MAKIS SOLOMOS http://www.univ-montp3.fr/~solomos/ Musica contemporanea e società. Alcune questioni L’arte oggi ed in particolare la musica detta contemporanea, è ritenuta difficilmente accessibile. Eppure, appena si superano certi timori, si costata che ci tocca nel più profondo. Da qui forse le apprensioni; già a proposito di Arnold Schönberg, il filosofo della Scuola di Francoforte Theodor W. Adorno scriveva: «Le dissonanze, che offendono gli ascoltatori, parlano loro della loro propria condizione; è unicamente per questo che esse sono per loro insopportabili». Così, dai protagonisti storici della musica contemporanea fino agli artisti di oggi, l’opera musicale possiede una dimensione spesso latente, talvolta più manifesta: essa interroga, in un modo critico, la società e propone modi alternativi di organizzazione sociale. Cercheremo di mettere in evidenza questa dimensione attraverso qualche caso di studio quale la reinvenzione del sensibile o la critica dello spazio virtuale in alcuni compositori recenti. INTRODUZIONE La questione della relazione tra arte e società e, più particolarmente, tra musica e società, è una vecchia questione: essa risale almeno alla Grecia antica (Damone, Platone). È posta in ogni epoca in cui l’arte è minacciata di estinzione. Al contrario, quando l’arte è riconosciuta interamente come valore, si tende a dimenticarla (è il caso per esempio della dottrina de «l’arte per l’arte»). In questo inizio del XXI secolo in cui trionfa l’industria culturale, in cui l’arte è dunque nuovamente minacciata, essa ridiventa d’attualità. In effetti, la sfera economica dominante stima che l’arte in quanto tale non ha alcuna utilità sociale e che deve finire in «patrimonio» o in divertimento. È per questo che gli artisti che vogliono sopravvivere senza rinunciare all’arte affermano nuovamente il loro rapporto con la società e rinunciano ad ogni velleità di formare un mondo a parte. Ma quale legame può avere oggi l’arte più evoluta e raffinata – penso alla musica detta «contemporanea»: alle opere musicali di Luigi Nono, Luciano Berio, Salvatore Sciarrino, Iannis Xenakis, John Cage, Karlheinz Stockhausen, etc. – con la società? In cosa può essere utile alla società? L’artista può scegliere di impegnarsi in azioni concrete. Si può pensare ad un’arte destinata ai bambini, al loro risveglio. O ancora, ad un’arte destinata alle categorie più fragili: portatori di handicap, detenuti, etc. Allo stesso modo, l’arte, per il suo carattere universale (malgrado la specificità dei linguaggi), potrebbe servire ad alleviare le sofferenze degli immigrati e di altri emarginati. Tutte queste azioni sono meravigliose e possono effettivamente servire a riscoprire l’utilità sociale dell’arte. Tuttavia, è vero che esse tendono a diminuire il contenuto propriamente artistico o il profitto de «l’utilità» sociale (sebbene benvenuto). È per questo che numerosi artisti, numerosi compositori di musica detta contemporanea scelgono un’altra via, che passa per lo sviluppo più avanzato delle loro specificità, lo sviluppo più spinto del raffinamento dei mezzi propriamente artistici, ma secondo una logica in cui questo sviluppo, lontano dall’essere sinonimo del confinarsi in un mondo a parte (l’arte per l’arte), può servire allo sviluppo positivo della società. Non si tratta di un paradosso e tento di provarlo in questa conferenza. 1 ADORNO Prenderemo le mosse dal pensiero di uno dei più grandi filosofi della musica, Theodor W. Adorno, membro della Scuola di Francoforte, autore di libri su Beethoven, Malher, Berg, autore della celebre – ma oggi un po’ datata – Filosofia della nuova musica (pubblicata nel 1947), autore dell’Introduzione alla sociologia della musica, etc., autore anche della Teoria estetica (pubblicata postuma, nel 1969), e pure filosofo tout court, inventore della «dialettica negativa». Ci occuperemo della sua Introduzione alla sociologia della musica. Come marxista hegeliano, Adorno è sempre stato preoccupato dalla relazione tra musica e società: è il cuore del suo lavoro sulla musica. Tutte le sue riflessioni trovano in questa questione la loro motivazione di partenza e non è fortuito che il suo ultimo grande lavoro, la Teoria estetica, si concluda su un capitolo intitolato «Società». Per Adorno, ogni musica ha un contenuto sociale: ignorarlo costituisce una posizione «ideologica» (nel senso marxista del termine: una posizione per la quale è legittimata una situazione), che guarda solo alla «neutralizzazione della coscienza»1 – così, non comprendere che Beethoven esprime la borghesia rivoluzionaria, è dello stesso ordine che non comprendere il contenuto puramente musicale della sua opera2. Di conseguenza, il compito vero di una sociologia della musica non è elaborare una disciplina autonoma – che studierà la musica da una prospettiva sociologica, come la storia la affronta con uno sguardo storico, la teoria ne esamina i fondamenti teorico-musicali o l’estetica la pensa filosoficamente –, ma di chiarire il «contenuto ideologico», «l’effetto ideologico della musica», per sfociare in «una teoria critica della società» 3. È per questo che l’Introduzione alla sociologia della musica non saprebbe accontentarsi degli studi sociologici dell’epoca, essenzialmente empirici. Del resto, il libro avrebbe benissimo potuto intitolarsi «Fondamenti di una sociologia non-positivista della musica». Attraverso l’opera, si troveranno altre tre critiche riguardo alla sociologia empirica: l’assenza di riflessione teorica alla base 4; il fatto che tende a ridurre la musica ad un semplice stimolo, ad un qualunque oggetto di consumo5; soprattutto – perché da ciò conseguono le altre critiche –, la sua impasse sul contenuto propriamente musicale6. Quest’ultima critica ci permette di affrontare la posta in gioco essenziale del pensiero socio-musicale di Adorno. Spiegare le relazioni tra la società e la musica stessa: ecco senza dubbio il leitmotiv dell’Introduzione alla sociologia della musica come, senza dubbio, la ragion d’essere di tutti gli scritti di Adorno sulla musica. Adorno riconosce che l’immaterialità dell’arte dei suoni pone un problema rispetto alla decodifica del suo contenuto sociale 7. Tuttavia, non è una ragione per centrare lo studio sugli aspetti sociali esteriori alla musica in quanto opera d’arte autonoma. Così, la sociologia che focalizza il suo discorso sulla ricezione o sul mercato musicale non afferra l’essenziale; ascoltiamolo: «La distribuzione e la ricezione sociale della musica sono semplici epifenomeni; l’essenza è la costituzione sociale oggettiva della musica in sé»8; una autentica sociologia della musica dovrebbe determinare le questioni che applica alle sue due sfere secondo le questioni «sul contenuto sociale della musica e l’interpretazione teorica della sua funzione»9. Ancora, l’analisi dell’origine sociale dei compositori non offre un grande interesse: non solo perché questa origine non si traduce letteralmente in suoni 10, ma anche, e soprattutto, perché, in ultima analisi, è in ogni modo relativamente omogenea 11 – i compositori si presentano socialmente come «postulanti» e «perciò esiste tanta musica gaia», nota Adorno in 1 Theodor W. Adorno, Introduction à la sociologie de la musique, traduzione in francese V. Barras e C. Russi, Genève, Contrechamps, 1994, p. 68. 2 Cf. idem. 3 Ibid, p. 228. 4 Ibid, p. 7. 5 Ibid, p. 6. 6 Ibid, p. 202. 7 Ibid, p. 200. 8 Ibid, p. 202. 9 Ibid, p. 202-203. 10 Ibid, p. 63. 11 Ibid, p. 64. 2 una di quelle formulazioni lapidarie che si interpretano talora come aforismi 12. Infine, riprodurre a distanza il pensiero non-musicale di un compositore rischia di degenerare in ideologia – altro esempio che può scandalizzare: «il pathos beethoveniano dell’umanità, pensato criticamente quando occorre, può essere degradato al rango di rituale che celebra l’esistente, qual è. Questo cambiamento di funzione è valso a Beethoven la posizione di un classico, di cui occorrerebbe liberarlo»13. Si tratta dunque di apprendere il contenuto sociale di un’opera in ciò che ha di propriamente musicale. È il senso del primo capitolo dell’Introduzione alla sociologia della musica (all’origine del quale si trovano gli studi di Adorno del 1939 per il Princeton Radio Research Project) che, interpretato diversamente, può prestarsi a dei malintesi. In questo capitolo, Adorno classifica gli ascoltatori e li etichetta secondo una gerarchizzazione molto rigorosa, in apparenza molto elitaria: «l’esperto», il «buon ascoltatore», il «consumatore di cultura», «l’ascoltatore emozionale», «l’ascoltatore con risentimento», colui che ascolta «la musica come divertimento», «colui che è contro la musica» 14. Il proposito di Adorno non è, ci sembra, di costruire una torre d’avorio. Gli «esperti» sono spesso criticati nel suo libro e rimprovera alla musica del dopoguerra di essere diventata un «dominio specializzato» 15. Si tratta piuttosto di affermare che una tipologia degli ascoltatori non può essere elaborata a partire dai loro propri comportamenti: il criterio deve essere l’adeguamento del loro ascolto alla musica stessa. Gli ascoltatori che si allontanano da questo adeguamento non propongono un altro tipo di ascolto: semplicemente, subiscono la reificazione dell’opera musicale, che diventa allora oggetto di consumo (questo capitolo deve essere compreso in rapporto all’articolo del 1938, «Del feticismo in musica e della regressione dell’ascolto»). In cosa la musica possiede un contenuto sociale rispetto a ciò che essa ha di propriamente musicale? In quale momento dell’opera stessa risiede l’unità del sociale e del musicale? La musica è certo un mondo diverso dal mondo reale – essa gode di una autonomia; tuttavia, poiché è strutturata, possiede «una comune misura con il mondo esterno, la realtà sociale», ci dice Adorno16. È tramite l’elemento più strettamente interno alla musica, la struttura, che si realizza il legame con la società. Ammettere ciò, è comprendere anche perché, per Adorno, la sociologia della musica può realizzarsi solo sotto la forma di una critica sociale. Leggiamo questa frase capitale: «Ciò che vi è di organizzato nelle opere è preso in prestito dall’organizzazione della società; dove esse la trascendono, lì si situa la loro protesta contro il principio di organizzazione stesso, contro la dominazione sulla natura interiore ed esterna» 17. Chiunque si interessi al contenuto sociale della musica, deve dunque cercarlo nella sua organizzazione interna. Ora, questa designa, in fin dei conti, il suo carattere tecnico. Citeremo, per chiarire questa affermazione, un lungo estratto dell’Introduzione alla sociologia della musica, che ha anche il vantaggio di offrire due esempi concreti nel formulare la domanda di come si realizzi l’unità del sociale e del propriamente musicale: «Non è la via traversa dello stato delle tecniche rispettive che la società rispecchia fin nelle opere. Tra le tecniche della produzione materiale e della produzione musicale regnano delle affinità ben più strette di ciò che ammette la divisione scientifica del lavoro. La segmentazione dei processi di lavoro dopo il periodo manifatturiero e il lavoro motivico-tematico dopo Bach, procedimento allo stesso tempo di dissociazione e di sintesi, fondamentalmente si corrispondono; in Beethoven in particolare, si può legittimamente parlare di lavoro sociale. La dinamizzazione della società per il principio borghese e la dinamizzazione della musica manifestano la stessa significazione; ma il modo in cui questa unità si realizza è per il momento completamente oscuro» 18. Tutta l’opera di Adorno tenta di dimostrare l’unità del sociale e del musicale (ripetiamolo, del propriamente musicale e non di tutto ciò che attornia la musica); tuttavia, la questione del come si realizza questa unità è considerata solo occasionalmente. Va da sé che non si porrebbe 12 13 14 15 16 17 18 Idem Ibid, p. 74-75. Ibid, p. 10-22. Ibid, p. 187. Ibid, p. 50 Ibid, p. 219. Ibid, p. 227. 3 la questione di un primato del sociale sul musicale: Adorno rigetta categoricamente la teoria del riflesso19, anche se, talvolta – come nella frase precedentemente citata –, utilizza la sua terminologia (tale elemento sociale si riflette, è rappresentato, si traduce, è imitato, etc. nella musica). Il suo pensiero elabora l’analogia, perfino, il confronto diretto grazie all’impiego di un vocabolario filosofico che descrive contemporaneamente il sociale e il musicale: così, il fossato tra il «generale» e il «particolare» è tutto visibile tanto nella musica del dopoguerra che nella società dell’epoca20. Tuttavia, il ragionamento analogico non risponde alla domanda posta. Su questo punto, la posizione di Adorno è molto delicata. La sola ipotesi che egli fa sul modo in cui si realizza l’unità del sociale e del musicale è forse troppo generale: «La mediazione della musica e della società avviene probabilmente nella substruttura dei processi di lavoro sotto i due domini. Studiare ciò sarebbe il compito di una storia della musica che riunisse seriamente i punti di vista tecnologico e sociologico»21. Quest’ultima ipotesi e il compito che Adorno assegna a musicologi e sociologi futuri interessati alla relazione tra musica stessa e società, sono veramente utopici o, piuttosto, poetici. Rimane il fatto che, da un punto di vista veramente concettuale, il pensiero di Adorno che schematizzeremo si applica meravigliosamente ai musicisti su cui egli ha maggiormente scritto: Beethoven, Mahler, Berg, Schönberg… Così, l’esplicazione adorniana delle dissonanze nella «nuova musica» viennese degli anni 1910-20 (Schönberg e i suoi discepoli, specialmente Berg e Webern), nella fase più espressionista di questa musica, è particolarmente pertinente: «Le dissonanze, che turbano gli ascoltatori, parlano loro della loro propria condizione; è unicamente per questo che esse sono loro insopportabili» 22. Vi propongo di ascoltare i Sei piccoli pezzi per pianoforte, op. 19 di Schönberg, composti nel 1911, nell’interpretazione di Glenn Gould. MUSICA CONTEMPORANEA E SOCIETÀ È difficile concretizzare l’idea adorniana di una scrittura simultanea della società e della musica, realizzare «una storia della musica che riunirebbe seriamente i punti di vista tecnologici e sociologi», come dice Adorno, cioè una storia che parlerebbe allo stesso tempo di musica in tanto che musica (in tanto che arte) e di società (sotto uno sguardo critico)… Ma a dire il vero questa prospettiva è una delle rare prospettive che permette di conciliare, come dicevo proprio all’inizio, sviluppo propriamente artistico e legame con la società. Ed è senza dubbio perché si possono studiare tramite questa prospettiva numerose realizzazioni della musica detta contemporanea. Si intende per «musica contemporanea» la nuova musica, radicale, d’avanguardia, nata dopo il 1945, con i due primi compositori italiani che ho citato precedentemente (Luigi Nono, Luciano Berio), con i compositori dell’internazionale seriale (Karlheinz Stockhausen, Pierre Boulez, etc.) alla quale appartengono gli stessi due compositori italiani, con il lavoro di formalizzazione realizzato dal franco-greco Iannis Xenakis, con la musica concreta iniziata da Pierre Schaeffer, con ulteriori tendenze e compositori. Con questa prima generazione di compositori, che esordiscono molto giovani e che dominano ancora la nozione di «musica contemporanea» benché siano quasi tutti deceduti ormai, sarebbe stato interessante studiare come, presso una parte importante di loro, si componga, in un modo inestricabile, un certo tecnocratismo e una critica sociale attraverso la musica stessa. Una parte di questi compositori è stato segnato dalla Resistenza durante la seconda guerra mondiale ed ha militato nei partiti progressisti (comunisti), ma ha scelto, praticando una sorta di adornismo empirico, potremmo dire, di trasferire la critica sociale o anche la volontà di rivoluzione (nel senso politico del termine) nel contesto propriamente musicale. Occorrerebbe molto tempo per discutere di questa 19 20 21 22 Ibid., p. 208. Ibid., p. 185. Ibid., p. 210-211. (a proposito di Schönberg) Theodor W. Adorno, Philosophie de la nouvelle musique, traduzione in francese di H. Hildenbrand e A. Lindenberg, Paris, Gallimard, 1962. 4 questione importante e occorrerebbe entrare nei dettagli ed esaminare la situazione paese per paese, compositore per compositore. In ogni caso, è certo che un compositore come Xenakis, che, dopo la guerra, partecipò attivamente alla guerra civile (che oppose i comunisti greci ai Greci di destra, spesso antichi collaboratori e militarmente sostenuti dalla Gran Bretagna poi dagli USA) e che rischiò di perdere la vita durante gli avvenimenti del dicembre 1944 in cui Atene fu bombardata per la prima volta (dagli Inglesi), è dunque certo che un compositore come lui rinunciò a manifestare la sua volontà politica ma fece una musica «rivoluzionaria»: introduzione delle probabilità, musica di massa, musica del suono, formalizzazione, etc. L’associazione tra musica contemporanea e progressismo di sinistra continua a predominare, anche se numerosi compositori di questa prima generazione di musica contemporanea furono apolitici (Stockhausen) o anche di destra (Boulez, più per i sostegni istituzionali che ottenne che per le posizioni chiaramente espresse). Per altro, si può anche vedere questo trasferimento della critica sociale sul musicale come una sorta di rinuncia alla sfera politica da cui il fatto che questa «rivoluzione» musicale praticata dalla prima generazione della musica contemporanea ha un aspetto tecnocratico: chiunque non consideri il legame tra questi linguaggi musicali che, oggi ancora, passano per complessi e il loro contenuto sociale, può facilmente tacciarli come formalisti. Negli anni 1960 e inizio 1970, il contenuto sociale e politico della musica contemporanea tende a esprimersi più chiaramente: è l’epoca in cui Luigi Nono fa suonare La fabbrica illuminata nelle officine, in cui Xenakis rivoluziona la pratica del concerto disperdendo i musicisti di una grande orchestra tra il pubblico (Terretektorh), in cui John Cage introduce considerazioni musico-politiche, etc. Con la seconda generazione che passa da questa fase della sua giovinezza per scoprirsi rapidamente post-rivoluzionaria, gli anni 1980 della musica contemporanea reinventano il ripiegamento della critica sociale nella musica stessa, ma, questa volta, con un rischio di accademismo. Noi non abbiamo il tempo di attardarci su questa epoca e su questa generazione che comprende tuttavia compositori brillanti come il terzo italiano che avevo citato all’inizio di questa conferenza, Salvatore Sciarrino, che comprende i compositori francesi della musica detta «spettrale» (Gérard Grisey, Tristan Murail…), etc. Vorrei rapidamente venire alla terza generazione della musica contemporanea: i musicisti che hanno tra 30 e 50 anni oggi. In effetti, sono loro che si trovano nella la situazione difficile che ho descritto all’inizio, in una società in cui l’arte è, una volta di più, minacciata di estinzione, questa volta per ragioni economiche. Ciò che è interessante con questi musicisti, è che alcuni di loro, come dicevo, scelgono di sviluppare le più alte specificità della loro arte, ma senza per nulla costituire un mondo a parte, potendo questo sviluppo servire da modello per l’evoluzione positiva della società. Si tratta dunque di dare al paradigma adorniano una svolta decisiva. In effetti, ciò che finalmente rende delicato, fragile (ma anche molto poetico) il paradigma adorniano, è il fatto che si fonda sull’idea di analogia, come dicevo. È per questo che parlando della prima generazione della musica contemporanea, affermavo che i più rivoluzionari politicamente parlando, nell’impossibilità di materializzare la loro volontà politica, la trasferirono in musica. Uso la parola transfert per indicare che, nel pensiero di Adorno, si ha un po’ l’equivalente della teoria della sublimazione sviluppata da Freud. Ora, con i musicisti per cui si pone il problema, se si resta ben nella sfera dell’arte (non si tratterà dunque di arte «sociale» o di arte politica o politicizzata), il punto di partenza non è un’analogia, ma un’idea che si presenta tanto nella società quanto in musica. 5 LA REINVENZIONE DEL SENSIBILE. L’ESEMPIO DI PASCALE CRITON Per chiarire questa affermazione, facciamo due esempi. Il primo concerne una compositrice francese che, attraverso la sua stessa musica, propone di reinventare il sensibile. Sensibile: ecco una problematica che può materializzarsi proprio sia come questione sociale sia come questione musicale. In quanto questione sociale, si sa che uno dei problemi maggiori delle società di oggi è che esse sono dominate da una razionalità interamente strumentalizzata, una razionalità che conserva della Ragione, del Logos, solo l’apparenza: in questa razionalità strumentalizzata, i mezzi si sono sostituiti al fine. È a causa di questa forma di razionalità per cui tutto ciò che rende umano l’umano è caduto nella categoria dell’«umanitario», in cui lo si agisce unicamente per non avere rimorso, pensando che questa azione vada incontro allo «sviluppo», uno sviluppo che è ridotto ad un economismo primario (trionfo del profitto). Con questa forma di razionalità, tutto ciò che rileva il sensibile appare come irrazionale, l’intelligenza diventa valore fondamentale e si presenta come denudata di ogni forma di sensibilità. Di conseguenza, diventa urgente, socialmente, procedere ad una critica di questa ragione strumentalizzata e rivalutare la sensibilità, reinventare il sensibile. In musica, il «tecnocratismo» che evocavo precedentemente a proposito della prima generazione di musica contemporanea ha un po’ della ragione strumentalizzata, perché tende a privilegiare i mezzi a detrimento del fine. Ha talvolta avuto come conseguenza il fatto di relegare in secondo piano tutto ciò che rileva della relazione sensibile dell’ascoltatore alla musica, privilegiando la «comprensione». Così, reinventando il sensibile, la compositrice di cui vi parlerò instaura una discussione propriamente musicale, benché, come si è visto, questo discussione è anche un dibattito sociale. Pascale Criton, la compositrice in questione, è nata nel 1954 a Parigi. Ha studiato composizione con Ivan Wyschnegradsky e Jean-Etienne Marie, due compositori pionieri della microtonalità, così come con Michel Puig e Gérard Grisey, il pioniere della musica spettrale. Le sue composizioni sono conosciute in primo luogo per l’impiego dei microintervalli, dal quarto al sedicesimo di tono (intervalli ben più piccoli degli intervalli abituali della musica occidentale, il cui intervallo più piccolo dopo l’instaurazione del temperamento equabile, alla fine del XVII secolo, è il semitono). Nella sua musica, questi intervalli sono realizzabili sia da strumenti ordinari che da strumenti specificamente accordati (piano Carrillo, chitarre microtonali, etc.). Nondimeno, le sue composizioni non si riassumono affatto in queste innovazioni, benché questa sia la maggiore. Innumerevoli altri aspetti focalizzano l’interesse dell’ascoltatore, dell’analista e degli esteti, specie il carattere eminentemente sensibile della sua musica, che mette in opera di continuo, per riprendere i suoi stessi termini, «spazi sensibili» 23. Pascale Criton si appella all’insegnamento del filosofo Gilles Deleuze. Così, sottolinea «l’esperienza del sensibile», cioè l’esperienza di una musica centrata sulla sensazione. Il suo articolo «La percezione vive» si apre con una citazione di Deleuze: «Non c’è storia che della percezione» e inizia così: «La percezione è data o possiamo intenderla, progettarla, sperimentarla...? Se percepire può essere considerato come un campo aperto, che si modifica al filo delle disposizioni e secondo i punti di vista, noi siamo proprio per rendere udibile una diversità quasi infinita di superfici sensibili. […] Abitiamo realmente – pienamente – questo mondo o siamo sballottati al suo margine, arenati da qualche parte nelle pieghe di una periferia infinita, assorbiti, trascinati senza che noi sappiamo ben dirci gli uni gli altri ciò che possiamo, ciò che ci attendiamo? Questa osservazione apparentemente pessimista proviene al contrario da una riflessione sul desiderio e l’urgenza di riappropriarsi dei territori sensibili, della cura di materializzarli e di progettarli. Di fronte a questa sensazione di irrealtà, è per me importante ricentrare il contenuto della musica sugli affetti e l’esperienza del sensibile» 24. 23 È il titolo di un suo articolo: «Espaces sensibles», in L’espace: Musique/Philosophie, testi riuniti e presentati da Jean-Marc Chouvel e Makis Solomos, Parigi, l’Harmattan, 1998, p. 129-140. 24 Pascale Criton, « La perception vive», Doce notas preliminares n. 1, Madrid, 1997, p. 166. 6 Da una costatazione (questa «sensazione di irrealtà», sinonimo forse di insensibilità) e da un interrogativo (si possono creare nuovi modi di sentire?) sorge una doppia volontà: focalizzarsi sul sensibile e tentare di ridefinire e di intendere il suo contenuto. La musica è allora definita come il campo di esperienza dell’infinito delle nostre sensazioni, che essa ci permette di sentire rendendole (quasi) udibili. Come rinnovare il contenuto della percezione, come liberare dalla loro imposizione le sensazioni? Facendo appello al lavoro di costruzione: componendo queste sensazioni. Per costruzione, intendiamo precisamente l’idea di considerare che queste sensazioni, per legate che siano al nostro corpo, che ci è dato, non sono tuttavia dei fatti bruti, percepibili; è questa percepibilità che conduce al loro esaurimento, all’insensibilità, di cui l’ultimo residuo è un’ultima sensazione, quella di irrealtà. Ciò suppone allora, poiché è la musica che ci permetterà di provare queste sensazioni, un’opera musicale pure non percepibile: un’opera in cui tutto si trasforma senza posa, è in divenire. La nozione di sensibile congiunge qui l’idea di «sensibilità alle cause iniziali» delle teorie dette del caos (il battito d’ala di una farfalla potrebbe causare un diluvio), idea che evoca en passant Pascale Criton in un altro testo25. La musica sarà allora ad immagine del corpo, ma di un corpo non-percepibile come viene da dirsi: «Comporre, decomporre, ricomporre corpi sonori, far respirare gli elementi stessi – un suono, un intervallo, una combinazione verticale o orizzontale, una soglia-limite: l’elemento o corpo non è più dato, fissato una volta per tutte, ma è colto come molteplicità, come potenzialità sensibile. Raggiunge la sensibilità propria degli enti fisici» 26, scrive Pascale Criton. All’idea relativamente recente che la «logica del vivente è in divenire – e non stabile e semplificabile» (come lo era per il pensiero meccanicista) – corrisponderebbe dunque una musica «che si porta sul multiplo, l’interattività, la complessità del movimento e la formazione dinamica degli avvenimenti»27. La spiegazione (e forse composizione) organicista della musica, che si deve ai teorici tedeschi dell’inizio del XIX secolo (e forse a compositori come Beethoven) prende qui una forma nuova, sotto l’impulso di questa visione del mondo che propone la scienza moderna. La musica è nuovamente concepita come un corpo, ma la sua descrizione non scommette più sulla sua meccanica o sull’identificazione delle sue supposte cellule: essa si interessa alle sue trasformazioni inattese. Questo nuovo «corpo» musicale caratterizzato dall’instabilità, il passaggio molto continuo da uno stato all’altro, farà appello all’idea (musicale) moderna di continuum: Pascale Criton si è lungamente dedicata al lavoro di Ivan Wyschnegradsky, compositore poco eseguito oggi, ma che fu il più solido teorico del continuum musicale 28. Contro tutta la tradizione musicale che nasconde nel profondo il continuum per dedicarsi alla combinatoria di entità discrete (altezze e ritmi), si tratta qui di manifestarlo. Un’altra idea, anche essa fondamentale, è legata alla nozione di continuum: l’idea di soglia. In effetti, Pascale Criton elabora microvariazioni del suono che provocano continuamente situazioni di squilibrio dell’emissione sonora che si possono descrivere come effetti di soglia. Effetti di soglia: il lavoro sul continuum prova l’esperienza impercettibile delle zone liminali dell’emissione sonora, di tutto ciò che nel gioco concreto provoca stati transitori in ragione della resistenza dei materiali (corde, tubi, lamelle) o della congiunzione di gesti conflittuali. Si possono distinguere diverse soglie secondo che si tratti di incertezza di altezza o di timbro o anche di una zona di estinzione del suono. Per esempio, si ha spesso nella musica di Pascale Criton un tipo di suono alla frontiera del percepibile, sovente a fine sequenza, dove la compositrice annota: «mormorio, in un soffio» 29. Allora, nel pezzo Territoires imperceptibles di cui ascolteremo l’inizio, l’archetto del violoncello in tremolo con una «pressione rilassata» sul cavalletto emette un suono indeterminato indicato «appena un filo udibile», come prescrive la compositrice30. 25 26 27 28 29 30 Cf. Pascale Criton, «Espaces sensibles», op. cit., p. 136. Pascale Criton, «La perception vive», op. cit., p. 167. Pascale Criton, «Espaces sensibles», op. cit. , p. 130 Cf. Ivan Wyschnegradsky, La loi de la pansonorité, Ginevra, Contrechamps, 1996, 1996. Passage des heures, système 25-26. Système 37. 7 Questo continuum e questi effetti di soglia sono costruiti: il sensibile in questione va di pari passo con l’idea di razionalità. Non si tratta di presentare il sensibile come l’altro del razionale, come un irrazionale – questa visione del sensibile è giustamente la visione che sviluppa la ragione strumentalizzata. Come ci dice Pascale Criton: «Per tracciare il cammino di percezioni vive e realizzare stati di variabilità sensibile, due livelli si inframezzano: un piano logico si annoda ad un piano di sensazione. Occorre l’incontro di una strategia di organizzazione con un piano più esistenziale la cui tensione è la cattura di una sensazione in ogni sua esigenza e sua portata. […] Occorre da un lato stabilire una cartografia sonora con un campo di sviluppo di centro, di funzioni, di variabili e dall’altro stendere una rete sensibile nella quale certi tipi di intensità possono prendere forma. Questi due livelli non cessano di interagire, di influenzarsi e di determinarsi l’un l’altro: essi hanno ognuno la loro parte di contenuto e di espressione» 31. Vi propongo di ascoltare l’inizio di Territoires imperceptibles, un’opera del 1997 di Pascale Criton, per flauto basso, chitarra accordata in sedicesimi di tono e violoncello. LA CRITICA DELLO SPAZIO VIRTUALE E GLI ECOSISTEMI SONORI. L’ESEMPIO DI AGOSTINO DI SCIPIO Ecco qualche parola su un lavoro propriamente musicale, ma che rileva anche una proposizione veramente sociale: reinventare, riabilitare il sensibile. Il mio secondo esempio concerne un compositore italiano, di Napoli, e mira alla stessa dimostrazione, con una problematica differente, ma legata alla precedente: parleremo della critica dello spazio virtuale. In effetti, sul piano sociale, una delle conseguenze della razionalità strumentale, la quale pensa che il sensibile non sia utile, è lo sviluppo dell’idea di spazi virtuali che si sostituiscono agli spazi reali. Si conoscono le conseguenze disastrose di questa sostituzione: basterà pensare a questi giovani soldati [nel testo francese: GI Governement Issue, n.d.t.] americani inviati in Irak quasi come a continuare un video-gioco di guerra… Sul piano musicale, esiste una maniera di concepire lo spazio che va nel senso del virtuale. Per «spazio», mi riferisco, da una parte, allo spazio fisico nel quale si trovano gli ascoltatori e i musicisti e, dall’altra, alla maniera con la quale, precisamente nel caso della musica elettronica (diffusa da altoparlanti), il suono può «viaggiare» all’interno di questo spazio. Si intenderà qui per «spazio virtuale» tutti quei modi di lavorare che mirano a dare all’ascoltatore l’illusione di essere in uno spazio altro che quello in cui si trova, modi di lavorare che vanno dalla semplice stereofonia domestica o dal sistema di diffusione detta home cinema, fino a dei programmi di spazializzazione complessi utilizzati in concerto, che mirano a simulare acustiche precise. Come per la questione del sensibile, si vede dunque che una problematica musicale è in fondo prossima ad una problematica sociale. Vediamo dunque come il compositore di cui vi parlo propone in musica degli spazi altro che virtuali. Il compositore in questione si chiama Agostino Di Scipio. È nato nel 1962, vive all’Aquila e insegna al conservatorio di Napoli. Viaggia spesso per realizzare le sue opere. Gode di una notorietà importante, specialmente nei centri della musica digitale. Il suo catalogo comprende pezzi puramente strumentali ed altri per strumento e suoni registrati, numerose opere con suoni registrati e numerose altre per strumento e live electronics, soli per live electronics, installazioni sonore e realizzazioni vicine al teatro musicale 32. Qui ci concentreremo su opere per strumenti e live electronics o per solo live electronics, perché è con essi che si propone una nozione di spazio altro che virtuale. In effetti, in questo tipo di opere, Agostino Di Scipio elabora l’idea di «ecosistema udibile». Si tratta di un dispositivo che produce un suono che tiene conto dello spazio nel quale è installato il sistema. Con il prefisso «eco» (da cui ci viene la parola «ecologia»), il compositore insiste sul parallelo con il vivente. Per realizzare questo parallelo, ridefinisce la 31 Pascale Criton, “La perception vive”, op. cit., p. 167-168. 32 Mi baso sulla classificazione del catalogo stabilito dal compositore e redatto in inglese; «support fixe» tradotto nastro (bande), «électronique en direct» (espression utilizzata correntemente da Horacio Vaggione) tradotto live electronics. 8 nozione di interazione nel quadro della musica elettronica in diretta (detta anche live electronics). Nel modello più comune dell’interazione in diretta, l’interazione è soprattutto compresa come un flusso di informazione: una sorgente sonora è trasformata. Così, nel caso di strumento e elettronica in diretta, si tratta di innescare dei processi che trasformano il suono strumentale. In qualche modo, il sistema agente + dispositivo è poco interattivo. Di Scipio, al contrario, insiste sull’idea di «causalità circolare», che si materializza al livello sonoro con una idea derivata dal feedback. Così, nel pezzo intitolato Codice d’impulsi (su legno), per percussionista e elettronica in diretta, la parte del percussionista non solamente fornisce il materiale sonoro, ma agisce anche come un codice del programma che definisce lo stato interno dell’elaboratore, il quale a sua volta trasforma il materiale. In altri termini, come lui stesso ci dice, l’oggetto della composizione diventa: «comporre le interazioni» per attendere una sorta di «auto-organizzazione» – da cui il parallelo con il vivente. Per « auto-organizzazione», non bisogna sicuramente intendere l’idea che gli «ecosistemi» udibili di Di Scipio potrebbero fare a meno di esseri umani! Si tratta piuttosto di esaminare sistemi sonori evolutivi, capaci di adattarsi. E ciò è precisamente realizzabile solo se li si concepisce in rapporto all’ambiente nel quale si iscrivono. In effetti, l’idea di «autoorganizzazione» sviluppata dalle scienze del vivente insiste sul fatto che non si può separare una entità vivente dal suo ambiente: è solo nell’interazione con il suo ambiente che l’organismo vivente si sviluppa. È questo, precisamente, il progetto musicale degli ecosistemi di Di Scipio. Così, in un insieme di pezzi per live electronics, pezzi intitolati Audible Ecosystemics, il luogo della performance è strettamente associato al sistema di interazione composto. Per esempio, il terzo pezzo, Background Noise Study, comprende come materiale sonoro appena il rumore di fondo della sala in cui ha luogo la performance. Nell’insieme dei pezzi che formano gli Audible Ecosystemics, l’ecosistema consiste in una interazione triangolare tra l’acustica del luogo della performance (che include ben inteso il pubblico), il musicista e i processi elettronici. Agostino Di Scipio ha integrato nel suo lavoro alcuni aspetti delle musiche ambientali sviluppati presso compositori canadesi derivati spesso dal lavoro pionieristico in ecologia sonora di Murray Schafer. Tuttavia, il suo proposito si centra sulla nozione di ecosistema e si distingue dunque da questa tradizione. Inoltre, questa nozione gli permette un lavoro originale sulla questione dello spazio. Si sa che, nella musica strumentale o elettroacustica, lo spazio è spesso considerato in termini di spazializzazione, cioè di «viaggio», dove conta più il «tragitto» che lo spazio concreto e le sue qualità. Secondo questo approccio, come ho detto precedentemente, lo spazio è virtuale. Nell’approccio ecosistemico di Di Scipio, lo spazio non può essere che concreto. Così, a proposito di un’opera intitolata 5 interazioni cicliche alle differenze sensibili, egli scrive: «Io non sono interessato dalla creazione di uno spazio “virtuale” qualunque. […] Preferisco ben più centrarmi sullo spazio concreto, materiale, storico (sala, camera, luogo aperto, etc.) che accoglie la performance […], nel tentativo di far lasciare al vero spazio tracce udibili di sé stesso all’interno della forma del suono, all’interno del timbro. Si tratta di un modo di fare l’esperienza dello spazio che, io penso, è meno ideologico, e che contrasta con la nozione di “realtà virtuale”» 33 In Audible Ecosystems, lo spazio agisce a sua volta come eccitatore e come cassa di risonanza: l’idea è ancora spinta più lontano. Questo comporta un ruolo particolare accordato al rumore. Per semplificare, si dirà che il rumore non è più perturbazione (musica tradizionale) o nuovo materiale da trasformare (musica contemporanea). Diventa uno degli agenti dell’interazione, dato che emana dallo spazio concreto – il luogo, l’ambiente –, che fa integralmente parte del sistema. Ecco qualche parola sul lavoro di questo compositore, che stabilisce una critica della nozione di spazio virtuale e che sviluppa un altro approccio. Per fare l’esperienza di questo approccio, occorrerebbe ascoltare un pezzo con live electronics, poiché, precisamente, il risultato sonoro dovrebbe cambiare in funzione del qui ed ora, del luogo in cui noi ci troviamo e dell’istante presente – cioè delle condizioni acustiche presenti in questo spazio, che variano con 33 «I’m not interested in creating any “virtual” space. […] I much prefer to focus on the concrete, material, historical space (hall, room, open place, etc.) hosting the performance […], in an attempt to make the real space leave audible traces of itself within the form of the sound, within timbre. This is a way of experiencing space which, I think, is less ideologized and contrasts the notion of “virtual reality”». 9 il numero di ascoltatori, con le loro azioni, etc. Sicuramente, noi non possiamo fare ciò: io non posso che diffondere da altoparlanti della musica con dei suoni registrati, che non reagiscono che debolmente con questo spazio. Perciò ho scelto di farvi ascoltare un pezzo per suoni registrati, che fa parte di un insieme di pezzi di Di Scipio intitolato Paysages historiques. È il primo e si intitola Paris. La Robotique des Lumières. Se non permette di illustrare la questione degli «ecosistemi udibili», permette per contro di illustrare un’altra posta in gioco della musica di questo compositore, posta assai prossima a quella degli ecosistemi udibili: si tratta dell’idea dell’emergenza molto graduale della musica, della sua materializzazione, del suo senso, etc. Intenderete una musica che comincia come un semplice e molto debole crepitio di altoparlanti – la cui esistenza sonora richiede del tempo per appercepirsi –, che si sviluppa in seguito come «polvere sonora», prima di prendere consistenza, per sparire di nuovo nella «polvere», etc. Come con gli ecosistemi udibili, in cui l’ascoltatore, grazie allo spazio reale dove si trova, è al centro del dispositivo, tocca all’ascoltatore «costruire» l’opera che ascolta. Ho scelto questo brano anche perché siamo in un Istituto di Storia Contemporanea. Si intitola Paris. la Robotique des Lumières, perché Di Scipio vi ha inserito delle citazioni musicali che in generale non si riconoscono: si riconoscono, debolmente, solo dei suoni di voce riguardo queste citazioni. Queste provengono da registrazioni storiche di canti rivoluzionari, canti rivoluzionari che attraversano la storia di Parigi. Ascoltiamo l’inizio di Paysages historiques: Paris: début Mi sarei augurato, nel quadro di questa conferenza, di darvi un cenno del lavoro di numerosi compositori di musica detta «contemporanea», una musica che si accusa talvolta di essere troppo complessa, di essere chiusa nella sua torre d’avorio. Eppure, come ho cercato di dimostrare con l’esempio dei due musicisti di cui vi ho parlato, questa musica tratta spesso nelle sue opere vere questioni sociali e contribuisce allo sviluppo di un pensiero critico, un pensiero che auspicherebbe migliorare la nostra società… Vi ringrazio della vostra attenzione. 10