Musica contemporanea e società. Alcune questioni

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MAKIS SOLOMOS
http://www.univ-montp3.fr/~solomos/
Musica contemporanea e società.
Alcune questioni
L’arte oggi ed in particolare la musica detta contemporanea, è ritenuta difficilmente
accessibile. Eppure, appena si superano certi timori, si costata che ci tocca nel più profondo. Da
qui forse le apprensioni; già a proposito di Arnold Schönberg, il filosofo della Scuola di
Francoforte Theodor W. Adorno scriveva: «Le dissonanze, che offendono gli ascoltatori,
parlano loro della loro propria condizione; è unicamente per questo che esse sono per loro
insopportabili». Così, dai protagonisti storici della musica contemporanea fino agli artisti di
oggi, l’opera musicale possiede una dimensione spesso latente, talvolta più manifesta: essa
interroga, in un modo critico, la società e propone modi alternativi di organizzazione sociale.
Cercheremo di mettere in evidenza questa dimensione attraverso qualche caso di studio quale la
reinvenzione del sensibile o la critica dello spazio virtuale in alcuni compositori recenti.
INTRODUZIONE
La questione della relazione tra arte e società e, più particolarmente, tra musica e società, è
una vecchia questione: essa risale almeno alla Grecia antica (Damone, Platone). È posta in ogni
epoca in cui l’arte è minacciata di estinzione. Al contrario, quando l’arte è riconosciuta
interamente come valore, si tende a dimenticarla (è il caso per esempio della dottrina de «l’arte
per l’arte»). In questo inizio del XXI secolo in cui trionfa l’industria culturale, in cui l’arte è
dunque nuovamente minacciata, essa ridiventa d’attualità. In effetti, la sfera economica
dominante stima che l’arte in quanto tale non ha alcuna utilità sociale e che deve finire in
«patrimonio» o in divertimento. È per questo che gli artisti che vogliono sopravvivere senza
rinunciare all’arte affermano nuovamente il loro rapporto con la società e rinunciano ad ogni
velleità di formare un mondo a parte.
Ma quale legame può avere oggi l’arte più evoluta e raffinata – penso alla musica detta
«contemporanea»: alle opere musicali di Luigi Nono, Luciano Berio, Salvatore Sciarrino, Iannis
Xenakis, John Cage, Karlheinz Stockhausen, etc. – con la società? In cosa può essere utile alla
società?
L’artista può scegliere di impegnarsi in azioni concrete. Si può pensare ad un’arte destinata
ai bambini, al loro risveglio. O ancora, ad un’arte destinata alle categorie più fragili: portatori di
handicap, detenuti, etc. Allo stesso modo, l’arte, per il suo carattere universale (malgrado la
specificità dei linguaggi), potrebbe servire ad alleviare le sofferenze degli immigrati e di altri
emarginati. Tutte queste azioni sono meravigliose e possono effettivamente servire a riscoprire
l’utilità sociale dell’arte. Tuttavia, è vero che esse tendono a diminuire il contenuto
propriamente artistico o il profitto de «l’utilità» sociale (sebbene benvenuto).
È per questo che numerosi artisti, numerosi compositori di musica detta contemporanea
scelgono un’altra via, che passa per lo sviluppo più avanzato delle loro specificità, lo sviluppo
più spinto del raffinamento dei mezzi propriamente artistici, ma secondo una logica in cui
questo sviluppo, lontano dall’essere sinonimo del confinarsi in un mondo a parte (l’arte per
l’arte), può servire allo sviluppo positivo della società.
Non si tratta di un paradosso e tento di provarlo in questa conferenza.
1
ADORNO
Prenderemo le mosse dal pensiero di uno dei più grandi filosofi della musica, Theodor W.
Adorno, membro della Scuola di Francoforte, autore di libri su Beethoven, Malher, Berg, autore
della celebre – ma oggi un po’ datata – Filosofia della nuova musica (pubblicata nel 1947),
autore dell’Introduzione alla sociologia della musica, etc., autore anche della Teoria estetica
(pubblicata postuma, nel 1969), e pure filosofo tout court, inventore della «dialettica negativa».
Ci occuperemo della sua Introduzione alla sociologia della musica.
Come marxista hegeliano, Adorno è sempre stato preoccupato dalla relazione tra musica e
società: è il cuore del suo lavoro sulla musica. Tutte le sue riflessioni trovano in questa
questione la loro motivazione di partenza e non è fortuito che il suo ultimo grande lavoro, la
Teoria estetica, si concluda su un capitolo intitolato «Società». Per Adorno, ogni musica ha un
contenuto sociale: ignorarlo costituisce una posizione «ideologica» (nel senso marxista del
termine: una posizione per la quale è legittimata una situazione), che guarda solo alla
«neutralizzazione della coscienza»1 – così, non comprendere che Beethoven esprime la
borghesia rivoluzionaria, è dello stesso ordine che non comprendere il contenuto puramente
musicale della sua opera2. Di conseguenza, il compito vero di una sociologia della musica non è
elaborare una disciplina autonoma – che studierà la musica da una prospettiva sociologica, come
la storia la affronta con uno sguardo storico, la teoria ne esamina i fondamenti teorico-musicali
o l’estetica la pensa filosoficamente –, ma di chiarire il «contenuto ideologico», «l’effetto
ideologico della musica», per sfociare in «una teoria critica della società» 3. È per questo che
l’Introduzione alla sociologia della musica non saprebbe accontentarsi degli studi sociologici
dell’epoca, essenzialmente empirici. Del resto, il libro avrebbe benissimo potuto intitolarsi
«Fondamenti di una sociologia non-positivista della musica». Attraverso l’opera, si troveranno
altre tre critiche riguardo alla sociologia empirica: l’assenza di riflessione teorica alla base 4; il
fatto che tende a ridurre la musica ad un semplice stimolo, ad un qualunque oggetto di
consumo5; soprattutto – perché da ciò conseguono le altre critiche –, la sua impasse sul
contenuto propriamente musicale6.
Quest’ultima critica ci permette di affrontare la posta in gioco essenziale del pensiero
socio-musicale di Adorno. Spiegare le relazioni tra la società e la musica stessa: ecco senza
dubbio il leitmotiv dell’Introduzione alla sociologia della musica come, senza dubbio, la ragion
d’essere di tutti gli scritti di Adorno sulla musica. Adorno riconosce che l’immaterialità dell’arte
dei suoni pone un problema rispetto alla decodifica del suo contenuto sociale 7. Tuttavia, non è
una ragione per centrare lo studio sugli aspetti sociali esteriori alla musica in quanto opera
d’arte autonoma. Così, la sociologia che focalizza il suo discorso sulla ricezione o sul mercato
musicale non afferra l’essenziale; ascoltiamolo: «La distribuzione e la ricezione sociale della
musica sono semplici epifenomeni; l’essenza è la costituzione sociale oggettiva della musica in
sé»8; una autentica sociologia della musica dovrebbe determinare le questioni che applica alle
sue due sfere secondo le questioni «sul contenuto sociale della musica e l’interpretazione teorica
della sua funzione»9. Ancora, l’analisi dell’origine sociale dei compositori non offre un grande
interesse: non solo perché questa origine non si traduce letteralmente in suoni 10, ma anche, e
soprattutto, perché, in ultima analisi, è in ogni modo relativamente omogenea 11 – i compositori
si presentano socialmente come «postulanti» e «perciò esiste tanta musica gaia», nota Adorno in
1
Theodor W. Adorno, Introduction à la sociologie de la musique, traduzione in francese V. Barras e C. Russi, Genève, Contrechamps,
1994, p. 68.
2 Cf. idem.
3 Ibid, p. 228.
4 Ibid, p. 7.
5 Ibid, p. 6.
6 Ibid, p. 202.
7 Ibid, p. 200.
8 Ibid, p. 202.
9 Ibid, p. 202-203.
10 Ibid, p. 63.
11 Ibid, p. 64.
2
una di quelle formulazioni lapidarie che si interpretano talora come aforismi 12. Infine, riprodurre
a distanza il pensiero non-musicale di un compositore rischia di degenerare in ideologia – altro
esempio che può scandalizzare: «il pathos beethoveniano dell’umanità, pensato criticamente
quando occorre, può essere degradato al rango di rituale che celebra l’esistente, qual è. Questo
cambiamento di funzione è valso a Beethoven la posizione di un classico, di cui occorrerebbe
liberarlo»13.
Si tratta dunque di apprendere il contenuto sociale di un’opera in ciò che ha di
propriamente musicale. È il senso del primo capitolo dell’Introduzione alla sociologia della
musica (all’origine del quale si trovano gli studi di Adorno del 1939 per il Princeton Radio
Research Project) che, interpretato diversamente, può prestarsi a dei malintesi. In questo
capitolo, Adorno classifica gli ascoltatori e li etichetta secondo una gerarchizzazione molto
rigorosa, in apparenza molto elitaria: «l’esperto», il «buon ascoltatore», il «consumatore di
cultura», «l’ascoltatore emozionale», «l’ascoltatore con risentimento», colui che ascolta «la
musica come divertimento», «colui che è contro la musica» 14. Il proposito di Adorno non è, ci
sembra, di costruire una torre d’avorio. Gli «esperti» sono spesso criticati nel suo libro e
rimprovera alla musica del dopoguerra di essere diventata un «dominio specializzato» 15. Si tratta
piuttosto di affermare che una tipologia degli ascoltatori non può essere elaborata a partire dai
loro propri comportamenti: il criterio deve essere l’adeguamento del loro ascolto alla musica
stessa. Gli ascoltatori che si allontanano da questo adeguamento non propongono un altro tipo di
ascolto: semplicemente, subiscono la reificazione dell’opera musicale, che diventa allora
oggetto di consumo (questo capitolo deve essere compreso in rapporto all’articolo del 1938,
«Del feticismo in musica e della regressione dell’ascolto»).
In cosa la musica possiede un contenuto sociale rispetto a ciò che essa ha di propriamente
musicale? In quale momento dell’opera stessa risiede l’unità del sociale e del musicale? La
musica è certo un mondo diverso dal mondo reale – essa gode di una autonomia; tuttavia,
poiché è strutturata, possiede «una comune misura con il mondo esterno, la realtà sociale», ci
dice Adorno16. È tramite l’elemento più strettamente interno alla musica, la struttura, che si
realizza il legame con la società. Ammettere ciò, è comprendere anche perché, per Adorno, la
sociologia della musica può realizzarsi solo sotto la forma di una critica sociale. Leggiamo
questa frase capitale: «Ciò che vi è di organizzato nelle opere è preso in prestito
dall’organizzazione della società; dove esse la trascendono, lì si situa la loro protesta contro il
principio di organizzazione stesso, contro la dominazione sulla natura interiore ed esterna» 17.
Chiunque si interessi al contenuto sociale della musica, deve dunque cercarlo nella sua
organizzazione interna. Ora, questa designa, in fin dei conti, il suo carattere tecnico. Citeremo,
per chiarire questa affermazione, un lungo estratto dell’Introduzione alla sociologia della
musica, che ha anche il vantaggio di offrire due esempi concreti nel formulare la domanda di
come si realizzi l’unità del sociale e del propriamente musicale:
«Non è la via traversa dello stato delle tecniche rispettive che la società rispecchia fin nelle opere. Tra
le tecniche della produzione materiale e della produzione musicale regnano delle affinità ben più strette di
ciò che ammette la divisione scientifica del lavoro. La segmentazione dei processi di lavoro dopo il
periodo manifatturiero e il lavoro motivico-tematico dopo Bach, procedimento allo stesso tempo di
dissociazione e di sintesi, fondamentalmente si corrispondono; in Beethoven in particolare, si può
legittimamente parlare di lavoro sociale. La dinamizzazione della società per il principio borghese e la
dinamizzazione della musica manifestano la stessa significazione; ma il modo in cui questa unità si
realizza è per il momento completamente oscuro» 18.
Tutta l’opera di Adorno tenta di dimostrare l’unità del sociale e del musicale (ripetiamolo,
del propriamente musicale e non di tutto ciò che attornia la musica); tuttavia, la questione del
come si realizza questa unità è considerata solo occasionalmente. Va da sé che non si porrebbe
12
13
14
15
16
17
18
Idem
Ibid, p. 74-75.
Ibid, p. 10-22.
Ibid, p. 187.
Ibid, p. 50
Ibid, p. 219.
Ibid, p. 227.
3
la questione di un primato del sociale sul musicale: Adorno rigetta categoricamente la teoria del
riflesso19, anche se, talvolta – come nella frase precedentemente citata –, utilizza la sua
terminologia (tale elemento sociale si riflette, è rappresentato, si traduce, è imitato, etc. nella
musica). Il suo pensiero elabora l’analogia, perfino, il confronto diretto grazie all’impiego di un
vocabolario filosofico che descrive contemporaneamente il sociale e il musicale: così, il fossato
tra il «generale» e il «particolare» è tutto visibile tanto nella musica del dopoguerra che nella
società dell’epoca20. Tuttavia, il ragionamento analogico non risponde alla domanda posta. Su
questo punto, la posizione di Adorno è molto delicata. La sola ipotesi che egli fa sul modo in cui
si realizza l’unità del sociale e del musicale è forse troppo generale: «La mediazione della
musica e della società avviene probabilmente nella substruttura dei processi di lavoro sotto i due
domini. Studiare ciò sarebbe il compito di una storia della musica che riunisse seriamente i punti
di vista tecnologico e sociologico»21.
Quest’ultima ipotesi e il compito che Adorno assegna a musicologi e sociologi futuri
interessati alla relazione tra musica stessa e società, sono veramente utopici o, piuttosto, poetici.
Rimane il fatto che, da un punto di vista veramente concettuale, il pensiero di Adorno che
schematizzeremo si applica meravigliosamente ai musicisti su cui egli ha maggiormente scritto:
Beethoven, Mahler, Berg, Schönberg… Così, l’esplicazione adorniana delle dissonanze nella
«nuova musica» viennese degli anni 1910-20 (Schönberg e i suoi discepoli, specialmente Berg e
Webern), nella fase più espressionista di questa musica, è particolarmente pertinente: «Le
dissonanze, che turbano gli ascoltatori, parlano loro della loro propria condizione; è unicamente
per questo che esse sono loro insopportabili» 22. Vi propongo di ascoltare i Sei piccoli pezzi per
pianoforte, op. 19 di Schönberg, composti nel 1911, nell’interpretazione di Glenn Gould.
MUSICA CONTEMPORANEA E SOCIETÀ
È difficile concretizzare l’idea adorniana di una scrittura simultanea della società e della
musica, realizzare «una storia della musica che riunirebbe seriamente i punti di vista tecnologici
e sociologi», come dice Adorno, cioè una storia che parlerebbe allo stesso tempo di musica in
tanto che musica (in tanto che arte) e di società (sotto uno sguardo critico)… Ma a dire il vero
questa prospettiva è una delle rare prospettive che permette di conciliare, come dicevo proprio
all’inizio, sviluppo propriamente artistico e legame con la società. Ed è senza dubbio perché si
possono studiare tramite questa prospettiva numerose realizzazioni della musica detta
contemporanea.
Si intende per «musica contemporanea» la nuova musica, radicale, d’avanguardia, nata
dopo il 1945, con i due primi compositori italiani che ho citato precedentemente (Luigi Nono,
Luciano Berio), con i compositori dell’internazionale seriale (Karlheinz Stockhausen, Pierre
Boulez, etc.) alla quale appartengono gli stessi due compositori italiani, con il lavoro di
formalizzazione realizzato dal franco-greco Iannis Xenakis, con la musica concreta iniziata da
Pierre Schaeffer, con ulteriori tendenze e compositori. Con questa prima generazione di
compositori, che esordiscono molto giovani e che dominano ancora la nozione di «musica
contemporanea» benché siano quasi tutti deceduti ormai, sarebbe stato interessante studiare
come, presso una parte importante di loro, si componga, in un modo inestricabile, un certo
tecnocratismo e una critica sociale attraverso la musica stessa. Una parte di questi compositori è
stato segnato dalla Resistenza durante la seconda guerra mondiale ed ha militato nei partiti
progressisti (comunisti), ma ha scelto, praticando una sorta di adornismo empirico, potremmo
dire, di trasferire la critica sociale o anche la volontà di rivoluzione (nel senso politico del
termine) nel contesto propriamente musicale. Occorrerebbe molto tempo per discutere di questa
19
20
21
22
Ibid., p. 208.
Ibid., p. 185.
Ibid., p. 210-211.
(a proposito di Schönberg) Theodor W. Adorno, Philosophie de la nouvelle musique, traduzione in francese di H. Hildenbrand e A.
Lindenberg, Paris, Gallimard, 1962.
4
questione importante e occorrerebbe entrare nei dettagli ed esaminare la situazione paese per
paese, compositore per compositore. In ogni caso, è certo che un compositore come Xenakis,
che, dopo la guerra, partecipò attivamente alla guerra civile (che oppose i comunisti greci ai
Greci di destra, spesso antichi collaboratori e militarmente sostenuti dalla Gran Bretagna poi
dagli USA) e che rischiò di perdere la vita durante gli avvenimenti del dicembre 1944 in cui
Atene fu bombardata per la prima volta (dagli Inglesi), è dunque certo che un compositore come
lui rinunciò a manifestare la sua volontà politica ma fece una musica «rivoluzionaria»:
introduzione delle probabilità, musica di massa, musica del suono, formalizzazione, etc.
L’associazione tra musica contemporanea e progressismo di sinistra continua a predominare,
anche se numerosi compositori di questa prima generazione di musica contemporanea furono
apolitici (Stockhausen) o anche di destra (Boulez, più per i sostegni istituzionali che ottenne che
per le posizioni chiaramente espresse). Per altro, si può anche vedere questo trasferimento della
critica sociale sul musicale come una sorta di rinuncia alla sfera politica da cui il fatto che
questa «rivoluzione» musicale praticata dalla prima generazione della musica contemporanea ha
un aspetto tecnocratico: chiunque non consideri il legame tra questi linguaggi musicali che, oggi
ancora, passano per complessi e il loro contenuto sociale, può facilmente tacciarli come
formalisti.
Negli anni 1960 e inizio 1970, il contenuto sociale e politico della musica contemporanea
tende a esprimersi più chiaramente: è l’epoca in cui Luigi Nono fa suonare La fabbrica
illuminata nelle officine, in cui Xenakis rivoluziona la pratica del concerto disperdendo i
musicisti di una grande orchestra tra il pubblico (Terretektorh), in cui John Cage introduce
considerazioni musico-politiche, etc.
Con la seconda generazione che passa da questa fase della sua giovinezza per scoprirsi
rapidamente post-rivoluzionaria, gli anni 1980 della musica contemporanea reinventano il
ripiegamento della critica sociale nella musica stessa, ma, questa volta, con un rischio di
accademismo. Noi non abbiamo il tempo di attardarci su questa epoca e su questa generazione
che comprende tuttavia compositori brillanti come il terzo italiano che avevo citato all’inizio di
questa conferenza, Salvatore Sciarrino, che comprende i compositori francesi della musica detta
«spettrale» (Gérard Grisey, Tristan Murail…), etc.
Vorrei rapidamente venire alla terza generazione della musica contemporanea: i musicisti
che hanno tra 30 e 50 anni oggi. In effetti, sono loro che si trovano nella la situazione difficile
che ho descritto all’inizio, in una società in cui l’arte è, una volta di più, minacciata di
estinzione, questa volta per ragioni economiche. Ciò che è interessante con questi musicisti, è
che alcuni di loro, come dicevo, scelgono di sviluppare le più alte specificità della loro arte, ma
senza per nulla costituire un mondo a parte, potendo questo sviluppo servire da modello per
l’evoluzione positiva della società. Si tratta dunque di dare al paradigma adorniano una svolta
decisiva.
In effetti, ciò che finalmente rende delicato, fragile (ma anche molto poetico) il paradigma
adorniano, è il fatto che si fonda sull’idea di analogia, come dicevo. È per questo che parlando
della prima generazione della musica contemporanea, affermavo che i più rivoluzionari
politicamente parlando, nell’impossibilità di materializzare la loro volontà politica, la
trasferirono in musica. Uso la parola transfert per indicare che, nel pensiero di Adorno, si ha un
po’ l’equivalente della teoria della sublimazione sviluppata da Freud. Ora, con i musicisti per
cui si pone il problema, se si resta ben nella sfera dell’arte (non si tratterà dunque di arte
«sociale» o di arte politica o politicizzata), il punto di partenza non è un’analogia, ma un’idea
che si presenta tanto nella società quanto in musica.
5
LA REINVENZIONE DEL SENSIBILE. L’ESEMPIO DI PASCALE CRITON
Per chiarire questa affermazione, facciamo due esempi. Il primo concerne una
compositrice francese che, attraverso la sua stessa musica, propone di reinventare il sensibile.
Sensibile: ecco una problematica che può materializzarsi proprio sia come questione sociale sia
come questione musicale.
In quanto questione sociale, si sa che uno dei problemi maggiori delle società di oggi è che
esse sono dominate da una razionalità interamente strumentalizzata, una razionalità che
conserva della Ragione, del Logos, solo l’apparenza: in questa razionalità strumentalizzata, i
mezzi si sono sostituiti al fine. È a causa di questa forma di razionalità per cui tutto ciò che
rende umano l’umano è caduto nella categoria dell’«umanitario», in cui lo si agisce unicamente
per non avere rimorso, pensando che questa azione vada incontro allo «sviluppo», uno sviluppo
che è ridotto ad un economismo primario (trionfo del profitto). Con questa forma di razionalità,
tutto ciò che rileva il sensibile appare come irrazionale, l’intelligenza diventa valore
fondamentale e si presenta come denudata di ogni forma di sensibilità. Di conseguenza, diventa
urgente, socialmente, procedere ad una critica di questa ragione strumentalizzata e rivalutare la
sensibilità, reinventare il sensibile.
In musica, il «tecnocratismo» che evocavo precedentemente a proposito della prima
generazione di musica contemporanea ha un po’ della ragione strumentalizzata, perché tende a
privilegiare i mezzi a detrimento del fine. Ha talvolta avuto come conseguenza il fatto di
relegare in secondo piano tutto ciò che rileva della relazione sensibile dell’ascoltatore alla
musica, privilegiando la «comprensione». Così, reinventando il sensibile, la compositrice di cui
vi parlerò instaura una discussione propriamente musicale, benché, come si è visto, questo
discussione è anche un dibattito sociale.
Pascale Criton, la compositrice in questione, è nata nel 1954 a Parigi. Ha studiato
composizione con Ivan Wyschnegradsky e Jean-Etienne Marie, due compositori pionieri della
microtonalità, così come con Michel Puig e Gérard Grisey, il pioniere della musica spettrale. Le
sue composizioni sono conosciute in primo luogo per l’impiego dei microintervalli, dal quarto al
sedicesimo di tono (intervalli ben più piccoli degli intervalli abituali della musica occidentale, il
cui intervallo più piccolo dopo l’instaurazione del temperamento equabile, alla fine del XVII
secolo, è il semitono). Nella sua musica, questi intervalli sono realizzabili sia da strumenti
ordinari che da strumenti specificamente accordati (piano Carrillo, chitarre microtonali, etc.).
Nondimeno, le sue composizioni non si riassumono affatto in queste innovazioni, benché questa
sia la maggiore. Innumerevoli altri aspetti focalizzano l’interesse dell’ascoltatore, dell’analista e
degli esteti, specie il carattere eminentemente sensibile della sua musica, che mette in opera di
continuo, per riprendere i suoi stessi termini, «spazi sensibili» 23.
Pascale Criton si appella all’insegnamento del filosofo Gilles Deleuze. Così, sottolinea
«l’esperienza del sensibile», cioè l’esperienza di una musica centrata sulla sensazione. Il suo
articolo «La percezione vive» si apre con una citazione di Deleuze: «Non c’è storia che della
percezione» e inizia così:
«La percezione è data o possiamo intenderla, progettarla, sperimentarla...? Se percepire può essere
considerato come un campo aperto, che si modifica al filo delle disposizioni e secondo i punti di vista, noi
siamo proprio per rendere udibile una diversità quasi infinita di superfici sensibili. […] Abitiamo
realmente – pienamente – questo mondo o siamo sballottati al suo margine, arenati da qualche parte nelle
pieghe di una periferia infinita, assorbiti, trascinati senza che noi sappiamo ben dirci gli uni gli altri ciò che
possiamo, ciò che ci attendiamo? Questa osservazione apparentemente pessimista proviene al contrario da
una riflessione sul desiderio e l’urgenza di riappropriarsi dei territori sensibili, della cura di materializzarli
e di progettarli. Di fronte a questa sensazione di irrealtà, è per me importante ricentrare il contenuto della
musica sugli affetti e l’esperienza del sensibile» 24.
23 È il titolo di un suo articolo: «Espaces sensibles», in L’espace: Musique/Philosophie, testi riuniti e presentati da Jean-Marc Chouvel e
Makis Solomos, Parigi, l’Harmattan, 1998, p. 129-140.
24 Pascale Criton, « La perception vive», Doce notas preliminares n. 1, Madrid, 1997, p. 166.
6
Da una costatazione (questa «sensazione di irrealtà», sinonimo forse di insensibilità) e da
un interrogativo (si possono creare nuovi modi di sentire?) sorge una doppia volontà:
focalizzarsi sul sensibile e tentare di ridefinire e di intendere il suo contenuto. La musica è allora
definita come il campo di esperienza dell’infinito delle nostre sensazioni, che essa ci permette di
sentire rendendole (quasi) udibili.
Come rinnovare il contenuto della percezione, come liberare dalla loro imposizione le
sensazioni? Facendo appello al lavoro di costruzione: componendo queste sensazioni. Per
costruzione, intendiamo precisamente l’idea di considerare che queste sensazioni, per legate che
siano al nostro corpo, che ci è dato, non sono tuttavia dei fatti bruti, percepibili; è questa
percepibilità che conduce al loro esaurimento, all’insensibilità, di cui l’ultimo residuo è
un’ultima sensazione, quella di irrealtà. Ciò suppone allora, poiché è la musica che ci permetterà
di provare queste sensazioni, un’opera musicale pure non percepibile: un’opera in cui tutto si
trasforma senza posa, è in divenire. La nozione di sensibile congiunge qui l’idea di «sensibilità
alle cause iniziali» delle teorie dette del caos (il battito d’ala di una farfalla potrebbe causare un
diluvio), idea che evoca en passant Pascale Criton in un altro testo25.
La musica sarà allora ad immagine del corpo, ma di un corpo non-percepibile come viene
da dirsi: «Comporre, decomporre, ricomporre corpi sonori, far respirare gli elementi stessi – un
suono, un intervallo, una combinazione verticale o orizzontale, una soglia-limite: l’elemento o
corpo non è più dato, fissato una volta per tutte, ma è colto come molteplicità, come potenzialità
sensibile. Raggiunge la sensibilità propria degli enti fisici» 26, scrive Pascale Criton. All’idea
relativamente recente che la «logica del vivente è in divenire – e non stabile e semplificabile»
(come lo era per il pensiero meccanicista) – corrisponderebbe dunque una musica «che si porta
sul multiplo, l’interattività, la complessità del movimento e la formazione dinamica degli
avvenimenti»27. La spiegazione (e forse composizione) organicista della musica, che si deve ai
teorici tedeschi dell’inizio del XIX secolo (e forse a compositori come Beethoven) prende qui
una forma nuova, sotto l’impulso di questa visione del mondo che propone la scienza moderna.
La musica è nuovamente concepita come un corpo, ma la sua descrizione non scommette più
sulla sua meccanica o sull’identificazione delle sue supposte cellule: essa si interessa alle sue
trasformazioni inattese.
Questo nuovo «corpo» musicale caratterizzato dall’instabilità, il passaggio molto continuo
da uno stato all’altro, farà appello all’idea (musicale) moderna di continuum: Pascale Criton si è
lungamente dedicata al lavoro di Ivan Wyschnegradsky, compositore poco eseguito oggi, ma
che fu il più solido teorico del continuum musicale 28. Contro tutta la tradizione musicale che
nasconde nel profondo il continuum per dedicarsi alla combinatoria di entità discrete (altezze e
ritmi), si tratta qui di manifestarlo.
Un’altra idea, anche essa fondamentale, è legata alla nozione di continuum: l’idea di
soglia. In effetti, Pascale Criton elabora microvariazioni del suono che provocano
continuamente situazioni di squilibrio dell’emissione sonora che si possono descrivere come
effetti di soglia. Effetti di soglia: il lavoro sul continuum prova l’esperienza impercettibile delle
zone liminali dell’emissione sonora, di tutto ciò che nel gioco concreto provoca stati transitori in
ragione della resistenza dei materiali (corde, tubi, lamelle) o della congiunzione di gesti
conflittuali. Si possono distinguere diverse soglie secondo che si tratti di incertezza di altezza o
di timbro o anche di una zona di estinzione del suono. Per esempio, si ha spesso nella musica di
Pascale Criton un tipo di suono alla frontiera del percepibile, sovente a fine sequenza, dove la
compositrice annota: «mormorio, in un soffio» 29. Allora, nel pezzo Territoires imperceptibles di
cui ascolteremo l’inizio, l’archetto del violoncello in tremolo con una «pressione rilassata» sul
cavalletto emette un suono indeterminato indicato «appena un filo udibile», come prescrive la
compositrice30.
25
26
27
28
29
30
Cf. Pascale Criton, «Espaces sensibles», op. cit., p. 136.
Pascale Criton, «La perception vive», op. cit., p. 167.
Pascale Criton, «Espaces sensibles», op. cit. , p. 130
Cf. Ivan Wyschnegradsky, La loi de la pansonorité, Ginevra, Contrechamps, 1996, 1996.
Passage des heures, système 25-26.
Système 37.
7
Questo continuum e questi effetti di soglia sono costruiti: il sensibile in questione va di
pari passo con l’idea di razionalità. Non si tratta di presentare il sensibile come l’altro del
razionale, come un irrazionale – questa visione del sensibile è giustamente la visione che
sviluppa la ragione strumentalizzata. Come ci dice Pascale Criton:
«Per tracciare il cammino di percezioni vive e realizzare stati di variabilità sensibile, due livelli si
inframezzano: un piano logico si annoda ad un piano di sensazione. Occorre l’incontro di una strategia di
organizzazione con un piano più esistenziale la cui tensione è la cattura di una sensazione in ogni sua
esigenza e sua portata. […] Occorre da un lato stabilire una cartografia sonora con un campo di sviluppo di
centro, di funzioni, di variabili e dall’altro stendere una rete sensibile nella quale certi tipi di intensità
possono prendere forma. Questi due livelli non cessano di interagire, di influenzarsi e di determinarsi l’un
l’altro: essi hanno ognuno la loro parte di contenuto e di espressione» 31.
Vi propongo di ascoltare l’inizio di Territoires imperceptibles, un’opera del 1997 di
Pascale Criton, per flauto basso, chitarra accordata in sedicesimi di tono e violoncello.
LA CRITICA DELLO SPAZIO VIRTUALE E GLI ECOSISTEMI SONORI.
L’ESEMPIO DI AGOSTINO DI SCIPIO
Ecco qualche parola su un lavoro propriamente musicale, ma che rileva anche una
proposizione veramente sociale: reinventare, riabilitare il sensibile. Il mio secondo esempio
concerne un compositore italiano, di Napoli, e mira alla stessa dimostrazione, con una
problematica differente, ma legata alla precedente: parleremo della critica dello spazio virtuale.
In effetti, sul piano sociale, una delle conseguenze della razionalità strumentale, la quale pensa
che il sensibile non sia utile, è lo sviluppo dell’idea di spazi virtuali che si sostituiscono agli
spazi reali. Si conoscono le conseguenze disastrose di questa sostituzione: basterà pensare a
questi giovani soldati [nel testo francese: GI Governement Issue, n.d.t.] americani inviati in Irak
quasi come a continuare un video-gioco di guerra…
Sul piano musicale, esiste una maniera di concepire lo spazio che va nel senso del virtuale.
Per «spazio», mi riferisco, da una parte, allo spazio fisico nel quale si trovano gli ascoltatori e i
musicisti e, dall’altra, alla maniera con la quale, precisamente nel caso della musica elettronica
(diffusa da altoparlanti), il suono può «viaggiare» all’interno di questo spazio. Si intenderà qui
per «spazio virtuale» tutti quei modi di lavorare che mirano a dare all’ascoltatore l’illusione di
essere in uno spazio altro che quello in cui si trova, modi di lavorare che vanno dalla semplice
stereofonia domestica o dal sistema di diffusione detta home cinema, fino a dei programmi di
spazializzazione complessi utilizzati in concerto, che mirano a simulare acustiche precise.
Come per la questione del sensibile, si vede dunque che una problematica musicale è in
fondo prossima ad una problematica sociale. Vediamo dunque come il compositore di cui vi
parlo propone in musica degli spazi altro che virtuali.
Il compositore in questione si chiama Agostino Di Scipio. È nato nel 1962, vive all’Aquila
e insegna al conservatorio di Napoli. Viaggia spesso per realizzare le sue opere. Gode di una
notorietà importante, specialmente nei centri della musica digitale. Il suo catalogo comprende
pezzi puramente strumentali ed altri per strumento e suoni registrati, numerose opere con suoni
registrati e numerose altre per strumento e live electronics, soli per live electronics, installazioni
sonore e realizzazioni vicine al teatro musicale 32. Qui ci concentreremo su opere per strumenti e
live electronics o per solo live electronics, perché è con essi che si propone una nozione di
spazio altro che virtuale.
In effetti, in questo tipo di opere, Agostino Di Scipio elabora l’idea di «ecosistema
udibile». Si tratta di un dispositivo che produce un suono che tiene conto dello spazio nel quale
è installato il sistema. Con il prefisso «eco» (da cui ci viene la parola «ecologia»), il
compositore insiste sul parallelo con il vivente. Per realizzare questo parallelo, ridefinisce la
31 Pascale Criton, “La perception vive”, op. cit., p. 167-168.
32 Mi baso sulla classificazione del catalogo stabilito dal compositore e redatto in inglese; «support fixe» tradotto nastro (bande),
«électronique en direct» (espression utilizzata correntemente da Horacio Vaggione) tradotto live electronics.
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nozione di interazione nel quadro della musica elettronica in diretta (detta anche live
electronics). Nel modello più comune dell’interazione in diretta, l’interazione è soprattutto
compresa come un flusso di informazione: una sorgente sonora è trasformata. Così, nel caso di
strumento e elettronica in diretta, si tratta di innescare dei processi che trasformano il suono
strumentale. In qualche modo, il sistema agente + dispositivo è poco interattivo. Di Scipio, al
contrario, insiste sull’idea di «causalità circolare», che si materializza al livello sonoro con una
idea derivata dal feedback. Così, nel pezzo intitolato Codice d’impulsi (su legno), per
percussionista e elettronica in diretta, la parte del percussionista non solamente fornisce il
materiale sonoro, ma agisce anche come un codice del programma che definisce lo stato interno
dell’elaboratore, il quale a sua volta trasforma il materiale. In altri termini, come lui stesso ci
dice, l’oggetto della composizione diventa: «comporre le interazioni» per attendere una sorta di
«auto-organizzazione» – da cui il parallelo con il vivente.
Per « auto-organizzazione», non bisogna sicuramente intendere l’idea che gli «ecosistemi»
udibili di Di Scipio potrebbero fare a meno di esseri umani! Si tratta piuttosto di esaminare
sistemi sonori evolutivi, capaci di adattarsi. E ciò è precisamente realizzabile solo se li si
concepisce in rapporto all’ambiente nel quale si iscrivono. In effetti, l’idea di «autoorganizzazione» sviluppata dalle scienze del vivente insiste sul fatto che non si può separare una
entità vivente dal suo ambiente: è solo nell’interazione con il suo ambiente che l’organismo
vivente si sviluppa. È questo, precisamente, il progetto musicale degli ecosistemi di Di Scipio.
Così, in un insieme di pezzi per live electronics, pezzi intitolati Audible Ecosystemics, il luogo
della performance è strettamente associato al sistema di interazione composto. Per esempio, il
terzo pezzo, Background Noise Study, comprende come materiale sonoro appena il rumore di
fondo della sala in cui ha luogo la performance. Nell’insieme dei pezzi che formano gli Audible
Ecosystemics, l’ecosistema consiste in una interazione triangolare tra l’acustica del luogo della
performance (che include ben inteso il pubblico), il musicista e i processi elettronici.
Agostino Di Scipio ha integrato nel suo lavoro alcuni aspetti delle musiche ambientali
sviluppati presso compositori canadesi derivati spesso dal lavoro pionieristico in ecologia
sonora di Murray Schafer. Tuttavia, il suo proposito si centra sulla nozione di ecosistema e si
distingue dunque da questa tradizione. Inoltre, questa nozione gli permette un lavoro originale
sulla questione dello spazio. Si sa che, nella musica strumentale o elettroacustica, lo spazio è
spesso considerato in termini di spazializzazione, cioè di «viaggio», dove conta più il «tragitto»
che lo spazio concreto e le sue qualità. Secondo questo approccio, come ho detto
precedentemente, lo spazio è virtuale. Nell’approccio ecosistemico di Di Scipio, lo spazio non
può essere che concreto. Così, a proposito di un’opera intitolata 5 interazioni cicliche alle
differenze sensibili, egli scrive: «Io non sono interessato dalla creazione di uno spazio “virtuale”
qualunque. […] Preferisco ben più centrarmi sullo spazio concreto, materiale, storico (sala,
camera, luogo aperto, etc.) che accoglie la performance […], nel tentativo di far lasciare al vero
spazio tracce udibili di sé stesso all’interno della forma del suono, all’interno del timbro. Si
tratta di un modo di fare l’esperienza dello spazio che, io penso, è meno ideologico, e che
contrasta con la nozione di “realtà virtuale”» 33 In Audible Ecosystems, lo spazio agisce a sua
volta come eccitatore e come cassa di risonanza: l’idea è ancora spinta più lontano. Questo
comporta un ruolo particolare accordato al rumore. Per semplificare, si dirà che il rumore non è
più perturbazione (musica tradizionale) o nuovo materiale da trasformare (musica
contemporanea). Diventa uno degli agenti dell’interazione, dato che emana dallo spazio
concreto – il luogo, l’ambiente –, che fa integralmente parte del sistema.
Ecco qualche parola sul lavoro di questo compositore, che stabilisce una critica della
nozione di spazio virtuale e che sviluppa un altro approccio. Per fare l’esperienza di questo
approccio, occorrerebbe ascoltare un pezzo con live electronics, poiché, precisamente, il
risultato sonoro dovrebbe cambiare in funzione del qui ed ora, del luogo in cui noi ci troviamo e
dell’istante presente – cioè delle condizioni acustiche presenti in questo spazio, che variano con
33 «I’m not interested in creating any “virtual” space. […] I much prefer to focus on the concrete, material, historical space (hall, room, open
place, etc.) hosting the performance […], in an attempt to make the real space leave audible traces of itself within the form of the sound,
within timbre. This is a way of experiencing space which, I think, is less ideologized and contrasts the notion of “virtual reality”».
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il numero di ascoltatori, con le loro azioni, etc. Sicuramente, noi non possiamo fare ciò: io non
posso che diffondere da altoparlanti della musica con dei suoni registrati, che non reagiscono
che debolmente con questo spazio. Perciò ho scelto di farvi ascoltare un pezzo per suoni
registrati, che fa parte di un insieme di pezzi di Di Scipio intitolato Paysages historiques. È il
primo e si intitola Paris. La Robotique des Lumières. Se non permette di illustrare la questione
degli «ecosistemi udibili», permette per contro di illustrare un’altra posta in gioco della musica
di questo compositore, posta assai prossima a quella degli ecosistemi udibili: si tratta dell’idea
dell’emergenza molto graduale della musica, della sua materializzazione, del suo senso, etc.
Intenderete una musica che comincia come un semplice e molto debole crepitio di altoparlanti –
la cui esistenza sonora richiede del tempo per appercepirsi –, che si sviluppa in seguito come
«polvere sonora», prima di prendere consistenza, per sparire di nuovo nella «polvere», etc.
Come con gli ecosistemi udibili, in cui l’ascoltatore, grazie allo spazio reale dove si trova, è al
centro del dispositivo, tocca all’ascoltatore «costruire» l’opera che ascolta. Ho scelto questo
brano anche perché siamo in un Istituto di Storia Contemporanea. Si intitola Paris. la Robotique
des Lumières, perché Di Scipio vi ha inserito delle citazioni musicali che in generale non si
riconoscono: si riconoscono, debolmente, solo dei suoni di voce riguardo queste citazioni.
Queste provengono da registrazioni storiche di canti rivoluzionari, canti rivoluzionari che
attraversano la storia di Parigi. Ascoltiamo l’inizio di Paysages historiques: Paris: début
Mi sarei augurato, nel quadro di questa conferenza, di darvi un cenno del lavoro di
numerosi compositori di musica detta «contemporanea», una musica che si accusa talvolta di
essere troppo complessa, di essere chiusa nella sua torre d’avorio. Eppure, come ho cercato di
dimostrare con l’esempio dei due musicisti di cui vi ho parlato, questa musica tratta spesso nelle
sue opere vere questioni sociali e contribuisce allo sviluppo di un pensiero critico, un pensiero
che auspicherebbe migliorare la nostra società…
Vi ringrazio della vostra attenzione.
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