La l. n. 54 del 2006 si applica anche ai figli naturali per espressa volontà del suo art. 4. Su questo punto v. più diffusamente infra n. 9.
3
Per un primo commento su questo nuovo istituto v. SCHLESINGHER, L’affidamento condiviso è diventato legge. Provvedimento di particolare importanza, purtroppo con inconvenienti di rilievo, in Corr. giur., 2006, p. 31 ss.; SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili sostanziali, in Fam. dir., 2006, p. 377 ss.; DE MARZO, L’affidamento condiviso, profili sostanziali, in Foro it., 2006, V, c.
90 ss.; SCACCHETTI, L’assetto giuridico della famiglia ricomposta alla luce della nuova legge sull’affidamento condiviso, in Giur. merito, 2006, p. 63 ss.; VILLANI, La nuova disciplina sull’affidamento condiviso dei figli di genitori separati, I e II, in Studium iuris, 2006,
p. 519 ss..
4
Non va dimenticato che già con la riforma del divorzio del 1987 (l. n. 74 del 1987) si era tentato, con scarsissimi risultati pratici, di
attuare nel nostro ordinamento il principio di bigenitorialità, introducendo nell’art. 6 della l. div. il potere del tribunale di disporre l’affidamento congiunto o alternato dei figli, se ciò rispondesse al loro interesse. Per uno dei rari precedenti in cui si fece applicazione di
questa disposizione v. Trib. Milano, 19 gennaio 1997, in Nuova giur. civ. comm., 1997, p. 320 ss.; per una panoramica delle perplesse posizioni assunte dalla dottrina su questo istituto v. M. FINOCCHIARO, Affidamento congiunto: le tante ragioni per aprire le porte a
una rivoluzione, in Guida al diritto, 2002, fasc. 6, p. 12 ss..
5
Questa parte dell’art. 6 della l. n. 898 del 1970 deve intendersi implicitamente abrogata poiché, come meglio si vedrà al n. 2, la l. n.
54 del 2006, e con essa la regola dell’affidamento condiviso, è applicabile anche ai giudizi di divorzio.
4
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
rigorosa del cd. diritto di visita del padre6.
Ciò detto, va peraltro subito aggiunto che l’attuazione del principio di bigenitorialità può
avvenire solo a condizione che la stessa non
entri in conflitto con l’interesse morale e materiale del minore, il quale, secondo una valutazione ormai definitivamente acquisita dalla
nostra cultura giuridica, non può che godere di
una tutela sovraordinata a tutti gli altri in ogni
procedimento, giudiziario e non, in cui un soggetto minorenne possa essere coinvolto7.
Di quest’ultima considerazione si è dimostrata ben consapevole la l. n. 54 del 2006
che, se per un verso ha giustamente introdotto una disciplina tutta centrata sull’assoluta
prevalenza dell’interesse del minore in
ognuna delle decisioni che devono essere
assunte nei processi di separazione e di
divorzio, per altro verso ha riconosciuto lo
strumento dell’affidamento condiviso solo
ed esclusivamente nei limiti in cui sia funzionale ad una compiuta realizzazione di
quel medesimo interesse del minore (non
lascia adito a dubbi in tal senso l’incipit dell’art. 155, comma 2°, c.c., secondo cui “Per
realizzare la finalità indicata dal primo comma – ovvero l’affidamento condiviso n.d.r. –
il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti
relativi alla prole con esclusivo riferimento
all’interesse morale e materiale di essa”).
Un tale impianto, foss’anche condivisibile in
termini teorici (di certo rispondente alle
finalità perseguite dall’intervento legislativo), faticherà non poco, temo, ad essere realizzato nella pratica, giacché, nei fatti, è fondato su una sorta di ontologica contraddizione. Affinché qualcosa possa essere “condiviso” è necessario che regni armonia o quantomeno accordo tra i condividenti, e ciò ancor
più se ci si appresti a condividere la cura,
l’educazione e l’istruzione di un essere umano. Il rilievo mi pare così ovvio da risultare
banale. Se quindi, a dispetto della decisione
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
di separarsi, i genitori hanno mantenuto rapporti di dialogo, di fattiva collaborazione e
di reciproca stima, nulla osta a che possa
essere condiviso l’affidamento dei figli nel
loro esclusivo interesse. Ma queste non sono
certo le situazioni cui fanno riferimento le
norme qui in esame, dettate, non a caso, in
tema di separazione giudiziale e non consensuale. Ciò che invece più frequentemente
accade, e che la normativa appena introdotta
tenderebbe a disciplinare, è che la scelta di
separarsi sia il frutto (o avvenga in un contesto) di forti tensioni e litigi tra i due genitori, sempre deleterie per la crescita dell’eventuale prole. Ecco allora che appare contraddittorio stabilire (rectius illudersi) per legge
che chi non riesce più a condividere nulla
della propria vita (al punto da aver consensualmente o unilateralmente deciso di separarsi) possa condividere l’affidamento di un
figlio, senza che ciò possa procurargli un
grave pregiudizio. Se la conflittualità tra i
genitori è causa di disagi di ogni genere per
i figli in costanza di convivenza, la situazione non muta, ovviamente, per il solo fatto
della separazione. Ed è quindi evidente che
l’affidamento condiviso quasi automaticamente, in questi casi, si porrà in contrasto
con l’interesse prevalente del minore. Dover
condividere in un clima di latente o continua
conflittualità ognuna delle scelte e delle piccole e grandi responsabilità che l’esercizio
della funzione genitoriale comporta, inevitabilmente dà luogo a perenni occasioni di
scontro tra i genitori, assolutamente incompatibili con l’interesse dei loro figli.
Di tali indubbie difficoltà si è reso ben conto
lo stesso legislatore che, dopo le affermazioni di principio contenute nei già citati commi
1° e 2° dell’art. 155 c.c., trovandosi a dover
dettare le norme operative, ha introdotto una
disciplina che definire flessibile è dir poco, e
che, verosimilmente, pochissimo muterà nella futura prassi giudiziaria.
6
Sugli orientamenti dei tribunali italiani nei giudizi di separazione e sui loro riflessi nelle relazioni familiari v. BARBAGLI-SARACENO,
Separarsi in Italia, Bologna, 1998, passim, spec. p. 190 ss. sulle difficoltà incontrate dai padri non affidatari.
7
La più chiara ed inconfutabile testimonianza di tale definitiva acquisizione è certamente costituita dalla Convenzione di New York del
20 novembre 1989 sui diritti del fanciullo; sulla risalente tradizione della nozione di interesse del minore, addirittura sino al diritto romano, v. MENGONI, Affidamento del minore nei casi di separazione e di divorzio, in Jus, 1982, p. 241 ss.; per una limpida affermazione giurisprudenziale della assoluta prevalenza dell’interesse del minore su tutti gli altri che con esso eventualmente contrastino v. Trib.
Milano 19 giugno 2001, in Fam. dir., 2002, p. 43.
5
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
Si dispone infatti soltanto che l’affidamento
condiviso sia “prioritariamente” valutato dal
giudice (art. 155, comma 2°, c.c.), e che l’eventuale affidamento monogenitoriale possa
avere luogo, de plano, ove l’affidamento
anche all’altro genitore sia contrario all’interesse del minore, a condizione che il relativo
provvedimento sia motivato (art. 155 bis,
comma 1°, c.c.). In pratica queste norme
lasciano alla discrezionalità del giudice un
margine di manovra amplissimo, visto che
l’appezzamento del contrario interesse del
minore è un tipo di valutazione che, per forza di cose, si affida molto più alla sensibilità
personale del giudice che non a parametri
oggettivi e verificabili (né l’obbligo di motivazione, su cui nessuno avrebbe dubitato
anche in assenza di una norma espressa, credo possa incidere restrittivamente sulle
modalità di esercizio di questo potere).
Ampia discrezionalità che probabilmente,
nella grandissima parte dei casi, condurrà il
giudice a cogliere l’inconciliabilità tra l’interesse dei figli ed il loro affidamento condiviso a genitori in conflitto tra loro e perciò a
disporne l’affidamento (magari sotto le mentite spoglie del semplice “collocamento” del
figlio) a quello che più appaia in condizione
di assumersi le responsabilità genitoriali
(non necessariamente la madre, come ormai
avviene un po’ troppo meccanicamente nei
nostri tribunali8, ma quello dei genitori che
effettivamente, caso per caso, dia maggiori
garanzie di poter bene assolvere a quell’importantissima funzione).
La sensazione, in definitiva, è che si tratti di
una riforma dai tratti un po’ gattopardeschi
che, dietro grandi proclami di cambiamento,
nella realtà poco o nulla muterà quanto alle
regole di affidamento dei figli nel caso di
separazione dei loro genitori.
Meglio sarebbe stato, allora, in una visione
più pragmatica e calata nella concreta realtà
delle dinamiche familiari, attuare il più che
condivisibile principio di bigenitorialità,
lasciando sì al giudice la libertà di scegliere
tra affidamento condiviso e affidamento
monogenitoriale, ma soprattutto, in quest’ul-
8
Le statistiche ci informano che ciò accade in più del 90% dei casi.
6
AIAF RIVISTA 3/2006
timo più frequente caso, rafforzando e irrigidendo enormemente le tutele e le prerogative
poste a garanzia del genitore non affidatario.
Molto più pregnanti invece, come stiamo per
vedere, sono le innovazioni processuali
introdotte dalla l. n. 54 del 2006.
2. L’ASSETTO DELLE FONTI NORMATIVE
NEI PROCESSI DI SEPARAZIONE
E DI DIVORZIO.
n primo luogo qualche cenno merita
l’ormai articolato sistema di fonti normative che presiedono allo svolgimento
dei processi di separazione e di divorzio.
I processi di separazione giudiziale sono retti dai nuovi artt. 706 ss. c.p.c. così come
sostituiti dall’art. 3 lett. e-ter del d.l. n. 35
del 2005 (nella versione integrata dalla l. di
conversione n. 80 del 2005). Ciò, peraltro,
con le seguenti precisazioni: 1) l’art. 709 bis
c.p.c. è stato a sua volta ulteriormente modificato dalla l. n. 263 del 2005 con l’aggiunta
degli ultimi due periodi in tema di sentenza
non definitiva di separazione (su cui v. qui
infra); 2) l’art. 708, comma 4°, c.p.c. con cui
si è introdotta la reclamabilità in corte d’appello dell’ordinanza presidenziale, è stato
aggiunto al testo della norma dalla l. n. 54
del 2006 (su cui v. infra n. 6); 3) l’art. 709
ter c.p.c. è stato inserito ex novo nel corpo
del c.p.c. dalla l. n. 54 del 2006 (su cui v.
infra nn. 7-8); 4) fuori dal c.p.c. il processo
di separazione trova disciplina anche nel
nuovo art. 155 sexies, comma 1°, c.c.
(aggiunto dalla l. n. 56 del 2006 – v. infra n.
3), che ha introdotto l’obbligo di ascoltare i
figli minori prima dell’emanazione di qualsiasi provvedimento che li riguardi e che,
come già era nella previgente disciplina,
autorizza il giudice ad ammettere d’ufficio
qualsiasi mezzo di prova se correlato a
domande aventi ad oggetto l’affidamento dei
figli; 5) sempre fuori dal c.p.c., il nuovo art.
155, comma 6°, c.c. (introdotto anch’esso
dalla l. n. 56 del 2006) ammette nel processo
di separazione il ricorso agli accertamenti di
polizia tributaria sui redditi e sui beni dei
genitori (v. infra n. 5).
I
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
Il processo di divorzio è retto dal nuovo art.
4 l. div., così come sostituito dall’art. 3-bis
del d.l. n. 35 del 2005 (nella versione integrata dalla l. di conversione n. 80 del 2005).
Qui con la precisazione che i precitati artt.
708, comma 3°, e 709 ter c.p.c. e 155, comma 6° e 155 sexies, comma 1°, c.c., inseriti
nel giudizio di separazione, come si è visto,
dalla l. n. 54 del 2006, risultano interamente
applicabili anche al processo di divorzio per
espressa volontà dell’art. 4, comma 2°, della
stessa l. n. 54. In più va notato che al solo
processo di divorzio sono applicabili i commi 13°, 14° e 15° del nuovo art. 4 l. div.,
stante l’intervenuta, implicita, abrogazione
dell’art. 23 della l. n. 74 del 1987, come
meglio si vedrà tra breve.
Tracciato il quadro che emerge dalla successione degli interventi normativi, si pone
subito il problema di capire se ancora oggi
nel nostro ordinamento possa parlarsi di processo uniforme di separazione e di divorzio,
o se invece le recenti riforme abbiano
improvvidamente ripristinato la duplicazione
dei riti. All’indomani dell’entrata in vigore
della l. n. 80 del 2005 mi ero espresso per
quest’ultima opzione, rilevando che la chiara
volontà della legge di sostituire (rectius
abrogare e rimpiazzare con norme nuove) gli
artt. 706 ss. e 4 l. div. implicava l’automatica abrogazione dell’art. 23 della l. n. 74 del
19879. Altra parte della dottrina sostiene
invece la tesi opposta, notando che l’art. 23
deve considerarsi ancora in vigore poiché,
per sua stessa previsione, la sua abrogazione
non può che conseguire all’introduzione di
un nuovo c.p.c., che certamente non è avvenuta con le ultime pur copiose riforme10.
Anche ad una più approfondita riflessione
l’argomento continua a non convincermi.
Anzitutto mi pare dubbia la tenuta e la valenza di una norma che fissi essa stessa la condizione, unica ed insostituibile, richiesta per
9
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
la sua perdita di efficacia. Se così fosse ci
troveremmo in presenza di una patente violazione del principio secondo cui lex posterior
derogat priori e con essa della sovranità
legislativa del Parlamento (privato del potere di abrogare quella norma). Poi, mi pare
che sostenere che l’art. 23 sia ancora oggi in
vigore, e perciò che al processo di separazione si applichino “le regole di cui all’art. 4” l.
div., conduca ad una conclusione un po’
paradossale. Se infatti così fosse, significherebbe che i nuovi artt. 706 ss. c.p.c. (quelli,
per intenderci, introdotti dall’art. 3 lett. e-ter
del d.l. n. 35 del 2005 – v. sopra) il giorno
stesso in cui sono entrati in vigore (il 1° marzo 2006) sono anche stati abrogati, perché,
grazie all’art. 23 ancora in vigore, il giudizio
di separazione sarebbe ancora regolato dall’art. 4 l. div. (nuovo o vecchio?) e non dai
nuovi artt. 706 ss. c.p.c.. Ma così ovviamente non può essere, in quanto non può darsi
una norma che lo stesso giorno (istantaneamente direi) appaia e scompaia dall’ordinamento giuridico (e per di più per volere di
una disposizione previgente).
Per queste ragioni, a mio avviso insuperabili
sul piano della logica giuridica, rimango dell’idea che l’art. 23 della l. n. 74 del 1987 sia stato implicitamente abrogato dalle recenti riforme processuali11, così come, per il vero, rimango anche dell’idea che questa sia stata una pessima scelta del nostro frettoloso legislatore.
Prima di concludere, un’ultima rapidissima
osservazione. Tra gli effetti nefasti prodotti
dal ripristino della duplicazione dei riti nella
separazione e nel divorzio, vi era anche quello di aver reso inapplicabile alla separazione
l’art. 4, comma 9°, l. div. (oggi comma 12°),
e quindi di aver impedito la possibilità di
emettere in tempi rapidi la sentenza non
definitiva di separazione, con tutto ciò che
ne consegue in termini di ritardo nella formazione del giudicato sulla domanda di
Per una più esauriente esposizione di questo argomento, mi sia consentito il rinvio a GRAZIOSI, op. cit., p. 1114 ss..
10 Cfr. TOMMASEO, La disciplina processuale della separazione e del divorzio dopo le riforme del 2005 (e del 2006), in Fam. dir., 2006,
p. 7; CIPRIANI, I processi di separazione e di divorzio, in Foro it., 2005, V, c. 144; SALVANESCHI, I procedimenti di separazione e di
divorzio, testo in corso di pubblicazione che ho potuto leggere in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autrice.
11 In termini anche DANOVI, Il procedimento di separazione e di divorzio alla luce delle ultime riforme normative, testo in corso di pubblicazione in AA.VV, Le prassi giudiziali nei procedimenti di separazione e di divorzio, Torino, 2006, che ho potuto consultare in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autore; più possibilista CASABURI, I nuovi istituti di diritto di famiglia (norme processuali ed
affidamento condiviso): prime istruzioni per l’uso, in Giur. merito, 2006, p. 6 ss..
7
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
separazione e perciò anche sulla proponibilità della domanda di divorzio12. A tale gravissima lacuna si è fortunatamente posto
rimedio, forse anche a seguito delle allarmate segnalazioni dottrinarie, con la modifica
dell’art. 709 bis c.p.c., ad opera della l. n.
263 del 2005, il quale, oggi, autorizza il tribunale ad emettere sentenza non definitiva
se il processo deve proseguire “per la richiesta di addebito, per l’affidamento dei figli o
per le questioni economiche”, ed inoltre
ammette contro questa sentenza “soltanto
appello immediato” (con esclusione quindi
della riserva facoltativa d’appello) “che è
deciso in camera di consiglio”.
La disposizione, oltre che opportuna per le
ragioni cui si è fatto cenno, appare anche
particolarmente apprezzabile per via dell’inserimento, tra i casi in cui può essere emessa
sentenza non definitiva di separazione, della
necessità di proseguire il processo sulla
domanda di addebito e sulle domande relative all’affidamento dei figli (diversamente da
quanto ancor oggi è previsto nel nuovo comma 12° dell’art. 4 l. div.), risolvendo così i
principali dubbi interpretativi13 cui aveva
dato luogo l’applicabilità del vecchio art. 4,
comma 9°, l. div. al giudizio di separazione14.
Appurato che d’ora innanzi la sentenza non
definitiva di separazione troverà la sua disciplina nell’art. 709 bis c.p.c., mentre quella
non definitiva di divorzio nell’art. 4, comma
12°, l. div., rimane da notare che, stante l’abrogazione dell’art. 23 l. n. 74 del 1987,
l’applicabilità dei successivi commi 13°
(facoltà del tribunale di far decorrere l’obbligo di corresponsione dell’assegno dal
momento della domanda), 14° (provvisoria
AIAF RIVISTA 3/2006
esecutorietà della sentenza di divorzio), 15°
(rito applicabile in grado d’appello) del
medesimo art. 4 sarà circoscritta al solo processo di divorzio15.
Qualche incertezza può nascere solo con
riguardo al rito da seguire in appello nel processo di separazione, giacché il menzionato
art. 709 bis c.p.c. prescrive che (solo) l’appello promosso contro la sentenza non definitiva segua il rito camerale. Viene allora da
chiedersi se, per coerenza, quest’ultima
regola debba intendersi operante anche
quando l’appello è proposto contro la sentenza definitiva, o se invece, stante l’inapplicabilità del nuovo art. 4, comma 15°, l. div.
al processo di separazione, l’appello contro
la sentenza non definitiva debba celebrarsi in
forme ordinarie.
Benché mi renda perfettamente conto della
plateale disarmonia sistematica che quest’ultima soluzione comporta, credo comunque
che essa sia imposta dal rigido dettato legislativo. Per un verso, infatti, non si può trascurare che l’art. 709 bis c.p.c. limita esplicitamente l’applicazione del rito camerale
all’appello proposto contro la sentenza non
definitiva (“Avverso tale sentenza …”, recita la norma, ovverosia avverso la pronuncia
non definitiva), per altro verso, poi, venuto
meno l’art. 23, non vedo alcuna possibilità di
estendere al processo di separazione l’applicazione del nuovo art. 4, comma 15°, l. div..
Per cui, in definitiva, in mancanza del benché minimo indice normativo in tal senso,
non credo vi siano gli estremi per poter derogare al rito ordinario, seppur solo in fase di
gravame, a beneficio di un rito speciale16.
12 Come si sa, infatti, l’art. 3, l. div. prevede che se il divorzio è chiesto per pregressa ininterrotta separazione triennale, la domanda non è
procedibile finché la sentenza di separazione non sia passata in giudicato. Per una sintesi dei termini in cui si era posto il problema sotto
il regime delle vecchie norme e delle soluzioni che erano state elaborate, mi sia consentito il rinvio a GRAZIOSI, op. cit., p. 1141 s..
13 Da ultimo in arg. v. CIPRIANI, Sulle domande di separazione, di addebito e di divorzio, in Foro it., 2002, I, c. 383 ss.
14 Rimane invece inalterato il difetto tecnico, che già era stato rilevato nel previgente art. 4, comma 9°, l. div. (e tuttora presente nel nuovo comma 12°), rappresentato dal fatto che la disposizione si rivolge al tribunale e non al g. i. come invece dovrebbe (e come certamente era ed è nelle intenzioni del legislatore). Su questi aspetti e sulle problematiche cui si fa cenno nel testo, si v. ancora GRAZIOSI,
op. cit., p. 1141 ss..
15 Rimangono quindi ancor oggi validi i rilievi critici da me in precedenza svolti in merito all’applicabilità al solo processo di divorzio delle
norme ora richiamate; v. GRAZIOSI, op. cit., p. 1146 ss.. In senso contrario v. DANOVI, op. cit., n. 3, il quale, appellandosi ad una
“estensione analogica”, propende per l’applicabilità alla separazione delle specifiche disposizioni previste per il solo processo di divorzio.
16 Contra TOMMASEO, op. cit., p. 7; nonché DANOVI, op. cit., n. 3, secondo cui una volta preso atto della compatibilità costituzionale
tra procedimento camerale e gravame nel processo di divorzio (…), non si può non continuare ad estendere anche alla separazione la
disciplina speciale prevista per il divorzio “non potendosi giustificare sotto tale profilo (…) una diversità di disciplina in relazione ad
8
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
3. L’AUDIZIONE DEL FIGLIO MINORE
n tema di audizione dei figli minori nei
processi di separazione e di divorzio le
recenti riforme si sono esibite in una spettacolare, quanto provvidenziale, inversione di rotta. Se con le norme introdotte dalla l. n. 80 del 2005 il diritto dei minori di
essere ascoltati in questi processi, non solo
non era stato potenziato ma addirittura era
stato ridimensionato, la l. n. 54 del 200617,
solo pochi mesi dopo, lo ha letteralmente
consacrato nel nuovo art. 155 sexies, comma 1°, c.c., ove si prevede che “prima dell’emanazione, anche in via provvisoria,
dei provvedimenti di cui all’art. 155”
(ossia quelli di affidamento dei minori), il
giudice dispone “l’audizione del figlio
minore che abbia compiuto gli anni dodici
e anche di età inferiore ove capace di
discernimento”.
La norma, che finalmente allinea il nostro
ordinamento a precise disposizioni di diritto
internazionale pattizio18, è chiarissima nell’imporre l’audizione del figlio minore ultradodicenne o comunque capace di discernimento, tanto in fase presidenziale (ciò si
desume linearmente dall’inciso “anche in via
provvisoria” che compare nell’art. 155
sexies, c.c.), che durante la fase di merito19.
Per parte mia, un riconoscimento così esplicito del diritto dei minori di essere sentiti nei
processi di separazione e di divorzio che
coinvolgono i loro genitori costituisce un
grosso passo avanti, in termini di civiltà giuridica, del nostro ordinamento. Ciò detto, in
questa sede è preferibile occuparsi delle ricadute pratiche ed esegetiche della nuova nor-
I
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
ma, piuttosto che intrattenersi di nuovo sull’animato dibattito che ancora si agita intorno all’opportunità che i minori siano o meno
sentiti nei procedimenti giudiziari che li
riguardano.
Oltre al rilievo che con l’entrata in vigore del
nuovo art. 155 sexies c.c. deve ritenersi
implicitamente abrogato l’art. 4, comma 8°,
l. div. nella parte in cui era (riduttivamente)
regolato il potere del presidente di ascoltare
i figli minori in sede di udienza presidenziale20, direi che sul piano esegetico due sono le
questioni che, in prima battuta, si impongono all’attenzione dell’interprete.
Anzitutto non è previsto dalle nuove disposizioni quali siano le conseguenze processuali
per il caso di mancata audizione dei figli
minori. A me non par dubbio che l’obbligo di
sentire i minori vada inteso come una condizione di procedibilità del giudizio e che
quindi un’eventuale sua omissione dia luogo
a nullità dell’ordinanza presidenziale (rilevabile con il reclamo ex art. 708, comma 3°,
c.p.c.), se è stato il presidente a pronunciarsi
senza prima aver sentito i figli minori, o della sentenza, se ciò è accaduto durante la fase
di merito a cognizione piena21. In tal senso
depone, per un verso la chiara lettera dell’art. 155 sexies, comma 1°, c.c., che pone a
carico del giudice il dovere di sentire i figli
minori in termini rigidamente imperativi; per
altro verso rileva che tale obbligo del giudice, in quanto istituito a garanzia di un diritto
della personalità - per ciò stesso indisponibile - è certamente insuscettibile di deroghe
processuali, tanto ad opera delle parti che ad
opera del giudice.
aspetti meramente formali”. A questo rilievo mi permetto di obiettare che le profonde divergenze che contrappongono rito camerale e
rito ordinario non sono riducibili a meri aspetti formali, essendo il procedimento in camera di consiglio, a mio avviso, un vero e proprio
rito speciale.
17 Sulle ragioni per cui era ravvisabile detto ridimensionamento, basti qui ancora il rinvio a GRAZIOSI, op. cit., p. 1130 ss.
18 Mi riferisco evidentemente all’art. 12 della convenzione di New York del 20 novembre 1989 e all’art. 3 della convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996.
19 Cfr. DANOVI, op. cit., n. 3, che assai appropriatamente parla di “vera e propria clausola generale, in linea con l’importanza universalmente riconosciuta all’ascolto del minore nei processi che lo riguardano”; in senso parzialmente differente da quanto sostenuto nel testo
MARTINELLI – MAZZA GALANTI, La nuova disciplina dell’affidamento condiviso: una legge improvvisata e approssimativa, in Quest.
giust., 2006, p. 468, ove si attribuisce “all’ascolto del minore un carattere normale ma non obbligatorio”; contra LUPOI, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, che ho potuto consultare nel testo dattiloscritto grazie alla cortesia dell’Autore.
20 Mi riferisco, in particolare, all’inciso “qualora lo ritenga strettamente necessario anche in considerazione della loro età” quale condizione cui la legge subordinava il potere del presidente di sentire i figli minorenni, visto che oggi il presidente, ai sensi del nuovo art. 155
sexies, c.c., ha il dovere, non il potere, di sentire i figli minori. Conf. TOMMASEO, op. cit., p. 11.
21 Conf. TOMMASEO, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: profili processuali, in Fam. dir., 2006, p. 397.
9
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
In secondo luogo, vi è da chiedersi se l’audizione dei figli minori ultradodicenni o
comunque capaci di discernimento, introdotta con riferimento alla separazione giudiziale ed al cd. divorzio contenzioso (arg. ex art.
4, comma 2°, l. n. 54 del 2006 – v. sopra),
non sia a questo punto divenuta obbligatoria
anche nei giudizi di separazione consensuale
e di divorzio su ricorso congiunto. Il quesito
nasce spontaneo dalla ovvia constatazione
che sarebbe quantomeno strano che l’ordinamento riconoscesse, ed in modo così deciso,
il diritto dei minori ad essere ascoltati nelle
due procedure contenziose di separazione e
di divorzio e lo lasciasse del tutto sguarnito
di tutela negli omologhi procedimenti che si
svolgono su basi consensuali. A parte l’immediato sospetto di incostituzionalità che
potrebbe sorgere in relazione alla disparità di
trattamento che si determinerebbe tra i figli
di genitori che si separano (o divorziano)
giudizialmente, ammessi ad essere previamente sentiti dal giudice, ed i figli di genitori che scelgono la via consensuale, esclusi in
radice dalla facoltà di manifestare la loro
opinione nella procedura giudiziaria che li
concerne, non può non rilevarsi l’assoluta
irrazionalità di un sistema che addiviene al
riconoscimento di un diritto processuale della personalità (quale certamente è il diritto
dei minori di essere ascoltati nei processi che
li riguardano), ma al tempo stesso, in modo
del tutto arbitrario, esclude alcuni dei potenziali titolari di quel diritto dal suo godimento (si noti che la l. n. 54 del 2006 all’art. 4,
comma 2° - su cui v. infra n. 9 - estende
anche ai figli naturali il diritto di essere
ascoltati nei processi che li riguardano, per
cui ne rimarrebbero esclusi, davvero, i soli
figli legittimi di genitori separati o divorziati con procedure consensuali).
Alla luce di questi ultimi rilievi, pertanto, si
può concludere che in realtà l’innovazione
contenuta nel nuovo art. 155 sexies c.c. è più
ampia di quel che può apparire dalla semplice lettura del testo della norma, in quanto
l’obbligo di sentire i figli minorenni investe
anche le procedure di separazione consen-
AIAF RIVISTA 3/2006
suale e di divorzio su ricorso congiunto.
D’altronde, è proprio in queste ultime procedure che è più alto il rischio che le condizioni di affidamento dei figli, liberamente concordate dai genitori al di fuori di ogni controllo giudiziario, confliggano con l’interesse del minore (non a caso l’art. 158, comma
2°, c.c. dispone che la separazione consensuale non può essere omologata se è in contrasto con l’interesse dei figli), per cui qui è
ancora più intensa la necessità che il tribunale conosca il punto di vista dei figli minorenni, affinché meglio possa valutare la rispondenza tra il loro prevalente interesse e gli
accordi intervenuti tra i coniugi.
Quanto alle ricadute pratiche, è chiaro che il
nuovo art. 155 sexies c.c. condurrà ad una
radicale revisione del modo di celebrare le
udienze presidenziali. Non credo, ad esempio, che l’audizione dei figli minorenni possa avvenire nella stessa udienza in cui è preliminarmente celebrato il tentativo di conciliazione, né che possa avvenire alla presenza
delle parti o dei loro difensori. Probabilmente, d’ora in avanti nei procedimenti di separazione (giudiziale o consensuale) e di divorzio di coppie con figli minorenni, la fase presidenziale dovrà essere frazionata in due
distinte udienze, l’una dedicata al tentativo
di conciliazione, l’altra appositamente riservata all’audizione dei figli minori. Inoltre,
dovranno essere messi in atto tutti i possibili accorgimenti per limitare al minimo il
disagio cui il minore può essere esposto a
causa della sua comparizione avanti al giudice, e quindi, per esempio, potrà essere ascoltato a porte chiuse alla sola presenza del giudice, o eventualmente di un esperto da questi
nominato; o ancora, la verbalizzazione
potrebbe essere omessa (o ridotta all’essenziale) per evitare possibili usi ritorsivi o
ricattatori dei verbali da parte di uno o di
entrambi i genitori nei confronti dei figli22.
I provvedimenti temporanei ed urgenti, infine,
potranno essere pronunciati all’esito dell’udienza di audizione dei figli minori, ma anche
in un’ulteriore apposita udienza, dopo che il
presidente avrà dato la parola ai difensori,
22 Sulle modalità di ascolto protetto del minore tramite l’ausilio di uno psicologo v. le indicazioni operative fornite da MARTINELLI – MAZZA GALANTI, op. cit., p. 469.
10
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
come oggi espressamente prevedono gli art.
708, comma 3°, c.p.c. e 4, comma 8°, l. div..
4. LA POSIZIONE PROCESSUALE DEI
FIGLI MAGGIORENNI NON ANCORA
ECONOMICAMENTE AUTOSUFFICIENTI.
i sensi del nuovo art. 155 quinquies,
comma 1°, c.c. “il giudice … può
disporre in favore dei figli maggiorenni
non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente
diritto”.
La norma ha un duplice significato. Da un
lato codifica il diritto dei figli maggiorenni
ad essere mantenuti dai loro genitori sino al
raggiungimento dell’indipendenza economica23, dall’altro stabilisce che l’attuazione di
questo diritto deve avvenire attraverso la
corresponsione di un assegno periodico, da
versarsi direttamente dai genitori obbligati al
figlio maggiore di età.
Poco o nulla di nuovo è stato introdotto con
la prima delle due modifiche, dal momento
che l’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni non ancora economicamente autosufficienti era già diritto vivente nell’ormai
consolidato orientamento della nostra giurisprudenza 24. Quanto al secondo aspetto,
invece, la novità non è di poco conto, poiché
sino ad oggi si era abituati a pensare che
l’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni andasse corrisposto dal genitore non
convivente al genitore con il quale il figlio
aveva scelto di convivere. Solo nel caso in
cui il figlio risiedesse da solo, si era soliti
ammettere la corresponsione diretta dell’assegno di mantenimento al figlio da parte dei
genitori.
D’ora innanzi invece, stante il chiaro tenore
della norma, il tribunale dovrà disporre la
corresponsione diretta dell’assegno al figlio
A
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
maggiorenne, da parte di tutti e due i genitori, a prescindere da dove lo stesso risieda.
Fermo restando, naturalmente, che nel caso
in cui il figlio abiti con uno dei due genitori,
una parte di quanto ricevuto potrà essere
devoluta al genitore convivente quale contributo alle spese abitative.
A mio avviso, questa nuova regolamentazione del diritto al mantenimento dei figli maggiorenni, chiamati ad amministrare in prima
persona il loro budget mensile, è più incline
della precedente a favorirne la maturazione e
la responsabilizzazione, e perciò non può
che essere ampiamente condivisa.
L’innovativa disciplina contenuta nel riformato art. 155 quinquies, comma 1°, c.c. produce anche alcune notevoli ripercussioni
processuali. Ora che si è riconosciuto a pieno titolo il diritto del figlio maggiorenne
economicamente non autosufficiente a
vedersi versare direttamene l’assegno per il
proprio mantenimento, diviene oltremodo
difficile, mi pare, negare che egli, ormai
dotato di capacità processuale, sia parte
necessaria del processo (di separazione o di
divorzio), nel quale si deve stabilire se ed in
che misura quel diritto sussista. Se è vero, in
altri termini, che oggi il debito di mantenimento assume la forma di un’obbligazione
pecuniaria periodica che vede come creditore il figlio e come parti debitrici i due genitori, le più elementari regole processuali sulla legittimazione ad agire esigono che al giudizio nel quale si controverte dell’esistenza e
dell’ammontare di quell’obbligazione debba
partecipare anche il (preteso) creditore25.
Ciò implica, se non erro, che d’ora in avanti
se un figlio raggiunge la maggiore età in pendenza del processo di separazione o di divorzio tra i propri genitori e se in quel giudizio si
disquisisce anche del suo mantenimento, il
contraddittorio debba essere necessariamente
integrato nei suoi confronti. Se invece l’azio-
23 Ad esser precisi, la norma, un po’ incautamente, non specifica che il diritto al mantenimento cessa con il conseguimento dell’indipendenza economica da parte del figlio, ma ciò è linearmente desumile, oltre che dal comune buon senso, anche da numerose pronunce
intervenute sul punto (alcune vedile citate alla nota successiva). Ed anzi la giurisprudenza ha avuto cura di puntualizzare che il diritto al
mantenimento viene meno anche se il mancato raggiungimento della maturità economica è ascrivibile a negligenza del figlio (Cass., 12
dicembre 2002, n. 17717 in Fam. dir., 2003, p. 349), o all’abbandono di un’attività lavorativa precedentemente iniziata (Cass., 7 luglio
2004, n. 12477, in Giust. civ., 2005, I, p. 699).
24 Tra le tante v. Cass., 18 gennaio 2005, n. 951 in Fam. dir., 2005, p. 138; Cass., 3 marzo 2002, n. 4765, in Foro it., 2002, I, c. 1323.
25 Contra LUPOI, Aspetti processuali cit..
11
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
ne di divorzio o di separazione è promossa
quando egli ha già raggiunto la maggiore età,
la causa va radicata ab origine anche nei suoi
confronti, al fine di consentirgli di far valere,
ricorrendone i presupposti di legge, il suo
eventuale diritto al mantenimento.
Alla ricostruzione qui proposta potrebbe
obbiettarsi che in realtà non è configurabile
un vero e proprio diritto soggettivo del figlio
maggiorenne a ricevere direttamente l’assegno di mantenimento, poiché l’art. 155 quinquies, comma 1°, c.c. fa salva un’eventuale
“diversa determinazione del giudice”, ossia
il potere di disporre che l’assegno sia versato al genitore con il quale il figlio risiede.
A me non pare tuttavia che una simile obbiezione coglierebbe nel segno. Infatti la norma, con l’inciso qui in esame, non rimette
affatto al giudice un potere discrezionale di
scegliere tra corresponsione diretta dell’assegno e corresponsione al coniuge, ma si
limita ad introdurre una salvaguardia per le
situazioni limite, nelle quali il figlio, benché
maggiorenne, non sia oggettivamente in grado di amministrare la somma ricevuta per il
suo mantenimento (si pensi al caso di una
grave malattia psichica o fisica). In tali eccezionali casi, e solo in questi, il giudice potrà
derogare alla regola generale e stabilire che
l’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne sia versato al genitore con il quale
lo stesso convive. In tutti gli altri, a norma
del nuovo art. 155 quinquies c.c., i figli maggiorenni vantano un vero e proprio diritto
soggettivo alla corresponsione diretta dell’assegno di mantenimento.
5. L’ATTIVITÀ ISTRUTTORIA.
ome ho già segnalato sopra, la l. n. 54
del 2006 è intervenuta anche sul piano
istruttorio, rimodulando, all’art. 155, comma 6°, c.c., il potere del giudice di disporre accertamenti di polizia tributaria, sino
ad oggi previsto e regolamentato dall’art.
5, comma 9°, l. div., che quindi ora dovrà
considerarsi implicitamente abrogato26.
Questa nuova disposizione subordina il potere del giudice di ordinare accertamenti di
C
26 Contra LUPOI, Aspetti processuali cit..
12
AIAF RIVISTA 3/2006
polizia tributaria all’evenienza che “le informazioni di carattere economico fornite dai
genitori non risultino sufficientemente documentate”.
Va preliminarmente osservato che la norma
col riferirsi alle sole informazioni fornite dai
genitori, e non dai coniugi, sembra escludere
dal proprio campo di applicazione tutti i procedimenti di separazione e di divorzio tra
coppie senza figli. Non è facile capire se questa restrizione sia il frutto di una delle tante
sviste redazionali che hanno afflitto quest’ultima stagione di riforme, o sia al contrario
una consapevole scelta legislativa, tendente a
contenere l’esercizio di un potere istruttorio
tanto incisivo ai soli processi nei quali si
controverta di diritti indisponibili e di indubbio rilievo costituzionale, quali certamente
sono quelli che fanno capo ai figli (specie se
minori). Tuttavia quand’anche non sia stata
quest’ultima considerazione ad ispirare il
legislatore, la sua indubbia coerenza con i
principi che governano l’attività istruttoria
nel nostro sistema processuale, credo debba
comunque condurre ad approvare la restrittiva scelta operata nella norma in esame.
Inoltre, ritengo che come ogni altro potere
ufficioso del giudice, anche quello di disporre accertamenti di polizia tributaria debba
rimanere circoscritto all’accertamento di fatti allegati dalle parti, al fine di scongiurare,
in ossequio al principio dispositivo, il rischio
di indagini meramente esplorative. A tale
scopo, pertanto, il quesito posto all’organo
investigativo dovrà essere il più possibile
specifico, soprattutto quanto all’esatta individuazione delle circostanze da sottoporre a
verifica.
Venendo ora ai presupposti che la legge
richiede perché le indagini di polizia tributaria possano essere autorizzate, mi pare vadano riconosciuti ogni volta che sia registrabile una significativa discrasia tra le risultanze
dei documenti di natura economica prodotti
dalle parti e quanto emerge, anche in via
indiziaria, da altre acquisizioni processuali
circa il tenore di vita goduto in costanza di
matrimonio o, più in generale, la situazione
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
patrimoniale della famiglia. È in questi casi
infatti che, come vuole l’art. 155, comma 6°,
l. div., le informazioni economiche fornite
dai genitori non appaiono sufficientemente
documentate, ed è perciò legittimo il sospetto che il patrimonio e/o il reddito di uno dei
due genitori siano stati intenzionalmente
occultati.
Nella delimitazione dell’oggetto delle indagini troviamo la novità più rilevante rispetto
al passato, laddove oggi si prevede che gli
accertamenti possano essere estesi anche a
beni intestati a terzi. La disposizione, più
che opportuna, contribuirà certamente a
smascherare l’intestazione fittizia di interi
patrimoni, o parte di essi, a società di comodo o a prestanome di vario genere e specie,
cui spesso nella pratica si fa ricorso per tentarne l’occultamento agli occhi del giudice.
Ed anzi, non è escluso che la sola presenza
di questo nuovo più penetrante potere d’indagine serva a disincentivare pratiche di
questo tipo.
Nel complesso, in definitiva, quello introdotto dalla l. n. 54 del 2006 è un potere istruttorio incisivo e ad ampio spettro che, se ben
utilizzato, certamente potrà giovare alla
completezza dell’istruttoria nei processi di
separazione e di divorzio, ma che, al contempo, non deve assolutamente prestarsi ad
abusi, trasformando il giudice in una sorta di
organo inquirente.
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
6. LA RECLAMABILITÀ DELL’ORDINANZA
PRESIDENZIALE.
ra le molte novità processuali introdotte dalla l. n. 54 del 2006, la più ragguardevole è indubitabilmente quella che
ammette la reclamabilità in corte d’appello dell’ordinanza presidenziale.
Da tempo in dottrina27 e giurisprudenza28 si
dibatteva il tema dell’impugnabilità dell’ordinanza presidenziale, pervenendo generalmente a negare questa possibilità29. Ora il
legislatore, accogliendo i suggerimenti di
parte della dottrina30 e facendo proprie le
aperture della giurisprudenza minoritaria31,
ha ammesso la reclamabilità, ma non avanti
al tribunale in composizione collegiale,
come forse era lecito attendersi sulla falsa
riga di quanto accade in sede cautelare, bensì avanti alla corte d’appello. La ratio di
quest’opzione non è facilmente individuabile. Forse ha giocato la preoccupazione che i
giudici di tribunale, chiamati a sindacare il
contenuto di un provvedimento reso dal loro
presidente, potessero essere condizionati da
una sorta di timore reverenziale e quindi non
essere del tutto liberi nel giudizio; o forse,
più verosimilmente, si è scelta la corte d’appello per assicurare all’interno dei vari
distretti quell’uniformità di trattamento che
sempre dovrebbe essere garantita nell’applicazione della legge, e che invece in questo
campo, per forza di cose, ha scontato sino ad
oggi non pochi cedimenti.
Quel che comunque è certo è che, all’atto
T
27 SALVANESCHI, Provvedimenti ex art. 708 c.p.c. e nuovo rito cautelare uniforme, in Fam. Dir., 1994, p. 65 ss.; OLIVIERI, I provvedimenti cautelari nel nuovo processo civile, in Riv. dir. proc., 1991, p. 731 ss.; PROTO PISANI, Su alcuni problemi attuali del processo
familiare, in Foro it., 2004, I, c. 2535 ss..
28 V. nota 31.
29 Il dibattito ruotava principalmente attorno alla possibilità di estendere il reclamo cautelare ex art. 669 terdecies c.p.c. all’ordinanza presidenziale, ma i più escludevano questa possibilità sul presupposto che la possibile ultrattività dell’ordinanza in caso di estinzione del
processo, ex art. 189 disp. att. c.p.c., ne rendeva impossibile l’assimilazione ai provvedimenti cautelari. Per tutti OLIVIERI, op. cit., p.
731-732; ed inoltre SALVANESCHI, Provvedimenti presidenziali nell’interesse dei coniugi e della prole e procedimento cautelare uniforme, in Riv. dir. proc., 1994, p. 1079, sulla base, peraltro, della diversa considerazione dell’assoluta specialità del processo di separazione e di divorzio; contra CECCHELLA, Il processo cautelare, Torino, 1997, 243 ss..
30 Fondamentalmente di CIPRIANI di cui, tra i tanti contributi dedicati a questo tema, v. in particolare ID, L’impugnazione dei provvedimenti <<nell’interesse dei coniugi e della prole>> ed il lento ritorno al garantismo, in Corr. giur., 1998, p. 21 ss.; ma v. anche MARTINELLI, Alcune questioni sull’ambito di applicazione del nuovo rito cautelare uniforme, in Foro it., V, c. 161 ss. spec. c. 174 ss.
31 Trib. Genova, ord. 10 maggio 2004, in Foro it., 2004, I, c, 2534 con nota adesiva di CIPRIANI, Sulla reclamabilità dei provvedimenti
presidenziali ex art. 708 c.p.c.; Trib. Genova, ord. 10 gennaio 2004, ivi, 2004, c. 931; Trib. Genova, ord. 16 febbraio 2004, ivi, 2004,
c. 904; Trib. Rovereto, ord. 18 febbraio 2005 nonché Trib. Genova, ord. 22 novembre 2004, ivi, 2005, I, c. 1592; tra le tante contrarie v. per tutte Trib. Bari ord. 23 dicembre 2004, ivi, 2005, I, c. 1244; Trib. Verona ord., 20 febbraio 2003, ivi, 2003, I, 3156; Trib. Foggia, ord. 30 luglio 2001, ivi, 2002, I, c. 263 con nota di CEA, I provvedimenti nell’interesse dei coniugi e della prole e il reclamo cautelare; recentissimamente, addirittura dopo la l. n. 54 del 2006, v. Trib. Foggia, ord. 2 maggio 2006, in Foro it., 2006, c. 2213.
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LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
pratico, questa scelta metterà a dura prova le
già sovraccariche corti d’appello italiane.
Come in parte si sta già verificando, assisteremo, soprattutto nelle separazioni giudiziali, ad un ricorso massiccio a questo nuovo
mezzo di impugnazione, col risultato di
ingolfare ancora di più le nostre già congestionate corti di seconda istanza.
Se la scelta di garanzia di cui l’art. 708, comma 4°, c.p.c. è espressione rappresenta certamente un progresso per il nostro ordinamento, quantomeno in termini astratti, analogo
giudizio positivo non può essere esteso alla
qualità tecnica della norma, che anzi denota
gravissime carenze, a cominciare dal fatto
che non precisa da quando decorre il termine
di dieci giorni per la proposizione del reclamo. Ma soprattutto, ed è questa certamente
una questione che creerà notevolissimi problemi, manca completamente di una disciplina di raccordo tra il nuovo reclamo ed il
potere di revoca o modifica dell’ordinanza
presidenziale, ancor oggi riconosciuto al g. i.
dall’art. 709, comma 4°, c.p.c., per ciò che
concerne la separazione, e dall’art. 4, comma
8°, l. div., per ciò che concerne il divorzio.
La soluzione del primo interrogativo è semplice: se l’ordinanza è emessa in udienza non
mi par dubbio che il termine di dieci giorni
debba decorrere da tale data; se invece è resa
fuori udienza decorrerà dalla data di notifica
del provvedimento, in mancanza della quale,
però, sarà il termine annuale di cui all’art.
327 c.p.c. a determinare la decadenza dal
potere di proporre reclamo. Assai più complesse e per certi versi inestricabili appaiono
invece le problematiche che sorgono a cascata dal difetto di coordinamento di cui si è
detto. In termini sintetici direi si possano
così schematizzare:
a) reclamabile anche il provvedimento del g.
i. con cui viene revocata e/o modificata
l’ordinanza presidenziale?
b) revocabile e/o modificabile dal g. i. l’ordinanza della corte d’appello con cui si è
AIAF RIVISTA 3/2006
deciso sul reclamo proposto avverso l’ordinanza presidenziale?
c) una volta che si sia consumato il potere di
proporre reclamo per l’inutile decorso del
termine, la revoca e/o modifica dell’ordinanza presidenziale può essere chiesta al
g. i. solo per far valere circostanze sopravvenute o anche per denunciare originari
errores in procedendo o in iudicando contenuti nel provvedimento impugnato?
d) è revocabile e/o modificabile dal g. i. l’ordinanza presidenziale in pendenza del
reclamo promosso contro la stessa?
Naturalmente la soluzione offerta ad ogni
singolo quesito dovrà essere tale da non
entrare in contraddizione logica con le altre,
collocandosi possibilmente all’interno di
un’armonica sistemazione unitaria.
Seguendo l’ordine sopra prospettato, e partendo quindi dalla questione posta sub a),
direi che, pur in assenza di un esplicito riferimento normativo in tal senso, non possa
esser negata la reclamabilità in corte d’appello anche dell’ordinanza istruttoria con cui
è stata modificata l’ordinanza presidenziale.
Il provvedimento di revoca o modifica reso
dal g. i. all’interno dei giudizi di separazione
e di divorzio condivide con l’ordinanza presidenziale funzione e struttura (va interamente o parzialmente a sostituirsi ad essa),
per cui sarebbe sistematicamente irrazionale,
una volta ammessa la reclamabilità della
seconda, non estendere il mezzo di impugnazione anche al primo32. Escluderei invece la
reclamabilità dell’ordinanza istruttoria meramente confermativa di quella presidenziale,
per la ovvia ragione che se ciò fosse possibile si darebbe vita ad un facile espediente per
eludere il termine perentorio previsto per la
proposizione del reclamo contro l’ordinanza
presidenziale.
Più complessa la questione individuata sub
b). In apparenza la soluzione negativa parrebbe discendere linearmente dal canone
generale secondo cui il giudice di grado infe-
32 Conf. SALVANESCHI, op. cit., ove giustamente si sottolinea che “Un provvedimento del giudice istruttore che revochi o, più probabilmente, modifichi il regime dei provvedimenti presidenziali, è un provvedimento che incide sui diritti delle parti che non potranno quindi, per ragioni di costituzionalità e di coerenza sistematica, essere private del diritto al controllo oggi previsto con riferimento al provvedimento originario”. Di recente in tal senso in giurisprudenza v. anche Trib. Genova ord. 2 maggio 2006, in Foro it., 2006, I, c. 2213 ss.,
con nota di CEA, La nuova torre di Babele: la legge sull’affidamento condiviso e il reclamo contro i provvedimenti del giudice istruttore.
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
riore non può sindacare, né modificare, quanto statuito da quello di grado superiore. In
realtà tale regola, pur fondamentale per assicurare il proficuo svolgimento della funzione
giurisdizionale e per garantire la progressiva
formazione del giudicato, non può essere
così meccanicamente estesa al caso di specie,
perché il decreto della corte d’appello che
sostituisce, modifica o conferma l’ordinanza
presidenziale, per un verso è un provvedimento sempre provvisorio (destinato ad essere sostituito dalla futura sentenza di separazione o di divorzio), e, per altro verso, come
l’ordinanza presidenziale stessa, tutela posizioni soggettive che strutturalmente non
sono suscettibili di dare luogo ad un vero e
proprio passaggio in giudicato, ma semplicemente di acquisire una più limitata definitività allo stato degli atti (il cd. giudicato rebus
sic stantibus)33. Fatta questa premessa, non
può comunque nemmeno essere trascurata
l’esigenza di assicurare un certo grado di stabilità al decreto pronunciato dalla corte d’appello in sede di reclamo, pena la sua assoluta
inutilità (giacché, una volta emesso, ne
potrebbe sempre essere chiesta la modifica al
g.i., che potrebbe adottare di nuovo le statuizioni che la corte aveva riformato).
Se questi sono i termini del problema, un
ragionevole punto d’equilibrio potrebbe
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
esser quello di ammettere il potere del g. i. di
revocare e/o modificare il decreto pronunciato dalla corte d’appello in sede di reclamo
dell’ordinanza presidenziale (ovvero l’ordinanza presidenziale stessa semplicemente
confermata dalla corte d’appello) solo se
sopraggiungano nuove circostanze di fatto, o
se siano fatte valere circostanze anteriori
della cui esistenza la parte provi esser venuta a conoscenza successivamente alla pronuncia del decreto della corte d’appello. Una
simile ricostruzione, è ben vero, non trova
riscontro negli artt. 709, comma 4°, c.p.c. e
4, comma 8°, l. div. che non subordinano
affatto il potere revocatorio del g. i. al
sopravvenire di nuove circostanze34, ma è
anche vero, al contempo, che queste due norme disciplinano precipuamente il potere di
controllo del g.i sull’ordinanza presidenziale, e che quindi, laddove se ne debba estendere il campo di applicazione ad altro provvedimento (il decreto della corte d’appello),
non è esegeticamente scorretto un loro adattamento alla nuova fattispecie. Ed in ogni
caso, sebbene l’interpretazione qui proposta
sia in parte correttiva dello stretto significato letterale delle due disposizioni testé
richiamate, è l’unica, mi pare, capace di contemperare le opposte esigenze cui sopra si è
fatto cenno35.
33 Il discorso su questo aspetto si farebbe troppo lungo per essere interamente sviluppato in questa sede. Basti qui notare che se i provvedimenti relativi ai figli minori, appartenendo alla categoria della giurisdizione volontaria, certamente sono sempre modificabili anche
quando sono contenuti in una sentenza, a prescindere dal mutamento delle circostanze, gli altri possibili capi delle sentenze di separazione o di divorzio (ad esclusione di quello relativo allo scioglimento del matrimonio o alla cessazione dei suoi effetti civili) passano in
giudicato, benché solo rebus sic stantibus. Per una più completa esposizione di questo tema, mi sia consentito il rinvio a GRAZIOSI, La
sentenza di divorzio, Milano, 1987, pp. 31-241.
34 Lo svincolo del potere revocatorio del g.i. dalla sopravvenienza di circostanze nuove non è una novità introdotta dalle recenti riforme,
ma dalla l. n. 74 del 1987 attraverso la novellazione dell’art. 4, comma 8°, l. div., applicabile anche al processo di separazione in forza del già più volte menzionato art. 23 di quella stessa legge.
35 Su posizioni analoghe TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 400; v. DANOVI, op. cit., n. 13 il quale giustamente si appella ad una
sorta di automatica consumazione del potere revocatorio del g.i. “per effetto della pronuncia in sede di reclamo da parte di un giudice
superiore”, ma ne ammette al contempo una limitata sopravvivenza “in ossequio alla clausola rebus sic stantibus implicitamente sottesa a tutti i provvedimenti in esame”. Contra SALVANESCHI, op.cit., favorevole ad un regime di libera modificabilità del decreto con cui
la corte d’appello in sede di reclamo revochi, modifichi o confermi l’ordinanza presidenziale. L’Autrice perviene a questa conclusione,
osservando che la specificità del reclamo ideato dal legislatore del 2006 “non lascia spazio ad una applicabilità delle disposizioni in
materia di modifica e di reclamo proprie del rito cautelare uniforme, che sono incompatibili con la normativa speciale dei procedimenti qui in esame”; inoltre l’Autrice avverte un rischio di compressione del diritto di difesa del convenuto, legato al fatto che l’ordinanza
presidenziale (e con essa l’eventuale provvedimento di conferma della corte d’appello) oggi potrebbe essere pronunciata quando il convenuto non è ancora costituito. A mio modo di vedere entrambi questi rilievi non sono persuasivi. Il primo perché la revocabilità e/o
modificabilità di un provvedimento al solo sopravvenire di circostanze nuove non è prerogativa esclusiva dei provvedimenti cautelari (si
pensi alle stesse sentenze di separazione o di divorzio, che sono certamente modificabili al solo sopraggiungere di circostanze nuove ex
artt. 710 ss. c.p.c. e 9, comma 1°, l. div.), per cui, anche ad ammettere che la relativa disciplina non sia estensibile al nostro decreto
reso dalla corte d’appello, ad esso potrebbe ugualmente continuare ad applicarsi la regola della modificabilità e/o revocabilità al solo
sopraggiungere di circostanze nuove. Il secondo perché se il convenuto cui sia stato ritualmente notificato il ricorso di separazione o di
divorzio omette deliberatamente di costituirsi in giudizio, l’eventuale ingiusta emissione di un provvedimento a lui sfavorevole va imputata alla sua condotta difensiva e non ad una carenza di garanzie attivate nel processo.
15
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
Dalla conclusione or ora raggiunta discende,
come indefettibile corollario, anche la risposta al terzo dei quattro quesiti sopra prospettati (sub c). Una volta assodato che l’ordinanza presidenziale eventualmente confermata dalla corte d’appello in esito al reclamo
può essere revocata e/o modificata dal g. i.
solo se sopraggiungano fatti nuovi, identico
regime di stabilità deve valere, per coerenza
del sistema, anche per l’ordinanza presidenziale non sottoposta tempestivamente ad
impugnazione. Se alla mancata proposizione
del reclamo non fosse riconnesso alcun effetto preclusivo, oltre a crearsi l’incongruenza
sistematica di cui si è appena detto, non
avrebbe alcun senso, nell’art. 708, comma
4°, c.p.c., l’esplicita previsione della perentorietà del termine di dieci giorni per la proposizione del reclamo36.
Veniamo all’ultimo e certamente più spinoso
dei quattro quesiti posti sopra (sub d). Direi,
prima di tutto, che il problema si pone soltanto con riguardo alla necessità di revocare,
modificare o integrare l’ordinanza presidenziale in conseguenza del sopravvenire di
nuove circostanze di fatto. Se infatti, in pendenza di reclamo, si ammettesse il potere del
g.i. di sindacare l’ordinanza presidenziale in
termini puramente impugnatori (e cioè il
potere di riformarla sulla base di una semplice diversa valutazione di fatto e di diritto
rispetto a quella fatta propria dal presidente),
si creerebbe un’intollerabile sovrapposizione
tra i due mezzi di gravame, tanto inammissibile sul piano teorico, quanto foriera di
un’infinità di possibili disguidi pratici.
Non credo invece possa dubitarsi della revocabilità e/o modificabilità dell’ordinanza
presidenziale anche in pendenza di reclamo
ove sopravvengano fatti nuovi. Se solo si
AIAF RIVISTA 3/2006
considera che è la legge a sancire espressamente la costante modificabilità di questo
provvedimento per tutto il corso del processo (artt. 709, comma 4°, c.p.c. e 4, comma
8°, l. div.), e che spesso le esigenze di tempestiva revoca o modifica sono connesse a
diritti soggettivi direttamente riconducibili
alla tutela di bisogni primari della vita (si
pensi all’assegno di mantenimento), risulta
subito chiaro che la possibilità di immediata
correzione dell’ordinanza presidenziale non
può esser certo paralizzata dalla semplice
pendenza della fase di gravame.
Il punto, allora, è capire se tale potere revocatorio competa al g.i. (ex art. 709, comma
4°, c.p.c. e 4, comma 8°, l. div.) ovvero alla
corte d’appello avanti a cui pende il reclamo.
Nel silenzio della legge esistono argomenti
nell’uno e nell’altro senso.
In favore della corte di seconda istanza parrebbero invocabili analogicamente le nuove
norme in materia cautelare che devolvono al
giudice del reclamo la cognizione su tutti i
fatti nuovi verificatisi dopo la proposizione
dello stesso (nuovo art. 669 terdecies, comma 4°, c.p.c., ma anche art. 23 del d. lgs. n.
5 del 2003 nell’ambito del cd. nuovo processo societario). A questo argomento, però, si
può agevolmente opporre che l’ordinanza
presidenziale, secondo la tesi dominante in
dottrina37, non ha natura cautelare ed è pertanto da escludere che ad essa sia applicabile in via analogica ed automatica quanto oggi
previsto nel nuovo procedimento cautelare
uniforme. Inoltre, una simile interpretazione,
all’atto pratico, si rivelerebbe inidonea ad
assicurare il provvedimento richiesto nei
tempi molto rapidi che spesso sono necessari perché la tutela sia effettiva38. È evidente,
infatti, che anche in condizioni fisiologiche,
36 Conf. Trib. Trani, ord. 28 aprile 2006, in Foro it., 2006, c. 2214, con nota di CEA, La nuova torre di Babele, cit..
37 Seppur professando differenti opinioni circa la natura del provvedimento in esame (volontaria, ordinatoria, interinale, anticipatoria) ne è
stata recisamente esclusa quella cautelare da MANDRIOLI, I provvedimenti presidenziali nel giudizio di separazione dei coniugi, Milano, 1953, p. 49; CIPRIANI, I provvedimenti nell’interesse dei coniugi e della prole, Napoli, 1970, p. 463 ss.; GUARINO, Limiti di efficacia dei provvedimenti presidenziali, in Dir. e giur., 1950, p. 75 ss.; LIEBMAN, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 2002,
p. 200; CARPI, Provvedimenti interinali di condanna, esecutorietà della sentenza e tutela delle parti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1977,
p. 615 ss.; TOMMASEO, in Comm. dir. fam., VI, 1, sub. art. 4 l. n. 898 del 1970, p. 285; SALETTI, Procedimento e sentenza di divorzio, in Il diritto di famiglia, I, Tratt. diretto da Bonilini e Cattaneo, Torino, 1997, p. 602; CARRATTA, Provvedimenti presidenziali <<nell’interesse dei coniugi e della prole>> ex art. 708 c.p.c. e tutela d’urgenza, in Fam. dir., 1994, p. 380; contra MONTESANO, La tutela
giurisdizionale dei diritti, Torino, 1994, p. 301, spec. nota 382; SALVANESCHI, Provvedimenti nell’interesse, cit., p. 1068 ss., benché
quest’ultima Autrice ravvisi la natura cautelare limitatamente al solo profilo funzionale dell’ordinanza presidenziale.
38 A titolo esemplificativo, si pensi al caso in cui sia necessario modificare il cd. diritto di visita del genitore non affidatario, in conseguenza
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
le possibilità che una corte d’appello ha di
fornire questo tipo di risposta giudiziaria in
tempi celeri sono infinitamente più basse di
quelle di un tribunale. Basti pensare al fatto
che generalmente la corte è dislocata territorialmente più lontano dalla parte richiedente
rispetto al tribunale, o al fatto che necessariamente la corte dovrebbe decidere collegialmente, mentre avanti al tribunale la revoca o modifica compete al g.i..
A favore del g. i., sono invece invocabili gli
artt. 709, comma 4°, c.p.c. e 4, comma 8°, l.
div., nella parte in cui non prevedono alcuna
sospensione del potere revocatorio in pendenza del reclamo. Certo quest’opzione, che
a me pare preferibile per le ragioni esposte
sopra, costringe a fare i conti con l’eventualità che la revoca o la modifica dell’ordinanza presidenziale intervengano quando è
ancora in corso il giudizio di reclamo. Non
mi pare peraltro una difficoltà insormontabile, potendo esser linearmente superata con la
dichiarazione di cessazione della materia del
contendere nel procedimento pendente avanti alla corte d’appello, come generalmente
avviene nel nostro ordinamento al venir
meno del provvedimento impugnato39.
Prima di poter considerare esaurito questo
punto, vi è necessità di un’ultima precisazione in merito agli eventuali mutamenti di circostanze che sopraggiungano dopo la pronuncia dell’ordinanza presidenziale, quando
però la stessa è ancora reclamabile (questo
spatium temporis potrebbe essere di soli dieci giorni, e quindi brevissimo, se l’ordinanza
presidenziale viene notificata, ma anche
molto lungo, per la precisione di un anno e
quarantasei giorni, se, in mancanza della
notifica, il termine entro cui proporre reclamo è quello di cui all’art. 327 c.p.c.). Esigenze di coerenza con le conclusioni cui
sopra si è appena pervenuti farebbero propendere per l’idea che anche questi ultimi
mutamenti di circostanze debbano essere fatti valere avanti al g.i. per ottenerne l’even-
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
tuale modifica dell’ordinanza presidenziale.
Non può essere sottaciuto tuttavia che nel
caso di specie, quando cioè l’ordinanza presidenziale è ancora assoggettabile ad entrambi i mezzi di gravame, potrebbe anche ritenersi prevalente, forse non a torto, l’esigenza di evitare una loro inutile ed antieconomica sovrapposizione. Se così fosse, non
potrebbe che essere il reclamo a dover assorbire al suo interno anche la cognizione su
circostanze sopravvenute anteriormente alla
sua proposizione.
Questa nociva situazione di incertezza, che
probabilmente si creerà quantomeno nella
prima fase di applicazione della riforma, nella pratica giudiziaria potrà comunque essere
facilmente ridotta al minimo (ossia limitata a
soli dieci giorni) attraverso la sollecita notifica dell’ordinanza presidenziale.
7. IL CONTROLLO ESTERNO SUI
PROVVEDIMENTI DI
AFFIDAMENTO DEI FIGLI.
e nuove previsioni avviluppano il potere di controllo sui provvedimenti di
affidamento dei figli minori contenuti nelle sentenze di separazione o di divorzio in
un intricato reticolo di disposizioni, la cui
ratio rischia di sfuggire anche al più attento degli interpreti.
Mi riferisco, in particolare, sperando di non
incorrere in omissioni:
- all’art. 155 bis, comma 2°, c.c., ove si legge che “Ciascuno dei genitori può, in
qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma (…) se la
domanda risulta manifestamente infondata
il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della
determinazione dei provvedimenti da
adottare nell’interesse dei figli”;
- all’art. 155 ter, comma 3°, c.c., ove si legge che “I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle dispo-
L
delle sue mutate condizioni lavorative. È chiaro che in una situazione del genere, se si vuole che la tutela del diritto del minore alla continuità dei rapporti con questo genitore sia effettiva, il provvedimento di modifica delle condizioni di affidamento deve intervenire in tempi rapidissimi, altrimenti quei rapporti rischieranno di interrompersi per tutto il tempo necessario all’ottenimento del provvedimento di
modifica richiesto.
39 Cfr. SCALA, La cessazione della materia del contendere, Torino, 2001, passim, spec. p. 324 ss..
17
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
sizioni concernenti l’affidamento dei figli,
l’attribuzione dell’esercizio della potestà
su di essi e delle eventuali disposizioni
relative alla misura e alla modalità del
contributo”;
- all’art. 709 ter, commi 1° e 2°, c.p.c., ove
si legge che “Per la soluzione delle controversie insorte tra i coniugi genitori in
ordine all’esercizio della potestà genitoriale e delle modalità di affidamento è
competente il giudice del procedimento in
corso. Per i procedimenti di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo
di residenza del minore.
A seguito del ricorso il giudice convoca le
parti e adotta i provvedimenti opportuni.
(…)”;
- all’immutato art. 710 c.p.c.
- all’immutato art. 9, comma 1°, l. div..
Ebbene, la mia impressione è che a dispetto
di questo kafkiano guazzabuglio di norme,
poco o nulla muti rispetto al passato, ad
eccezione del fatto che il nuovo art. 709 ter,
comma 1°, c.p.c. attribuisce al tribunale del
luogo di residenza del figlio minore la competenza sui procedimenti di modifica delle
condizioni di separazione ex art. 710 c.p.c. e
su quelli di modifica delle condizioni di
divorzio ex art. 9, comma 1°, l. div..
Nessuno avrebbe dubitato, credo, che anche
in assenza dei menzionati nuovi artt. 155 bis,
comma 2°, c.c., 155 ter, comma 3°, c.c. e
709 ter, commi 1° e 2°, c.p.c. (tutti applicabili anche ai processi di divorzio) ognuno dei
provvedimenti in essi previsti avrebbe potuto essere chiesto al tribunale in forza dei già
esistenti art. 710, comma 1°, c.p.c. e 9, comma 1° l. div.. Qualche dubbio, forse, avrebbe
potuto sorgere per ciò che riguarda il potere
del giudice di tener conto della manifesta
infondatezza della domanda ai fini della
determinazione delle condizioni di affidamento dei figli, oggi previsto dall’art. 155
bis, comma 2°, c.c.. Ma si tratta, a ben vedere, di un potere che già era facilmente derivabile dalla clausola generale di cui all’art.
117, comma 2°, c.p.c., e in ogni caso già largamente invalso nella prassi operativa.
Nemmeno si sarebbe dubitato che è compito
del giudice del procedimento in corso risolvere le controversie insorte tra i genitori,
come oggi espressamente prevede l’art. 709
18
AIAF RIVISTA 3/2006
ter, comma 1°, c.p.c.. Come tutti sanno, questa è una funzione di cui il g.i. veniva già
regolarmente investito nella prassi giudiziaria, richiamandosi ai poteri conferitigli dagli
artt. 709, comma 4°, c.p.c. e 4, comma 8°, l.
div. (risolvere le controversie in corso implica sempre, infatti, modificare o quantomeno
fornire un’interpretazione autentica dei
provvedimenti temporanei ad urgenti che in
quel momento regolano i rapporti familiari).
Si tratta quindi, nel complesso, di un profluvio di norme delle quali si poteva agevolmente fare a meno, utili solo a generare confusione in un campo in cui sarebbe invece
auspicabile la tendenza alla massima semplificazione.
Venendo ora all’unica novità degna di nota,
va osservato che con l’attribuzione al tribunale di residenza del minore della competenza sui procedimenti di modifica delle disposizioni che lo riguardano, si persegue il fine,
condivisibilissimo, di avvicinare il più possibile l’organo giudicante al soggetto nel cui
interesse primario deve essere erogata la
tutela giurisdizionale. Tuttavia l’aver ancorato la competenza al semplice luogo di residenza (direi effettiva e non certo anagrafica)
del minore, può prestarsi ad abusi e strumentalizzazioni da parte del genitore affidatario
(ma non solo), che potrebbe spostare ad arte
la residenza del figlio al solo fine di rendere
meno agevole il ricorso all’autorità giudiziaria da parte dell’altro (che così, per fare un
esempio, troverebbe maggiori difficoltà a
chiedere sgradite modifiche delle condizioni
di affidamento), o al fine di ricadere nella
competenza di un tribunale che ha espresso
orientamenti a lui più favorevoli (attuando
così una sorta forum shopping familiare).
Mi pare allora che forse, al fine di scongiurare il ricorso a espedienti di questo tipo, si
sarebbe dovuto adottare un criterio di maggior equilibrio tra la varie istanze, quale, ad
esempio, quello della residenza abituale del
minore, già impiegato, proprio in quest’ottica, nel regolamento comunitario n. 2001 del
2003, relativo “alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in
materia matrimoniale” all’interno dell’Unione europea.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
8. IL SISTEMA DI MISURE COERCITIVE
INDIRETTE INTRODOTTO DAL NUOVO
ART. 709 TER C.P.C.
a parte sin qui non ancora esaminata
dell’art. 709 ter c.p.c. si fa carico del
problema, sentitissimo nella pratica, dell’attuazione coattiva dei provvedimenti di
affidamento dei minori a carattere non
patrimoniale. Sino ad oggi il rispetto delle
numerose disposizioni volte a regolare i
rapporti non economici tra genitori e figli
contenute nelle sentenze di separazione o
di divorzio, nel verbale di separazione
consensuale e nell’ordinanza presidenziale, era rimesso in larga misura allo spontaneo adeguamento dei soggetti obbligati.
Mi riferisco, ovviamente, non solo e non
tanto all’affidamento dei figli in senso proprio, ma anche e soprattutto a quella variegatissima gamma di disposizioni che vanno sotto il nome di diritto di visita e che
servono ad assicurare, nel prioritario interesse del minore, la continuità dei rapporti
col genitore non affidatario (la frequentazione del figlio durante i week ends e
durante i periodi festivi; l’individuazione
di più frequenti momenti di contatto infrasettimanali, la condivisione di certe scelte
e di certe responsabilità educative, ecc…).
Era constatazione ampiamente condivisa,
che in caso di inosservanza di questi obblighi ben poco era possibile fare per ottenerne
il rispetto, se non chiedere qualche modifica
punitiva delle condizioni di affidamento, o
ricorrere al poco efficace strumento penale
(art. 570 c.p. e 12 sexies l. n. 74 del 1987)40.
Naturalmente il problema, in mancanza di
un’adeguata disciplina, sarebbe rimasto
L
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
assolutamente immutato anche sotto il nuovo
regime dell’affidamento condiviso.
Ora invece, molto opportunamente, il nuovo
art. 709 ter, comma 2°, c.p.c. introduce un vero
e proprio sistema progressivo di misure coercitive indirette, volte ad assicurare il rispetto di
tutti i provvedimenti in senso lato di affidamento, istruzione ed educazione dei minori.
Che tecnicamente si tratti di misure coercitive indirette è reso evidente dal fatto che,
come è proprio di questi strumenti, sono previste delle sanzioni come conseguenza dell’inadempimento di un’obbligazione civile al
chiaro scopo di indurre l’obbligato ad adempiere, prefigurandogli, con la possibile irrogazione della sanzione, una lesione più
cospicua del vantaggio che riuscirebbe a
trarre protraendo il suo inadempimento41.
Non è questa la sede per indugiare su un
tema vasto e dibattutissimo come quello della cd. esecuzione forzata indiretta42, basti
ricordare che era ormai risalente e pressoché
unanime il suggerimento della dottrina di far
ricorso alla tecnica della coercizione indiretta come mezzo di attuazione degli obblighi
non patrimoniali in campo familiare43 e quindi, almeno in linea di principio, non può che
essere salutata con favore l’introduzione della norma ora in esame.
Quel che invece lascia assai perplessi è la
bassa qualità tecnica dell’art. 709 ter, comma 2°, c.p.c., ove sono individuate in modo
assai approssimativo, tanto le fattispecie
sanzionate (“gravi inadempienze o atti che
comunque arrechino pregiudizio al minore
od ostacolino il corretto svolgimento delle
modalità di affidamento”), che le misure
afflittive (oltre a “modificare i provvedimen-
40 In generale sui limiti intrinseci dello strumento penale a tutela degli obblighi civili, v. PALAZZO, Tutela dei diritti, tutela del provvedimento giurisdizionale e categorie penalistiche, in Riv. it. dir. proc. pen., 1988, p. 501 ss.; ma anche, in precedenza, BRICOLA, Sulla
tutela penale della condanna civile, in Riv. dir. civ., II, 1962, p. 109 ss..
41 Che questa sia la caratteristica che contraddistingue le misure coercitive indirette, intese come strumento di attuazione delle obbligazioni
infungibili o comunque non eseguibili tramite la tecnica della sostituzione nelle forme regolate dal libro terzo del c.p.c., è affermazione costante in dottrina, per tutti in v. PROTO PISANI, Appunti sulla tutela di condanna, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1978, p. 1165 ss.;
ID, L’effettività dei mezzi di tutela giurisdizionale con particolare riferimento all’attuazione della sentenza di condanna, in Riv. dir. proc.,
1975, p. 620 ss.
42 Tra i contributi meno recenti v. CHIARLONI, Misure coercitive e tutela dei diritti, Milano, 1980, passim; COLESANTI, Misure coercitive e tutela dei diritti, in Riv. dir. proc., 1980, p. 601 ss.; FRIGNANI, Le penalità di mora e le <<astreintes>> nei diritti che si ispirano
al modello francese, in Riv. dir. civ., 1981, I, p. 506 ss.; più di recente, anche per un aggiornato inquadramento del problema, v. VULLO, L’esecuzione indiretta in Italia, Francia e Unione europea, in Riv. dir. proc., 2004, p. 727 ss..
43 In particolar modo v. CARPI, Note in tema di tecniche di attuazione dei diritti, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 110 ss.; PROTO
PISANI, La tutela giurisdizionale dei diritti della personalità: strumenti e tecniche di tutela, in Foro it., 1990, V, c. 1 ss..
19
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
ti i provvedimenti in vigore44” il giudice può
“1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico
di uno dei genitori, nei confronti del
minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico
di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al
pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di 75 euro a
una massimo di 5.000 euro a favore della
Cassa delle ammende”) applicabili sia singolarmente che “congiuntamente”.
Il lessico ridondante e ripetitivo utilizzato
per definire la condotta punibile ne lascia i
contorni talmente indefiniti che finirà quasi
certamente per rimettere la concreta applicazione delle sanzioni ad una troppo ampia
valutazione discrezionale del giudice45. E
ciò, per un verso attenua l’efficacia dissuasiva della misura coercitiva (non essendo ben
chiaro ex ante qual è il comportamento vietato), per altro verso viola il principio di
legalità al cui rispetto dovrebbe essere informata anche la previsione di un apparato sanzionatorio di questo genere. Direi comunque
che possano tranquillamente ritenersi inclusi
nel campo di applicazione della norma: il
rifiuto del genitore non affidatario di consegnare i figli all’altro46; l’aver violato in qualsiasi maniera il cd. diritto di visita del genitore non affidatario; l’aver assunto decisioni
rilevanti per i figli all’insaputa dell’altro
genitore; avere allontanato i figli dal luogo
di residenza stabilito giudizialmente, senza il
previo consenso dell’altro genitore o l’autorizzazione del giudice; e in genere, ritengo,
tutti quei comportamenti che, anche indirettamente, mirino ad ostacolare o ad eludere le
AIAF RIVISTA 3/2006
disposizioni non patrimoniali relative ai
figli, contenute nelle sentenze di separazione
o di divorzio, nel verbale di separazione consensuale o nell’ordinanza presidenziale.
In proposito, vi è inoltre da chiedersi se l’art.
709 ter, comma 2°, c.p.c. consenta di punire
anche l’eventuale inadempimento degli
obblighi di natura patrimoniale. Escluso che
queste nuove sanzioni possano applicarsi in
caso di ritardato o mancato pagamento dell’assegno disposto per il mantenimento dell’altro coniuge, visto che l’art. 709 ter c.p.c.
fa riferimento solo ed esclusivamente ai genitori, la questione rimane dubbia con riguardo
agli obblighi di mantenimento dei figli.
Esigenze di ordinato funzionamento degli
istituti suggerirebbero di escludere questa
possibilità, giacché gli assegni di mantenimento nel nostro ordinamento godono già di
una solida tutela privilegiata (penso ai
sequestri ex artt. 156, comma 6°, c.c. e 8,
comma 7° l. div.; agli strumenti di distrazione del reddito di cui agli artt. 156, comma 6°,
c.c. e 8, comma 3° l. div.; alle sanzioni penali di cui all’12 sexies l. div., oggi esteso alla
separazione dell’art. 3 della l. n. 54 del
200647) e l’aggiunta un’ulteriore eterogeneo
strumento coattivo rischia di creare indebite
sovrapposizioni ai danni dell’obbligato. Vi è
però da considerare che la norma non sembra
escludere a priori gli obblighi alimentari dal
suo campo di applicazione (fa generico riferimento a “gravi inadempienze”) e che siffatte obbligazioni, essendo dirette a soddisfare
bisogni primari, ben possono tollerare un
surplus di mezzi di esecuzione forzata48.
Quanto al catalogo delle sanzioni previste,
molto vi sarebbe da dire. Mi limiterò ad osservare che la funzione coercitiva assolta dall’apparato sanzionatorio introdotto dall’art.
44 Giustamente critico sull’uso del potere di modifica in termini puramente sanzionatori, DE MARZO, op. cit., c. 95.
45 Si è giustamente parlato di una previsione “che potrebbe scoperchiare, nel processo, una sorta di vaso di Pandora”; così MARTINELLI –
MAZZA GALANTI, op. cit., p. 464.
46 La norma, così, potrebbe essere di grande utilità per affrontare l’annoso e gravissimo problema dell’attuazione degli obblighi di consegna dei minori; su cui, tra i contributi più significativi, v. VACCARELLA, Problemi vecchi e nuovi dell’esecuzione forzata dell’obbligo di
consegna dei minori, in Studi in onore di Carnacini, II, Milano, 1984, p. 1590 ss.; SACCHETTI, L’esecuzione dei provvedimenti civili
riguardanti i minori, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, p. 276; FORNACIARI, L’attuazione dell’obbligo di consegna dei minori, Milano,
1991, passim.
47 V. se vuoi per un quadro d’insieme di questi strumenti CARPI-GRAZIOSI, voce Procedimenti in tema di famiglia, in Digesto, Torino,
1996, p. 523 ss.; ed inoltre ACONE, La tutela dei crediti di mantenimento, Napoli, 1985, passim.
48 Contra LUPOI, op. cit.
20
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
709 ter, comma 2°, c.p.c. implica che le condanne risarcitorie di cui ai nn. 2 e 3 abbiano
natura prevalentemente punitiva, al pari dell’ammonizione e delle pene pecuniarie previste dai nn. 1 e 4. Ciò naturalmente non può
che riflettersi sui criteri di determinazione del
danno, che dovrà esser sì commisurato all’entità della lesione, ma anche (e forse soprattutto) alla gravità della condotta illecita.
Proprio in considerazione della finalità prevalentemente (se non esclusivamente) punitiva delle misure sanzionatorie qui in esame,
è stato posto il problema della loro possibile
pronuncia d’ufficio, pervenendo ad ammetterla quantomeno con riguardo ai casi di cui
ai nn. 1 e 449.
A mio avviso una simile conclusione non è
consentita dall’art. 709 ter c.p.c. che, nel suo
complesso, colloca chiaramente queste pronunce nell’ambito di un procedimento che si
svolge ad istanza di parte. Inoltre, la pronuncia officiosa di un provvedimento a carattere
sanzionatorio comporta una tale deviazione
dai principi cardine su cui normalmente si
regge il processo civile (anche in campo
familiare) da richiedere, in ogni caso, un’espressa previsione normativa50.
Venendo infine ai profili più strettamente
procedurali, riterrei che quando l’applicazione di una delle sanzioni di cui all’art. 709 ter
c.p.c. è chiesta in conseguenza della violazione di una statuizione contenuta nell’ordinanza presidenziale, o in un provvedimento
del g.i. della stessa modificativo, la competenza a pronunciarsi spetti al “giudice del
procedimento in corso”, ossia al g.i., che
deciderà verosimilmente con ordinanza.
Qualora invece venga in rilievo l’inottemperanza a prescrizioni contenute nelle sentenze
di separazione o di divorzio, o nel verbale di
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
separazione consensuale, l’irrogazione delle
sanzioni sarà di competenza del tribunale
che si pronuncerà all’esito di un procedimento ex art. 710 c.p.c., e perciò con decreto motivato. Questo è quanto si ricava, direi
abbastanza linearmente, dal combinato
disposto del 1° e del 2° comma dell’art. 709
ter c.p.c., ed in particolare dal fatto che la
pronuncia della misure sanzionatorie di cui
al comma 2° è chiaramente indicata come la
conseguenza dell’instaurazione dei procedimenti radicati secondo le regole di competenza stabilite nel comma 1°51.
Stando all’art. 709 ter, comma 3°, c.p.c.
l’impugnazione di questi ultimi provvedimenti deve avvenire “nei modi ordinari”. Un
precetto non meno che sibillino.
L’ambigua lettera della norma parrebbe evocare l’appello, posto che ai sensi dell’art.
324 c.p.c. è il mezzo di impugnazione “ordinario” delle pronunce di primo grado. Fortunatamente però l’art. 709 ter c.p.c. non parla
di “mezzi di impugnazione”, ma di “modi di
impugnazione”. È agevole allora notare che
il modo ordinario di impugnazione nei procedimenti in camera di consiglio è il reclamo
ex art. 739 c.p.c., e che quindi, quantomeno
i provvedimenti sanzionatori emessi all’esito
di un procedimento ex art. 710 c.p.c., saranno reclamabili, avanti alla corte d’appello,
nelle forme e nei termini di cui al citato art.
739 c.p.c..
Meno semplice appare la questione relativa
all’impugnabilità delle misure sanzionatorie
ex art. 709 ter c.p.c., rese dal g.i. quale giudice del procedimento in corso. Escluso tuttavia che l’appello possa considerarsi il
modo di impugnazione ordinario di un’ordinanza, non rimane che pensare al reclamo
avanti al tribunale in composizione collegia-
49 DE MARZO, op. cit., c. 95, il quale, sia pur dubitativamente, sembra ammettere la condanna risarcitoria d’ufficio anche nel caso in cui
venga pronunciata a favore del figlio minore, sul presupposto che quest’ultimo non essendo parte processuale non potrebbe proporre la
relativa domanda; l’argomento in realtà prova troppo, perché se fosse fondato il tribunale non potrebbe emettere nemmeno tutti gli altri
provvedimenti relativi ai minori generalmente contenuti nelle sentenze di separazione e di divorzio. Più realisticamente si potrebbe pervenire a questa medesima conclusione, notando che il tribunale nei nostri processi è svincolato dal principio della domanda con riguardo all’emanazione dei provvedimenti di affidamento della prole (nuovo art. 155, comma 2°, c.c. e art. 6, comma 9°, l. div.). Nemmeno questo argomento, però, mi sembra dotato della necessaria tenuta, perché l’officiosità riconosciuta al giudice nell’esercizio di quei
poteri non può sic et simpliciter essere allargata all’esercizio di un potere tutt’affatto diverso, quale è quello di irrogare le sanzioni di cui
all’art. 709 ter c.p.c.; in arg. non nasconde i propri dubbi neanche M. A. LUPOI, in Comm. breve c.p.c. a cura di Carpi e Taruffo, Padova, 2006, p. 2019.
50 Conf. TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 401.
51 Per più ampi ragguagli sui profili procedurali v. LUPOI, Aspetti processuali cit..
21
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
le, sulla falsa riga del cd. reclamo cautelare
ex art. 669 terdecies c.p.c. o, ancor meglio,
dell’un po’ desueto reclamo istruttorio ex art.
178 c.p.c. (in quest’ultimo caso il termine di
presentazione del reclamo sarebbe ridotto a
dieci giorni, mentre nel primo sarebbe,
secondo la nuova formulazione dell’art. 669
terdecies, di quindici).
9. L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI NATURALI:
CRITERI, GIUDICE COMPETENTE E RITO
APPLICABILE.
ià da molto tempo mi ero permesso di
segnalare la profonda sperequazione
esistente nel nostro ordinamento tra le forme di tutela giurisdizionale di cui gode il
figlio legittimo, rispetto a quelle a cui ha
accesso il figlio naturale. Mi ero spinto
fino a rilevare che, paradossalmente, è
come se il rapporto di coniugio interferisse sul rapporto di filiazione rendendo la
posizione del figlio (legittimo) maggiormente presidiata sotto il profilo processuale, quando, sotto il profilo sostanziale, si
sa che il nostro diritto di famiglia è categorico nel proclamare la piena equiparazione tra lo status di figlio naturale e quello di figlio legittimo (artt. 261 e 277 c.c.)52.
Non posso quindi che accogliere con estremo
favore il tentativo di colmare questo ingiustificabile deficit normativo, operato mediante
l’art. 4 della l. n. 54 del 2006 nella parte in
cui dichiara “le disposizioni della presente
legge” applicabili anche “ai procedimenti
relativi ai figli di genitori non coniugati”.
Non ci si può nascondere, però, che la norma, semplice “disposizione finale” della legge sull’affidamento condiviso, purtroppo dal
punto di vista processuale è molto mal confezionata e sarà certamente fonte di una serie
innumerevole di problemi interpretativi.
Non vedo invece soverchie difficoltà nell’opera di estensione della nuova disciplina
sostanziale anche ai figli naturali. D’ora in
avanti anch’essi andranno affidati ai genitori
in ottemperanza ai criteri di cui agli artt. 155
e 155 bis c.c. e non più secondo quanto sino
ad ora previsto dall’art. 317 bis, comma 2°,
G
AIAF RIVISTA 3/2006
c.c.. E così pure l’assegno di mantenimento
andrà determinato sulla base dei parametri
fissati dall’art. 155, comma 4°, c.c.. Certamente, poi, il giudice potrà procedere all’assegnazione della casa familiare anche in caso
di separazione di genitori naturali, facendo
integrale applicazione della disciplina di cui
all’art. 155 quater c.c.. Infine, i figli maggiorenni di genitori non coniugati avranno
anch’essi diritto al “pagamento di un assegno periodico” per il loro mantenimento sino
al raggiungimento dell’indipendenza economica (art. 155 quinquies c.c. – v. sopra n. 4).
Venendo alla disciplina processuale, prederei
le mosse dalle questioni che mi paiono più
semplici, se non addirittura pacifiche, per
poi passare via via a quelle più spinose.
Non mi par dubbio in primo luogo che in forza dell’art. 155 sexies c.c. il figlio naturale
minorenne abbia diritto di essere ascoltato in
tutti i procedimenti che lo riguardano al pari
di quanto avviene per il figlio legittimo. Direi
anche, con relativa tranquillità, che nei procedimenti relativi all’affidamento di figli
naturali il giudice possa ammettere d’ufficio
qualsiasi mezzo di prova (art. 155 sexies,
comma 1°, c.c.), ivi compresi gli accertamenti di polizia tributaria (art. 155, comma 6°,
c.c. v. sopra n. 5), oltre che dare avvio ad un
percorso di mediazione familiare se ricorrono
le condizioni di cui all’art. 155, comma 2°,
sexies c.c. Altrettanto certo mi pare, da ultimo, che ognuno dei genitori possa in qualsiasi momento chiedere “la revisione delle
disposizioni concernenti l’affidamento dei
figli” ex art. 155 ter c. (sul punto v. comunque quanto osservato al precedente n. 7).
Si tratta ora di capire, ed è qui che si aprono
le più grosse difficoltà interpretative, quale
sia l’organo giudiziario competente a conoscere dei procedimenti di affidamento dei
figli naturali e quale rito si debba seguire.
Sino ad oggi è stato il tribunale per i minorenni a conoscere dei procedimenti relativi
all’affidamento di figli naturali, in forza del
rinvio all’art. 317 bis c.c. contenuto nell’art.
38 disp. att. c.c.. Mentre al tribunale ordinario era attribuita la competenza sulle que-
52 Mi si consenta il rinvio a GRAZIOSI, Strumenti processuali a tutela dei figli legittimi e dei figli naturali, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1995,
p. 314 ss.
22
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
stioni economiche relative al loro mantenimento, in base al combinato disposto degli
artt. 148 e 261 c.c.
Comincerei con l’osservare che fortunatamente la legge sull’affidamento condiviso ha
superato quest’assurda dicotomia. Il nuovo
art. 155, comma 2°, c.c., indubitabilmente
applicabile anche ai figli naturali, prescrive
che quando il giudice provvede sull’affidamento dei figli, fissi “altresì la misura e il
modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento…”. Se ne desume che
dovranno esser contestuali e contenute nello
stesso provvedimento, le misure relative
all’affidamento (condiviso o non) dei figli e
quelle economiche inerenti al loro mantenimento53. Analoghe indicazioni, sia pur in via
indiretta, si traggono dal comma 4° della
stesso art. 155 c.c. che, nell’autorizzare il
giudice a disporre la corresponsione “di un
assegno periodico”, fa implicito ma chiaro
riferimento allo stesso organo che ha provveduto sulle questioni relative all’affidamento.
Assodato che, come è normale e giusto che
sia, lo stesso ufficio giudiziario, d’ora innanzi, dovrà provvedere contestualmente sull’affidamento e sul mantenimento dei figli
naturali, va chiarito se questa attribuzione
spetti al tribunale ordinario o al tribunale per
i minorenni.
A favore del tribunale per i minorenni depone certamente il fatto che, almeno formalmente, non sono state modificate né abrogate dalle recenti riforme le norme che sino ad
oggi gli hanno attribuito la competenza in
questa materia (i già citati artt. 317 bis, comma 2°, c.c. e 38, comma 1°, disp. att. c.c.)54.
Questa soluzione, in apparenza sicura e tranquillizzante, si pone però in contrasto con
l’art. 4 comma 2°, della l. n. 54 del 2006 che,
senza distinzioni di sorta, e senza nemmeno
la clausola di compatibilità, prevede l’appli-
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
cazione ai figli naturali (recte ai procedimenti che li riguardano) di tutte le norme,
processuali e sostanziali, contenute in quella
stessa legge55. Vi sono infatti alcune disposizioni che, innestandosi nella disciplina prevista per il processo di separazione giudiziale, presuppongono, per la loro applicabilità,
che il processo si svolga nelle forme di cui
agli art. 706 ss. c.p.c., e non in quelle camerali tipiche dei processi minorili ex art. 38,
comma 3°, disp. att. c.c.. Mi riferisco in particolare: sia al nuovo art. 708, comma 4°,
c.p.c. che, nel prevedere la reclamabilità dell’ordinanza presidenziale, sottintende ovviamente che ordinanza presidenziale vi sia stata e che quindi il processo si sia svolto nelle
forme di cui agli artt. 706 ss. c.p.c.; sia
all’art. 709 ter, comma 1°, c.p.c. che, presupponendo un procedimento di modifica delle
condizioni di separazione (giudiziale o consensuale), parla di “tribunale” e non di “tribunale per i minorenni”.
È del tutto evidente, in definitiva, che se fosse il tribunale per i minorenni ad esser considerato competente, nel nuovo contesto normativo queste ultime norme sarebbero destinate a rimanere del tutto inapplicate, in spregio a quanto previsto dall’art. 4, comma 2°,
della l. n. 54 del 2006.
Come si vede, quindi, oggi l’applicazione
pura e semplice della vecchia normativa è
operazione tutt’altro che lineare sul piano
esegetico, perché ha come immediata conseguenza quella di determinare l’automatica
disapplicazione di norme nuove, che invece,
secondo i più elementari canoni ermeneutici,
dovrebbero avere la prevalenza su quelle
preesistenti.
A questo rilievo vi è da aggiungere che oggi
al binomio costituito dagli artt. 317 bis, comma 2° e 38, comma 1°, disp. att. c.c. non può
più essere attribuita la stessa valenza precet-
53 TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 391; ZAMAGNI VILLA, Affido condiviso: quale competenza per i figli naturali, in www.minoriefamiglia.it; contra DANOVI, I provvedimenti a tutela dei figli naturali dopo la l. 8 febbraio 2006, n. 54, n. 4, in corso di pubblicazione in Riv. dir. proc., che ho potuto leggere in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autore, il quale nota che l’avverbio “altresì” che compare nella norma in esame “non ha necessariamente valenza aggregativa”.
54 Su questa linea interpretativa, sia pur con maggiori sfumature argomentative, sembrano porsi alcune delle prime pronunce giurisprudenziali, tra cui Trib. Milano, 28 giugno 2006, n. 7711 in Guida al diritto, 2006, fasc. 32, p. 74 ss.; Trib. Min. Bologna, decr. 26 aprile 2006, inedito; DOSI, L’affidamento condiviso,in minoriefamiglia.it.
55 Contra, TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 390, il quale muove dal presupposto che “l’estensione delle regole dettate per la separazione coniugale anche ai conviventi more uxorio con prole riguardi essenzialmente le norme sostanziali”.
23
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
tiva di prima. Come giustamente è stato rilevato56, la parte dell’art. 317 bis c.c. in cui si
stabiliva che il giudice, “nell’esclusivo interesse del figlio”, potesse provvedere sull’affidamento in modo differente rispetto ai criteri predeterminati poco sopra dalla stessa
norma (esercizio congiunto della potestà in
caso di convivenza dei genitori ed esercizio
in capo al genitore convivente con il figlio in
caso di separazione) deve ritenersi sostituita,
e quindi abrogata, dall’art. 155 c.c. che,
anche con riguardo ai figli naturali, individua con molta più precisione i nuovi e diversi criteri cui il giudice deve attenersi.
Se così è, come anche a me pare che sia, non
v’è dubbio che anche il rinvio effettuato dall’art. 38, comma 1° all’art. 317 bis perde il
suo originario significato, perché l’unica
parte della norma interessata da quel rinvio
non esiste più. Esattamente, l’art. 38, comma
1° prevede che “i provvedimenti” di cui
all’art. 317 bis siano di competenza del tribunale dei minorenni. Ma siccome quei
“provvedimenti” non esistono più (perché
sostituiti dai provvedimenti ex art. 155 c.c.)
non possono più essere di competenza di
nessuno. Né si può ritenere che, a questo
punto, ricadano nella competenza del tribunale per i minorenni i nuovi provvedimenti
ex art. 155 c.c., giacché il comma 2° dello
stesso art. 38 dispone che sono emessi “dal
tribunale ordinario i provvedimenti per i
quali non è espressamente stabilita la competenza di una diversa autorità giudiziaria”.
E di certo non vi è disposizione alcuna nel
nostro ordinamento in cui sia espressamente
stabilito che i provvedimenti (di affidamento) di cui all’art. 155 c.c., se riguardano figli
naturali, siano di competenza del tribunale
ordinario.
In conclusione, venuto meno il rinvio all’art.
317 bis c.c. contenuto nell’art. 38 disp. att.
c.c. che espressamente devolveva al tribunale per i minorenni la competenza sui proce-
AIAF RIVISTA 3/2006
dimenti di affidamento dei figli naturali,
rimane applicabile anche a tali processi la
competenza residuale del tribunale ordinario
stabilita dal comma 2° dello stesso art. 38
disp. att. c.c.57.
La scelta interpretativa adottata facilita la
soluzione anche della conseguante questione
del rito applicabile.
Si è detto sopra che l’art. 4 della l. n. 54 del
2006 è molto esplicito nel prescrivere che
tutte le norme processuali contenute nella
legge sull’affidamento condiviso si applichino anche ai giudizi relativi all’affidamento
ed al mantenimento dei figli naturali, ma si è
del pari osservato che affinché ciò possa
avvenire è indispensabile che quei giudizi
siano strutturati nelle forme procedimentali
previste per il processo di separazione dagli
artt. 706 ss. c.p.c.; ne discende che la voluntas legis espressa dal menzionato art. 4 è nel
senso che anche i processi di affidamento dei
figli naturali, ormai di competenza del tribunale ordinario, si svolgano secondo il rito
previsto per la separazione giudiziale.
A questo argomento, di indubbia tenuta sul
piano logico ma obbiettivamente un po’ formale, se ne può aggiungere un altro più corposo in termini di effettività della tutela. L’eventuale celebrazione dei processi di affidamento dei figli naturali in forme camerali,
come apparentemente ancora prescritto dall’art. 38, comma 3° disp. att. c.c., esporrebbe
questi ultimi ad una macroscopica disparità
di trattamento rispetto ai figli legittimi, in
quanto per questi ultimi, avanti al tribunale
ordinario, trova applicazione il rito ben più
garantista seguito nella separazione e nel
divorzio.
Il confronto tra il modello camerale di cui
agli art. 737 ss. c.p.c. e quello delineato dagli
art. 706 ss. c.p.c. evidenzia una differenza
abissale in termini di garanzie processuali.
Si pensi solo (ma in realtà quest’ultima
affermazione è talmente evidente da non
56 Trib. Min. Milano, decr. 12 maggio 2006, in Guida al diritto, 2006, fasc. 32, p. 68 ss.; ed ora anche in Foro it., 2006, I, c. 2204, con
ampia nota di CASABURI; conf. ZAMAGNI VILLA, op. cit.; LUPOI, Aspetti processuali cit.
57 Contra TOMMASEO, Le nuove norme, cit., p. 391 ss.; DANOVI, op. ult. cit., il quale per sostenere che la competenza del tribunale dei
minorenni si regga ancora sull’art. 38 comma 1° disp. att. c.c. è costretto ad ipotizzare “che il richiamo in esso operato avvenga secondo una sorta di “doppio passaggio”, contenendo prima un rimando all’art. 317 bis c.c. e un ulteriore rinvio per relationem alla nuova
disciplina”.
24
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
richiedere alcuna dimostrazione) alla presenza dell’udienza presidenziale che consente di
ottenere sempre e comunque una disciplina
temporanea dei rapporti familiari, idonea, tra
l’altro, a rimanere in vita in caso di estinzione del giudizio di merito (art. 189 disp. att.
c.p.c.); o all’applicabilità nei processi di
separazione e di divorzio della disciplina
ordinaria sulle prove, con tutto ciò che ne
discende quanto alla corretta formazione del
materiale istruttorio su cui il giudice dovrà
formare il proprio convincimento; o ancora
all’applicabilità delle norme in materia di
impugnazioni ordinarie, che assicurano un
sistema di controllo sul provvedimento del
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
giudice di grado inferiore ben più efficace di
quello configurato dal solo art. 739 c.p.c..
Ebbene, se una simile differenza poteva trovare parziale giustificazione fino a quando i
giudizi di affidamento dei figli naturali
appartenevano alla competenza del tribunale
per i minorenni, se non altro in considerazione della peculiarità della composizione, dei
poteri e delle funzioni di questo organo giurisdizionale, ora non può più essere accettata
se, nell’ottica dell’art. 29 cost., si vuole perseguire la piena parificazione tra lo status di
figlio legittimo e quello di figlio naturale.
Intendo dire che se si fa applicazione del
canone ermeneutico secondo cui laddove sia-
25
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
no astrattamente possibili due o più ricostruzioni del dato normativo, deve essere prescelta quella maggiormente orientata alla realizzazione dei principi espressi dalla nostra
Carta costituzionale, nel nostro caso, deve
certamente essere privilegiata quella che
vuole anche i giudizi di affidamento e mantenimento dei figli naturali assoggettati al rito
previsto per la separazione giudiziale58.
Sempre a proposito di equiparazione tra la
condizione di figlio legittimo e quella di
figlio naturale, un cenno finale merita la
questione, non nuova, della regolamentazione consensuale dell’affidamento.
In base alla vigente normativa, se due genitori naturali interrompono la relazione sentimentale che li lega e soprattutto la convivenza possono accordarsi come meglio credono,
anche in deroga alle regole fissate dall’art.
317 bis c.c., sulle modalità di esercizio della
loro potestà sul figlio minorenne e sulla
ripartizione degli oneri economici. Su questo
non trascurabile aspetto non dovrebbe aver
inciso la nuova legge sull’affidamento condiviso, giacché gli artt. 155 e 155 bis c.c fanno chiaramente riferimento ai soli casi in cui
il giudice debba intervenire per comporre un
contrasto tra i genitori59.
In altri termini, i figli naturali, oggi come
ieri, sono interamente assoggettati all’autonomia “negoziale” dei loro genitori. Solo in
caso di mancato raggiungimento di un
(auspicabilissimo) accordo possono contare
sull’intervento del giudice.
Per i figli legittimi il regime è parzialmente
diverso. Anche caso di separazione consensuale o di divorzio congiunto, la legge gli
garantisce sempre un vaglio giurisdizionale
volto a verificare se le condizioni negoziate
dai loro genitori siano conformi al loro prioritario interesse. Da un lato, infatti, l’art. 158
c.c. prescrive al tribunale di rifiutare l’omologazione delle condizioni di separazione
consensuale se contrastano con l’interesse
dei figli minori; dall’altro l’art. 4, comma
AIAF RIVISTA 3/2006
16°, l. div. (immutato rispetto al vecchio
comma 13°) vieta al tribunale di pronunciare
la sentenza di divorzio, imponendogli la conversione del rito, se nel ricorso presentato
congiuntamente dai coniugi siano indicate
condizioni in contrasto con l’interesse dei
figli minori.
Non può non cogliersi una disparità di trattamento arbitraria e del tutto ingiustificata. Sia
i genitori naturali che i coniugi quando stabiliscono convenzionalmente il regime di
affidamento dei loro figli dispongono di
posizioni giuridiche delle quali in realtà non
hanno alcuna disponibilità (sia perché si tratta di situazioni giuridiche oggettivamente
indisponibili, sia perché fanno capo ai figli e
non ai genitori), per cui non si vede per quale ragione siano solo i figli legittimi a poter
contare sul controllo del giudice a tutela del
loro prevalente interesse.
Fatte queste considerazioni, va da sé che non
è certo questo il momento per auspicare un
ulteriore intervento normativo nel campo del
diritto processuale di famiglia (né, per il
vero, in nessun altro settore del diritto processuale civile!). Tuttavia nel concludere
queste mie riflessioni non posso esimermi
dal rilevare che il problema dell’effettiva
equiparazione, senza più zone d’ombra, del
trattamento dei figli legittimi e dei figli naturali non è ancora stato risolto e che, a questo
punto, non può più essere eluso o rinviato.
* Straordinario dell’Università di Ferrara
58 Contra DANOVI, op. ult. cit..
59 Così parrebbe anche DANOVI, op. ult. cit., n. 5, ove si osserva che il presupposto di applicazione “della nuova disciplina ai rapporti
tra genitori e figli naturali risulta quello della mancanza di coesione, dall’art. 317 bis c.c. intesa in termini di convivenza”; salvo poi
riconoscere anche ai genitori non coniugati la possibilità di rivolgersi congiuntamente al tribunale minorile per la verifica del proprio
accordo.
26
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
L
a legge n. 54 dell’8 febbraio 2006 non
si è limitata ad introdurre l’affidamento condiviso dei figli ed a conferirgli
un ruolo preferenziale rispetto agli altri
tipi di affido, ma ha altresì sensibilmente
novellato i correlati istituti del mantenimento della prole e dell’assegnazione della casa coniugale.
Dalle modifiche apportate a detti istituti traspaiono con nitore due delle reali, ma non
dichiarate, rationes che hanno spinto le associazioni dei padri separati a “scendere in
campo”, ad “entrare in politica” o, quantomeno, ad affidarsi a partiti ed a singoli uomini politici da loro stessi appoggiati e votati,
per eliminare i due soli strumenti che - nel
complesso delle norme previgenti in materia
di separazione, divorzio e rottura della convivenza more-uxorio -, potevano davvero
garantire il minore ed i suoi diritti a non
subire cambiamenti di vita a causa delle
vicende separative dei genitori: trattasi dell’assegno di mantenimento per il figlio da
versare al genitore affidatario e dell’assegnazione a quest’ultimo della casa coniugale.
Nell’intenzione dei proponenti la riforma,
con l’eliminazione dell’affidamento monogenitoriale si sarebbero eliminati, automaticamente, entrambi.
Fortunatamente, grazie alle numerose critiche sollevate ed ai molteplici emendamenti
formulati anche dalle associazioni di operatori del diritto (quali, tra le tante, il Forum
Associazione Donne Giuriste, l’AIAF, le
Camere Minorili, l’A.N.M., l’A.I.M.M.F.,
etc.), tali obiettivi non sono stati completamente raggiunti ma non v’è dubbio che i
nuovi articoli 155, 155 bis, 155 ter, 155 quater e 155 quinquies, introdotti nel codice
civile dall’art. 1 legge n. 54/06, hanno sensibilmente intaccato la certezza che caratterizzava entrambi gli istituti.
1. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI MINORI
on la legge c.d. sull’affidamento condiviso cambia la regolamentazione del
mantenimento dei figli.
Come è noto, la prassi nazionale unitaria che
si era radicata sulla vaga prescrizione del
vecchio art. 155 c.c. introdotto dalla riforma
del diritto di famiglia del 1975, si concretizzava nell’attribuzione al genitore affidatario
C
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
Il presente articolo costituisce la rielaborazione del contributo Le nuove norme introdotte
dalla legge sull’affido condiviso in materia di
mantenimento dei figli e di assegnazione
della casa familiare interpretate anche alla
luce del leading case Carrisi/Power (Cass. n.
18187/06 DEL 18.08.06) pubblicato in D &
G, 2006, 38, 112 ss.
di un assegno, di regola mensile, posto a
carico dell’altro genitore, assegno con cui
quest’ultimo era tenuto a contribuire al mantenimento dei figli.
LE NUOVE NORME
IN MATERIA DI
MANTENIMENTO
DEI FIGLI E DI
ASSEGNAZIONE DELLA
CASA FAMILIARE
Il precedente art. 155 c.c. prevedeva infatti
che «…il giudice stabilisce la misura e il
modo con cui l’altro coniuge deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione
e all’educazione dei figli».
Tale disposizione è stata riportata inalterata
nel testo del nuovo art. 155 c.c., secondo
comma, che recita: «il giudice determina i
tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura ed il modo in cui ciascuno di essi deve
contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione ed all’educazione dei figli».
Sin qui si potrebbe inferire che, nella inten-
MARIA GRAZIA
SCACCHETTI *
27
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
zione del legislatore, nulla cambi, ma il nuovo quarto comma della norma in esame elimina ogni certezza. In esso si legge infatti
che: «salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori
provvede al mantenimento dei figli in misura
proporzionale al proprio reddito;…».
Il testo non brilla certo per chiarezza. L’intenzione delle associazioni dei padri separati, fatta propria dagli autori delle cinque proposte di legge, era quella di introdurre un
regime di contribuzione basato sul mantenimento in forma diretta, con individuazione
dei relativi capitoli di spesa. La norma, pur
non accogliendo espressamente regole di
questo tipo, lascia pericolosamente aperta la
possibilità che tale risultato venga raggiunto
attraverso una interpretazione dottrinale1 e
giurisprudenziale che porterebbe a disastrose
ricadute pratiche.
Come è infatti possibile anche soltanto ipotizzare che due genitori impegnati in una
causa di separazione o divorzio giudiziale,
che si vedono imposto dalla legge e dal giudice un affidamento condiviso non scelto e
non voluto, raggiungano un accordo sul
tenore di vita da garantire al minore e sulla
ripartizione dei “capitoli di spesa”?!
Ed ancora: nel caso in cui il genitore che, ad
esempio, deve provvedere al capitolo di spesa “abbigliamento”, a novembre non lo faccia adducendo che per i mesi successivi
dovrà invece pagare il proprio dentista, l’altro cosa potrà fare?
- mandare in giro il figlio senza cappotto?
- anticipare i soldi? E se non li ha?
- fargli mandare la “lettera dall’avvocato”?
La comune esperienza insegna che, nonostante l’abolizione dei minimi tariffari, la lettera del legale spesso costa più del cappotto!
AIAF RIVISTA 3/2006
Ed ancora, se la diffida formale dell’avvocato non bastasse?
- fargli causa? Ma con quale tipo di procedura?
a) un precetto? Non sappiamo - e la legge
non lo dice - se l’accordo omologato o la
sentenza sul mantenimento in forma diretta potranno essere considerati, a tale specifico fine, titoli esecutivi. Il credito, a
parere di chi scrive, in base ad un’interpretazione rigida, rimane di ammontare
non certo2.
b) un decreto ingiuntivo? Il genitore gestito
potrà sempre fare opposizione eccependo
di non avere autorizzato né la gestione
dell’acquisto di un cappotto né tantomeno
dell’acquisto di quel cappotto! E ci vorranno anni, soldi ed avvocati per arrivare
alla sentenza sul cappotto!
c) una causa civile ordinaria? Ci vorranno
ancora più anni e più soldi - il numero
degli avvocati potrà anche non cambiare per la definizione del giudizio!
d) un ricorso ai sensi del nuovo art. 709 ter
c.p.c.? Una risposta affermativa da parte
della giurisprudenza sarebbe quanto mai
opportuna ed auspicabile stante la notoria
difficoltà pratica di recuperare coattivamente il credito per le spese c.d. “straordinarie”.
In dottrina la prima voce autorevole sul punto si è espressa in senso possibilista seppure
al termine di un excursus logico-giuridico più
atto a giustificare una soluzione contraria.
Con eccessivo appiattimento al quadro normativo (peraltro compiutamente declinato) ed
insufficiente attenzione al dato di comune
esperienza tra gli operatori del diritto di famiglia, Graziosi, ritiene che gli assegni di mantenimento «nel nostro ordinamento godono
già di una solida tutela privilegiata»3.
1
Che il mantenimento diretto sia oggi da considerarsi la forma ordinaria e preferenziale di contribuzione, nonché quella che meglio si
attaglia allo spirito ed al significato della riforma, è sostenuto da DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel
divorzio, Padova, 2006, 106, SESTA, Le nuove norme sull’affidamento condiviso: A) profili sostanziali, in Fam. dir., 2006, 4, 385 e da
SERVETTI, Affido condiviso, prime osservazioni e nodi problematici, 4, www.unicostmilano.it.Tale dottrina, che rischiava di essere maggioritaria, è oggi autorevolmente superata dalla sentenza n. 18187/06 di cui infra.
2
Con la conseguenza «che non trattandosi di un diritto ancora liquidato il genitore che ne è creditore dovrà rivolgersi al giudice competente per ottenere l’accertamento e la liquidazione di quel diritto prima di potere agire esecutivamente» : così DOSI, Le nuove norme sull’affidamento e sul mantenimento dei figli e il nuovo processo di separazione e di divorzio, 28, testo della relazione tenuta dall’Autore al Convegno “Affido condiviso: verso una prassi condivisibile” tenutosi a Roma il 29 maggio 2006. La relazione è pubblicata
sul sito www.aiaf-avvocati.it.
3
GRAZIOSI, Profili processuali della l. n. 54 del 2006 sul cd. Affidamento condiviso dei figli, testo in corso di pubblicazione in Dir. fam
e pers., che ho potuto leggere in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autore.
28
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
La realtà dimostra esattamente il contrario,
posto che: a) i sequestri ex art. 156, comma
6°, c.c. e 8, comma 7° l. div., sono un’arma
spuntata contro il genitore che abbia dolosamente occultato il proprio patrimonio (come
da prassi sempre più sparsa); b) gli strumenti di distrazione del reddito non possono certo tutelare la prole dei liberi professionisti,
dei lavoratori “in nero”, dei commercianti,
dei managers che operano in Cindia, etc., e
di tutti coloro (sempre più numerosi) che,
pur di sfuggirvi, si licenziano o si fanno
licenziare; c) le sanzioni penali di cui all’art.
12 sexies l. div., estese anche alla separazione dall’art. 3 l. 54/06, sono irrimediabilmente neutralizzate dalla prassi dei Giudici penali - conforme in tutto il Paese - che degrada
le violazioni dei doveri di mantenimento al
rango di reati bagatellari e, conseguentemente, lascia giacere intonse le relative querele
fino alla prescrizione dei reati stessi.
A ciò si deve altresì aggiungere la pressoché
insormontabile e notoria impossibilità di
ottenere il pagamento forzoso del fantomatico concorso alle c.d. spese straordinarie, uno
dei più aleatori modi di contribuzione al
mantenimento dei figli!
A fronte della descritta situazione, l’introduzione di un ulteriore mezzo di tutela del
diritto al mantenimento della prole è pertanto più che mai urgente e necessaria.
D’altronde il legislatore del 2006, nella campagna mediatica di suasio della legge sull’affidamento condiviso dei figli, ha agitato
sino all’esasperazione la ratio della tutela
degli interessi della prole, per cui è di questi
interessi che una corretta interpretazione
teleologica e sistematica dovrebbe preoccuparsi e non certo di quelli, confliggenti e
sicuramente meno meritevoli, del genitore
obbligato ed inadempiente.
In giurisprudenza abbiamo, per fortuna, già
un precedente favorevole all’applicabilità dell’art. 709 ter c.p.c. alle fattispecie di inadempimento agli obblighi di natura patrimoniale.
Si tratta dell’ordinanza emessa il 7 aprile
2006 dal G.I. nell’ambito di una procedura di
separazione giudiziale pendente innanzi al
4
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
Tribunale di Modena4: nella fattispecie il
genitore non affidatario si era reso inadempiente sia al pagamento del contributo per il
mantenimento del minore, sia al regime di
visita, così come stabiliti dall’ordinanza presidenziale ex art. 708 c.p.c.
A fronte di un tenore letterale dell’articolo
ancora una volta privo di chiarezza e di
intracoerenza [perché al primo comma prevede che «per la soluzione delle controversie
insorte tra i genitori in ordine all’esercizio
della potestà genitoriale o delle modalità
dell’affidamento è competente il giudice del
procedimento in corso», ed al secondo comma allarga, in modo lato ed atecnico, la fattispecie ai casi di gravi inadempienze o di atti
che comunque arrechino pregiudizio al
minore], il provvedimento ha il merito di
inaugurare l’interpretazione giurisprudenziale ritenendo che lo strumento dell’art. 709
ter c.p.c. sia applicabile anche al caso di violazione degli obblighi di mantenimento.
Il dispositivo dell’ordinanza mette però in
luce i gravissimi limiti della norma.
Il Giudice ha ammonito il genitore e gli ha
inflitto una sanzione amministrativa di 750
euro a favore della Cassa delle ammende,
riservandosi di disporre successivamente,
nel caso di protrazione dell’inottemperanza e
di specifica prova dei danni, il risarcimento
patrimoniale a carico del convenuto.
La decisione è sicuramente legittima, fondata e mirata ad una interpretazione equa ed
estensiva della norma: è però evidente che
non fa giustizia! Quanto può giovare al figlio
non mantenuto ed al genitore non coadiuvato che 750 euro vadano a finire nella Cassa
delle ammende?
Se lo scopo della riforma è davvero quello di
tutelare i minori non sarebbe stato più
conforme a tale ratio destinare in un qualche
modo detto importo, in tutto o in parte, al
figlio e/o alla madre affidataria, ad esempio,
a titolo di risarcimento danni - danni che
sicuramente ci sono stati - valutati, in mancanza di una specifica prova, in via equitativa così come del resto già prevede e consente il codice civile all’art. 1226?
Ordinanza redatta dal dott. Pagliani e pubblicata in D & G, 2006, 25, 22 ss.
29
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
Ed, ancora, il legislatore avrebbe ben potuto
conferire al Giudice il potere di emettere
ordinanze di ingiunzione ex art. 186 bis e
186 ter c.p.c. Il Giudicante del 709 ter c.p.c
deve infatti preliminarmente accertare se il
mantenimento dovuto (tanto in forma diretta
quanto in forma indiretta) sia stato o meno
prestato: perché non conferirgli quindi anche
il potere di condannare l’inadempiente al
pagamento del debito? Se il legislatore non
ha avuto l’accortezza di conferire espressamente al Giudice tale potere, lo stesso può
essergli riconosciuto dalla giurisprudenza di
merito e di legittimità, in sede di interpretazione giudiziale, a nulla ostando l’applicabilità degli art. 186 bis c.p.c. e 186 ter c.p.c.
alle fattispecie di cui all’art. 709 ter c.p.c.
Tale soluzione sarebbe, oltre che legittima
sotto il profilo del diritto sostanziale e processuale, fortemente auspicabile sotto quello
della politica legislativa. Essa, infatti, eviterebbe dispendio di denaro, l’aumento esponenziale delle cause e la possibilità di contrasto tra giudicati!
Quanto sopra basta a dimostrare come il
mantenimento in forma diretta e per capitoli
di spesa non solo non risolve i problemi, ed
aumenta anzi il numero delle controversie,
ma non tutela affatto il diritto del minore a
mantenere lo stesso tenore di vita goduto in
costanza del matrimonio dei suoi genitori.
La lettera dell’art. 709 ter c.p.c. inoltre, laddove ha previsto che, in caso di «gravi inadempienze o di atti che comunque arrechino
pregiudizio al minore od ostacolino il corretto svolgimento delle modalità dell’affidamento», il giudice «può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche congiuntamente: 1) ammonire il genitore inadempiente; 2) disporre il risarcimento dei danni, a
carico di uno dei genitori, nei confronti del
minore; 3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro; 4) condannare il genitore ina-
AIAF RIVISTA 3/2006
dempiente al pagamento di una sanzione
amministrativa pecuniaria, da un minimo di
75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore
della Cassa delle ammende », non ha chiarito quando il genitore sia da considerarsi gravemente inadempiente.
È sufficiente il mero inadempimento di una
sola mensilità come in materia di locazioni?
È necessaria una formale costituzione in
mora ex art. 1219 c.c.?
È sufficiente quest’ ultima o è necessaria una
pronuncia del Giudice? Passata in giudicato?
L’inadempimento deve raggiungere un certo
ammontare? Se sì, quale? Se no, lasciamo al
Giudice la discrezionalità di valutare se l’inadempimento è abbastanza grave da giustificare non solo il passaggio da una forma
all’altra di mantenimento ma anche l’irrogazione delle sanzioni di cui ai punti 1,2,3 e 4?
A questo proposito pare doveroso sottolineare che il testo del disegno di legge5 risultante dagli emendamenti approvati dalla Commissione Giustizia l’8.2.2005, almeno prevedeva, all’art. 155 quater c.c., che, in caso di
inadempienza - e non già di grave inadempienza -, rispetto agli obblighi di mantenimento diretto, il Giudice disponesse, relativamente al genitore inadempiente, la loro
sostituzione tramite corrispondente assegno
da versare all’altro genitore.
Malauguratamente questa disposizione, che
sarebbe di certo stata una efficace sanzione
per il genitore inadempiente, è sparita, insieme al richiamo esplicito al mantenimento in
forma diretta6. Il vuoto però non è stato colmato da previsioni certe, ma da un generico
dovere, in capo a ciascun coniuge, di contribuire al mantenimento con modalità rimesse
alla discrezionalità dei Giudici!
A chiusura della disciplina del mantenimento, il quarto comma del nuovo art. 155 c.c.
prosegue precisando che «il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un
assegno periodico al fine di realizzare il
5
Testo risultante dall’unificazione dei disegni di legge 66 (Tarditi +), 453 (Cento +), 643 (Lucchese +), 1268 (Trantino), 1558 (Vitali +),
2233 (Lucidi +), 2344 (Mussolini +), 2576 (Mantini +), 4027 (Di Teodoro +), 4068 (Mazzuca +) e modificato in più punti dopo che, nel
corso delle audizioni alla Commissione Giustizia della Camera, numerose associazioni (tra cui l’Associazione Magistrati Minorili, Camere Minorili, Avvocati della Famiglia e dei minori, Forum Donne Giuriste, Avvocate di riferimento delle Case contro la violenza alle donne, Organismo Unitario dell’Avvocatura, mediatori familiari) avevano presentato analisi critiche al precedente testo unificato c.d. Paniz.
6
Sulla applicabilità del mantenimento in forma diretta cfr. MAGLIETTA, Quelle interpretazioni sull’affido che rischiano di pregiudicarne
le finalità, in Guida al diritto, 2006, 11, 12.
30
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
principio di proporzionalità», senza chiarire
tuttavia né il ruolo - prioritario o meno - dell’assegno tra le varie modalità di contribuzione, né i concetti di periodicità e proporzionalità.
Il legislatore del 2006 ha così affidato il
diritto dei minori al proprio mantenimento e,
ancor più, la certezza del diritto al loro mantenimento, al caso ed alla aleatoria fortuna di
incappare in Giudici non solo specializzati e
sensibili ma pure dotati di buon senso, di
praticità e, soprattutto, di figli, e perciò presumibilmente in grado di adottare provvedimenti equi che possano concretamente
garantire alla prole il diritto di essere mantenuti da entrambi i genitori7.
È evidente che, a fronte dei sopracitati dati
testuali, l’assegno ha rischiato di diventare
uno strumento residuale, con la sola funzione di attuare il principio di proporzione che
deve governare la regolamentazione del
mantenimento dei figli8.
Infatti, dal momento che i figli sono affidati
ad entrambi i genitori ciascuno dei quali
deve provvedere al loro mantenimento, l’assegno potrebbe finire con l’essere disposto
solo nei casi di rilevante disparità di condizioni reddituali9 e tenuto conto del mantenimento diretto.
Non è scritto chiaramente, e perciò ai non
operatori del diritto di famiglia poteva anche
sfuggire, che, come conferma la pronuncia
della Corte di Cassazione di cui infra, all’interpretazione giudiziale è stata così rimessa
anche la sopravvivenza o meno dell’assegno
mensile di contributo al mantenimento dei
figli, unica forma - peraltro perfettibile - che
garantisce al genitore che, di fatto, continua
a convivere con il figlio (anche se in regime
di “condivisione” dell’affido con l’altro), un
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
effettivo concorso alle spese a tal fine necessarie.
Fortunatamente le gravi incertezze inopinatamente introdotte dalla legge 54/06 hanno
avuto vita breve10.
La prima sezione della Corte Suprema, infatti, è già intervenuta sul tema con la sentenza
n. 18187 del 18.08.2006 (Relatore Spagna
Musso, Presidente Gabriella Luccioli)11, sentenza che, sia per la persuasività logica e la
esaustività delle argomentazioni svolte, sia
per la sua immediata e capillare divulgazione sulle reti televisive e sulla stampa12 “a
causa” della notorietà delle parti in lite (Carrisi - Power), pare destinata ad assumere il
rango di precedente “piuttosto vincolante”.
Con tale pronuncia la Cassazione ha censurato il decreto della Corte d’Appello di Lecce (emesso ex art. 739 c.p.c. in sede di reclamo del decreto di primo grado ex art. 710
c.p.c.) nella parte in cui ha attribuito all’affidamento congiunto una valenza patrimoniale
prescindendo dalla considerazione che detto
istituto, fondato sull’esclusivo interesse del
minore, attiene invece alla qualità della vita
di quest’ultimo.
Prendendo le mosse da una inedita quanto
necessaria ed opportuna distinzione tra le
diverse rationes dei due istituti - posto che,
mentre l’affidamento condiviso è volto a realizzare l’interesse “esistenziale” del minore,
la corresponsione dell’assegno di mantenimento è finalizzata a soddisfare i suoi bisogni di natura “patrimoniale - assistenziale”,
con apprezzabile nitore la Cassazione ha
finalmente chiarito che l’affidamento congiunto «non può comportare necessariamente, in ordine al mantenimento dei figli, un
“pari” obbligo patrimoniale a carico dei
genitori, nel senso che dall’affidamento con-
7
In senso analogo v. anche MISSIAGGIA, L’affido condiviso alla prova dei fatti. Se la tutela va più ai genitori che ai figli,in D & G, 2006,
7, 121-122. Propende per la funzione residuale dell’assegno SESTA, op. loc. cit.
8
Il rischio è altresì segnalato da DOSI, op. loc. cit..
9
Si veda, ad esempio, KING,Contributo proporzionale al reddito, in Il sole 24 Ore, 16 febbraio 2006, 13.
10 Opportunamente FIORINI, L’affidamento congiunto della prole non esclude il versamento dell’assegno, in Guida al diritto, 2006, 35,
47, rileva che «con la sentenza 18187/2006 la Cassazione ha sgombrato il campo da un pericoloso equivoco interpretativo che la legge 54/2006 sembrava poter creare, e ciò ancora prima di essere chiamata a pronunciarsi su un provvedimento che di quella legge abbia
fatto diretta applicazione, anticipando in tal modo l’esercizio della sua, sempre preziosa, funzione nomofilattica».
11 Pubblicata qui di seguito.
12 Cfr., ex pluribus, il quotidiano La Repubblica, 19.08.06, p.18.
31
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
giunto debba discendere l’obbligo per ciascun coniuge di provvedere “in via diretta”
al mantenimento dei figli. Tale tipo di valutazione non può assolutamente essere consentita qualora si tenga conto che l’affidamento congiunto, come detto, attiene all’interesse del minore dal punto di vista del suo
sviluppo, del suo equilibrio psico-fisico,
anche in considerazione di situazioni socioambientali, del perpetuarsi dello schema
educativo già sperimentato durante il matrimonio, mentre la corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli ha natura
patrimoniale- assistenziale (c.d. assistenza
materiale), ed è finalizzata a sostenere le
spese necessarie per consentire le attività
dirette a detto sviluppo psico - fisico del
minore (senza esclusione del relativo obbligo in caso di raggiungimento della maggiore età da parte dei figli ove detto assegno si
renda comunque necessario).
In definitiva, l’affidamento congiunto è istituto che, per le sue finalità riguardanti l’interesse dei figli, non esclude l’obbligo del
versamento di un contributo, ove ne sussistano i presupposti, a favore del genitore con il
quale i figli stessi convivono.».
Con singolare attenzione - oltre che al criterio sociologico ed equitativo - al dato normativo ed all’esigenza di certezza del diritto,
la sentenza in esame, sebbene deliberata il
27.02.06, non ha mancato di stabilire il rapporto esistente tra il proprio precipitato e la
legge n. 54 dell’8 febbraio 2006, quantunque
quest’ultima sia stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale soltanto in data successiva, e
cioè il 1o marzo 2006, ed entrata in vigore il
16 marzo 2006.
Il testo della parte motiva infatti così prosegue: « In proposito, è da rilevare come anche
la recente legge n. 54/2006, recante disposizioni in materia di separazione dei genitori e
affidamento condiviso dei figli, pur se successiva alla data dell’impugnata decisione,
introduca il c.d. principio della bigenitorialità, con ciò ovviamente privilegiando l’interesse “esistenziale” del minore e prescindendo, in particolare, sia dal rapporto patri-
AIAF RIVISTA 3/2006
moniale tra i due ex coniugi, sia dagli aspetti economici riguardanti la vita del minore,
autonomamente disciplinati dal quarto comma di detto art. 155 c.c., in cui è previsto che
ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al
proprio reddito e che “il giudice stabilisce,
ove necessario, la corresponsione di un
assegno periodico al fine di realizzare il
principio di proporzionalità”, sulla base di
vari parametri, tra cui le “risorse economiche di entrambi i genitori”.
È un’ulteriore e definitiva conferma che l’affidamento congiunto non può certo far venir
meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire con la corresponsione di un
assegno al mantenimento dei figli in relazione
alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza. Ne
consegue che censurabile è la decisione in
esame là dove ha erroneamente fatto derivare, come conseguenza “automatica”, dell’affidamento congiunto il principio che ciascuno
dei genitori provvede in modo diretto ed autonomo alle esigenze dei figli.».
È pertanto incontrovertibile che l’autorevole
opzione ermeneutica della Suprema Corte
abbia eliminato i dubbi inferibili dal dettato
normativo statuendo che la legge n. 54/06
non ha affatto introdotto, come esclusiva
modalità di contribuzione correlabile all’affido condiviso, il mantenimento in forma
diretta ed autonomo da parte di ciascun genitore ma, viceversa, ha previsto e disciplinato, quale istituto tuttora applicabile anche in
caso di affidamento condiviso, l’obbligo, a
carico del genitore non convivente, della
corresponsione di un assegno di mantenimento per i figli da versare al genitore coaffidatario e collocatario della prole13.
Il legislatore del 2006 - facendosi evidentemente carico delle istanze avanzate dai padri
separati - ha espressamente subordinato tale
obbligo alla condizione che lo stesso sia
“necessario” ma è di tutta evidenza come la
clausola “ove necessario” non incida affatto
sulla sussistenza e sulla funzione (preferenziale o residuale) dell’istituto, integrando la
13 In dottrina, in senso conforme alla Suprema Corte si era già espresso PADALINO, L’affidamento condiviso dei figli, Torino, 2006, 60.
32
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
stessa un tacita condicio iuris alla quale, sia
pure implicitamente, era sottoposto l’obbligo
in esame anche dalla precedente normativa
in forza del principio di proporzionalità di
cui all’art. 148 c.c., principio che regola il
concorso dei genitori all’adempimento degli
obblighi, anche di mantenimento, verso i
figli, sin dalla ben melius perpensa et scripta riforma del 1975.
Riprendendo l’esegesi del nuovo art. 155 c.c.
è infatti a dire che il legislatore del 2006, in
limine al quarto comma, ha indicato, quale
unico criterio quantificativo, quello del reddito dei coniugi, e ciò in aperto contrasto con
l’art. 148 c.c. laddove è disposto il concorso
dei coniugi all’obbligo di mantenimento dei
figli «in proporzione alle rispettive sostanze
(concetto, quest’ultimo, ben più ampio rispetto a quello del reddito) e secondo la loro
capacità di lavoro professionale e casalingo».
Non solo: la nuova norma ha cancellato oltre
venti anni di attente ed opportune pronunce
interpretative e perequative (queste sì) della
Corte di Cassazione la quale, al fine che qui
interessa, aveva elaborato il ben più esteso
criterio della capacità contributiva, capacità
da commisurarsi non solo in base al reddito,
ma alla complessiva consistenza del patrimonio di ciascuno di essi, nella misura
espressa da ogni forma di reddito od utilità14,
e quindi anche dal valore intrinseco di beni
immobili, siano essi direttamente abitati o
diversamente utilizzati 15 precisando, con
apprezzabile ed acuta attenzione al dato di
comune esperienza, che, ai fini della quantificazione in parola, concorrono alla determinazione dello status patrimoniale dei genitori, anche i cespiti immobiliari non produttivi
di reddito, poiché detti cespiti, oltre ad essere comunque idonei ad assicurare benefici di
rilevanza patrimoniale al loro titolare (ad
esempio per la maggiore facilità del credito e
delle sue condizioni), rappresentano una
entità che può essere resa liquida16.
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
Adesso cosa accadrà? Occorreranno altri
dieci anni di interventi della Suprema Corte
per estendere tale sedimentato criterio applicativo anche alla nuova norma?
L’articolo prosegue elencando poi i parametri per la quantificazione dell’eventuale assegno periodico [non si può sottacere la circostanza che, per qualificare detto assegno, il
legislatore del 2006 ha accuratamente quanto emblematicamente evitato il binomio “di
mantenimento”], ovvero: 1) «le attuali esigenze del figlio; 2) il tenore di vita goduto
dal figlio in costanza di convivenza con
entrambi i genitori; 3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore; 4) le risorse economiche di entrambi i genitori; 5) la valenza
economica dei compiti domestici e di cura
assunti da ciascun genitore».
Trattasi di una elencazione alquanto parziale
e fuorviante.
Il parametro sub 2) denuncia ancora una volta sia la mancata conoscenza, da parte del
legislatore del 2006, degli orientamenti giurisprudenziali -anche di legittimità- volti ad
interpretazioni applicative più congruenti
con la realtà sociale disciplinata e più
conformi al senso di giustizia della collettività, sia la conseguente discrasia tra la ratio
proclamata (ovvero la tutela degli interessi
del minore) e gli strumenti approntati per la
sua realizzazione.
Da oltre 10 anni, infatti, la Cassazione, seppure statuendo in materia di assegno divorzile, ha precisato che, per tenore di vita goduto, deve intendersi non soltanto quello che la
persona beneficianda ha effettivamente tenuto ma anche quello che avrebbe potuto godere in base ai redditi della persona obbligata;
la quantificazione, cioè, va fatta con riferimento al tenore di vita offerto dalle effettive
potenzialità economiche della persona obbligata, e non a quello, eventualmente più morigerato, frutto di tolleranza, imposizione o
anche di accordo17.
14 Cass. 4.4.2002 n. 4800, in Giust. civ. Mass., 2002, 739; Cass. 3.7.1999 n. 6872, in Giust. civ. Mass., 1999,1551; Cass. 29.11.1990 n.
11523, in Giur. It., 1991, I, 1, 1022; Cass. 2.7.1990 n. 6774, in Giust. civ., 1991, I, 1799.
15 Cass. 21.1.1995 n. 706, in Giust. civ. Mass.,1995,125.
16 Cass. 15.1.1990 n. 110, in Giust.civ. Mass.,1990, fasc. 1.
17 In tal senso cfr. Cass. 6.10.2005 n. 19446, in Giust. civ. Mass., 2005, 10, Cass. 15.5.2001 n. 6660, in Giust. civ. Mass., 2001, 974,Cass.
26.11.1996 n. 10465, in Giust. civ., 1997, I, 3140.
33
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
È evidente che l’effettiva tutela degli interessi patrimoniali - assistenziali del minore
sarebbe stata più efficacemente garantita se,
al punto in esame, fosse stato previsto, quale
criterio quantificativo, “il tenore di vita
goduto dal figlio o quel tenore di vita che il
figlio avrebbe potuto godere in base alle
effettive capacità economiche dei genitori”.
Particolarmente insidioso appare il parametro sub 3): traspare qui, in modo solare, la
confusione che permea tutta la riforma tra il
concetto di “affido condiviso” (mai definito
dal legislatore ma da intendersi - alla luce
dei principi generali del diritto di famiglia e
della potestà genitoriale - come esercizio
congiunto della potestà e conseguente condivisione della responsabilità genitoriale) e
quello di “collocamento equitemporale” della prole presso ciascun genitore.
È infatti evidente che, a differenza di quanto
pretendono di sostenere i padri separandi,
separati, divorziandi, divorziati, etc… ed i
loro difensori, una uguale ripartizione dei
tempi di permanenza presso l’uno o l’altro
genitore non realizza di per sé il principio di
proporzionalità, posto che i tempi di coabitazione possono incidere sulle spese di vitto e
di alloggio ma non certo su quelle mediche,
scolastiche, sportive, assicurative, di abbigliamento, etc…
Certamente positivo è, semmai, il criterio
sub 5), criterio non previsto nei vari disegni
di legge (e ciò con evidente revirement
rispetto alla riforma del 1975 ed in contrasto,
ancora una volta, con l’art. 148 c. c., fortunatamente non novellato) ma introdotto soltanto a seguito delle critiche ed istanze reiteratamente sollevate dal Forum Associazione
donne Giuriste.
A fronte di un dato di comune esperienza
quale il costo orario di colf e baby sitter, era
quanto mai equo ed urgente valorizzare il
lavoro domestico svolto da ciascun genitore,
a maggior ragione se si considera che, nonostante l’evoluzione dei costumi e l’impegno
delle donne in attività extrafamiliari, i com-
AIAF RIVISTA 3/2006
piti domestici e di cura continuano ad essere
svolti prevalentemente dalle madri e che i
figli, in occasione delle permanenze presso il
padre, vi giungono lavati, pettinati e con abiti e biancheria pulita mentre ritornano presso
l’abitazione materna con gli indumenti personali in ben altre condizioni e, per lo più, i
compiti ancora da svolgere!
Ai parametri suelencati deve aggiungersi
quello del godimento della casa familiare di
proprietà di un genitore (o in comproprietà
di entrambi), ma assegnata all’altro (o ad
uno solo dei due) in considerazione dell’interesse dei figli, anche se quest’ ultimo criterio è stato inserito non già nella disposizione
in esame ma nell’art. 155, quater, secondo
comma, c.c.18.
2. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI
MAGGIORENNI.
ltra deleteria novità introdotta dalla
legge sull’affido condiviso riguarda la
disciplina del mantenimento dei figli maggiorenni. Il nuovo articolo 155 quinquies
c.c. stabilisce che «il giudice, valutate le
circostanze, può disporre in favore dei
figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno
periodico. Tale assegno, salva diversa
determinazione del giudice, è versato
direttamente all’avente diritto.».
È opportuno ricordare che al venir meno dell’esercizio della potestà genitoriale per il
raggiungimento della maggiore età, il figlio
non ancora economicamente autosufficiente
ha diritto alla prestazione del mantenimento
da parte di entrambi i genitori finchè non sia
in grado, non per sua colpa, di mantenersi da
sé19.
Il mantenimento cui si fa riferimento è comprensivo, oltre che delle spese per i bisogni
fondamentali, anche delle spese per una personale vita di relazioni sociali ed amicali
secondo il livello proprio dell’ambiente in
cui la famiglia è inserita.
Conformemente a questi principi generali,
A
18 In senso conforme cfr. SESTA, Le nuove norme, cit., 385, il quale, però, fa riferimento soltanto alla ipotesi della casa familiare di proprietà esclusiva di uno dei coniugi mentre, a mio parere, è innegabile che l’assegnazione della stessa abbia una valenza economica anche
nel caso di comproprietà.
19 Cass. 3.4.2002 n. 4765 in Giur.it., 2003, 476 con nota di ENRIQUEZ.
34
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
nel vigore della precedente normativa, che
nulla disponeva al proposito, si era consolidato in giurisprudenza l’orientamento secondo il quale l’obbligo di mantenimento del
figlio maggiorenne veniva meno quando
questi percepiva un reddito corrispondente
alla professionalità effettivamente acquisita,
ma non nel caso in cui il figlio fosse privo di
redditi propri per avere rifiutato un impiego
non adeguato alla sua preparazione20.
La riforma introduce significativi elementi
di novità: da un lato, viene meno l’automatismo per cui i genitori sono tenuti a mantenere i figli maggiorenni, salvo provare la loro
intervenuta indipendenza economica, dall’altro, «salva diversa determinazione del
giudice», l’assegno periodico viene corrisposto direttamente al figlio maggiorenne.
Sotto il primo aspetto la norma sembra presentare un forte profilo di incostituzionalità
in quanto introduce una evidente disparità di
trattamento tra i figli maggiorenni di genitori separati e/o divorziati ed i figli maggiorenni di genitori non separati. Mentre questi
ultimi hanno diritto ex lege ad essere mantenuti, i primi, che già hanno subito i traumi
del conflitto genitoriale, devono anche subire l’ulteriore disagio di citare in giudizio il/i
genitore/i che non provvedono spontaneamente al loro mantenimento.
Sotto il secondo aspetto la nuova disposizione è foriera di ulteriori dubbi lasciando al
Giudice il potere/dovere di valutare se, nel
caso concreto, sia più opportuno che l’assegno venga versato all’altro coniuge oppure
direttamente al figlio maggiorenne21, modalità, quest’ultima chiaramente indicata come
prioritaria dal testo normativo.
Con il versamento diretto, tuttavia, si aggraverebbe la posizione del figlio maggiorenne
che potrebbe essere costretto ad agire in giudizio contro il genitore per vedersi riconoscere sia il diritto al mantenimento sia, in
caso di inadempimento, per ottenere la
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
riscossione forzosa del credito.
La questione non è stata sottoposta alla
cognizione della Suprema Corte dai pur
autorevoli legali della ex coppia CarrisiPower, quantunque all’epoca del deposito
del ricorso ex art. 111 Cost., risalente al
2003, fosse già iniziata, e con clamore, la
discussione in Commissione Giustizia sul
testo unificato c.d. Paniz.
Dalla suesaminata pronuncia, tuttavia, è
legittimo dedurre che l’orientamento della
Cassazione sia quello di ritenere che la riforma del 2006 non abbia modificato in maniera
significativa il disciplinamento dell’istituto.
La parte motiva che segue immediatamente
il periodo sopra riportato così prosegue: «È
da rilevare, poi, in relazione alla vicenda in
esame, che, pur essendo venuto meno l’affidamento in oggetto per essere le figlie divenute nel frattempo maggiorenni, tale circostanza non modifica per il giudice del rinvio
i termini della questione, perdurando l’obbligo del mantenimento, indipendentemente
dal raggiungimento della maggiore età, finché le figlie non diventino autosufficienti dal
punto di vista economico.».
A fronte dell’affermazione secondo cui il raggiungimento della maggiore età non cambia
“per il Giudice del merito” - cui la causa viene rinviata per la quantificazione dell’assegno di mantenimento per le figlie maggiorenni- i termini della questione (id est «l’obbligo
del versamento di un contributo, ove ne sussistano i presupposti, a favore del genitore
con il quale i figli stessi convivono»), è ragionevole dedurre che il Giudice di Legittimità
non abbia ritenuto che la Corte d’Appello di
Lecce dovesse anche deliberare sulla legittimazione (della madre convivente o della prole maggiorenne) a ricevere il contributo.
La preterizione di quest’ultima quaestio
appare emblematica della tendenza della
Suprema Corte a non considerare affatto preferenziale, quale modus solvendi, il versa-
20 Cass. 18.1.2005 n. 951 in D &G 2005, 6, 29 con nota di FITTIPALDI; Cass. 3.4.2002 n. 4765, in Dir. Fam. pers., 2002, 310 ; Cass.
22.11.2000 n. 15065, Giust. civ. Mass., 2000, 2406.
21 Secondo BUCCI, SOLDI, Le nuove riforme del processo civile, Padova, 2006, 143, «La diversa determinazione» che consentirebbe al
giudice di disporre il pagamento in favore dell’altro genitore potrebbe consistere nella ricorrenza di circostanze quali la convivenza, l’età
del ragazzo, l’assunzione diretta degli oneri connessi alla sua istruzione ed alla ricerca di una attività lavorativa, anche al di fuori di una
vera e propria convivenza.
35
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
mento diretto nelle mani dell’avente diritto,
essendo ragionevole supporre ed argomentare che, nel caso contrario, la Corte non
avrebbe ritenuti “non modificati i termini
della questione” né avrebbe passato sotto
silenzio l’aspetto che qui interessa.
È tuttavia innegabile che detto aspetto non è
stato affrontato in modo diretto dalla Cassazione la quale, come detto ante, non è neppure stata chiamata a farlo.
Permangono pertanto problemi enormi circa
la titolarità del diritto e la legittimazione a
farlo valere: se il figlio è il titolare ed il
legittimato esclusivo22, egli, secondo alcuni
autori, dovrà anche essere legittimato a partecipare al giudizio di separazione o di
divorzio, che si svolge tra i suoi genitori,
limitatamente alle proprie pretese economiche ad un assegno periodico nei confronti di
entrambi23, posto che, pur nel silenzio della
norma, non si può che ritenere che la misura
di tale assegno dovrà essere stabilita tenendo
conto della capacità contributiva degli stessi.
Certamente meno gravose sarebbero le ricadute della soluzione opposta24, secondo la
quale il silenzio della norma sul punto autorizza a ritenere che continui a sussistere la
legittimazione iure proprio a richiedere l’assegno in capo all’altro genitore, se convivente con il figlio.
Più condivisibile pare la soluzione prospettata da Sesta25 il quale osserva che: «A ben
vedere, tuttavia, la regola secondo cui quanto dovuto per il mantenimento, salva diversa
determinazione del giudice, deve essere versato direttamente all’avente diritto - cioè al
figlio stesso-, non comporta che sia stata
introdotta una legittimazione esclusiva del
figlio maggiorenne a chiedere l’assegno di
mantenimento in proprio favore, cosicché
deve ritenersi tuttora sussistente la legittimazione concorrente del genitore convivente
AIAF RIVISTA 3/2006
con il figlio ad ottenere il predetto assegno,
secondo gli indirizzi giurisprudenziali formatisi prima della legge. In tal senso deve
rimarcarsi che il testo di legge, nel prescrivere il versamento diretto all’avente diritto,
fa salva la diversa determinazione del giudice che ben potrà disporre per la legittimazione del genitore.»26.
Infine un ultimo rilievo critico si impone sulla norma in esame: il legislatore non ha
riproposto né richiamato qui i criteri dettati
al 4° comma dell’art. 155 c.c. per la quantificazione dell’assegno periodico per i figli
minorenni, così come sarebbe stato doveroso
fare in ottemperanza al principio di parità, e
neppure ne ha indicati altri, così come sarebbe invece stato opportuno in osservanza al
principio della certezza del diritto.
La lacuna dovrà ancora una volta essere colmata dall’interpretazione giurisprudenziale.
3. LA ASSEGNAZIONE DELLA CASA
FAMILIARE
ell’art. 155 quater c.c. troviamo, malcelata, la seconda vera ratio dell’affidamento condiviso imposto per legge: vale
a dire la abolizione dell’assegnazione della casa coniugale al genitore affidatario.
Cancellato il secondo, come già scritto,
nell’intenzione dei firmatari delle proposte
di modifica, si sarebbe dovuto cancellare
ipso iure anche la prima!
La norma è fumosa, farraginosa ed intracontradditoria.
Da anni i “padri separati” rumoreggiavano e
protestavano per la assegnazione della casa
coniugale alle madri e, ancor più, per l’assegnazione della stessa alle mogli non affidatarie. Ora hanno individuato le chiavi tecnicogiuridiche per ridurre “signorilmente” questo rischio economico: l’eliminazione dell’affidamento monogenitoriale dei figli alle
N
22 È di questo avviso M. FINOCCHIARO, Assegno versato direttamente al maggiorenne, in Guida al diritto, 11, 2006, 42.
23 Oppure dovrà promuovere un autonomo giudizio ordinario: così DOSI, op. cit., 34. Contrario a tale opzione interpretativa è CIFARELLI, Il mantenimento dei figli maggiorenni, testo in corso di pubblicazione che ho potuto leggere in versione dattiloscritta grazie alla cortesia dell’Autore.
24 Sostenuta ex pluribus da DOSI, op. loc. ult. cit..
25 Op. cit., 386.
26 V. anche PADALINO, op. cit., 174, SERVETTI, op. cit., 7 e DE FILIPPIS, op. cit., 131. Per una esaustiva analisi di tali problematiche si
rinvia in particolare a CIFARELLI, op. cit., che affronta in modo esaustivo ed ampliamente motivato tutti i problemi interpretativi ed applicativi introdotti dall’art. 155 quinquies c.c.
36
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
madri (le quali, ovviamente, anche senza
titolo, se non quello di genitore collocatario,
saranno quelle che, di fatto, continueranno a
provvedere in via esclusiva o comunque prevalente alla cura e custodia quotidiane dei
figli) e l’assegnabilità della casa in presenza
di prole minorenne o maggiorenne ma economicamente non autosufficiente!
L’odierno art. 155 quater c.c. è il pessimo
risultato della mediazione tra i desiderata
dei padri separati e le battaglie fatte dal
Forum, dall’AIAF, dalle Camere Minorili,
etc… per salvaguardare il diritto dei figli
alla conservazione dell’habitat domestico.
Il vecchio art. 155 c.c., introdotto con la legge di riforma del diritto di famiglia del 1975,
prevedeva, al 4° comma, che «l’abitazione
familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i
figli». L’art. 6, 6° comma della legge
1.12.1970 n. 898, modificato dall’art. 11 della legge 6.3.1987 n. 74, ha sancito che «l’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i
figli o con il quale i figli convivono oltre la
maggiore età (…). L’assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’art. 1599 c.c.». Quest’ ultima
norma ha dunque esteso l’assegnazione della
casa familiare al coniuge convivente con il
figlio maggiorenne ed ha ammesso la possibilità della trascrizione del provvedimento di
assegnazione della casa familiare e l’opponi-
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
bilità ai terzi ai sensi dell’art. 1599 c.c.
Il nuovo art. 155 quater, 1° comma c.c.,
dispone che «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente
conto dell’interesse dei figli».
Dal raffronto di tali disposizioni emerge con
evidenza che il tenore letterale della normativa riformata potrebbe prestare il fianco ad
una interpretazione giurisprudenziale che
sostenga:
1) che è sparito il “diritto” o, se vogliamo, la
legittima aspettativa del coniuge affidatario,
o coaffidatario ma di fatto collocatario, alla
assegnazione della casa familiare, e, di conseguenza, è venuto meno anche il diritto dei
figli minori e maggiori che continuano a
convivere con il genitore a conservare l’habitat domestico;
2) che la conservazione dell’habitat domestico per la prole è stata derubricata da diritto (o legittima aspettativa) a mero interesse,
interesse che parrebbe non avere più la
valenza giuridica di una situazione meritevole di tutela, ma la mera funzione di uno dei
criteri di cui il giudice deve tenere conto nell’attribuzione non più dell’«abitazione nella
casa familiare» [locuzione ricorrente in
entrambe le vecchie norme] ma del mero
«godimento» della stessa.
A fronte del vivace dibattito esistente in dottrina27 ed in giurisprudenza sulla natura (reale28, personale29, mista30) del “diritto di abitazione nella casa coniugale”31, la modifica les-
27 In dottrina cfr. per tutti C.M. BIANCA, Diritto civile, II, Milano, 2005, il quale ha affermato che la natura del diritto acquistato in virtù
dell’assegnazione è di natura reale o personale a seconda del corrispondente diritto già vantato dall’altro coniuge anteriormente all’assegnazione.
28 Sostengono la realtà del diritto di abitazione: GRASSI, La separazione personale dei coniugi nel nuovo diritto di famiglia, Napoli,
1975,167; TAMBURRINO, Lineamenti del nuovo diritto di famiglia italiano, Torino, 1978, 277; CANTELMO, La situazione del coniuge superstite, in Rass. dir. civ., 1980, I, 52 ss.; AMAGLIANI, Separazione dei coniugi e assegnazione della casa familiare, in Rass. dir.
civ., 1980, I, 17; DI NARDO, L’assegnazione della casa familiare: evoluzione legislativa e attuali orientamenti giurisprudenziali, in Nuova giur. civ. comm., 1988, II, 358; C.M. BIANCA, Diritto civile, op. cit., 197 s. In giurisprudenza cfr. Trib. Catania 11.7.1985, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 339 ss. con nota di GIUSTI; Pret. Monza 8.6.1985, in Foro it., 1986, I, 1317 con nota di JANNARELLI.
29 Secondo alcuni autori il diritto di abitazione nella casa familiare è assimilabile al comodato: cfr. A. FINOCCHIARO, in A. Finocchiaro
- M. Finocchiaro, Diritto di famiglia, III, Divorzio, Milano, 1988, 495. In giurisprudenza, v., Cass. 2.4.1992, n. 4016, in Mass. Giur.
It., 1992. Per altri, invece, lo stesso è assimilabile ad un rapporto di locazione: cfr. FRALLACIARDI, Assegnazione della casa familiare
nella separazione personale e nel divorzio: quale diritto per l’assegnatario?, in Studi Capozzi, Milano, 1992, I, 1, 609 ss., ed, in giurisprudenza, Cass. 6.5.1999, n. 4529, in Giust. civ., 1999, I, 2305 ss., in Foro it., 1999, I, 2215 ss., con nota di PIOMBO; in Nuova giur.
civ. comm., 2000, I, 103 ss., con nota di E. QUADRI, Trascrizione e opponibilità dell’assegnazione della casa familiare, in. Dir. Fam.
pers., 1999, 554, con nota di PADOVINI, Sull’opponibilità ai terzi di assegnazioni non trascritte della casa familiare.
30 ZATTI, La separazione personale, in Tratt. Rescigno, 1982, 262; TRABUCCHI, L’abitazione della casa coniugale dopo il divorzio, in Giust. civ., 1978, I, 2103; BRECCIA, Il diritto di abitazione, Milano, 1980, 337; COCCIA, La casa familiare: qualificazione giuridica e diritti del coniuge, in Dir. Fam. pers., 1985, 1102; MANTOVANI, La separazione personale tra coniugi - aspetti sostanziali, in Enc. giur.,
XXVII, Roma, 1992, 27; F. FINOCCHIARO, Il matrimonio, in Comm. Scialoja -Branca, Bologna-Roma, 1993, 415; DOGLIOTTI, La
separazione personale tra coniugi ed il divorzio, in Separazione e divorzio, Torino, 1995, 90; JANNARELLI, L’assegnazione della casa
37
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
sicale operata dal legislatore con l’introduzione del meno pregnante termine “godimento”
è quanto mai inopportuna e pericolosa.
Ed il dato appare ancor più emblematico se si
tiene presente che sia la Corte Costituzionale
con le sentenze nn.166/1998 e 394/2005 redatte entrambe dal Giudice Fernanda Contri -, e n. 454/198932, sia la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con le sentenze nn.
2494/1982, 11297/1995, 11096/2002 (Giudice relatore di quest’ultima Gabriella Lucidi),
nell’affrontare il tema della trascrivibilità
dell’assegnazione della casa coniugale, hanno fondato le loro pronunce sul “diritto” del
minore a mantenere l’habitat domestico in
cui ha sempre vissuto, diritto che trova la
propria fonte nel principio generale della
responsabilità genitoriale di cui all’art. 30
della Costituzione e all’art. 147 c.c. il quale
individua, quale primo obbligo genitoriale,
quello di mantenimento della prole, il cui
contenuto comprende in primis «il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse
inscindibilmente alla prestazione dei mezzi
necessari per garantire un corretto sviluppo
psicologico e fisico del figlio, e segnatamente fra queste [...] la predisposizione e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di
consuetudini di vita33. Pertanto, se l’obbligo
di mantenimento si traduce anche nell’assicurare ai figli un’idonea dimora, intesa come
luogo di formazione della loro personalità,
la concreta attuazione dello stesso non può
incontrare differenziazioni in ragione della
natura del vincolo che lega i genitori»34.
L’auspicio è pertanto che i Giudici, nell’interpretare ed applicare l’ambigua formulazione del 1° comma del nuovo art. 155 quater c.c., tenendo pregiudizialmente conto che
il legislatore del 2006 non ha abolito e neppure modificato né l’art. 30 Cost. né gli art.
AIAF RIVISTA 3/2006
147 e 261 c.c., e ricordando che ad ogni
obbligo corrisponde un diritto, concludano
che, in base ai principi generali del nostro
ordinamento, la conservazione dell’habitat
domestico è ancora un diritto della prole e
non un mero criterio di valutazione.
L’altro aspetto critico della disposizione in
esame è il riferimento all’interesse dei figli
tout court: il legislatore cioè non ha precisato
se il criterio vale solo per i figli minori o se è
esteso anche ai figli maggiorenni conviventi.
La lacuna potrebbe dare adito ad interpretazioni restrittive, incoraggiate dalla considerazione che il legislatore del 2006 ha introdotto una macroscopica disparità di trattamento tra i figli minori e i figli maggiorenni
per di più regolando il loro mantenimento in
modo differenziato ed in articoli separati.
Né, d’altra parte, tale pericolo può ritenersi
superato dalla sentenza della Suprema Corte n.
18187/06, avendo la stessa -come sopra evidenziato- statuito in modo espresso con riferimento ad alcuni aspetti soltanto del problema.
Ciò detto, a proposito del raffronto tra la vecchia e la nuova normativa, non si può non rilevare la contraddittorietà interna e la illegittimità costituzionale dell’art. 155 quater c.c.
Dopo l’enunciazione del primo comma
secondo cui «il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente
conto dell’interesse dei figli», in modo del
tutto incoerente il secondo comma prevede
che «il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario
conviva more uxorio o contragga nuovo
matrimonio» senza fare più alcun riferimento all’interesse del minore, interesse che
continua certamente ad essere quello di conservare il proprio habitat domestico indipendentemente dalle scelte del genitore con il
quale convive ed, anzi, a maggior ragione,
nel caso in cui, a seguito di tali scelte, egli
familiare nella separazione personale dei coniugi, in Foro it., 1981, I, 1389. In giurisprudenza, è considerato diritto personale di godimento atipico da: Cass. S.U. 26.7.2002, n. 11096, in Foro it., 2003, I, 183; Cass. S.U. 21.7.2004, n. 13603, in Foro it., 2005, 443.
31 Sulla natura del diritto di assegnazione della casa familiare v., di recente, SCARANO, Coabitazione e casa familiare, in Giust. civ., suppl. al n. 12, 2005, 51-56 e TULLIO, L’assegnazione della casa familiare nella separazione e nel divorzio, in Fam. pers. succ., 2, 2005,
119-123.
32 Pronuncia, quest’ultima, che ha operato l’estensione alla separazione della trascrivibilità ex art. 1599 c.c.
33 Corte Cost. 13.5.1998, n. 166, in Cons. Stato, 1998, II, 736; ed in Giur. cost,. 1998, 1419.
34 Corte Cost. 12-21 ottobre 2005 n. 394, in D & G, 40,2005, con nota di DOSI.
38
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
debba adattarsi ad abitare con un nuovo
genitore sociale che certamente non ha scelto e, forse, neppure voluto!
Traspare, qui con maggior nitore che altrove,
l’intento punitivo dei mariti separati associati nei confronti delle mogli “che si rifanno
una vita”.
Il terzo comma, inoltre, prevede che «nel
caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli
accordi o dei provvedimenti adottati, ivi
compresi quelli economici».
Il combinato disposto di questi tre commi
porta, nella pratica, a tali conseguenze: in
caso di nuove nozze (o di convivenza), perso
ipso iure il diritto di godimento sulla casa
familiare ed avvenuto, di conseguenza, il
cambio obbligato di residenza o di domicilio, l’ex coniuge (o l’ex convivente) è ulteriormente penalizzato dal diritto dell’altro
genitore biologico di chiedere la riduzione
dell’assegno di mantenimento nonchè la
modifica delle modalità di affidamento35.
È pertanto evidente come, con la nuova norma, venga penalizzata gravemente sia la
posizione del genitore che si risposa o che
inizia a convivere, sia quella del figlio a lui
affidato o coaffidato e presso di lui collocato36 e, in prospettiva, si sanzioni la composizione di nuove famiglie, in evidente viola-
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
zione del diritto di libertà costituzionalmente garantito (art. 2) e, al contempo, si consenta al genitore non collocatario di violare
il diritto della prole di conservare l’ambiente
domestico, diritto parimenti garantito dalla
Costituzione (art. 30).
Anche la disposizione in esame suscita pertanto fondati dubbi di incostituzionalità37.
Vi è un ulteriore profilo che non può essere
preterito.
Per molti anni la giurisprudenza si è occupata, con orientamenti contrastanti, della questione dell’assegnabilità della casa coniugale
anche in assenza di prole. Alcune pronunce
della Suprema Corte ritenevano che l’assegnazione della casa coniugale al coniuge
economicamente più debole, anche in assenza di prole, potesse essere considerata legittima in quanto integrante uno «strumento per
realizzare (in tutto o in parte) il diritto al
mantenimento»38.
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario, di legittimità e di merito39, aveva invece fatto proprio il principio nomofilattico
fissato dalle Sezioni Unite della Suprema
Corte con le sentenze n. 11297 del
28.10.199540 e n. 11096 del 26.7.200241, e
ribadito dalla Corte Costituzionale con le
sentenze del 27.7.1989 n. 45442 e del 6-13
maggio 1998 n. 16643.
Nella parte motiva della prima pronuncia, la
Corte Costituzionale afferma testualmente
35 Il tentativo di “salvare” la norma (cfr. COTTONE, Via libera all’affido condiviso, in Il sole 24 ore 25.1.2006) adducendo che il venir
meno del diritto di godimento sulla casa non è automatico ma subordinato ad una richiesta al giudice in tal senso da parte dell’altro
coniuge e ad una valutazione dell’interesse del minore a che l’assegnatario non abbandoni la casa coniugale, è priva di fondamento:
testualmente l’articolo infatti commina “il venir meno del diritto al godimento della casa familiare” non subordinando tale estinzione,
come invece esplicitamente fa il terzo comma, ad una richiesta giudiziale avanzata dall’altro coniuge. Negli stessi termini MAGLIETTA,
op. loc. cit., secondo il quale «in caso di convivenza more uxorio dell’assegnatario della casa coniugale(…) nessuno chiederà al figlio
di muoversi(…)per cui non sarà un problema se, al più, nella casa familiare un genitore prenderà il posto dell’altro».
36 Così anche DE FILIPPIS, op. cit., 123, M. PINI, Primi orientamenti nell’applicazione della legge 54/06, in AIAF,Rivista dell’associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori,2006, 1, 61.
37 Ho già sollevato tale rilievo critico in SCACCHETTI, L’assetto giuridico della famiglia ricomposta alla luce della nuova legge sull’affido
condiviso, in Giur.mer.,Speciale riforma dir. fam., 2006,63. In senso conforme cfr. SESTA, op.cit., 387.
38 Cass. 11.4.2000 n. 4558, in Giust. civ. Mass., 2000, 776, nello stesso senso Cass. 7.7.1997 n. 6106, in Fam. dir.,1998, 161 con nota
di CORTESI.
39 Cfr. ex pluribus Cass. Civ. 30.8.1995 n. 9163 in Giur. It., 1996, I, 1, con nota di FREZZA; Cass. Civ. 28.1.1998, n. 822 in Fam. e Dir,
1998, 125, con nota di DE MARZO; Cass. Civ. 15.1.1999 n. 376 in Fam. e Dir.1999, 5, 458 con nota di FRANCOLINI; Cass. Civ.
12.1.2000 n. 266 in Giust. Civ. Mass., 2000, 46; Cass. Civ. 18.9.2001 n. 11696 in Giust. Civ. Mass. 2001, 1672; Cass. Civ. 6.7.2004
n,. 12309 in Giust. Civ. Mass., 2004, 7-8; Cass. Civ. 13.2.2006 n. 3030 in www.affidocondiviso.it
40 In Fam. e Dir., 1995, 6, 521.
41 In Fam. e Dir., 2002, 461, con nota di CARBONE.
42 In Dir. Eccl., 1989, II, 490.
43 In Giur. Cost., 1998, II, 736.
39
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
«Il titolo ad abitare per il coniuge è infatti
strumentale alla conservazione della comunità domestica e giustificato esclusivamente
dall’interesse morale e materiale della prole
affidatagli».
Con la seconda pronuncia, la Corte Costituzionale, nel dichiarare applicabile l’art. 155
c.c. anche alle fattispecie di filiazione naturale, afferma che «La tutela dell’interesse
della prole rappresenta infatti la ratio in forza della quale il legislatore, prevedendo la
disciplina circa l’assegnazione della casa
familiare in sede di separazione dei coniugi,
ha introdotto il criterio preferenziale, ancorché non assoluto, indicato dal quarto comma
dell’art. 155 del codice civile…», derivando
da tale assunto inevitabilmente che, per
disporre l’assegnazione, non esiste altro
parametro di riferimento se non la sola tutela della prole.
Tale principio è oggi norma con la conseguenza che la sua applicazione non è più
rimessa alla discrezionalità del Giudice.
L’art. 155 quater, 1° comma, c.c., introdotto
dalla L. 54/2006, innovando radicalmente la
regolamentazione dell’istituto, dispone
infatti che «Il godimento della casa è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il
giudice tiene conto nella regolazione dei
rapporti economici tra i genitori […]».
Pare perciò evidente che, in base al nuovo
impianto normativo, l’assegnazione della
casa coniugale possa essere disposta dal Giudice soltanto in presenza di figli minori e/o
di figli maggiorenni non autonomi e conviventi con uno dei genitori.
Nel caso contrario, infatti, il legislatore del
2006 avrebbe fatto scelte lessicali e sistematiche ben diverse, parlando di coniugi e non
già di meri genitori ed estendendo il criterio
quantificativo del godimento della casa
AIAF RIVISTA 3/2006
coniugale non solo al contributo al mantenimento dei figli ma anche a quello del coniuge debole44.
Dalle opzioni operate traspare con chiarezza
che la riforma si è fatta ampiamente carico
delle richieste dei “mariti separati” eliminando ex lege, seppure con un obiter dictum, la
possibilità di assegnare il godimento della
casa familiare al coniuge (cioè, in base all’id
quod plerumque accidit, alla moglie) più
debole ma non affidataria della prole
La norma prevede espressamente che il provvedimento di assegnazione (così come quello di revoca) siano trascrivibili ed opponibili ai terzi ai sensi dell’art. 2643 c.c.
L’opponibilità dipende quindi dalla avvenuta
trascrizione.
È un passo indietro rispetto alla tutela che
era già stata assicurata dalle Sezioni Unite
della Corte di Cassazione, le quali, con la
sentenza n. 11096/2002, avevano garantito
l’opponibilità ai terzi dell’assegnazione ai
sensi dell’art. 1599 c.c., con la conseguenza
che anche le assegnazioni non trascritte erano opponibili ai terzi seppure nei limiti di un
novennio dall’assegnazione stessa45.
Ma vi è di più.
L’esperienza quotidiana dimostra come i
padri separandi (e non già separati), appena
maturano la scelta separativa (o appena percepiscono che tale scelta sta maturando la
moglie) mettono al sicuro la casa coniugale
di loro proprietà con contratti di comodato o
di locazione46 simulati, fittizie vendite a terzi,
conferimenti nelle società immobiliari,
magari della loro stessa famiglia d’origine,
improvvise divisioni in due unità abitative
attraverso repentine alzate di muri, chiusure
e/o aperture in muratura di vani porte e,
addirittura, del vano ascensore47.
È allora necessario che per il diritto del
minore alla conservazione dell’ambiente
44 Il senso della riforma è stato puntualmente colto dai suoi primi commentatori: cfr. FREZZA, La casa (già) familiare, in Dir. Fam. Pers., 2,
2006, 718 ss. e DE FILIPPIS, Affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio, Padova 2006, 72 ss. e nota 98.
45 Negli stessi termini: DE FILIPPIS, op. cit., 127 secondo il quale «la posizione dell’assegnatario, sotto questo profilo,è meno tutelata».
46 Vedi il caso sottoposto alla cognizione della Corte d’Appello di Bologna e deciso con decreto 12-17.5.06 in www.giuraemilia.it.
47 Emblematico è il caso dedotto nel procedimento possessorio n. 2465 /06 R.G., deciso dal Tribunale di Modena con decreto 17-18.
04.2006: il marito, proprietario esclusivo della casa familiare collocata sui quattro piani di una palazzina, ante causam di separazione
ha dapprima locato ad un terzo gli ultimi due piani della casa, dopo 10 giorni ha impedito alla moglie l’accesso a detti piani bloccando l’ascensore interno che li univa alla restante parte dell’abitazione e, “per stare nel sicuro”, dopo 21 giorni, li ha venduti alla società
immobiliare di famiglia!
40
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
domestico (diritto previsto e tutelato dall’art.
30 della Costituzione e dagli art.li 147 e 261
c.c.) vengano apprestati adeguati mezzi preventivi di tutela quali, ad esempio, la trascrivibilità non solo del provvedimento Presidenziale di assegnazione ex art. 708 c.p.c.,
ma anche del ricorso per separazione giudiziale contenente la domanda di assegnazione
(trascrivibilità già riconosciuta dalla giurisprudenza di merito) la concedibilità del
sequestro conservativo della casa familiare
ed un’azione revocatoria ad hoc per gli atti
dolosi di disposizione, sia a titolo gratuito
che a titolo oneroso, della casa coniugale in
vista di una futura separazione (o interruzione della convivenza).
A favore della trascrivibilità del ricorso per
separazione personale contenente, tra l’altro,
domanda di assegnazione della casa coniugale, si sono espresse alcune Corti di merito48
ritenendo che «il riferimento fatto, negli artt.
2652 e 2653 c.c., agli atti soggetti a trascrizione di cui all’art. 2643 c.c., deve essere
inteso non alla lettera, ma in via di interpretazione sistematica, tenuto presente che la
ragione della norma che impone la trascrizione della domanda giudiziale, è costituita
dall’esigenza di evitare possibili elusioni
della tutela nelle more del giudizio»49.
Tuttavia la trascrivibilità di tale domanda
rischia di essere un rimedio esperito quando
ormai è troppo tardi, sia perché essa presuppone la notifica del ricorso, sia perché,
comunque, in base all’id quod plerumque
accidit, gli atti di disposizione dolosa e fraudolenta della casa coniugale vengono posti
in essere prima della notifica del ricorso.
A fronte del diffondersi di simili prassi - volte non solo a sottrarre la casa coniugale sia al
genitore affidatario o collocatario sia alla
prole, ma, ancor peggio, a privare di fatto il
Presidente prima ed il G.I. poi del
diritto/dovere di assegnare la casa coniugale
«tenendo prioritariamente conto dell’interes-
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
se dei figli»- è urgente individuare strumenti
giuridici di tutela preventiva ed efficace.
In un caso, che rischia di diventare un classico, in cui il marito, il giorno antecedente la
proposizione del ricorso per separazione personale, aveva ceduto la casa familiare alla
moglie dell’avvocato che lo assisteva, il Tribunale di Milano giustamente ha giudicato
«ammissibile l’azione revocatoria proposta
dalla moglie, anche per conto del figlio
minore, nei confronti del marito il quale
abbia venduto la casa coniugale ad un terzo
ritenendo che il primo abbia recato pregiudizio sia al diritto al mantenimento nascente
dal matrimonio sia al diritto di credito da
determinare in sede di separazione». In particolare il Giudice ambrosiano ha reputato
che al momento della vendita sussistessero
da parte del marito e del terzo sia il “consilium fraudis”, relativo all’attuale diritto al
mantenimento, sia la dolosa preordinazione,
relativa al futuro diritto di credito nascente
dalla separazione50.
De iure condendo interessante è anche una
pronuncia del Tribunale di Modena51, che ha
riconosciuto a ciascun coniuge, anche in
assenza di una sentenza di separazione passata in giudicato e, addirittura, ancor prima
della pronuncia dei provvedimenti presidenziali, la possibilità di domandare il sequestro
giudiziario dei beni della comunione ove tale
domanda sia preordinata ad anticipare gli
effetti di un futuro giudizio di accertamento
della consistenza della comunione.
Tale decisione si è inserita nel dibattito relativo all’ammissibilità del sequestro giudiziario in vista di una futura azione di mero
accertamento.
A questo proposito si sono registrate due
opinioni contrastanti: da un lato si è sostenuto che il sequestro giudiziario è strumentale
rispetto ad una pronuncia di merito che miri
al conseguimento del possesso dei beni per
cui si chiede la misura cautelare e che per-
48 Trib. Milano, 26.4.1997, in Dir. Fam. pers, 1999, 669 con nota di FRACCON; Trib. Venezia, 20.7.1993, in Giust. Civ.,1994, I, 262.
49 Trib. Milano 27.4.1997, cit.
50 Trib. Milano, 22.7.1993, in Gius., 1993, fasc. 5, 98.
51 Trib. Modena, Sez. I civ., decreto 7.5.2005, estensore Dott. Pagliani, in D & G, 2005, 31, 24 ss., con nota di PILLA, ed in D & G, 2005,
44, 30 ss. con nota di MISSIAGGIA.
41
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
tanto, lo stesso non può essere concesso in
relazione ad una domanda di mero accertamento52; dall’altro il Tribunale di Modena,
aderendo all’opinione espressa dalla Corte di
Cassazione (sebbene in merito al sequestro
conservativo)53, ha ritenuto ammissibile un
provvedimento cautelare ante causam volto
ad assicurare gli effetti di una domanda di
mero accertamento e non già di condanna.
La pronuncia del Giudice modenese erode il
principio della non concedibilità della tutela
cautelare dei diritti di un coniuge in vista
della divisione dei beni comuni consentendo
il sequestro dei beni che ne fanno parte
anche prima della separazione purché sussistano i requisiti per l’adozione della misura
cautelare (periculum in mora e consilium
fraudis). Il precedente giurisprudenziale
potrebbe aprire la via per la concedibilità del
provvedimento cautelare a favore del coniuge in regime di comunione dei beni qualora
vi sia il concreto pericolo di sottrazione della casa familiare caduta in comunione.
Quid juris se, nel momento della crisi coniugale, uno dei coniugi compia attività fraudolente dirette a privare l’altro coniuge della
casa familiare di sua esclusiva proprietà? È
ammissibile il sequestro (questa volta) conservativo del bene immobile nelle more del
giudizio di separazione o ante causam?
L’art. 671 c.p.c. consente al creditore che ha
fondato timore di perdere la garanzia del
proprio credito di domandare il sequestro
conservativo di beni immobili e mobili del
debitore o delle somme o cose a lui dovute.
Poiché si ammette «la concessione del
sequestro conservativo anche a garanzia di
un credito non ancora scaduto o sottoposto a
AIAF RIVISTA 3/2006
condizione, posto che l’esigenza cautelare in
tal caso può presentarsi con carattere di
maggiore urgenza per l’impossibilità di
escutere immediatamente il debitore»54, qualora la posizione del coniuge in attesa di
separazione venisse configurata come una
aspettativa giuridica o legittima meritevole
di tutela secondo l’ordinamento, si potrebbe
riconoscere l’esperibilità degli ordinari strumenti di tutela cautelare.
D’altra parte il diritto romano, radice dell’esperienza giuridica italiana e, più in generale, continentale, diritto al quale risale la
regola tuttora vigente della non punibilità dei
delitti contro il patrimonio commessi da un
coniuge ai danni dell’altro, a partire dalla
metà dell’ultimo secolo della Repubblica, a
fronte del dilagare dei divorzi e del correlato
proporzionale aumento dei casi di sottrazione divortii causa, creò, ad opera della giurisprudenza e del pretore, un apposito sistema
di mezzi di repressione di tali illeciti, quali
la retentio propter res amotas55 e, ancor più,
l’actio rerum amotarum, per il recupero delle cose - o del valore delle cose - sottratte in
vista del divorzio dalla moglie al marito56.
E se a tali rimedi - scomparsi nel corso dei
secoli - l’ordinamento giuridico romano era
giunto oltre 2000 anni fa, non si comprende
perché l’odierno legislatore, dagli stessi, non
tragga alcun insegnamento e slancio ripropositivo.
* Professore associato all’Università di Modena e Reggio Emilia, Avvocato
52 Trib. Potenza, 2.8.1995, in Gius., 1996, 3373.
53 Cass.18.4.1995, n. 4333 in Giust. civ. Mass., 1995, 845.
54 Cass. 18.4.1995, n. 4333, cit.
55 Strumento approntato dalla giurisprudenza e che, in caso di scioglimento del matrimonio per divorzio, o per morte del marito, o per
morte della moglie, consentiva al marito, o ai suoi eredi, al momento della restituzione della dote alla moglie, o ai di lei eredi, di
operare delle ritenzioni di carattere patrimoniale per un valore corrispondente a quello dei beni sottratti dalla donna al consorte pendente matrimonio.
56 Con tale azione, già dalla tarda Repubblica o dagli inizi del principato, al marito era concessa dal pretore la possibilità di agire, una volta scioltosi il matrimonio, contro la ex moglie per recuperare il semplice valore dei beni da questa sottrattigli in costanza di matrimonio.
Se, dopo il divorzio, il marito fosse deceduto senza aver esperito l’azione, questa si sarebbe trasmessa agli eredi. Se invece il matrimonio si fosse sciolto per morte del marito e gli eredi avessero inteso recuperare presso la vedova beni che sostenevano essere stati dalla
medesima sottratti, a questi ultimi, a partire dagli inizi del II sec. d.C., era concessa l’azione di petizione dell’eredità. Forse già in diritto classico fu poi concessa anche alla ex moglie l’esperibilità dell’actio rerum amotarum nei confronti del marito. Su tali istituti vedi
amplius SCACCHETTI, La presunzione Muciana, Milano, 2002, 340 ss.
42
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
I
l primo anno di applicazione della legge 8.2.2006, n. 54 (Disposizioni in
materia di separazione dei coniugi e
affidamento condiviso) ha visto l’affermarsi di un orientamento della giurisprudenza di merito nel prevalente segno della
continuità con il pregresso orientamento
della Cassazione su numerose questioni
relative all’espletamento della funzione
genitoriale e al mantenimento dei figli, che
si era consolidato nel corso degli anni.
Sopite le manifestazioni di piazza e le più
estreme rivendicazioni del movimento dei
padri separati, che avevano fatto temere un
rilevante aumento del contenzioso giudiziario anche in sede di modifica di pregressi
accordi tra le parti, si è viceversa registrato
quasi un effetto placebo della legge 54/06 su
tali accese posizioni. I non allarmanti dati di
aumento dei procedimenti di separazione,
divorzio e relative modifiche, che rientrano
nella fisiologia del fenomeno, consentono di
affermare che l’affidamento condiviso introdotto dalla l. 54/06 ha avuto, in generale e
sotto il profilo culturale, il positivo effetto di
rassicurare i padri circa il mantenimento delle loro funzioni genitoriali al momento della
separazione o del divorzio, e di sollecitare i
genitori separati ad una effettiva collaborazione nell’interesse dei figli.
In sede di applicazione, la legge 54/06 ha
peraltro evidenziato le lacune di un testo legislativo che era stato molto criticato nella lunga fase che ne aveva preceduto la raffazzonata approvazione in periodo preelettorale. Dall’esame delle pronunce dei giudici di merito
emesse in questo primo anno di applicazione,
si possono enucleare alcune questioni su cui
già si è registrato un orientamento pressoché
unanime, e altre in merito alle quali sono
emerse posizioni contrastanti1.
L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
a definizione di affidamento condiviso
e la sua pratica applicazione sono le due
questioni principali su cui si è incentrata
l’elaborazione giurisprudenziale della
L
1
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
l. 54/06, nel cui testo non si rinviene una
precisa definizione dell’affidamento condiviso, né di quello esclusivo, e non si fa
più menzione dell’affidamento congiunto
e dell’affidamento alternato che erano previsti dall’art. 6, co. 2, l. 1.12.1970 n. 898.
Nel testo di legge non viene neppure indicato come debba essere regolamentato
l’affidamento condiviso, se e dove collocare i figli.
La giurisprudenza di merito, con voce unanime, ha interpretato il novellato art. 155 c.c. che riconosce al figlio minore il diritto di
mantenere un rapporto equilibrato e conti-
LEGGE 54/06.
L’ORIENTAMENTO DELLA
GIURISPRUDENZA
NEL PRIMO ANNO DI
APPLICAZIONE
nuativo con ciascun genitore, e di ricevere
cura, educazione e istruzione da entrambi sostenendo che per realizzare detta esigenza
il giudice deve adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento
all’interesse morale e materiale di essa, valutando prioritariamente la possibilità che i
figli minori restino affidati ad entrambi i
genitori, salva la possibilità, in deroga a tale
principio, di disporre l’affidamento esclusivo, e pertanto alla luce della nuova normativa (nell’interesse dei minori, e non già nel-
MILENA PINI*
Le pronunce dei giudici di merito sull’affidamento condiviso richiamate in questo articolo sono pubblicate per esteso sui siti
www.minoriefamiglia.it dell’Associazione Italiana dei Magistrati per i Minorenni e per la Famiglia, e www.affidamentocondiviso.it
43
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
l’interesse del genitore) la regola è l’affidamento condiviso, mentre l’eccezione (giustificata da validi e comprovati motivi) è l’affidamento esclusivo (v. Trib. Catania, ord. 24
aprile 2006, Pres. E rel. Escher, B.c.V.; Trib.
Bologna, sent. 10 aprile 2006, n. 800).
Unanime è l’orientamento secondo cui l’affidamento condiviso comporta, con l’esercizio
della potestà da parte di entrambi i genitori,
una comune responsabilizzazione della coppia genitoriale2 e una condivisione delle
decisioni di maggiore importanza.
La giurisprudenza prevalente ritiene quindi
che l’affidamento condiviso non determina
una automatica parificazione di modalità e
tempi di svolgimento del rapporto tra i figli
e ciascuno dei genitori, bensì comporta l’esercizio della potestà genitoriale da parte di
entrambi e l’impegno a concordare e attuare
un progetto per l’educazione, la formazione,
la cura e la gestione della prole, nel rispetto
delle esigenze e delle richieste dei minori
(Trib. Bologna, sent. 10 aprile 2006)3.
Assolutamente minoritaria è la posizione che
identifica l’istituto con il diritto ad una paritaria distribuzione di tempi e modalità di
permanenza del figlio presso ciascun genito-
AIAF RIVISTA 3/2006
re (v. Trib. Chieti, ord. 28 giugno 2006, G.I.
Medica, D.F. c. C., con la quale si è disposto
che il minore di tre anni trascorra con la
madre i giorni di lunedì e martedì e con il
padre, che abita a circa 6 km. di distanza, il
mercoledì ed il giovedì, pernottando nei
giorni sopra indicati presso il genitore a cui
è affidato, i fine settimana alternati dal sabato mattina al lunedì mattina, trascorrendo
sempre il venerdì con il genitore a cui non
spetta il fine settimana; Trib. Catania, sent.
12 luglio 2006, che ha suddiviso il tempo
della figlia minore i primi tre giorni con la
madre e gli altri tre con il padre e le domeniche alternate).
Prevale dunque la tesi secondo la quale l’affidamento condiviso non si esplica nella forma dell’affidamento alternato, in quanto la
convivenza alternata dei figli con i genitori
(ad esempio a giorni o settimane alterne) può
comportare problemi anche pratici tali da
rendere la modalità non rispondente all’interesse dei figli (App. Bologna, decreto 17
maggio 2006, est. De Meo)4.
Sulla ripartizione dei “tempi della presenza”
del figlio presso l’uno e l’altro genitore5,
emergono due orientamenti, tendente l’uno a
2
M. DELL’UTRI, L’affidamento condiviso. L’applicazione giurisprudenziale delle tutele sostanziali. Linee di una rassegna ‘ragionata’
(relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Nona Commissione - Tirocinio e Formazione Professionale, sul tema “L’affidamento condiviso”, Roma, 15-17 gennaio 2007, da www.csm.it/incontri): “Dalla scelta adottata
dal legislatore emerge l’idea della ‘condivisione’ come regime di ‘responsabilizzazione’ dei genitori, nei confronti della prole minorenne, in relazione al quale deve ritenersi imprescindibile l’aspirazione ad una ‘convergente’, e pertanto ‘condivisa’ volontà dei genitori e degli stessi figli (là dove capaci di esprimere consapevolmente il proprio originale punto di osservazione) sui modi e le forme di
organizzazione della propria vita per il tempo futuro.”
3
R. RUSSO, giudice del Tribunale di Messina, L’affidamento condiviso. Applicazione giurisprudenziale delle tutele sostanziali (relazione tenuta all’incontro di studi organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura, Nona Commissione - Tirocinio e Formazione
Professionale, sul tema “L’affidamento condiviso”, Roma, 15-17 gennaio 2007, da www.csm.it/incontri): “In tal senso la prassi, ad
esempio del Tribunale di Messina: sebbene affidamento ad entrambi possa in qualche caso significare anche dual-residence, in casi
particolarmente favorevoli, di norma al giudice spetta stabilire la residenza privilegiata del minore, provvedimento al quale segue quello sulla assegnazione delle casa coniugale e stabilire i tempi di permanenza del minore presso l’altro genitore, che tuttavia non ripetono lo schema del c.d. diritto di visita, ma fungono da cornice minima all’interno della quale si dà ampio spazio agli accordi tra i
genitori ed anche alla stessa volontà del minore se in età da discernimento. È sempre prassi del Tribunale di Messina che almeno su
questo punto (domiciliazione del minore e tempi di permanenza) si solleciti sin dalla fase presidenziale il raggiungimento un accordo
anche parziale tra i genitori, che non di rado viene raggiunto con certa serenità, se nella consapevolezza delle parti che sarà recepito ma anche sottoposto a verifica nel corso del giudizio ed eventualmente modificato. Di solito nel provvedimento si aggiunge la clausola che “le modalità del provvedimento possono essere modificate per accordo tra i coniugi anche su richiesta dei figli e tenendo
conto delle loro esigenze, purché nel complessivo rispetto dei periodi di tempo riservati al rapporto tra il genitore non domiciliatario
ed i figli minori.”
4
Trib. Messina, 18 luglio 2006 : “Il minore necessita di un riferimento abitativo stabile e di una organizzazione domestica coerente con
le sue necessità di studi e di normale vita sociale: da qui la necessità di una collocazione privilegiata e di una regola organizzativa anche
sui tempi da trascorrere con il genitore non domiciliatario. Si tratta, però, per l’appunto di una regola organizzativa e non limitativa (ovvero esaustiva) dei diritti e doveri del genitore che restano improntati alla regola della parità dei ruoli e che vengono esercitati non solo
attraverso i tempi di frequentazione, ma anche con la facoltà di interloquire costantemente con l’altro genitore sulle vicende che riguardano i figli, con l’adozione concordata delle scelte di maggiore interesse, con l’assunzione di compiti di cura, educazione ed istruzione
dei figli da parte di entrambi, nonché con l’assunzione, da parte di entrambi, di un reciproco dovere di informazione sulle questioni che
riguardano la prole, molto più incisivo, per evidenti ragioni connesse alla diversità di dimora, di quello proprio dei genitori conviventi”
5
M. DELL’UTRI, L’affidamento condiviso, cit.: “L’espressione che allude ai ‘tempi della presenza’ del figlio presso ciascun genitore vale a
44
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
regolamentare dettagliatamente la frequentazione del figlio con il genitore non collocatario (App. Trento ord. 24 agosto 2006; Trib.
Catania ord. 21 aprile 2006), l’altro a lasciare ai genitori un ampio spazio di regolamentazione, quando non si registri tra loro una
accesa conflittualità6.
In Lombardia, secondo la ricerca effettuata
dall’AIAF presso i tribunali delle due sedi
distrettuali, in sede di emissione di provvedimenti presidenziali nei procedimenti contenziosi di separazione e divorzio risulta prevalere l’affidamento ad entrambi i genitori se
vi è domanda da parte di entrambi e non sussistono comportamenti del genitore o fatti
che possano far ritenere tale provvedimento
contrario all’interesse del minore; è di prassi
anche il collocamento permanente presso un
genitore e la regolamentazione di un’ampia
frequentazione tra il minore e il genitore non
collocatario.
LA RILEVANZA DELLA CONFLITTUALITÀ
AI FINI DELL’AFFIDAMENTO
eventuale conflittualità esistente tra i
genitori non è più motivo di per sé
sufficiente ad escludere l’affidamento condiviso, in quanto, si è affermato, diversamente avrebbe solo un applicazione residuale, e ciò anche considerato che l’uno
dei coniugi potrebbe strumentalmente
innescare in via unilaterale i conflitti al
fine di orientare il giudice verso un affidamento esclusivo (Trib. Catania, ord. 18
maggio 2006; Trib. Catania, ord. 1 giugno
2006, G.I. Di Stefano; App. Bologna,
decreto 17 maggio 2006, est. De Meo)7.
Semmai l’ostinata ricerca del conflitto con
L’
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
l’altro genitore può comportare ai sensi del
nuovo art. 155-bis c.c. una modifica dell’affidamento.
Nell’ipotesi di conflittualità, si rileva un
orientamento prevalente dei tribunali della
Lombardia nel consigliare ai genitori di
rivolgersi ad un centro di mediazione familiare, e spesso, nei casi più gravi, si dispone
una consulenza tecnica d’ufficio o una verifica della situazione da parte dei servizi psicosociali territorialmente competenti, sulla
situazione familiare e le capacità genitoriali.
Peraltro anche nelle conclusioni delle relazioni peritali si rileva una netta inversione di
tendenza rispetto all’orientamento precedente alla riforma, in quanto mentre prima, in
presenza di conflittualità tra i genitori, si
prendeva netta posizione contro l’affidamento congiunto, ora si propone in analoghe
situazioni l’affidamento condiviso. In tal
caso i CTU consigliano un sostegno psicologico a uno o a entrambi i genitori, o la mediazione familiare se ve ne sono i presupposti.
L’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO
affidamento esclusivo, secondo l’orientamento che prevale, può essere adottato solo in via di eccezione, in presenza,
secondo il disposto dell’art. 155-bis c.c, del
manifestarsi di concrete ragioni che ritengano l’affidamento condiviso contrario all’interesse del minore, quali in via esemplificativa, la obiettiva lontananza del genitore, il
suo stato di salute psichica, l’insanabile contrasto con i figli, la sua anomala condotta di
vita, ad esempio se detenuto o altro (Trib.
Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano), ovvero il disinteresse e la mancanza di
L’
confermare, sotto una diversa e concorrente prospettiva, la scomparsa dell’idea di una possibile ‘gerarchia’ dei ruoli genitoriali, che l’impropria e mortificante nozione del ‘diritto di visita’ aveva finito per nascondere ed implicare in modo surrettizio.
6
M. DELL’UTRI, L’affidamento condiviso, cit.: “Una prima osservazione induce ad interrogarsi sull’effettiva opportunità, o financo la
necessità, che il giudice provveda, sempre e comunque, a dettare una specifica o minuta regolamentazione dei tempi della presenza del
minore presso i genitori, o se non sia vice-versa raccomandabile lasciare uno spazio adeguatamente fruibile dalle parti nel quadro di una
più flessibile gestione degli impegni educativi o dei tempi dello svago.”
7
Trib. Catania, ord. 18 maggio 2006 : “in tema di affidamento dei figli minori, alla luce della ratio legis sottesa alla novella, la sussistenza di una notevole conflittualità tra i coniugi, di per sé, non è ostativa all’affidamento condiviso; ne consegue che l’affidamento dei figli
ad uno solo dei genitori può essere disposto soltanto in presenza di elementi che travalicano i limiti dell’ordinaria conflittualità, in presenza dei quali l’affidamento condiviso risulterebbe contrario all’interesse morale e materiale del minore”.
App. Bologna, decreto 17 maggio 2006: “in tema di affidamento della prole, la scelta operata dal legislatore a favore dell’affidamento
condiviso non consente di ritenere la conflittualità tra i genitori elemento sufficiente, di per sé solo, a disporre l’affidamento esclusivo;
l’inevitabile, e, in certa misura, fisiologica diversità di scelte educative tra i genitori è connaturata all’affidamento condiviso e, di per sé,
non consente di superare la scelta della soluzione preferenziale adottata dal legislatore”.
45
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
richiesta da parte del genitore (Trib. Catania,
ord. 5 giugno 2006, Pres. ed est. Maiorana,
P. c. C.).
L’affidamento esclusivo può essere adottato
anche qualora sia concordato tra le parti, poiché ai sensi dell’art. 155 c.c il giudice “prende atto, se non contrari all’interesse dei figli
degli accordi intervenuti tra i genitori”, e pertanto la norma va letta sganciandola dal successivo art.155 bis c.c. secondo cui deve valutarsi se il mancato affidamento all’altro sia
contrario all’interesse del minore (Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano).
La giurisprudenza è pressoché unanime nel
rispettare l’autonomia dei coniugi nella
regolamentazione dei loro rapporti, anche
genitoriali, fatto salvo il potere d’ufficio di
verifica degli accordi che riguardano i figli
minori, e di rifiuto dell’omologa del verbale
di separazione consensuale laddove risultino
palesemente contrari al loro interesse.
Contrari a questo orientamento risultano i
provvedimenti assunti dal Tribunale di Bologna (sent. 9-22 maggio 2006), dal Tribunale
per i Minorenni di Trento (23 maggio 2006)
e, costantemente, dal Tribunale di Como, che
hanno disatteso l’accordo raggiunto dai
genitori in ordine all’affidamento esclusivo
del figlio ad un solo genitore, ed hanno
imposto autoritativamente l’affidamento
condiviso.
LA POTESTÀ GENITORIALE
i sensi del novellato art. 155, co. 3, c.c.
la potestà genitoriale è esercitata da
entrambi i genitori, che devono assumere
di comune accordo le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute degli stessi, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni. Poiché la
legge 54/06 consente però un esercizio
separato o disgiunto (che secondo alcuni è
da intendersi come esclusivo) della potestà
A
8
AIAF RIVISTA 3/2006
su questioni di ordinaria amministrazione,
sono emersi sul punto diverse interpretazioni.
Secondo alcuni giudici l’esercizio della
potestà sulle questioni di ordinaria amministrazione deve essere attribuito in via esclusiva al genitore affidatario in caso di affidamento esclusivo (Trib. Catania, ord. 1 giugno 2006, G.I. Di Stefano; in senso contrario
Trib. Min. Trento, decreto 11 aprile 2006,
Pres. ed est. SPINA, B.K. c. V.D., secondo
cui l’esercizio della potestà spetta ad entrambi i genitori anche nel caso di affidamento
esclusivo).
Altri hanno disposto, nell’ambito dell’affidamento condiviso, che ciascun genitore eserciti in maniera separata ed esclusiva la potestà genitoriale limitatamente alle questioni di
ordinaria amministrazione durante il tempo
in cui il minore resterà presso lo stesso (Trib.
Min. Bologna, decreto 26 aprile 2006, Pres.
ed est. Magagnoli, G. c. G.; Trib. Bari, ord.
11 luglio 2006, D. c. F.; Trib. Catania, ord.
24 aprile 2006, Pres. e Rel. Escher, B. c. V.;
App. Trento, ord. 15 giugno 2006)8.
Si è anche disposto l’esercizio disgiunto della potestà genitoriale per le questioni di ordinaria amministrazione da parte del genitore
che di volta in volta sia materialmente preposto alla cura della minore, in ragione di
una elevata conflittualità tra i genitori (App.
Trento, ord. 15 giugno 2006, Pres. Chimenz;
Rel. Santaniello, R. c. J.B.), e si è sottolineato che la gestione condivisa dei figli non può
significare immediata e capillare assunzione
di decisioni unanimi in ordine alla quotidianità (App. Trento, ord. 24 agosto 2006, Pres.
Nuzzi, est. Santaniello, B.R. c. B.M.G.)
La prassi più seguita nel caso di affidamento
esclusivo ad un genitore sembra quella che,
ferma restando la titolarità della potestà ad
entrambi i genitori, attribuisce l’esercizio
della potestà sulle questioni di ordinaria
amministrazione al solo genitore affidatario,
Nello stesso senso Trib. Messina; v. R. RUSSO, L’affidamento condiviso, cit. “Nella prassi del Tribunale di Messina, l’esercizio separato della potestà viene evidenziato sin dai provvedimenti provvisori con la formula “i genitori possono esercitare la potestà separatamente per le decisioni di ordinaria amministrazione in relazione ai rispettivi tempi di permanenza del minore presso di loro; le decisioni di maggiore interesse vanno adottate di comune accordo ed i coniugi devono reciprocamente e regolarmente informarsi sulle questioni significative relative al figlio.”. Altra possibilità è quella di ripartire le materie di competenza di ciascun genitore (sempre di ordinaria amministrazione) ma in questo modo si rischia di attribuire in realtà non già un esercizio separato di potestà – che diventa più o
meno effettivo secondo i tempi di permanenza- ma esclusivo per materia.”
46
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
e dispone che le decisioni di maggiore interesse relative all’istruzione, educazione e
salute dei figli siano assunte di comune
accordo dai genitori (App. Napoli, decreto
22 marzo 2006). Orientamento già pacifico
nel periodo precedente alla riforma introdotta dalla legge 54/06.
Queste pronunce evidenziano la difficoltà di
trovare nel testo della legge 54/06 una soluzione all’incapacità dei genitori separati di
dialogare e collaborare, che non può certo
essere superata con l’affidamento condiviso,
se inteso solo come dichiarazione di principio. Lo strumento della mediazione familiare
dovrebbe perciò essere maggiormente consigliato dai giudici ed utilizzato dai genitori.
L’APPLICAZIONE
DELL’ART. 709 TER C.C.
n caso di controversia circa le modalità
dell’affidamento o l’esercizio della
potestà, o le “decisioni di maggiore interesse” per i figli, la l. 54/06 ha introdotto
con l’art. 709 ter c.c. la possibilità di proporre un ricorso al giudice (istruttore)
avanti al quale pende il procedimento di
separazione o divorzio, o, se il procedimento si è già concluso, avanti il tribunale
(trattasi di procedimento camerale) ove il
minore risiede.
I provvedimenti ex art. 709 ter c.c. sinora
emessi e noti sono scarsi.
Nel caso di inadempimento di un padre al
dovere di mantenere un rapporto costante e
continuativo con i figli e all’obbligo di corrispondere il contributo al mantenimento della
prole, questi è stato “ammonito” e “richiamato” all’adempimento dei propri obblighi
sanciti dal provvedimento presidenziale, e
condannato al pagamento di una sanzione
pecuniaria a favore della Cassa delle
ammende, con avvertimento che in caso di
protrazione dell’inottemperanza e di specifica prova dei danni, si sarebbe provveduto al
risarcimento patrimoniale a suo carico (Trib.
Modena, ord. 7 aprile 2006).
In altro caso si è “invitato” il genitore (che
frapponeva ostacoli alla frequentazione del
figlio con l’altro genitore) ad astenersi da
tale condotta pregiudizievole per il figlio,
con l’avvertimento che il perdurare di tale
comportamento potrà comportare l’adozione
I
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
dei provvedimenti di cui all’art. 709 ter
c.p.c. (Trib. Catania, ord. 11 luglio 2006; G.I.
Murana, F. c. T.).
LE MODALITÀ DI CORRESPONSIONE
DEL MANTENIMENTO PER I
FIGLI MINORI
a Cassazione, nella prima pronuncia in
materia di affidamento a entrambi i
genitori, ha affermato con chiarezza che il
contributo al mantenimento del figlio è
disposto nel suo esclusivo interesse e attiene alla qualità della vita dello stesso, e
pertanto non ha una valenza patrimoniale.
Ove disposto, ha precisato la Suprema
Corte, non può comportare necessariamente, in ordine al mantenimento dei figli, un
pari obbligo patrimoniale a carico dei
genitori, nel senso che dall’affidamento
congiunto debba discendere l’obbligo per
ciascun coniuge di provvedere in via diretta al mantenimento dei figli. Tale tipo di
valutazione non può assolutamente essere
consentita, sostiene la Cassazione, qualora
si tenga conto che l’affidamento congiunto
attiene all’interesse del minore dal punto
di vista del suo sviluppo, del suo equilibrio psico- fisico, anche in considerazione
di situazioni socio- ambientali, del perpetuarsi dello schema educativo già sperimentato durante il matrimonio, mentre la
corresponsione dell’assegno di mantenimento per i figli ha natura patrimonialeassistenziale (cd assistenza materiale), ed
è finalizzata a sostenere le spese necessarie per consentire le attività dirette a detto
sviluppo psico-fisico del minore (senza
esclusione del relativo obbligo in caso di
raggiungimento della maggiore età da parte dei figli, ove detto assegno si renda
comunque necessario fino al raggiungimento dell’autonomia economica).
È pertanto censurabile la decisione che erroneamente fa derivare, come conseguenza
automatica, dall’affidamento congiunto il
principio che ciascun genitore provvede in
modo diretto ed autonomo alle esigenze dei
figli, in quanto “l’affidamento congiunto non
può certo far venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori a contribuire con la
corresponsione di un assegno al mantenimento dei figli in relazione alle loro esigen-
L
47
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
ze di vita, sulla base del contesto familiare e
sociale di appartenenza” (Cass., sez. I civile,
sentenza 18.08.2006, n° 18187).
La pronuncia della Suprema Corte contraddice l’orientamento – minoritario - della giurisprudenza di merito che aveva dato interpretazione all’art. 155 comma 4 c.c. (“il giudice stabilisce ove necessario la corresponsione dell’assegno”) in senso letterale e
restrittivo, prevedendo un assegno all’altro
genitore, collocatario, solo nel caso in cui la
corresponsione diretta non copriva interamente il budget a carico del genitore non collocatario (Trib. Catania sentenza 12 luglio
2006; Trib. Catania, ord. 24 aprile 2006).
Dalla ricerca dell’AIAF presso i tribunali
della Lombardia è emerso che nessun tribunale dispone d’ufficio il mantenimento in
forma diretta, e viene di regola disposto un
contributo al mantenimento del figlio, minore o maggiorenne non autonomo, mediante
corresponsione di un assegno mensile posto
a carico del genitore non convivente con il
figlio, e la suddivisione al 50% delle spese
scolastiche, di salute, ricreative e sportive,
fatto salvo ogni diverso accordo tra i genitori, nei limiti di legge.
IL MANTENIMENTO DEL FIGLIO
MAGGIORENNE NON AUTONOMO
art. 155-quinquies c.c. che prevede la
possibilità per il giudice, in sede di
separazione o divorzio, di riconoscere ai
figli maggiorenni “non indipendenti economicamente” un assegno di mantenimento
periodico, che “salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto”, ha da subito sollevato interrogativi e perplessità.
I problemi sollevati si incentravano sulla
legittimazione del genitore convivente o dello stesso figlio a proporre la domanda di
assegno, sui presupposti per il riconoscimento dell’assegno, sulle modalità di pagamento, etc.
Quanto ai requisiti per la corresponsione del
mantenimento a favore del figlio maggiorenne e alla legittimazione a proporre la relativa
domanda, la giurisprudenza di merito ha
mentenuto fermo il pregresso orientamento
della Cassazione, ed è pertanto pacifica nel
ritenere che la previsione della possibilità di
L’
48
AIAF RIVISTA 3/2006
corrispondere l’ assegno di mantenimento
direttamente al figlio maggiorenne non fa
venir meno la legittimazione del genitore
con cui lo stesso convive di agire iure proprio per il relativo riconoscimento (App.
Trento, ord. 6 luglio 2006, Pres. Chimenz,
Rel. Santaniello, Z.c.R.; Trib. Messina,
decreto 5 maggio 2006, Pres. Amato, Rel.
Russo; Trib. Messina, ord. 31 ottobre 2006).
È altrettanto pacifico che, in tema di mantenimento dei figli maggiorenni, la l. 54/06
non ha abrogato, o modificato, il sistema
degli obblighi parentali inderogabili così
come previsti dagli artt. 147 e 148 c.c., sicché costituisce, tuttora, un dovere inderogabile contribuire al mantenimento dei figli
anche oltre la maggiore età e finché questi
non abbiano conseguito una indipendenza
economica. Ne consegue che l’unico significato che può attribuirsi alla locuzione “può
disporre”, contenuta nell’art. 155-quinquies
c.c., è quello della preliminare valutazione
del giudice sulle condizioni effettive del
figlio maggiorenne (Trib. Messina, decreto 5
maggio 2006, Pres. Amato, Rel. Russo).
L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA
FAMILIARE
assegnazione della casa familiare costituisce altra questione su cui si erano inizialmente incentrate forti preoccupazioni per
una inversione di tendenza, contraria all’interesse dei figli e più favorevole alla salvaguardia del diritto di proprietà del genitore
non collocatario.
L’orientamento sin qui prevalente ha però
confermato i criteri dettati dalla consolidata
giurisprudenza della Suprema Corte, che
nell’interesse del figlio minore o maggiorenne non autonomo economicamente attribuisce in godimento la casa al genitore collocatario o convivente, al fine di consentire al
figlio di continuare a vivere nel suo consueto habitat domestico (Trib. Bari, ord. 11
luglio 2006, D. c. F.; Trib. Catania, ord. 11
luglio 2006, G.I. Murana, F. c. T.; Trib. Catania, ord. 5 giugno 2006, Pres. ed est. Maiorana, P. c. C.; Cass. 13 febbraio 2006, n.
3030).
Non sono però mancate pronunce di diverso
orientamento o motivazione, come nel caso
del Tribunale di Bari che ha assegnato la
L’
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
casa familiare «al genitore con cui il minore
trascorrerà la maggior parte del proprio tempo» (Trib. Bari, ord. 11 luglio 2006).
Quanto alla disposizione che prevede il
‘venir meno’ del ‘diritto al godimento’ della
casa familiare per il caso in cui l’assegnatario «non abiti o cessi di abitare stabilmente la
casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio», ed in particolare
per quanto riguarda l’ipotesi di convivenza o
nuovo matrimonio, non si registra un significativo orientamento che abbia disposto
l’”automatico” rilascio della casa familiare
da parte del genitore collocatario e del figlio,
ed anzi alcuni giudici di merito hanno ritenuto non manifestamente infondata la questione
di legittimità costituzionale rimettendo gli
atti alla Consulta (T. Busto Arsizio).
LE QUESTIONI PROCESSUALI.
LA COMPETENZA IN MATERIA DI
AFFIDAMENTO E MANTENIMENTO DEI
FIGLI NATURALI
uanto alle questioni di natura processuale emerse a seguito dell’applicazione della l.54/06, la più complessa riguarda
la competenza funzionale in merito alla
regolamentazione dei rapporti genitoriali
nell’interesse dei figli naturali.
Prima della entrata in vigore della l. 54/06, i
genitori naturali si rivolgevano al Tribunale
per i minorenni, competente secondo quanto
previsto dall’art. 38 disp. att. c.c., con ricorso ex art. 317 bis c.c., per ottenere i provvedimenti inerenti l’affidamento del figlio e la
regolamentazione del diritto di visita spettante al genitore non affidatario o collocatario, e al Presidente del Tribunale ordinario,
con ricorso ex art. 148 c.c., per i provvedimenti relativi al mantenimento e all’assegnazione della casa familiare.
La l. 54/06 ha esteso ai procedimenti relativi
ai figli di genitori non coniugati l’applicabilità di tutte le disposizioni di legge, causando
in sede applicativa un contrasto giurisprudenziale che si è espresso in diversi orientamenti.
Secondo un primo orientamento, sostenuto
dal Tribunale per i minorenni di Milano che
si è dichiarato incompetente a decidere in
materia di affidamento dei figli naturali
(decreto 12 maggio 2006, est. Zamagni, cui
hanno fatto seguito numerose pronunce dello
Q
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
stesso Tribunale, tutte conformi, v. decreto 7
luglio 2006, est. Domanico, V. c. R. V.;
recentemente anche il Tribunale per i minorenni di Roma, con decreto del 23 ottobre
2006, si è espresso nello stesso senso), la l.
54/06 ha uniformato i procedimenti relativi
all’esercizio della potestà sui figli naturali a
quelli relativi ai figli legittimi non solo sotto
il profilo sostanziale ma anche sotto il profilo processuale. Sotto il profilo sostanziale, la
previsione dell’art. 317 bis c.c. che esclude
dall’esercizio della potestà il genitore non
convivente con il figlio, salvo attribuire al
giudice il potere di disporre diversamente,
non può oggi più ritenersi in vigore poiché,
in caso contrario, si realizzerebbero illegittime ed irragionevoli disparità di trattamento
tra figli legittimi e figli naturali riconosciuti,
avendo la novella sancito, per tutti i figli, il
principio della bigenitorialità. Il giudice
deve pertanto fare riferimento per le questioni relative all’affidamento e al mantenimento dei figli, legittimi e naturali, agli artt. 155
e ss. c.c., e non più agli artt. 317 bis e 148
c.c., in quanto la l. 54/06 prevede una disciplina unitaria che si riferisce all’affidamento
dei figli, al diritto di visita nonché al mantenimento e all’assegnazione della casa. Non
sembra pertanto possibile scindere le decisioni relative all’affidamento da quelle relative alle questioni economiche, ma, sostiene
il T.M. di Milano, non appare convincente la
tesi secondo cui il richiamo, da parte dell’art. 38 disp. att. c.c., dell’art. 317 bis c.c.
che, a sua volta, avrebbe assorbito l’art. 155
c.c. riformato, avrebbe come conseguenza lo
spostamento dell’intera competenza sull’affidamento e sul mantenimento dei figli naturali ai tribunali per i minorenni.
L’autorità giudiziaria competente ad applicare la nuova disciplina nel caso dei figli naturali è, secondo il T.M. di Milano, il tribunale
ordinario, che dovrà applicare a tali controversie il rito ex art. 706 e ss. c.p.c..
Un secondo orientamento sostiene viceversa
che la competenza in materia di affidamento
dei figli naturali permane in capo al tribunale per i minorenni in forza del combinato
disposto degli artt. 317-bis c.c. e 38 disp. att.
c.c., mentre il tribunale ordinario continua
ad essere competente in merito alle domande
di mantenimento e di assegnazione della
49
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
casa familiare (Trib. Milano, ord. 20 luglio
2006, Pres. Siniscalchi, Rel. Bonfilio, G. c.
T.; conformi nel ritenere che la competenza
in tema di affidamento di figli di genitori
naturali spetti al tribunale per i minorenni:
Trib. Min. Bologna, decreto 26 aprile 2006;
Trib. Min. Trento, decreto 11 aprile 2006).
Ritenendo la propria incompetenza per materia a conoscere una controversia in relazione
alla quale il Tribunale per i minorenni di
Milano si era in precedenza dichiarato
incompetente, il Tribunale di Milano con
ordinanza del 20.7.2006 ha disposto la trasmissione del procedimento alla Cassazione,
richiedendo d’ufficio il regolamento di competenza. La nuova legge, si sostiene, non
contiene alcuna nuova disposizione espressa
in tema di competenza giurisdizionale a
conoscere delle controversie ivi contemplate, e la mancata modifica dell’art. 38 disp.
att. c.c. come il mancato coordinamento dell’art. 317 bis c.c. alla nuova disciplina
sostanziale, fanno ritenere che il legislatore
abbia voluto limitarsi ad estendere i nuovi
principi e criteri sostanziali in tema di affidamento dei figli minori a tutti gli ambiti di
possibile rilevanza applicativa, senza farsi
carico della disciplina processualistica.
Ne consegue che, secondo questa interpretazione, permane la competenza funzionale del
tribunale per i minorenni per le controversie
che riguardano l’affidamento e l’esercizio
della potestà sui figli naturali.
Altro orientamento sostiene che al tribunale
per i minorenni spetti la competenza sia in
materia di affidamento dei figli naturali, che
di mantenimento e assegnazione della casa
familiare.
Il Tribunale di Monza, il cui territorio di
competenza appartiene alla circoscrizione
distrettuale del T.M. di Milano, pure ritenendosi incompetente a decidere in merito
all’affidamento dei figli naturali, ha rimesso
gli atti di un procedimento alla Cassazione
per il regolamento di competenza (ord. 10
ottobre 2006, Pres. Rel. Calabrò), sostenendo che la l. 54/06 ha inciso solamente sul
merito della regolamentazione dell’affidamento e dell’esercizio della potestà dei genitori naturali, senza modificare l’assetto processuale attributivo della competenza funzionale al tribunale per i minorenni.
50
AIAF RIVISTA 3/2006
Ha però anche sostenuto che la l. 54/06, nel
disporre che il giudice debba decidere sull’affidamento condiviso e contestualmente
fissare anche “la misura e il modo con cui
ciascuno dei genitori deve contribuire al
mantenimento, alla cura, all’istruzione e
all’educazione dei figli” e che l’art. 155, co.
2, c.c., applicabile anche alle unioni di fatto,
preveda l’adozione di “ogni altro provvedimento relativo alla prole”, abbia fatto venire
meno il precedente sdoppiamento di competenze, con la conseguenza che il giudice
minorile deve adottare anche i provvedimenti economici a favore dei figli naturali
(conformi Trib. Monza, sentenza 29 giugno
2006, est. Buratti; Trib. Catania, sentenza 14
aprile 2006; App. Napoli 27 settembre
2006).
Stante la posizione assunta dai giudici minorili milanesi, cui non ha fatto ad oggi riscontro l’assunzione di competenza in materia da
parte di nessun tribunale ordinario del
distretto della corte d’appello di Milano, non
è possibile ottenere alcun provvedimento di
affidamento, regolamentazione dell’esercizio della potestà e del diritto di visita nei
confronti di figli naturali.
Infine, un ulteriore orientamento è stato di
recente espresso dal Tribunale per i minorenni di Napoli (ord. 29 settembre 2006, Pres.
Battimeli, C. S. c. G.D.R.) che si è dichiarato competente a decidere in merito alle
domande di affidamento e di assegnazione
della casa coniugale, ma incompetente in
relazione alla domanda di determinazione
del contributo al mantenimento.
In attesa di una pronuncia chiarificatrice e
definitiva dalla Corte di Cassazione, “necessaria attesa la sostenibilità delle diverse
interpretazioni tutte ampiamente motivate
dalla giurisprudenza di merito”, il T.M. di
Napoli ha ritenuto preferibile attenersi alla
ripartizione della competenza tra T.O. e T.M.
finora in atto, ma precisa che la disciplina
dell’assegnazione della casa familiare non è
questione di natura economica e può essere
trattata dal tribunale per i minorenni in quanto strettamente connessa ai tempi e alle
modalità di presenza del minore presso ciascun genitore.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
IL RECLAMO AVVERSO I PROVVEDIMENTI
PRESIDENZIALI
ultimo comma dell’art. 708 cpc, nella
formulazione introdotta dalla legge
54/06, consente la possibilità di proporre
reclamo alla Corte d’appello avverso i provvedimenti emessi dal presidente.
Secondo l’orientamento prevalente, stante il
“carattere necessariamente sommario delle
decisioni presidenziali” i poteri di controllo
affidati al giudice del reclamo sono limitati,
“con la conseguenza che possono assumere
rilievo ed essere eliminati soltanto errori
decisionali evidenti e frutto di una non corretta valutazione degli elementi di massima
acquisiti nella fase iniziale del processo di
separazione, senza alcuna anticipazione dell’istruttoria vera e propria demandata al G.I.”
(App. Trento, sez. I, Pres. Chimenz, Rel.
Santaniello, ord. 17 maggio 2006; conforme
App. Trento, ord. 24 agosto 2006; App.
Bologna, sez. I, Pres. De Robertis, Rel. de
Meo, decreto 17 maggio 2006).
L’
SULLA RECLAMABILITÀ DEI
PROVVEDIMENTI EMESSI DAL G.I.
a questione della reclamabilità dei provvedimenti del G.I. è da tempo oggetto di
dibattito in dottrina e giurisprudenza.
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario ha sempre escluso l’ammissibilità del
reclamo ai sensi degli artt. 669-terdecies
c.p.c. avverso il provvedimento del G.I. in
quanto non riveste natura cautelare.
Anche dopo la novella della legge 54/06 si
continua ad escludere la possibilità di reclamare i provvedimenti adottati nella fase
istruttoria del giudizio di separazione, considerata “l’indiscutibile differenza esistente
tra i provvedimenti interinali del Presidente
e quelli emessi dal giudice istruttore designato per la trattazione della controversia,
soprattutto in considerazione del fatto che i
L
9
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
secondi sono sempre suscettibili di essere
modificati o revocati dalla medesima autorità giudiziaria che li ha adottati alla luce
delle doglianze delle parti o delle variazioni
della situazione di fatto: tale differenza fa
venir meno anche qualsiasi dubbio circa la
legittimità costituzionale della mancata previsione di una facoltà di impugnativa anche
per i provvedimenti del G.I. a differenza di
quanto statuito per quelli presidenziali.”
(App. Trento, sez. I, decreto 21 settembre
2006).9
In senso opposto, un orientamento minoritario sostenuto dai giudici del Tribunale di
Genova, afferma che “se i provvedimenti
presidenziali sono reclamabili con ricorso
alla corte d’appello ai sensi dell’art. 708 u.c.
cpc ed i provvedimenti assunti dal Giudice
del procedimento sono impugnabili nei modi
ordinari, e se entrambi i provvedimenti hanno analoga natura, si debbono considerare
impugnabili con reclamo alla Corte d’Appello anche questi ultimi: infatti l’identica natura giuridica del provvedimento impone, con
interpretazione estensiva, che ad esso sia
riservato lo stesso mezzo di impugnazione
quale che ne sia la funzione (Presidenziale o
istruttoria) svolta dal magistrato che lo ha
emesso” (Trib. Genova, Pres. Martinelli,
Rel. Oddone, ord. 2 maggio 2006).
Secondo la Corte d’appello di Genova deve
invece ritenersi che “la novella che ha inserito la espressa previsione della reclamabilità
in Corte del provvedimento presidenziale ex
art. 708 c.p.c. abbia previsto una modalità
impugnatoria anomala ed eccezionale, che
non ha riprodotto per il provvedimento
modificativo successivamente emesso dai
G.I., con la conseguenza che questo deve
ritenersi impugnabile nei modi “ordinari”,
ovvero secondo le modalità ordinariamente
previste per i provvedimenti cautelari…. da
tanto deve trarsi che… non sarà più possibi-
Nello stesso senso, App. Bari, ord. 16 giugno 2006: “i provvedimenti in subiecta materia esulano dalla previsione di cui all’art. 669quaterdecies c.p.c. che definisce, unitamente all’art. 703 c.p.c., l’ambito di applicazione del processo cautelare uniforme. A tal proposito va sinteticamente rimarcato che gli art. 708/709 c.p.c. rientrano nel capo I del titolo II, non richiamato nell’art. 669-quaterdecies
c.p.c., e che i provvedimenti di cui agli art. 708/709 c.p.c. prescindono del tutto dalla valutazione del periculum in mora, sono ampiamente modificabili e, anche se confermati con la sentenza definitiva del giudizio, sono mutabili e revocabili pure dopo la conclusione
del processo nelle forme del rito camerale (art. 710 c.p.c.). Non v’è dunque ragione per l’applicazione diretta, «in quanto compatibile»
o analogica, del procedimento cautelare uniforme (Cass. 1° aprile 1998, n. 3374, id., Rep. 1999, voce Separazione di coniugi, n. 89),
e quindi dell’art. 669-terdecies c.p.c.».
51
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
le sottoporre al G. I. una istanza di modifica
dei provvedimenti presidenziali che non si
fondi su di un quid novi, (quantomeno la
miglior conoscenza di circostanze preesistenti) rispetto a quanto prospettato al Presidente, giacchè diversamente la cognizione
della Corte e del G.I. in prima battuta sarebbero sovrapponibili, e si finirebbe per consentire avverso un provvedimento una duplice modalità di reazione, con sostanziate inutilità del reclamo, il cui effetto potrebbe
sempre essere vanificato dalla successiva
decisione del GA, sulla scorta detta medesima situazione fattuale. (nello stesso senso
Trib. Trani, ord. 18 aprile 2006 e ord. 28
aprile 2006, che ammettono il reclamo al
collegio ex art. 669-terdecies c.p.c. contro
l’ordinanza con la quale il giudice istruttore
modifichi, nel corso del giudizio di separazione, i provvedimenti nell’interesse della
prole e dei coniugi pronunciati dal presidente del tribunale).
AIAF RIVISTA 3/2006
appare ammissibile il ricorso per
revoca/modifica al g.i., allo scopo (anche) di
rivedere il provvedimento presidenziale,
rivalutabile anche sotto il profilo dell’opportunità.” (Trib. Modena, cit.)
* avvocato in Milano
LA REVOCA O MODIFICA DEI
PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI
E DEL G.I.
provvedimenti presidenziali e quelli
emessi dal G.I. possono essere revocati o
modificati, senza alcun vincolo ai mutamenti nelle circostanze, come prevede il
novellato art. 709 cpc.10
Una volta scelta la via del reclamo alla corte d’appello, il provvedimento emesso dalla
corte non potrà però essere revocato o
modificato dal G.I. a meno che non siano
intervenuti fatti nuovi modificativi della
preesistente situazione esaminata dal giudice d’appello (Trib. Modena, ord. 5 ottobre
2006; conforme l’orientamento del Trib. di
Milano).
Il provvedimento presidenziale che non è
stato reclamato può invece essere revocato
o modificato dal G.I..
Si ritiene pertanto necessario che venga notificata l’ordinanza presidenziale al fine di far
decorrere i termini per la proposizione del
reclamo; solo “perenta la via del reclamo,
I
10 Trib. Modena, ord. 5 ottobre 2006: “ Il potere modificativo in oggetto pare avere subito una sorta di mutazione genetica; da strumento
di adeguamento dello stato di diritto al mutare dello stato di fatto, a strumento di eventuale revisione e controllo (dell’esattezza) delle
determinazioni presidenziali, e perciò (anche) quale revisio prioris instantiae.”
52
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
LA GIURISPRUDENZA SULLA RECLAMABILITÀ E SULLA
MODIFICA DEI PROVVEDIMENTI PRESIDENZIALI E DEL G.I.
1. SUI LIMITI DI POTERE DI CONTROLLO Così deciso in Bologna nella camera di mensile rivalutabile di Euro 120,00 escluDEL GIUDICE DEL RECLAMO consiglio della prima sezione civile il 12 dendo qualsiasi concorso a carico della
LA CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA
SEZIONE PRIMA CIVILE
Riunita in Camera di Consiglio
in persona dei Signori Magistrati:
Dott. Leonardo De Robertis - Presidente
Dott. Miranda Bambace - Consigliere
Dott. Angela de Meo - Consigliere rel.
nel procedimento xxx,
ha pronunciato il seguente
DECRETO
Omissis –
… l’art. 708, quarto comma, cod. proc.
civ., nella formulazione introdotta dalla
legge 16 marzo 2006, n. 54, prevede la
facoltà di proporre il reclamo previsto
avverso i provvedimenti presidenziali
senza richiedere, neppure implicitamente, l’intervento di fatti nuovi.
La abolizione, ad opera della stessa legge, del presupposto degli intervenuti
“mutamenti delle circostanze” ai fini della
revoca o modifica dei provvedimenti presidenziali da parte dell’istruttore conferma, anzi, l’ampliamento delle possibilità
di riesame anche indipendentemente
dalla sopravvenienza di fatti nuovi.
…. Omissis …
L’ordinanza presidenziale emessa ai
sensi dell’art. 708 cod. proc. civ. è un
provvedimento avente natura ed efficacia meramente incidentale nel processo di separazione personale, ed è
fondato su ragioni di provvisorietà ed
urgenza; è volto a dettare una regolamentazione dei rapporti tra i coniugi e
nei confronti dei figli nella pendenza
del giudizio, nel corso del quale è previsto lo svolgimento dell’attività istruttoria e nella cui decisione finale sono
destinati ad essere assorbiti.
Questo carattere di delibazione necessariamente sommaria non muta in
sede di reclamo.
Dunque in questa fase rilevano unicamente profili di erroneità dell’ordinanza presidenziale immediatamente rilevabili.
… omissis ….
xxx per il mantenimento del figlio.
maggio 2006
La decisione risultava sommariamente
Il Presidente
Provvedimento pubblicato il 17 maggio motivata dalla modestia del reddito della
xxx, ammontante ad Euro 700,00 mensili
2006
in relazione ad un lavoro temporaneo, a
fronte di un reddito di circa Euro 1.200,00
LA CORTE D’APPELLO DI TRENTO
in capo al marito.
Sezione Prima
Con l’impugnazione il reclamante eviriunita in camera di consiglio nelle perso- denziava che quanto statuito dal Presine dei Signori Magistrati:
dente del Tribunale collideva con l’obbli1)Dott. Giuseppe Chimenz Presidente
go gravante su entrambi i genitori dì farsi
2)Dott. Paola De Falco Consigliere
carico del mantenimento dei figli fino al
3)Dott. Bernardetta Santaniello Consi- raggiungimento dell’autonomia econogliere Rel.
mica e portava ad un risultato iniquo, in
ha emesso la seguente
quanto finiva per garantire alla controparORDINANZA
te una somma mensile superiore a quelnel procedimento in grado di appello la che sarebbe residuata al marito ed al
iscritto a ruolo al n. ***/06 C.C. promos- figlio: insisteva quindi per una riforma dei
so con ricorso depositato in data provvedimenti provvisori con imposizio**/*/2006
ne alla moglie di un contributo per il figlio
DA
e con esclusione di qualsiasi obbligo a
xxx rappresentato e difeso dagli avv. - suo carico per il mantenimento della
RECLAMANTE
stessa.
CONTRO
Si costituiva in questa sede la xxx per solxxx rappresentata e difesa dagli avv. - lecitare il rigetto del reclamo e la conferRESISTENTE
ma dei provvedimenti presidenziali, eviOGGETTO / Separazione giudiziale
denziandone la correttezza sostanziale in
Reclamo avverso l’ordinanza xxx 2006 considerazione delle modestissime e
del Presidente del Tribunale di Rovereto, temporanee risorse economiche di cui
depositata il xxx 2006
poteva disporre; eccepiva la carenza di
legittimazione passiva del marito a preIl Presidente del Tribunale di Rovereto, a tendere un contributo per il mantenimenseguito del ricorso per separazione pre- to del figlio in contrasto con le previsioni
sentato in data xxx 2006 dall’odierno di cui al nuovo art. 155 quinquies cc;
reclamante nei confronti di xxx, stante l’ manifestava comunque l’intenzione di
esito negativo del tentativo di conciliazio- contribuire al mantenimento del figlio con
ne ed in mancanza della disponibilità del- altre forme di interventi non strettamente
le parti ad una soluzione consensuale, monetarie e ribadiva che la situazione
adottava i provvedimenti provvisori diret- economica del marito era decisamente
ti a disciplinare i rapporti tra i coniugi migliore, atteso che egli, oltre alla pensioanche in relazione al figlio maggiorenne ne, era titolare anche di una rendita INAIL
ma economicamente non autonomo, fis- e svolgeva lavoretti saltuari in nero.
sando udienza davanti al G.I. per la fase Questa Corte ritiene che il reclamo prodi trattazione della vertenza.
posto sia parzialmente fondato e debba
In particolare il Presidente:
trovare accoglimento nei limiti di seguito
- attribuiva il diritto di abitazione sulla specificati.
casa coniugale al ricorrente con il quale In via preliminare, va evidenziato il caratcoabitava il figlio studente universitario;
tere necessariamente sommario delle
- poneva a carico dello stesso l’obbligo decisioni presidenziali e conseguentedi contribuire al mantenimento della mente i limiti dei poteri di controllo
moglie con il versamento di un assegno affidati al giudice del reclamo, con la
53
AIAF RIVISTA 3/2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
conseguenza che possono assumere
rilievo ed essere eliminati soltanto
errori decisionali evidenti e frutto di
una non corretta valutazione degli elementi di massima acquisiti nella fase
iniziale del processo di separazione,
senza alcuna anticipazione dell’istruttoria vera e propria demandata al G.I.
Ciò premesso, si rileva che nella fattispecie concreta la scelta di escludere del tutto per la xxx l’onere economico di concorrere al mantenimento del figlio non
può essere giustificato dalla modestia
attuale dei suoi redditi, stante l’obbligo
per ciascun genitore di procurarsi con la
ricerca di un lavoro adeguato fonti economiche idonee a garantire l’assolvimento di tale onere.
Ne consegue che, pur dovendosi condividere che l’attuale disparità di condizioni reddituali dei coniugi legittimi l’imposizione allo xxx, che gode sia di pensione
INPS per un importo mensile di circa
Euro 1.200,00 che di rendita INAIL di cui
allo stato non si conosce l’entità, di un
assegno di mantenimento per la moglie,
si ritiene tuttavia che il mancato concorso
della stessa nel mantenimento del figlio,
possa giustificare la revoca dell’assegno
stabilito dal Presidente del Tribunale con
una sostanziale compensazione degli
obblighi: è appena il caso di evidenziare
che la previsione della possibilità di
corrispondere l’assegno di mantenimento direttamente al figlio maggiorenne non fa venir meno la legittimazione del genitore con cui lo stesso
convive di agire per il relativo riconoscimento.
Sarà compito del G.I. adeguare tali statuizioni alla diversa situazione che dovesse emergere dall’istruttoria da svolgere.
La natura della vertenza ed il carattere
interlocutorio della fase non consentono
alcuna statuizione in ordine alle spese.
P.Q.M.
In parziale riforma del provvedimento
reclamato, tenuto conto dell’obbligo di
xxx di concorrere economicamente al
mantenimento del figlio, revoca la statuizione di obbligo per lo xxx di corrispondere alla stessa un assegno di mantenimento.
Trento 6 luglio 2006
IL CONSIGLIERE EST. IL PRESIDENTE
(Dott.B.Santaniello) (Dott.G.Chimenz)
2. SULLA AMMISSIBILITÀ DEL RECLAMO menti Presidenziali di cui al precedenAVVERSO I PROVVEDIMENTI DEL G.I. te punto sono reclamabili con ricorso
IL TRIBUNALE DI GENOVA
SEZIONE QUARTA CIVILE
Composto dai magistrati
MARTINELLI dr. Paolo
Presidente
ODDONE dr.ssa Maria Teresa
Giudice rel.
SCIRÈ dr.ssa Delia
Giudice
riuniti in camera di consiglio
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA COLLEGIALE
nella procedura relativa al reclamo ex
art. 669 terdecies c.p.c. avverso il
provvedimento emesso dal G.I. dr.ssa
M. Parentini, con cui veniva rigettata la
richiesta di revoca dell’assegnazione della casa coniugale e del contributo di
mantenimento per la figlia xxx, nonché
rideterminato in euro 200,00 l’assegno
mensile dovuto dal xxx alla xxx come
contributo al mantenimento del figlio xxx,
reclamo proposto da
*** reclamante già ricorrente, avv. ***
nei confronti di
*** resistente già resistente, avv. ***
il Collegio, rilevato
- che il presente reclamo risulta proposto
ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c.;
- che tuttavia ai sensi dell’art. 708 u.c.
c.p.c., come modificato dall’art. 2, comma 1 della l. 8 febbraio 2006, n. 54, provvedimenti temporanei ed urgenti emessi
dal Presidente ai sensi del III comma dello stesso articolo sono ora reclamabili
con ricorso alla Corte d’Appello;
- che inoltre ai sensi dell’art. 709 ter u.c.
c.p.c. i provvedimenti (ivi contemplati)
assunti dal Giudice del procedimento
sono impugnabili dei modi ordinari;
- che provvedimenti Presidenziali provvisori ed urgenti assunti dal Presidente ai
sensi del III comma art. 708 c.p.c. e quelli successivamente presi dal G.I. ai sensi
dell’art. 709 u.c. c.p.c., come è noto (cfr.
Cass. 99/1766; 98/9325) potenzialmente
possono sopravvivere anche all’estinzio* Nello stesso senso, Corte Appello ne del processo, ed appaiono tra loro di
Trento, ordinanza 24 agosto 2006.
analoga natura;
- che, conseguentemente, se provvedi-
54
alla Corte d’Appello ai sensi dell’art.
708 u.c. c.p.c. ed i provvedimenti
assunti dal Giudice del procedimento
sono impugnabili nei modi ordinari, e
se entrambi i provvedimenti hanno
analoga natura, si debbono considerare impugnabili con reclamo alla Corte
d’Appello anche questi ultimi: infatti l’identica natura giuridica del provvedimento impone, con interpretazione
estensiva, che ad esso sia riservato lo
stesso mezzo di impugnazione quale
che ne sia la funzione (Presidenziale o
istruttoria) svolta dal magistrato che lo ha
emesso;
- che tale interpretazione sembra confortata anche dalla previsione dell’art. 177
punto 3) c.p.c., secondo il quale non
sono modificabili né revocabili dal Giudice che le ha pronunciate le ordinanze per
le quali la legge predispone uno speciale mezzo di reclamo;
- che, conseguentemente, il presente
reclamo deve ritenersi inammissibile,
poiché proposto ai sensi dell’art. 669 terdecies c.p.c. anziché ai sensi dell’ultimo
comma art. 708 c.p.c., e cioè con ricorso
alla Corte d’Appello;
- ritenuto, infine, che la novità della questione consenta la compensazione delle
spese di giudizio
P.Q.M.
dichiara inammissibile il reclamo;
compensa le spese di procedimento tra
le parti.
Genova, 2 maggio 2006
LA CORTE D’APPELLO DI GENOVA
SEZIONE TERZA CIVILE
DECRETO
nel procedimento n. Reg. … promosso
da … elett. dom. in Genova, presso l’avv.
…. che lo rappresenta e difende per
mandato a margine del reclamo, reclamante
avverso
…, elett. dom. in Genova, presso l’avv.
Enrico Bet che la rappresenta per mandato in atti, reclamata
Con l’intervento del P.G., che ha chiesto il
rigetto del reclamo
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
Rilevato:
che tra le parti pende causa di separazione personale, e che nell’ambito di tale
procedimento il Presidente del Tribunale
di Genova in data …, autorizzati in provvisorio i coniugi a vivere separati, emetteva ì provvedimenti urgenti e provvisori,
affidava i figli ai genitori congiuntamente,
concedeva il godimento detta casa familiare al …,
regolava le frequentazioni genitori-figli e
provvedeva in ordine ai rapporti personali ed economici conseguenti;
che successivamente, anche all’esito di
ricorsi proposti in via di urgenza, il regime di affido detta prole, sentite le parti,
acquisite informazioni e dato corso a
CTU, veniva modificato, disponendosi in
un primo tempo l’affido dei minori al
padre, e successivamente l’affidamento
ai Servizi Sociali del Comune di Genova
(ordinanza in data …);
che veniva presentato ricorso per la
modifica urgente anche dei provvedimenti in punto economico, sì che, sentite
te parti ed acquisita la relazione, nuovamente la regolamentazione di rapporti di
cui sopra veniva modificata con il provvedimento in data … che definiva in euro
1000,00 il contributo a carico del …per i
figli - fermo l’obbligo dei genitori di sostenere le spese sanitarie non coperte dal
SSN, le spese scolastiche e sportive inerenti alla prole al 50% -, e in euro 800,00
il c.d. “contributo alloggio”;
che avverso detto provvedimento ricorreva ancora una volta il …, resisteva la … e
che infine il G.I. emanava il provvedimento impugnato, che ridefiniva in euro
850,00 il contributo paterno per i figli, da
corrispondersi alla …, e confermava in
favore di costei il contributo di euro
800,00 per il godimento dell’alloggio già
familiare rimasto al marito;
che avverso detto provvedimento notificato in data … ha proposto reclamo la
difesa … (del marito), chiedendo la riduzione dell’onere posto a suo carico nel
contempo sollecitando la eliminazione o
riduzione del contributo per l’alloggio, in
relazione atta novità fattuale, che indicava nella ammissione, resa dalla controparte, di fruire di apporti economici da
parte dei propri genitori, contestualmente proponendo le domande ulteriori, di
cancellazione di espressioni sconvenienti ed offensive con risarcimento danni ex
89 c.p.c., e di risarcimento danni anche
ex art. 96 c.p.c.;
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
che ha resistito la …, eccependo la
inammissibilità o improcedibilità del
reclamo, proposto avverso un provvedimento emesso dal G. I., tra l’altro in
una fase incidentale incardinata nella
procedura di separazione, ai sensi dell’art. 700 c.p.c.;
che nel merito la parte resistente sosteneva il difetto di rilevanza della circostanza dedotta ex adverso, allegando che
l’apporto economico dei genitori era stato erogato precariamente, stante la situazione di emergenza nella quale essa versava anche a seguito delle avversarie
inadempienze, e di fatto già era venuto
meno stanti te gravi condizioni di salute
della propria madre;
che le avversarie insistenti richieste, di
riduzione del contributo per i figli, apparivano del tutto ingiustificate, stanti le
ampie possibilità economiche del
Tomassini;
che era, data la situazione che si era
creata, opportuno che il godimento detta
casa familiare fosse assegnato alla reclamata.
Dato atto che la questione pregiudiziale
riveste una rilevanza suscettibile di decidere la controversia, la Corte ha invitato i
patroni a discuterla oralmente e si è riservata la decisione, che assume come in
appresso.
La questione pregiudiziale sollevata
dalla difesa appellata merita una attenta valutazione, stanti i contrasti interpretativi che da tempo si sono registrati e in dottrina e in giurisprudenza
quanto alla reclamabilità dei provvedimenti di modifica in via urgente e provvisoria detta regolamentazione dei
rapporti personali ed economici nelle
procedure di separazione, problemi
che la lettera assai poco perspicua della
novella 54/2006 non ha certo contribuito
a risolvere.
Il problema della reclamabilità di detti
provvedimenti è concettualmente
suscettibile di ricevere tre diverse
soluzioni.
La prima, adottata sino alla novella da
buona parte dei giudici di merito, seppure con qualche autorevole voce in
contrasto sostenuta da autorevole dottrina, escludeva tout court la ammissibilità del reclamo.
I seguaci di detta opzione ermeneutica
partivano dal presupposto che tali provvedimenti non rivestissero natura cautelare (cosi ex multis Trib. di Verona
20/2/2003 in F.I. 2003,11,3156, Trib. Arez-
zo 11/6/1997, in F.I. 1998,1,2285, Trib.
Pavia 9/1/1997, ib. 1998,1,232, Trib.
Catania 21/7/1993 in F.I. 2004,1, 1216 e
Trib. Roma 27/1/1994 ibidem,), ditalchè
dando applicazione alla regola generale,
tratta dall’art. 177 c. p. c., se ne traeva
che dette misure si sottraessero ad ogni
impugnativa.
Sulla scorta della novella 54 e 80/2006,
tale soluzione pare trovare conforto nella
interpretazione letterale della norma: sulla base del ben noto brocardo ubi lex
voluit, dixit, si è anche di recente sostenuto (Trib. Foggia 2/5/2006 in F.I.
2006,1,2214) che, poiché la nuova legge
espressamente prevede il reclamo solo
avverso il provvedimento emesso dal
Presidente, da tanto deriverebbe che il
provvedimento modificativo eventualmente assunto dal G.I. non sia impugnabile, e ciò senza lesione degli interessi e
delle ragioni dette parti, che troverebbero adeguata tutela nella pur sempre consentita possibilità di rivalutazione dette
situazioni, da parte detto stesso G.I..
Un secondo filone interpretativo - al
quale aderisce parte reclamante ammette il reclamo, affermando la sua
proponibilità alla Corte di Appello territorialmente competente.
La considerazione -si sostiene - della
ratio e della natura dei provvedimenti dell’Istruttore, del tutto assimilabili nel contenuto e nella ultrattività a quelli assunti
dal Presidente ai sensi dell’art. 708
c.p.c.; imporrebbe, in una lettura della
norma costituzionalmente orientata, alla
necessità di ammettere il doppio grado e
così il riesame del contenuto del provvedimento da parte di un giudice diverso
da quello che lo ha emesso; avendo la
novella espressamente regolato il reclamo avverso l’art. 708, attribuendolo atta
cognizione detta Corte, detta previsione,
da applicarsi in toto ed estensivamente,
devolverebbe al Giudice del secondo
grado ogni impugnativa proposta anche
contro i provvedimenti modificativi dell’Istruttore, secondo una modalità che verrebbe ad essere il “modo ordinario” di
riesame per i provvedimenti emessi netta
materia de qua.
Terza possibilità concettualmente prospettabile - alla quale la difesa reclamata nel grado ha aderito - è quella di
ammettere il reclamo, e di ritenerlo
proponibile dinanzi all’organo collegiate cui appartiene il G.I. che ha
emesso il provvedimento gravato, in
diversa composizione.
55
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
La specificità degli interessi cautelati, e la
delicatezza detta materia - si è sostenuto - imporrebbero di ammettere comunque il vaglio da parte di un Giudice diverso da quello che ha assunto la misura in
parola, per la compiuta verifica detta
legittimità ed opportunità nel merito dette
suddette disposizioni, onde impedire che
conseguenze rilevanti nell’ambito dei
rapporti familiari abbiano a cristallizzarsi
nel tempo, senza un adeguato controllo
dell’operato del singolo istruttore.
La natura anticipatoria del provvedimento in questione – analogo nella portata a
quello assunto in limine dal Presidente e
la sua ultrattività comporterebbero la
soggezione dello stesso allo strumento
previsto per il riesame dei provvedimenti
cautelari.
In tal senso, del resto, già prima della
riforma si era espresso il Tribunale di
Genova (ordinanza 16/3/2001, in F.I.
2001, 1, 2356, Trib. Genova 10/1/2004, in
F.I. 2004, I, 931,) e il Trib. Brindisi (ordinanza 12/8/2003 in F.I. 2003,1, 3156, quest’ultima, peraltro con un distinguo limitativo, riferito alle sole fattispecie di ordinanze emesse per ovviare a situazioni di
pericolo di danno grave ed irreparabile).
Secondo tale opzione ermeneutica, l’avere previsto la novella, quanto ai provvedimenti emessi da Presidente, la reclamabilità in Corte non avrebbe innovato
se non netta individuazione del Giudice
competente, giacché la previsione della
soggezione di detti provvedimenti al
reclamo discenderebbe de plano dalla
loro natura (così Trib. Trani 28/4/2006 in
F. I. 2006, 1, 2212).
Ne conseguirebbe secondo il provvedimento da ultimo richiamato che “in
assenza di specifica norma derogatrice,
la competenza in ordine ai reclami delle
ordinanze emesse dal giudice istruttore
nell’interesse dei coniugi e della prole
che abbiano modificato o revocato i provvedimenti presidenziali spetti al collegio,
così come previsto in via generale nella
disciplina del processo cautelare”, apparendo conforme a logica ritenere che con
l’aggiunta dell’ultimo comma dell’art. 708
c.p.c. si sia voluto evitare che a pronunziarsi sulla impugnazione avverso il provvedimento emesso dal Presidente fossero i giudici del medesimo ufficio giudiziario, con possibile pericolo di metus reverentialis e così di condizionamento della
decisione.
Solo detta particolarità potrebbe costituire ragionevole spiegazione della previ-
56
sione di un reclamo attuato con una
modalità francamente anomala, che
dovrebbe ritenersi eccezionale.
Questa Corte, dato atto dette diverse tesi
che si sono come sopra rapidamente
riassunte, prima di statuire sulla fattispecie reputa di dover effettuare alcune brevi considerazioni che cosi si espongono.
Anzitutto non può trascurarsi che il Giudice delle leggi è venuto costantemente
affermando che la alterità del giudice della impugnazione rappresenta, secondo
l’ordinamento, ma anche secondo il
comune sentire, un fattore di maggior
garanzia “(così Corte Cost. 253/1994); “
la mancata previsione della revisio prioris
instantiae - ha rilevato la Corte - in cui si
concreta il reclamo ex art. 669 terdecies
c.p.c. in favore della parte che subisca la
situazione assunta come lesiva del proprio diritto.. realizza uno amputazione del
diritto di difesa... la sperequazione determinato dalla reclamabilità dei soli provvedimenti di accoglimento non può ritenersi compensata dalla prevista riproponibilità della istanza al medesimo giudice in
caso di mutamento delle circostanze o di
deduzioni di nuove circostanze di fatto o
di diritto, giacchè tra i rimedi della reclamabilità e della riproponibilità non vi è
rapporto di equivalenza in termini di
garanzia, operando gli stessi su piani
diversi, non sovrapponibili ma complementari...”
È sì vero che dette affermazioni sono state rese con riferimento al procedimento
cautelare, e alla originaria omessa previsione del reclamo avverso il provvedimento reiettivo, ma è da ritenersi che
esse per la loro generalità ben possono
trovare applicazione alla materia di cui ci
si occupa, sì che parrebbe davvero difficile sostenere che la ammissibilità della
revisione del provvedimento da parte del
medesimo G.I. assorba ogni esigenza, di
revisio, che la parte incisa possa vantare.
Tanto premesso quanto alla garanzia del
diritto di difesa, è a dire che la previsione
normativa detta reclamabilità dei provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c. ha
superato, di fatto (a sostenibilità di tale
impostazione anche sotto il diverso profilo, detta necessaria eguaglianza detta
tutela assentita a situazioni consimili,
giacché non si sottrarrebbe ad un fondato dubbio di costituzionalità il negare la
garanzia del secondo grado al provvedimento modificativo assunto dal G.I. dopo
averlo riconosciuto all’analogo provvedimento presidenziale, sì che, conclusiva-
AIAF RIVISTA 3/2006
mente, la prima tesi pare, in oggi, francamente non più sostenibile.
Ammessa pertanto la reclamabilità, non
essendovi una previsione normativa specifica, l’interprete deve colmare un vuoto
dei sistema, e la scelta pertanto si pone
tra la adesione alla seconda o alla terza
ipotesi e così tra l’inquadramento della
fattispecie nel solco dette previsioni dettate per il reclamo dei provvedimenti anticipatori, secondo i principi generati, e la
sua assimilabilità atte previsioni della
novella, con devoluzione del gravame
alla Corte di appello.
Ogni circostanza valutata, questo Collegio reputa che sia preferibile la adesione
alla tesi, che postula la applicazione analogica delle norme dettate per il reclamo
del provvedimento cautelare.
Anzitutto, in tal senso induce la considerazione della natura dei provvedimenti in
questione, che impartiscono una provvisoria regolamentazione a situazioni e
posizioni soggettive, volta a volta qualificabili come diritti, potestà od oneri, in
ragione di circostanze che non raramente sono inquadrabili netta vera e propria
urgenza.
È poi pacifico perché discende dalla legge che detti provvedimenti mantengano
la loro efficacia anche in caso di estinzione del procedimento; è incontestato che
il loro obiettivo sia l’impartire alla situazione un assetto in prospettiva destinato
a protrarsi nel tempo e, se le previsioni
sono state adeguate, ipoteticamente ed
auspicabilmente a durare, quantomeno
sino alla definizione del processo ed anzi
fino atta modifica della fattispecie.
Non sembra azzardato a questo punto
inquadrare detti provvedimenti nel
novero dei c.d. “anticipatori”, di creazione dottrinale, ma oggi riconosciuti
dal legislatore che, prima col d. l.vo
5/2003, poi con la novella 80/2006 ha
chiaramente distinto il cautelare a
strumentalità forte - che richiede la
successiva proposizione del giudizio
di merito, onde non vanificarne gli
effetti - da quelli a strumentalità debole o attenuata ai quali si applicano le
previsioni del comma 6 dell’art. 669
octies c.p.c.
Deve pertanto ritenersi che la novella che
ha inserito la espressa previsione della
reclamabilità in Corte del provvedimento
presidenziale ex art. 708 c.p.c. abbia previsto una modalità impugnatoria anomala ed eccezionale, che non ha riprodotto
per il provvedimento modificativo suc-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
cessivamente emesso dai G.I., con la
conseguenza che questo deve ritenersi
impugnabile nei modi “ordinari “,
ovvero secondo le modalità ordinariamente previste per i provvedimenti
cautelari.
Ulteriormente, da tanto deve trarsi che,
pur essendo stata elisa la previsione dell’originario quarto comma dell’art. 708
c.p.c., comunque la vigenza di tale previsione debba ricavarsi dal disposto dell’art. 669 decies c.p.c., sì che non sarà
più possibile sottoporre al G. I. una istanza di modifica dei provvedimenti presidenziali che non si fondi su di un quid
novi, (quantomeno la miglior conoscenza di circostanze preesistenti) rispetto a
quanto prospettato al Presidente, giacchè diversamente la cognizione della
Corte e del G.I. in prima battuta sarebbero sovrapponibili, e si finirebbe per consentire avverso un provvedimento una
duplice modalità di reazione, con sostanziate inutilità del reclamo, il cui effetto
potrebbe sempre essere vanificato dalla
successiva decisione del GA, sulla scorta detta medesima situazione fattuale.
Conclusivamente, se ne ricava l’uniformarsi della disciplina della revoca o
modifica dette ordinanze dell’art. 50
c.p.c., deve essere concesso termine,
per la riassunzione del procedimento
dinanzi al Tribunale di Genova che è
competente per materia e territorio.
Stante il tenore della decisione, non è
luogo a provvedere quanto alle spese.
P. Q. M.
Dichiara la propria incompetenza a provvedere quanto al reclamo di cui sopra,
per il quale competente è il Tribunale di
Genova, dinanzi al quale la procedura
potrà essere riassunta, entro trenta giorni dalla comunicazione del presente
decreto.
Nulla per le spese.
Così deciso in Genova, il 20/10/2006
IL PRESIDENTE
TRIBUNALE DI TRANI
Ord. 18 aprile 2006, Pres. SAVINO, Rel.
CATALANI
«In tema di impugnabilità delle ordinanze
rese dal giudice istruttore di revoca o
modifica dei provvedimenti temporanei
ed urgenti nei giudizi di separazione e
divorzio, va ammessa la loro autonoma
reclamabilità dinanzi al Collegio, così
come previsto in via generale dalla disci-
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
plina del processo cautelare uniforme,
onde impedire che conseguenze rilevanti nell’ambito dei rapporti familiari abbiano a cristallizzarsi nel tempo, senza un
adeguato controllo dell’operato del giudice istruttore»
TRIBUNALE DI TRANI
Ord. 28 aprile 2006
«È ammissibile il reclamo al collegio ex
art. 669-terdecies c.p.c. contro l’ordinanza con la quale il giudice istruttore modifichi, nel corso del giudizio di separazione, i provvedimenti nell’interesse della
prole e dei coniugi pronunciati dal presidente del tribunale», e tanto, in forza del
presupposto secondo cui «in assenza di
specifica norma derogatrice, la competenza in ordine ai reclami delle ordinanze
emesse dal giudice istruttore nell’interesse dei coniugi e della prole che abbiano
modi-ficato e revocato i provvedimenti
presidenziali spetta al collegio, così
come previsto in via generale dalla di-sciplina del processo cautelare».
3. SULL’INAMMISSIBILITÀ DEL
RECLAMO AVVERSO I PROVVEDIMENTI
DEL G.I.
CORTE D’APPELLO DI TRENTO
PRIMA SEZIONE
DECRETO
xxx è stato convenuto davanti al Tribunale di Rovereto dalla moglie xxx per conseguire la separazione giudiziale con
disciplina dei rapporti anche rispetto ai
figli ancora conviventi, di cui xxx maggiorenne ed economicamente non autonomo ed xxx ancora minorenne.
Dopo lo svolgimento della fase presidenziale con esito negativo del tentativo di
conciliazione, anche per una soluzione
consensuale della lite, e con l’ adozione
dei relativi provvedimenti, era iniziata la
fase istruttoria, nell’ ambito della quale il
G.I., dopo l’espletamento di una CTU,
con ordinanza di data xxx 2006 aveva
modificato le statuizioni presidenziali per
quanto riguardava la disciplina dei rapporti del xxx con la figlia minore, confermando l’ entità dell’ assegno di mantenimento per i figli a carico dell’ odierno
reclamante.
Il xxx con ricorso depositato in data
xxx/2006, impugnava detto provvedimento davanti a questa Corte nella ritenuta applicabilità estensiva del disposto
del novellato art. 708 cpc, contestandone
le statuizioni sia con riferimento alla soppressione del diritto di visita nei confronti della figlia sia con riferimento alla conferma dell’ entità dell’ assegno di mantenimento a suo carico.
Si costituiva in giudizio l’ xxx per eccepire in via preliminare l’ inammissibilità del
reclamo e per chiedere nel merito il rigetto dello stesso.
Del pari il Procuratore Generale concludeva per la declaratoria di inammissibilità
dell’impugnazione.
Questa Corte ritiene di condividere la tesi
dell’inammissibilità del reclamo in mancanza di una previsione normativa legittimante la sua proposizione.
Va infatti escluso che la disposizione
contenuta nell’ ultimo comma dell’ art.
708 cpc, a seguito dell’ entrata in vigore della l. 54/06, in base alla quale è
stata introdotta la possibilità di impugnare i provvedimenti presidenziali,
sia suscettibile di applicazione estensiva o analogica rispetto ai provvedimenti adottati nel corso della fase
istruttoria del giudizio di separazione,
stante il tenore letterale della norma e
la mancanza di qualsiasi elemento che
possa militare in favore della tesi
sostenuta dal reclamante.
In particolare, va considerato, sul piano
logico sistematico, l’indiscutibile differenza esistente tra i provvedimenti interinali
del Presidente e quelli emessi dal giudice istruttore designato per la trattazione
della controversia, soprattutto in considerazione del fatto che i secondi sono
sempre suscettibili di essere modificati o
revocati dalla medesima autorità giudiziaria che li ha adottati alla luce delle
doglianze delle parti o delle variazioni
della situazione di fatto: tale differenza fa
venir meno anche qualsiasi dubbio circa
la legittimità costituzionale della mancata
previsione di una facoltà di impugnativa
anche per i provvedimenti del G.I. a differenza di quanto statuito per quelli presidenziali.
La natura della vertenza ed il carattere
interlocutorio della fase non consentono
alcuna statuizione in ordine alle spese.
PQM
Dichiara l’ inammissibilità del reclamo
proposto da xxx avverso l’ ordinanza
del xxx emessa dal G.I. del Tribunale di
Rovereto nell’ ambito della causa di
57
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
separazione in corso tra lo stesso ed xxx
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza.
Trento 21 settembre 2006
IL CONSIGLIERE EST IL PRESIDENTE
(Dott.B.Santaniello)
(Dott.G.Chimenz)
4. SULLE CONDIZIONI DI PROPONIBILITÀ
DELL’ISTANZA DI REVOCA O MODIFICA
DEL PROVVEDIMENTO PRESIDENZIALE,
AL GIUDICE ISTRUTTORE
TRIBUNALE DI MODENA
(Sezione II civile)
Il g.i.
a scioglimento della riserva che precede
osserva quanto segue:
va dato conto che, nel nuovo processo
familiare riformato, prima dalla l. n.
80/2005 e poi dalla l. n. 54/2006, è possibile assoggettare a controllo l’ordinanza
presidenziale avente ad oggetto i “provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse della prole e dei coniugi”, di cui
all’art. 708, 3° co., c.p.c., sotto un duplice
versante.
Da un canto, la nuova disciplina ammette uno strumento di revisione in precedenza non previsto dall’ordinamento processuale, costituito dal reclamo in Corte,
entro il termine perentorio di dieci giorni
dalla notificazione del provvedimento
(art. 708, 4° co., c.p.c.).
In passato, veniva di solito esclusa l’ammissibilità del reclamo previsto dall’art.
669 terdecies c.p.c., ritenendosi in prevalenza che l’ordinanza interinale fosse priva di cautelarità, cosicché si permetteva
il riesame di tale provvedimento solo da
parte del collegio con la pronuncia della
sentenza, salva la sola possibilità per il
g.i. di modificarne il dictum se “si verificavano mutamenti nelle circostanze”.
A tutt’oggi, si è mantenuta quest’ultima
possibilità.
Nella nuova formulazione normativa è,
però, stato espunto il riferimento, in precedenza presente nel vecchio testo dell’art. 708 c.p.c., quale presupposto di
ammissibilità, “al mutamento nelle circostanze”. L’art. 709 c.p.c. ha, perciò,
acquisito una formulazione analoga a
quella contenuta nell’art. 4, co. 8, l.
898/70, cosicché oggi il potere di modifica/revoca non sembra essere vincolato.
Il potere modificativo in oggetto pare
avere subito una sorta di mutazione
58
genetica; da strumento di adeguamento
dello stato di diritto al mutare dello stato
di fatto, a strumento di eventuale revisione e controllo (dell’esattezza) delle determinazioni presidenziali, e perciò (anche)
quale revisio prioris instantiae.
Il legislatore non si è curato, però, di procedere al coordinamento tra le due forme
di revisione dell’ordinanza presidenziale,
quest’ultimo provvedimento interinale ed
incidentale reso rebus sic stantibus, affidandosi perciò implicitamente all’interpretazione.
Ebbene, in base ad un criterio di logica
ed ancor prima di economicità dei mezzi
processuali, non può ritenersi che concorrano insieme due misure di controllo della medesima ordinanza presidenziale, una volta espunto il riferimento
al “mutamento nelle circostanze”. Piuttosto, all’interno del sistema normativo,
va individuata una forma di coordinamento tra di esse (electa una via non
datum recursum ad alteram).
Ebbene, una volta scelta la via del
reclamo in Corte non è ammessa
istanza di revoca, se non in presenza
di un “mutamento nelle circostanze”.
Non coltivata e perciò perenta la via
del reclamo, appare, invece, ammissibile il ricorso per revoca/modifica al
g.i., allo scopo (anche) di rivedere il
provvedimento presidenziale, rivalutabile anche sotto il profilo dell’opportunità. Posto che il potere del g.i. non
appare più condizionato dal requisito del
“mutamento nelle circostanze”.
Nello specifico, il mancato esperimento
del reclamo, condizionante l’ammissibilità dell’istanza di revoca/modifica al
g.i., presuppone l’inutile decorso del
termine di dieci giorni dalla notificazione.
Il termine di proposizione del mezzo, precisa l’art. 709, c.p.c., decorre dalla “notificazione del provvedimento”.
Stando all’interpretazione affermatasi
sotto la vigenza del precedente testo dell’art. 669 terdecies c.p.c., ante novella
del 2005, il termine di proponibilità del
gravame decorreva dalla “notificazione
da parte dell’ufficiale giudiziario ad istanza di parte” (Cass, Sez. Un., 29 aprile
1997, n. 3670).
Tale interpretazione appare ancor’oggi
plausibile alla luce del testo innovato dell’art. 708, 4 co., c.p.c, che richiama la
notificazione del provvedimento, pur se
laconicamente non aggiunge altro (in tal
senso, implicitamente, App. Bologna,
AIAF RIVISTA 3/2006
8.5.2006, decreto, Rass. merito Giur. it.,
2006, 271-272).
Nella specie, non risulta in atti che tal termine sia stato fatto decorrere ad istanza
di parte, provvedendosi alla notificazione dell’ordinanza presidenziale alla
controparte, con la conseguenza che lo
stesso ancora potrebbe essere attivato,
con reclamabilità del provvedimento in
Corte.
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
N
el 2002 il Tribunale di Genova emetteva un’innovativa ordinanza (Trib.
Genova, sez. IVa, ordinanza del
07.03.2002, Pres. ed estensore Martinelli,
Famiglia e Diritto, n. 6/2002, p. 631) in
virtù della quale veniva ritenuto ammissibile il reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c.
avverso un provvedimento emesso dal giudice istruttore in un procedimento di separazione personale.
Il Tribunale si era pronunciato in un caso in
cui il provvedimento del giudice istruttore
aveva ad oggetto la collocazione dei figli
minori delle parti, rendendo necessario un
intervento urgente, ed aveva ritenuto che “il
provvedimento adottato a sensi dell’art. 708
c.p.c. ha natura anticipatoria più che cautelare, per cui un’interpretazione letterale dell’art. 669 terdecies c.p.c. parrebbe non consentire il rimedio del reclamo cautelare”.
Il Tribunale di Genova risolveva quindi la
questione ammettendo il reclamo di tipo cautelare, con una lettura costituzionalmente
adeguata dell’art. 669 terdecies c.p.c..
Tale indirizzo giurisprudenziale è rimasto
sostanzialmente isolato nel panorama nazionale, nonostante i motivi posti a fondamento
della decisione fossero sì innovativi, ma
frutto comunque di un’applicazione dei principi degli art. 3 e 24 Cost. in tema di contraddittorio, di obbligo di motivazione e di
posizione processuale delle parti, con particolare riferimento alla questione delle garanzie e dell’effettività del diritto di difesa.
Successivamente, nel maggio 2006 – a
seguito dell’entrata in vigore della riforma di
cui all’art. 2, I° c., L. 08.02.2006, numero
54, che ha modificato l’art. 708 c.p.c. introducendo la possibilità di proporre reclamo
davanti alla Corte d’Appello avverso i provvedimenti presidenziali provvisori – il Tribunale di Genova ha emesso un’ordinanza collegiale decisamente innovativa – che non è
rimasta isolata come la precedente – con la
quale è stato ritenuto ammissibile il reclamo
davanti alla Corte d’Appello anche per i
provvedimenti del giudice istruttore (Trib.
Genova, sez. IVa, ordinanza del 07.03.2002,
Pres. Martinelli, estensore Oddone).
Il Tribunale ha anzitutto constatato che i
provvedimenti presidenziali provvisori ed
urgenti assunti dal Presidente a sensi del-
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
l’art. 708, III° c., c.p.c. e quelli successivamente adottati dal giudice istruttore a sensi
dell’art. 709, u. c., c.p.c. (provvedimenti che
possono potenzialmente sopravvivere anche
all’estinzione del processo), appaiono tra di
loro di analoga natura.
Il Tribunale ha quindi ritenuto che, se i provvedimenti presidenziali sono reclamabili con
ricorso alla Corte d’Appello a sensi dell’art.
708, III° c., c.p.c. ed i provvedimenti emessi
dal giudice istruttore del procedimento sono
impugnabili nei modi ordinari a sensi dell’art. 709, u. c., c.p.c., e se entrambi i provvedimenti hanno analoga natura, proprio per
SULL’AMMISSIBILITÀ DEL
RECLAMO AVVERSO
IL PROVVEDIMENTO
DEL G.I.:
L’ORIENTAMENTO DEI GIUDICI,
DI PRIMO E SECONDO GRADO,
DI GENOVA
questo motivo anche i provvedimenti del
giudice istruttore sono da considerarsi impugnabili davanti alla Corte d’Appello.
Secondo il Tribunale infatti l’identica natura
giuridica e degli effetti dei due provvedimenti impone che – con un’interpretazione
estensiva – si debba loro riservare lo stesso
mezzo di impugnazione, quale che ne sia la
funzione (presidenziale od istruttoria) svolta
dal magistrato che lo ha emesso.
Quest’ultima interpretazione ha però avuto
vita breve in quanto la Corte d’Appello di
Genova, dopo pochi mesi, ha riformato tale
pronuncia, ritenendo che i provvedimenti del
ENRICO BET*
59
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
giudice istruttore non possano e non debbano
essere reclamati davanti all’organo di secondo grado (App. Genova, sez. IIIa, decreto del
20.10.2006, Pres. Rovelli, estensore Sangiuolo).
La Corte d’Appello ha quindi dichiarato la
propria incompetenza a provvedere e non è
neppure entrata nel merito, avendo affrontato e risolto una questione pregiudiziale e
meramente procedurale.
In primo luogo la Corte d’Appello ha ritenuto che il problema della reclamabilità dei
provvedimenti del giudice istruttore sia
suscettibile di tre soluzioni:
- la prima, maggioritaria, esclude del tutto
l’ammissibilità del reclamo;
- la seconda – adottata dal Tribunale di
Genova con il provvedimento del 2006
sopracitato – ammette il reclamo davanti
alla Corte d’Appello, analogamente al
provvedimento presidenziale;
- la terza ammette la possibilità del reclamo
invece “nei modi ordinari”, come previsto
dall’art. 709 u. c., c.p.c., sulla base del
noto brocardo ubi lex voluit, dixit.
La Corte nella sua decisione ha preso atto, in
primo luogo, del fatto che “la previsione
normativa della reclamabilità dei provvedimenti presidenziali provvisori ha superato la
sostenibilità di tale impostazione anche sotto il diverso profilo della necessaria eguaglianza della tutela assentita a situazioni
consimili, giacchè non si sottrarrebbe ad un
fondato dubbio di costituzionalità il negare
la garanzia del secondo grado al provvedimento modificativo assunto dal G. I. dopo
averlo riconosciuto all’analogo provvedimento presidenziale”.
L’organo di secondo grado ha quindi ritenuto che – contrariamente all’interpretazione
data dal Tribunale di Genova – ai provvedimenti emessi dal giudice istruttore si debbano applicare le norme dettate per il reclamo
ai provvedimenti cautelari.
La Corte ha accolto la tesi – tra le tre diverse riassunte – secondo cui la novella di cui
alla L. 54 / 2006 (che prevede la reclamabilità dei provvedimenti presidenziali provvisori) ha introdotto una modalità di impugnazione anomala e del tutto eccezionale, modalità che non è stata in alcun modo prevista
espressamente anche per i provvedimenti
60
AIAF RIVISTA 3/2006
modificativi che vengono eventualmente
adottati dal giudice istruttore, con la conseguenza che (come eccepito dalla difesa
reclamata) per questi ultimi è previsto un
preciso mezzo di impugnazione, indicato
dall’ultimo comma dell’art. 709 c.p.c. che
prevede il reclamo avverso detti provvedimenti con i “mezzi ordinari”, ovvero secondo le modalità previste per i provvedimenti
cautelari.
La Corte ha da ultimo sollevato un ulteriore,
e possibile, problema in ordine alla modifica
dei provvedimenti del giudice istruttore in
quanto ha osservato che “ulteriormente, da
tanto deve trarsi che, pur essendo stata elisa
la previsione dell’originario quarto comma
dell’art. 708 c.p.c., comunque la vigenza di
tale previsione debba ricavarsi dal disposto
dell’art. 669 decies c.p.c., sì che non si fondi su un quid novi; (quantomeno la miglior
conoscenza di circostanze preesistenti)
rispetto a quanto prospettato al Presidente,
giacchè diversamente la cognizione della
Corte e del G. I. in prima battuta sarebbero
sovrapponibili, e si finirebbe per consentire
avverso un provvedimento una duplice
modalità di reazione, con sostanziale inutilità del reclamo, il cui effetto potrebbe essere sempre vanificato dalla successiva decisione del G. I. sulla scorta della medesima
situazione fattuale”.
È da tenere presente che la possibilità della
“duplice modalità di reazione” ai provvedimenti emessi durante un procedimento di
separazione (il reclamo ex art. 708 u. c.
c.p.c. e la richiesta di modifica dei provvedimenti al giudice istruttore) sarà certamente
fonte di problemi in quanto per tale eventuale sovrapposizione la riforma non ha previsto
rimedio alcuno (come osservato anche dalla
stessa Corte che ha rilevato che “la lettera
assai poco perspicua della novella 54 / 2006
non ha certo contribuito a risolvere” la questione), come del resto accade quando le
riforme vengono introdotte in modo non
organico.
* avvocato in Genova
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
LA RICERCA SULL’AFFIDAMENTO E IL
MANTENIMENTO DEI FIGLI CONDOTTA DALL’AIAF
LOMBARDIA PRESSO I TRIBUNALI DELLA LOMBARDIA.
L’AIAF Lombardia ha effettuato una ricerca presso i tribunali delle due sedi distrettuali, per rilevare l’orientamento
giurisprudenziale in merito all’affidamento condiviso, alla sua pratica applicazione e regolamentazione, all’ascolto
dei figli, al mantenimento e alle modalità di corresponsione, i cui risultati sono sinteticamente riportati nelle tabelle
pubblicate in questo numero.
Al termine della ricerca si è tenuto, a Milano il 16 ottobre 2006, un incontro di studio organizzato dall’AIAF Lombardia che è stato strutturato in tre gruppi di discussione, coordinati da un gruppo di avvocati, magistrati e docenti
universitari.
La discussione si è sviluppata sull’esame delle prassi locali e su casi pratici, di cui riportiamo brevi sunti.
GLI ORIENTAMENTI DEI TRIBUNALI DELLA LOMBARDIA SULLA LEGGE 54/06
Milano, 20 ottobre 2006
SCHEDE DI RACCOLTA DATI
1. AFFIDAMENTO CONDIVISO ED ESCLUSIVO. AFFIDAMENTO EX ART. 330 C.C.
ESERCIZIO DELLA POTESTÀ CONGIUNTO E DISGIUNTO
A. SEPARAZIONE CONSENSUALE
L’accordo dei coniugi sulle condizioni di affidamento è determinante, anche se si è scelto l’affidamento esclusivo:
SI
NO
MILANO B. ARSIZIO
x
x
COMO
x
LECCO
x
MONZA
x
PAVIA
x
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
Il Presidente davanti ad un accordo di affidamento esclusivo:
MILANO B. ARSIZIO
espone quanto previsto dalla
x
x
l. 54-06 e consiglia l’affidamento
ad entrambi i genitori
espone quanto previsto dalla
l. 54-06 e di fronte alla conferma
dei genitori sulla scelta
dell’affidamento esclusivo dispone
un rinvio per sentire i figli
o rinvia in quanto consiglia ai coniugi
la mediazione familiare
recepisce l’accordo senza
entrare nel merito (salvo contro
interessi per il minore)
espone quanto previsto dalla legge
54-06 e impone l’affidamento ad entrambi i genitori
COMO
LECCO
MONZA
x
PAVIA
x
(se abbastanza grandi)
x
x
x
x
x
x
x
61
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
AIAF RIVISTA 3/2006
B. SEPARAZIONE CONTENZIOSA
Il Giudice (Presidente o G.I.) dispone l’affidamento a entrambi i genitori:
MILANO B. ARSIZIO
sempre (tranne i casi limite di evidente
x
x
comportamento pregiudizievole di un
genitore verso il figlio), anche nel caso
in cui entrambi i genitori hanno chiesto
l’affidamento esclusivo e sono in conflitto
sempre (tranne i casi limite di evidente
comportamento pregiudiziale di un
genitore verso il figlio), se vi è la
domanda di affidamento condiviso
di almeno un genitore
solo se non c’è conflittualità tra i genitori
COMO
x
LECCO
x
MONZA
PAVIA
x
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
x
Se il Giudice dispone l’affidamento ad entrambi i genitori, che sono in conflitto:
consiglia loro di rivolgersi ad un
centro di mediazione familiare
dispone un controllo della situazione
da parte dei servizi sociali territoriali
MILANO B. ARSIZIO
x
COMO
x
LECCO
MONZA
x
PAVIA
VARESE
x
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x (seppure
x
non sempre e non
necessariamente)
Se il Giudice dispone l’affidamento a entrambi i genitori, colloca il figlio:
MILANO B. ARSIZIO
permanentemente presso un genitore,
x
x
disponendo le modalità di
frequentazione con l’altro genitore
in via alternata, a metà tempo con
x
l’uno e l’altro genitore:
Se vi è richiesta in tal senso
x (solo in
x
dei genitori
questo caso)
O se il figlio ha un’età di........
COMO
x
LECCO
x
MONZA
x
PAVIA
x
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
x
5 anni
Il Giudice (Presidente o G.I.) dispone l’affidamento esclusivo:
MILANO B. ARSIZIO COMO
LECCO
in caso di evidente comportamento
x
x
x
pregiudizievole di un genitore verso il figlio
quando i genitori sono in conflitto
x (il presid.)
altro
i G.I. hanno
diverso comportamento
MONZA
x
PAVIA
VARESE
x
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
In caso di affidamento ad entrambi con collocamento presso un genitore, e di affidamento esclusivo, la
frequentazione del figlio con il genitore non convivente o non affidatario è di regola così regolamentata
dal Giudice:
a) week end alternati
dal venerdi pomeriggio alla domenica
sera, con prelievo e rientro dalla casa
del genitore collocatario
dal venerdi pomeriggio o sabato
mattina con prelievo dalla scuola al
lunedi mattina con rientro a scuola
62
MILANO B. ARSIZIO
x
x
COMO
x
LECCO
x
MONZA
x
PAVIA
x
x
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x (dipende
x
x
dai singoli
casi)
x
x
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
b) durante la settimana coincidente con il proprio week end:
MILANO B. ARSIZIO
1 pomeriggio senza pernottamento
x
1 pomeriggio con pernottamento e
riaccompagnamento a scuola la
mattina successiva
2 pomeriggi senza pernottamento
x
2 pomeriggi, uno con pernottamento e
l’altro senza
2 pomeriggi con pernottamento e
riaccompagnamento a scuola la mattina suc.
Altro
COMO
x
LECCO
x
MONZA
x
PAVIA
VARESE
x
1 / 2 pomeriggi
senza
pernottamento
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
dipende
della richiesta
del Collega
variabile a seconda
c) durante la settimana non coincidente con il proprio week end:
MILANO B. ARSIZIO
1 pomeriggio senza pernottamento
1 pomeriggio con pernottamento e
riaccompagnamento a scuola la
mattina successiva
2 pomeriggi senza pernottamento
x
2 pomeriggi, uno con pernottamento
e l’altro senza
2 pomeriggi con pernottamento e
riaccompagnamento a scuola la mattina successiva
x
altro
COMO
LECCO
x
x
MONZA
X
x
PAVIA
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
dipende
variabile
d) vacanze di Pasqua, di carnevale e ponti, alternativamente ogni anno con l’uno e l’altro genitore:
MILANO B. ARSIZIO COMO
LECCO
MONZA
si
x
x
x
x
x
no
* all’interno della stessa festività, si suddivideNatale e S.Stefano, Pasqua e festa dell’Angelo
PAVIA
x
VARESE
x*
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
e) durante le vacanze estive:
MILANO B. ARSIZIO
non si determina il periodo, e si lascia
all’accordo dei genitori
si dividono a metà le vacanze dei figli
con i due genitori
si determina un periodo di 15 giorni
x
x
consecutivi con il genitore non
collocatario o non affidatario
o 1 mese consecutivo con il genitore
x
non collocatario o non affidatario
altro
anche 30 gg
non consecutivi
COMO
LECCO
MONZA
x
x
x
x
PAVIA
x
generalmente il padre
tiene il figlio 2/3 sett.
oppure si divide a metà
la vacanza estiva
x
dipende
x
x
un mese non
consecutivo
f) durante le vacanze invernali:
non si determina il periodo, e si lascia
all’accordo dei genitori
si dividono a metà le vacanze dei figli
con i due genitori, senza indicare le date
si indicano i due periodi dal 24.12
al 30.12 e dal 31.12 al 6.1
MILANO B. ARSIZIO
COMO
LECCO
MONZA
PAVIA
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
63
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
AIAF RIVISTA 3/2006
g) Nella regolamentazione si tiene conto dell’età dei figli, e:
il pernottamento è disposto
dall’età di:
MILANO B. ARSIZIO COMO
LECCO
non esiste qualunque
no,
non esiste
regola fissa previo raramente regola
accordo dei
fissa
genitori
MONZA
3 anni
PAVIA
VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
2 anni 1 / 2 anni 4 o 6 anni 3/4 anni Oltre 3 anni
(salvo casi specifici
in cui il minore può
avere età inferiore)
MONZA
x
PAVIA
x
VARESE
fino a tre anni:
MILANO B. ARSIZIO
la frequentazione con il genitore non
convivente è ridotta e senza pernottamenti
la frequentazione con il genitore
non convivente è ridotta ma vi sono
dei pernottamenti
la frequentazione con il genitore
non convivente è incrementata,
ma senza pernottamenti
la frequentazione con il genitore
x
x
non convivente è incrementata,
anche con pernottamenti
COMO
LECCO
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
nell’età preadolescenziale e adolescenziale, fino alla maggiore età:
il Giudice dispone la frequentazione con il genitore non convivente dopo aver sentito il figlio
MILANO B. ARSIZIO
si
no
x
x
COMO
x
LECCO
x
MONZA
x
PAVIA
VARESE
x
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
il Giudice nel provvedimento precisa che devono essere rispettati i desideri del figlio
MILANO B. ARSIZIO
x
si
si, ma solo dopo l’età di
no
note
COMO
LECCO
x
MONZA
x
PAVIA
x
se ci sono
problemi si,
altrimenti no
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
12/13 anni
14 anni,
prima viene previsto che siano rispettati
gli impegni scolastici /ludici)
2. MANTENIMENTO DEI FIGLI. ASSEGNO PERIODICO E MANTENIMENTO DIRETTO.
SPESE ORDINARIE E SPESE STRAORDINARIE.
Il contributo al mantenimento è disposto d’ufficio dal Presidente o dal G.I.:
in via diretta:
sempre, in ogni caso
quando ne fanno richiesta i due genitori
quando ne fa richiesta il genitore
non convivente
MILANO B. ARSIZIO
x
COMO
x
LECCO
MONZA
x
x
PAVIA
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
quando è disposto il mantenimento in via diretta:
si lascia ai genitori di liberamente
provvedere ai bisogni del figlio,
si precisano i capitoli di spese che
spettano all’uno e all’altro genitore
64
MILANO B. ARSIZIO
x
COMO
LECCO
x
MONZA
x
PAVIA
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
mediante corresponsione di assegno mensile e la suddivisione al 50% delle spese scolastiche, di salute,
e straordinarie:
sempre, in ogni caso
quando ne fanno richiesta i due genitori
quando ne fa richiesta il genitore
affidatario o collocatario
altro
MILANO B. ARSIZIO
x
COMO
LECCO
x
MONZA
x
PAVIA
x
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
solo
straordinario
mediante corresponsione di assegno mensile, comprensivo di ogni altra spesa
MILANO B. ARSIZIO COMO
LECCO
sempre, in ogni caso
quando ne fanno richiesta i due genitori
quando...
ipotesi che,
a discrezione
di solito,
del Giudice
viene adottata
in corso di causa
MONZA
PAVIA
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
solo con l’accordo
dei genitori
con la forma mista dell’assegno periodico e del mantenimento diretto, disponendo un assegno periodico e la ripartizione tra i genitori per capitoli di spesa cui provvedere al 100% (spese scolastiche, mediche, straordinarie, etc.
quando ne fanno richiesta i due genitori
altro
MILANO B. ARSIZIO
COMO
LECCO
solo se le parti
lo richiedono e
vi è accordo anche
sul quantum
MONZA
sempre,
in ogni caso
PAVIA
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
altre modalità
omnicomprensivo
fisso
Il contributo al mantenimento è quantificato sulla base:
delle dichiarazioni dei redditi prodotte
del tenore di vita dei coniugi
altro
MILANO B. ARSIZIO
x
x
x (quale
emerge all’esito
dell’istruttoria,
il contributo
è quantificato
in sentenza)
COMO
x
LECCO
x
x
documentazione
prodotta
MONZA
PAVIA
x
x
(ultimi 3 anni)
x
VARESE
x
x
informazioni
assunte dai coniugi
e indagini bancarie
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
se prodotti
la produzione delle dichiarazione dei redditi è richiesta con riferimento agli ultimi tre anni nel decreto
presidenziale che fissa l’udienza di comparizione
si
no
MILANO B. ARSIZIO
x (problema:
x
in alcuni casi,
le parti non
producono,
neppure in corso
di causa, le dich.)
COMO
LECCO
x
x
MONZA
x
PAVIA
x
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x x il presidente
ritiene che la
richiesta di
produzione sia
implicita con
l’invito a costituirsi
con memoria
e documenti
x
65
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
AIAF RIVISTA 3/2006
d) se le parti non producono le dichiarazioni dei redditi richieste:
MILANO B. ARSIZIO
si dispone un rinvio con termine
per la produzione
si assume un provvedimento sulla
x (salvo
x
base degli elementi raccolti in udienza modifica)
nell’ipotesi di soggetto disoccupato
x
si procede ugualmente alla determinazione del contributo per il figlio
in tale ultimo caso nella misura
minima di euro
COMO
LECCO
MONZA
PAVIA
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
200
compatibile
comunque 150/200
x
170/180
e) se la parte non produce la dichiarazione dei redditi o se le dichiarazioni sono palesemente difformi
dal tenore di vita della famiglia:
MILANO B. ARSIZIO COMO
LECCO
MONZA
PAVIA
VARESE BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
si attiva d’ufficio la Polizia Tributaria
x
x
per gli accertamenti
si attiva la Polizia Tributaria solo su
x
x
x
x
x
x
x
istanza della parte
Commenti:
*
CTU
NO
* è molto frequente la richiesta delle parti, quindi non viene mai disposta d’ufficio; peraltro, non sempre viene accolta richiesta della/e parte/i. In ogni caso evidenzia il Presidente
che, molto spesso, le indagini della Polizia Tributaria si rivelano inutili
3. L’ASCOLTO DEL MINORE E L’ACCERTAMENTO DELLE CAPACITÀ GENITORIALI. LA
CONSULENZA TECNICA D’UFFICIO. LA MEDIAZIONE FAMILIARE. L’INTERVENTO DEI
SERVIZI SOCIALI.
a) I minori sono ascoltati direttamente dal Giudice (Presidente o G.I.):
sempre, anche se non vi è richiesta
del genitore
spesso, quando:
- vi è richiesta del genitore
- vi sono motivi gravi
(intervento servizi, T.M., etc.)
- vi è conflittualità tra i genitori
raramente, quando:
- vi sono motivi gravi
(intervento servizi, T.M., etc.)
- vi è conflittualità tra i genitori
altro
mai
MILANO B. ARSIZIO
COMO
x
x
LECCO
MONZA
PAVIA
x
x
x
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
x
x
x
x
x
su richiesta anche
di un solo genitore
x
x
b) Il Giudice sente direttamente i minori:
MILANO B. ARSIZIO COMO
LECCO
da solo
x
solo con l’assistenza di un cancelliere
x
x
solo con l’assistenza di un esperto
x
(psicologo)
con la presenza dei difensori
no
x
con la presenza delle parti e dei difensori no
x
altro
senza possibilità
per i difensori
di parlare
MONZA
x
PAVIA
VARESE
x
no
no
x
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
no
no
no
no
no
no
no
no
Il Giudice sente direttamente i minori:
nella sua stanza
in un’aula attrezzata con
registratore e videocamera
66
MILANO B. ARSIZIO
x
COMO
x
LECCO
MONZA
x
PAVIA
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
c) Il Giudice delega l’ascolto del minore
MILANO B. ARSIZIO
x (se disposta x
CTU, il Giudice
non lo sente)
ai servizi psicosociali dell’ASL
x
ai servizi sociali del Comune
x
a operatori di Centri privati specializzati
x
al CTU
COMO
LECCO
MONZA
x
PAVIA
VARESE
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
d) Il Giudice dispone la CTU per l’affidamento del minore (o la sua frequentazione), quando:
MILANO B. ARSIZIO COMO
LECCO
MONZA
PAVIA
VARESE
vi è conflittualità tra i genitori,
x
x
e vi è richiesta di parte
vi è conflittualità tra i genitori,
x
x
x
x
anche se non c’è richiesta di parte
anche se non vi è conflittualità nè
x
richiesta di parte, per meglio decidere
* nel senso che entrambe le parti chiedono l’affidamento esclusivo, denunciando inidoneità genitoriale dell’altro genitore
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
e) Il Giudice delega al CTU:
MILANO B. ARSIZIO COMO
l’indagine sulle capacità genitoriali
x
x
x
l’indagine sulla personalità dei genitori
x
x
test sui genitori
x
x
test sui figli
x
x
altro
*
* il CTU decide se sottoporre le parti (solo i genitori, MAI i minori) a i test
LECCO
x
x
x
x
MONZA
x
x
x
x
PAVIA
x
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
x
x
x
x
x
f) Il Giudice dispone l’indagine dei servizi sociali del Comune
quando:
MILANO
si devono disciplinare i rapporti
con il genitore non collocatario/
affidatario e si deve verificare
la situazione complessiva del/i minore/i
MONZA
gravi problematiche
B. ARSIZIO
nell’ipotesi di problemi socioeconomici/intervento pregresso T.M.
o dei servizi
COMO
la fam. risulta già seguita dai S.S.
o in caso di indigenza
PAVIA
VARESE
in caso di rischio, almeno
apparente, per il minore
MANTOVA
d’ufficio se vi è conflittualità o se richiesta di parte
BERGAMO
i genitori versano in uno stato di indigenza
LECCO
BRESCIA
CREMONA
g) Il Giudice dispone l’intervento dei servizi psico-sociali dell’ASL con sostegno psicologico ai genitori
quando:
MILANO
l’esigenza viene segnalata dai S.S.
LECCO
iIn caso di violenze sessuali
o abusi o rifiuto di un genitore a
consentire i rapp. del figlio con l’altro
BRESCIA
B. ARSIZIO
nell’ipotesi di problemi socio-economici/
intervento pregresso T.M. o dei servizi
MONZA
PAVIA
vi è la necessità di specifici e
specialistici interventi di sostegno
BERGAMO
COMO
VARESE
in caso di rischio, almeno
apparente, per il minore
MANTOVA
CREMONA
h) Il Giudice sollecita i genitori a rivolgersi ad un centro di mediazione familiare:
MILANO B. ARSIZIO
in sede presidenziale, prima di
x
assumere i provvedimenti
in sede presidenziale, dopo aver
x
assunto i provvedimenti
in fase istruttoria
x
x
altro
quando c’è conflittualità tra i genitori
x
x
anche quando non c’è conflittualità,
per meglio sviluppare la loro collaborazione
COMO
LECCO
MONZA
PAVIA
VARESE
x
BRESCIA BERGAMO MANTOVA CREMONA
x
no
non sollecitano
x
x
x
x
x
x
x
x
67
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
AIAF RIVISTA 3/2006
Si riportano di seguito i sunti riepilogativi dei lavori di gruppo, che evidenziano le questioni più importanti discusse
tra i Colleghi esaminando le prassi dei diversi Tribunali.
Per quanto riguarda l’affidamento condiviso e la sua applicazione, si rinvia alla lettura dell’articolo di M. Pini, L.
54/06. L’orientamento della giurisprudenza nel primo anno di applicazione, in questo numero della Rivista.
GLI ORIENTAMENTI DEI TRIBUNALI DELLA LOMBARDIA
SUNTI RIEPILOGATIVI DEI LAVORI DI GRUPPO.
1. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI.
ASSEGNO PERIODICO E MANTENIMENTO DIRETTO.
SPESE ORDINARIE E SPESE STRAORDINARIE.
MIRELLA QUATTRONE
(AVVOCATO IN COMO)
Il contributo al mantenimento previsto dalla maggior parte dei Presidenti dei tribunali della Lombardia è ancora disposto con la corresponsione di una somma mensile alla quale vengono
aggiunte le spese di istruzione, salute, educazione, che ancora vengono spesso indicate come
“straordinarie”. È emersa la necessità di evitare indicazioni generiche tipo “spese straordinarie
“ che ingenerano confusione e ulteriore contenzioso tra i genitori sulla qualificazione di “spesa
straordinaria”.
Solo su richiesta delle parti, e quindi se vi è l’accordo, viene disposto il mantenimento in forma diretta.
Per quanto riguarda la determinazione dell’assegno periodico a titolo di contributo al mantenimento dei figli, è emersa la necessità di tenere in maggiore considerazione i redditi dei genitori e l’entità dei loro patrimoni, ma soprattutto si è rilevata la necessità di elencare nel modo più
analitico possibile le spese che i genitori dovranno ripartire - in proporzione ai loro redditi - e
quindi non sempre al 50% ciascuno, indicando in particolare le spese per:
- l’assistenza (baby- sitter in assenza dei genitori per motivi di lavoro, rette nido e o scuola
materna),
- l’istruzione (tasse, rette, libri, cancelleria, gite scolastiche, eventuali ripetizioni, dopo scuola)
- la salute (ticket anche per le medicine, visite specialistiche, dentistiche, etc.)
- l’educazione (corsi sportivi con relativa attrezzatura, corsi culturali, vacanze studio)
- l’assistenza durante l’estate in assenza dei genitori (grest, centri estivi, vacanze che i figli
faranno da soli)
- mancia settimanale
- costo patente, acquisto e manutenzione di mezzo (motorino e o auto)
Nell’ottica dell’applicazione dell’affidamento ad entrambi i genitori potrebbe essere omessa la
dicitura, “previo accordo di entrambi i genitori”, in quanto l’accordo è sottointeso; sarà il genitore che eventualmente non è d’accordo a dover prendere le iniziative del caso.
In merito al mantenimento del figlio maggiorenne non autonomo, si ribadisce la preferenza che
l’assegno venga erogato al genitore convivente che anticipa le spese di mantenimento dello stesso figlio. Si ritiene che il versamento diretto dell’assegno al figlio debba essere disposto solo nel
caso in cui il figlio maggiorenne non conviva più con il genitore presso il quale era collocato.
Una soluzione intermedia potrebbe consistere nella corresponsione dell’assegno per una parte
al genitore convivente, per le spese correnti quali alimenti, concorso spese casa etc., e altra parte direttamente al figlio, per abbigliamento e spese varie.
Per quanto riguarda la produzione in giudizio delle dichiarazioni dei redditi, la nuova normativa
viene rispettata dalla parte ricorrente, in quanto le cancellerie di quasi tutti i Tribunali della Lombardia non accettano i ricorsi se non viene prodotta la documentazione fiscale degli ultimi tre anni.
Minore attenzione viene prestata dai Presidenti nei confronti del convenuto; spesso i provvedimenti presidenziali vengono assunti anche se il convenuto non ha prodotto le sue dichiarazio-
68
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
ni dei redditi, e si ritiene sufficiente la sua dichiarazione verbale resa in udienza.
Si ritiene necessario che in caso di mancata produzione della dichiarazione dei redditi da parte del convenuto, il Presidente si riservi di emettere i provvedimenti ex art. 708 cpc, concedendo un termine intermedio per la produzione di tale documentazione. Si auspica inoltre che
venga fatta sottoscrivere in udienza una dichiarazione sostitutiva di atto notorio circa il reddito
percepito, ai fini dell’eventuale punibilità per dichiarazione mendace.
L’utilizzo degli accertamenti a mezzo della Polizia Tributaria è poco utilizzato. Si auspica, proprio perchè consapevoli delle difficoltà della Polizia Tributaria a redigere relazioni contenenti
elementi utili, che diversa collaborazione venga stretta tra i Tribunali e gli Uffici Imposte Locali - Polizia Tributaria Amministrativa - che più agevolmente possono dare dati e notizie utili e
qualificate in merito ai redditi.
2. L’ASCOLTO DEL MINORE E L’ACCERTAMENTO
DELLE CAPACITÀ GENITORIALI. LA CONSULENZA
TECNICA D’UFFICIO. LA MEDIAZIONE FAMILIARE.
L’INTERVENTO DEI SERVIZI SOCIALI.
FRANCA ALESSIO
(AVVOCATO IN LECCO)
In tema di ascolto del minore si registra una prassi pressoché unanime dei tribunali della Lombardia di non sentire i minori nei procedimenti di separazione consensuale o nei procedimenti
contenziosi laddove non si riscontri una conflittualità dei genitori sull’affidamento o i tempi di
presenza del figlio presso l’uno o l’altro.
Avanti il Tribunale di Monza i minori vengono ascoltati in caso di conflittualità dei genitori in
ordine al loro affidamento o al loro collocamento; l’ascolto viene eseguito dal Presidente o dal
Giudice Istruttore, senza la presenza dei genitori e senza la presenza dei difensori.
Quanto all’età, può essere ascoltato anche un minore di anni 12; in un caso particolare un giudice ha disposto l’ascolto di un bambino di 4 anni, alla presenza di uno psicologo, nominato
ausiliario del giudice.
In alcuni casi viene disposta consulenza tecnica d’ufficio e al consulente viene affidato anche
l’incarico di ascoltare i minori; in caso di conflittualità, la consulenza tecnica viene disposta
anche senza la richiesta di parte e al consulente viene conferito l’incarico di indagare sulle
capacità genitoriali.
Quanto all’intervento dei servizi sociali, di solito viene disposto quando già i servizi sociali sono
stati incaricati dal Tribunale per i Minorenni o dal Giudice Tutelare e in ogni caso solo in presenza di problemi di particolare gravità (assoluto rifiuto dei figli di vedere uno dei genitori, maltrattamenti, percosse, abusi); alcuni giudici hanno un rapporto diretto con i servizi sociali, ritenendo che il Tribunale ordinario abbia gli stessi poteri del Tribunale per i Minorenni e l’incarico al consulente viene dato in funzione “terapeutica”.
Il Presidente del Tribunale di B. ARSIZIO di prassi non dispone l’ascolto del minore, se non per
comprovati motivi, ma nomina un consulente tecnico d’ufficio, anche se non vi è richiesta di
parte. Quanto all’intervento dell’ASL, anche in questo Tribunale viene disposto solo se già vi è
stato un decreto del Tribunale per i Minorenni, che viene in generale confermato, demandando
all’ASL o ai Servizi Sociali territorialmente competenti di compiere una sorta di vigilanza.
L’incarico al Consulente tecnico d’ufficio viene formulato in modo molto ampio, comprendendo
l’indagine sulle capacità genitoriali, l’indagine sulla personalità dei genitori, test sui genitori e sui
figli e quesiti analoghi vengono formulati dai Tribunali di Como, Lecco, Monza, Bergamo.
Avanti il Tribunale di Mantova i minori vengono sentiti quando vi è la richiesta di parte; il Presidente sente il minore da solo con l’assistenza del cancelliere, senza le parti e senza i difensori, così come a Brescia, Bergamo e Cremona.
69
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
AIAF RIVISTA 3/2006
La prassi del Tribunale per i Minorenni di Brescia prevede l’ascolto dei minori, da soli, senza le
parti, né i difensori, ma a volte il magistrato delega l’ascolto a un consulente tecnico d’ufficio.
Il Presidente del Tribunale ordinario di prassi non ascolta i minori, perché ritiene l’ambiente giudiziario incompatibile, ma dispone consulenza tecnica d’ufficio di tipo sistemico. Se una delle
parti propone di attivare un percorso di mediazione familiare, sostiene la proposta, ma non la
impone. Il Tribunale per i Minorenni ha stipulato un accordo con il servizio pubblico di mediazione e il ricorso alla mediazione familiare è più frequente rispetto al Tribunale ordinario.
Quanto all’età del minore di cui viene disposto l’ascolto, al Tribunale per i Minorenni vengono
ascoltati anche minori di anni 12, mentre al Tribunale ordinario, di prassi, gli ultra dodicenni.
Avanti il Tribunale di Como, nelle udienze presidenziali il minore non viene mai ascoltato dal
Presidente. Solo nella successiva fase avanti il Giudice istruttore, se necessario, si procede all’ascolto del minore avvalendosi di un ausiliario o si dispone consulenza tecnica d’ufficio affidando al consulente l’incarico di raggiungere una mediazione o un accordo sulle condizioni, per
esempio inserendo nel quesito, al fine di attenuare la conflittualità, la predisposizione di un
calendario di incontri.
Secondo i Giudici del Tribunale di Como, il magistrato solo trasversalmente si deve occupare
dei minori, perché è necessario avere il massimo scrupolo in ordine alla presenza di un contesto neutro, quindi l’audizione viene disposta alla presenza di un consulente o direttamente affidata a un consulente tecnico d’ufficio.
Al Tribunale per i Minorenni di Milano, l’ascolto del minore viene fatto direttamente dal Giudice, dopo uno o più incontri preliminari con i genitori e con i legali per isolare i temi sui quali il minore deve essere sentito; se l’istruttoria è delegata a un Giudice onorario, provvede questi all’ascolto; i minori di 12 anni o più vengono sempre ascoltati.
All’ascolto del minore viene dedicato molto tempo, anche perché spesso il minore chiede che
alcune delle cose dette non vengano riferite e quindi non riportate a verbale, verbale che, in
ogni caso, viene fatto sottoscrivere al minore.
In alcuni casi specifici e quando si tratta di un possibile grave pregiudizio recato al minore, l’audizione si svolge con la collaborazione dell’ASL e viene video registrato il colloquio; spesso, piuttosto che nominare un consulente tecnico d’ufficio, viene affidato l’incarico ai servizi sociali.
Al Tribunale ordinario di Milano, si procede spesso all’ascolto del minore, quando vi è richiesta di uno dei genitori o di entrambi, che rivendicano l’affidamento esclusivo, denunciando l’inidoneità dell’altro genitore; il minore può venire sentito da solo dal giudice, o con l’assistenza di un cancelliere o di un esperto ausiliario del Giudice, a meno che non si ritenga di disporre C.T.U. al fine di condurre un’indagine sulle capacità genitoriali.
Può essere conferito un incarico ai Servizi Sociali per una indagine sulla situazione familiare e
dei minori o quando si deve procedere a incontri protetti in luogo neutro. Nel caso sia necessario un sostegno psicologico terapeutico per
il minore o i genitori, l’incarico viene conferito alla ASL o al CPS della zona di residenza.
Il Presidente del Tribunale di Lecco procede
spesso all’ascolto dei minori, su richiesta di
una delle parti, senza la presenza dei genitori e dei loro difensori, dopo averli ascoltati
all’inizio dell’udienza; riassume poi alle parti
e ai difensori il contenuto delle dichiarazioni
e il cancelliere verbalizza in modo sintetico le
dichiarazioni del minore. Raramente invece i
minori vengono ascoltati dal Giudice Istruttore, che preferisce nominare un consulente
tecnico d’ufficio per condurre l’indagine sulle
capacità genitoriali, sulla personalità dei
genitori, con possibilità di sottoporre a test sia
i genitori, che i figli minori.
L’intervento dei servizi sociali viene disposto
quando è già intervenuto il Tribunale per i
Minorenni o il Giudice Tutelare, di norma per
regolamentare gli incontri con il genitore non
70
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
affidatario/collocatario.
Raramente viene sollecitato il ricorso a centri di mediazione familiare, anche se spesso la consulenza viene affidata a psicologi, che sono anche mediatori familiari.
A Cremona, come a Crema, il Presidente procede raramente all’ascolto dei minori di almeno
12 anni, e solo in caso di elevata conflittualità tra i genitori; l’ascolto avviene alla presenza del
cancelliere, senza genitori, né difensori; non delega mai l’ascolto ai servizi sociali, a meno che
siano già stati coinvolti.
Al Tribunale di Varese, dopo l’entrata in vigore della riforma, viene disposto dal Presidente l’ascolto del minore, nella sua stanza, con l’assistenza del cancelliere; solo in casi eccezionali di
estrema conflittualità l’ascolto viene delegato a un consulente tecnico d’ufficio e raramente ai
servizi sociali; in ogni caso è diminuito il ricorso alla consulenza tecnica d’ufficio.
Il Giudice suggerisce di avviare un percorso di mediazione familiare solo sull’accordo degli
avvocati e in situazioni molto compromesse, ossia quando la situazione non trova adeguata
risposta in ambito giudiziario.
Al gruppo di lavoro sull’“ascolto del minore” erano presenti alcuni psicologi che hanno espresso una posizione critica in merito all’ascolto del minore da parte del magistrato, sostenendo che,
se l’ascolto è volto a stabilire il benessere del bambino, è molto difficile che possa essere fatto
da un magistrato. Hanno posto in evidenza come il bambino possa essere strumentalizzato, rendendo quindi inutile il suo ascolto, perché quello che dice potrebbe non essere attendibile.
Si è detto che vanno invece preferiti modelli di consulenza tecnica sistemica, che non è centrata sul conflitto, ma sulle tre generazioni coinvolte; il quesito è aperto e si tende a verificare
cosa il bambino ha interiorizzato del genitore.
Si è anche evidenziato come il codice deontologico degli psicologi vieti di sentire un minore,
se non con l’espresso consenso di entrambi i genitori e ci si è quindi domandati se non sia
opportuno che il codice deontologico degli avvocati specializzati in diritto di famiglia inserisca
una norma analoga.
In conclusione, nonostante la legge 54/06 preveda che “Il giudice dispone l’audizione del figlio
minore” e sembri introdurre un obbligo di audizione, secondo il gruppo di lavoro si deve procedere all’audizione solo se necessario, omettendola in tutti quei casi in cui non porterebbe
alcuna utilità ai fini del provvedimento da adottare.
Si auspica che l’ascolto del minore da parte del magistrato avvenga in idoneo ambiente, possibilmente al di fuori dell’orario delle udienze comuni, per non creare tensioni e difficoltà al
minore. Non deve essere consentita la presenza dei genitori e dei rispettivi difensori, né di consulenti di parte. Il magistrato può essere coadiuvato da uno psicologo, o altro esperto, quale suo
ausiliario. A seconda dei casi il magistrato potrà procedere alla redazione di un verbale che il
minore sottoscriverà, oppure potrà riassumere oralmente l’esito dell’ascolto ai genitori e ai
rispettivi difensori in un secondo momento, quando il minore avrà lasciato l’aula. Si auspica che
possano presto essere reperiti idonei spazi all’interno degli uffici giudiziari dove svolgere con
serenità tali adempimenti.
Quanto allo strumento della mediazione familiare, si rileva che manca ancora, da parte di magistrati e avvocati, un’appropriata conoscenza delle modalità di svolgimento e delle finalità della
mediazione familiare, e spesso si fa confusione tra consulenza tecnica d’ufficio, terapia psicologica e mediazione familiare. La confusione è accentuata dal fatto che non esiste ancora un
albo dei mediatori familiari e che sul territorio vi sono numerosi centri pubblici e privati che
offrono in contemporanea servizi di mediazione e di terapia, senza la necessaria chiarezza e
autonomia di ruoli e competenze.
71
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE
E SPECIALIZZAZIONE
DDL BERSANI E DDL MASTELLA
DOCUMENTO DELLE ASSOCIAZIONI FORENSI
Il Disegno di legge per la Riforma delle professioni intellettuali (cd ddl Mastella) si propone l’introduzione di una regolamentazione di principio volta al riordino del sistema delle professioni intellettuali complessivamente considerate,
da attuarsi poi ad opera di appositi decreti delegati.
Predispone dunque una cornice entro la quale questi ultimi saranno destinati comunque a “muoversi”.
Questo approccio per così dire “unitario” privilegia la comune essenza delle prestazioni professionali, ovvero essere
le stesse il frutto esclusivo di un sapere intellettuale, piuttosto che gli elementi di specificità di ciascuna, che ne imporrebbero una regolamentazione distinta; elementi di specificità che per la professione forense consistono essenzialmente nell’essere questa un’attività che non solo tutela diritti costituzionalmente garantiti, ma che -unica fra le altresi fa garante delle libertà individuali e dunque della protezione dello stato di diritto.
Tale considerazione avrebbe dovuto determinare il legislatore a dotare la disciplina della professione forense di una
autonoma regolamentazione, che tenesse in specifico conto la “funzione cruciale esercitata dalle professioni legali
in una società democratica, al fine di garantire il rispetto dei diritti fondamentali, lo stato di diritto e la sicurezza nell’applicazione della legge”, così come si legge nel testo della risoluzione del parlamento europeo (p6_ta (2006)0108).
Se pure dunque il governo ha ritenuto prioritaria l’introduzione di una disciplina “di massima”, uniforme per tutti i
prestatori di servizi professionali, resterà comunque imprescindibile, in sede di emanazione dei decreti delegati, tener
conto della specificità della professione legale nel senso sopra enunciato.
È dunque fin d’oggi imprescindibile che la normativa di cornice ponga attenzione alla specificità della professione
forense al fine di non pregiudicarla, coerentemente con la normativa dell’Unione Europea richiamata nella stessa relazione al ddl Mastella, e con la risoluzione del Parlamento Europeo appena citata, la quale, “considerando che qualsiasi riforma delle professioni legali ha conseguenze importanti che vanno al di là delle norme della concorrenza
incidendo nel campo della libertà, della sicurezza e della giustizia e, in modo più ampio, sulla protezione dello stato di diritto nell’unione europea” (…) “evidenzia le alte qualificazioni richieste per accedere alla professione legale,
il bisogno di proteggere tali qualificazioni che caratterizza le professioni legali, nell’interesse dei cittadini europei e
il bisogno di creare una relazione specifica basata sulla fiducia tra i membri delle professioni legali e i loro clienti”;
ribadendo inoltre “…l’importanza delle norme necessarie ad assicurare l’indipendenza, la competenza, l’integrità e
la responsabilità dei membri delle professioni legali, con lo scopo di garantire la qualità dei loro servizi, a beneficio
dei loro clienti e della società in generale, e per salvaguardare l’interesse pubblico”.
La qualità della prestazione professionale assume dunque, per le professioni legali, una valenza che travalica il semplice interesse del cittadino ad una prestazione adeguata, per farsi condizione imprescindibile dell’attuazione di valori costituzionali di rango prioritario e della stessa esistenza di una società democratica.
Il ddl Mastella riconosce tali esigenze di qualità: la stessa relazione che accompagna il testo di legge, infatti, indica
già in premessa che l’essenza del servizio professionale è costituita dall’apporto di cultura e saperi specialistici, da
conoscenze tecniche, da capacità dell’intelletto e dell’ingegno.
In linea con tale premessa la relazione individua, quale obiettivo del disegno riformatore, il conseguimento di una
maggiore “qualità” del servizio professionale e rimette agli ordini ed alle associazioni professionali la cura della qualificazione e dell’aggiornamento dei propri iscritti ed il controllo della qualità dell’offerta.
In particolare, la relazione riconosce alle Associazioni Professionali il compito di garantire ai cittadini una prestazione altamente qualificata e specialistica: si legge infatti che “l’obiettivo di tali associazioni è soprattutto quello di dare
evidenza pubblica ai requisiti professionali dei propri iscritti” e che proprio per tale motivo, ad esse (la cui registrazione in “un apposito registro ministeriale” è subordinata a rigorosi requisiti), competano funzioni “di verifica della
professionalità dei propri associati, di aggiornamento professionale, di adesione a regole deontologiche”, e spetti “la
capacità di rilasciare attestati di competenza”.
La volontà del governo di riformare il sistema delle professioni intellettuali in maniera da garantire una prestazione
di elevata qualità e specializzazione emerge con maggior chiarezza nel testo normativo, il quale tuttavia, forse in
ragione delle stesure succedutesi nel tempo, necessita, proprio al fine di conseguire gli obiettivi dichiarati, di taluni
interventi correttivi.
A titolo esemplificativo: l’art. 8 del ddl, coerentemente con quanto affermato nella relazione, traccia caratteristiche,
requisiti e funzioni delle associazioni professionali riconosciute, ribadendo che le stesse adempiono alla funzione di
“dare evidenza ai requisiti professionali degli iscritti, di favorire la selezione qualitativa e la tutela dell’utenza” e che
pertanto devono essere dotate “di una struttura organizzativa, e tecnico-scientifica adeguata all’effettivo raggiungimento delle finalità dell’associazione, e in particolare i livelli di qualificazione professionale, la costante verifica di
72
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
professionalità per gli iscritti e l’effettiva applicazione del codice etico”.
Non si comprende allora perché sia sottratto alle medesime, con riferimento alle attività riservate di cui all’articolo 2
comma 1 lettera e), il potere di “rilasciare attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica e le relative specializzazioni”.
Se le attività riservate sono quelle definite dall’art. 2 e dunque “quelle strettamente necessarie per la tutela di diritti
costituzionalmente garantiti”, è di tutta evidenza che, proprio in relazione ad esse deve essere garantito un elevato
livello di formazione specialistica. E solo le associazioni professionali, così come definite dal ddl, possono oggi garantire la effettiva specializzazione della formazione.
A tal fine, anche per chiarire ulteriori ed essenziali punti del Disegno di legge all’esame del Parlamento, le sottoscritte
Associazioni chiedono di essere convocate in audizione presso le Commissioni in seduta congiunta deputate all’esame della riforma.
Roma, 12 gennaio 2007
AGI (Associazione Giuslavoristi Italiani)
AIAF (Associazione Italiana Avvocati per la
Famiglia e i minori)
ANF (Associazione Nazionale Forense)
UNCAT (Associazione Nazionale Camere
Avvocati Tributaristi)
Società Italiana Avvocati Amministrativisti
UCPI - Unione delle Camere Penali Italiane
DOCUMENTO SULLA SPECIALIZZAZIONE FORENSE
Sottoscritto a Roma il 16 novembre 2006 nel corso del convegno dell’UCPI
QUALIFICAZIONE DELL’AVVOCATO: ACCESSO, SPECIALIZZAZIONE,
ALBI DI SPECIALITÀ NELLA NUOVA LEGGE PROFESSIONALE FORENSE
A conclusione della Giornata di Studio su “Qualificazione dell’Avvocato: accesso, specializzazione, albi di specialità nella nuova legge professionale forense”, tenutasi a Roma il 16 novembre 2006 su iniziativa dell’Unione delle
Camere Penali Italiane, è da registrare un’ampia convergenza, definitasi nel corso della discussione.
In un quadro di riferimento generale di disciplina delle professioni intellettuali, con particolare riguardo all’accesso e
alla specializzazione, Ordini e Associazioni devono perseguire obiettivi idonei ad assicurare la qualità delle prestazioni.
Ferma restando, infatti, l’impossibilità di stabilire vincoli all’esercizio professionale e quindi la facoltà per ogni avvocato di esercitare la propria attività in tutti i settori dell’esperienza giuridica, deve però essere garantita al cittadino la
possibilità di scegliere con cognizione di causa un avvocato qualificato e cioè specializzato.
Per tali ragioni, nel quadro delle proposte di legge di riforma dell’ordinamento delle professioni, e in particolare di
quella forense, meritevoli di interesse, i riferimenti alla specializzazione richiedono di essere valorizzati e integrati
con una più analitica disciplina che assicuri l’istituzione di Elenchi di Specialità sulla base di criteri di preparazione
professionale, di superamento di esami di specialità all’interno di uno specifico percorso formativo, teorico e pratico
e che preveda il mantenimento di un aggiornamento permanente verificato ed attestato dalle associazioni professionali forensi riconosciute come maggiormente diffuse.
I sottoscrittori del presente documento per la specializzazione forense auspicano perciò che l’elaborazione legislativa prosegua tenendo conto delle considerazioni sopra sinteticamente esposte.
Avv. Oreste Dominioni (Unione Camere Penali Italiane)
Avv. Mario Fezzi (AGI, Associazione Giuslavoristi Italiani)
Avv. Marina Marino (AIAF, Associazione Italiana Avvocati per la Famiglia e i minori)
Avv. Valter Militi (AIGA)
Sen. Guido Calvi (Ulivo, vicepresidente della commissione Affari costituzionali del Senato)
Sen. Antonino Caruso (An)
Sen. Nicolò Ghedini (Fi)
Sen. Giuseppe Valentino (An)
Avv. Giuliano Pisapia (responsabile Giustizia Prc, e presidente della commissione di riforma del codice penale)
73
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
I
n Francia la specializzazione dell’avvocato e la possibilità di renderla nota
al pubblico è stata introdotta con la
legge n. 71-1130 del 31 dicembre 1971,
che ha demandato al Consiglio nazionale
dei “Barreaux” (Ordini degli Avvocati) la
determinazione delle condizioni generali
per ottenere la “mention de spécialisation”.
La specializzazione è stata successivamente
regolamentata con il decreto n. 91-1197 del
27.11.1991, che prevede:
- un elenco di specializzazioni (disposto dal
Ministro della Giustizia su proposta del
LA SPECIALIZZAZIONE
DELL’AVVOCATO IN
FRANCIA
MILENA PINI
Consiglio nazionale dei “Barreaux” (Ordini degli Avvocati);
- l’obbligo per l’avvocato di portare a conoscenza del locale Consiglio dell’ordine
l’uso della “mention de spécialisation”,
con una domanda finalizzata all’iscrizione
nell’elenco di quella specializzazione,
accompagnata dal certificato che attesta
di aver conseguito la specializzazione.
Questo certificato è rilasciato a seguito di un
esame di verifica della conoscenza della
materia, che l’avvocato è ammesso a sostenere dopo almeno quattro anni di esercizio
professionale nella specialità rivendicata.
La pratica professionale di quattro anni,
necessaria per ottenere la “mention de spécialisation” può essere svolta:
- in qualità di avvocato o collaboratore di
un avvocato già autorizzato qa fare uso
della “mention de spécialisation” che si
vuole ottenere,
74
AIAF RIVISTA 3/2006
- o in qualità di avvocato associato ad una
associazione o ad una società di avvocati
in cui uno o più avvocati sono già autorizzati a far uso della “mention de spécialisation” che si vuole ottenere,
- risultare, a titolo individuale, da attività,
lavori o pubblicazioni relative alla specialità, purché queste attività abbiano una
durata di almeno quattro anni.
Il periodo di quattro anni della pratica professionale deve essere stato compiuto alle
seguenti condizioni, per poter essere preso in
considerazione:
- rispondere alla durata normale del lavoro,
per la categoria professionale considerata;
- sere stata remunerata conformemente agli
accordi, regolamenti o usi;
- n aver subito sospensioni per un periodo
superiore ai tre mesi
La domanda di ammissione all’esame è
rivolta al presidente della Scuola degli Avvocati nel distretto della Corte d’Appello avanti cui l’avvocato esercita.
L’esame si svolge una volta all’anno, davanti a un “jury”, composto da un avvocato, un
magistrato e un docente universitario; la presidenza del “jury” è assegnata al docente
universitario. L’esame è organizzato dai
C.F.P.A. (Centri regionali di formazione professionale degli Avvocati, costituiti presso le
Facoltà di Diritto, cui è anche demandata la
formazione professionale per l’accesso alla
professione forense).
Il candidato è convocato ad un primo colloquio davanti ad alcuni membri del Consiglio
di amministrazione del Centro regionale di
formazione professionale, per esporre nei particolari la pratica professionale svolta e le prestazioni effettuate nell’ambito di competenza
di cui si vuole ottenere il riconoscimento.
Il candidato ammesso all’esame, dopo questo colloquio, deve svolgere:
- una esposizione orale (circa 20 minuti)
sulla materia (il candidato porta diversi
casi professionali o studi su particolari
argomenti; il “jury” sceglie tra questi tre
casi o studi e lascia poi al candidato la
scelta di uno tra questi tre, da esporre)
- una interrogazione (circa 30 minuti) sulla redazione degli atti, sulle formalità processuali relative a detti atti, sulla respon-
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
sabilità professionale dell’avvocato nell’ambito di queste attività, sugli aspetti
deontologici dell’esercizio professionale
nell’ambito della sua pratica specialistica
Il candidato, se supera l’esame, ottiene il certificato che attesta il conseguimento della specializzazione in uno o più campi di competenza.
Negli elenchi redatti con la legge del 1971 le
specializzazioni indicate erano troppo ampie
rispetto alla realtà della pratica professionale specializzata degli avvocati, e così un
avvocato specializzato in diritto di famiglia
non poteva indicare tale specializzazione,
ma il più generale “droit des personnes”.
Con provvedimento del Ministro della Giustizia del 8.6.1993 è stata modificata la lista
delle specializzazioni, che per quanto riguarda il “diritto delle persone” è suddivisa nei
seguenti campi di competenza:
- droit de la famille
- réparation du préjudice corporel
- droit des étrangers en France
- droit des successions et donation
- droit du patrimoine
- droit du surendettement
- responsabilité civile
- assurance des particulers
- droit des mineurs.
Nel 2002 un dettagliato rapporto del Consiglio Nazionale dei Barreaux ha messo in luce
numerosi problemi connessi al riconoscimento della specializzazione e alle modalità
dell’esame, emersi nel corso degli anni, che
risultano di particolare interesse. Il rapporto
evidenzia che:
- la “mention de spécialisation” è accordata
di preferenza a persone che hanno un’esperienza professionale anteriore al loro
accesso alla professione di avvocato;
- i docenti universitari e i magistrati che
decidono di svolgere successivamente la
professione di avvocato ottengono di
regola il riconoscimento della specializzazione;
- il certificato di specializzazione è divenuto una sorta di diploma universitario che
riconosce non tanto l’esperienza professionale, bensì delle conoscenze teoriche;
- alcuni “jury” sono stati contestati dai candidati per favoritismi;
- non vi è stato sufficiente controllo sulle
modalità di rilascio dei certificati di specializzazione.
Il Consiglio Nazionale dei Barreaux ha pertanto deciso di modificare l’esame per il
conseguimento della specializzazione, dando
priorità all’accertamento dell’effettiva pratica e competenza dell’avvocato nel campo
rivendicato; pertanto l’esame si svolge oggi
secondo le modalità sopra riportate.
Per quanto riguarda il titolo della specializzazione e la relativa pubblicità, essendo
emerso che molti avvocati titolari della specializzazione e che esercitano effettivamente
la loro attività in tale ambito, si rifiutano di
menzionarla sulla carta da lettera, per timore
di perdere clienti che necessitano di assistenza anche in altri settori di competenza.
Per contro, altri avvocati lamentano di non
poter indicare il loro specifico campo di
competenza in quanto non ricompreso nel
titolo della specializzazione, più ampio.
Si è pertanto deciso di autorizzare gli avvocati ad indicare sulla carta da lettera, oltre
alla menzione della specializzazione conseguita, anche i campi di competenza che
rivendicano all’interno della specialità a
condizione che abbiano conseguito la specializzazione in tali specifici campi.
Successivamente nel 2004 il Consiglio
Nazionale dei Barreaux ha adottato le
seguenti risoluzioni:
- l’avvocato titolare di una “mention de
spécialisation” può avvalersene solo se ha
conseguito una specifica autorizzazione
relativa ad uno o più campi di competenza;
- il titolo di “specialista” è riservato ai soli
titolari di “mention de spécialisation” che
possono, conformemente al decreto del
8.6.93 che fissa la lista delle specializzazioni consentite all’avvocato, farne uso
sui loro documenti professionali, indicando “specialista in …”;
- negli elenchi e annuari professionali i titolari dei certificati di specializzazione in
uno o più campi di competenza sono
repertoriati per ordine alfabetico, sotto la
rubrica “certificati di competenza” che
elenca tutte le specializzazioni.
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RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
AIAF RIVISTA 3/2006
Rapport adopté par l’Assemblée générale
le 07 septembre 2002.
RAPPORT SUR
LES MENTIONS DE SPECIALISATION.
I/ Rapport de présentation.
Le Conseil National des Barreaux a eu, depuis son dernier renouvellement, l'occasion, à plusieurs
reprises, l'occasion de se pencher sur la question des spécialisations, au vu des rapports d'étapes
successifs qui lui ont été présentés par la Commission de la Formation Professionnelle.
Les rapports présentés et leurs annexes ont été diffusés à l'ensemble des barreaux et des différentes
organisations professionnelles, pour avis. Le résumé des rapports d'étape a été diffusé à deux reprises à
l'ensemble de la profession dans le bulletin "En direct" du Conseil National des Barreaux.
Le présent rapport rappelle la méthode retenue et résume l'objet et le contenu de la délibération
soumise à l'assemblée générale.
A/ La méthode :
- la critique : il faut, d'entrée, mettre en exergue le fait que la délibération ci-jointe n'aurait pas pu être
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
LA LEGGE 54/06 E L’AFFIDAMENTO CONDIVISO
élaborée si la Commission de la Formation Professionnelle et l'Assemblée générale n'avaient pas, avant
le renouvellement du Conseil intervenu le premier janvier 2000, travaillé de façon approfondie sur ce
sujet. Le rapporteur s'est appuyé, notamment pour ce qui concerne le constat de la situation, sur les
rapports successifs préparés par Eric AZOULAY
Les imperfections constatées peuvent être rassemblées de façon sommaire en plusieurs catégories :
- la mention de spécialisation est accordée de façon plus libérale aux personnes disposant d'une
expérience professionnelle antérieure à leur entrée dans la profession d'avocat, qu'aux personnes
disposant d'une expérience professionnelle d'avocat.
- bien qu'il s'agisse de reconnaître la réalité de l'expérience professionnelle spécialisée
d'avocats, les universitaires et les magistrats prennent plus de place que les avocats dans les jurys. En
même temps, on a assisté à une dérive consistant à faire du certificat de spécialisation un semblant de
diplôme universitaire reconnaissant non pas une expérience professionnelle, mais des connaissances
théoriques.
- la pratique de certains jurys dans les Centres Régionaux de Formation Professionnelle a été
radicalement contestée par des candidats, dans la mesure où elle a donné lieu à des suspicions de
favoritisme et de malthusianisme, tant pour ce qui a trait aux conditions dans lesquelles l'examen s'est
déroulé, qu'en ce qui a trait au montant des droits d'inscription exigés, parfois supérieurs à ceux de
l'année de formation initiale.
- les conditions dans lesquelles les mentions de spécialisation ont été reconnues dans le cadre
des mesures transitoires à ceux qui ont pu s'en prévaloir ont été beaucoup trop laxistes, en l'absence de
tout contrôle.
- enfin, la majeure partie des douze mentions de spécialisation créées en sus de celles que
connaissaient les conseils juridiques n'a pas correspondu à la réalité des pratiques professionnelles des
avocats, certaines mentions étant beaucoup trop larges par rapport aux activités spécialisées des avocats
qui auraient pu les demander, certaines pratiques professionnelles spécialisées se trouvant à cheval sur
plusieurs mentions de spécialisation, et le libellé de certaines mentions se trouvant déceptif par rapport
à la compréhension du public.
C'est notamment sur ce dernier point que se sont focalisées nombre de critiques, sans que les débats de
la précédente mandature du Conseil National des Barreaux aient permis de déboucher sur une nouvelle
liste.
- les solutions envisagées : l'expérience du projet de loi venant réformer la formation initiale des
avocats qui n'est toujours pas venu en discussion au parlement, alors que le Conseil National des
Barreaux y travaille depuis 1997, démontre que le recours à une méthode de réforme partant d'une
modification des textes majeurs, donc de la loi, pour redescendre ensuite par des textes d'application au
décret et aux éventuels arrêtés nécessaires pour que la réforme législative entre en vigueur, si elle est
satisfaisante sur le plan intellectuel, manque cependant cruellement de rapidité et, en conséquence
d'efficacité. Elle se trouve, en outre, soumise aux aléas de la discussion parlementaire et il n'est pas
évident que les promoteurs de la réforme se retrouvent dans le texte de loi modifié à leur initiative.
Il a paru préférable de recourir à une autre méthode qui prenne en considération les remèdes
nécessaires pour répondre aux critiques formulées, et la compétence juridique des autorités susceptibles
de les apporter, en essayant de donner toute son application au principe de subsidiarité.
Il s'avère, ainsi, que le Conseil National des Barreaux dispose, en vertu de l'article 21-1 de la loi du 31
décembre 1971 modifiée, du pouvoir de :
77
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
AIAF RIVISTA 3/2006
"... déterminer les conditions générales d'obtention des mentions de spécialisation..."
Une première réflexion aurait conduit à se demander s'il restait de la place pour une autorité entre le
législateur et le Conseil National des Barreaux, et si, dans le cadre des dispositions de la loi du 31
décembre 1990, toutes les dispositions concernant les spécialisations prévues par le décret, et,
notamment, la composition des jurys ainsi que les conditions particulières conduisant à reconnaître
l'expérience professionnelle des avocats tant au cours de l'exercice de la profession que dans leurs
activités antérieures à leur entrée dans cette profession, n'entraient pas dans le cadre des "conditions
générales d'obtention des mentions de spécialisation".
Dans cet ordre d'idées, on aurait pu penser qu'il était nécessaire que le décret du 27 novembre 1991
contienne des dispositions relatives aux spécialisations tant que le Conseil National des Barreaux n'était
pas constitué. Néanmoins, était-il justifié que le décret fasse référence à des arrêtés ministériels pour
organiser les examens de spécialisation, compte tenu de la compétence attribuée par la loi au Conseil
National des Barreaux ?
En effet, à partir du moment où cette institution était constituée, il était évident qu'elle devait disposer
de l'ensemble de ses prérogatives légales et qu'aucune autorité ne pouvait entrer en concurrence avec
elle, sauf disposition spécifique qui n'existe pas en l'occurrence. Ceci d'autant plus que l'article 21-1 de
la loi contient des dispositions à caractère tout à fait général, sans restriction aucune.
0n pouvait alors s'interroger sur la légalité de l'intervention ministérielle ayant conduit à l'adoption des
divers arrêtés organisant l'examen de spécialisations des 7 janvier et 8 décembre 1993, alors que le
Conseil National des Barreaux était constitué. On pouvait aussi s'interroger sur la légalité de la
disposition du décret confiant au Ministre de la Justice le soin d'arrêter la liste des mentions de
spécialisation.
Cependant, ce n'est pas cette première réflexion qui a été retenue dans les rapports d'étape approuvés
par le Conseil National des Barreaux.
L'idée retenue a été de partir des textes tels qu'ils étaient dans leur état actuel et que le Conseil National
des Barreaux engage dès à présent les démarches qui lui sont réservées du fait du contenu de l'article
21-1 de la loi du 31 décembre 1971 modifiée, en adoptant des décisions pour compléter les dispositions
actuelles, pour apporter les remèdes adaptés aux pratiques actuelles qui se trouvent contestées.
La démarche vise à l'efficacité du système des mentions de spécialisation et non pas à l'affirmation des
prérogatives du Conseil National des Barreaux à l'encontre de celles dont la Chancellerie s'est trouvée
attributaire par l'effet d'un décret dont la légalité semble pouvoir, sur ce point précis, être contestée.
Plus simplement, il s'agit pour le Conseil National des Barreaux, prenant le relais du ministre de la
Justice, d'exercer désormais les pouvoirs qui lui ont été dévolus par la loi dans des circonstances où la
profession d'avocat a besoin d'une amélioration du système des mentions de spécialisation, ainsi que
cela ressort des consultations répétées auxquelles le Conseil a procédé.
Il en résultera peut-être que coexisteront sur cette matière des textes de nature différente, issus
d'autorités différentes, à des dates différentes. Peut-être sera-t-il, dans l'avenir, nécessaire d'harmoniser
ces textes, si, à l'usage, leur coexistence conduisait à un enchevêtrement inextricable de responsabilités
! Ce sera alors la tâche du Conseil National des Barreaux que de s'atteler à cette harmonisation. Pour
l'instant il devrait être suffisant d'engager des conversations avec les services de la Chancellerie pour
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examiner en commun les conséquences des dispositions de l'article 21-1 en matière de spécialisations,
l'essentiel étant d'apporter immédiatement les remèdes aux inconvénients constatés.
C'est cette méthode, proposée par la Commission de la Formation Professionnelle, qui a été adoptée
par l'assemblée générale du Conseil National des Barreaux, qui a conduit à envisager deux actions :
- une modification du règlement intérieur harmonisé,
- une décision du Conseil National des Barreaux concernant les modalités d'attribution des mentions
des spécialisation
Compte tenu de ce qui précède, la qualification de recommandation qui avait été envisagée initialement paraît insuffisante et il est apparu préférable, compte tenu des dispositions de l'article 21-1 de la
loi du 31 décembre 1990, de recourir au terme de décision.
C'est ce qui a conduit la Commission de la Formation Professionnelle à présenter à l'assemblée générale le projet d'une véritable décision.
B/ L'objet et le contenu de la délibération:
Il est apparu à la Commission de la Formation Professionnelle, compte tenu de la méthode retenue,
que des remèdes pouvaient être apportés dès à présent sur un certain nombre de sujets, d'autres devant
sans doute faire l'objet de discussions complémentaires, car, pour autant que l'existence des dispositions du décret du 27 novembre 1991 en matière de spécialisations ne doive pas être remise en cause,
les remèdes envisagés conduiraient à faire perdre leur effet à certaines d'entre elles.
Ce serait le cas des dispositions concernant la composition des jurys et de celles concernant l'appréciation de l'expérience professionnelle obtenue par des avocats dans des professions autres avant qu'ils
ne soient devenus avocats. Eu égard aux implications de ces dispositions sur la situation personnelle
des candidats et aux risques de recours qu'entraînerait nécessairement la présence de décisions du
Conseil National des Barreaux rendant de fait désuètes les dispositions du décret dans ces
deux domaines, il a paru préférable de ne pas les traiter dès à présent, la situation juridique méritant
d'être éclaircie au préalable.
La solution la plus simple serait apparemment que le décret soit modifié dans le sens voulu par le Conseil National des Barreaux. Mais on n'évitera pas, cependant, le risque qu'un candidat ne se prévale,
un jour, de l'illégalité des dispositions du décret du 27 novembre 1990 ou du décret qui l'aurait modifié, eu égard aux dispositions de l'article 21-1 de la loi réservant au Conseil National des Barreaux le
soin de statuer dans ce domaine.
Il faudra donc régler un jour cette question de compétence.
Dès à présent, les questions de fond que l'assemblée générale du Conseil National des Barreaux a soumises à deux reprises à la consultation générale de la profession sont les suivantes :
- l'organisation concrète de l'examen de spécialisation, en insistant sur la vérification de l'expérience
professionnelle du candidat et sur le fait que le contrôle des connaissances prévu par les textes actuels
ne doit pas dériver vers un examen à caractère universitaire. L'examen doit conduire à la
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AIAF RIVISTA 3/2006
vérification de la réalité de l'expérience professionnelle spécialisée du candidat au vu de ses travaux.
- la possibilité pour les candidats de demander à ne passer l'examen que sur une partie des
matières relevant de la mention de spécialisation et constituant un champ de compétences particulier,
avec, dans ce cas, l'obligation, si la mention de spécialisation leur est attribuée, de ne faire état que du
champ de compétences correspondant à ces matières pour lesquelles la mention de spécialisation aura
été demandée et non pas de la mention globale de spécialisation,
- le regroupement de l'ensemble des pratiques professionnelles spécialisées des avocats en un
certain nombre de rubriques ou champs de compétence et le rattachement de chacun de ces champs de
compétence spécialisés à l'une des mentions de spécialisation existantes, qu'il n'est pas envisagé de
modifier. Ce rattachement peut être partiellement contestable dans certains cas, mais il a fallu que chaque pratique professionnelle spécialisée soit rattachée à une des quinze mentions de spécialisations existantes.
- il n'a pas été jugé utile de prévoir des dispositions transitoires comparables à celles qui avaient
été adoptées en 1990, et qui, à l'expérience, se sont avérées très contestables, du fait du laxisme qui a
présidé à l'attribution des mentions de spécialisation pour les personnes qui ont pu bénéficier des mesures transitoires. Par suite, si une personne titulaire actuellement d'une mention de spécialisation souhaitait pouvoir se prévaloir d'une pratique professionnelle spécialisée dans l'un des champs de compétence
qui en relève, elle devra justifier de la pratique correspondante, avant de pouvoir en faire état. ceci permettra de garantir au public l'expérience professionnelle spécialisée de l'intéressé.
- en parallèle, une modification des dispositions du règlement intérieur relatives à la publicité
s'imposait, pour permettre à l'avocat de faire état de sa pratique professionnelle spécialisée dans le
champ de compétence pour lequel elle aura été reconnue. En effet, à l'heure actuelle, le règlement intérieur harmonisé ne permet pas de faire état sur le papier à lettres de l'avocat des champs de compétences spécialisés dans lesquels une expérience professionnelle lui serait reconnue par le centre régional de
formation professionnelle. Il ne permet que la référence à la mention de spécialisation.
L'assemblée générale ayant déjà examiné les questions soumises à la consultation, il n'a pas été jugé
nécessaire de les commenter dans le présent rapport une nouvelle fois, d'autant plus que les solutions de
fond proposées figurent dans la délibération ci-jointe.
La consultation de la profession s'est traduite par un certain nombre de remarques et de prises de position émanant d'Ordres, de centres régionaux de formation professionnelle, et d'organisations syndicales.
Certains avocats ont également fait part de leur point de vue personnel sur la question, après avoir lu les
bulletins "En direct" dans lesquels des développements avaient été consacrés à la question.
Au vu des réponses parvenues au Conseil National des Barreaux, le sujet a été examiné avec beaucoup
d'attention. Certaines institutions, Ordres, Centres Régionaux de Formation Professionnelle, Syndicats,
ont consacré des séances particulières au sujet des spécialisations et ont fait connaître leur point de vue
au Conseil National des Barreaux. Certains organismes ont adopté des délibérations ou motions concernant le projet qui leur avait été communiqué, sans pour autant les transmettre au Conseil National des
Barreaux. Même si le contenu de certaines d'entre elles a été rendu public, il est certain que le rapporteur n'a pas eu en mains un inventaire exhaustif des réactions de la profession à la consultation.
De même, certaines des réactions obtenues ont fait référence au projet qui leur avait été communiqué et
il a été facile d'identifier la nature de cette réaction, la plupart du temps positive. Mais certaines des
délibérations et motions adoptées l'ont été au vu d'un rapport présenté par un membre de cette institution qui ne faisait pas nécessairement référence uniquement au projet présenté.
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RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
Il a donc fallu analyser le contenu des délibérations et motions ou de leur résumé, lorsque seul ce résumé
a été porté à la connaissance du rapporteur, pour identifier leur sens par rapport au projet sur lequel la consultation a été organisée.
On peut donc, sous les réserves exprimées plus haut, résumer comme suit le sens des réactions de la profession :
- Les constats suivants sont partagés par une grande majorité des réponses :
* inadéquation de la majeure partie des mentions de spécialisation actuelles à la réalité des
pratiques professionnelles spécialisées des avocats : la plupart des mentions de spécialisation sont beaucoup trop larges par rapport à la pratique professionnelle spécialisée des avocats, ce qui implique pour les
candidats de justifier de connaissances dans des secteurs d'activité ne correspondant pas à leur activité spécialisée.
* contestation des conditions dans lesquelles l'examen de contrôle des connaissances est
réalisé, et réactions contre la trop grande proximité entre les candidats et les avocats spécialisés membres
des jurys avec des effets inverses selon les cas : favoritisme, malthusianisme.
* nécessité de recentrer l'examen de spécialisation sur une stricte vérification objective de
l'existence d'une pratique professionnelle spécialisée de l'avocat au vu des dossiers dont il fera état en abandonnant toute volonté de vérifier les connaissances du candidat dans les matières qu'il ne revendique pas
au sein de celles relevant de la mention de spécialisation.
- L'idée de prévoir des champs de compétence spécifiques au sein de chacune des mentions de spécialisation et de permettre au candidat de ne revendiquer, au sein de la mention de spécialisation, que certains de ces champs de compétences spécialisés reçoit un accueil très favorable de la plupart des organismes consultés dont la réponse s'attache à la question. Aucune réponse négative n'a été reçue. Quelques
réponses en restent à l'idée de se contenter de modifier la liste des mentions de spécialisation.
- Le rattachement de certains champs de compétence spécialisés à une mention de spécialisation
plutôt qu'à une autre a été contesté. De même, des suggestions ont été présentées pour la dénomination de
certains de ces champs de compétence. Des propositions ont également été formulées pour redéfinir le
découpage des matières au sein de certaines mentions de spécialisation.
Comme conséquence de la consultation, la Commission de la Formation Professionnelle a décidé de modifier le projet en retenant certaines des propositions concernant l'identification des champs de compétence
spécialisés au sein des mentions de spécialisation. Elle n'a pas envisagé de modifier sur d'autres points le
dispositif proposé et sur lequel l'assemblée s'était déjà prononcée au vu des rapports d'étape précédents.
Le texte ci-joint représente donc le dernier état du projet présenté à l'approbation et à la décision l'assemblée générale du Conseil National des Barreaux.
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II/ Délibération:
Ce projet a été soumis à la Commission lors de sa séance du 6 septembre 2002.
Il comporte deux parties:
- la première partie constitue la décision que le Conseil National des Barreaux pourrait adopter,
- la deuxième partie constitue la circulaire d'accompagnement qui pourrait être envoyée aux
barreaux et aux C.R.F.P. avec le texte de la décision.
A/ Première partie.
1 - Le Conseil National des Barreaux décide de compléter l'article 10.4 du règlement intérieur
harmonisé en ajoutant dans le sixième paragraphe, après les mots "une ou plusieurs spécialisations régulièrement acquises", les mots "ainsi que la mention des champs de compétence pour
lesquels l'avocat revendique une pratique professionnelle spécialisée dans la spécialité pour
laquelle il a reçu une mention de spécialisation et qu'il a demandé à faire reconnaître dans sa
demande de certificat de spécialisation."
2 - Le Conseil National des Barreaux, vu les dispositions de l'article 21-1 de la loi du 31 décembre 1971 modifiée le chargeant de déterminer les conditions générales d'obtention des mentions
de spécialisation, décide ce qui suit :
- les champs de compétence suivants sont reconnus au sein de chacune des mentions de
spécialisation :
Droit des personnes :
Droit de la famille
Réparation du préjudice corporel
Droit des étrangers en France
Droit des successions et donations
Droit du patrimoine
Droit du surendettement
Responsabilité civile
Assurances des particuliers
Droit des mineurs
Droit pénal :
Droit pénal général
Droit pénal des affaires
Droit de la presse
Droit immobilier :
Construction
Urbanisme
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Copropriété
Baux d’habitation
Baux commerciaux et professionnels
Expropriation
Droit des mines
Droit rural :
Baux ruraux et entreprise agricole
Droit des produits alimentaires
Droit de la coopération agricole
Droit de l’environnement
Droit public :
Droit électoral
Collectivités locales
Fonction publique
Droit public économique
Droit de la propriété intellectuelle :
Droit des brevets
Droit des marques
Droit des dessins et modèles
Propriété littéraire et artistique
Droit de l’informatique et des télécommunications
Droit commercial :
Droit bancaire et financier
Procédures collectives et entreprises en difficulté
Ventes de fonds de commerce
Droit boursier
Transport aérien
Transport maritime
Transports terrestres
Droit de la publicité
Droit des sociétés :
Droit des sociétés commerciales et professionnelles
Fusions et acquisitions
Droit des associations et fondations
Droit fiscal :
Fiscalité des particuliers
Fiscalité de l'activité professionnelle
Fiscalité internationale
Fiscalité du patrimoine
T.V.A.
Fiscalité immobilière
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Droit social :
Droit du travail
Droit de la sécurité sociale
Droit de la protection sociale
Droit économique :
Droit des réglementations professionnelles
Droit de la concurrence
Droit de la consommation
Droit de la distribution
Droit des mesures d’exécution :
Mesures d’exécution forcée
Mesures conservatoires
Droit communautaire :
Droit public européen et communautaire
Contentieux devant les juridictions européennes
Droit européen de la concurrence
Droit des relations internationales :
Droits étrangers :Il existe autant de champs de compétence que d’Etats indépendants
Contentieux internationaux
Contrats internationaux
Cette liste a vocation à être complétée à tout moment. Les demandes devront être adressées à la Commission de la formation du Conseil National des Barreaux qui instruira les suggestions présentées et les soumettra à l’assemblée générale pour décision.
- les candidats à la mention de spécialisation pourront indiquer dans leur demande qu'ils souhaitent que la vérification de leur pratique professionnelle spécialisée et l'examen de contrôle des connaissances ne portent que sur l'un ou plusieurs des champs de compétence ci-dessus reconnus dans la mention de
spécialisation qu'ils revendiquent.
- les candidats qui demanderont à faire usage de cette faculté prendront l'engagement, dans leur
demande, de ne pas faire usage dans tout document professionnel de la mention de spécialisation, mais uniquement des champs de compétence pour lesquels la mention de spécialisation leur aura été accordée.
- ces candidats devront également prendre, dans leur demande, un engagement exprès de suivre une
formation continue dans les champs de compétence pour lesquels la mention de spécialisation leur aura été
accordée, et de cesser de faire état de ces champs de compétence dans le cas où ils n'auraient pas respecté
cet engagement.
- les Centres Régionaux de Formation Professionnelle vérifieront, outre la durée et les
conditions concrètes de la pratique professionnelle spécialisée revendiquée, son adéquation avec la
spécialisation revendiquée, ainsi que, pour les candidats faisant état d'une pratique professionnelle
spécialisée limitée à un ou plusieurs des champs de compétence reconnus dans cette spécialisation,
l'adéquation entre cette pratique et les champs de compétence pour lesquels la mention de
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RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
spécialisation est revendiquée.
- cette vérification pourra prendre la forme d'un entretien avec un membre du conseil
d'administration du Centre Régional de Formation Professionnelle au cours duquel le candidat
présentera les travaux représentatifs de la pratique professionnelle spécialisée dont il fait état, dont il
sera fait rapport au conseil d'administration du centre.
- lors de l'examen de contrôle des connaissances, le jury apprécie si le candidat dispose de la
connaissance des pratiques professionnelles nécessaires à l'exercice de la profession dans la
spécialisation ou dans les champs de compétence auxquels le candidat a limité sa demande. Il vérifie la
capacité du candidat à accomplir les actes de sa profession entrant dans les champs de compétence qu'il
revendique.
- lorsque le candidat limite sa demande de certificat de spécialisation à certains des champs de
compétence reconnus en son sein, les sujets de l'exposé sont choisis dans ces champs de compétence.
Le candidat peut, dans sa demande de certificat, choisir un ou plusieurs documents à caractère
professionnel rédigés par lui et présentés au conseil d'administration comme justificatifs de sa pratique
professionnelle spécialisée parmi lesquels le jury devra alors choisir les sujets de l'exposé.
- lors de l'entretien suivant l'exposé, le jury pourra notamment interroger le candidat sur la
rédaction des actes ressortissant des champs de compétence revendiqués, sur les formalités et sur la
responsabilité professionnelle de l'avocat attachées à ces actes, ainsi que sur les aspects déontologiques
de l'exercice professionnel de l'avocat dans le cadre de la pratique professionnelle spécialisée dont il
fait état.
- les Centres Régionaux de Formation Professionnelle devront organiser en commun les
épreuves de contrôle des connaissances lorsque le nombre de candidats dans le ressort du centre pour la
mention de spécialisation en cause aura été inférieur à deux au cours de l'année précédente ou lorsque
le nombre d'avocats disposant de la mention de spécialisation pour laquelle l'examen est organisé est
inférieur à dix dans le ressort du Centre Régional de Formation Professionnelle.
- les avocats titulaires d'un certificat de spécialisation sans limitation à certains des champs de
compétence qui sont reconnus dans cette spécialisation souhaitant faire mention sur leurs documents
professionnels d'un ou plusieurs des champs de compétence reconnus au sein de cette spécialisation
devront en faire la demande au Centre Régional de Formation Professionnelle. Cette demande sera
identique à celle des candidats à la mention de spécialisation demandant qu'elle ne leur soit accordée
que pour un ou plusieurs des champs de compétence reconnus au sein de cette spécialité et la
vérification de la pratique professionnelle comme l'examen de contrôle des connaissances auront lieu
dans les mêmes conditions que pour ces candidats.
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B/ Deuxième partie :
Circulaire d'accompagnement
SPECIALISATIONS
Recommandation destinée aux Bâtonniers et aux Centres Régionaux de Formation
Professionnelle d’Avocats.
Introduction
La complexité croissante des réglementations auxquelles doit faire face le citoyen multiplie les besoins du
public en avocats spécialisés. Le législateur de 1971 avait pensé répondre à cette préoccupation en créant
quinze mentions de spécialisation. Dix ans plus tard, il s’avère que les pratiques professionnelles spécialisées des avocats ne recoupent qu'occasionnellement les spécialités proposées par les textes.
Ainsi, d’une part, des avocats titulaires d’une mention de spécialisation et exerçant leur activité professionnelle dans le cadre des matières relevant de cette spécialisation se refusent de mentionner sur leur
papier à lettres la mention dont ils bénéficient, de peur que le public ne s’adresse à eux à propos de sujets
qui, tout en ressortissant de la spécialisation qui leur a été reconnue, sont extérieurs à leur activité et à leur
compétence.
D’autre part, les champs de compétence recouverts par certaines mentions de spécialisation sont si vastes
que le titre de la spécialisation n’est pas assez précis pour que le public puisse identifier les compétences
des avocats qui en font usage.
La profession d’avocat ne saurait pas correctement répondre à l’immense besoin du public dans tous les
domaines du droit, si elle n’était pas en mesure de faire connaître au citoyen les compétences des avocats
d’une manière qui permette, à la fois, d’identifier les champs d’activité limités revendiqués par l’avocat, et
d’assurer la reconnaissance officielle de la compétence spécialisée de l'avocat qui se présente au public
comme spécialiste
En effet, l’indépendance reconnue à l’avocat dans son exercice professionnel fait qu’on ne peut en aucune
façon le contraindre à exercer l’intégralité des champs d’activité entrant dans le territoire de la mention de
spécialisation qu’il a obtenue.
Ceci a conduit le Conseil National des Barreaux, qui est chargé, en vertu des dispositions de l’article 21-1
de la loi du 31 Décembre 1971 modifiée, de déterminer les conditions générales d’obtention des mentions
de spécialisation, à prendre, après consultation de l’ensemble des Ordres et des organisations professionnelles, deux décisions.
Tout d’abord, le Conseil a modifié le règlement intérieur harmonisé en autorisant les avocats à faire
figurer sur leur papier à lettres, outre les mentions de spécialisation dont ils bénéficient, les champs de
compétence qu’ils revendiquent à l’intérieur de la spécialité, sous réserve qu’ils justifient que le CRFP
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RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
leur ait accordé le certificat de spécialisation au vu d’une pratique professionnelle spécialisée dans ces champs de compétence.
En même temps, le Conseil National des Barreaux a défini, à l’intérieur de chaque spécialité, un certain
nombre de champs de compétence dans lesquels les avocats candidats à la spécialisation sont appelés, s’ils
le souhaitent, à faire leur choix.
La deuxième décision prise par le Conseil National des Barreaux est de recommander aux Centres Régionaux de Formation Professionnelle de donner la possibilité aux candidats à la mention de spécialisation de
ne revendiquer, à l’intérieur de la spécialité, qu’un ou plusieurs champs de compétence parmi ceux qu’il a
définis. A charge pour les avocats qui bénéficieraient de la mention de spécialisation en justifiant d’une pratique professionnelle spécialisée limitée à l’un ou plusieurs des champs de compétence ressortissant de la
mention de spécialisation correspondante de prendre l’engagement de faire état sur leur papier à lettres des
seuls champs de compétence dans lesquels leur pratique professionnelle spécialisée aura été reconnue, et de
ne pas faire état de la spécialisation globale. Les avocats candidats recourant à cette faculté prendront aussi
l’engagement de suivre une formation continue.
La liste des champs de compétence identifiés par le Conseil National des Barreaux n’est pas définie de façon
définitive. Elle pourra être complétée chaque année à la demande de la profession, qu’il s’agisse d’avocats
agissant individuellement, d’associations ou syndicats d’avocats, des Centres Régionaux de Formation Professionnelle ou des Bâtonniers et des Conseils de l’Ordre. Le Conseil National des Barreaux se réserve la
faculté de compléter cette liste de sa propre initiative.
1) Modification de l’article 10.4 du Règlement Intérieur Harmonisé.
L’Assemblée Générale du Conseil National des Barreaux a décidé de compléter l’article 10.4 du règlement
intérieur harmonisé.
Il s’est agi de modifier les dispositions relatives au contenu du papier à lettres de l’avocat. La modification
adoptée consiste à ajouter, in fine, dans les mentions qui sont également autorisées, après la mention du logo
et celle de la certification, la mention ou des champs de compétence que l’avocat revendique au sein de la
spécialisation qu’il a acquis.
Le texte ajouté est le suivant :
«La mention des champs de compétence pour lesquels l’avocat revendique une pratique professionnelle spécialisée dans la spécialité pour laquelle il a reçu un certificat de spécialisation et qu'il a demandé à faire
reconnaître dans sa requête de spécialisation.»
Commentaire :
Le papier à lettres étant pour la plupart des avocats le principal moyen de se présenter à la clientèle et à ses
correspondants, il était particulièrement important que l’avocat puisse faire connaître, s’il le souhaite, le ou
les champs de compétence particuliers dans lesquels, à l’intérieur des quinze spécialités reconnues par les
textes, il souhaite exercer plus particulièrement son activité. Le silence qu’il marque sur les autres champs
de compétence faisant partie de la spécialisation fait apparaître que l’avocat ne souhaite pas y développer
son activité.
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AIAF RIVISTA 3/2006
Il s’agit, de la sorte, de permettre à l’avocat qui le souhaite de faire apparaître avec plus de précision
les domaines d’activité dans lesquels il pense être en mesure d’apporter une compétence particulière au
public.
Il est en même temps recommandé aux Ordres qui font apparaître les spécialisations reconnues sur les
listes des avocats du Barreau qu’ils mettent à la disposition du public, de faire apparaître également les
champs de compétence particuliers qui ont été reconnus à l’avocat lors de l’examen de spécialisation.
Il est par ailleurs rappelé, on le verra plus loin, que l’avocat qui a demandé à faire examiner sa pratique professionnelle dans des champs de compétence particuliers au sein d’une spécialisation s’est
engagé, dans sa demande, à ne faire état, lorsque la spécialisation lui sera accordée, que des seuls champs de compétence pour lesquelles sa pratique professionnelle et ses connaissances ont été reconnues.
Les barreaux devront en tenir compte lors de l’établissement des listes susvisées.
2) L’admission à la spécialisation.
a) La demande.
Le Conseil National des Barreaux, dans le cadre de la mission qui lui a été confiée par la loi, qui le
charge de la détermination des conditions générales d’obtention des mentions de spécialisation, a
décidé que les candidats pourraient indiquer dans leur demande d’un certificat de spécialisation, leur
souhait que l’examen de leur pratique professionnelle spécialisée et celui de leurs connaissances ne porte que sur un ou plusieurs des champs de compétence qu’ils revendiquent à l’intérieur de la spécialisation.
Si leur pratique professionnelle spécialisée est reconnue par le CRFP et qu’ensuite ils ont passé avec
succès l’examen de contrôle des connaissances, le tout dans les conditions définies ci-après, ils pourront alors faire apparaître sur leur papier à lettres, notamment, les champs de compétence de la spécialisation sur lesquels leur demande a porté.
Ils devront s’être engagés, dans leur demande, à ne pas faire usage de la mention de spécialisation à
laquelle appartiennent les champs de compétence dont ils se prévalent, mais à ne faire apparaître que
la mention de ces champs de compétence.
Des modèles de demande sont joints en annexe.
On remarquera que l’existence de demandes de ce type ne met pas fin au régime antérieur des demandes de certificats de spécialisation. Comme par le passé, les candidats pourront continuer à se faire
reconnaître la spécialisation pour l’ensemble des matières relevant de la mention de spécialisation.
Dans ce cas, comme par le passé, l’examen de la réalité de la pratique professionnelle spécialisée et
l’examen de contrôle des connaissances porteront sur l’ensemble des matières ressortissant de la mention de spécialisation. Les intéressés pourront , lorsque le certificat de spécialisation leur aura été
accordé dans ce cadre faire usage, bien entendu, de la mention attribuée sans restriction.
Le Conseil National des Barreaux a également décidé que les demandes de certificats de spécialisation
devront nécessairement contenir, à l’avenir, un engagement exprès du candidat à suivre une formation
continue et à cesser de faire usage de la mention de spécialisation ou de faire apparaître les champs de
compétence au vu desquels le certificat de spécialisation leur a été accordé, dans le cas où ils n’auraient
pas respecté leur engagement de formation continue.
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RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
Le Conseil National des Barreaux adressera ultérieurement une recommandation sur la nature et l’importance des actions de formation continue que devront suivre les avocats ayant reçu un certificat de
spécialisation pour satisfaire à leur engagement.
b) Appréciation de la pratique professionnelle par le Centre Régional de Formation Professionnelle.
L’arrêté du 8 Décembre 1993 indique que le dossier de candidature comprend, outre la requête de l’intéressé précisant la ou les mentions de spécialisation dont il sollicite l’usage, tous les documents justificatifs de la pratique professionnelle nécessaires à l’obtention d’une mention de spécialisation.
Il incombe au Centre Régional de Formation Professionnelle d’arrêter la liste des candidats admis à
passer l’examen. Seuls sont admis à l’examen les candidats dont le Centre a pu apprécier que la pratique professionnelle répondait aux exigences des articles 88 et suivants du décret du 27 Novembre 1991.
Le Conseil National des Barreaux recommande aux Centres Régionaux de Formation Professionnelle
de s’attacher à examiner non seulement la durée et les conditions concrètes de la pratique professionnelle revendiquée, mais aussi l’adéquation entre cette pratique et la spécialisation revendiquée ainsi
que, pour les candidats faisant état d’une pratique professionnelle spécialisée limitée à un ou plusieurs
des champs de compétence composant la spécialisation, l’adéquation entre cette pratique professionnelle spécialisée et les champs de compétence revendiqués à l’intérieur de la
spécialisation.
Le Conseil National des Barreaux considère que le candidat doit être convoqué individuellement à un
entretien au cours duquel il devra présenter sa pratique professionnelle spécialisée à des représentants
du conseil d’administration du CRFP. Pour que les représentants du conseil d’administration soient en
mesure de donner au conseil qui devra trancher un avis autorisé, il est apparu au conseil d’administration que cet entretien ne devait pas durer moins d’une heure, et que le candidat devait pouvoir y présenter ses travaux , le rôle des représentants du conseil d’administration n’étant pas d’apprécier la qualité de ces travaux, mais leur lien avec la spécialisation et les champs de compétence revendiqués.
Il est apparu au Conseil National des Barreaux que la délibération du conseil d’administration du CRFP,
admettant un candidat à soutenir l'examen de contrôle des connaissances, devait mentionner, pour chaque candidat, soit qu’il sollicitait la spécialisation pour la totalité des champs de compétence qui la
composent, soit qu’il limite sa demande à un ou plusieurs des champs de compétence composant la spécialisation, et qu’après vérification, le conseil d’administration avait pris acte du fait que la pratique
professionnelle spécialisée présentée était en rapport avec les champs de compétence revendiqués.
c) Examen de contrôle des connaissances.
L’arrêté du 8 Décembre 1993 prévoit que l’examen de contrôle des connaissances prévu par les articles
91 et suivants du décret du 27 Novembre 1991 se compose de deux parties :
- un exposé oral de vingt minutes environ, après préparation d’une heure, sur un sujet tiré au sort par
le candidat portant sur la spécialisation revendiquée,
- un entretien avec le jury, d’une durée n’excédant pas trente minutes, sur la spécialité.
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AIAF RIVISTA 3/2006
Le Conseil National des Barreaux rappelle que le certificat de spécialisation n’est pas un diplôme de
nature universitaire, mais une attestation visant à reconnaître que le candidat à la spécialisation dispose
de la pratique professionnelle spécialisée nécessaire et suffisante pour donner satisfaction aux besoins
du public pour une prestation juridique relevant de la spécialisation. L’objectif de l’examen de contrôle
des connaissances doit être un des moyens d’apprécier si l’intéressé dispose de l’expérience nécessaire
et de la qualité de cette expérience. Il doit s’agir d’un examen à caractère objectif, destiné à tester, non
pas des connaissances universitaires à caractère théorique, mais la connaissance des pratiques
professionnelles nécessaires à l’exercice de la pratique professionnelle revendiquée.
Les jurys devront donc s’attacher à vérifier la capacité pratique de l’avocat candidat à la mention de
spécialisation à accomplir les actes de sa profession entrant dans les champs de compétence qu’il
revendique.
Le but était de vérifier la capacité du candidat à accomplir des actes professionnels dans un champ de
compétence déterminé, les jurys s’attacheront à ne pas interroger les candidats sur des sujets extérieurs
aux champs de compétence revendiqués.
Compte tenu de la diversité des expériences que le jury aura à examiner, il est recommandé par le
Conseil National des Barreaux que le choix des sujets de l’exposé soit aussi proche que possible des
champs de compétence revendiqués par le candidat.
Le Conseil National des Barreaux a ainsi décidé que le candidat pourrait, s’il le souhaite, proposer au
jury, comme lieu de choix des sujets, un texte rédigé par lui, soit que ce texte fasse partie des travaux
dont il se prévaut pour la reconnaissance de sa pratique professionnelle, soit qu’il s’agisse d’un
mémoire ou d’un acte rédigé à l’occasion de la préparation de l’examen de contrôle des connaissances.
Ce choix devra être effectué dans la requête du candidat.
Le jury choisira alors trois sujets d’exposé parmi les thèmes du texte présenté par le candidat. Il laissera
au candidat le choix du sujet de l’exposé.
Il va sans dire que les exigences du jury pourront être renforcées lorsque le candidat aura demandé à
présenter un sujet issu de ses propres travaux.
Lors de l’entretien qui suit l’exposé, les membres du jury pourront notamment interroger le candidat
sur la manière de rédiger des actes ressortissant des champs de compétence correspondant à la pratique
professionnelle spécialisée présentée, sur les formalités attachées à ces actes, sur la responsabilité
professionnelle de l’avocat dans le cadre de ces opérations, sur les aspects déontologiques de l’exercice
professionnel de l’avocat dans le cadre de sa pratique spécialisée.
d) Infractions aux engagements pris.
Le Conseil National des Barreaux a considéré que l’avocat qui ne respecterait pas les engagements
qu’il aurait pris dans la demande et au vu desquels le certificat de spécialisation lui aura été accordé,
pourrait avoir commis une infraction aux règles professionnelles, et aurait manqué aux principes
essentiels de la profession d’avocat et aux devoirs de l’avocat envers son client, cette infraction
pouvant donner lieu à sanction disciplinaire.
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
3) Liste des champs de compétence.
Le Conseil National des Barreaux a tenu a réaffirmer le principe selon lequel tous les champs de
compétences spécialisés devaient nécessairement se retrouver dans une des quinze spécialisations
créées par l’arrêté du 8 Juin 1993.
Le Conseil National des Barreaux a décidé de classer les champs d’activité dans les spécialisations, de
la manière suivante :
Droit des personnes :
Droit de la famille
Réparation du préjudice corporel
Droit des étrangers en France
Droit des successions et donations
Droit du patrimoine
Droit du surendettement
Responsabilité civile
Assurances des particuliers
Droit des mineurs
Droit pénal :
Droit pénal général
Droit pénal des affaires
Droit de la presse
Droit immobilier :
Construction
Urbanisme
Copropriété
Baux d’habitation
Baux commerciaux et professionnels
Expropriation
Droit des mines
Droit rural :
Baux ruraux et entreprise agricole
Droit des produits alimentaires
Droit de la coopération agricole
Droit de l’environnement :
Droit public :
Droit électoral
Collectivités locales
Fonction publique
Droit public économique
Droit de la propriété intellectuelle :
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RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
Droit des brevets
Droit des marques
Droit des dessins et modèles
Propriété littéraire et artistique
Droit de l’informatique et des télécommunications
Droit commercial :
Droit bancaire et financier
Procédures collectives et entreprises en difficulté
Ventes de fonds de commerce
Droit boursier
Transport aérien
Transport maritime
Transports terrestres
Droit de la publicité
Droit des sociétés :
Droit des sociétés commerciales et professionnelles
Fusions et acquisitions
Droit des associations et fondations
Droit fiscal :
Fiscalité des particuliers
Fiscalité de l'activité professionnelle
Fiscalité internationale
Fiscalité du patrimoine T.V.A.
Fiscalité immobilière
Droit social :
Droit du travail
Droit de la sécurité sociale
Droit de la protection sociale
Droit économique :
Droit des réglementations professionnelles
Droit de la concurrence
Droit de la consommation
Droit de la distribution
Droit des mesures d’exécution :
Mesures d’exécution forcée
Mesures conservatoires
Droit communautaire :
Droit public européen et communautaire
Contentieux devant les juridictions européennes
Droit européen de la concurrence
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AIAF RIVISTA 3/2006
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
Droit des relations internationales :
Droits étrangers :Il existe autant de champs de compétence que d’Etats indépendants
Contentieux internationaux
Contrats internationaux
Cette liste a vocation à être complétée à tout moment. Les demandes devront être adressées à la
Commission de la formation du Conseil National des Barreaux qui instruira les suggestions présentées
et les soumettra à l’assemblée générale pour décision.
4) Organisation des épreuves de l’examen.
L’article 91 du décret du 27 novembre 1991 envisage le cas où plusieurs centres organisent en commun
les épreuves de l’examen de spécialisation.
Le Conseil National des Barreaux encourage très vivement cette pratique.
D’une part, il s’avère que tous les Centres Régionaux de Formation Professionnelle ne disposent pas
dans les barreaux de leur ressort de spécialistes dans toutes les spécialités. Ce sera encore plus le cas
dans l'avenir puisque les champs de compétence revendiqués par les avocats sont affinés lorsqu’un
candidat ne revendique qu’une partie de la spécialisation.
D’autre part, il est très difficile, dans bon nombre de Centres, y compris les plus importants, que les
candidats à la spécialisation ne soient pas soumis à un examen devant un jury dont fait partie un avocat
spécialiste dont l’impartialité ne puisse pas être suspectée car trop proche du candidat. La volonté
d’empêcher l’arrivée d’un concurrent direct n’est pas toujours improbable.
Le Conseil National des Barreaux recommande aux Centres Régionaux de Formation Professionnelle
d’organiser en commun les épreuves de spécialisation et de faire en sorte que les jurys ne contiennent
pas d’avocat de la spécialité revendiquée appartenant aux Barreaux de la même Cour d’Appel que le
candidat.
93
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
AIAF RIVISTA 3/2006
ANNEXES.
A/ Modèle de la requête prévue par l’arrêté du 8 Décembre 1993.
Le soussigné :
Nom
Prénoms
Date et lieu de naissance
Date de prestation de serment
Barreau d’appartenance à la date de la requête
Domicile professionnel
Sollicite l’usage de la mention de spécialisation suivante :
Et fait état d’une pratique professionnelle spécialisée dans les champs de compétences suivants, ressortissant à la spécialisation sollicitée :
S’engageant, dans le cas où il fait état de champs de compétence spécialisés à l’intérieur d’une des quinze
spécialisations reconnues par l’arrêté du 8 Juin 1993, sans faire état de tous les champs de compétence composant cette spécialisation, à ne mentionner, dans le cas où le certificat de spécialisation sollicité lui serait
attribué, sur tout document destiné à sortir de son cabinet, que les champs de compétence dont il fait état
dans la présente requête, sans faire usage de la mention de la spécialisation accordée.
Il s’engage également à cesser de faire usage de la mention de spécialisation qui lui aura été attribuée, et à
cesser de mentionner sur tout document destiné à sortir de son cabinet les champs de compétence pour
lesquels il a fait état d’une pratique professionnelle spécialisée dans sa demande de certificat de spécialisation et au vu de laquelle le certificat de spécialisation, dans le cas où il n’aurait pas participé à des actions
de formation permanente d’une importance suffisante par rapport aux exigences minimales publiées par le
Conseil National des Barreaux.
Il joint à la présente requête les documents prévus par l’arrêté du 8 Décembre 1993, savoir :
- tous documents justificatifs, en originaux ou copies certifiées conformes, de son identité et de son domicile professionnel,
- une attestation de sa qualité d’avocat inscrit à un Barreau français, délivrée par le Bâtonnier en exercice,
- tous documents justificatifs, en originaux ou en copies certifiées conformes, de la pratique professionnelle nécessaire à l’obtention d’une mention de spécialisation
Il s’engage à se rendre à la convocation qui lui sera adressée par le Centre Régional de Formation
Professionnelle pour la séance au cours de laquelle il sera amené à présenter aux représentants du
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
conseil d’administration la pratique professionnelle spécialisée dont il fait état à l’appui de la présente
demande.
Il déclare avoir pris connaissance de la faculté qui lui est donnée de demander au jury de choisir les sujets
de l’examen de contrôle des connaissances à partir d’un texte rédigé par lui, soit que ce texte fasse partie
des travaux dont il se prévaut pour la reconnaissance de sa pratique professionnelle, soit qu’il s’agisse d’un
mémoire ou d’un acte rédigé à l’occasion de la préparation de l’examen de contrôle des connaissances, ce
texte devant être remis au Centre Régional de Formation Professionnelle destinataire de la présente requête
au plus tard le jour où il présentera la pratique professionnelle dont il fait état.
Fait à
Le
Signature du candidat
B/ Modèle de certificat de spécialisation.
1) Certificat de spécialisation délivré à un candidat n’ayant pas fait état d’une pratique professionnelle spécialisée limitée à certains des champs de compétence composant la spécialisation :
Par délibération du (…), le conseil d’administration du Centre Régional de Formation d’Avocats de (…) a
décerné le certificat de spécialisation de droit pénal
A M.
Avocat inscrit au Barreau de
Rappelant que M (…) a pris, dans la requête qu’il a présentée pour solliciter le certificat de spécialisation,
l’engagement de cesser de faire usage de la spécialisation qui lui a été reconnue sur tout document destiné
à sortir de son cabinet dès lors qu’il n’aurait pas respecté les obligations de formation permanente déterminées par le Conseil National des Barreaux pour les avocats spécialistes.
Fait à
Le
Le président du conseil d’administration
2) Certificat de spécialisation délivré à un candidat à la mention de spécialisation ayant fait état d’une pratique professionnelle limitée à un ou plusieurs des champs de compétence composant une des quinze spécialisations :
Par délibération du (…), le conseil d’administration du Centre Régional de Formation d’Avocats de (…) a
décerné le certificat de spécialisation de droit pénal
A M.
Avocat inscrit au Barreau de
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RIFORMA DELLA PROFESSIONE FORENSE E SPECIALIZZAZIONE
AIAF RIVISTA 3/2006
Eu égard à la pratique professionnelle spécialisée dont il a fait état dans les champs de compétence suivants:
Rappelant que M (…) a pris, dans la requête qu’il a présentée pour solliciter le certificat de spécialisation,
l’engagement de ne faire état dans tout document destiné à sortir de son cabinet que des champs de compétence désignés plus haut, pour lesquels sa pratique professionnelle spécialisée a été reconnue à l’exclusion
de la mention de spécialisation à laquelle ils appartiennent.
Et qu’il a également pris l’engagement de cesser de faire état de ces champs de compétence sur tout document destiné à sortir de son cabinet dès lors qu’il n’aurait pas respecté les obligations de formation permanente déterminées par le Conseil National des Barreaux pour les avocats spécialistes.
Fait à
Le
Le président du conseil d’administration
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AIAF
IL NUOVO STATUTO DELL’AIAF NAZIONALE
Approvato a Roma il 16 dicembre 2006 dall’Assemblea nazionale dei delegati AIAF
STATUTO
dell’associazione nazionale denominata
Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i minori
AIAF
Articolo 1 - Scopi
L’Associazione Italiana degli Avvocati per la Famiglia e per i Minori, con la denominazione AIAF, con sede in Roma è un’associazione di rappresentanza e di categoria senza fini di
lucro che opera sul territorio nazionale, aperta all’adesione di avvocati che esercitano la
professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori.
L’Associazione si propone:
a) di promuovere la rappresentanza associativa tra gli avvocati che esercitano la professione, con continuità o prevalentemente, nel settore del diritto di famiglia e dei minori.,
b) di fornire ai cittadini che si accingono a scegliere il professionista al quale affidare la
propria difesa un criterio fondato sulla capacità tecnica ed di conseguenza si propone di
dare pubblica visibilità ai requisiti professionali dei propri associati, e per il raggiungimento di tale finalità, ove previsto in via normativa, potrà chiedere un riconoscimento in
via amministrativa che sancisca la legittimazione socioeconomica della loro funzione nel
mercato dei servizi professionali.
c) di garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto e delle norme deontologiche e di conseguenza prevede come requisito di iscrizione all’associazione l’inesistenza di sanzioni sostanziali disciplinari definitive a carico degli associati.
d) di garantire ulteriormente i cittadini prevedendo l’obbligo per i propri associati di avere in atto una assicurazione professionale.
e) di provvedere anche tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e
minorile civile e penale alla specializzazione e formazione continua degli associati e di
quanti, in possesso dei requisiti, vorranno raggiungere una specializzazione in materia
di diritto di Famiglia e minorile civile e penale, nonché alla costante verifica di professionalità per gli iscritti dandone comunicazione al CNF e agli Ordini; di rilasciare, sempre tramite la Scuola di Alta Formazione AIAF in diritto di famiglia e minorile civile e
penale attestati di competenza riguardanti la qualificazione professionale, tecnico-scientifica e le relative specializzazioni, assicurando che tali attestati siano preceduti da una
verifica di carattere oggettivo, abbiano un limite temporale di durata e siano redatti sulla base di elementi e dati concernenti la professionalità e le relative specializzazioni
direttamente acquisiti o in possesso dell’associazione;
f) di promuovere il dibattito sulle tematiche della famiglia e della condizione giovanile, con
particolare riferimento alle esigenze di miglioramento e di riforma della legislazione
familiare e minorile;
g) di incoraggiare, in una prospettiva multidisciplinare, il confronto e la collaborazione con
le altre figure professionali che si occupano dell’età evolutiva e della famiglia;
h) di favorire, soprattutto tra le giovani generazioni di avvocati, l’acquisizione di una competenza adeguata alla complessità dei problemi della famiglia, dell’infanzia e dell’adolescenza, contribuendo di conseguenza al pieno rispetto dei diritti di ogni persona coinvolta
in un procedimento giudiziario, anche attraverso corsi di formazione ed aggiornamento.
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AIAF
AIAF RIVISTA 3/2006
Essa pertanto, svolgerà ogni attività, di carattere formativo, didattico, editoriale, culturale
per promuovere l’attività dell’avvocato nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori. L’associazione promuoverà, inoltre, direttamente e/o in collaborazione con altre Associazioni,
Enti Pubblici e Privati, ogni iniziativa ritenuta utile e/o necessaria al raggiungimento dello
scopo sociale.
Articolo 2 - Organizzazione
L’AIAF per il conseguimento dei propri scopi sull’intero territorio nazionale, l’AIAF opera
anche tramite associazioni territoriali denominate “AIAF-Regioni”.
Il Comitato Direttivo Nazionale dell’Associazione riconosce quali associati dell’AIAF
Nazionale le Associazioni costituitesi a livello regionale. Il Comitato Direttivo Nazionale ove
lo ritenga opportuno, ai fini del raggiungimento degli scopi di cui al art.1 e secondo un equo
principio di distribuzione delle Associazioni, e di numero di soci - può autorizzare, a maggioranza dei voti, la costituzione di una Associazione distrettuale denominata “AIAFDistretto”avente le medesime caratteristiche di autonomia e poteri delle Associazioni Regionali. Le AIAF distrettuali sono rappresentate al Comitato direttivo Nazionale solo dal Presidente dell’Associazione Distrettuale. In ogni caso non possono esistere più di due AIAF (del
Capoluogo e Distrettuale) nella medesima regione.
Le “AIAF Regionali” e “Distrettuali” operano sul territorio delle singole Regioni Italiane,
sono costituite in conformità ai principi stabiliti dal presente Statuto e dal Regolamento di
Funzionamento delle Associazioni Regionali, parte integrante del presente Statuto. Lo Statuto delle “AIAF Regionali” e “distrettuali” dovrà essere uniformato al modello deliberato
dal Comitato Direttivo Nazionale. Detto modello non è modificabile nelle sue parti essenziali. Gli Statuti locali entrano in vigore solo dopo l’approvazione definitiva e la ratifica del
Comitato Direttivo Nazionale.
Le Associazioni Regionali/Distrettuali non possono avere un numero di soci inferiore a quello stabilito dal Comitato Direttivo Nazionali. Il Presidente Regionale/Distrettuale è garante della politica dell’AIAF sul suo territorio, cura e controlla la gestione amministrativa
della Sezione Regionale/di-strettuale e ne è il Legale Rappresentante.
Le Associazioni Regionali/Distrettuali sono tenute a conformarsi alle linee programmatiche
stabilite dal Comitato Direttivo Nazionale. Le cariche delle Associazioni Regionali/Distrettuali hanno la stessa durata di quelle nazionali, ma devono essere rinnovate almeno 30 giorni prima del rinnovo di quelle nazionali.
Articolo 3 – Soci
Potranno essere soci dell’A.I.A.F tutti gli avvocati, regolarmente iscritti all’ordine di appartenenza, che esercitano la professione con continuità o prevalentemente nel settore del diritto di famiglia e dei minori.
Per aderire all’AIAF in qualità di socio, sarà necessario avanzare domanda al Comitato
Direttivo Regionale/Distrettuale ove costituiti o al Comitato Direttivo Nazionale, laddove non
sia costituita la Associazione Regionale/Distrettuale essere iscritto all’albo da almeno quattro
anni, di garantire il rispetto del regolamento dell’Associazione allegato al presente statuto e
di non avere o avere avuto sanzioni disciplinari sostanziali definitive; di avere in atto e mantenere durante tutto il periodo di iscrizione all’associazione una assicurazione professionale.
I1 Comitato Direttivo Regionale/Distrettuale ove costituiti o il Comitato Direttivo Nazionale, laddove non sia costituita la Sezione Regionale/Distrettuale, ricevuta la domanda, delibera in merito alla sua accettazione o meno entro centoventi giorni dalla sua ricezione.
All’accettazione della richiesta di iscrizione, il socio dovrà versare la quota di iscrizione,
nella misura stabilita per l’anno in corso dal Comitato Direttivo Nazionale.
In caso di mancata accettazione della domanda a socio, il Comitato Direttivo
Regionale/Distrettuale ove costituiti o il Comitato Direttivo Nazionale, laddove non sia
costituita la Associazione Regionale/Distrettuale, è tenuto ad indicare i motivi della propria
decisione.
Il socio che aderisce all’AIAF è automaticamente iscritto alla Associazione Regionale eventualmente costituita sul territorio di appartenenza. La decadenza della qualifica di associato comporta la decadenza anche dalla Associazione Regionale/Distrettuale.
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
AIAF
Articolo 4 - Patrimonio
Il patrimonio dell’AIAF è costituito dai contributi dei soci, dai beni acquistati con questi
contributi nonché da eventuali legati e donazioni. La gestione del patrimonio è curata dal
Legale Rappresentate dell’associazione, nominato secondo quanto disposto dal successivo
articolo 10.
I contributi vengono riscossi dalle Associazioni Regionali/Distrettuali entro il trentuno marzo di ogni anno, salve le nuove iscrizioni. Le Associazioni Regionali / Distrettuali dovranno
provvedere al versamento della quota annualmente stabilita dal Comitato Direttivo Nazionale, sul conto corrente dell’AIAF Nazionale entro i trenta giorni dalla ricezione della quota.
Articolo 5 - Bilanci
L’esercizio finanziario dell’associazione ha inizio il 1^ gennaio e termina il 31 dicembre di
ciascun anno. Entro il 28 febbraio di ogni anno il Comitato di Presidenza, su proposta del
Legale Rappresentate, deve predisporre il rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo
dell’anno in corso da sottoporre all’approvazione del Comitato Direttivo Nazionale. Il
Comitato Direttivo Nazionale deve convocare l’Assemblea Generale dei Soci per l’approvazione del rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, entro 120
giorni dalla chiusura dell’esercizio. Il rendiconto ed il preventivo devono rimanere depositati presso la sede dell’Associazione, per almeno i 15 giorni precedenti all’assemblea generale dei soci, e devono essere inviati in copia alle Associazioni Regionali/Distrettuali, almeno 15 giorni prima della data fissata per l’Assemblea.
Articolo 6 - Diritti e obblighi dei soci
I soci dell’AIAF, in regola con la quota di iscrizione, godono dell’elettorato attivo e passivo rispetto a tutte le cariche; essi sono tenuti al pagamento di un contributo annuale nella
misura che verrà determinata dal Comitato Direttivo Nazionale.
A partire dal 2007 potranno essere soci dell’AIAF coloro che siano iscritti all’albo da almeno quattro anni e che svolgano in via prevalente o continuativa l’attività professionale nell’ambito del diritto di famiglia e/o minorile civile e penale. In via transitoria gli iscritti all’associazione al 31 dicembre 2006 potranno rinnovare la propria iscrizione pur se iscritti all’albo da tempo inferiore in considerazione della partecipazione all’attività associativa ed alla
frequenza dei corsi dalla medesima organizzati, attestati dalla regione di appartenenza.
Il versamento del contributo annuale viene eseguito a cura dell’associazione aderente di
appartenenza del socio.
La qualità di associato si perde:
1. per sopravvenuti motivi di incompatibilità;
2. per aver commesso atti in contrasto con le finalità ed il buon nome della associazione;
3. per accertate gravi inadempienze o di sostanziali mutamenti nell’attività dell’associato
che rendano incompatibile o pregiudizievole la sua permanenza nell’associazione;
4. per morosità protratta per oltre un esercizio;
5. per recesso, da comunicarsi per iscritto, almeno tre mesi prima dello scadere dell’anno
sociale;
6. per la perdita dei requisiti personali in base ai quali è stata deliberata l’ammissione.
7. per il mancato rispetto del regolamento dell’Associazione;
8. per l’irrogazione di sanzioni disciplinari sostanziali definitive;
9. per non avere in corso l’assicurazione professionale prevista dall’articolo 3 comma 2 del
presente statuto;
10. per non aver frequentato quale docente o discente almeno due iniziative di aggiornamento professionale specialistico promosse dall’associazione nell’anno.
La perdita della qualità di associato è deliberata, previa audizione dell’interessato ed il
parere dei probi viri, dal Comitato Direttivo Nazionale di propria iniziativa o su richiesta
del Comitato Direttivo della Associazione Regionale/Distrettuale di appartenenza del socio.
Il socio escluso non ha diritto alla restituzione delle quote associative versate.
Articolo 7 – Organi dell’associazione
Sono organi dell’AIAF:
A) l’Assemblea Generale dei Soci;
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AIAF
AIAF RIVISTA 3/2006
B) il Comitato Direttivo Nazionale;
C) il Comitato di Presidenza ed il Legale Rappresentante dell’associazione;
D) il Collegio dei Probiviri.
Le elezioni a qualsiasi carica collegiale devono avvenire per iscritto e sempre con voto limitato a due terzi (arrotondati per eccesso) degli eligendi.
Il componente di qualsiasi organo collegiale che non partecipa, senza giustificato motivo a
più di tre riunioni consecutive del consesso di cui fa parte viene dichiarato decaduto dall’organo di appartenenza che provvede alla sua sostituzione.
Gli organi collegiali durano in carica per un triennio e le cariche di cui al comma precedente sono rinnovabili anche consecutivamente.
Articolo 8 - Assemblea Generale dei Soci
L’Assemblea Generale dei Soci è costituita da un rappresentante dei soci aventi sede in
regioni ove non sia costituita una associazione AIAF regionale/distrettuali, detto rappresentante sarà eletto a maggioranza semplice dei soci di detta regione, ovvero dai delegati
delle Associazioni Regionali/Distrettuali costituite, in misura pari a un delegato ogni dieci
soci ed in caso di loro impedimento dai delegati supplenti.
Ogni partecipante all’Assemblea Generale dei Soci ha un voto e non può avere deleghe.
L’assemblea delibera, anche per le modifiche dello Statuto, con le maggioranze previste nell’art. 21, comma 1, del codice civile.
L’Assemblea Generale ordinaria è convocata dal Comitato di Presidenza, almeno una volta
l’anno per l’approvazione del rendiconto annuale e del bilancio di previsione.
L’Assemblea Generale straordinaria è convocata d’iniziativa del Comitato di Presidenza o
quando ne facciano richiesta cinque Presidenti Regionali/Distrettuali, per questioni di rilevante interesse associativo.
L’Assemblea Generale, ordinaria e straordinaria, viene convocata dal Comitato di Presidenza con avviso di convocazione spedito al domicilio di tutti i delegati, con lettera raccomandata, e-mail, fax o altro mezzo equivalente, purché ne sia certa l’avvenuta ricezione,
almeno 30 giorni prima di quello fissato per l’adunanza. In caso di urgenza il termine di
convocazione può essere ridotto a 15 giorni.
L’Assemblea Generale dei Soci è presieduta da uno dei componenti il Comitato di Presidenza
e, in caso di impedimento, dal membro più anziano del Comitato Direttivo. Il Presidente dell’assemblea di turno nomina il segretario dell’assemblea per la redazione del verbale.
Spetta all’assemblea:
1. fornire le indicazioni per l’attuazione degli scopi sociali;
2. eleggere ogni 3 anni i componenti non di diritto del Comitato direttivo;
3. approvare la relazione annuale del Comitato di presidenza;
4. approvare annualmente il rendiconto di gestione ed il bilancio di previsione;
5. approvare le modifiche dello statuto.
Articolo 9 - Comitato Direttivo Nazionale
Il Comitato Direttivo Nazionale è composto, di diritto, dai Presidenti delle Associazioni
Regionali / Distrettuali e da un massimo di venti soci eletti dall’Assemblea Generale dei
Soci, in modo che ciascuna Regione, proporzionalmente al numero dei soci, non abbia più
di due rappresentanti eletti.
Il Comitato Direttivo Nazionale elegge al suo interno:
a) il Comitato di Presidenza, composto al massimo da tre membri;
b) il Direttore Responsabile della rivista;
Il Comitato Direttivo Nazionale può eleggere un tesoriere.
Il Comitato Direttivo:
a. determina la politica associativa;
b. indica le linee programmatiche dell’associazione;
c. approva annualmente il rendiconto annuale ed il bilancio di previsione predisposto dal
Comitato di Presidenza e lo sottopone all’approvazione dell’Assemblea Generale dei
soci, ai sensi del precedente articolo 3;
d. presenta le eventuali proposte di modifica dello statuto;
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SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
AIAF
e. delibera in ordine alle nuove domande di adesione all’associazione in assenza della
Associazione Regionale/Distrettuale;
f. stabilisce annualmente le quote sociali e l’ammontare del contributo che l’Associazione
Regionale/Distrettuale deve versare all’Associazione Nazionale;
g. emana e modifica il regolamento interno.
Il Comitato Direttivo Nazionale si riunisce almeno tre volte l’anno per la programmazione,
la discussione e la verifica delle iniziative associative. La riunione dovrà essere convocata
almeno 20 giorni prima della relativa seduta con lettera raccomandata, e-mail, fax o altro
mezzo equivalente, purché ne sia certa l’avvenuta ricezione. In caso di urgenza il termine di
convocazione può essere ridotto a 10 giorni.
Il Comitato Direttivo Nazionale è presieduto da uno dei componenti il Comitato di Presidenza a turno e può eleggere al suo interno un Segretario per l’organizzazione del lavoro e
per la redazione del verbale delle riunioni. Il verbale verrà inviato, a cura del presidente di
turno del Comitato Direttivo, a tutti i componenti anche a mezzo fax o e-mail.
Articolo 10 - Comitato di presidenza
Il Comitato di Presidenza ha i poteri decisionali ed operativi del Comitato Direttivo, salvo
quelli riservati per Statuto al Comitato.
Il Comitato di Presidenza, elegge al suo interno, il Legale Rappresentante dell’Associazione, che ha i poteri di legge.
Il Comitato di Presidenza, predispone la relazione annuale da sottoporre unitamene al rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo dell’anno in corso, al comitato Direttivo
Nazionale.
Il Comitato di Presidenza, predispone il rendiconto dell’anno precedente ed il preventivo
dell’anno in corso, da presentare al Comitato Direttivo Nazionale entro il 28 febbraio di
ogni anno.
Il Comitato di Presidenza dura in carica tre anni e può essere rieletto.
Articolo 11 - Collegio dei Probiviri
Il Collegio dei Probiviri è composto da tre membri eletti, ogni triennio, dall’Assemblea
Generale dei Soci tra gli iscritti alle associazioni aderenti. Il collegio dei probiviri dura in
carica un triennio, in quanto i suoi membri conservino la qualità di iscritti a un’associazione aderente; la perdita di tale qualità comporta la sostituzione con un supplente, fino allo
scadere del triennio.
Il Collegio elegge al suo interno un Presidente e giudica inappellabilmente, senza formalità
e secondo equità, su ogni controversia tra soci e Organi Centrali e su quanto attiene all’osservanza del presente Statuto, del regolamento e del codice deontologico forense.
Deve essere rimessa pregiudizialmente al Collegio dei Probiviri qualsiasi controversia tra
soci, tra soci e associazione, anche in relazione alla interpretazione del presente Statuto.
Articolo 12 - Durata
L’Associazione ha durata illimitata e il suo scioglimento può essere deliberato dall’Assemblea la quale provvederà alla nomina di un liquidatore e delibererà in ordine alla devoluzione del patrimonio.
La devoluzione del patrimonio associativo in caso di scioglimento per qualunque causa dell’Associazione avverrà a favore di associazioni con finalità analoghe o a fini di pubblica utilità.
Articolo 13 - Rinvio
Per tutto quanto non previsto nel presente Statuto si fa riferimento al codice civile e alle
disposizioni di legge in materia.
Articolo 14- disposizioni transitorie
Statuto e Regolamento di funzionamento delle Associazioni Regionali, parte integrante del
presente statuto, entrano in vigore al momento stesso della loro approvazione da parte degli
organi a ciò preposti.
Gli associati e gli organi statutari attualmente in carica dovranno adeguarsi alle nuove normative previste dal presente Statuto, entro il 31.03.2007.
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AIAF
AIAF RIVISTA 3/2006
L’AIAF VERSO IL CONGRESSO 2007
L'AIAF è arrivata all'appuntamento congressuale in un momento di grande impegno della classe forense ed in particolare di tutte quelle associazioni, come la nostra, che hanno fatto della
specializzazione e della formazione continua degli avvocati una bandiera distintiva rispetto alle
associazioni generaliste.
Non vi è dubbio che negli anni ci siamo trasformati da associazione culturale che si poneva l'obiettivo, utile ed interessante, cui non pensiamo di rinunciare, di approfondimento dei temi della famiglia e delle connesse problematiche di diritto sostanziale e processuale, in una associazione capace di rappresentare gli interessi di quei Colleghi che svolgono attività nel campo del
diritto di famiglia e minorile.
Per questo è necessario essere capaci di esprimere il nostro punto di vista su questioni quali la
formazione e l'aggiornamento professionale, la specializzazione, l'ordinamento professionale,
la politica legislativa che ci riguarda in quanto avvocati e quella che riguarda il diritto di famiglia e minorile ( in questo momento i temi all'attenzione del Parlamento sono davvero molti: la
riforma ordinamentale in materia di diritto di famiglia e minorile, il cognome, i pacs, il testamento biologico..).
Questa è senza dubbio una sfida impegnativa, sfida che dobbiamo essere pronti a raccogliere
con entusiasmo ed impegno, utilizzando concretamente tutte le potenzialità della nostra associazione, facendo conto anche sull'impegno di forze giovani ed entusiaste nell'ambito di un
necessario processo di rinnovamento.
Non vi è dubbio che questo appuntamento congressuale è di grande importanza anche perché
ci consentirà di riflettere su quelle che sono state le esperienze passate e di comprendere come
aggiornare e raddrizzare la barra del timone dell'associazione per renderla adeguata ai tempi ed
agli impegni che ci attendono, e perché la stessa possa esprimere al meglio tutte le potenzialità
che la caratterizzano.
Già da tempo, proprio in considerazione dell'importanza del momento che l'associazione si
accinge a vivere, abbiamo invitato i rappresentanti delle istituzioni, nonché i rappresentanti delle più importanti associazioni forensi di magistrati a partecipare alla giornata del 24 maggio
2007 e già abbiamo raccolto le prime adesioni e dichiarazioni di disponibilità a partecipare .
Auspichiamo pertanto la più ampia partecipazione dei soci dell'AIAF a questo importante
appuntamento congressuale.
AVV.
102
MARINA MARINO
SETTEMBRE - DICEMBRE 2006
AIAF
CONGRESSO
NAZIONALE
AIAF
ROMA, 24 - 26 MAGGIO 2007
Giovedì 24 maggio 2007
Sabato 26 maggio 2007
Ore 16
Cerimonia inaugurale
Saluti degli invitati
Relazione di sintesi degli ultimi tre anni
dell'Associazione
Ore 9
3a sessione:
“L'attività di formazione specialistica e di
aggiornamento professionale dell'AIAF”
Relazione introduttiva
Avv. Milena Pini
Dibattito congressuale
Ore 19
Cocktail
Venerdì 25 maggio 2007
Ore 9,30
1a sessione
“L'AIAF esperienza passata e proposte
per il futuro”
Relazione introduttiva
Avv. Marina Marino
Dibattito congressuale
Ore 13,30
Colazione di lavoro
Ore 13
Colazione di lavoro
Ore 14,30
4a sessione:
“Proposte modifica statuto”
Relazione introduttiva
Dibattito congressuale
Ore 17,30
Presentazione ed approvazione delle mozioni
congressuali
Elezione e proclamazione dei componenti degli
organismi nazionali
Chiusura lavori
Ore 15
2a sessione
Ore 21,30
“Proposte AIAF in tema di Ordinamento forense” Cena di gala
Relazione introduttiva
Avv. Luisella Fanni
Dibattito congressuale
Ore 21
Spettacolo
Si ricorda che ai sensi dello statuto dell'AIAF nazionale tutti i soci possono partecipare ai lavori congressuali, mentre gli organismi nazionali vengono eletti dai delegati delle AIAF regionali e distrettuali, a loro
volta eletti nei Congressi che saranno precedentemente convocati in sede locale.
Verranno rese note prossimamente le modalità di partecipazione al Congresso.
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AIAF RIVISTA 3/2006
AIAF
AIAF - ORGANI STATUTARI
Consiglio di Presidenza
Marino Marina (rappresentante legale)
Fanni Luisella
Dionisio Antonio
Comitato Direttivo Centrale
Presidenti delle sezioni regionali:
Serafini Maria Carla
viale Leopoldo Muzii 100, 65123, Pescara; tel 085.4214275, fax 085.4229715; [email protected]
Mendicino Stefania
via del mare, 88040, Lamezia Terme (CZ); tel. 0968.51003; [email protected]
Campania - Napoli: Delcogliano Erminia
via Scipione Capece 3/c, 80121, Napoli; tel. 081.640726 - 0824.312909
Campania - Salerno: Gassani Gian Ettore
corso Vittorio Emanuele 203, 84122 Salerno; tel/fax 089.220254; [email protected]; www.studiolegalegassani.it
Emilia Romagna:
Fabj Ada Valeria
via Garibaldi 5, 40124, Bologna; tel 051.581706, fax 051.581329; [email protected]
via Nazario Sauro 3, 33100, Udine; [email protected]
Friuli Venezia Giulia: Montemurro Maria
Lazio:
Marino Marina
viale Mazzini 9 -11, 00195, Roma; tel 06.3202351, fax 06.3202345; [email protected]
Liguria:
Figone Alberto
piazza Leonardo da Vinci, 2/3, 16146 Genova; tel 010.367908, fax 010.367908
Lombardia:
Pini Milena
Galleria Buenos Aires 1, 20124, Milano; tel 02.29525195, fax 02.29531352; [email protected]
Marche:
Pelamatti Cagnoni Anna via Calatafimi 2, 60121, Ancona; tel 071.202108, fax 071.200972; [email protected]
Piemonte:
Scolaro Antonina
corso Re Umberto 28, 10128, Torino; tel 011.5617102, fax 011.5617188; [email protected]
Puglia:
Marseglia Ada
via Tasso 12, 72019, S.Vito dei Normanni (BR); tel 0831.951611, fax 0831.952872; [email protected]
Sardegna:
Fanni Luisella
via Deledda 39, 09127, Cagliari; tel.070.663904, fax 070.663904; [email protected]
Sicilia:
D’Agata Remigia
via G.Almirante 15/17, 95030, Tremestieri Etnero (CT); tel 095.4032053, fax 095.4034393; [email protected]
Toscana:
Cecchi Manuela
via Bonifacio Lupi 14, 50129, Firenze; tel 055.494284, fax 055.486912; [email protected]
Umbria:
Tiburzi Maria Rita
viale Indipendenza, 06124, Perugia; tel 075.5726151, fax 075.5726151; [email protected]
Veneto:
Sartori Alessandro
via Dominutti 20, 37135, Verona; tel 045.8011711, fax 045.8002752; [email protected]
Abruzzo:
Calabria:
Componenti eletti:
Abram Daniela
via Barberia 14, 40100 Bologna; tel. 051.583338
Alessio Franca
via Roma 45, 22053, Lecco; tel 0341.282181, fax 0341.286164; [email protected]
Bet Enrico
p.zza della Vittoria 11/16, 16121, Genova; tel 010.5959159-010.580117, fax 010.5760014; [email protected]
Bond Lorenza
via D’Azeglio 27, 40123, Bologna; tel 051.6486123, fax 051.6565579
Cacco Maria Paola
via Longhin 121, 35129, Padova; tel 049.774276, fax 049.776909; [email protected]
Dama Rosanna
viale Costituzione Is.G/1, 80143, Napoli; tel 081.7879271, fax 081.7879274
De Strobel Gabriella via Santa Chiara 15, 37129, Verona; tel 045.594301, fax 045.8011023
Dionisio Antonio
c.so Vittorio Emanuele 92, 10121 Torino; tel. 011.5613742, fax 011.5613982; [email protected]
Geraci Diego
via D’Annunzio 62, 95129 Catania; tel. 095.552183, fax 095.445011; [email protected]
Macis Valentina
via Rossini 61, 09128, Cagliari; tel.070.41082, fax 070.485101; [email protected]
Maggiano Liana
via Assarotti 10/18, 16122 Genova; tel. 010.8313041, fax 010.816805; [email protected]
Marcucci Carla
via Francesco Carrara 28, 55100 Lucca; tel. 0583.495616, fax 0583.490484; [email protected]
Marinucci Anna
piazza Duomo 11 / B, 07100, Sassari; tel e fax 079.235548; [email protected]
Mirto Caterina
via Agrigento 51, 90141, Palermo; tel 091.6257151, fax 6254575; [email protected]
Montano Maria Gigliola piazza Benamozegh 17, 57123, Livorno; tel 0586.891084, fax 0586.899857; [email protected]
Morandi Nicoletta
viale Carso 51, 00195, Roma; tel. 06.3720292, fax 06.37352806; [email protected]
Pacciarini Anna Maria via Marconi 3, 06012 Città di Castello (PG); tel. 075.8554434, fax 075.8554434; [email protected]
Pomarici Costanza
via Lucrezio Caro 38, 00193, Roma; tel 06.3244839, fax 06.32609700
Quattrone Mirella
via Varese 67, 22100, Como; tel 031.272461, fax 031.271647; [email protected]
Collegio dei probiviri
Ferraris Giovanna
Lupo Marina
Pozzi Angela
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via Manzoni 3, 21100, Varese; tel 0332.234601, fax 0332.835255; email [email protected]
corso Italia 29, 50123 Firenze; tel. 055.286207, fax 055.2645821; [email protected]
via Rubbiani 1, 40124, Bologna;tel 051.580096, fax 051.580759