Lo stalking e l`infermiere

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CONTRIBUTI
• Le stalking e l’infermiere
Lo stalking e l’infermiere
di Isabella Merzagora Betsos1, Giovanni Muttillo2, Guido Vittorio Travaini3
1
Prof. associato Cattedra di Criminologia – Sezione di Medicina Legale, Università degli Studi di Milano
2
3
Presidente Collegio IPASVI Milano – Lodi
Docente Master in Infermieristica e Ostetricia Legale e Forense – Sezione di Medicina Legale, Università degli Studi di Milano
L
o stalking consiste nel ripetuto e insistente tentativo
di imporre contatti e/o comunicazioni indesiderate e
talora può evolvere in modi particolarmente violenti.
Qualche volta esso ha inizio con condotte socialmente
accettate, ma diviene via via più insistente e molesto: fra
i comportamenti di stalking vi sono comunicazioni continue e insistenti attraverso il telefono o la posta, invio di
e-mail e SMS, messaggi lasciati sul parabrezza dell’automobile o alla porta di casa, appostamenti, “spionaggio” e
sorveglianza continui anche sul posto di lavoro, recapito
di doni o oggetti non voluti, e ancora danni all’abitazione
o ai beni della vittima. Lo stalker può prendersela anche
con i familiari e gli amici della vittima principale; in questo
caso si parla di “vittime secondarie”.
Fra le possibili conseguenze dello stalking vi è l’insorgenza
di quadri di interesse psichiatrico: disturbi d’ansia, disturbi
dell’adattamento, disturbi dell’umore, mutamenti caratteriali con comparsa o accentuazione di sospettosità, paurosità,
introversione, stato di allarme; la tipica triade sintomatologica caratterizzata da hopelessness (mancanza di speranza),
helplessness (senso di non poter essere aiutati) e worthlessness
(sentimento di autosvalutazione). In taluni casi si può arrivare anche al Disturbo post-traumatico da stress.
Oggi il fenomeno dello stalking ha trovato accoglienza
nell’art. 612-bis del Codice penale che recita: «Salvo che
il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione
da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate,
minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare
un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo
congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal
coniuge legalmente separato o divorziato o da persona che sia
stata legata da relazione affettiva alla persona offesa […]».
Quello fra partner o ex partner è lo stalking più diffuso e
che maggiormente preoccupa, ma non mancano altre specie: lo stalking del dipendente o del datore di lavoro, quello
che colpisce personaggi famosi e quello che vede come vittime determinati professionisti, fra cui gli infermieri. Verso
quest’ultimo non sembra esserci lo stesso interesse politico,
mediatico e scientifico.
In particolare, tutti gli studiosi che si sono occupati del fenomeno concordano con l’affermare che lo stalking che colpisce gli appartenenti alle professioni sanitarie sia il meno
Corrispondenza: [email protected]
studiato, a dispetto della particolare vulnerabilità di costoro
in considerazione del tipo di occupazione. Questi professionisti, infatti, incontrando i bisogni di aiuto e affetto delle
persone, possono essere oggetto di proiezioni e anche di
desideri di rivalsa.
Nell’ottobre del 2000 Smoyak ha somministrato un questionario a 165 infermieri psichiatrici; fra i 57 che hanno
risposto, il 36,8% era stato vittima di stalking da parte di
maschi (95%). Il 33,3% degli stalker erano pazienti, altri
erano partner o conoscenti o sconosciuti.
Ashmore et al. hanno distribuito un questionario autosomministrato di 55 item a 400 infermieri psichiatrici britannici, ottenendo risposte da 112 soggetti: la metà di costoro riferiva almeno un’esperienza di stalking, una percentuale notevolmente
più alta di quella delle vittime di stalking nella popolazione
generale che, nel Regno Unito, è stimata intorno all’11,8%.
Il profilo della vittima che emerge dalla ricerca di Ashmore
et al. è quello di una donna (66,1% dei casi), di età compresa fra i 22 e i 60 anni, ma soprattutto appartenente alla fascia
dei 40-49 (media = 41); con più di 15 anni di esperienza lavorativa (49,1%). L’autore dello stalking in generale è nella
grande maggioranza dei casi un uomo, e così accade anche
nell’82,1% dei casi di Ashmore.
Il comportamento di stalking può cominciare gradualmente e con comportamenti inizialmente adeguati, solo un po’
insistiti, quali accessi troppo frequenti al sanitario, ripetute
telefonate per farsi spiegare meglio le prescrizioni o proposte di incontro al di fuori del contesto professionale. Altre
volte l’esordio è repentino.
Gli studiosi sono concordi nel constatare una notevole riluttanza a rivelare lo stalking da parte di chi è abituato a
considerare la propria professione in termini di aiuto, a
maggior ragione se il paziente è affetto da disturbo mentale. Alcuni professionisti, poi, temono che l’essere vittima
da parte di un paziente li possa far tacciare di incompetenza, che la rivelazione sia considerata con scetticismo,
oppure che si sospetti un precedente coinvolgimento con
il paziente stesso.
Gli infermieri dello studio di Ashmore hanno descritto
diverse strategie per affrontare l’esperienza di stalking:
parlarne con amici e parenti in cerca di aiuto, evitare di
essere sorpresi da soli, filtrare le telefonate, installare allarmi in casa, acquistare un’arma, cambiare le proprie abitudini giornaliere, cambiare il numero di telefono e persino
il posto di lavoro o l’abitazione o la città di residenza e
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chiamare la polizia. Più in generale, mentre alcuni ignorano lo stalker, altri – addirittura la metà del campione di
infermieri1 – cercano di farlo ragionare.
Ma che cosa effettivamente si può e si deve fare? È importante che la relazione con il paziente si mantenga sempre su
di un piano rigorosamente professionale, che questo venga
ribadito con chiarezza ai primi segnali di intrusione e che
si adottino misure quali contrarre la frequenza o la durata
delle visite. Galeazzi e De Fazio scrivono di una “distanza
salutare” e raccomandano di non rivelare dettagli personali.
Dopodiché, se il comportamento persiste, tutti sono
concordi nel ritenere che vada evitata ogni occasione di
comunicazione, di incontro, di negoziazione, di discussione, di tentativo di convincimento. Si deve aver ben
presente che qualsiasi comunicazione, anche se negativa,
finisce per rinforzare gli sforzi per mantenere i contatti e
quindi fa il gioco dello stalker. Stesso dicasi per i regali
non graditi: rimandarli indietro, sembra un paradosso,
gratifica lo stalker nel suo desiderio di vicinanza con l’oggetto della sua attrazione.
Prima ancora, non bisogna vergognarsi di riferire la persecuzione ai colleghi e soprattutto non ritenere, ingenuamente, di poter “fare ragionare” lo stalker.
Taluni cercano di sottrarsi alle persecuzioni telefoniche
cambiando numero di telefono, ma lo stalker di solito riesce in breve tempo a ottenere anche quello nuovo; meglio
allora non rispondere mai direttamente e lasciare inserita
la segreteria – il messaggio della segreteria telefonica non
dovrà essere registrato con la voce della vittima – anche al
fine di usare le registrazioni per dimostrare la persecuzione.
Infatti, poiché non è da escludersi un esito giudiziario della vicenda, la vittima dovrà documentare accuratamente
ogni episodio di stalking, annotando giorno e ora, tipo di
comportamento ed eventuali testimoni. Dovranno essere
conservati i messaggi e registrate le telefonate.
La via della denuncia è particolarmente consigliata in caso
il comportamento persista pur nel silenzio della vittima, e
a maggior ragione qualora vi siano minacce o escalation
nel comportamento molesto.
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1. Ashmore et al., 2006.
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Lo stalking è un fenomeno che certamente colpisce
chi esercita una professione in ambito sanitario, e lo
colpisce in misura probabilmente maggiore di quanto
accade alla popolazione generale, ma il fenomeno è
poco conosciuto e, soprattutto, non risulta che siano
offerti a queste vittime strumenti per affrontarlo e per
contenere i danni.
Per questo la Cattedra di Criminologia della facoltà
di medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di
milano e il Collegio iPASVi milano-Lodi hanno attivato
un progetto di ricerca con l’elaborazione di un questionario di prossima somministrazione. il questionario ha come scopo primario un’indagine conoscitiva
volta ad approfondire ambiti, situazioni e dinamiche di comportamenti molesti eventualmente subiti
dall’infermiere nell’esercizio della professione.
Alla luce dei risultati raggiunti, seguirà la predisposizione di un protocollo - piano di prevenzione/intervento a favore dei professionisti che ne sono vittime.
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