3.3. La determinazione del reddito di equilibrio in presenza del

CAP. 6 – LA DETERMINAZIONE DEL REDDITO NAZIONALE.
(solo paragrafi con *)
1. La determinazione del livello di produzione, del reddito e
dell’occupazione*.
Il diagramma del flusso circolare del reddito analizzato nel primo
capitolo ha messo in evidenza le interazioni tra i mercati e i soggetti che
operano nel sistema economico. Di seguito riconsideriamo quel diagramma
per analizzare la formazione del reddito nazionale e le sue fluttuazioni.
Vogliamo spiegare perché i sistemi economici si muovano ciclicamente e
perché il Pil non è sempre al suo livello potenziale. La produzione effettiva
oscilla intorno ad un valore tendenziale, alternando periodi di espansione
con periodi di recessione.
Nell’analizzare la formazione del reddito, ignoreremo le differenze che
esistono tra i concetti di reddito nazionale, prodotto nazionale e prodotto
interno lordo. Useremo questi termini come sinonimi. Distingueremo solo
tra prodotto corrente o attuale e prodotto potenziale e cioè il massimo
prodotto che un’economia potrebbe produrre se tutti i fattori della
produzione fossero occupati. L’analisi che effettueremo è di breve periodo:
solo il prodotto attuale può variare ma non quello potenziale; per
modificare quest’ultimo occorre aumentare la dotazione dei fattori
produttivi, incrementare la capacità produttiva del sistema economico, cosa
che può essere fatta solo nel lungo periodo (cfr. cap. 7).
In un sistema economico ideale il valore reale del Pil dovrebbe crescere
nel tempo a un ritmo costante e sostenuto. Inoltre, il livello dei prezzi,
misurato dall’indice dei prezzi al consumo o dal deflatore del Pil, dovrebbe
rimanere invariato o aumentare leggermente. In altri termini, la
disoccupazione e l’inflazione dovrebbero essere trascurabili. Tuttavia, se
osserviamo l’andamento dei nostri sistemi economici osserviamo che ci
sono periodi caratterizzati da profonde recessioni con disoccupazione,
alternati da periodi di prosperità. Si verificano cioè dei cicli economici e
cioè l’alternanza di fasi caratterizzate da una diversa intensità dell’attività
economica. Essi comprendono due fasi principali, la recessione, la fase
decrescente del prodotto nazionale caratterizza da diminuzione dei
consumi, aumento delle scorte delle imprese, diminuzione della produzione
e aumento della disoccupazione; e una di espansione, caratterizzata invece
da aumento della produzione e dell’occupazione. In caso di recessione su
ampia scala sia per entità sia per durata si suole parlare di depressione (fig.
6.1).
205
Se il prodotto corrente è inferiore a quello potenziale significa che vi
sono dei fattori produttivi, ad esempio i lavoratori, non utilizzati. Occorre
allora valutare se le forze del mercato riescono a riportare autonomamente
la produzione al livello del prodotto potenziale e cioè alla piena
occupazione dei fattori produttivi, o occorra invece intervenire per
migliorare la performance dell’economia e far fronte alle fluttuazioni
cicliche del reddito nazionale.
Varie sono le teorie che spiegano le fluttuazioni del reddito, di solito
vengono suddivise in due categorie: esogene e endogene. Le teorie
esogene individuano l’origine del ciclo economico nelle fluttuazione di
fattori al di fuori del sistema economico: negli shock petroliferi, nelle
guerre, nel progresso scientifico e nelle nuove invenzioni, ecc. Le teorie
endogene cercano invece di individuare all’interno del sistema i
meccanismi che causano i cicli economici.
Fig. 6.1-. Ciclo economico e trend di crescita.
Gli storici economici hanno identificato l’esistenza nel mondo
industrializzato di “onde lunghe”, cui corrispondono trasformazioni
fondamentali dei sistemi economici anzitutto negli scenari tecnologici, ma
anche in quelli socio-economici ed istituzionali. La durata media di tali
onde è di circa sessant’anni. I cicli a cui faremo riferimento di seguito sono
quelli di intensità più ridotta, di breve e media durata, che hanno
caratterizzato in vario modo lo sviluppo delle nostre economie (cfr.
appendice I). In genere, questi cicli di breve periodo derivano dai
cambiamenti dell’offerta aggregata o della domanda aggregata. Si
verificano degli shock che provocano uno spostamento di una delle due
curve.
Shock dal lato della domanda si verificano quando i consumatori, le
imprese o i governi modificano la spesa totale rispetto allE capacità
produttive dell’economia. Se la spesa è ridotta, la maggior parte delle
206
imprese non riterrà conveniente produrre grandi quantità di beni e servizi e
quindi la produzione, l’occupazione e redditi si ridurranno.
Una seconda possibile causa di fluttuazioni economiche riguarda
l’offerta aggregata. Poiché gli shock dell’offerta hanno un impatto diretto
sul livello generale dei prezzi, spesso vengono chiamati anche shock di
prezzo. Gli shock negativi (diminuzione produzione agricola, aumento
prezzo petrolio, ecc.) spingono i costi verso l’alto, mentre gli shock
positivi hanno l’effetto di ridurre i costi e quindi i prezzi.
Ancora una volta, la domanda e l’offerta sono gli strumenti che ci
permettono di analizzare la formazione del reddito e le sue fluttuazioni. La
differenza rispetto ai capitoli precedenti, dove domanda ed offerta
indicavano quantità e prezzi di singoli beni, è che ora si parla di domanda
ed offerta aggregata per riferirci alla produzione nazionale. La domanda
aggregata (DA) esprime infatti la relazione tra la spesa in beni e servizi e
il livello dei prezzi; essa è data dalla somma della spesa dei consumatori,
delle aziende e dello Stato (consumi, investimenti, spesa pubblica e
esportazioni nette). L’offerta aggregata (OA) mostra la relazione fra la
quantità di produzione delle imprese e il livello dei prezzi. L’interazione
tra domanda ed offerta aggregata determinano il livello di produzione
nazionale e quello dei prezzi.
2. La teoria neoclassica della determinazione del reddito*.
Iniziamo l’analisi della determinazione del prodotto nazionale ricorrendo
alla teoria neoclassica (cfr appendice I cap.1): il mercato, lasciato a se
stesso, funziona bene e tende alla piena occupazione. La capacità di
autoregolamentazione del mercato si basa sulla flessibilità dei prezzi e dei
salari che permetterebbe di eliminare qualsiasi eccesso di domanda o
offerta, ricreando una situazione di equilibrio.
L’analisi si basa sulla legge di Say o “legge degli sbocchi” (Say 17671822): «ogni offerta crea la sua domanda» o, meglio, «ogni offerta genera
una domanda di importo equivalente». La domanda globale, non solo
cresce al crescere della produzione, ma risulta sufficiente a garantire che
tutto quanto si produce possa essere venduto; il potere d’acquisto delle
famiglie è infatti determinato dal livello dell’attività produttiva e ciò
perché le imprese quando producono distribuiscono reddito ai proprietari
dei fattori produttivi (salari, interessi, rendite) che verrà appunto utilizzato
per acquistare i beni prodotti.
207
La legge afferma che il potere d’acquisto dipende dalla produzione
corrente ma anche che:
- ogni produzione genera un reddito di importo equivalente;
- il reddito viene sempre interamente speso, direttamente o indirettamente,
nell’acquisto di merci.
Il reddito nazionale dipende dunque esclusivamente dalle decisioni di
produzione delle imprese: la produzione, l’offerta aggregata, determina una
domanda aggregata equivalente. In realtà, l’uguaglianza tra produzione e
reddito non è sempre assicurata, perché la produzione può restare in parte
invenduta. Parte del reddito potrebbe essere risparmiato e non si
trasformerebbe in domanda di beni e servizi, per cui si avrebbe una
sottrazione di reddito dal flusso circolare del reddito. Gli economisti
neoclassici sostengono comunque che la parte del reddito risparmiata
affluisce ai mercati finanziari e, attraverso questi, viene messa a
disposizione delle imprese per effettuare investimenti, rientrando così nel
flusso circolare del reddito. La domanda globale finisce così per essere
uguale al reddito.
Poiché il sistema di mercato è in grado di autoregolamentarsi, l’intervento
dell’operatore pubblico è superfluo, anzi dannoso. La politica economica
più adeguata è il liberismo, il laissez faire.
Per analizzare come viene determinato il reddito occorre fare riferimento
al funzionamento del mercato del lavoro, a quello delle merci, a quello dei
prestiti e a quello monetario.
a) Il mercato del lavoro - Data la funzione di produzione si può ricavare
la curva della produttività marginale del lavoro che corrisponde alla
domanda di lavoro delle imprese (fig.6.2) Infatti, fissato un ipotetico w/P
dato esogenamente dal mercato, se w/P aumenta allora ND si riduce, se w/P
diminuisce allora la ND aumenta: N = PMgl. L’incontro tra domanda ed
offerta di lavoro determina il salario reale d’equilibrio che implica la piena
occupazione (fig. 6.3).
Il mercato del lavoro è in equilibrio quando domanda ed offerta di lavoro
sono uguali. La domanda di lavoro dipende negativamente dal salario reale
e l’offerta di lavoro dipende positivamente da tale salario (cfr. cap. 3).
Tutti i lavoratori disposti a lavorare (ad offrire lavoro) al salario reale
vigente (w/P) troveranno una corrispondente domanda di lavoro. In
corrispondenza dell’equilibrio non ci sono disoccupati involontari.
Al di sopra del salario d’equilibrio vi è eccesso di offerta, mentre al di
sotto vi è eccesso di domanda. Se il salario è per qualche ragione, superiore
a quello di equilibrio si ha disoccupazione, per cui per raggiungere il pieno
impiego è necessario che diminuisca fino a quello di equilibrio. Ciò può
208
avvenire sia attraverso una riduzione del salario dovuta alla concorrenza tra
lavoratori, oppure attraverso un aumento del livello dei prezzi.
Fig. 6.2 – Funzione di produzione e della produttività del lavoro.
A causa dell’eccesso di offerta di lavoro, i disoccupati per trovare un
lavoro sarebbero disposti ad accettare un saggio salariale inferiore. Ciò
indurrebbe le imprese ad aumentare la domanda di lavoro e l’occupazione
crescerebbe. La riduzione salariale e l’aumento dell’occupazione
andrebbero di pari passo, fino al punto in cui il mercato del lavoro trova il
suo equilibrio: il salario richiesto dai lavoratori sarebbe esattamente eguale
a quello che le imprese sono disposte a pagare.
Fig. 6.3 – La domanda di lavoro.
In modo analogo si ragiona nel caso in cui il mercato del lavoro è
caratterizzato da eccesso di domanda. Le imprese, pur di avere
manodopera, sarebbero disposte a pagare saggi salariali maggiori. Il salario
aumenterebbe determinando un incremento dell’offerta di lavoro e una
riduzione della domanda, fino al punto in cui si raggiunge l’equilibrio.
La teoria neoclassica dell’occupazione esclude dunque il caso di
disoccupazione involontaria. In un sistema economico, quando il mercato
del lavoro è concorrenziale non si ha disoccupazione, purché i lavoratori
accettino un salario che sia commisurato alla produttività marginale del
lavoro (la quantità di prodotto che si ottiene da un lavoratore in più adibito
agli impianti esistenti). Se c’è disoccupazione, allora è volontaria: essa si
209
ha quando i lavoratori pretendono un saggio salariale superiore a quello
naturale (il salario in grado di assorbire tutta la manodopera esistente). Ciò
può essere dovuto al fatto che i lavoratori, organizzati in associazioni
sindacali, resistono alla pressione dei disoccupati i quali vorrebbero
lavorare ad un salario ridotto, oppure perché i disoccupati preferiscono
attendere opportunità migliori.
In conclusione, nel breve periodo, la domanda di lavoro delle imprese e
l’offerta di lavoro dei lavoratori determinano il saggio salariale reale (che è
commisurato alla produttività marginale del lavoro espressa in termini
reali) e il livello di occupazione.
b) Il mercato dei beni - Determinato l’equilibrio sul mercato del lavoro e
quindi il numero dei lavoratori occupati e in base alla funzione di
produzione si può determinare il livello di produzione di equilibrio (fig.
6.4). A questo punto il problema consiste nel verificare che tutta la
produzione venga assorbita dalla domanda. In base alla legge degli sbocchi
analizzata in precedenza le famiglie di lavoratori e capitalisti, una volta
ricevuto il reddito Y, lo spendono interamente per l’acquisto della
produzione. La parte di reddito che non viene spesa per l’acquisto di beni e
che viene risparmiata (S) verrà interamente prestata alle imprese che la
useranno per effettuare investimenti (I).
F ig. 6.4 – La determinazione dell’occupazione
210
Si pone però il problema di chi garantisce che S e I saranno uguali
considerato anche il fatto che le decisioni di risparmiare e di investire
fanno capo a soggetti diversi. Secondo i neoclassici è il tasso di interesse
“i” a garantire il perfetto equilibrio tra S e I. Infatti le famiglie decidono tra
C e S in base a “i” (se i aumenta le famiglie riducono i consumi e il
risparmio aumenta). Le imprese decidono gli investimenti in base al costo
dei prestiti “i” (se i aumenta, allora I si riduce). Le forze di mercato,
lasciate a se stesse, garantiranno un tasso di interesse di mercato “i” tale
che S = I (fig. 6.5).
Fig. 6.5 – La determinazione del tasso di interesse.
Così come il salario reale w/P garantisce l’equilibrio tra domanda ed
offerta di lavoro, così il tasso di interesse “i” garantisce l’equilibrio tra
risparmi S e investimenti I. Queste conclusioni sono favorevoli ad una
economia liberista. Le forze del mercato, lasciate a sé stesse, garantiscono
il pieno impiego dei lavoratori e l’acquisto dell’intera produzione
realizzata.
Esistono dunque un tasso di interesse ed un ammontare di risparmio e di
investimento che assicurano l’equilibrio del mercato dei beni al livello di
pieno impiego. Sono i movimenti del tasso di interesse a mettere in
equilibrio il mercato dei beni, assicurando l’uguaglianza tra risparmio e
investimenti.
c) Il mercato della moneta - Per completare il modello occorre
considerare il mercato della moneta. Nel modello neoclassico la moneta
svolge solo le funzioni di mezzo di scambio e di misura di valore e serve
per determinare il valore nominale dei prezzi.
211
Il livello dei prezzi è definito mediante la teoria quantitativa della
moneta: poiché gli scambi costituiscono l’unico impiego della moneta, la
quantità in circolazione M, moltiplicata per la velocità di circolazione V
(numero medio di volte che circola nell’unità di tempo ed è data dal
rapporto tra il reddito nominale e lo stock nominale di moneta), eguaglia il
valore della produzione scambiata (PQ). Si ha dunque: MV=PQ.
Poiché il valore monetario complessivo degli scambi è necessariamente
uguale al valore monetario dei beni venduti, i due membri dell’equazione
sono uguali per definizione. Nel breve periodo non vi possono essere
variazioni di V (per i monetaristi V è stabile, non costante) e di Q poiché il
sistema economico non può aumentare o diminuire il livello di produzione
e i soggetti economici non modificano il loro comportamento rispetto al
numero di transazioni che essi desiderano compiere. Esiste quindi una
relazione che lega M e P: una variazione di M provoca necessariamente
una variazione diretta di P.
Dall’equazione riguardante la teoria quantitativa della moneta si ricava
che P = (V/Q)M, e poiché nel lungo periodo V e Q sono costanti, si avrà
P=kM dove k è una costante. L’equazione mette dunque in evidenza come
le variazioni dei prezzi siano da attribuire a variazioni della moneta. La
moneta determina dunque il livello generale dei prezzi mentre il livello
dell’attività economica è determinato da fattori reali. E’ questa la
cosiddetta dicotomia neoclassica tra settore monetario e settore reale
dell’economia.
Poiché il sistema economico è sempre in equilibrio ed il reddito è sempre
di piena occupazione, una politica monetaria espansiva (aumento
dell’offerta di moneta) provocherà semplicemente un aumento dei prezzi.
L’immissione di moneta crea disequilibrio; aumenta la quota di risparmio
che viene utilizzato per acquistare attività finanziarie e beni reali.
L’aumento della domanda sui mercati finanziari determina un aumento dei
prezzi dei titoli che fa diminuire il tasso di interesse che, a sua volta,
stimola l’investimento e quindi la domanda aggregata, che rafforza
l’eccesso di domanda sul mercato dei beni. Maggiore domanda aggregata
sul mercato dei beni significa surriscaldamento dei prezzi. Le imprese
provano ad aumentare la produzione oltre il livello di produzione
potenziale, ciò determina l’incremento della domanda di lavoro con
aumento dei salari, aumento dei costi di produzione delle imprese e quindi
dei prezzi. Per questo motivo la ricetta dei monetaristi per far fronte
all’inflazione suggerisce di adottare politiche monetarie restrittive.
Supponiamo che il Pil nominale sia pari a 400.000 miliardi e il pubblico
desideri detenere 100.000 miliardi per potere acquistare questo prodotto;
ciò implica che V è pari a 4. Se inoltre ipotizziamo che l’offerta effettiva di
212
moneta sia pari a 100.000 miliardi possiamo dire che il sistema economico
è in equilibrio. Se l’offerta di moneta aumenta di 10.000 miliardi il
pubblico si trova a detenere più circolante di quanto vorrebbe e cerca
quindi di disfarsi della moneta in eccedenza provocando un aumento della
domanda aggregata e quindi del Pil nominale di 40.000 miliardi
(10.000x4).
In conclusione, nell’impostazione neoclassica è la produzione a
determinare la domanda e l’equilibrio è necessariamente di piena
occupazione sia per il lavoro sia per il capitale. A garantirla provvede la
flessibilità del sistema dei prezzi: il salario reale (mercato del lavoro) e il
tasso di interesse reale (mercato dei beni). La moneta serve solo per
determinare il livello dei prezzi. Se la banca centrale mantiene stabile
l’offerta di moneta, il livello dei prezzi è stabile; se la banca centrale
aumenta rapidamente l’offerta di moneta, il livello dei prezzi aumenta
rapidamente.
3. La teoria keynesiana *.
Dopo le grandi crisi economiche che contraddistinsero il periodo tra le
due grandi guerre, in particolare quella del 1929 (Appendice I), si affermò
una teoria alternativa: la teoria keynesiana (Keynes, 1936). Keynes ribalta
il modo di pensare dei neoclassici e ritiene che l’occupazione sia
determinata dalla domanda aggregata effettiva, e non viceversa. Se vi è
disoccupazione, essa va ricercata nella carenza della domanda, in
particolare degli investimenti privati.
Vengono messi in discussione i due meccanismi di regolazione su cui gli
economisti neoclassici avevano fondato la loro teoria: la flessibilità dei
prezzi e dei salari e la determinazione del tasso di interesse. I salari non
sono del tutto flessibili come preteso dalla teoria neoclassica: a causa
dell’opposizione dei sindacati essi sono rigidi verso il basso, non possono
scendere oltre certi livelli. Ciò avrebbe un effetto positivo poiché salari
troppo bassi comporterebbero una limitata capacità di spesa che
deprimerebbe il mercato dei beni di consumo. In secondo luogo, il tasso di
interesse non rappresenta la remunerazione del risparmio ma il compenso
per la rinuncia alla liquidità e, pertanto, esso si determina sul mercato
monetario (ha il compito di riequilibrare domanda ed offerta di moneta).
L’analisi keynesiana è di breve periodo per cui vengono ignorati
fenomeni di crescita del prodotto potenziale Nel dimostrare la tesi
213
keynesiana di determinazione del reddito, faremo riferimento al modello
reddito-spesa. Le principali ipotesi sottostanti al modello sono le seguenti:
- i prezzi dei beni e dei fattori produttivi sono fissi (questo implica che la
distinzione tra grandezze reali e monetarie non ha rilievo). La curva di
offerta aggregata è pertanto orizzontale;
- prodotto nazionale e reddito nazionale sono identici per cui i termini sono
sinonimi;
- inizialmente non esistono moneta, banche e mercato dei titoli e quindi
neppure i tassi di interesse. Ci concentreremo esclusivamente sul mercato
dei beni.
Il livello della produzione, che rappresenta l’offerta aggregata (OA) ed
equivale al reddito complessivo del sistema (Y), è determinato dalla
domanda aggregata (DA) (spesa). La DA è determinata dalla somma del
livello desiderato di spesa per consumi ( C) delle famiglie e dal livello
desiderato di investimenti (I) delle imprese: DA = C+I.
L’equilibrio del mercato dei beni richiede che il livello della DA e
dell’OA coincidano e cioè Y=C+I: il reddito nazionale è definito dalla
somma della spesa per consumi delle famiglie e della spesa per
investimenti delle imprese. L’equilibrio si fonda sull’interazione tra le
scelte degli imprenditori e le scelte dei consumatori. Le imprese decidono
quanto produrre sulla base delle loro aspettative in merito al livello della
domanda di mercato. Se la domanda effettiva risulta diversa da quella
attesa, gli imprenditori correggono le proprie aspettative e il livello di
produzione in modo conseguente. Importante dunque nel modello
keynesiano il ruolo delle aspettative.
Se la domanda effettiva è inferiore a quella attesa e l’offerta si è basata
su quest’ultima, una parte della produzione rimarrà invenduta sotto forma
di scorte indesiderate. Le imprese decideranno pertanto di ridurre la
produzione fino all’esaurimento delle scorte. La produzione effettiva è
dunque determinata dal livello della DA. La DA traina l’offerta aggregata e
determina il livello della produzione. Il valore di quest’ultima (che
coincide con la spesa per C e I) definisce il redito nazionale.
E’ dunque il livello della spesa aggregata per beni e servizi a determinare
il livello della produzione. Nell’ambito del modello reddito-spesa ci
riferiamo alla domanda aggregata desiderata o programmata (ex ante)
che va distinta da quella realizzata (ex post). La prima corrisponde al
consumo che le famiglie desiderano compiere, più gli investimenti che le
imprese desiderano effettuare; la seconda corrisponde invece ai consumi ed
investimenti effettivamente realizzati. Le due domande possono essere
diverse, questo accade se le imprese non giudicano correttamente quale
214
sarà la domanda delle famiglie. Ad esempio, se le imprese sopravvalutano
la domanda e, a fronte di una domanda di 400 unità ne producono 500, si
avrà un aumento delle scorte, rappresentate da 100 unità di invenduto. In
contabilità nazionale le scorte vengono contabilizzate come investimenti
per cui la domanda aggregata è uguale alla produzione, ma questo è vero
soltanto dal punto di vista contabile. Gli investimenti che occorre
considerare sono quelli desiderati. È dunque la spesa programmata o
desiderata e cioè la spesa che gli individui desiderano effettuare sulla base
del reddito che hanno a disposizione che deve essere uguale all’offerta
aggregata. In assenza del settore pubblico e di quello estero la spesa
aggregata delle famiglie e delle imprese è costituita dalle spese per beni di
consumo e per le spese di investimento.
Le funzioni del consumo e del risparmio – La componente più importante
della domanda aggregata è la spesa per consumi: essa costituisce circa due
terzi del reddito nazionale ed è pressoché costante nel tempo. La parte di
reddito (Y) che non viene destinata all’acquisto dei beni di consumo (C )
viene invece risparmiata (S) (il risparmio coincide dunque con quella parte
del reddito disponibile che non viene consumato) per cui Y= C +S.
In genere, i consumi aumentano all’aumentare del reddito:
C = C* + cY
dove C* è il consumo minimo che non dipende dal reddito, viene infatti
definito autonomo (le famiglie consumano anche quando il loro reddito è
nullo) e c è la propensione marginale al consumo, il cui valore varia tra 0
e 1, e che viene definita come l’incremento di consumo che si ottiene
quando il reddito aumenta di un’unità (ad esempio posto c=0,92 un
incremento del reddito Y pari a 1 euro farà aumentare il consumo di 0,92
centesimi):
Prop mg = ΔC/ ΔY
Per definire la funzione del consumo occorre considerare anche la
propensione media al consumo: la percentuale di reddito che viene
consumata. Essa è data dal rapporto C/Y. Nella trattazione assumiamo che
le propensioni marginale e media siano uguali. Nella realtà, i loro valori si
discostano, sia pur di poco, dal momento che la propensione marginale al
consumo tende a diminuire mano a mano che cresce il reddito.
Anche per il risparmio si hanno due concetti equivalenti a quelli della
propensione marginale e media al consumo: la propensione marginale e
media al risparmio. Quella media indica la quota di reddito disponibile
che le famiglie vogliono risparmiare (S/Y); la propensione marginale al
risparmio mette invece in relazione la variazione del risparmio desiderato
215
complessivo con quella del reddito disponibile (ΔS/ΔY). La somma della
propensione marginale al consumo e di quella marginale al risparmio deve
necessariamente essere uguale all’unità così pure la somma delle due
propensioni medie.
Per livelli di reddito molto bassi il consumo può superare il reddito
disponibile; in questo caso le famiglie devono ricorrere al risparmio
negativo, cioè sono costrette a contrarre debiti o a consumare la ricchezza
precedentemente accumulata.
Il principale fattore che influisce sul consumo e sul risparmio delle
famiglie è il livello del reddito disponibile. Essi possono essere influenzati
anche da altri fattori: la ricchezza (beni reali quali case, automobili,
televisioni, ecc.; e attività finanziarie quali obbligazioni, azioni,
assicurazioni, ecc.); il livello dei prezzi (fanno variare il valore reale o
potere d’acquisto di alcuni tipi di ricchezza); le aspettative delle famiglie
riguardo ai prezzi, ai redditi monetari e alle disponibilità di beni; il grado di
indebitamento dei consumatori; le imposte.
Gli investimenti – L’investimento (la spesa per l’acquisto di nuovi
macchinari, attrezzature, ecc.) costituisce un’altra componente della spesa
privata. La decisione ad investire dipende dalle previsioni circa il futuro
livello della domanda. Le imprese cercano di prevedere e valutare quanto
renderà nei vari esercizi l’investimento attuato, calcolano cioè l’efficienza
marginale del capitale (da non confondere con la produttività marginale
del capitale che si calcola su valori certi). Il calcolo viene effettuato sulla
base di aspettative relative ai costi e ai ricavi utilizzando un dato tasso di
interesse: tanto più elevato è il tasso di interesse tanto più alto è il costo
che deve essere sostenuto per prendere a prestito il denaro al fine di
effettuare l’investimento e tanto minore è la spesa desiderata per
investimenti. Il livello degli investimenti dipende dunque dal saggio di
interesse reale (i) e dalle aspettative degli imprenditori sui ricavi (As):
I = f (i, As). Pertanto l’investimento non dipende dal reddito, ma
costituisce una componente autonoma della domanda aggregata.
L’equazione che formalizza la relazione tra I e i è del tipo: I = I* - bi
dove I* è la quota fissa degli investimenti, i il tasso di interesse nominale
e b misura la sensibilità degli investimenti complessivi rispetto a variazioni
del tasso di interesse. Gli investimenti crescono quando si verifica una
riduzione del tasso interesse e viceversa tenendo conto di b.
La domanda aggregata a cui abbiamo fatto riferimento in precedenza
dipende dunque in parte dal reddito (indicata con cY) e in parte è invece
autonoma. Quest’ultima è costituita dal consumo minimo insopprimibile
216
C* e dalla domanda di investimenti Ī che dipende dal tasso di interesse e
dalle aspettative:
Y = cY + C* + I(i, As)
Il reddito di equilibrio in un’economia chiusa - Data una situazione in
cui i prezzi e i salari sono fissi, il reddito di equilibrio si ottiene quando, la
spesa aggregata desiderata DA, la somma di quanto le famiglie intendono
spendere in beni di consumo e le imprese in investimenti, eguaglia il
livello di produzione e cioè
DA= Y = OA
Y = C* + cY + I* – bi
(1-c)Y = C* + I* - bi
Y =1/(1-c) [C* + I* – bi]
Il livello del reddito di equilibrio dipende positivamente dalle due
componenti esogene C* e I* nonché dalla propensione marginale al
consumo c e, al contrario, diminuisce al crescere del tasso interesse.
Nella fig. 6.6 il livello di equilibrio del Pil è dato dall’intersezione della
domanda aggregata C+I con la bisettrice degli assi. In qualsiasi punto della
bisettrice il livello totale della spesa per consumi e investimento (misurato
come segmento verticale) è esattamente uguale al livello totale del prodotto
(misurato come segmento orizzontale).
Fig. 6.6 – Il reddito di equilibrio
La funzione al consumo è una semiretta inclinata positivamente, con
l’intercetta in ordinata pari a C* e inclinazione pari a c (la propensione
marginale al consumo). La distanza verticale tra ogni punto dell’asse
orizzontale e la retta inclinata a 45° indica il valore che assumerebbe il
consumo se tutto il reddito venisse consumato; per contro, la distanza
verticale tra questa retta di riferimento e i punti che rappresentano il
217
consumo effettivo di ciascun anno (la funzione del consumo) indica quanto
è stato risparmiato in quell’anno. Sottraendo il consumo dal reddito
disponibile si ottiene il risparmio.
La funzione degli investimenti è una retta parallela a quella dei consumi
poiché abbiamo ipotizzato che la domanda di investimenti sia costante (I =
Ī); il consumo è la sola componente della domanda che cresce con il
reddito. Se la domanda aggregata (C+I) fosse superiore al livello del
prodotto previsto Q, risulterebbe maggiore della produzione. In questo
caso la domanda stimolerebbe le imprese a produrre di più, la produzione e
il reddito crescerebbero e crescerebbe ancora la domanda (per consumo), si
stimolerebbe nuova produzione e reddito e così via. Il processo si arresta
quando domanda e produzione si eguagliano, esattamente nel punto E.
Se, viceversa, la produzione fosse maggiore della domanda, le imprese
non trovando acquirenti, accumuleranno involontariamente scorte di beni
invendibili e, pertanto, saranno costrette a ridurre la produzione e il reddito
che distribuiscono. La contrazione della produzione prosegue fino a
quando produzione e domanda si eguagliano.
Se si ha capacità produttiva in eccesso (Q-Qp), l’aumento della domanda
aggregata può aumentare i livelli di produzione; se invece un’economia
produce a livello di capacità Qp, quando aumenta la domanda aggregata
non c’è spazio per l’espansione. In condizioni di piena occupazione gli
aumenti della domanda determinano prezzi più alti anziché incrementi del
prodotto, si verifica un eccesso inflazionistico, ma questo verrà posto in
evidenza nei paragrafi successivi.
L’equilibrio di sotto occupazione – Non è detto che il livello di equilibrio
E sia di piena occupazione, può essere un equilibrio di sotto occupazione.
L’economia potrebbe trovarsi con un livello del prodotto inferiore al
prodotto potenziale (Q<Qp). Le imprese possono non avere incentivi ad
assumere lavoratori disoccupati perché non vi è nessuna aspettativa di
crescita della domanda. In questo caso si avrà disoccupazione dovuta ad
insufficienza della domanda: disoccupazione involontaria.
Se vi è capacità produttiva inutilizzata (disoccupazione), per aumentare
il reddito e giungere alla piena occupazione si deve aumentare la domanda.
Non può aumentare la domanda per consumi finali (C), dipendendo questa
dal reddito: solo un aumento del reddito potrebbe farla aumentare, ma è
proprio l’aumento del reddito che deve essere provocato. L’unica
componente che può aumentare è quella autonoma, cioè la spesa per
investimenti (di seguito vedremo che esiste una componente della
domanda autonoma proveniente dallo Stato, cioè la spesa pubblica).
218
Ogni investimento genera reddito in quanto si traduce in salari per
lavoratori, acquisto di macchinari e semilavorati dalle imprese, affitti di
magazzini, spese di pubblicità, ecc. Tutti i percettori di questi redditi li
tramuteranno in atti di acquisto. L’investimento iniziale genera reddito.
La disoccupazione involontaria non può essere risolta con la riduzione
dei salari, come suggerito dai neoclassici; si rischia di aggravare la
situazione economica. Le imprese riducendo i salari, beneficiano di un
minor costo del lavoro, ma si riduce anche il reddito e quindi i consumi
degli operai e perciò si contrae il mercato di consumo delle imprese.
Nelle condizioni di un’economia caratterizzata da depressione l’univa via
di uscita risiede nell’agire sulla domanda. E’ necessario che aumenti una
componente della domanda, che sia autonoma rispetto al reddito.
Il moltiplicatore – Importante è sapere non solo che il reddito aumenta
all’aumentare della componente autonoma della domanda aggregata, ma è
altrettanto importante sapere di quanto aumenta. Occorre calcolare il
moltiplicatore che ci dice appunto di quanto il livello del prodotto varierà
in seguito ad un incremento della spesa aggregata.
Data la domanda aggregata, costituita da componenti autonome (C*, Ī) e
da componenti che dipendono dal reddito: Y=cY+C*+Ī, si ottiene
Y-cY = C*+ Ī
Y (1-c) = C*+ Ī
Y = 1/(1-c) (C*+ Ī)
Il fattore 1/(1-c) è il moltiplicatore, che moltiplicato per la spesa
autonoma (ad esempio gli investimenti) ci indica l’incremento del reddito
dovuto ad un aumento di quella spesa; c è la propensione marginale al
consumo, e poiché (1-c) è minore di uno (il moltiplicatore sarà maggiore di
uno), l’incremento del reddito sarà maggiore della spesa per investimenti.
Dato che (1-c)=s (la propensione marginale al risparmio) l’equazione del
reddito può essere riscritta in questi termini Y = 1/s (C*+ Ī)
Per una propensione marginale al consumo pari a 0,5 il moltiplicatore
sarà uguale a 2, mentre per una propensione marginale al consumo pari a
0,8 esso avrà valore 5. Quindi, un aumento della domanda autonoma
produce un incremento del reddito che sarà tanto maggiore quanto
maggiore è il valore della propensione al consumo.
La fig. 6.6 mette in evidenza come il reddito di equilibrio aumenti di più
dell’investimento autonomo. Il segmento in ascissa Q-Qp è più grande del
segmento in ordinata I (la distanza verticale tra le funzioni C e la C+I. Ma
perché il reddito aumenta in modo maggiore della spesa? Ipotizziamo di
dare vita ad un incremento degli investimenti pari a 1000€ che darà luogo a
un incremento iniziale di reddito ΔY di pari importo. L’investimento di
219
1000€ farà aumentare i redditi dei consumatori che verranno spesi in
consumi in base alla propensione marginale al consumo. Se supponiamo
una propensione marginale al consumo dell’80% si verificherà un aumento
del consumo ΔC = 800 e del risparmio ΔS = 200. L’incremento del
consumo farà aumentare il reddito per un pari importo, cosicché potranno
aumentare nuovamente sia il consumo sia il risparmio. Si avrà così una
serie di aumenti che dipendono dalla propensione marginale al consumo.
Ovviamente, per c<1, i termini successivi della serie diventano
progressivamente più piccoli. Abbiamo a che fare con una serie geometrica
la cui somma è: ΔY = 1/(1-c)ΔI.
E’ importante chiarire tre concetti a proposito del moltiplicatore:
- la variazione iniziale della spesa deriva in genere da una variazione
iniziale degli investimenti. L’effetto del moltiplicatore vale anche per le
variazioni della spesa per consumi, della spesa pubblica e delle
esportazioni;
- per variazione iniziale della spesa si intende un aumento o una
diminuzione delle componenti della spesa aggregata;
- il moltiplicatore è un’arma a doppio taglio: un piccolo aumento della
spesa può provocare un aumento molto consistente del Pil, ma è altrettanto
vero che un leggero calo della spesa può causare una diminuzione più
accentuata del Pil.
Riassumendo, il reddito nazionale è uguale al valore degli elementi
autonomi della domanda aggregata moltiplicati per l’inverso della
propensione al risparmio.
Il paradosso del risparmio – Il paradosso del risparmio evidenzia che se
si riducono i consumi la produzione non aumenta ma si riduce, ed inoltre i
risparmi non aumentano ma restano invariati. Il paradosso contrasta con
quanto veniva sostenuto dai liberisti: solo se si riduce il consumo e si
rendono disponibili maggiori risparmi per le imprese queste ultime
potranno aumentare gli investimenti e quindi la produzione.
La riduzione del consumo autonomo produce due effetti contrastanti sul
risparmio: uno diretto che è positivo e l’altro mediato dalla domanda e dal
reddito che è negativo. I due effetti si elidono a vicenda e quindi il
risparmio non subisce alcun mutamento in seguito alla riduzione del
consumo autonomo.
Un approccio alternativo alla determinazione del reddito di equilibrio:
l’uguaglianza tra S e I - L’equilibrio del reddito può essere ottenuto
facendo riferimento alla relazione tra investimenti desiderati e risparmi. Il
reddito prodotto e distribuito può essere destinato a consumo (C) o a
220
risparmio (S), mentre la produzione (reddito) dovrà trovare un mercato dal
lato delle spese di consumo (C) e di investimento programmate (I)
rispettivamente dai consumatori e dagli imprenditori. Ex ante dovranno
essere soddisfatte queste due equazioni:
Y = C+S
Y=C+I
C + S = C +I
Ammettendo che le decisioni di consumo si realizzino sempre, si avrà S
= I. Ex ante i risparmi decisi dai risparmiatori/consumatori devono essere
uguali agli investimenti decisi dagli imprenditori.
Il dato essenziale è che l’eguaglianza fra S e I non è la regola, ma
l’eccezione. La regola è che l’eguaglianza fra domanda e offerta viene
raggiunta al di sotto delle potenzialità produttive e del sistema. Keynes
argomenta che ogni aumento della spesa (consumo) genera aumento del
reddito. Il risparmio per divenire reddito deve tramutarsi in investimento,
ma questo non è automatico, non essendo garantito dai meccanismi di
mercato.
3.1. Il reddito di equilibrio in presenza del settore pubblico *.
Ai fini della determinazione del livello del reddito nazionale non può
essere trascurato il ruolo dell’amministrazione pubblica: la politica di
bilancio ovvero la spesa pubblica e il prelievo fiscale.
L’inserimento del settore pubblico comporta delle modifiche al modello
reddito-spesa di base: 1) la distinzione tra reddito lordo e reddito
disponibile (Y-T). Il prelievo fiscale fa diminuire il reddito disponibile;
sottrae risorse destinate ai consumi delle famiglie e in tale modo l’effetto
moltiplicativo dei consumi risulta ridotto.; 2) la ridefinizione della
funzione del consumo C= C* - cYd; 3) la definizione delle equazioni di
comportamento del settore pubblico G = G* e T=T+tY con t>0 aliquota
fiscale proporzionale al reddito. La spesa pubblica non dipende dal reddito
maè una componente autonoma della domanda aggregata; 4) la
ridefinizione della DA che ora risulta DA= C+I+G
Come risulta dalla fig. 6.7 se l’operatore pubblico decide di aumentare la
spesa pubblica G, poiché essa è una componente autonoma della domanda,
il reddito aumenterà di un ammontare pari all’aumento della spesa
moltiplicato per il valore del moltiplicatore:
Y=C+Ī+G
C = C* + c(Y)
221
I=Ī
Y = 1/(1-c) (C* + Ī +G)
Δ Y = 1/(1-c) ΔG
Se la spesa pubblica fosse costituita da trasferimenti alle persone
(pensioni, indennità) Tr solo una parte dei trasferimenti verrebbe spesa e
ciò dipende dalla propensione marginale al consumo cTr. In questo caso
avremo che ΔY = 1/(1-c) cΔTr.
Fig. 6.7 – Reddito di equilibrio in un sistema con settore pubblico.
Esempio: supponiamo che il governo aumenti la spesa pubblica di 50
milioni (in precedenza il livello era di 100 milioni)e che la funzione della
domanda aggregata sia costituita dai seguenti elementi: C*=50; I=150;
G=150; T=100; c1 =0,5=1/2 il reddito di equilibrio sarà Y = 1/(1-1/2)
[50+150+150- (1/2)100] = 2(300)= 600. Lo stesso calcolo può essere fatto
sulle variazioni. Dato ΔG=50 si avrà ΔY= 1/(1-1/2) 50 = 2(50) = 100.
Consideriamo ora gli effetti che l’introduzione di un’imposta
proporzionale ha sul reddito di equilibrio. Graficamente l’imposta sposta
verso il basso la funzione del consumo modificandone l’inclinazione;.
L’imposta riduce il reddito disponibile per il consumo, per cui: C = C* +
c(1-t)Y dove t è l’aliquota dell’imposta. Inserendo la consueta identità
C+I=Y possiamo calcolare il valore del reddito di equilibrio e con esso il
valore del moltiplicatore: Y = 1/(1-c(1-t)) (C0 + Ī)
Esempio: Supponiamo che la propensione al consumo sia c = 0,75 e
l’aliquota fiscale t = 0,2. Se il governo determina un aumento della spesa
pubblica G pari a ΔG = 10 il reddito di equilibrio aumenta per un
ammontare pari a ΔY = 1/(1-c)(1-t) ΔG = 1/(1-0,75(1-0,2) x 10 = 25.
L’aumento della spesa pubblica accresce il livello del reddito di equilibrio
in misura più che proporzionale. Supponiamo ora che l’aumento della
spesa pubblica si verifichi in un contesto in cui l’aliquota di imposta è pari
a t = 0,25. In questo caso l’aumento del Y di equilibrio è pari a ΔY = 1/ 1-
222
0,75(1-0,25) 10 = 22,85. La più elevata pressione fiscale ha ridotto l’effetto
moltiplicativo della spesa pubblica.
Per stimolare la domanda di mercato il governo potrebbe dunque ridurre
le tasse (anziché aumentare la spesa) di ΔT= -50. In questo caso, data la
propensione al consumo 0,5, si avrà ΔY=1/(1-c) (ΔC*+ΔI+ΔG-cΔT) e cioè
ΔY= 1/(1-172) [0+0+0+(1/2)(-50) = 2(25) = 50. Si può osservare che la
politica basata sull’aumento della spesa pubblica G è più efficace di quella
basata sulla riduzione delle tasse; l’aumento del reddito è infatti più
rilevante 100 rispetto a 50. Ciò è dovuto al fatto che solo la percentuale
cΔT si ripercuote sul reddito mentre le variazioni di G agiscono
interamente sul reddito.. Per cui anche con il bilancio un pareggio l’effetto
espansivo della spesa totale prevale sull’effetto restrittivo delle tasse.
3.2. Il reddito di equilibrio in un’economia aperta *.
Verifichiamo ora come si determina il reddito nazionale di equilibrio in
un sistema economico aperto e in cui si abbia l’intervento dell’operatore
pubblico. In questo caso occorre tenere conto delle esportazioni e delle
importazioni. Le esportazioni tendono a fare aumentare la domanda
aggregata mentre le importazioni la fanno diminuire, per cui:
OA = Y = DA = C + I + G + E - Im
Un aumento delle esportazioni deve essere dunque considerato come un
aumento della domanda autonoma in quanto le esportazioni dipendono
dalle decisioni di spesa effettuate dai consumatori esteri, che acquistano
beni nazionali e pertanto non dipendono dal reddito nazionale. Le
esportazione nette dipendono dal reddito estero, dai prezzi relativi
internazionali e dal tasso di cambio. Per contro, le importazioni, poiché i
consumatori nazionali si rivolgono ad imprese estere, fanno diminuire la
domanda nel mercato interno. Esse aumentano all’aumentare del reddito.
Supponiamo che la funzione del consumo sia del tipo C = cY per cui la
funzione del risparmio sarà S = sY. Anche le imposte (T) dipendono dal
reddito, nel senso che i possessori di redditi più elevati pagano maggiori
imposte per cui T = tY, dove t misura la pressione tributaria (cioè quanta
parte del reddito nazionale va al pagamento delle imposte). Le
importazioni (M) possono dirsi anch’esse proporzionali al reddito M = mY
dove “m” è la propensione marginale ad importare e misura il valore delle
merci che verranno acquistate per ogni euro di reddito nazionale. Le due
equazioni possono essere scritte come di seguito:
Y = cY + sY + tY + mY
Y = cY + I + G + E
223
In quest’ultima equazione figurano come componenti autonome della
domanda, oltre agli investimenti, anche la spesa pubblica G, e le
esportazioni E. La spesa pubblica infatti non dipende dal reddito bensì da
decisioni politiche. Le esportazioni sono vendite di prodotti nazionali sui
mercati esteri, per cui, come già anticipato nel cap. 4, dipendono dal
reddito dei paesi esteri.
Possiamo uguagliare i secondi membri delle due equazioni:
cY + sY + tY + mY = cY + I + G + E
da cui si ha
sY + tY + mY = I + G + E
Y( s + t +m) = I + G + E
Y = 1 / (s+t+m) (I+G+E)
Si ottiene il reddito di equilibrio che dipende, dalle spese autonome
(investimenti, spesa pubblica e esportazioni) e dal moltiplicatore, che è
inferiore a quello descritto in precedenza per l’economia chiusa: 1/(1-c) >
1/(s+t+m)
Esempio: supponiamo che la spesa autonoma sia costituita da I=8.000 miliardi di
euro; G = 7.000 miliardi; E=10.000 miliardi e i valori delle propensioni siano s=0,2;
m=0,2; t=0,1. Si avrà quindi: 1=c+s+t+m. e quindi c = 1- (s+t+m)= 1 – (0,2+ 0,1 + 0,2)
= 0,5 La propensione al consumo è il 50% del reddito, mentre la propensione al
risparmio e la propensione ad importare (s e m) sono ambedue 20 % e la propensione
tributaria (t) è il 10%. Il moltiplicatore sarà uguale a:
1/ (s + t + m )= 1/ (0.2 + 0.1 + 0.2) = 1/0.5 =2
e il reddito di equilibrio sarà due volte la spesa autonoma complessiva:
Y = 2 (8.000 + 7.000 + 10.000) = 50.000
In seguito ad una spesa autonoma di 25 miliardi si genera un reddito complessivo pari
a 50 miliardi, la metà del quale viene destinato al consumo.
Da un punto di vista grafico la determinazione del reddito di
un’economia di mercato aperto è del tutto simile a quella già esposta
trattando di un’economia chiusa. Occorre aggiungere all’equazione del
reddito le esportazioni (E) e le importazioni (Im), la cui differenza dà il
saldo della bilancia commerciale. Va sottolineato come le esportazioni e le
importazioni sono condizionate rispettivamente dai prezzi dei beni
nazionali e di quelli esteri. A loro volta, questi prezzi sono influenzati dal
livello del cambio. Pertanto l’aumento del cambio scoraggia le
importazioni perché i beni esteri costano di più, ma incrementa le
esportazioni, dal momento che i prodotti nazionali per i paesi esteri
costeranno meno. Per contro, la rivalutazione della moneta nazionale
produrrà effetti contrari: farà incrementare le importazioni e diminuire le
esportazioni.
224
3.3. La determinazione del reddito di equilibrio in presenza del
mercato della moneta: il modello IS-LM.
Il modello a cui abbiamo fatto riferimento finora trascura l’incidenza dei
mercati monetari e finanziari sul sistema economico. Secondo Keynes, a
differenza dei neoclassici, la moneta non è neutrale, ma influisce sulla
determinazione del reddito di equilibrio e quindi sull’occupazione. Infatti,
nel mercato della moneta viene determinato il tasso di interesse che è alla
base delle scelte di investimento. Pertanto, i due mercati, quello dei beni e
quello della moneta, sono interdipendenti.
In base alla teoria della domanda di moneta sviluppata da Keynes, la
teoria della preferenza per la liquidità, la moneta non è solo uno
strumento che funge da intermediario negli scambi, ma è anche un
deposito di valore da utilizzare per motivi speculativi. I consumatori
devono decidere quanta parte del reddito destinare ai consumi e quanta al
risparmio. Effettuata questa scelta devono decidere come utilizzare il
risparmio. Esso può essere trattenuto in forma liquida oppure investito in
qualche attività finanziaria. Quest’ultima scelta è influenzata dal saggio di
interesse.
Il saggio di interesse ha degli effetti sull’economia reale: una politica
monetaria che espande la base monetaria del sistema, abbassando il saggio
di interesse, fa aumentare, se non intervengono altri mutamenti, il livello
degli investimenti. In realtà, poiché la domanda di moneta dipende sia dal
tasso di interesse sia dal livello del reddito, l’effetto immediato di un
aumento dell’offerta di moneta è quello di ridurre il tasso interesse, che a
sua volta, determina un incremento degli investimenti e quindi della spesa
aggregata, nonché del reddito. Ma se il reddito aumenta, anche la domanda
di moneta aumenta, per cui i tassi di interesse saliranno leggermente e di
conseguenza la funzione della spesa aggregata aumenterà, ma ad un livello
leggermente inferiore rispetto alla situazione precedente.
In conclusione, come già messo in evidenza in precedenza, i principali
motivi per i quali i soggetti economici desiderano detenere moneta sono
sostanzialmente due: per transazioni e per speculazioni. La domanda di
moneta a scopo di transazione dipende dal reddito: Mt = kY. La domanda
di moneta a scopo speculativo Ms dipende dai mercati monetari e
finanziari (Ms = - hi). Per contro, una politica monetaria restrittiva
(deflazionistica) determina la diminuzione degli investimenti, con la
conseguente diminuzione del reddito. I mutamenti che intervengono nel
mercato della moneta comportano così mutamenti anche nel mercato delle
merci.
225
In sintesi: l’aumento dell’offerta di moneta da parte della Banca centrale
fa aumentare la domanda di titoli e, di conseguenza, l’aumento delle loro
quotazioni e una diminuzione del saggio di interesse (quotazioni dei titoli e
loro rendimento sono inversamente proporzionali). Ciò stimolerà gli
investimenti e quindi il reddito. Analogamente, se la Banca centrale
contraesse l’offerta di moneta facendo aumentare il tasso di interesse, la
domanda aggregata diminuirebbe.
Fig. 6.8 - Le connessioni tra mercato della moneta e mercato dei beni
Prendiamo in considerazione ora il rapporto tra politica fiscale e mercato
monetario. Abbiamo osservato in precedenza che una politica fiscale
espansiva effettuata con la riduzione delle tasse o con un aumento della
spesa pubblica, determina un aumento della spesa aggregata e quindi del
reddito. Ma un aumento del reddito nazionale determina un aumento della
domanda di moneta che, a parità di offerta di moneta, comporta un
incremento dei tassi di interesse. A sua volta, l’incremento dei tassi di
interesse riduce gli investimenti e il consumo privato e quindi la spesa
aggregata. L’aumento della spesa pubblica ha dunque ridotto, spiazzato,
l’investimento privato e i consumi a causa dell’aumento dei tassi di
interesse (crowding out). Lo spiazzamento non è completo, nel senso che
l’effetto dell’aumento della spesa sul reddito è complessivamente positivo,
anche se inferiore a quello che si avrebbe senza lo spiazzamento di
investimenti e consumi.
Il ruolo della moneta non è dunque neutrale: le variabili monetarie
(quantità di moneta e saggio di interesse) possono pertanto essere
manovrate dalle autorità governative al fine di elevare il reddito e di
raggiungere la piena occupazione.
Nella fig.6.8 vengono rappresentate le connessioni tra il mercato delle
merci e quello della moneta. Nel mercato monetario si determina il saggio
di interesse di equilibrio (offerta di moneta e preferenza per la liquidità); il
226
tasso di interesse determina l’investimento che con la funzione di consumo
determina il reddito di equilibrio.
Il modello IS-LM – Per rappresentare l’interazione tra il mercato dei beni
e quello della moneta è necessaria una struttura analitica differente da
quella utilizzata nei paragrafi precedenti. Il modello IS-LM (IS sta per
investimento e risparmio e LM sta per liquidità e moneta) permette di
determinare simultaneamente l’equilibrio del settore reale e del settore
monetario.
Nel settore reale dell’economia, l’equilibrio è dato dall’eguaglianza tra
risparmi (S) e investimenti (I), i primi sono influenzati dal reddito (Y) e i
secondi dal tasso di interesse (i). In quello monetario l’offerta di moneta è
determinata dalla banca centrale mentre la domanda di moneta è
influenzata dal reddito e dal tasso di interesse Md = L1 (Y) + L2 (i). Poiché
il reddito di equilibrio viene determinato nel settore reale del sistema
economico ed il tasso di interesse in quello monetario, per stabilire il
livello di equilibrio generale è necessario procedere a determinare
simultaneamente nei due mercati, monetario e reale.
Nella fig. 6.9 viene rappresentato il modello. La curva IS rappresenta il
mercato dei beni e cioè tutti i possibili punti che determinano una
situazione di equilibrio nel settore reale del sistema economico.
Introducendo il tasso di interesse la spesa per investimenti diventa una
variabile endogena nel senso che influenza il livello dell’investimento
programmato. La funzione è infatti I = Ī - bi con b>0. Se introduciamo
questa specificazione nella funzione della domanda aggregata avremo Y =
1/(1-c) (A – bi) dove A sono le componenti autonome della domanda e b
indica la misura in cui la spesa per investimenti varia al variare del tasso di
interesse. Risolvendo rispetto a i e ponendo 1/(1-c) = α si avrà: i = A/b –
Y/ αb. L’equazione mette in evidenza che un più alto livello del tasso di
interesse implica un più basso livello di reddito. La curva è inclinata
negativamente per la relazione inversa tra i e spesa per investimenti e
dipende dunque dal coefficiente b ( se b è elevato allora una variazione di
forte determina un forte spostamento della domanda aggregata e quindi una
ampia variazione del reddito per cui la IS risulta piatta) e dal valore del
moltiplicatore (quanto è più piccolo è il moltiplicatore tanto più inclinata
sarà la curva).
La posizione della IS dipende dall’entità della spesa autonoma. Un
aumento della domanda aggregata dovuto ad una spesa autonoma più
elevata sposta verso l’alto la curva di domanda aggregata facendo crescere,
in corrispondenza del tasso di interesse, il livello di equilibrio del reddito e
spostando la IS orizzontalmente verso l’esterno. Lo spostamento è pari alla
227
distanza determinata dal prodotto del moltiplicatore per l’aumento della
spesa autonoma.
Fig. 6.9 – Il modello IS-LM.
La curva LM rappresenta tutti i possibili punti che determinano una
situazione di equilibrio nel settore monetario dell’economia. Quest’ultimo
può dirsi in equilibrio quando, in corrispondenza di un dato tasso di
interesse, l’offerta e la domanda di moneta si eguagliano. La domanda di
moneta in termini reali è rappresentata dalla Md/P = kY – hi che mostra
come la domanda sia funzione diretta del livello del reddito reale e
funzione inversa del tasso di interesse (tanto più elevato è i tanto più
costoso sarà detenere moneta al posto di altre attività). L’offerta di moneta
è controllata dalla Banca centrale e si suppone costante al livello M/P. La
curva LM individua tutte le combinazioni di tassi di interesse e livelli di
reddito in corrispondenza dei quali la domanda reale di moneta uguaglia
l’offerta: M/P = kY – hi che risolta rispetto a “i” darà i = 1/h ( kY – M/P)
che è l’equazione della LM.
L’inclinazione della LM dipende dai parametri k (sensibilità della
domanda di moneta al reddito) e h ( sensibilità della domanda di moneta al
tasso di interesse). Quanto maggiore è k e quanto minore è h, tanto più
inclinata è la LM. La posizione della LM dipende dal’offerta di moneta
(lungo la LM l’offerta di moneta si mantiene costante).
Un aumento dell’offerta reale di moneta genera un eccesso di offerta di
moneta e per ristabilire l’equilibrio occorre una diminuzione del tasso di
interesse. Ciò significa uno spostamento verso il basso (e a destra) della
LM. Per ogni livello di reddito il tasso di interesse deve essere minore così
da indurre gli individui a detenere una maggiore quantità reale di moneta.
L’equilibrio economico generale è rappresentato dall’intersezione tra la
curva IS (equilibrio settore reale) e della curva LM (equilibrio nel settore
228
monetario) dove si determina un tasso di interesse (i) ed un livello del
reddito nazionale (Y) che garantisce l’equilibrio dell’intero sistema
economico. Questo significa che, al livello di prezzi dato, nel mercato dei
beni la produzione uguaglia la domanda di beni e nel mercato della moneta
lo stock reale di moneta domandata uguaglia lo stock reale di moneta
offerta.
Il livello di equilibrio del reddito e del tasso di interesse cambiano se si
sposta la curva IS o la curva LM. Ad esempio se varia la spesa pubblica,
una delle variabili che compongono la domanda autonoma, IS si sposta
verso destra e il reddito aumenta. Nel mercato della moneta il reddito
aumenta così come la domanda di moneta. Poiché l’offerta di moneta non è
cambiata, l’eccesso di domanda di moneta sull’offerta deve essere sanata
da un aumento di “i”. All’aumentare di “i” l’investimento diminuisce e
quindi anche il reddito. Questo significa che l’aumento del reddito
generato da un incremento della spesa pubblica è minore di αΔG. Si
verifica l’effetto spiazzamento degli investimenti indotto dall’aumento di i.
Equilibrio sul mercato dei beni con i endogeno:
D=Y
D=C+I+G
C = C0 + cYD
YD = Y – T dove T = tY 0 <t< 1
I = I ( Π attesi ; r ) = I0 - bi
Sostituendo si ottiene
C = C0 + CyD = C0 + c(Y-T) = C0 + c(Y-tY) = C0 + c(1-t)Y
D = C + I + G = C0 + c(1-t)Y + I0 – bi + G
D=Y
C0 + I0 – bi + G + c(1-t)Y = Y
Y – c(1-t)Y = C0 + I0 – bi + G
Y [1-c(1-t)] = C0 + I0 – bi + G Y = 1/ [1-c(1-t)] [C0 + I0 – bi + G]
Equilibrio sul mercato della moneta
MD /P = f(Y ; i) = MD transazioni + MD speculativa
MD /P = kY - hi
La politica fiscale può essere implementata attraverso variazioni della
spesa pubblica G o della tassazione La politica monetaria può essere
attuata mediante un unico strumento: la manovra dello stock di moneta M.
L’efficacia delle politiche dipende dall’inclinazione delle curve IS-LM. Ad
esempio, la politica monetaria è inefficace quando la IS è verticale e cioè la
229
reattività degli investimenti al tasso di interesse tende a zero. In questo
caso variazioni del tasso di interesse non influiscono (attraverso gli I) sulla
spesa programmata, per cui il reddito di equilibrio rimane il medesimo per
qualsiasi valore di r. Ne consegue che spostamenti della LM non possono
alterare il valore di equilibrio del reddito. In questo caso si dice che
“l’acqua c’è ma il cavallo non beve” intendendo dire che nonostante la
disponibilità di fondi a buon mercato gli imprenditori non prendono soldi a
prestito per realizzare gli investimenti. Un secondo caso è quello della
trappola della liquidità che si verifica quando la LM è orizzontale.
Spostamenti infinitesimali di i hanno effetti trascurabili sulla spesa
programmata e quindi l’equilibrio reale del reddito rimane immutato.
4. Il modello di domanda ed offerta aggregata (AD - OA).
Nel modello reddito-spesa analizzato nel paragrafo precedente avevamo
ipotizzato che i prezzi fossero costanti; abbandoniamo ora questa ipotesi
restrittiva in modo da analizzare la relazione che esiste tra il livello dei
prezzi e il livello di produzione. Per fare questo utilizziamo il modello di
domanda e offerta aggregata AD-OA.
Poiché i prezzi possono variare, è utile distinguere tra grandezze reali e
grandezze monetarie (ad esempio l’occupazione dipende dal livello reale
della produzione e non dal suo valore, perché questo potrebbe essere stato
determinato dalla variazione dei prezzi). Anche in questo caso usiamo
un’ipotesi semplificatrice: operiamo in un sistema economico chiuso verso
l’esterno. Supponiamo che insieme alla crescita economica (produzione),
l’occupazione e la stabilità dei prezzi siano i principali obiettivi di politica
economica. Il modello si concentra su due variabili: la produzione di beni e
servizi dell’economia, misurata dal Pil reale, e il livello generale dei prezzi,
misurato dall’indice dei prezzi al consumo o dal deflatore del Pil.
La domanda aggregata (AD) – Essa indica la quantità complessiva di
prodotto che gli operatori economici (famiglie, imprese, Stato) desiderano
acquistare in corrispondenza di diversi livelli di prezzo. Essa esprime tutte
le combinazioni possibili tra produzione e livelli dei prezzi, tali per cui sia
il mercato dei beni sia il mercato delle attività finanziarie sono
contemporaneamente in equilibrio.
La curva ha pendenza negativa (fig. 6.10): si ha una relazione inversa tra
il livello dei prezzi e la quantità domandata di prodotto interno reale. Gli
230
spostamenti lungo la curva sono determinati, a parità di condizioni, da
variazioni del livello dei prezzi. La diminuzione dei prezzi determina un
aumento della ricchezza reale e un aumento della moneta in circolazione,
che fa aumentare la ricchezza reale e provoca una caduta dei tassi di
interesse e il deprezzamento del tasso di cambio. Questi effetti stimolano la
spesa per consumi, la spesa per investimenti e le esportazioni nette. Se
invece i prezzi aumentano, l’offerta reale di moneta diminuisce, la scarsità
di denaro determina un aumento dei tassi di interesse e quindi una
diminuzione degli investimenti e, di conseguenza, del livello di produzione
di equilibrio.
Fig. 6.10 – Domanda e offerta aggregata.
Lo spostamento della curva è invece legato principalmente a scelte di
politica economica (politica fiscale e politica monetaria) o ad eventi
imprevisti che incidono sulla funzione dei consumi o degli investimenti o,
ancora, sulle esportazioni nette. Ad esempio, qualsiasi evento che
modifichi la quota di consumo per ogni dato livello dei prezzi comporta
uno spostamento della AD. È anche possibile che lo spostamento della
curva AD sia causato da fattori esterni. Ad esempio, il progresso tecnico
crea nuove opportunità di investimento e di consumo determinando un
aumento della domanda aggregata; eventi politici favorevoli possono
aumentare la fiducia degli operatori economici determinando una crescita
degli investimenti. Anche un aumento della domanda esterna di beni può
fare aumentare la DA.
In genere, qualunque evento che faccia aumentare il consumo, gli
investimenti, la spesa pubblica o le esportazioni nette per ogni livello dei
prezzi comporta un aumento della domanda aggregata. Qualunque evento
deprima le medesime variabili provoca una contrazione della domanda
aggregata.
231
L’offerta aggregata (OA) – L’offerta aggregata indica la quantità di
prodotto che le imprese sono disposte a produrre e offrire sul mercato in
relazione ai diversi livelli di prezzo. La curva è inclinata positivamente: se
i prezzi aumentano, anche l’offerta cresce (fig. 6.10).
Muovendoci lungo la curva di offerta possiamo individuare la quantità
offerta di beni e servizi da parte delle imprese in relazione ai diversi livelli
di prezzo. Gli spostamenti della curva sono dovuti a eventi che alterano la
capacità di produrre beni e servizi, come cambiamenti del capitale, del
lavoro, delle risorse naturali e delle conoscenze tecnologiche.
Poiché le imprese hanno prezzi vischiosi nel breve periodo e flessibili nel
lungo periodo, la relazione descritta dalla curva di offerta aggregata
dipende dall’orizzonte temporale considerato, per cui, di fatto, abbiamo
una curva di breve periodo ed una di lungo periodo.
a) Nel breve periodo il prodotto effettivo può al massimo essere uguale al
prodotto potenziale. Un aumento del livello dei prezzi tende a far
aumentare la quantità di beni e servizi complessivamente offerta e
viceversa.
b) Nel lungo periodo la capacità produttiva può essere variata ed è
determinata dagli stessi fattori che incidono sulla crescita a lungo termine:
la quantità e la qualità del lavoro dipendente, la quantità di macchinari, il
livello tecnico, le risorse naturali, ecc.
L’equilibrio macroeconomico - Nel determinare l’equilibrio macro
economico dobbiamo dunque distinguere tra breve e lungo periodo.
a) Breve periodo – Secondo la teoria keynesiana è piuttosto frequente
che il prodotto effettivo sia inferiore a quello potenziale: questo significa
che vi possono essere condizioni di equilibrio macroeconomico
accompagnate dalla presenza di disoccupazione.
Fig. 6.11 – Domanda e offerta aggregata.
In queste circostanze, la curva di offerta aggregata OA può essere
rappresentata da una retta orizzontale (fig. 6.11): per un dato livello di
232
prezzi le imprese possono offrire qualsiasi quantità di beni venga
domandata, poiché esiste in genere capacità produttiva in eccesso.
Una diminuzione della domanda aggregata da AD1 a AD0 riduce il
prodotto aggregato, perché i prezzi non si aggiustano istantaneamente: i
salari sono sostanzialmente rigidi verso il basso. Con la domanda bassa e i
prezzi alti le imprese vendono una minore quantità di beni e servizi, perciò
riducono la produzione e riducono la forza lavoro. L’economia sperimenta
una recessione. La flessione della domanda aggregata non influenza il
livello dei prezzi, ma provoca una diminuzione del prodotto aggregato. In
realtà la curva di offerta aggregata di breve periodo non è perfettamente
orizzontale, ma ha pendenza positiva; la curva orizzontale descrive infatti
il caso estremo in cui tutti i prezzi sono fissi.
b) Il lungo periodo - Diversamente da quanto affermato dai keynesiani,
per i monetaristi il prodotto di equilibrio è sempre pari al suo livello
potenziale (Y=Yp) ed è l’offerta che crea la domanda (legge di Say).
Variazioni dei salari e dei prezzi mantengono il sistema in un equilibrio di
piena occupazione. Poiché la capacità produttiva è interamente utilizzata,
la curva di offerta aggregata può essere rappresentata con una retta
verticale, ad indicare il fatto che, qualunque sia il livello dei prezzi, le
imprese offrono un livello massimo di produzione pari al prodotto
potenziale Yp: questa offerta è pari alla produzione potenziale e garantisce
il pieno impiego delle risorse disponibili all’interno del sistema economico
(fig. 6.12).
Fig. 6.12 - Uno spostamento della DA nel lungo periodo
Le variazioni della domanda aggregata influenzano il livello dei prezzi,
ma non il prodotto aggregato. Secondo i monetaristi la curva della DA si
sposta verso destra o verso sinistra principalmente a causa di u aumento o
della diminuzione dell’offerta di moneta. Per esempio, se l’offerta di
moneta diminuisce, la DA si sposta verso sinistra (fig. 6.12). L’economia
si sposta dall’equilibrio di partenza, E1, a un nuovo equilibrio, E0,
generando solo una variazione del livello dei prezzi. I keynesiani si
233
mantengono più sul vago affermando che gli spostamenti della curva della
DA possono essere conseguenza non solo di variazioni della spesa privata,
ma anche della politica fiscale e di quella monetaria.
c) Una posizione intermedia - Una posizione intermedia è che l’ipotesi
keynesiana di rigidità dei prezzi, e in particolare dei salari, sia adeguata a
descrivere ciò che avviene nel breve periodo, mentre nel lungo periodo sia
più appropriata l’ipotesi classica di flessibilità dei salari. Pertanto la curva
di offerta verrebbe ad essere configurata in un primo tratto piuttosto piatta
e quindi, successivamente in un secondo tratto, verticale. Nel breve
periodo, quando la curva di offerta presenta un primo tratto crescente, ma
relativamente piatta, la produzione effettiva è inferiore a quella potenziale;
se la domanda aggregata aumenta, le imprese sono disposte ad offrire
quantità maggiori di prodotto se i prezzi sono più elevati. Tuttavia questo
aumento di produzione ha un limite rappresentato dal prodotto potenziale;
man mano che ci si avvicina al prodotto potenziale aumentano i costi del
lavoro e quindi i prezzi. Nel lungo periodo l’offerta è rappresentata da una
retta verticale e il livello di produzione coincide con quello potenziale
(ipotesi classica). In questi casi un aumento della domanda aggregata
influirà solo sui prezzi ma non sulla produzione.
La distinzione tra offerta aggregata di breve e lungo periodo è
fondamentale per la moderna macroeconomia: a breve termine l’offerta
aggregata opera insieme alla domanda aggregata per determinare gli alti e
bassi del ciclo economico, ma a lungo termine è la crescita dell’offerta
aggregata, anziché della domanda aggregata, a spiegare l’aumento della
produzione e del benessere.
5. Gli obiettivi di politica economica di breve periodo e le politiche di
stabilizzazione.
In questo paragrafo approfondiamo l’analisi delle politiche
macroeconomiche, fiscale e monetaria in relazione a due obiettivi di
politica economica: l’occupazione e la stabilità dei prezzi. Il terzo
obiettivo, quello della crescita economica, verrà trattato nel prossimo
capitolo.
Prima di analizzare gli interventi di politica macroeconomica va
ricordato che il sistema economico, grazie alla presenza degli
stabilizzatori automatici, è in grado di attenuare le fluttuazioni del
reddito. Molti sono gli istituti che agiscono da stabilizzatori automatici. Il
più importante è certamente il sistema fiscale. Se un’economia entra in
234
recessione, automaticamente diminuiscono le entrate tributarie, poiché
sono collegate alle attività produttive. L’automatica riduzione delle entrate
fiscali stimola la domanda aggregata e, perciò, funge da ammortizzatore
delle fluttuazioni cicliche. Se si verifica una diminuzione della domanda di
investimenti, si ha come conseguenza una diminuzione della domanda
aggregata e, attraverso il moltiplicatore, una più ampia contrazione del
reddito di equilibrio. L’ampiezza della riduzione del reddito è influenzata
dal valore dell’aliquota di imposta sul reddito. La presenza di un’imposta
proporzionale riduce il moltiplicatore e lo riduce in misura tanto maggiore
quanto maggiore è l’aliquota d’imposta. L’imposta proporzionale è un
esempio di stabilizzatore automatico, costituisce un meccanismo che
riduce la reazione del Pil a shock esterni (caduta degli investimenti,
aumento del prezzo del petrolio, ecc.). Esistono stabilizzatori automatici
anche dal lato della spesa. Gli istituti che fanno capo allo “stato del
benessere” (la sicurezza sociale), come ad esempio l’indennità di
disoccupazione, che intervengono in modo da ridurre le fasi di recessione.
Gli stabilizzatori automatici possono ridurre parzialmente i movimenti
ciclici, ma di solito non sono sufficienti a contrastarli completamente.
Occorre pertanto intervenire con adeguate politiche macroeconomiche,
fiscali e monetarie.
a) Il mercato del lavoro e la disoccupazione – Uno dei più importanti
obiettivi di politica economica consiste nel fare fronte alla disoccupazione.
Si ricorda che in base all’analisi neoclassica, nel lungo periodo ogni
sistema economico è in grado di ritornare da solo alla piena occupazione
attraverso un lento aggiustamento dei salari e dei prezzi, per cui occorre
liberalizzare il mercato del lavoro cercando di renderlo più flessibile. Per
contro, i keynesiani propongono di incrementare direttamente la domanda
aggregata attraverso un aumento della spesa pubblica, o indirettamente
favorendo gli investimenti delle imprese con opportune agevolazioni fiscali
o creditizie. Tuttavia, per fare fronte alla disoccupazione strutturale non
basta agire sulla domanda. Occorrono interventi specifici come
investimenti nuovi, processi di riconversione industriale, riqualificazione
professionale. Si tratta di interventi che agiscono sul mercato del lavoro e
sulle professioni. L’effetto è un nuovo equilibrio con un livello di
produzione superiore, ma senza variazione dei prezzi. In modo del tutto
analogo, anche la politica monetaria espansiva (aumento offerta di moneta)
sposta la curva AD determinando un aumento della produzione effettiva
senza alcun aumento del livello dei prezzi.
A lungo termine, mentre la curva di offerta aggregata diventa verticale,
se l’operatore pubblico interviene con un aumento della spesa pubblica,
235
rispetto alla situazione iniziale si viene a creare un eccesso di domanda.
Anche se le imprese offrono salari più elevati, la produzione non può
superare il suo livello potenziale, e l’unico risultato consiste nell’aumento
dei prezzi. Prezzi più alti comportano sul mercato monetario una riduzione
dell’offerta reale di moneta, un aumento dei tassi di interesse e, quindi, una
riduzione della domanda aggregata (spiazzamento degli investimenti) fino
a renderla compatibile con un livello di produzione Yp. Il nuovo equilibrio
si stabilisce nel punto in corrispondenza del quale OA=AD. La produzione
è ritornata al suo livello iniziale di pieno impiego, mentre il livello dei
prezzi è più alto.
Una politica monetaria espansiva, realizzata attraverso un aumento
dell’offerta nominale di moneta, produce risultati simili. Al fine di
accrescere l’offerta di moneta, la Banca centrale potrebbe adottare una
qualche combinazione dei seguenti provvedimenti: 1) acquistare titoli di
Stato dalle aziende di credito e dal pubblico sul mercato aperto; 2) ridurre
il coefficiente di riserva obbligatoria; 3) abbassare il tasso ufficiale di
sconto. Come risultato le riserve in eccesso del sistema bancario
aumenterebbero.
Supponiamo che la Bc intervenga con operazioni di mercato aperto.
Quando la Bce acquista titoli di Stato sul mercato espande l’offerta di
moneta e, data la domanda di moneta, si avrà un nuovo equilibrio sul
mercato monetario sarà caratterizzato da un tasso di interesse più basso e,
ovviamente, una quantità di moneta più consistente.
Il calo del tasso di interesse farà aumentare gli investimenti (edilizia
abitativa, beni di consumo durevoli). La riduzione del tasso di interesse
rende infatti meno oneroso per le imprese l’accesso al prestito bancario, e
quindi meno costoso realizzare gli investimenti. L’aumento del Pil che ne
deriva potrebbe essere più o meno consistente a seconda dell’entità della
crescita degli investimenti e del valore del moltiplicatore del reddito.
Queste politiche sono utili per far fronte alla disoccupazione ciclica,
quella involontaria. Tuttavia, per ridurre il tasso naturale di disoccupazione
(quel tasso di disoccupazione che è presente anche quando il mercato del
lavoro è in equilibrio) occorre mettere in atto una serie di misure che
riducano la componente frizionale e strutturale della disoccupazione,
investendo, ad esempio, nella formazione professionale dei lavoratori,
favorendo l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, introducendo
meccanismi di sostegno e di aiuto ai disoccupati che non disincentivino la
ricerca di lavoro. Ad esempio, una riduzione delle aliquote fiscali, uno dei
punti chiave della supply side economics insieme alla riduzione dei sussidi
(economia dell’offerta, cfr. appendice I cap 1), e un conseguente aumento
236
del reddito disponibile dei lavoratori tende a fare sostituire il lavoro al
tempo libero.
La fig. 6.13 permette di analizzare l’effetto di una riduzione delle
aliquote fiscali sul reddito. Le funzioni LD, LF e AJ rappresentano
rispettivamente la domanda di lavoro, la forza lavoro e il numero di
lavoratori che desiderano accettare un’offerta di lavoro, a seconda del
salario reale. Perciò, nel punto di equilibrio E, il segmento EF rappresenta
la disoccupazione naturale, ossia quel numero di persone che fanno parte
della forza lavoro, ma che non sono disposte ad accettare un’offerta di
lavoro al salario di equilibrio w2. Un’imposta sul reddito rende il reddito
netto percepito dal lavoratore inferiore rispetto a quello pagato dalle
imprese. Il segmento AB misura quella parte del salario lordo che ogni
lavoratore deve pagare in termini di imposta, quando il livello di
occupazione è pari a N1. N1 indica la quantità di lavoro che le famiglie
desiderano offrire al salario netto w3, mentre il salario lordo pagato dalle
imprese è w1. Al salario netto w3 corrisponde una disoccupazione naturale
pari al segmento BC. Se le imposte venissero abolite l’equilibrio si avrebbe
nel punto E. L’occupazione aumenterebbe da N1 a N2 e la disoccupazione
naturale si ridurrebbe da BC a EF. A parità di sussidi di disoccupazione, un
aumento del salario netto da w3 a w2 riduce la disoccupazione volontaria.
Fig. 6.13 – Effetti di una riduzione dell’aliquota fiscale sul reddito
In conclusione, secondo l’economia neoclassica sia le politiche
monetarie sia quelle fiscali non sono in grado di influenzare la produzione
che, per definizione, è sempre al suo massimo livello possibile, date le
risorse disponibili. Possono produrre effetti negativi per l’equilibrio dei
sistemi economici: aumento del livello dei prezzi e quindi inflazione; una
politica fiscale espansiva inoltre modifica la composizione della domanda
aggregata spiazzando gli investimenti privati. Tuttavia, a differenza della
237
politica fiscale espansiva, quella monetaria non provoca un aumento dei
tassi di interesse.
b) I processi inflazionistici e le politiche di controllo – Un altro
obiettivo di politica economica è costituito dal controllo dell’inflazione
che, come anticipato nel cap.1, consiste in un aumento del livello
generale dei prezzi.
L’inflazione può avere vari gradi di intensità: inflazione strisciante o
moderata, galoppante e iperinflazione. La prima è contraddistinta da
prezzi che aumentano lentamente e in modo prevedibile: è anche detta
inflazione a una cifra. Quella galoppante, con tassi a due cifre, è
caratterizzata da forti aumenti dei prezzi. L’iperinflazione si ha quando
gli aumenti dei prezzi sono incontrollabili e così elevati da misurarsi su
base mensile o intervalli di tempo ancora più brevi.
L’inflazione è all’origine di notevoli cause di inefficienza quali, ad
esempio, la redistribuzione del reddito e della ricchezza, la distorsione
dei prezzi relativi e dei rendimenti delle attività economiche. In genere
l’inflazione ridistribuisce la ricchezza dai creditori ai debitori: quando si
è contratto un debito trae vantaggio chi dovrà restituire la somma di
denaro che nominalmente avrà lo stesso valore ma che, dal punto di vista
reale, ha perso potere di acquisto. Ugualmente, si ritiene che l’inflazione
determini un vantaggio per chi percepisce i profitti e colpisca in
prevalenza tutti coloro che percepiscono un salario o comunque un
reddito fisso. Ciò dipende dal fatto che i prezzi aumentano più
rapidamente dei salari e per questa ragione i profitti aumentano, mentre i
salari perdono potere d’acquisto. Ed infatti, allo scopo di mantenere il
potere d’acquisto dei salari furono introdotti i meccanismi di
indicizzazione salariale che adeguavano automaticamente i salari alla
dinamica dei prezzi (la scala mobile). L’inflazione riduce quindi
l’efficienza economica perché distorce i segnali dei prezzi. Se il prezzo di
un bene sale, sia gli acquirenti sia i venditori sanno che si è verificato un
reale cambiamento nelle condizioni di domanda e/o offerta di quel bene.
Le politiche economiche utili a contrastare i fenomeni inflazionistici
variano a seconda delle cause che li alimentano. Esse vanno cercate
principalmente nell’andamento relativo della DA e dell’OA; si parla
infatti di inflazione da domanda o da costi.
Nel caso di inflazione da domanda occorre distinguere tra breve e
lungo periodo (fig. 6. 14). Rifacendoci all’analisi keynesiana, che è di
breve periodo (l’equilibrio è caratterizzato da un livello di produzione
inferiore a quello potenziale), qualsiasi fenomeno di incremento della
domanda (a parità di offerta), provoca una variazione dei prezzi verso
238
l’alto e cioè un fenomeno inflazionistico di breve periodo. L’incremento
della domanda può essere dovuto a politiche di bilancio o politiche
monetarie espansive o ad un aumento delle esportazioni causato da una
crescita della competitività). I prezzi possono variare perché a) la risposta
della produzione agli stimoli provenienti dalla domanda non è immediata
oppure b) perché, anche se il prodotto effettivo è inferiore a quello
potenziale, alcuni settori produttivi potrebbero trovarsi ad operare a pieno
regime e sfruttare completamente la loro capacità produttiva.
Quest’ultima causa potrebbe assumere particolare rilievo se i settori sono
quelli di base (ad esempio quello energetico).
Fig. 6.14 – L’inflazione dal lato della domanda.
In genere, nel caso dell’inflazione da domanda, se il sistema
economico opera al di sotto del pieno impiego, un aumento della
domanda causato da un incremento della spesa pubblica, o dalla
riduzione della tassazione, o da politiche monetarie espansive determina
una crescita della produzione e un calo della disoccupazione. Tuttavia, se
la domanda cresce oltre il prodotto potenziale, si verifica un eccesso di
domanda che potrà essere colmato solo mediante un aumento di prezzi.
In realtà, nel breve periodo qualsiasi fenomeno di incremento della
domanda (a parità di offerta) provoca un surriscaldamento dei prezzi e,
pertanto, un fenomeno inflazionistico di breve periodo, e ciò perché la
risposta della produzione agli stimoli della domanda non è immediata,
occorre un certo periodo di tempo perché le imprese possano adeguare i
loro livelli produttivi. Durante il periodo d’aggiustamento si verifica
l’aumento dei prezzi che è destinato a stabilizzarsi nel tempo.
Nel lungo periodo occorre che si abbia un aumento continuo della DA.
Dati i limiti al ruolo delle politiche di bilancio e che solo l’offerta di
moneta può crescere senza vincoli il processo inflazionistico di solito si
ritiene abbia natura monetaria. Una politica monetaria espansiva può
239
essere la causa diretta dell’aumento dei prezzi. Sappiamo che nel lungo
periodo per i neoclassici vale l’equazione quantitativa della moneta (P =
V/Q M) e che poiché V e Q sono costanti l’equazione risulta P = KM
dove K è una costante, per cui solo variazioni positive della moneta
offerta (politiche monetarie espansive) possono determinare aumenti dei
prezzi e questi ultimi sono proporzionali (in base a K) all’aumento
dell’offerta di moneta. I fenomeni inflazionistici trovano dunque origine
nell’eccessiva quantità di moneta in circolazione. Poiché sono le politiche
monetarie espansive a causare l’aumento dei prezzi occorre che la Banca
centrale provveda a ridurre l’offerta di moneta.
Nel lungo periodo fenomeni inflazionistici persistenti hanno dunque di
solito natura monetaria (politica monetaria espansiva), e non possono
essere attribuiti all’aumento della spesa pubblica o delle esportazioni. A
sostegno di questa tesi viene citata l’iperinflazione degli anni ’20 e quella,
più recente, della Russia degli anni novanta.
L’inflazione può avere origine dal lato dell’offerta: inflazione da costi.
Fig. 6.15 – L’inflazione dal lato dell’offerta.
Quando il prezzo delle materie prime e i salari aumentano, le imprese
aumentano i prezzi per mantenere i loro margini di profitto. Questa tesi
spiega i fenomeni da inflazione delle moderne economie industriali nelle
quali la tendenza alla crescita costante dei prezzi anche in periodi di
recessione è difficilmente spiegabile con l’inflazione da domanda. Negli
anni sessanta del secolo scorso questi rialzi dei prezzi erano dovuti alla
crescita dei salari, mentre negli anni settanta la causa principale fu
l’aumento delle materie prime (petrolio). In genere, le cause dell’inflazione
da costi possono essere individuate negli aumenti dei salari; nella
240
diminuzione della produttività che induce aumenti di prezzi; in un aumento
del mark-up; nell’aumento dei prezzi dei beni importati e nell’aumento
della pressione fiscale che aumenta i costi di produzione delle imprese.
Nella fig. 6.15 vengono schematizzati i principali fattori che agiscono dal
lato dell’offerta.
Rimedi all’inflazione - In genere i rimedi da adottare per il controllo dei
prezzi dipendono dalle cause della loro variazione. Se l’inflazione è
originata da eccesso di domanda occorrerà fare in modo di limitare i
consumi (politica fiscale restrittiva), ridurre gli investimenti (con politiche
monetarie e creditizie restrittive) e tenere sotto controllo la spesa pubblica.
Se, come credono i monetaristi, l’inflazione dipende da un eccesso di
moneta è necessario ridurre la moneta in circolazione e adottare politiche
monetarie restrittive. La Banca centrale dovrebbe adottare una qualche
combinazione delle seguenti misure: 1) vendita di titoli di stato alle
aziende di credito o al pubblico sul mercato aperto; 2) aumento del
coefficiente di riserva obbligatoria; 3) innalzamento del tasso ufficiale di
sconto.
Le banche si trovano con una quantità di depositi a vista eccessiva in
rapporto alle loro riserve, per cui per rispettare l’obbligo di riserva devono
cercare di ridurre i loro depositi a vista, interrompendo l’erogazione di
credito. Ogni euro di riduzione delle riserve bancarie produce una
contrazione multipla dei depositi traibili, diminuendo quindi l’offerta di
moneta. Infatti, poiché l’offerta di moneta è uguale ai contanti più i
depositi traibili, la riduzione di questi ultimi fa diminuire l’offerta di
moneta.
La riduzione dell’offerta di moneta tenderà ad aumentare i tassi di
interesse e restringere le condizioni di credito. I tassi di interesse saliranno
per chi vuole ottenere un mutuo per ottenere casa e per le imprese che
vogliono costruire fabbriche, comprare nuove attrezzature. I tassi di
interesse più elevati faranno diminuire i prezzi delle attività, e quindi ne
faranno scendere il valore.
Con tassi di interesse più elevati e minore ricchezza, le spese sensibili ai
tassi di interesse, soprattutto gli investimenti, tenderanno a diminuire.
Tassi di interesse più elevati, maggiori restrizioni creditizie e minore
ricchezza tenderanno a scoraggiare gli investimenti e la spesa per consumi.
Infine, le pressioni delle restrizioni creditizie, riducendo gli investimenti e
quindi la domanda aggregata, faranno diminuire il reddito, il prodotto,
l’occupazione e l’inflazione.
Se, infine, l’inflazione è dovuta all’incremento dei costi le politiche di
riduzione possono agire sul contenimento dei salari (politica dei redditi);
241
favorire la crescita della produttività; ridurre la pressione fiscale;
aumentare la concorrenza per ridurre il potere delle imprese (mark-up);
ridurre la dipendenza dall’estero di beni necessari alle imprese.
L’inflazione, la moneta e il disavanzo pubblico - Secondo alcuni esiste
una relazione tra inflazione e deficit dello Stato. Il disavanzo può essere
finanziato in due modi: mediante obbligazioni chiedendo a prestito denaro
al settore privato, oppure stampare moneta (nei Paesi in cui non vi è
un’autorità monetaria indipendente dal governo e quindi non in Italia).
Nel caso si stampi moneta è abbastanza chiaro cosa può succedere. Nel
caso invece il governo emetta obbligazioni, in seguito al “divorzio” tra
Banca d’Italia e ministero dell’economia, la Bc, a propria discrezione, può
decidere se finanziare o meno una richiesta di liquidità quando il governo
avanza una richiesta. All’aumentare dello stock emesso di obbligazioni
aumenta la spesa per interessi che lo Stato deve pagare.
Questo tende a fare aumentare ulteriormente il disavanzo pubblico
obbligando il governo, che vuole finanziarsi sempre con l’emissione di
obbligazioni, ad aumentare anche la richiesta di liquidità al mercato
monetario. Aumentando la domanda di liquidità nel mercato monetario, il
prezzo da pagare sarà un aumento del tasso di interesse. Ecco che la spirale
maggior spesa per interessi – maggiore richiesta di liquidità, a un certo
punto, può diventare insostenibile per il governo per cui potrebbe essere
tentato di emettere moneta.
Inflazione e disoccupazione: la stagflazione – In precedenza abbiamo
visto che quando l’economia supera la soglia del pieno impiego, nel
mercato del lavoro si generano tensioni che spingono verso l’alto i prezzi e
i salari. Tassi particolarmente bassi di disoccupazione si traducono in un
aumento del livello generale dei prezzi. Al contrario, quando la produzione
è inferiore a quella potenziale e il mercato del lavoro ristagna, si verifica
una tendenza alla deflazione. La curva di Phillips sintetizza questa
relazione. Essa mette in evidenza una relazione inversa tra tasso di
inflazione e tasso di disoccupazione: più elevato il tasso di inflazione,
minore è il tasso di disoccupazione (fig. 6.16).
Ciò significa che il sistema economico potrebbe ridurre la
disoccupazione, purché sia disposto a pagare il prezzo di un tasso di
inflazione più alto o, alternativamente, può scegliere di ridurre l’inflazione,
ma sopportando il costo della disoccupazione.
I motivi per cui può esserci inflazione prima che venga raggiunta la piena
occupazione sono principalmente due:
242
- squilibri sul mercato del lavoro; man mano che l’economia si avvicina al
livello di piena occupazione, nel mercato del lavoro vengono a crearsi
squilibri, strozzature e problemi strutturali. Gli adeguamenti del mercato
del lavoro non sono né abbastanza rapidi né sufficientemente completi per
impedire che i costi di produzione e i prezzi aumentino prima che il
sistema raggiunga la piena occupazione.
Fig. 6.16 - La curva di Phillips.
- potere di mercato. Una seconda spiegazione è che i sindacati e le grandi
imprese possiedono un notevole potere monopolistico o capacità di
controllare il mercato, che consente loro di aumentare i prezzi. Ed è più
facile esercitare questo potere quando il sistema economico si avvicina alla
piena occupazione. Si parla in questo caso di inflazione salariale. Le
politiche di controllo della DA, fiscali e monetarie, che vengono utilizzate
per accrescere la DA e ridurre la disoccupazione, inevitabilmente fanno
aumentare il tasso di inflazione, viceversa le politiche fiscali e monetarie
restrittive consentono di abbassare il tasso di inflazione, ma comportano un
aumento della disoccupazione. In altri termini le politiche di controllo
della DA consentono di scegliere un punto lungo la curva di Phillip, ma
non di migliorare il rapporto tra tasso di disoccupazione e tasso di
inflazione implicito nella curva.
Durante gli anni ’70 e ’80 del secolo scorso la nostra economia è stata
afflitta contemporaneamente da inflazione e disoccupazione, cioè da
stagflazione. Essa fu provocata da una serie di shock dal lato dell’offerta:
l’aumento del prezzo del petrolio voluto dall’Opec; successivi
deprezzamenti del tasso di cambio; riduzione della produttività; aspettative
da inflazione. Gli shock hanno spostato la curva OA verso sinistra, dando
origine alla stagflazione: una continua crescita del livello dei prezzi
accompagnata da una diminuzione del Pil..
La causa principale sembra da attribuirsi alle aspettative che gli agenti
economici hanno sulla dinamica futura dei prezzi. In periodi di prezzi
elevati gli individui si aspettano ulteriori aumenti dei prezzi e i contratti
243
che vengono stipulati scontano queste aspettative. In particolare, tre fattori
contribuiscono a rendere l’inflazione un fenomeno economico
indipendente dal ciclo economico e dalle fasi di crescita e di depressione
dell’attività economica: 1) i salari vengono determinati da accordi e
contratti collettivi che prevedono aumenti dei salari monetari anche in
situazioni di depressione economica; 2) accordi di indicizzazione che
legano i salari all’andamento generalizzato dei prezzi; 3) mercati
oligopolistici e monopolistici in relazione al controllo delle materie prime
(energia) o al mercato del lavoro.
Le politiche proposte per far fronte alla stagflazione possono essere
suddivise in tre categorie:
- politiche di mercato;
- politiche di controllo dei prezzi e dei salari (politica dei redditi);
- l’economia dell’offerta o supply side economics.
Le politiche di mercato - si possono distinguere due tipi di interventi: le
politiche per l’occupazione e la formazione professionale e le politiche che
favoriscono la libera concorrenza miranti a ridurre il potere monopolistico
dei sindacati e della grandi imprese.
Le politiche dei redditi – Altri economisti accettano il potere
monopolistico e gli squilibri di mercato come realtà economiche
praticamente inevitabili e cercano invece di modificare il comportamento
dei monopolisti che controllano il mercato del lavoro o quelli dei prodotti
La supply side economics – Nell’ultimo decennio alcuni economisti
hanno insistito sul fatto che la stagflazione è in primo luogo conseguenza
di uno scarso aumento della produttività e del prodotto reale. Questi
economisti appartenenti alla corrente di pensiero denominata supply side
economics o economia dell’offerta, sostengono che la forte crescita delle
imposte e dei trasferimenti ha avuto effetti negativi sugli incentivi a
lavorare, investire, introdurre innovazioni e ad assumersi il rischio
d’impresa. In altri termini ha ridotto la produttività del sistema economico
e il calo dell’efficienza ha provocato un aumento dei costi di produzione e
generato stagflazione. Secondo i supply siders una diminuzione delle
aliquote marginali farebbe spostare la curva dell’offerta aggregata
riducendo l’inflazione , accrescendo il prodotto reale e abbassando il tasso
di disoccupazione. Questa teoria ha come fondamento la curva di Laffer
che rappresenta la relazione tra le aliquote di imposta e il gettito fiscale:
all’aumentare delle aliquote il gettito fiscale cresce fino a raggiungere un
livello massimo e poi comincia a diminuire per poi ridursi a zero. E’
dunque meglio ridurre le imposte per aumentare il gettito; una riduzione
delle aliquote rappresenterebbe un incentivo a lavorare, risparmiare e
investire, introdurre innovazioni. Una riduzione delle imposte
244
comporterebbe meno evasione, meno elusione. L’espansione dell’attività
produttiva farebbe diminuire i trasferimenti.
L’idea base della supply side economics è dunque la necessità di
eliminare i disincentivi che derivano dal sistema delle imposte e dei
trasferimenti. L’espansione del settore pubblico ha determinato un
aumento delle entrati fiscali e, secondo la teoria fiscale, l’aumento delle
imposte sottrae potere d’acquisto al sistema economico e quindi ha un
effetto antinflazionistico. Secondo gli offertisti le imposte entrano a far
parte dei costi di produzione e quindi vengono scaricate sui consumatori
mediante aumento dei prezzi. Esse determinano un cuneo fiscale tra costo
delle risorse e il prezzo del prodotto e costituirebbero una delle cause
dell’inflazione da costi.
Sempre secondo gli offerstisti l’intervento pubblico ha avuto effetti
negativi sulla produttività e sui costi. Le regolamentazioni sociale, quella
ambientale, quella sulla sicurezza del lavoro, sulla qualità dei prodotti, ecc.
rendono il sistema meno flessibile.
c) La stabilità dei cambi – Gli obiettivi perseguiti dal governo non
riguardano solo la stabilità dei prezzi e l’occupazione ma, in un’economia
aperta, anche la stabilità dei cambi. All’equilibrio interno occorre
aggiungere anche quello esterno.
Fig.6.17 – L’equilibrio macroeconomico generale.
Le condizioni del mercato monetario e del mercato dei beni
nell’economia domestica si influenzano a vicenda: i tassi di interesse e i
tassi di cambio influiscono sul livello della domanda aggregata, mentre il
reddito influisce sulla domanda di moneta e, per una data offerta di
moneta, sui tassi di interesse. L’equilibrio generale si verifica quando i tre
mercati raggiungono contemporaneamente l’equilibrio (fig. 6.17).
Un sistema economico ha un equilibrio interno quando la domanda
aggregata è a livello del prodotto di piena occupazione Y = C+I+G+(XIm). L’equilibrio esterno si ha quando la bilancia commerciale, all’interno
245
della bilancia dei pagamenti, è in pareggio. La combinazione
dell’equilibrio interno e dell’equilibrio esterno è l’equilibrio di lungo
periodo del sistema economico.
Il problema che analizziamo di seguito è il modo di operare della politica
monetaria e fiscale in un’economia aperta caratterizzata da perfetta
mobilità di capitali. Nell’analizzare le due politiche occorre fare una
distinzione tra paesi che hanno adottato un regime di cambi fissi e quelli
che hanno invece cambi flessibili.
La politica economica in regime di cambi flessibili – In un regime di
cambi flessibili la Bc non interviene sul mercato dei cambi. Il tasso di
cambio si deve adeguare al livello necessario per equilibrare la domanda e
l’offerta di valuta estera. La BP raggiunge perciò l’equilibrio in assenza di
intervento della Bc. Ogni disavanzo nel conto delle partite correnti è
finanziato da un afflusso di capitale privato, mentre eventuali avanzi sono
controbilanciati da un deflusso di capitale privato.
Una seconda implicazione dell’esistenza di tassi di cambio flessibili è il
completo controllo della Bc sull’offerta di moneta. L’assenza di obblighi di
intervento sul mercato dei cambi fa venir meno ogni legame fra la BP e
l’offerta di moneta. La perfetta mobilità dei capitali implica l’esistenza di
un solo tasso di interesse, in corrispondenza del quale la BP è in equilibrio.
Se il livello del tasso interno fosse più elevato di quello internazionale,
l’afflusso di capitale provocherebbe un apprezzamento della valuta
nazionale e, pertanto, la competitività diminuisce e, quindi, la domanda
aggregata si contrae.
In relazione alle politiche economiche va evidenziato che nel caso dei
cambi flessibili solo la politica monetaria mantiene un certo grado di
efficacia. Una politica monetaria espansiva (aumento dell’offerta di
moneta e quindi riduzione del tasso interesse) equivale a svalutare il tasso
di cambio e, rendendo più competitiva la produzione nazionale, permette di
aumentare le esportazioni e quindi la produzione di equilibrio.
Se i tassi interesse sono più bassi rispetto a quelli praticati all’estero ci
sarà un deflusso di capitali verso l’estero (remunerazioni maggiori); ciò
comporta una minor domanda di valuta nazionale e quindi una pressione
sul tasso di cambio che si svaluterà; la svalutazione rende più competitiva
l’economia nazionale, le esportazioni aumentano e con esse la produzione
di equilibrio. Una politica monetaria espansiva determina indirettamente
una svalutazione, migliorando da un lato il saldo delle partire correnti e
dall’altro la produzione di equilibrio e quindi l’occupazione.
Se invece il SEBC abbassa il tasso di interesse, l’euro si deprezza. Queste
variazioni del tasso di cambio influenzano le esportazioni nette. Per
246
esempio, un apprezzamento dell’euro rende più attraenti per gli europei i
beni importati e rende meno attraenti per gli stranieri le esportazioni
europee. Perciò le importazioni aumentano e le esportazioni diminuiscono
con una conseguente diminuzione delle esportazioni nette (esportazioni –
importazioni). La diminuzione delle esportazioni nette, a sua volta, fa
diminuire il Pil reale.
La politica fiscale è invece inefficace: all’aumentare della spesa pubblica
il reddito nazionale aumenta, ma con esso anche i tassi interesse, per cui vi
sarà un afflusso di capitali dall’estero, una maggior domanda di valuta
nazionale e quindi un apprezzamento del tasso di cambio. Ciò significa
perdita di competitività, riduzione delle esportazioni ed aumento delle
importazioni; il disavanzo di parte corrente, infatti, viene compensato da
un afflusso di capitali, ma la produzione di equilibrio non è aumentata. Vi
è stata una variazione della composizione della domanda (è aumentata la
spesa pubblica che però ha spiazzato le esportazioni nette).
Politiche fiscali e monetarie in regime di cambi fissi - In un regime di
cambi fissi le autorità competenti della politica economica si impegnano a
mantenere nel mercato valutario un certo tasso di cambio nominale.
Ciascun paese non può avere una politica monetaria indipendente: i tassi di
interesse devono muoversi insieme. Infatti, se il tasso di interesse di un
paese fosse più elevato degli altri paesi si avrà un afflusso di fondi che farà
aumentare il valore della valuta.
Da quando i paesi dell’UE hanno fissato permanentemente i loro tassi di
cambio reciproci, in Europa c’è in effetti un unico tasso di interesse
overnight e non vi possono esservi politiche monetarie indipendenti. Se il
Pil reale dell’Italia scendesse al di sotto del Pil potenziale, e invece negli
altri paesi rimanesse uguale al Pil potenziale, allora una riduzione del tasso
di interesse da parte della Bce, che potrebbe essere vantaggiosa per l’Italia,
sarebbe svantaggiosa per gli altri paesi. In questa situazione potrebbe
essere necessario utilizzare in Italia una politica fiscale anticiclica (un
aumento della spesa pubblica o una riduzione delle imposte).
- Supponiamo che la BP sia in avanzo mentre il livello di produzione è al
di sotto del suo equilibrio di pieno impiego (disoccupazione). In questo
caso ricorrendo a una politica fiscale espansiva (riduzione delle imposte o
aumento della spesa pubblica) che permetta di raggiungere la piena
occupazione e a una politica monetaria espansiva che riduca il tasso di
interesse è possibile ripristinare sia l’equilibrio interno sia quello esterno.
- Supponiamo ora che la situazione sia opposta a quella precedente e cioè
la BP è in disavanzo, per cui la BC è costretta a ricorrere alle riserve
valutarie per compensare il disavanzo e si ha piena occupazione (rischio di
247
inflazione). In questo caso non c’è conflitto nelle scelte delle politiche
economiche: politiche fiscali e monetarie entrambe restrittive possono
permettere al sistema economico di spostarsi verso una situazione di
equilibrio interno ed esterno.
- Il problema sorge nel caso in cui si ha disavanzo della BP e produzione
al di sotto del livello di pieno impiego (disoccupazione). Per favorire
l’occupazione occorrerebbero politiche in grado di favorire l’aumento del
reddito, ma queste peggiorerebbero i conti con l’estero; d’altra parte
politiche restrittive che siano in grado di ripristinare l’equilibrio della BP
aggraverebbero la disoccupazione. In questo caso occorre fare riferimento
a due diverse politiche per realizzare due obiettivi diversi: occorre
utilizzare contemporaneamente una politica fiscale espansiva che porti ad
un incremento dell’occupazione associandola ad una politica monetaria
restrittiva che, attraverso un aumento dei tassi di interesse, consenta di
realizzare il pareggio della BP. Gli effetti depressivi sul prodotto di un
aumento dei tassi di interesse verrebbero in questo caso compensati dalla
politica fiscale espansiva.
In realtà il problema non è così semplice da risolvere. Infatti, la politica
fiscale produce i suoi effetti con notevole ritardo. In secondo luogo, la
possibilità di intervenire sui tassi di interesse interni è ridotta poiché, per
definizione, dovrebbero collocarsi allo stesso livello dei tassi di interesse
internazionali. L’aumento del tasso di interesse determina un afflusso di
capitali riportando in pareggio la BP, ma in questo modo aumenta anche
l’indebitamento di un paese nei confronti del resto del mondo. Se sono
equivalenti non vi sono particolari problemi. Se non lo sono si possono
verificare problemi come quelli originati dall’unificazione della Germania.
Il principio generale vuole che in regimi di cambi fissi e con mobilità di
capitali si usi la politica monetaria per raggiungere l’equilibrio esterno e la
politica fiscale per raggiungere la piena occupazione. L’argomentazione a
favore di una combinazione di politiche economiche è convincente, ma
non tiene conto di due limiti.
Il primo è che un paese non è generalmente indifferente al livello dei
tassi di interesse interni. Un paese che persegue contemporaneamente una
crescita della domanda aggregata e una politica monetaria restrittiva,
finisce per deprimere il settore edilizio e la spesa per investimenti in
generale. Il tasso di interesse determina non solo il livello della spesa
aggregata ma anche la sua composizione.
La seconda considerazione riguarda la composizione della BP. I paesi
non sono indifferenti alla suddivisione delle loro BP in un disavanzo di
parte corrente e in un avanzo del conto capitale. Sebbene la BP sia in
equilibrio, rimane il problema che un avanzo del conto capitale, ovvero un
248
afflusso di capitali costituisce un indebitamento netto con l’estero, una
crescita del nostro debito complessivo verso i residenti all’estero. Un
continuo ed elevato indebitamento verso l’estero non è alla lunga
compatibile con un tasso di cambio fisso. Un elevato indebitamento mette
il paese nella condizione in cui i pagamenti per interessi ai residenti
all’estero diventano un peso notevole per il sistema economico. Pertanto, si
dovrebbero adottare politiche di aggiustamento tali da migliorare il saldo
delle partire correnti.
6. Le divergenze tra keynesiani e monetaristi.
Tra le varie scuole di pensiero esistono dunque notevoli differenze sul
modo di interpretare i fenomeni economici. Di seguito riassumiamo le
principali differenze tra i keynesiani e i monetaristi.
Differenze fondamentali - Secondo i keynesiani il sistema di mercato è
per sua natura instabile; esso presenta molte situazioni di inefficienza che
ci allontanano da una struttura di mercato concorrenziale ed è quindi
causa di instabilità macro economica. Per porvi rimedio è necessario che
vengano attuate politiche di stabilizzazione, basate soprattutto su
provvedimenti di politica fiscale. I monetaristi sostengono invece che i
mercati sono perfettamente concorrenziali e ciò garantisce stabilità a
livello macro economico; essi sono sostenitori di una politica di laissez
faire.
Quadro analitico - Secondo i keynesiani il fattore fondamentale da cui
dipendono il prodotto reale, l’occupazione e il livello dei prezzi è il
valore della spesa aggregata: PIL = C+I+X+G. Sulle componenti della
spesa influiscono fattori che per lo più non dipendono dall’offerta di
moneta. Il monetarismo si fonda sull’equazione degli scambi MV=PQ.
Poiché la velocità di circolazione della moneta V è stabile, l’elemento che
determina il prodotto reale e l’occupazione Q e il livello dei prezzi P è
l’offerta di moneta M.
Politica fiscale – Secondo i monetaristi, dal momento che la spesa
pubblica è una componente della DA e le variazioni delle imposte
influiscono sul consumo e sull’investimento, la politica fiscale è un
potente strumento di stabilizzazione. I monetaristi sostengono che la
politica fiscale è poco efficace. Infatti, a meno che non venga finanziata
mediante la creazione di moneta, la spesa in disavanzo da parte dello
Stato fa aumentare il tasso di interesse e spiazza l’investimento privato.
249
La politica monetaria – I keynesiani affermano che la politica monetaria
agisce attraverso una serie di reazioni piuttosto lunga e non è affidabile.
Le variazioni dell’offerta di moneta influiscono sul tasso di interesse,
sulla spesa aggregata e infine sul Pil. Secondo i monetaristi esiste un
collegamento diretto tra l’offerta di moneta, la DA e il Pil nominale..
Data la stabilità di V esiste un legame tra l’offerta di moneta e il Pil
nominale. I monetaristi ritengono che è meglio ricorrere a regole fisse
piuttosto che a regole discrezionali.
Appendice I
La crisi del 1929 o crollo di Wall Street- Tutto ebbe inizio con la crisi del New York
Stock Exchange (la borsa di Wall Street) avvenuta il 24 ottobre del 1929 (giovedì nero),
a cui fece seguito il definitivo crollo della borsa valori del 29 ottobre dopo anni di
boom azionario.
Secondo Galbraith i fattori di debolezza che portarono alla crisi furono i seguenti: la
cattiva distribuzione del reddito; la cattiva struttura, o cattiva gestione delle aziende
industriali e finanziarie; la cattiva struttura del sistema finanziario; l’eccesso di prestiti
a carattere speculativo; l’errata scienza economica (ossessivo perseguimento del
pareggio di bilancio e assenza di intervento pubblico nell’economia).
La caduta della borsa colpì soprattutto quel ceto medio che nel corso degli anni Venti
aveva sostenuto la domanda di beni di consumo durevole e aveva investito i propri
risparmi in borsa. La loro uscita dal mercato indeboliva, quindi, proprio le industrie
produttrici di beni di consumo durevole (come quello dell’auto). Queste industrie
cessarono di commissionare materiali a quelle operanti negli stessi settori, le quali
dovettero ridurre il personale e ridurre i salari, provocando una contrazione anche nei
settori dei beni di consumo (come quello agricolo). La situazione era poi aggravata
dalla stretta interconnessione che legava il settore industriale a quello bancario. Infatti,
nel momento in cui la borsa crollò, si diffuse un’ondata di panico devastante tra i
piccoli risparmiatori i quali si precipitarono nelle banche nel tentativo di salvare il
proprio denaro. Il ritiro del denaro dal mercato provocò una crisi di liquidità di ampie
dimensioni e il fallimento di molte banche che trascinarono nella crisi le industrie nelle
quali avevano investito. I licenziamenti portarono ad una elevata diminuzione delle
domande di lavoro, bloccando quasi completamente l’economia americana.
Tuttavia la causa principale che portò il crollo finanziario a diventare una depressione
economica di enormi dimensioni fu la chiusura delle economie nazionali e coloniali.
Così come nella Grande depressione del 1873, furono i dazi doganali a deprimere
l’economia. Alcuni stati producevano beni in surplus che però non venivano acquistati
dagli altri stati, poiché venivano resi troppo costosi dai dazi all’importazione per
favorire i produttori interni. Quando la produzione raggiunge il livello di saturazione, il
prezzo scende tanto che non è più conveniente produrre quel bene, a meno di trovare
nuovi mercati che possano assorbire parte delle merci.
250
La crisi economica del 2008 - Questa crisi è dovuta a vari fattori; essa ha inizio con
lo scoppia della bolla del mercato immobiliare americano nel 2004. A un numero
crescente di famiglie era stata data l’opportunità di accendere mutui per acquistare case.
I mutui venivano concessi anche a persone prive di garanzie: i prestiti subprime. Questi
prestiti prevedevano un tasso di interesse molto basso per i primi anni con la
prospettiva di poter rifinanziare il mutuo negli anni a venire per mantenere il tasso di
interesse ai livelli iniziali. In seguito all’aumento dei tassi di interesse centinaia di
debitori sono stati costretti all’insolvenza. La loro insolvenza obbligò le banche a
vendere forzatamente le case avute in garanzia, deprimendo così le quotazioni del
mercato immobiliare.
Le banche e i creditori dei prestiti iniziarono a vendere i debiti ad altri investitori
attraverso il processo di securitization o cartolarizzazione (la cartolarizzazione consiste
nella possibilità di cedere i propri crediti ad una società appositamente costituita che si
occuperà della loro trasformazione in titoli negoziabili sul mercato finanziario. Il
credito viene ceduto a terzi e il rimborso dovrebbe garantire la restituzione del capitale
e delle cedole di interessi indicate nell’obbligazione. Se il credito diviene inesigibile,
chi compra titoli cartolarizzati perde sia gli interessi che il capitale versato). La
cartolarizzazione ha incrementato l’interconnessione tra le diverse istituzioni
finanziarie e la globalizzazione dei mercati ha portato questo fenomeno a livelli di
interconnessione internazionale. La crisi dei mutui subprime, specifica degli Stati Uniti,
si è trasformata in una crisi finanziaria globale. Nessuno era in grado di conoscere la
reale collocazione sul mercato dei titoli collegati ai mutui subprime.
Con lo scoppio della bolla inizia una attività di riduzione della esposizione bancaria,
una riduzione degli investimenti finanziari ed una ricerca delle posizioni più liquide. La
liquidità nei mercati interbancari scompare a causa della sfiducia reciproca delle banche
e a causa delle scarse informazioni disponibili ed ad autorità, operatori finanziari e
agenzie di rating. L’illiquidità dà origine ad una contrazione del credito (credit crunch)
i cui effetti si fanno sentire con insistenza a partire dalla metà del 2007. La sfiducia
reciproca conduce al blocco interbancario e ad una sorta di trappola della liquidità.
Le cause più specifiche della crisi finanziaria sembrano comunque risiedere nella
politica monetaria americana (basi saggi di interesse e connessa alta propensione al
rischio e alla leva finanziaria), nella finanziarizzazione (cartolarizzazione dei crediti
bancari) e nella de-regolamentazione del mercato finanziario (pluralità di autorità di
regolazione scoordinate tra loro).
Dalla crisi finanziaria si è scivolati in una crisi economica. La riduzione del potere
d’acquisto dei consumatori americani che deriva dalla perdita dei valori immobiliari, la
caduta dei valori di borsa, la stretta del credito bancario, le aspettative pessimistiche
delle imprese e la conseguente caduta degli investimenti hanno determinato una
drastica riduzione della domanda aggregata nei paesi industrializzati e quindi delle
importazioni dai paesi emergenti.
251
Esercizi
- Sia dato un sistema economico chiuso e senza Stato in cui il mercato dei
beni sia definito dalle seguenti funzioni: C =100+0,8Y e I=100.
Determinare:
a) il moltiplicatore;
b) il livello della domanda autonoma;
c) il livello del reddito che realizza l’equilibrio del mercato dei beni;
d) la funzione del risparmio e la propensione del risparmio del sistema;
e) il risparmio che si determina in corrispondenza del reddito di
equilibrio;
f) gli effetti del moltiplicatore sul reddito di equilibrio indotti da una
variazione della propensione al consumo pari a 0,05;
g) gli effetti sul reddito di equilibrio determinato dal punto c) prodotti da
un aumento degli investimenti pari a 50;
h) gli effetti sul risparmio indotta da una variazione di cui al punto g)
AD=Y AD=C+I C= C0 +cY= 100+0,8Y
(1-c)Y =C0+I0 Y*= 1/(1-c) (C0+I0)
I=I0=100 Y = C0+cY+I0
a) moltiplicatore α = 1/(1-c)=5
b) A0 = C0+I0 = 100+100
c) Y* = 1/(1-c) A0 = 5 x 200 = 1000
d) S = Y-C
S=Y-C0-cY; = -C0 +(1-c)Y = S0+sY= -100+0,2Y propensione
al risparmio = 0,2
e) risparmio di equilibrio S*=-100+0,2Y* = -100+200= 100
f) se la propensione al consumo aumenta di 0,05 il nuovo valore del parametro
diventa c’ = 0,85 quindi ά = 1(/1-0,85) = 6,67 che implica Y’ = 6,67 x 200 =
1333,33
g) se gli I subiscono una variazione di 50 la variazione del reddito sarà: dY =
1/(1-c)x dI0 = 5 x 50 = 250 Y’ = 1000 + 250= 1250;
h) dS = s dY = 0,2 x 250 = 50
- Considerate un’economia descritta dalle seguenti equazioni
C = 200 + 0,8 Yd I = 50 G = 100 Tr = 40
T = 50
a) calcolare il reddito di equilibrio, b) il valore del moltiplicatore della
spesa pubblica e c) il saldo di bilancio pubblico. d) Supponete che il
governo decida di dotare il paese di nuove infrastrutture per una nuova
spesa di ammontare 10 (dG = 10). Quali sono le conseguenze sul reddito
generato dal sistema e sul saldo dei conti pubblici? e) Supponete che il
252
governo decida di alzare il livello delle pensioni minime aumentando i
trasferimenti di un ammontare pari a 10 (dTr =10). Quali sono le
conseguenze sul reddito nazionale e sul saldo dei conti pubblici?
Argomentate le risposte. Ricavate il moltiplicatore dei trasferimenti.
a) Y = C+I+G+Tr-T
C = C* + cYd= C* + c(Y+Tr-T)
Y= C* +c(Y+Tr-T)+G+I
Y-cY= C* + cTr –cT+G+I
Il reddito di equilibrio è dato da:
Y* = 1/(1-0,8) (200-40+32+100+50) = 5 . 342 = 1710
b) Il moltiplicatore della spesa pubblica è pari a 5.
c) Il saldo del bilancio pubblico è pari a : T –Tr –G = 50-40-100= -90
d) Il nuovo reddito di equilibrio è dato da
Y* = 1/ (1-0,8) (200-40+32+110+50) = 5 . 352 = 1760
Possiamo osservare che il valore del reddito di equilibrio è aumentato
Il saldo del bilancio pubblico sarà pari a: 50-40-110= -100
Anche il deficit è aumentato di 10
e) Il valore del reddito di equilibrio dovuto ad una variazione dei trasferimenti
è pari a:
Y* = 1/(1-0’8) (200-40+40+100+50) = 5 . 350 = 1750
Il reddito di equilibrio è aumentato. Il saldo dei conti pubblici sarà: 50-50100= -100 Il deficit è aumentato.
- Il governo è interessato al valore dell’aumento di spesa pubblica tale da
consentire di raggiungere il reddito di piena occupazione. Gli esperti del
governo stimano che le funzioni del consumo e degli investimenti siano:
C = 40+0,80Y I = 80 dove C, I e Y sono rispettivamente consumi,
investimenti e reddito espressi in migliaia di miliardi di lire. Il reddito di
piena occupazione è stimato in 650.000 miliardi di lire (Y = 650).
Determinare il reddito di equilibrio e l’aumento della spesa pubblica
necessario a raggiungere il reddito di piena occupazione.
Ye = 1/(1-0,8)(40+80) = 600 miliardi di lire
Per raggiungere il reddito di piena occupazione è necessario un aumento di
reddito di 50 miliardi ossia:
G = 50/(1/(1-0.8) = 10 miliardi di spesa
253
L’aumento di spesa necessario è dunque di 10 miliardi di lire.
- Sia dato un sistema economico chiuso e con l’intervento dello Stato in
cui il mercato dei beni sia definito dalle seguenti funzioni: C = 100+0,8Y;
I=100; G = 80; Tr =90; T = 0,25Y. Determinare:
a) il moltiplicatore;
b) il livello della domanda autonoma;
c) il livello del reddito che realizza l’equilibrio del mercato dei beni;
d) la funzione del risparmio;
e) il risparmio che si determina in corrispondenza del reddito di
equilibrio;
f) il saldo del bilancio dello Stato in corrispondenza del reddito di
equilibrio;
a) Si ricorda che il reddito disponibile Yd è dato dal reddito Y al lordo dei
trasferimenti Tr ed al netto delle tasse T e che la condizione di equilibrio è
AD=Y e che la AD = C+I +G.
AD = Y AD= C+I+G C = C0 + cY = 100 + 0,8Y I = I 0= 100
G= G0
= 80 Tr = Tr0 = 90
T = tY = 0,25Y
Y = C0 + cYd +I0 + G0 Y = C0 + c(Y + Tr0 - tY) + I0
+ G0
(1-c(1-t))Y = C0 + I0 + G0
Y* = 1/(1-c(1-t)) x (C0 + I0+ G0 + cTr0) =
moltiplicatore α = 1/(1-c(1-t)) = 2,5
b) domanda autonoma A0 = C0+ I 0+ G0 + cTr0 = 100 + 100 + 80 + 72 = 352
c) Y* = αA = 2,5 x 352 = 880
d) la funzione del S è determinata considerando che nella teoria keynesiana il
S è residuale rispetto al consumo S = Yd – C
S = Yd – C0 – cYd = -C00 + (1-c) Tr0 + (1-c)(1-t) Y = S0 + sY
S = - 82 + 0,15Y* con propensione al risparmio s = (1-c)(1-t) = 0,15
e) risparmio di equilibrio S* = -82 + 0,15Y= 50
f) il saldo del bilancio dello Stato è definito da BS = T-G- Tr= tY* - G0 – Tr0 =
0,25 x 880 – 80 – 90 = 50
254
- Supponete che la domanda autonoma sia 500 e la funzione del consumo
sia C=200+0,6Yd. Calcolate il Pil di equilibrio. Come varia il reddito e il
consumo se lo Stato aumenta la spesa pubblica di 200?
a) Y = 1/(1-c) (500) = 1250
b) dY = 1/(1-c)dG = 2,5 x 200 = 500
c) C=200 +0.6Yd = 200+0,6 (1250+500) = 1750
C=200+o.6Yd= 200+0.6(1250)=950 dY = 1750-950=800
- La domanda autonoma A è 500, la funzione del consumo è
C=200+0.6Yd. Supponiamo che il governo voglia fare aumentare la
produzione di 800. Di quanto dovrebbe variare la spesa pubblica per
ottenere questo obiettivo.
Moltiplicatore (m) = 1/1-0.6 = 2.5
dY = m dG
800=2.5 xdG dG = 800/2.5 = 320
- Supponete che le tasse non siano costanti ma funzione del reddito, cioé
T=tY =0.2Y, dove t è l’aliquota di imposta. La funzione del consumo è C =
100+0.6Yd; G=100; I = 100. Calcolate il moltiplicatore e il livello di
equilibrio della produzione.
C = 100+0.6(Y-0.2Y) = 100+0.6x0.8Y = 100+0.48Y
Y = 100 + 0.48Y + 100+100 = 300+0.48Y
Y = 1/(1-0.48) 300= 576.92
Il moltiplicatore è diverso dal solito
M= 1/1-c(1-t) = 1/1-0.6(1-0.2) = 1.92
- Considerate il seguente sistema economico
C= 200+0,5Yd
T = 100
I = 150+0,1Y
G = 200
1) Calcolare il valore del reddito di equilibrio e del moltiplicatore
2) Dimostrare che in equilibrio, gli investimenti sono uguali al risparmio
3) il governo decide di portare il bilancio pubblico in pareggio
aumentando le imposte. Calcolare il nuovo valore di equilibrio del
reddito.
1) Y = C+I+G
Y = 200+0,5(Y-100) + 150+0,1Y+200
Y = 500+ 0,6Y Y-0,6Y = 500
Y = 500/0,4
Y = 1250
Moltiplicatore = 1/1-c –d = 1/(1-0,5-0,1) = 2,5
255
2) I = S S = Yd – C + (T-G) S = (1250-100) – [200 +0,5 (1250-100)] +
(100-200)
S = 1150 – [200+ 0,5(1150)] – 100 S = 275
I = 150 + 0,1(1250) I = 275
3) Le imposte aumentano fino ad assumere il valore di 200 T’ = 200
Y’ = C+I+G Y’ = 200 + 0,5(y-200) + 150+ 0,1Y + 200
Y’ = 450 + 0,6Y Y – 0,6Y = 450 Y = 450/0,4 Y = 1125
- Si consideri un sistema economico rappresentato dalle relazioni
seguenti: C = 60 + 0,6Yd ; I = 100 + 0,2Y; G = 500; T = 100.
Si calcoli a) il reddito di equilibrio; b) si indichi il valore del
moltiplicatore; c) Il bilancio pubblico viene riportato in pareggio con una
riduzione della spesa pubblica. Qual è il nuovo reddito di equilibrio; d) a
partire dalla situazione iniziale, la propensione marginale
all’investimento aumenta a 0,3. Qual è il nuovo reddito di equilibrio e il
valore del moltiplicatore.
a) Y = C+I+G Y = 60+ 0,6(Y-100) +100+0,2Y+500
Y=3000
b) moltiplicatore = 1/(1-0,6 – 0,2) = 5
Y= 0,8Y+600
c) Se il bilancio viene riportato in pareggio mediante una riduzione della spesa
pubblica significa che il nuovo valore della spesa pubblica G’ sarà 100
T-G’ = 100 – 100 = 0
Y = C+I+G = 60 + 0,6(Y-100) + 100 + 0,2Y + 100 = 0,8Y + 200 = 1000
d) Y = C+I+G = 60 + 0,6(Y-100) + 100+ 0,3Y + 500 = 0,9Y + 600 = 6000
moltiplicatore = 1/(1-0,6 – 0,3) = 10
- Il governo decide l’introduzione di un’imposta in somma fissa T per
aumentare le entrate necessarie a finanziare una spesa espansiva
sufficiente a raggiungere il reddito di piena occupazione.
Sulla base delle seguenti funzioni del consumo e degli investimenti C =
40+0,8Y I = 80 una spesa di 10.000 miliardi (G = 10) dovrebbe
comportare un aumento di reddito di 50.000 miliardi (dY =50), sufficiente
a raggiungere il pieno impiego.
256
Il governo vorrebbe fissare l’imposta in 10.000 miliardi (T =10), ma
ritiene che questo comporterebbe una diminuzione del reddito tale da
vanificare gli effetti espansivi della maggior spesa.
Alcuni sostengono che effettivamente l’introduzione di un’imposta T = 10
porterebbe una diminuzione del reddito e dunque il governo dovrebbe
spendere una cifra maggiore di G = 10.
Altri sostengono invece che se il governo vuole mantenere il bilancio in
pareggio non potrà raggiungere l’obiettivo in questione poiché a ogni
aumento di G corrisponde un aumento di Y, ma anche un eguale aumento
di T e quindi una diminuzione di Y, tale da riportare il reddito al livello
precedente la manovra.
Chi ha ragione?
Un’imposta T = 10 di per sé ha effetti di riduzione del reddito. Il reddito
sarebbe pari a: Y = 1/(1-c)(a + I –cT) dove la spesa autonoma è pari a 40, c è
pari a 0,8 e I pari a 80, dunque: Y = 590 e dY = -10.
Se contemporaneamente il governo spendesse una cifra G = 10 si avrebbe dY
= 1/(1-c)dG-1/(1-c)cdT; ossia dY = 50-40 =10 L’effetto espansivo sarebbe
dunque ridotto rispetto al caso di spesa in disavanzo, ma sarebbe positivo.
La prima tesi è dunque corretta: una spesa e un’imposta maggiore potrebbe
consentire di raggiungere l’obiettivo: con G = 50 e T = 50 si avrebbe infatti:
dY = 1/(1-c)50-1/(1-c)c50 = 250-200 = 50 che è l’obiettivo del governo.
- In un’economia la funzione del consumo è C= 100+0,75Yd; le tasse
T=200; gli investimenti I=300; la spesa pubblica G=180. Calcolate a) il
livello di equilibrio del reddito Y, b) l’ammontare del consumo C, c) il
risparmio S, d) il moltiplicatore, e) l’avanzo o il disavanzo di bilancio.
a) Reddito di equilibrio Y = 1/(1-0,75) 430 = 1720
b) Consumo C = 100+0,75(1720-200) = 1240
c) Risparmio S = Yd-C = (1720-200) – [100+0,75(1720-200)] = 280
d) Moltiplicatore 4
e) Avanzo di bilancio 200-180=20
- Consideriamo gli stessi dati dell’esercizio precedente e verifichiamo cosa
succede se:
a) la spesa pubblica aumenta di 20
257
b) gli investimenti diminuiscono di 100
c) le tasse aumentano di 10
a) dY = moltiplicatore dG
b) dy = moltiplicatore dI
c) dY = moltiplicatore (-c)(dT)
dY = 4x20 = 80
dY = 4(-100) = -400
dY = 4(-0,75)= -30
- Supponiamo che l’offerta di moneta sia pari a 500 miliardi di euro
quindi Ls = 500 e che la domanda di moneta sia rappresentata dalla
seguente funzione Ld = 0,2Ya + 10/i
In questa specificazione la domanda di moneta è formata da due parti,
una proporzionale al reddito atteso (Ya ) e l’altra decrescente del saggio
di interesse (cioè quando l’interesse aumenta, la domanda di moneta
diminuisce e viceversa).
Supponiamo che il reddito atteso dagli operatori sia pari a 15.000
(miliardi di euro). Calcolare a) il saggio di interesse di equilibrio sul
mercato sul mercato monetario b) data la funzione di risparmio e di
investimento il reddito di equilibrio.
a) La domanda di moneta è: Ld = 0,2 . 15000 + 10/i = 300 + 10/i
L’equilibrio monetario è perciò Ls =Ld 500= 300 + 10/i 10/i = 500-300=200
i =10/200 = 0,05 il saggio di interesse di equilibrio è 5%.
b) Supponiamo di avere la seguente funzione del risparmio: S = -200 + 0,25Y
dove compare il consumo incomprimibile (-200) che è un risparmio negativo.
La funzione degli investimenti è la seguente: I = 300- 2000i
Poiché i = 0,05 si ha I = 300-2000 x 0,05 = 200
L’equilibrio tra risparmio e investimenti si può perciò scrivere
S = –200+0,25Y = 200 Ye =1600
- Si consideri il sistema economico descritto dalle seguenti relazioni:
C = 150+ 0,5Yd Md = 2y – 20i I = 20 + o,25Y – 50i
M/P = 340
G = 40 + 0,05Y T = 40
Dove Yd è il reddito disponibile, Md la domanda di moneta in termini reali
M/P l’offerta di moneta; “i” il tasso di interesse; G la spesa pubblica; T le
imposte. Calcolare:
1) il livello del reddito e del tasso di interesse di equilibrio
258
2) La Banca centrale decide di comprare titoli per un valore di 260
mediante una operazione di mercato aperto. A quanto ammonta l’offerta
reale di moneta dopo l’operazione.
3) Si calcoli l’impatto dell’operazione di mercato aperto sui valori di
equilibrio e del tassi di interesse.
1) Occorre trovare le equazioni IS e LM
Equazione Is : Y = C+I+G
Y = 150+ 0,5(y-40)+20 +0,25Y -50i +40+0,05Y
Y = 190 + 0,8Y-50i
Y – 0,8Y = 190-50i
Y = 190 – 50i/0,2 IS sarà Y=950-250i
Equazione LM
Md = Ms
2Y-20i = 340 2Y = 20i+340 Y = 10i + 170
Mettendo a sistema le due equazioni siamo in grado di determinare il valore
del reddito e del tasso di interesse di equilibrio
10i + 170 = 950 -250i
10i +250i = -170+950 260i = 780 i =3
Y = 950-250 (3)
Y=950-750 = 200
2) Con l’acquisto di titoli la quantità di moneta disponibile sul mercato
aumenta Ms = 340+260 = 600
3) Md = Ms
equazione LM)
2Y -20i = 600
2Y = 20i +600
259
Y = 19i+300 (nuova
Mettendo a sistema la nuova LM con la IS precedentemente trovata si potrà
determinare il nuovo reddito di equilibrio ed il nuovo valore del tasso di
interesse di equilibrio.
10i + 300 = 950-250i
10i +250i = 950-300 260i=650 i = 2,5
Y’ = 10(2,5)+300 Y’ = 25+300 Y’=325
- Considerate un sistema economico rappresentato dalle seguenti
relazioni: Md = 10Y Ms = 500
C = 500 + 0,6Yd
T = 0,2Y
I = 1000 – 20i + 0,12Y
G = 200
dove Md e Ms rappresentano rispettivamente la domanda e l’offerta di
moneta espresse in termini reale e “i” indica il tasso di interesse.
Calcolare:
1) i valori di equilibrio del reddito e del tasso di interesse;
2) il valore del saldo di bilancio pubblico in corrispondenza del redito di
equilibrio;
3) di quanto variano gli investimenti privati se la spesa pubblica
raddoppia.
1) Y = C+I+G
Y = 500 +0,6(Y-0,2Y) + 1000 – 20i + 0,12Y + 200
Y = 1700 + 0,6Y -20i
Y-0,6Y = 1700 – 20i
0,4Y = 4250 – 50i
Y = 4250 – 50i equazione della IS
Ms = Md
500 = 10Y – 1500i
-10Y = -500 – 1500i
Y = 50 + 150i equazione della LM
50 + 1450i = 4250 – 50i
200i = 4200 i = 21
Y = 50 + 150 (21)
Y = 50 + 3150
Y = 3200
2) Il saldo di bilancio pubblico si calcola sottraendo la spesa pubblica dalle
imposte. In questo caso le imposte sono determinate dal reddito disponibile,
quindi:
T = 0,2Y
T = 0,2 (3200)
T = 640
3) Se la spesa pubblica raddoppia significa che assume il valore di 400. La
curva IS assumerà una forma diversa.
Y = C+I +G Y = 500 + 0,6(Y-0,2Y) + 1000 – 20i + 0,12Y + 400
Y = 0,6Y + 1900 – 20i Y = 4750 – 50i equazione della IS’
Mettendo a sistema la nuova IS’ con la LM si trova il tasso di interesse e il
reddito di equilibrio.
4750 – 50i = 50 + 150i
i = 23,5 nuovo tasso di interesse di equilibrio
260
Y = 4750 – 50(23,5)
Y = 3575 Nuovo reddito di equilibrio
I’ = 1000 – 20(23,5) + 0,12 (3575)
I’ = 1000 – 470 + 429
I’ = 959
I = 1000 – 20(21) + 0,12 (3200)
I = 964
Se la spesa pubblica raddoppia gli investimenti diminuiscono di 5. Il
maggior reddito provocato dall’aumento della spesa pubblica farebbe
aumentare gli investimenti, ma l’aumento conseguente del tasso di interesse fa
prevalere l’effetto di diminuzione degli stessi.
- Considerate un sistema economico rappresentato dalle relazioni
seguenti: C = 100 + 0,5Yd
Md = 8Y – 80i
I = 180 – 18i + 0,3Y
Ms = 4800
G = 400
T = 400
dove
Md e Ms rappresentano la domanda e l’offerta di moneta in
termini reali ei il tasso di interesse. Calcolare:
1) il livello di equilibrio della produzione e del tasso di interesse;
2) i nuovi valori di Y e i in seguito ad una politica monetaria espansiva da
parte dell’autorità monetaria basata sull’aumento dell’offerta di moneta
(Ms) a 5400;
3) la variazione degli investimenti in seguito alla politica monetaria
espansiva;
4) il valore che dovrà assumere G se le autorità fiscali decidessero di
aumentare la spesa pubblica G per mantenere il tasso di interesse al
valore iniziale;
5) il nuovo valore del reddito di equilibrio e degli investimenti.
1) Y = C+I+G Y = 100 + 0,5 (Y-400) + 180 – 18i + 0,3Y + 400
0,2Y = - 18i + 480 Y = - 90i + 2400 equazione della IS
Ms = Md 8Y – 80i = 4800
Y = 10i + 600 equazione della LM
IS = LM
-90i + 2400 = 10i + 600 i = 18
Y = 10 (18) + 600 Y = 780
2) Ms = Md 540’0 = 8Y – 80i
-8Y = -5400 – 80i
Y = 10i + 675
Equaz<ione della LM’
IS = LM’
10i + 675 = - 90i + 2400 100i = 1725 i = 17,25
Y = 10 (17,25) + 675 Y = 847,5
3) I’ = 180 – 18 (17,25) + 0,3 (847,5)
I’ =123,75
I = 180 – 18 (18) + 0,3 (780) I = 90
Dopo la manovra di espansione gli investimenti sono cresciuti di 33,75
261
4) Per calcolare la nuova spesa pubblica G’ occorre tenere come dati i valori
del tasso di interesse 18 e la nuova offerta di moneta 5400. Quindi dopo aver
calcolato il nuovo reddito l’unica incognita sarà la spesa pubblica G’.
5400 = 8Y – 80 (18)
Y’ = 855
Y=C+I+G
855 = 100 + 0,5 (855 – 400) + 180 – 18 (18) + 0,3 (855) + G
G’ = 415
5) Il nuovo valore del reddito di equilibrio è 855 come calcolato nel punto
precedente.
6) Y’ = 180 – 18 (18) + 0,3 (855)
investimenti.
I’ = 112,5 nuovo valore degli
- Considerate un sistema economico descritto dalle seguenti relazioni: C
=200 + 0,5Yd; I = 500-50i+0,1Y; G=300; Md = 5Y-500i; Ms = 2000;
T=0,2Y. Calcolare a) il valore di equilibrio del reddito e del tasso di
interesse; b) il valore del saldo di bilancio pubblico; c) il valore del
reddito che garantisce il pareggio del bilancio pubblico; d) come deve
variare l’offerta di moneta per garantire il pareggio del bilancio pubblico.
a) Y=C+I+G = 200+0,5(Y-0,2Y)+500-50i + 0,1Y + 300= (-50i+1000)/0,5 =
2000-100i equazione della IS
Md = Ms 200= 5Y-500i Y = 400+100i equazione della LM
2000 -100i = 400+100i -200i= -1600 i = 8
Y = 400 + 100(8) Y = 1200
b) T = 0,2(1200) T = 240 T-G = 240-300= -60 disavanzo di bilancio
c) T-G=0
T=G 300=0,2Y
0,2Y = 300 Y =1500
d) per garantire il pareggio di bilancio il reddito deve essere di 1500, con una
spesa pubblica pari a 300
Y = C+I+G 1500= 200+0,5(Y-0,2Y) +500-50i+150+300
1500=1750-50i i =5
Ms=Md Md = 5Y-500i; Md = 5(1500) – 500(5) Md = 5000
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