Seconda Università degli studi di Napoli Facoltà di architettura “Luigi Vanvitelli” Dipartimento di restauro e costruzione dell’architettura e dell’ambiente DOTTORATO IN CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI (XXIII CICLO) S.S.D. ICAR/19 TESI DI DOTTORATO LA CONSERVAZIONE DEGLI EDIFICI IN MURATURA IN RELAZIONE AL RISCHIO SISMICO Coordinatore del dottorato: Prof. Arch. Giuseppe Fiengo Tutors: Prof. Ing. Pietro Lenza Prof. Arch. Luigi Guerriero Dottoranda: Gaetana Pacella Ad una madre il cui ricordo rimarrà sempre vivo… (a Pina) INDICE Capitolo 1: Le finalità della ricerca: approccio metodologico allo studio dell’edificio in muratura: 1.1 L’interdisciplinarietà del restauro p.3 1.2 L’evoluzione della concezione strutturale dell’edificio in muratura p.5 1.3 La normativa sugli edifici in muratura p.7 1.4 Lo studio del comportamento sismico dell’edificio in muratura p.9 Capitolo 2: La modellazione della parete muraria e dell’impalcato 2.1 Introduzione p.11 2.2 La modellazione della parete muraria p.12 2.2.1 Le diverse possibili configurazioni della fascia di piano 2.2.2 Il ruolo della fascia di piano nel comportamento sismico degli edifici in muratura 2.3 La modellazione dell’impalcato p.14 p.16 p.19 2.3.1 Le volte p.23 2.3.2 La configurazione strutturale delle volte p.27 2.3.3 Il puntone arcuato nelle volte p.33 2.3.4 La modellazione dell’impalcato con volte p.36 Capitolo 3: La sperimentazione su pannelli di fascia in scala ridotta: 3.1 Introduzione p.37 3.2 La morfologia delle fasce di piano storiche in area Napoletana p.37 3.3 Sintesi dei risultati ottenuti dalla sperimentazione su provini in muratura ordinaria e storica 3.4 3.5 p.38 L’influenza della tessitura muraria valutata attraverso una sperimentazione su pannelli in materiale omogeneo p.43 L’efficacia della fasciatura dei provini di malta con strisce di FRP p.49 Capitolo 4: Le analisi numeriche su base sperimentale del comportamento strutturale delle fasce di piano: 4.1 Sperimentazione numerica mediante analisi FEM p.59 4.2 Considerazioni sui risultati p.61 1 4.3 Modello teorico semplificato del comportamento della fascia di piano: “puntone ad arco” 4.4 p.66 Confronto con i risultati di sperimentazioni in scala reale disponibili in letteratura p.72 4.5 Confronto con la normativa p.75 4.6 Confronto risultati teorici e sperimentali in termini di modalità di rottura p.78 Capitolo 5: La modellazione tridimensionale degli edifici in muratura 5.1 Introduzione 5.2 Modellazione tridimensionale a telaio equivalente: il caso di palazzo Petrucci p.85 p.87 5.2.1 Palazzo Petrucci p.87 5.2.2 Modellazione p.89 5.2.3 L’analisi dei carichi verticali e la modellazione delle masse p.97 5.2.4 Analisi lineari p.98 5.3 Modellazione con elementi lastra-piastra: il caso del castello di Castel Volturno p.119 5.3.1 Stratificazione storica e conseguenti aspetti meccanici p.121 5.3.2 Modellazione p.124 5.3.3 Analisi lineari p.128 5.3.4 Validazione dei risultati p.143 Capitolo 6: Gli interventi di miglioramento 6.1 Gli interventi consentiti dalla normativa p.144 6.2 Le finalità degli interventi p.144 6.3 L’esperienza del terremoto dell’Aquila p.145 Capitolo 7: Conclusioni 7.1 Risultati della ricerca p.161 7.2 Sviluppi futuri p.163 Bibliografia p.165 2 Capitolo 1: Le finalità della ricerca: approccio metodologico allo studio dell’edificio in muratura 1.1 L’ interdisciplinarietà del restauro La ricerca svolta nell’ambito della tesi di dottorato ha avuto come finalità l’individuazione di una metodologia di studio del comportamento sismico dell’edificio in muratura, e ha posto l’accento soprattutto sul problema della scelta di una modellazione adatta ad interpretare la reale risposta della struttura alle sollecitazioni del sisma. Tuttavia emerge come per una valutazione corretta della vulnerabilità sia necessaria una approfondita conoscenza della fabbrica, ed in particolare degli elementi strutturali che risultano strategici per il comportamento sismico globale dell’edificio, dei materiali utilizzati e delle tecniche adottate per la realizzazione dell’apparecchiatura muraria. In tal senso la conoscenza dello sviluppo che ha caratterizzato le costruzioni murarie, non solo deve essere considerata presupposto essenziale alla progettazione dei nuovi edifici, ma deve rappresentare un bagaglio imprescindibile per chi debba intervenire sul patrimonio edilizio esistente con interventi di manutenzione, consolidamento, miglioramento o adeguamento. Lo studio delle antiche costruzioni deve considerarsi, pertanto, indispensabile per ingegneri ed architetti impegnati nella tutela di queste testimonianze storiche. La continua necessità di studiare e approfondire la concezione delle antiche strutture, prima di compiere su di esse interventi di qualsiasi genere, rende, infatti, fondamentale la conoscenza del loro passato, per poter operare efficacemente nel presente e poter preservare gli antichi edifici per il futuro. In questo contesto assume rilevante valore un approccio di tipo interdisciplinare del restauro, volto a garantire sia la conservazione del valore culturale della materia che la sua sicurezza statica. Così oggi il mondo del restauro acquista sempre più la consapevolezza che è necessario conciliare le sue competenze nelle discipline storico-artistiche con quelle degli specialisti delle strutture. Va peraltro evidenziato come sia indispensabile una specializzazione avanzata del tecnico che deve operare nel campo del consolidamento strutturale. In passato avveniva spesso che le soluzioni dei problemi statici di fabbriche storiche venivano risolti da professionisti estranei alla disciplina, ed in particolare alla cultura delle tecniche pre-moderne, alla tecnologia dei materiali storici e alle modalità esecutive della tradizione. Negli ultimi 3 tempi, invece, le nuove figure di tecnici sono preparate alla specificità dell’analisi e dell’intervento sulle opere del passato e analizzano l’architettura storica mediante un tipo di approccio che ha un più ampio raggio. L’architetto restauratore deve valutare ed utilizzare i dati forniti dalla scienza ai fini della conservazione dell'opera e di contempo guardare criticamente ai risultati delle nuove ricerche tecnologiche. La complessità dell'intervento di restauro richiede, il più delle volte, la necessità di apporti scientifici valutati caso per caso, e soprattutto che non ci si fermi alla realizzazione del mero progetto di restauro ma si punti, invece, alla prevenzione e alla manutenzione supportata anche da indagini conoscitive quali il rilievo e la diagnosi non distruttiva. In tale prospettiva la figura dell’architetto restauratore può essere intesa come principale interprete e supervisore di un vitale rapporto tra ricerca scientifica, coscienza storica e corretta operatività. La collaborazione tra figure differenti, storici, urbanisti, strutturisti, chimici, restauratori ed altro, consente di valorizzare tutti gli aspetti dell’edificio esistente. Tuttavia ogni singolo intervento specialistico, su di uno stesso manufatto, non potrà essere indipendente o separato da un altro, ma dovrà mirare al raggiungimento di una soluzione comune e condivisa dai diversi esperti. L’obbiettivo comune deve certamente essere rappresentato dalla ricerca di interventi, minimi e poco invasivi, per il conseguimento di un miglioramento sismico, in prospettiva della conservazione del patrimonio storico, concepito come testimonianza autentica e culturale del passato. Piero Sanpaolesi nel 1973 sosteneva che un edificio, dopo il restauro, dovesse comportarsi in modo identico, anche strutturalmente, al suo assetto iniziale: “…anche se tale comportamento, visto alla luce delle nostre attuali conoscenze di statica, presenta manifesti difetti o anomalie, questi ultimi non vanno “corretti” se non lì dove è necessario farlo ad evitare danni e dissesti irreparabili,…giacché tali anomalie fanno parte integrante e documentaria dell’edificio”, pertanto aggiunge che “…un edificio sarà tanto meglio restaurato quanto più si comporterà in modo autentico, anche strutturalmente, al suo comportamento iniziale”. Tutto questo può essere possibile se si valorizzano le originarie risorse della fabbrica e se si tiene conto dell’efficacia di presidi tradizionali (come ad esempio l’uso di catene scorrevoli). Gli studi condotti negli ultimi anni, infatti, sono stati mirati a individuare interventi compatibili e non invasivi, integrativi e non sostitutivi, e che non necessariamente siano nascosti ma anche palesi se realmente giustificati. 4 1.2 L’evoluzione della concezione strutturale dell’edificio in muratura L’edificio in muratura subisce nel corso degli anni un’evoluzione sia delle tecniche costruttive che della concezione strutturale. È possibile, infatti, individuare nelle diverse epoche storiche modi di costruire differenti, frutto dello sviluppo di nuove tecnologie. Le prime costruzioni lapidee furono ottenute sovrapponendo semplicemente pietre nella forma in cui si trovavano. Essendo inizialmente i muri realizzati "a secco", e cioè senza impiego di malta, la stabilità della costruzione era affidata sia alla grandezza dei blocchi che alla loro regolarità, e risultava tanto migliore quanto maggiore era la superficie di contatto. In presenza di materiale "minuto" o di pietre arrotondate (come quelle di fiume) o fortemente irregolari, si rese necessario l'uso di un elemento complementare come il fango, che avesse funzione di connettore. Con il perfezionamento degli utensili, si capì che per conseguire maggiori superfici di contatto conveniva sbozzare le pietre manualmente, prima della messa in opera. Si capì che quanto più tali superfici, oltre che piane, erano orizzontali tanto più stabili risultavano i muri: fu naturale, pertanto, l'evoluzione verso la pietra squadrata la cui forma di parallelepipedi consentiva un perfetto contatto tra le pietre e la trasmissione delle sole componenti verticali delle forze di gravità. Il legante, inizialmente, fu costituito da fango di natura qualunque e, solo in seguito, da argilla. Frequenti sono stati i ritrovamenti di malte di gesso utilizzate come legante, dagli egizi nel III millennio a.C. e dai greci in età ellenistica. Tali malte, pur presentando una presa molto rapida, perdevano però capacità resistente alla presenza di umidità. I romani, invece, ne introdussero e codificarono l'uso quale legante allo stato puro (come dimostrano gli edifici di epoca repubblicana in opus quadratum). L'abbondanza di cave di calcare in Campania fece sì che, proprio in tale regione, si verificasse la prima diffusione delle malte di calce (così come testimoniano gli scavi di Pompei). Poiché queste ultime presentavano notevole ritiro, nuove miscele vennero confezionate impastando il grassello di calce con inerti: uno di questi fu la sabbia che aveva la stessa funzione “sgrassante” già esercitata sulle argille, ovvero la funzione di evitare l'eccessivo ritiro e le conseguenti fessurazioni. Impiegando come inerte la pozzolana già nel III secolo a.c. i romani ottennero in Campania malte talmente tenaci da sfidare i secoli, resistendo benissimo anche all'umidità, in virtù del fatto che la pozzolana trasformava la calce aerea in calce idraulica. In ogni caso, in passato, le tipologie murarie degli antichi costituirono il riferimento costante a partire dall’Alberti. In particolare l’opera di Vitruvio fu assunta come termine dialettico con cui confrontarsi e dalla quale trarre insegnamenti utili alla costruzione di murature salde e durevoli. Alberti, Palladio, Francesco Di Giorgio Martini e Scamozzi riconobbero in Vitruvio “la più valida autorità” e in tutti i loro trattati dimostrarono notevole 5 sensibilità e attenzione nei riguardi della solidità delle murature, considerata la finalità principale da perseguire in ogni costruzione. Fino agli inizi del ‘700 si riteneva fondamentale per assicurare la solidità rispettare le cosiddette “regole d’arte”, ovvero principi e metodi definiti nel corso dei secoli e dimostrati validi dalla pratica costruttiva. Infatti è proprio dalla sperimentazione e dall’osservazione delle strutture già realizzate che gli architetti traggono alcuni accorgimenti costruttivi: è consigliato costruire nelle stagioni temperate per evitare l’asciugamento troppo rapido delle malte con conseguente perdita della loro resistenza; i giunti dei filari devono essere sfalsati; bisogna costruire in maniera uniforme e con strati regolari affinché il calo dovuto al costipamento delle malte e all’assestamento delle pietre sia uguale; in muri molto elevati vano previsti delle pause periodiche per consentire il consolidamento delle masse inferiori; è consigliabile l’uso di pietre di uguale peso nello stesso filare per evitare che si producano sforzi difformi e quindi lesioni, ecc. Tuttavia tali prassi non furono costantemente rispettate, soprattutto per gli edifici con destinazione d’uso residenziale. Il mutare delle tecniche costruttive determina anche dei diversi comportamenti meccanici delle strutture. A tal proposito è interessante richiamare uno studio condotto dai professori Fiengo e Guerriero, sulle murature in tufo giallo napoletano realizzate tra la fine del XVI secolo e la prima metà del XX che ha portato ad individuare tre tipi costruttivi fondamentali, definiti da indicatori cronologici di tipo morfologico e dimensionale: i registri murari di pietrame spaccato allestiti a cantieri, diffusi nel XVI e nel XVII secolo, quelli di bozzette a filari, riferibili al XVIII secolo, e quelli di blocchetti a filari, a sacco, adottati nel XIX e nella prima metà del XX secolo [Fiengo e Guerriero, 1998 (Eds); Fiengo et al, 2003; Guerriero, 2005]. A questo studio è poi seguita un’indagine sperimentale su macromodelli di muratura tradizionale1, in scala reale, allestiti riproducendo le tecniche costruttive riscontrabili nell'areale del tufo giallo napoletano per il periodo che va dal XV al XX secolo. La sperimentazione ha consentito di determinare il comportamento meccanico di questo tipo di muratura non solo in termini di resistenza, ma anche deformativi, potendone valutare in particolare la capacità di adattamento plastico, una volta raggiunta la resistenza massima. Le tre tipologie di muratura analizzate hanno mostrato un comportamento simile, anche se con valori differenti di resistenza massima e deformazione ultima. Il valore medio della tensione di picco per la muratura a cantieri è stata di 3.97 N/mm2, per quella a bozzette di 3.09 N/mm2 mentre, per quella “a sacco” di 2.65 N/mm2. Le differenze riscontrate nella resistenza e nella deformabilità si è visto dipendere non solo dalle caratteristiche meccaniche della malta e delle 1 I risultati di tale sperimentazione sono descritti in B. Calderoni3, E.A. Cordasco, L. Guerriero, P. Lenza, G. Manfredi, Mechanical behaviour of post-medieval tuff masonry in the Naples area. Masonry International. 6 pietre di tufo utilizzate, ma anche dalla tessitura corrispondente alla specifica tipologia muraria e, quindi, dalla maggiore o minore presenza di elementi di cucitura trasversale. Tutto ciò evidenzia, ancora una volta, come sia necessaria per lo studio degli edifici esistenti una lettura attenta della fabbrica e quindi della sua stratificazione, finalizzata ad un’analisi più consapevole che restituisca quanto più possibile il reale stato della struttura. In effetti nel corso degli anni l’edificio subisce ampliamenti, cambi di destinazione d’uso, interventi di consolidamento, che quindi trasformano la sua condizione originaria e fanno sì che tecniche costruttive di epoche diverse coesistano in un'unica fabbrica. 1.3 La normativa sismica sugli edifici in muratura A seguito del disastroso terremoto che colpì Messina nel 1908 si avvertì l’esigenza di garantire la sicurezza degli edifici nei confronti delle azioni sismiche e ne scaturiscono le prime normative sismiche. Il Regio Decreto del 18.04.1909 (“Norme tecniche ed igieniche obbligatorie per le ricostruzioni e nuove costruzioni degli edifici pubblici e privati nei luoghi colpiti dal terremoto del 28 dic. 1908”) escluse l’edificabilità su siti inadatti (paludosi, franosi, molto acclivi); indicò tecnologie costruttive (“…che le costruzioni fossero realizzate con una ossatura di legno, di ferro, di cemento armato o di muratura armata”), limitando la muratura, in mattoni o in blocchi di pietra squadrata o listata, alle costruzioni ad un solo piano; impose il rispetto di dettagliate regole costruttive (cordoli, sbalzi, strutture non spingenti); limitò l’altezza degli edifici ed il numero di piani (a seconda delle tecnologie); prescrisse di considerare forze statiche orizzontali e verticali proporzionali ai pesi (per tener conto degli effetti dell’azione sismica); definì la larghezza minima degli spazi tra gli edifici; limitò a 5 m la distanza fra muri portanti. Nel Regio Decreto n.1080 del 06.09.1912 la muratura ordinaria fu ammessa anche per edifici a due piani, purché non più alti di 7 metri e di forma parallelepipeda. Il D.L. 1526 del 1916 quantificò le forze sismiche e la loro distribuzione lungo l’altezza dell’edificio. Il Regio Decreto n.705 del 03.04.1926 limitò a 10 m e 2 piani l'altezza dei fabbricati in zona sismica di I categoria e a 12 m e 3 piani in II categoria; impose un’altezza di interpiano inferiore a 5 m; le costruzioni in muratura ordinaria furono consentite fino a 8 m in I categoria e a 12 m in II categoria; i muri trasversali devono trovarsi a distanza non superiore a 7 metri; 7 lo spessore della muratura in mattoni pari a 30 cm all'ultimo piano con aumento di 15 cm ad ogni piano inferiore. Una disciplina specifica del consolidamento degli edifici in funzione antisismica è apparsa dopo i terremoti del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980). Come si evince dal D.M.’81 i provvedimenti tecnici per aumentare la resistenza degli elementi strutturali degli edifici in muratura consistevano sostanzialmente nell’inserimento diffuso di elementi in c.a., come cordoli e pilastri in breccia, iniezioni armate e pareti in cemento armato; soluzioni adottate in particolare a causa della mancata fiducia nelle capacità resistenti della muratura, indifferenti alle alterazioni dello schema statico originario. Nel D.M.’86 compare il concetto di miglioramento sismico in luogo dell’adeguamento come unica modalità di intervento compatibile con i monumenti. L’OPCM 3274 del 2003, invece, per gli edifici esistenti introduce il livello di conoscenza LC, ovvero un coefficiente moltiplicativo che misura il grado di conoscenza della struttura e sancisce, inoltre, che “per gli edifici di speciale importanza artistica, di cui all’art. 16 della legge 2 febbraio 1974 n.64, è necessario derogare da quanto prescritto nelle presenti norme, in quanto incompatibile con le esigenze di tutela e di conservazione del bene culturale”. Per questi ultimi l’OPCM 3431 del 2005 prevede che il Dipartimento della protezione civile, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, definisca “linee guida” per l’applicazione delle norme tecniche allegate all’OPCM 3274 e ss.mm. in relazione alle peculiari esigenze della salvaguardia del patrimonio vincolato di valore storico ed artistico. Anche il D.M.’04, n.41 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” al comma 5 dell’art.29 prevede che il Ministero definisca, anche con il concorso delle regioni e con la collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti, linee di indirizzo, norme tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali. Infine, il D.M.’05 “Norme tecniche per le costruzioni” prevede che, quando ricorrono particolari complessità a livello di acquisizione dati e di processo conoscitivo, come nel caso di edifici storico-monumentali ed artistici di grande significatività e complessità, la valutazione della sicurezza sismica possa essere fondata su una accurata anamnesi storica della costruzione, su processi logico deduttivi ed espressa e motivata con un “giudizio esperto”. Tali dettati normativi hanno trovato attuazione nelle “linee guida per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale” approvate il 26 luglio 2006. In ultimo, le recenti “Norme tecniche per le costruzioni” di cui al D.M. 14.01.2008, confermano sostanzialmente i due livelli di intervento (adeguamento e miglioramento) e 8 riconoscono un terzo livello: “riparazioni o interventi locali che interessino elementi isolati e che comunque comportino un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti”. 1.4 Lo studio del comportamento sismico degli edifici in muratura Il patrimonio edilizio storico è costituito principalmente da edifici in muratura. È possibile individuare due categorie di edifici: speciali e ordinari. Alla prima appartengono fabbricati con funzione di rappresentanza, spesso costituiti da ambienti molto ampi, adeguati ad ospitare assemblee collettive, mentre la seconda è rappresentata da edifici che costituiscono l’edilizia di tessuto dei centri storici italiani, spesso adibiti a funzione residenziale e caratterizzati da locali di dimensioni modeste con una disposizione dei setti murari in pianta che si ripete con sostanziale regolarità in altezza (piano tipo) e con pareti verticali portanti disposte in entrambe le direzioni principali dell’edificio, che gli conferiscono una conformazione globale di tipo scatolare. Nella realtà ci si trova però spesso di fronte a situazioni intermedie che potremmo definire come “edifici particolari”. Al termine edificio in muratura possono essere, quindi, associate forme di edilizia molto diverse fra loro a cui corrispondono differenti comportamenti sismici: la varietà di tipologie è principalmente legata a caratteri tecnologici generalmente dipendenti dal sito di costruzione, dall’epoca storica e dalla destinazione d’uso originaria. L’analisi della capacità sismica di tali edifici riveste, alla luce della nuova zonazione sismica del territorio italiano (secondo le NTC08), un rilievo fondamentale, in particolare con riferimento alle tipologie abitative storiche caratteristiche dei secoli dal XVI al XIX, che risultano le più danneggiate in occasione di eventi sismici di una certa entità. La necessità di condurre uno studio della vulnerabilità sismica di un edificio ha come obbiettivo la salvaguardia delle persone e spesso l’esigenza di tutelare un valore storico, artistico, archeologico o paesaggistico. Il comportamento globale della struttura all’azione sismica è fortemente influenzato, ancor prima che dalle caratteristiche intrinseche dei singoli elementi strutturali, dal grado di connessione presente tra essi. Carenze nel collegamento tra pareti ortogonali e tra pareti ed orizzontamenti fanno sì che la struttura non sia in grado di sviluppare, durante il terremoto, una risposta globale che chiami a collaborare fra loro le diverse pareti ed a ripartire tra esse le sollecitazioni indotte. In questo caso, infatti, si ha una risposta pressoché indipendente della singola parete con una limitata interazione con il resto della fabbrica. La realizzazione del comportamento scatolare fa sì che per l’edificio si possa definire una vulnerabilità globale che 9 dipende dalla risposta sismica di tutto il sistema strutturale, governata dalla risposta nel piano delle pareti e dall’azione di collegamento e ripartizione esercitata dagli orizzontamenti. In tal senso la configurazione dell’impalcato svolge un ruolo fondamentale per il comportamento meccanico dell’edificio sia nei confronti delle azioni sismiche che verticali. Questo elemento è stato assunto da Pagano come discriminante per la classificazione degli edifici in muratura, distinguendo tra prima, seconda e terza classe [M. Pagano, 1968; M. Pagano, 1990]: l’edificio di prima classe, corrispondente alla tipologia più antica, è integralmente in muratura, con archi e volte che garantiscono un regime di sollecitazioni di sola compressione; l’ edificio della seconda classe è costituito da elementi murari verticali che sostengono solai orizzontali semplicemente appoggiati; l’edificio di terza classe è costituito da impalcati in cemento armato solidali con le pareti portanti. Tale classificazione è relativa in particolare al comportamento degli edifici in muratura per carichi verticali. In conclusione è possibile allora affermare che lo studio del comportamento sismico dell’edificio in muratura deve sempre partire dalla conoscenza della sua storia costruttiva e deve essere poi mirato a comprendere la sua risposta alle azioni simiche. In effetti a preoccupare per la stabilità dell’edificio, e quindi per la sua conservazione, sono proprio queste azioni di cui in passato non si teneva conto. Per poter fare ciò è necessario, tuttavia, modellare in maniera adeguata la struttura (problematica illustrata più in dettaglio al capitolo successivo). 10 Capitolo 2: La modellazione della parete muraria e dell’impalcato 2.1 Introduzione Prima di affrontare lo studio della modellazione dell’edificio nel suo complesso, è importante soffermarsi in particolare su alcuni elementi che lo costituiscono: la parete muraria (e più in dettaglio la fascia di piano) e l’impalcato. Infatti, come si osserverà in seguito, la loro configurazione influenza notevolmente il comportamento sismico degli edifici in muratura. In genere tali edifici sono destinati a funzione residenziale ed articolati su un numero spesso consistente di piani con una configurazione distributiva in pianta che si ripete con sostanziale regolarità in altezza (piano tipo). Essi caratterizzano ancora buona parte del tessuto edilizio dei nostri centri urbani ed hanno assunto, nei secoli scorsi e fino ai giorni nostri, tipologie strutturali diverse, frutto dell’evoluzione tecnologica. È da notare tuttavia come l’assetto geometrico complessivo, spesso caratterizzato anche da una notevole regolarità nella posizione delle aperture lungo le pareti, almeno per quelle perimetrali, sia rimasto pressoché invariato. Per tale tipo edilizio, una volta impedito il collasso delle pareti fuori dal piano, ad esempio incatenandole in corrispondenza degli impalcati, il comportamento sismico globale dipende dalla resistenza e dalla deformabilità delle pareti nel proprio piano. Pertanto la fascia di piano, che ne rappresenta un elemento essenziale, assume anch’essa un ruolo fondamentale nel determinare la capacità sismica della parete e dell’intero edificio2. Il fine della ricerca svolta in passato a tale riguardo dai professori Calderoni e Lenza, insieme con l’ing. Cordasco, e proseguita nell’ambito del presente lavoro, è stato quello di analizzare il comportamento strutturale delle differenti tipologie di fascia riscontrabili negli edifici esistenti nel loro stato originario o in quello derivante da successivi interventi di consolidamento. Tali tipologie corrispondono a tecnologie ed efficienze strutturali diverse, per cui, in relazione agli elementi da cui esse sono costituite (muratura, catene metalliche, architravi o piattabande in calcestruzzo armato o in acciaio), è stato definito, per ciascuna di esse, il modello meccanico utilizzabile per valutare il grado di accoppiamento fornito ai maschi murari nell’ambito del comportamento globale della parete sotto azioni orizzontali, sia in termini di resistenza che di capacità deformativa. 2 G. Magenes, D. Bolognini, C. Braggio, Metodi semplificati per l’analisi sismica non lineare di edifici in muratura. CNR-Gruppo nazionale per la difesa dei terremoti, 2000. 11 Anche con riferimento agli impalcati è possibile individuare delle tipologie e quindi delle configurazioni diverse, alle quali corrispondono differenti risposte della struttura sottoposta ad azioni sismiche. 2.2 La modellazione della parete muraria Un edificio in muratura può essere analizzato discretizzando le pareti mediante elementi finiti di superficie o schematizzandole con telaio equivalente. In figura 2.1 viene riportata, come esempio, la modellazione di una parete semplice in muratura, sia con uno schema a telaio equivalente che con elementi finiti. Nel caso di modellazione ad elementi finiti l’analisi è tanto più significativa quanto maggiore è il grado di dettaglio della mesh, quindi risulta “mesh dependent” e fortemente condizionata dalle operazioni di definizione del modello. Inoltre tale tipo di analisi risulta decisamente più onerosa in termini computazionali ed è solo realizzabile con programmi di calcolo automatico. Nel caso in cui venga considerata una legge costitutiva non lineare del materiale, il metodo può prendere in esame il corretto degrado della muratura, riducendo la resistenza degli elementi danneggiati. La definizione dei parametri richiede, però, una accurata conoscenza del materiale murario ad un livello di dettaglio non esplicitamente contemplato nelle normative la cui valutazione si può ricavare solo attraverso specifiche analisi sperimentali. La mancanza di questi parametri o la non corretta valutazione, equivale ad ottenere, come risultato di un’analisi statica non lineare, una curva “push-over” che non prende in esame il tratto discendente che si ottiene a causa del danneggiamento strutturale. L’NTC08 non presenta riferimenti espliciti a modellazione dei pannelli mediante discretizzazione in elementi di superficie ma propone una modellazione a telaio equivalente con maschi, travi in muratura ed eventuali altri elementi strutturali in c.a. ed acciaio. In tale modello la parete, schematizzata come telaio, viene assemblata mediante gli elementi resistenti (maschi e fasce) ed i nodi rigidi. Essa, tende a sostituire il modello POR, usato ed abusato nelle applicazioni tecniche dal 1980 ad oggi. Paradossalmente anche il POR, apprezzabile per i suoi sviluppi non lineari, configura le pareti come un telaio: però mentre da un lato considera la fascia di piano infinitamente rigida e resistente (senza poi porsi il problema di effettuare le corrispondenti verifiche), dall’altro ne trascura la capacità di accoppiamento, tanto che non vengono considerate le variazioni di sforzo normale dovute all’azione ribaltante delle forze orizzontali. 12 Figura 2.1: Modellazione di una parete in muratura: schema a telaio equivalenete e agli elementi finiti. La modellazione a telaio, invece, non pone tali limitazioni mentre si presta, mediante opportuni accorgimenti nella schematizzazione, ad interpretare il comportamento anche di pareti che non presentino perfetta regolarità nella disposizione delle aperture. L’analisi non lineare può facilmente conseguirsi adottando un modello di telaio elastico a plasticità concentrata, che prevede la formazione di cerniere plastiche per presso flessione e/o taglio, sia negli elementi di fascia che in quelli di maschio. In questo modo non si può cogliere la progressiva maggiore deformabilità connessa alla estensione delle parzializzazioni, ma si considera comunque la non linearità meccanica del materiale connessa alla plasticizzazione degli elementi. Le maggiori difficoltà si incontrano, in questo caso, proprio nella modellazione della fascia di piano, in quanto le potenziali cerniere plastiche devono interpretare, sia in termini di resistenza che di deformabilità, il comportamento ultimo di un elemento strutturale molto complesso e poco studiato. Infatti anche dall’analisi delle normative sismiche è possibile desumere tali mancanze. Solo a partire dall’ordinanza 3274, e poi con le recenti NTC08, si considera la possibilità che possa esistere una certa resistenza flessionale della fascia anche nel caso in cui sia presente un solo elemento orizzontale tensoresistente, quale una catena, un cordolo o una piattabanda efficacemente ammorsata alle estremità. L’EC8 invece considera che la capacità di accoppiamento dei pannelli di fascia possa essere considerata solo nel caso in cui sia presente sia un cordolo superiormente che una piattabanda inferiormente, cioè quando si può instaurare un classico comportamento di trave a doppia armatura. La norma americana FEMA 375 non fa alcun riferimento alla capacità di accoppiamento delle fasce di piano. Nei paragrafi successivi si riportano, quindi, degli approfondimenti sul comportamento della fascia di piano, svolti in passato dai professori Calderoni, Guerriero, Lenza e dall’ing. Cordasco, finalizzati proprio a sopperire a tale scarsa conoscenza. 13 2.2.1 Le diverse possibili configurazioni della fascia di piano Le diverse configurazioni delle fasce sono quasi sempre correlate alle varie tipologie di impalcato al quale le pareti sono in qualche modo collegate. Tali configurazioni possono schematicamente ricondursi ai seguenti tipi: a) Fascia debole a.1) Negli edifici caratterizzati da orizzontamenti a volta e da vani nelle pareti sovrastati da archi, la fascia è priva di qualsiasi elemento tenso-resistente, se si trascura, cautelativamente, la debole resistenza a trazione della muratura, della fascia vera e propria e della striscia di volta in prossimità del collegamento alla parete. a.2) Negli edifici con impalcati orizzontali e solai isostatici con travi in legno o in ferro, la fascia è egualmente priva di elementi tenso-resistenti; le piattabande, in legno o ferro, sono semplicemente appoggiate, senza ancoraggi, alle spalle dei vani e non possono quindi svolgere la funzione di efficaci tiranti (Fig. 2.2). La mancanza di affidabile resistenza a trazione della muratura comporta, pertanto, l'incapacità di resistere a taglio e flessione e quindi di accoppiare i maschi murari se la parete è soggetta a forze orizzontali. Per entrambe queste tipologie alla debolezza della fascia è associata l’inaffidabilità dell’impalcato ad assicurare un comportamento a diaframma rigido. b) b.1) Fascia confinata o fascia “puntone”. Gli edifici in muratura dotati dei primi impalcati in c.a. sono costituiti da pareti verticali interrotte dal cordolo di piano che, assieme ad una striscia adiacente di solaio, costituisce un vero e proprio elemento resistente a trazione, anche se l’aderenza del cordolo stesso alla muratura è affidato al solo attrito tra i due materiali. Tale elemento può configurarsi, quindi, come una catena aderente o scorrevole in funzione del carico verticale agente sul cordolo: nel caso di solaio di copertura ordito parallelamente alla parete tale capacità attritiva può rivelarsi insufficiente, per cui il cordolo è da considerarsi per tutta la sua lunghezza alla stregua di una catena scorrevole; nel caso degli impalcati agli altri piani, ancor più se il solaio scarica sulla parete, si ha un comportamento “aderente” dei cordoli in corrispondenza delle zone di parete intersezione dei maschi murari e delle fasce di piano (pannelli di nodo), mentre lungo la luce libera della fascia i cordoli si comportano da catene scorrevoli, essendo ovviamente ridotti i carichi verticali agenti in corrispondenza dei vani d’apertura sovrastanti. In questo caso la catena risulta localmente scorrevole. Le piattabande, 14 anch’esse in c.a., sono generalmente ancorate comunque in misura insufficiente sulle spalle dei vani, presentandosi quindi come tiranti inaffidabili (Fig. 2.3a). b.2) Le pareti presentano ad ogni piano una cordolatura continua non solo in corrispondenza del solaio ma anche al di sopra dei vani. Si determina in questo modo una configurazione pienamente confinata della fascia, con due elementi (uno superiore ed uno inferiore) tenso-resistenti. I due cordoli possono configurarsi poi come catene aderenti o scorrevoli, sulla base delle stesse considerazioni esposte in precedenza per il caso b.1 (Fig. 2.3b). La presenza di almeno un elemento orizzontale resistente a trazione, se efficacemente ancorato, consente di impedire spostamenti relativi tra i singoli pannelli della fascia per cui può nascere all'interno della fascia di piano uno sforzo normale orizzontale di compressione (di valore non noto) che rende il pannello simile ad un maschio murario, con un comportamento a puntone equivalente (Magenes et al., 2000), (Liberatore, 2000). Per entrambe tali categorie l’impalcato è generalmente idoneo ad assicurare la funzione di diaframma rigido. c) Fascia consolidata o fascia “trave”. In questa categoria rientrano tutte le numerose tipologie ottenute come risultato di una trasformazione delle configurazioni originarie. In generale la trasformazione interessa sia la fascia stessa che l’impalcato vero e proprio. Figura 2.2: Fascia di piano caratterizzata dalla presenza di solai e piattabande in legno a) Piattabande in corrispondenza dei vani 15 b) cordolatura continua al di sopra dei vani di apertura Figura 2.3: Fascia di piano caratterizzata dalla presenza di piattabande e cordoli di piano in c.a. Figura 2.4. Fascia di piano con solai e piattabande in legno consolidata attraverso l’inserimento di una catena metallica c.1) L’adozione di una catena metallica ancorata sulle testate dell’edificio, collocata in adiacenza alla parete muraria ed in genere alla quota di intradosso del solaio, costituisce l’intervento minimo che tuttavia è sufficiente a conferire alla fascia di piano una prima capacità di accoppiamento tra i maschi murari (Fig. 2.4). c.2) La creazione invece di elementi tenso-resistenti alla quota del solaio, spesso come completamento di un intervento sull’impalcato, e/o alla quota delle piattabande dei vani, ha la stessa efficacia della fascia confinata, senza necessariamente interrompere la continuità verticale del paramento. La necessità di ancorare i nuovi elementi alle murature, mediante chiodature frequenti, determina poi, sia che si adotti la tecnologia del c.a. che quella dell’acciaio, l’aderenza dei tiranti per tutta la lunghezza della parete. c.3) L’adozione su una fascia confinata da catene aderenti anche di ulteriori interventi di rinforzo, che impediscano l’instaurarsi di un meccanismo fragile per rottura a taglio, porta ad un elemento strutturale fortemente consolidato. Tra gli interventi più frequentemente adottati si ricorda il placcaggio del pannello di fascia con reti metalliche e betoncino, la disposizione di rinforzi in acciaio lungo le diagonali o la fasciatura con materiali innovativi del tipo fibrorinforzati. In questa configurazione si rende pienamente disponibile la deformabilità flessionale dell’elemento (ottenendo un meccanismo di rottura più duttile). Per suddette configurazioni è possibile allora l'attivazione di un vero e proprio comportamento flessionale a trave, con resistenza a taglio e a flessione praticamente disaccoppiate e valutabili come per una trave in muratura armata. 16 2.2.2 Il ruolo della fascia di piano nel comportamento sismico degli edifici in muratura. Ai fini della modellazione strutturale volta alla valutazione della capacità delle pareti di controvento, il rilievo, oltre ad evidenziare l’efficacia dell’impalcato come collegamento bidimensionale tra le pareti e, eventualmente, come piano rigido, deve verificare la presenza, in corrispondenza delle fasce, di elementi tenso-resistenti efficaci, che possano configurarsi come catene scorrevoli, localmente scorrevoli ovvero del tutto aderenti. La prima tipologia, descritta nel paragrafo precedente, se si trascura la debole capacità della muratura di trasmettere sforzi di trazione in direzione parallela ai letti di malta [Cattari & Lagomarsino, 2007], presenta capacità di accoppiamento praticamente trascurabili, tanto che nelle usuali schematizzazioni della parete muraria a telaio equivalente si rappresenta con un pendolo privo di qualsiasi rigidezza e resistenza sia a taglio che a flessione. Nel secondo caso, la presenza dell’elemento tensoresistente impedisce “l’allentamento” dei pannelli di fascia rispetto agli elementi verticali, consentendo quindi l’instaurarsi di meccanismi resistenti anche a taglio basati essenzialmente sulla formazione di un puntone diagonale, che sembrerebbero quindi governati dalla resistenza a compressione del materiale. Per tale tipologia le recenti NTC08 forniscono anche le corrispondenti formulazioni, limitando la resistenza del pannello di fascia in relazione anche ad un comportamento a taglio basato sulla sola resistenza a trazione della muratura [Cattari et al., 2006]. La terza tipologia è ovviamente la più efficace, in quanto dotata di resistenza a flessione corrispondente a quella di una trave armata, fermo restando che la resistenza a taglio, in assenza di appositi rinforzi d’anima, è sempre connessa a quella della muratura non armata. E’ evidente quindi che la scelta del modello strutturale per la fascia di piano, in relazione alla situazione effettiva della parete muraria in esame, è fondamentale per la corretta valutazione della sua vulnerabilità sismica. A tale proposito in figura 2.5 si riportano quattro curve push-over relative ad una parete muraria di sei piani a geometria regolare, ciascuna riferita ad una diversa ipotesi comportamentale delle fasce di piano. Le curve sono state ottenute mediante analisi non lineari effettuate su uno schema di telaio equivalente con elementi a plasticità concentrata, valutandone poi la corrispondente vulnerabilità sismica [Calderoni1 et al., 2007]. La curva più bassa rappresenta il caso di fascia di piano “debole”, che evidenzia una capacità sismica molto limitata, con PGA=0.06g per un suolo di tipo B, valutata limitando allo 0.4% la rotazione agli estremi delle fasce di piano, non ritenendone accettabile un dan 17 1400 Fb [kN] 1200 P.G.A.=0.32g P.G.A.=0.33g 1000 800 Trave Puntone Taglio fvo Fascia debole P.G.A.=0.16g 600 400 P.G.A.=0.06g 200 0 0.00 a) schema geometrico top [m] . 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05 b) curva di push-over Figura 2.5 Analisi statica non lineare per una parete muraria di riferimento neggiamento troppo accentuato. La seconda curva evidenzia un miglior comportamento, con PGA=0.16g, ed è relativa alla configurazione di fascia con “catena”. Per essa il taglio massimo trasmissibile è stato valutato utilizzando la relazione (V = fvo h t) fornita dalle NTC08, che considera la sola resistenza a taglio del materiale in assenza di sforzo di compressione e restituisce, quindi, un valore sempre molto basso. Il limite di deformabilità a taglio, anche per le fasce di piano, si è posto pari allo 0.4%, così come indicato dalle stesse NTC08 per i maschi murari. La terza curva restituisce una PGA=0.33g. Essa è sempre corrispondente alla configurazione di fascia con “catena”; ma, in questo caso, si è considerata la resistenza a taglio connessa al meccanismo a puntone, così come formulata dalle NTC08, non tenendo invece conto, al contrario del caso precedente, dei limiti relativi al taglio per solo scorrimento (V = fvo h t). Il limite di deformabilità, essendo tale meccanismo più duttile, si è fissato allo 0.8%, così come previsto dalle NTC08 per la rottura a pressoflessione dei maschi. La quarta curva, infine, rappresenta il comportamento della parete nel caso di fascia “trave”, e mostra una analoga capacità sismica (PGA=0.32g). In questo caso la resistenza flessionale del pannello di fascia è stata valutata con riferimento a travi in muratura armata seguendo le formulazioni dell’EC6. Non si è tenuto conto di eventuali rotture a taglio, supponendo che i pannelli siano armati se necessario, e si è limitata la capacità rotazionale all’1.5%. Si noti che la maggiore resistenza delle fasce di piano non ha prodotto in questo caso significativi miglioramenti, perché, in accordo con i principi della gerarchia delle resistenze, sono stati alcuni maschi murari del piano terra a condizionare la capacità della parete a causa di un limitato superamento della massima deformabilità a taglio, posta pari, come da norma, allo 0.4%. Non considerando tale limite la capacità sismica della parete arriverebbe a 0.43g. 18 Fascia debole Taglio fvo Puntone Trave Figura 2.6. Deformate al collasso In figura 2.6 sono riportate, per ognuno dei casi analizzati, le corrispondenti deformate al collasso, che evidenziano meccanismi di rottura significativamente diversi. È evidente allora il ruolo strategico che la fascia di piano assume in relazione alla capacità sismica della parete muraria, sia in termini di resistenza che di deformabilità, e come sia possibile incrementare tale capacità solo modificando le proprietà dei pannelli di fascia senza alcun intervento sui maschi murari. Dall’analisi della figura 2.6 risulta comunque che non è necessario trasformare i pannelli di fascia in travi in quanto la fascia con catena fornisce prestazioni significative se riesce ad esplicare la sua resistenza connessa al meccanismo a puntone. Considerando poi che la stessa fascia con catena risulta notevolmente meno efficace se si fa riferimento alla resistenza relativa ad un comportamento a taglio classico, appare indispensabile approfondire il comportamento strutturale di tale tipologia al fine di individuare in modo più convincente quale siano gli effettivi meccanismi di rottura che si attivano in essa e quale siano le capacità resistenti e deformative corrispondenti. 2.3 La modellazione dell’impalcato Gli impalcati hanno assunto col passare degli anni conformazioni diverse dovute soprattutto al mutare delle tecniche costruttive degli edifici. È possibile quindi classificarli in diverse tipologie (Fig. 2.7): - I solai a travi in legno: utilizzati fino alla prima metà dell’ottocento e costituiti da travi in castagno, generalmente poste ad un interesse pari a 70-90 cm, e tavolato in abete inchiodato alle travi. Raramente, le testate delle travi erano ancorate alla muratura tramite staffe e perni in ferro. 19 - Volte: realizzate da maestranze specializzate. La carpenteria era costituita da centine e tavolato. Si individuano diverse tipologie in funzione della forma della loro superficie (Fig. 2.8). In particolare si distinguono volte semplici e volte composte. Le volte semplici sono quelle determinate da una superficie (semplice) secondo la quale è sagomato l’intradosso, ovvero: volte a botte, a vela, elicoidale; mentre le volte composte sono caratterizzate dall’avere l’intradosso composto da più superfici: volte a padiglione, a schifo, a crociera. Nell’ambito di ciascuna forma è possibile, inoltre, una sottoclassificazione in base ai parametri che caratterizzano i rapporti dimensionali della forma base. Ad esempio con riferimento alle volte a botte si determina una ulteriore differenziazione in funzione del rapporto tra la freccia e la semiluce (2f/l) che prende il nome di sesto, per cui si hanno: volte a tutto sesto (sesto pari a 1); volte a sesto ribassato (sesto minore di 1); volte a sesto rialzato (sesto maggiore di 1). L’orizzontalità del piano di calpestio era infine ottenuta mediante riempimento con materiale leggero (pomice, lapillo piccoli vasi di terracotta). - Solai in putrelle e voltine: hanno cominciato a diffondersi a partire da metà ottocento e sono prevalenti nel primo novecento. L’interasse tra le putrelle varia tra 50 e 80 cm. - Solai in latero-cemento: i primi esempi risalgono agli anni ’30-’40 e sono realizzati con tondini di acciaio dolce e pignatte componibili. Meno frequenti sono le solette piene in c.a. Molto spesso queste diverse tipologie coesistono negli edifici in muratura esistenti interessati da ampliamenti e/o consolidamenti realizzati nel tempo. Tale convivenza produce dei comportamenti strutturali che vanno studiati caso per caso. Risulta, pertanto, fondamentale per un’analisi sismica di un edificio in muratura conoscere la conformazione degli impalcati da cui dipende la loro capacità di assicurare un Figura 2.7: Tipologie di impalcati (da M. Pagano, “Costruire in muratura”) 20 Figura 2.8: Tipologie di volte (da P. Lenza, “Sul comportamento sismico delle volte in muratura” – Ingegneria Sismica) comportamento spaziale della struttura e quindi di scongiurare il collasso delle pareti fuori dal piano. Quando l’impalcato non è in grado di collegare efficacemente tra loro le murature verticali, le azioni sismiche determinano sollecitazioni flessionali agenti al di fuori dal piano delle pareti, che possono causare meccanismi di ribaltamento delle stesse. Viceversa, quando l’impalcato è in grado di svolgere la funzione di collegamento e, se sufficientemente rigido, è anche in grado di distribuire le forze e le azioni orizzontali sollecitano le pareti nel proprio piano (controventi). Va precisato, però, che mentre negli edifici moderni (edificio della terza classe), dove le pareti sono più sottili, le aperture sono maggiormente presenti, l’impalcato rigido (generalmente è presente un solaio in c.a) svolge a pieno la funzione di ripartire i carichi, nell’edificio storico (di prima o seconda classe), anche quando si interviene per rendere l’impalcato rigido, la presenza di pareti molto robuste e quindi molto pesanti, fa sì che l’effetto della ridistribuzione sia molto modesto in quanto la distribuzione dei carichi è già proporzionata (a meno del carico dei solai che però incide poco sul peso totale della struttura). Al fine di studiare dei casi limiti di comportamento dell’impalcato sono state individuate quattro ipotesi (Fig. 2.9): A) l’impalcato non connette e non distribuisce (completamente assente); B) l’impalcato connette ma non distribuisce; C) l’impalcato deformabile, con una certa deformabilità nel piano e quindi con la capacità di distribuire le azioni orizzontali; D) l’impalcato infinitamente rigido, ovvero la struttura orizzontale è rigida nel proprio piano ed ha la capacità di distribuire le azioni su tutte le pareti che connette. La configurazione A corrisponde ad uno stato dell’edificio semiruderizzato, dove sono presenti ampie lacune negli impalcati, i quali non sono affatto in grado di assolvere alla funzione di collegamento e quindi di ridistribuire le sollecitazioni indotte dal sisma. Inoltre si considerano inefficaci anche le croci di muro a causa di un cattivo ammorsamento dei conci 21 Modello A Modello B Modello C Modello D Figura 2.9: Ipotesi sul comportamento dell’impalcato d’angolo o per la presenza di lesioni. In tale condizione si rendono, quindi, necessari degli interventi volti a migliorare il comportamento dell’edificio. Nel caso B, invece, si ipotizza ancora assente l’impalcato ma affidabili le croci di muro. In tale situazione le pareti ortogonali al sisma possono collaborare evitando ribaltamenti. In effetti l’efficacia delle croci di muro consente l’instaurarsi di un effetto ad arco, nelle pareti resistenti poste in direzione del sisma, che scarica proprio sulle pareti di controvento. Tale configurazione non può, però, considerarsi cautelativa per l’edificio, in quanto le pareti possono, comunque, instabilizzarsi fuori dal piano (spanciamento). L’impalcato analizzato nel caso C ha una certa deformabilità, grazie alla presenza di catene, e quindi, riesce a collegare le pareti e a garantire una discreta ridistribuzione delle sollecitazioni. Tale configurazione risulta essere molto importante soprattutto nei casi in cui si rende fondamentale la conservazione del bene architettonico. Infatti, per ottenere un simile vantaggio sarà necessario un intervento poco invasivo, quale è l’inserimento di catene. Il caso D rappresenta l’ipotesi di un impalcato infinitamente rigido che certamente rappresenta la configurazione migliore soprattutto per la condizione sismica. Tuttavia per edifici antichi, non della terza classe, per garantire un simile comportamento è necessario sostituire i solai esistenti (in genere lignei) con solai in c.a. (intervento invasivo). Come anticipato al par. 2.2.1 le diverse configurazioni delle fasce sono correlate alle varie tipologie di impalcato. In particolare, alla luce della distinzione fatta per gli impalcati, è possibile precisare che nei casi A e B sarà certamente presente una tipologia di fascia “debole”, nel caso C, invece, si potrà avere una fascia “puntone” e nel caso D, una fascia “trave”. Le possibili tipologie di impalcato descritte possono essere modellate mediante un modello spaziale in cui si ha: per il caso A, le pareti non collegare tra loro e l’impalcato assente; nel caso B, il collegamento delle pareti in corrispondenza delle croci di muro, utilizzando un vincolo “equal” in cui si impongono uguali spostamenti e rotazioni; nel caso C l’impalcato schematizzato mediante pendoli diagonali (puntoni) e le pareti collegate nelle croci di muro; nel caso D l’impalcato modellato con un vincolo di diaframma rigido. 22 Con riferimento al caso C va precisato però il criterio con il quale viene assunta l’area dei puntoni compressi. Il comportamento può essere assimilato a quello di una tamponatura inserita in un telaio che subisce uno spostamento orizzontale (dovuto all’azione del sisma). A tal proposito il D.M. 2/7/81 consentiva di tener conto dell’effetto irrigidente delle tompagnature considerando l’attivazione di un puntone diagonale compresso di spessore (s) pari a quello della muratura e larghezza (B) pari al 10% della sua lunghezza (ld). Altri studi sperimentali, invece, considerano un intervallo di valori in cui B potrà essere compreso: B. Stafford Smith indica il 15-30% di ld, M. Pagano propone il 20-25 di ld. Nel caso specifico si assumerà come larghezza della diagonale compressa il 20% della lunghezza della diagonale e come spessore l’altezza della soletta in c.a. eventualmente presente nel solaio. 2.3.1 Le volte Il comportamento delle volte è stato studiato, nel corso degli anni, da diversi autori. In questo paragrafo si descrive, pertanto, l’evoluzione della loro concezione strutturale attraverso l’analisi dei principali trattati di architettura. Vitruvio (I secolo a.c.) nel VI libro del “De Architectura” sostiene che in presenza di archi si dovranno avere “i pilastri d’angolo più grossi per poter resistere, poiché i cunei, compressi dal peso delle murature, spingono in fuori le imposte dell’arco” e, inoltre, consiglia di costruire le volte con uno spessore massimo di due piedi e di utilizzare un materiale leggerissimo per il riempimento. L’Alberti (1404-1472), sulla base di criteri essenzialmente geometrici, individua la tipologia a tutto sesto come la più solida, in grado di offrire maggiori garanzie e la sola a non richiedere l’uso di catene o di qualsiasi altro mezzo di sostegno. Tuttavia negli studi dell’Alberti non si trovano mai formule, per quanto empiriche ed approssimate, o regole che servono a dimensionare queste strutture. Leonardo (1452-1519) è indubbiamente il primo che abbia tentato la formulazione, seppur in modo grossolano, di una teoria sufficiente a supportare la pratica costruttiva secondo principi scientifici. A lui, infatti, si deve la prima “regola” per la stabilità dell’arco, dedotta da sperimentazioni: “l’arco non si romperà, se la corda dell’archi di fori non tocherà l’arco di dentro”. Anch’esso riconosce la necessità di utilizzare catene in ferro per garantire una maggiore stabilità di tali strutture. Leonardo, inoltre, studia il comportamento sotto le diverse condizioni di carico e la relativa spinta che esso esercita sui muri di appoggio, analizzando le fratture e i conseguenti meccanismi che si innescano. 23 Nonostante i numerosi studi, il dimensionamento in chiave geometrica resta per molto tempo il criterio più seguito dai trattatisti. Palladio (1508-1580) fornisce delle dimensioni, per una corretta progettazione di tali strutture, dedotte dall’esperienza costruttiva: i pilastri nelle logge devono essere pari circa ad un terzo dell’interasse tra i pilastri; negli angoli pari circa a due terzi, così che i cantonali siano ben resistenti. Francesco Di Giorgio Martini (1439-1501) sostiene erroneamente che la volta a crociera sia la più stabile. Egli propone dei sistemi di rinforzo per quelle tipologie particolarmente deboli: le volte lunettate andranno collegate superiormente con catene, mentre le volte semicircolari su peducci, dovranno poggiare su murature contraffortate, per evitare dissesti provocati da spinte eccessive. Per diminuire il carico che grava sulle volte suggerisce l’impiego di archetti di scarico o di vasi fittili di terracotta. Lo Scamozzi (1548-1616) giudica le volte delle strutture molto sicure se costruite a regola d’arte; riconosce l’importanza di realizzare delle murature di spessore idoneo a contenere la spinta; suggerisce come sistemi di consolidamento da adottare in caso di dissesto: l’aumento della sezione resistente attraverso la costruzione di pilastri o colonne e il ricorso a tiranti metallici nel caso in cui non fosse possibile l’incremento dello spessore murario. Solo con gli studi di De La Hire e De Belidor vennero introdotti per la prima volta indicazioni della meccanica nella progettazione degli archi e delle volte. Philippe De La Hire (1640-1718) fu il primo a formulare una teoria per il calcolo delle strutture voltate nel “Traité de Mécanique” (pubblicato nel 1730). Egli riconosce nell’arco la presenza di una macchina semplice, ossia il “cuneo”, che gli consente di presagire certe modalità di comportamento e certi cinematismi di rottura, da cui far derivare congruenti soluzioni progettuali. De La Hire affronta anche il problema del dimensionamento dei piedritti prefigurando un modello molto prossimo al calcolo a rottura, che però non prende in considerazione l’attrito, parametro di estrema importanza, le cui leggi verranno definite correttamente solo più tardi da Coulomb. De Belidor (1697-1761) nel suo trattato “La science des Ingènieirs dans la conduite des travaux de fortification et d’architecture civile” (pubblicato nel 1729) propone una formulazione identica ma di più semplice comprensione e applicazione. Guarino Guarini (1624-1683) studia la costruzione delle volte e delle cupole attraverso lo strumento della geometria descrittiva, discostandosi dall’approccio seguito dai trattatisti a lui coevi. Anche nella trattatistica ottocentesca, la costruzione di volte costituisce un argomento affrontato generalmente in modo diffuso. Esempi sono il Trattato teorico e pratico dell’arte 24 di edificare di Jean-Baptiste Rondelet, pubblicato in Francia in diverse edizioni dal 1802, o il Trattato generale di costruzioni civili di Gustav Adolf Breymann, che ha conosciuto una grande diffusione subito dopo la morte dello studioso tedesco nel 1859. All’interno del trattato di Rondelet, le volte sono ampiamente illustrate dal punto di vista geometrico nella sezione dedicata alla stereotomia. Con riferimento alle Volte in mattoni comuni, per gli appartamenti, scrive Rondelet: “I mattoni per formare una volta si possono disporre in due maniere diverse indipendentemente dalla direzione degli ordini. Si possono mettere in coltello secondo la larghezza o la lunghezza, o piani come pei mattonati, in ragione della forza e del collegamento che si vuol dare alle volte. […] I costruttori moderni hanno impiegato questi due metodi per la costruzione delle volte formanti solaio; e per diminuire l’altezza hanno data pochissima elevazione alla curvature di esse. Alcuni per ragguagliarle colla verticale dei muri hanno formato questa curvatura con semiellissi o imitazioni di questa curva”. Nel caso di dissesti delle volte Rondelet raccomanda diversi sistemi di consolidamento: inserimento di grappe e perni in ferro, per collegare saldamente i conci; inserimento di piccole pietre nelle cavità per evitare lo scorrimento di parte della volta; uso di tiranti in ferro che, qualora siano posizionati in prossimità delle imposte, sono in grado di opporsi alla deformazione avuta in corrispondenza delle reni e quindi all’eventuale crollo. Anche il Trattato generale di costruzioni civili di Breymann presenta un carattere enciclopedico. Ma l’obiettivo prioritario è quello di trasferire un bagaglio di conoscenze da applicare nell’attività progettuale agli studenti del Politecnico di Stoccarda e quindi non sorprende il carattere evidentemente didascalico dell’opera. Sganzin (1750-1837) esamina le volte e gli archi prendendo come riferimento principale gli studi dei maggiori scienziati dell’epoca, tra i quali Coulomb (1736-1806), il quale stabilì “i veri punti di rottura delle volte sottili e i limiti delle forze che si possono applicare alle volte già dimensionate”, ovvero i valori, massimo e minimo, della spinta orizzontale, entro i quali è verificata la condizione di stabilità dell’arco, arrivando alla conclusione che la linea delle pressioni non doveva essere necessariamente perpendicolare al giunto, ma rispettare solo la condizione di cadere entro lo spessore dell’arco, cioè essere contenuta tra intradosso ed estradosso. Sganzin dedica ampio spazio ad accorgimenti pratici, necessari per aumentare la resistenza di una volta; indica tra i rimedi l’uso di tiranti metallici da posizionare al’altezza dei conci di imposta, in prossimità dei giunti di rottura; consiglia contrafforti pieni oppure ad arco per controbilanciare la spinta della volta. Borgnis, diversamente da altri autori, sottolinea l’importanza di consolidare il terreno per evitare l’insorgere di cedimenti differenziali e schiacciamenti dei piedritti, con 25 conseguenti rotture nelle volte soprastanti. Per consolidare le volte interessate da dissesti consiglia di eseguire sull’estradosso dei muretti (frenelli), disposti normalmente alle generatrici, aventi la funzione di rinforzare la volta alle reni e distribuire in maniera ottimale il carico accidentale. Tuttavia egli aggiunge che è importante realizzare questi rinforzi in muratura ben tessuta, con buona malta di calce e possibilmente prolungati dai due lati fino alla chiave in modo da congiungersi per costruire degli archi di aiuto alla volta. A differenza degli altri trattatisti il Borgnis non cita l’uso dei tiranti metallici. Il Cavalieri San-Bertolo (1788-1867) studia, anche se in modo poco approfondito, il comportamento delle volte e degli archi in zone sismiche e sconsiglia l’uso di tali strutture. Egli propone di fissare la grossezza dei piedritti in base alla qualità dei materiali, alla natura del terreno sul quale deve insistere ed alle forze cui è sottoposto. Inoltre sostiene che una buona stabilità si ottiene quando la sua grossezza è pari ad 1/8 dell’altezza. I rimedi che propone per aumentare la resistenza delle strutture voltate sono quelli usuali, come l’impiego di contrafforti parallelepipedi o con base trapezoidali, oppure di speroni detti barbacani. Cantalupi, nelle “Istruzioni pratiche sull’arte del costruire le fabbriche civili” (1862), afferma che sapere applicare le teorie meccaniche alla pratica del costruire diventa indispensabile per realizzare fabbriche solide e durevoli. Relativamente alla dimensione minima di un arco in chiave, egli riporta gli studi di Rondelet e Perronet, i quali stabiliscono che questa dipendeva dalla somma i due coefficienti determinati empiricamente e dal raggio di curvatura dell’estradosso. Anche egli consiglia il ringrosso dei piedritti, la costruzione di speroni e l’uso dei tiranti. Cantalupi, inoltre, è tra i pochi trattatisti a sottolineare come le catene vista deturperebbero “sensibilmente la bellezza dell’edificio le cui linee architettoniche si troverebbero intersecate da siffatte stringhe” e consiglia di eliminare la sporgenza dei capochiavi dalla superficie dei muri, incassando una piastra di ancoraggio all’interno del muro in modo che le pressioni prodotte alla chiave vengano distribuite su una superficie maggiore e più resistente. Questo grande interesse per le volte sembra subire una flessione nella manualistica di fine secolo, dove, da un lato viene meno il carattere enciclopedico e la dimensione scientifica delle opere precedenti, mentre dall’altro alla descrizione del sapere tecnico consolidato si affiancano soluzioni costruttive alternative caratterizzate da una certa sperimentalità. Nel 1885, per esempio, Giuseppe Musso e Giuseppe Copperi, sulla scia delle traduzioni italiane delle opere di Rondelet e di Breymann, pubblicano un volume di dettagli costruttivi non a caso intitolato Particolari di costruzioni murali e finimenti di fabbricati. L’obiettivo è in questo caso dichiaratamente più modesto rispetto ai trattati precedenti e in tal senso 26 scrivono gli autori nella premessa: “Colla fiducia di fare cosa grata ed utile a chi intraprende la carriera del costruttore, presentiamo una serie di disegni di dettaglio di costruzioni murali, corredandoli di tutte le spiegazioni necessarie a chiarire le figure esposte”. È interessante notare come l’uso delle catene sia stato già in passato una pratica molto seguita per contrastare le spinte delle volte. Esse, per quanto possibile, venivano collocate proprio nei punti di applicazione delle spinte e anche se fino alla metà dell’Ottocento questi punti non erano univocamente determinati, veniva comunque sempre specificato che, in caso di consolidamento, si dovevano applicare nelle zone dove erano manifestate le lesioni più gravi. L’excursus storico sulla trattazione di archi e volte presentato dimostra come le principali nozioni e acquisizioni teoriche, oggetto della moderna scienza delle costruzioni, erano già ampiamente definite dai trattatisti del passato. Tuttavia voler interpretare le antiche volte in muratura con teorie moderne, sviluppate soprattutto con l’avvento di evoluti modelli di calcolo (analisi membranale e flessionale di sistemi continui o discreti), crea non pochi problemi a causa della resistenza bilaterale del materiale ipotizzata in tali teorie. In tale contesto si inserisce uno studio, di seguito riportato (par. 2.3.3), che risulta però solo avviato e che necessiterà di essere meglio sviluppato in futuro. 2.3.2 La configurazione strutturale delle volte Negli edifici storici le volte rappresentano una tipologia costruttiva molto spesso utilizzata: in edifici ordinari, soprattutto come solai di locali ai piani bassi, e in edifici speciali, quali chiese o palazzi nobiliari, come sistemi di copertura. Per comprendere meglio la loro configurazione strutturale sono state osservate in ambito di “Terra di Lavoro” alcune tipologie di volte. Risulta infatti fondamentale per una loro modellazione e analisi, la conoscenza delle modalità costruttive utilizzate nel passato. Affinché il modello simuli al meglio il comportamento di una struttura voltata, occorre conoscere il sistema costruttivo ed in particolare il grado di connessione tra i muri verticali e la volta stessa, che spesso non è possibile valutare a causa della presenza dell’intonaco (come accade nel caso riportato in Fig. 2.10 raffigurante una volta a crociera). Dalla letteratura 3 risulta che in corrispondenza 3 Analisi dei trattati: Trattato teorico e pratico dell’arte di edificare di Rondelet e Trattato generale di costruzioni civili di Breymann. 27 delle sezioni di imposta, ovvero dove le reazioni sono maggiori, si ha di solito un aumento della sezione resistente: in queste zone non c’è materiale di rinfianco bensì una sezione di muratura piena. Le pareti perimetrali, inoltre, offrono un vincolo di appoggio alla volta. Nel caso di volte a crociera non sempre è chiaro se gli archi di bordo siano ammorsati nelle pareti (l’intonaco nasconde l’interfaccia tra muri e volte). In letteratura4 sono stati ritrovati casi in cui l’ammorsatura nelle murature è realizzata solo alle imposte, mentre il resto dell’arco è messo in opera affiancato alla parete perimetrale. Questa tecnica costruttiva veniva adottata per ovviare agli effetti del ritiro della malta, che provoca un calo dell’imposta. L’ammorsatura nella parete, infatti, contrasterebbe questo abbassamento, ma provocherebbe lesioni all’attacco con il muro. Se si considera l’ipotesi che gli archi di bordo siano ammorsati alle pareti verticali, a causa della scarsa resistenza a flessione della muratura, il vincolo che si viene a realizzare è in grado di trasmettere solo forze e non coppie. Inoltre, le reazioni vincolari orizzontali possono essere dirette solo verso l’interno, perché quelle dirette verso l’esterno originano tensioni di trazione che la muratura non è in grado di sopportare. Se si fa, invece, l’ipotesi che gli archi siano semplicemente affiancati alle pareti, fatta eccezione per un breve tratto alle imposte ammorsato alle pareti, ne consegue che le pareti offrono un vincolo alla traslazione orizzontale e , per attrito, verticale, solo nei tratti dove la volta si sposta verso le pareti. Dall’osservazione delle volte a crociera di S. Caterina a Formiello a Napoli (Figg. 2.11 e 2.12) la mancanza dell’intonaco consente di dedurre, ad esempio, che gli archi siano ammorsati alla muratura. Dal rudere della volta a crociera del castello di Carinola (Fig. 2.13), al contrario, è evidente come le pietre siano solo affiancate alle pareti verticali. Quindi effettivamente è possibile nella realtà trovare entrambe queste ipotesi. Spesso proprio la scarsa conoscenza della struttura delle volte, induce a sottovalutare la loro capacità di offrire una discreta rigidezza all’impalcato. La tipologia delle volte e la loro composizione può influire notevolmente sul comportamento sismico, pertanto è fondamentale valutare con adeguati modelli il comportamento di queste strutture sottoposte a forze di tipo sismico. È noto come in passato tali strutture venissero dimensionate solo per carichi di tipo gravitazionali e per contrastare il loro effetto spingente si costruivano piedritti molto spessi (Fig. 2.14) o si prevedeva l’inserimento di tiranti metallici (vedi par. 2.3.1). Per non avere spinte eccessive si limitava, inoltre, il carico della volta realizzando il riempimento con materiale leggero. La figura 2.13 mostra, infatti, la sezione strutturale della volta a crociera in cui si ha un masso con uno spessore molto piccolo e una probabile controvolta che separa il vuoto sottostante dal riempimento su cui il masso stesso poggia. 4 Gavarini C., Ingegneria antisismica, 1991 28 In figura 2.15, invece, è illustrato un rudere di una volta a vela, visibile al piano terra di palazzo Carafa di S. Lorenzo a Napoli (1762-1763), da cui pure è possibile leggere la sezione strutturale. Essa mostra in particolare la presenza di un riempimento caratterizzato da pietrame legato con malta, che gli conferisce notevole rigidezza. È stato possibile, inoltre, osservare, nel corso di questa ricerca, dei ruderi di scale realizzate su volte rampanti (Figg. 2.16 e 2.17), in cui è evidente l’innesto dell’arco nelle strutture verticali. Esse erano realizzate con conci di tufo di altezza consistente e l’orizzontalità del piano di calpestio veniva ottenuto con materiale di riempimento. Altro dato fondamentale per l’analisi di queste strutture è rappresentato dall’altezza dell’imposta dell’arco al muro di gabbia, poiché, proprio a tale quota agisce la spinta della volta. Tuttavia quest’ultimo aspetto rappresenta ancora uno degli elementi di maggiore incertezza. In effetti l’innesto della volta nella muratura poteva avvenire o interrompendo la muratura o predisponendo un dente di appoggio e realizzando quindi un muro continuo. Nel primo caso la spinta dell’arco andrebbe applicata più in basso e quindi si avrebbe una freccia maggiore, mentre nel secondo caso agirebbe più in alto. Tale ricerca non si ritiene conclusa in quanto senz’altro necessita valutare un numero molto più ampio di casistiche allo scopo di poter fare una classificazione più accurata delle tipologie costruttive. Figura 2.10: S. Caterina a Formiello: volta a crociera (1501-1543) 29 Figura 2.11: S. Caterina a Formiello: volte a crociera (1501-1543) Figura 2.12: S. Caterina a Formiello: volte a crociera – apparecchiatura muraria (1501-1543) 30 Figura 2.13: Castello di Carinola: rudere di una volta a crociera del XIII sec (foto arch. F. Miraglia) Figura 2.14: I Granili di Fuga, del XVIII secolo (negativi di Russi: da archivio del Prof. Fiengo) 31 Figura 2.15: Palazzo Carafa di S. Lorenzo a Napoli: rudere di una volta a vela (1762-1763) Figura 2.16: Scala su volta (rudere) del XVIII sec. a Casaluce 32 Figura 2.17: Edificio napoletano a rudere in Sant’Arcangelo a Baiano 2.3.3 Il puntone arcuato nelle volte Di seguito viene introdotto un modello capace di cogliere il comportamento delle volte quando sono inserite all’interno di una gabbia muraria soggetta ad azioni di tipo sismico. Il loro carattere spaziale consente di ipotizzare che, in caso di spostamenti della gabbia muraria (Fig. 2.18 ) all’interno della quale esse sono contenute, si possano individuare lungo le sue diagonali, due archi: uno di esso tenderebbe a comprimersi l’altro a decomprimersi. Ne consegue da ciò che il punto di colmo, il quale vorrebbe sia alzarsi (per effetto della compressione) e sia abbassarsi (per effetto della decompressione) non potrà muoversi in verticale e tale impedimento farà nascere delle sollecitazioni. Il modello di riferimento può essere quindi un arco a tre cerniere (Fig. 2.19). Assegnato uno spostamento s si avrà che il punto centrale si sposterà solo in orizzontale e di una quantità pari proprio ad s/2. Tale spostamento provocherà un allungamento pari a: l s cos , 2 dove rappresenta l’angolo, indicato in figura 2.19, tra l’orizzontale e la tangente all’arco. Si avrà pertanto: 33 Punto di colmo Arco compresso Arco teso Figura 2.18: Distorsione della gabbia muraria (vista piana orizzontale) s cos 2 2 l cos 2 ld ld e quindi: d Ed Ed s cos 2 ld da cui è possibile ricavare lo sforzo normale che nasce nel puntone ( N A) : Nd E d Ad s cos 2 ld per puntone con sviluppo ad arco Nd E d Ad s ld per puntone con sviluppo piano essendo Ad l’area del puntone diagonale. Risulta quindi: A' d (arco) Ad cos 2 . Tale comportamento è stato confermato dall’analisi di un modello agli elementi finiti (Fig. 2.20) realizzato con il programma Sap2000, il quale, con opportuni vincoli, simula il caso di una volta a vela (avente una freccia di 1m) inserita in una gabbia muraria soggetta ad una distorsione, del tipo riportata in figura 2.18, pari a 1 cm. In particolare sono stati utilizzati elementi di tipo lastra aventi uno spessore (sia membranale che flessionale) pari a 30 cm. Il modello è stato vincolato, lungo i lati paralleli all’asse x, alla traslazione in direzione x e z, lungo i lati paralleli all’asse y, alla traslazione in direzione y e z, mentre nei quattro vertici sono state bloccate le traslazioni secondo le direzioni x, y e z. Dalla figura 2.21 è possibile osservare il risultato di quest’analisi in termini di deformazioni. Si è in effetti verificato come il punto di colmo non subisca abbassamenti o 34 Figura 2.19: Modellazione della volta come arco a tre cerniere innalzamenti, ma solo uno spostamento lungo la direzione in cui è assegnata la distorsione, pari proprio a 0.5 cm (ovvero s/2). Le considerazioni svolte sono risultate essenziali al fine di determinare un modello che simuli il comportamento delle volte all’interno di un edificio. In effetti si ritiene che anche le volte diano un contributo per l’irrigidimento del solaio e di conseguenza hanno una loro efficacia nella ridistribuzione delle forze sismiche. È utile inoltre sottolineare che tale benefico comportamento delle volte sia garantito maggiormente nel caso in cui ci siano delle catene. Tuttavia nel caso in cui esse non dovessero esserci rimane comunque una capacità di manifestare tale comportamento, seppur limitata, dal momento che comunque la volta è stata progettata tenendo conto delle spinte (condizione per soli carichi verticali). Va infine aggiunto che, a differenza del caso piano, tale schema ad arco del puntone presenta dei limiti di funzionamento, che per il momento sono individuati solo da considerazioni qualitative ma che dovranno trovare riscontro in future analisi su modelli ad elementi finiti, ovvero: la diagonale compressa potrà risultare efficace solo fino a quando non si decomprime la diagonale tesa. Questa limitazione è dovuta alla non resistenza a trazione della muratura. Figura 2.20: Modello agli elementi finiti di una volta a vela. 35 Figura 2.21: Deformazione della volta. 2.3.4 La modellazione dell’impalcato con volte Per la modellazione dell’impalcato costituito da volte si sono fatte due ipotesi: la prima in cui si considera la presenza di un masso efficace per la distribuzione delle forze sismiche grazie all’attivazione di un puntone diagonale; la seconda nella quale si suppone assente tale masso e si ritiene comunque possibile l’attivazione di un puntone diagonale che abbia però uno sviluppo ad arco. In questo modo in una modellazione spaziale dell’edificio è possibile schematizzare tale tipologia di impalcato tenendo conto della sua reale rigidezza (caso C). Quando è presente un masso efficace al di sopra della volta è possibile schematizzare l’impalcato con due diagonali compresse, aventi una sezione complessiva data dal prodotto dello spessore del masso stesso per una larghezza pari al 20% della diagonale (in analogia con quanto esposto al par. 2.3 con riferimento al caso di solaio piano). Nell’ipotesi in cui, invece, tale masso non può essere considerato adatto a ripartire le sollecitazioni, è possibile tener conto dell’effetto irrigidente offerto dalla volta. In particolare, si adotta il modello, illustrato al paragrafo precedente, in cui si assume comunque l’attivazione di un puntone compresso la cui area però risulta essere ridotta rispetto al caso piano (di un fattore pari a cos2) a causa del suo sviluppo ad arco. 36 Capitolo 3 La sperimentazione su pannelli di fascia in scala ridotta 3.1 Introduzione Partendo dai risultati ottenuti da una campagna sperimentale su provini in muratura storica in scala ridotta, volta a studiare il comportamento della fascia di piano e condotta in passato dall’ing. E.A. Cordasco nell’ambito della sua tesi di dottorato, si è proseguito tale studio mediante ulteriori approfondimenti e successive sperimentazioni. In particolare la precedente sperimentazione mirava a valutare l’influenza della tipologia muraria sul comportamento meccanico delle fasce di piano. I provini furono realizzati sempre in muratura di tufo ma adottando apparecchiature differenti, corrispondenti alle diverse modalità con cui nel corso dei secoli (dal settecento fino ad oggi) veniva realizzata la fascia di piano negli edifici dell'area napoletana. La scelta delle tessiture si basò su analisi conoscitive condotte su edifici napoletani in collaborazione con specialisti del settore del restauro in relazione ai secoli dal XVIII ai giorni nostri. Di seguito si riporta la descrizione di tali tipologie di fascia storiche e una sintesi dei risultati della sperimentazione. Il passo successivo è stato, invece, quello di analizzare l’influenza della tessitura muraria sui meccanismi di rottura e a tale scopo si sono testati dei provini in materiale omogeneo. Dopo aver osservato le tipologie di rottura si è, infine, valutata la possibilità di aumentare la resistenza e duttilità di tali pannelli mediante un intervento di fasciatura con strisce di FRP che inibisse l’attivazione di meccanismi di rottura di tipo fragile. 3.2 La morfologia delle fasce di piano storiche in area napoletana Negli edifici napoletani, costruiti a partire dal XVIII, la fascia di piano era quasi sempre costituita da un arco più o meno ribassato ad intradosso orizzontale, realizzato con elementi lapidei appositamente lavorati, sovrapposti per due o tre ordini di filari, ad occupare una parte a volte significativa della stessa fascia muraria, e per il resto con filari orizzontali di pietre (Fig. 3.1). In alcuni casi la struttura ad arco si presenta con un profilo intradossale lievemente rialzato, regolarizzato con alcuni piccoli conci sagomati a cuneo o con materiale minuto (con 37 a) Fig. 3.1:a) Fascia di piano del settecento; b) fascia di piano di fine ottocento. b) funzione di cassaforma), sostenuti da tavole lignee di modesto spessore. A volte, invece, veniva utilizzata una piattabanda lignea con funzione portante, a sostegno direttamente di muratura apparecchiata a filari orizzontali, come quella dei maschi murari. In funzione dei rapporti dimensionali tra gli elementi che costituiscono “l’arco” e quelli ordinari tipici dell’epoca e per il tipo di lavorazione manuale dei conci di tufo si possono individuare due principali cronotipi differenti: muratura a “filari di bozzette” diffusa nel XVIII secolo, e muratura a ”filari di blocchetti” utilizzata nel XIX secolo e nella prima metà del XX secolo. Solo dalla seconda metà del XX secolo, cioè all'avvento delle tecniche di taglio meccanico, si riscontra l'utilizzo di muratura ben organizzata in filari orizzontali con conci di tufo aventi tutti praticamente la stessa dimensione, dando luogo alla tipologia in questa sede denominata "muratura ordinaria" di tufo. In definitiva sono stati realizzati campioni di tre diverse tipologie murarie: muratura ordinaria (OM), muratura tipica delle fasce realizzate nel XVIII secolo (EM), muratura tipica delle fasce realizzate tra il XIX e il XX secolo (NM). Nel primo caso il pannello è costituito da filari orizzontali. Negli altri due invece la parte inferiore del pannello è apparecchiata ad arco mentre quella superiore a filari orizzontali, con dimensioni e forma dei conci corrispondenti ai due diversi cronotipi caratteristici dell’epoca. 3.3 Sintesi dei risultati ottenuti dalla sperimentazione su provini in muratura ordinaria e storica L’attività sperimentale per analizzare il comportamento strutturale della fascia di piano è stata condotta su provini in scala 1:10. Come è noto la riduzione in scala comporta necessariamente una limitazione dell’indagine, soprattutto in termini quantitativi. Infatti, in particolare nel caso 38 della muratura, è praticamente impossibile applicare un criterio di rigorosa similitudine geometrica e meccanica, soprattutto per la riproduzione in scala dello spessore dei giunti di malta. Ciò però non pregiudica la valutazione qualitativa dei fenomeni, specie in termini comparativi tra le diverse situazioni analizzate. Per lo svolgimento delle prove è stato necessario realizzare una specifica attrezzatura, che consente di imprimere al pannello di fascia una distorsione corrispondente a due rotazioni alle estremità, sollecitandolo a taglio e a flessione come nella parete reale. In sintesi, l’apparecchiatura di prova (Fig.3.2) è costituita da un martinetto elettrico che esercita la forza su due bracci rigidi incernierati inferiormente, tra i quali è posizionato il provino. Quest’ultimo non può subire spostamenti relativi orizzontali tra le due estremità, in modo da riprodurre la situazione corrispondente alla configurazione di fascia con “catena”. In particolare, in questa fase della sperimentazione, sono state sempre imposte rotazioni uguali alle due facce del provino. L’attività sperimentale ha avuto per oggetto il comportamento meccanico della tipologia di fascia con catena ed è stata condotta su pannelli murari di piccole dimensioni, realizzati con muratura di tufo e malta di calce e pozzolana adottando le tessiture murarie tipiche dell’area napoletana dal XVIII secolo ai giorni nostri: muratura ordinaria (OM), muratura tipica del XVIII secolo (EM), muratura tipica del periodo XIX-XX secolo (NM). Le due tipologie storiche (EM ed NM) presentano un’apparecchiatura ad arco nella parte inferiore della fascia. Sono stati provati una serie di campioni (tre per ciascuna tipologia muraria) aventi tutti la stessa lunghezza (L = 14 cm) ma diversa altezza (H) in modo da realizzare tre diversi rapporti di snellezza: fasce snelle (H/L 0.50), fasce intermedie (H/L 0.70) e fasce tozze (H/L 1.10). Figura 3.2: Apparecchiatura di prova 39 H/L OM EM NM Scorr. orizzontale Punt. e rott. diag. Punt. e rott. diag. Vmed=553 [N] Vmed=1134 [N] Vmed=1026 [N] Scorr orizz e rott diag Punt. e rott. diag. Punt. e rott. diag. Vmed=493 [N] Vmed=1528 [N] Vmed=1179 [N] Rott. diagonale Rott. diagonale Rott. diagonale Vmed=951 [N] Vmed=2825 [N] Vmed=2476 [N] 0.50 (pannelli snelli) 0.71 (pannelli intermedi) 1.07 (pannelli tozzi) Figura 3.3 :Meccanismi di collasso delle fasce Sono state condotte sia prove monotone che cicliche, in controllo di spostamento, e sono state inoltre effettuate prove sui materiali per determinarne la resistenza a compressione. Si noti che per la muratura la resistenza a trazione non è stata ricavata sperimentalmente ma si è assegnata sulla base dei dati presenti in letteratura o su considerazioni sui risultati ottenuti dalle prove, come riassunto nella tabella 1. Tabella 1: Caratteristiche meccaniche dei materiali [N/ mm2] Muratura ordinaria Muratura ‘700 Muratura ‘800 fh ft E fh ft E fh ft E 2.50 0.092 375 1.87 0.14 430 1.87 0.14 370 I risultati delle prove sono stati analizzati soprattutto in termini di resistenza, per cui per le prove cicliche si considerano i massimi valori di taglio sopportati dai provini, ricavandoli dalle corrispondenti curve di inviluppo. Le prove monotone sono state condotte fino a raggiungere i limiti di spostamento permessi dall’attrezzatura di prova, corrispondenti ad una rotazione massima sulle due facce 40 del provino pari a 0.042 rad; il carico è stato applicato con una velocità media di 0.0007 rad/s. Nelle prove cicliche sono stati imposti tre cicli di carico e scarico per ciascuno dei nove valori di rotazione prescelti, ottenuti con incrementi di 0.002 rad, fino al massimo di 0.018 rad. Le tipologie di rottura riscontrate (Fig. 3.3) sono state alquanto diverse in relazione al tipo di materiale utilizzato e alla snellezza del pannello. In particolare, i provini OM hanno evidenziato uno scorrimento orizzontale tra i filari per la snellezza maggiore, una rottura lungo la diagonale per i tozzi e una rottura di tipo mista in quelli di snellezza intermedia. Per i provini in muratura storica si è rilevato, invece, un quadro fessurativo fortemente influenzato dalla presenza dei conci disposti di coltello: per la fascia snella e per quella intermedia, la rottura è stata caratterizzata sia da una lesione diagonale che da uno schiacciamento all’estremità del pannello, mentre per i provini tozzi si è manifestata la rottura diagonale fragile già riscontrata per i campioni a tessitura regolare di pari snellezza. Va inoltre evidenziato come per quest’ultima tipologia di provini la presenza dell’arco inferiore ha determinato una maggiore resistenza dovuta al fatto che lo scorrimento è impedito anche dai conci disposti di coltello che risultano interessati dalla rottura. Si è quindi tenuto conto di questa particolarità di comportamento adottando per tali provini una resistenza a trazione doppia rispetto a quella considerata invece per la muratura ordinaria (1/13 fh invece di 1/27fh). Tutti i provini hanno evidenziato una capacità deformativa in campo post-elastico non del tutto trascurabile, anche se fortemente correlata al tipo di rottura riscontrato: la rottura a compressione degli spigoli è sempre accoppiata ad un comportamento molto duttile; la rottura per scorrimento orizzontale manifesta una ragionevole capacità deformativa associata, però, ad una significativa perdita di resistenza, così come la rottura diagonale è per i provini in muratura. Si deduce che la capacità deformativa e dissipativa della muratura è sicuramente legata alla presenza dei conci e quindi ai fenomeni (interlocking, attrito, etc.) connessi ai loro movimenti relativi all’approssimarsi della rottura, ciò risulta evidente soprattutto alla luce dei risultati ottenuti dalla sperimentazione su provini in materiale omogeneo di seguito analizzata (par.3.4). In effetti le significative differenze riscontrate in termini di tipo di rottura, livelli di resistenza e capacità deformativa tra le diverse tipologie di campioni hanno mostrato la notevole influenza sia della snellezza geometrica che della tessitura muraria sul comportamento della fascia di piano. 41 È utile sottolineare che tutti i tipi di comportamento della fascia riscontrati nella sperimentazione sono comunque ascrivibili alla formazione di un puntone diagonale compresso. Ed infatti, la resistenza massima di tale puntone può essere correlata o al superamento della resistenza a compressione del materiale all’estremità del pannello (rottura per schiacciamento orizzontale) o al superamento della resistenza a taglio per attrito all’interno del puntone (rottura per scorrimento) o al superamento della resistenza a trazione del materiale in relazione alla diffusione nel corpo del puntone delle tensioni di compressione (rottura diagonale o per lacerazione ortogonale all’asse del puntone). Per ognuna delle tipologie di rottura sono state presentate differenti formulazioni per la valutazione della corrispondente resistenza a taglio del pannello. I risultati ottenuti dalla sperimentazione mostrano che la resistenza a taglio dei pannelli di fascia provati varia significativamente al variare della snellezza degli elementi e del materiale con cui sono realizzati, esibendo meccanismi di rottura corrispondenti anch’essi diversi. Nella sostanza sono stati rilevati tre tipi fondamentali di meccanismi di rottura (Fig. 3.4): a) per schiacciamento alle estremità della diagonale del pannello b) per scorrimento orizzontale c) per lesione diagonale mentre non si è mai verificata una rottura per scorrimento verticale (d), che comunque non può essere esclusa a priori. Bisogna osservare che qualunque sia il tipo di rottura riscontrato, con riferimento alle diverse geometrie del pannello, il comportamento della fascia è sempre quello di un puntone compresso lungo la diagonale. La sua resistenza massima è correlata o allo schiacciamento delle sue estremità (cioè alla resistenza a compressione del materiale) o allo scorrimento all’interno del puntone (cioè alla resistenza locale a taglio) o ad una lacerazione ortogonale all’asse del puntone connessa alla diffusione nel corpo del pannello delle tensioni di compressione (cioè alla resistenza a trazione). Ciascuna di queste eventualità corrisponde ad Schiacciamento Scorrimento orizzontale Rottura diagonale Scorrimento verticale Figura 3.4: Meccanismi di rottura per le fasce di piano 42 uno dei quattro meccanismi prima indicati, per i quali è possibile ricavare teoricamente la resistenza a taglio. Per tale determinazione è importante ricordare che, a differenza del maschio murario nel quale lo sforzo normale è una forza esterna nota, nella fascia di piano (corrispondente nel caso in questione alla fascia con catena) esso non è assegnato in valore. Si mantiene però in rapporto praticamente costante col taglio agente, con un’inclinazione della loro risultante dipendente dall’estensione delle zone reagenti alle estremità del pannello. 3.4 L’influenza della tessitura muraria valutata attraverso una sperimentazione su pannelli in materiale omogeneo Al fine di ottenere anche risultati non influenzati in alcun modo dalla tessitura muraria, sono stati realizzati ulteriori nove campioni in scala ridotta (1:10) utilizzando unicamente malta bastarda per simulare un materiale omogeneo (HM) caratterizzato da bassa resistenza a trazione. Tale malta è stata realizzata componendo: 1 parte di grassello, 1 parte di cemento e 5 parti di pozzolana in volume. I provini di malta sono stati realizzati, ancora, con 3 diversi rapporti di snellezza (H/L): snelli (H/L=0.5), intermedi (H/L=0.71) e tozzi (H/L=1.07) e con uguale lunghezza (L=140mm). Sono state effettuate prove per determinarne la resistenza a compressione e a trazione della malta. Le prove a compressione eseguite come indicato dalle UNI EN 1015-11 hanno restituito un valor medio di 4.30 N/mm2. La resistenza a trazione (ft) e a taglio puro (fvo) sono state determinate mediante prove di compressione diagonale su tre provini di 15 cm di lato e 4.5 cm di spessore. I corrispondenti risultati sono riportati in tabella 2, insieme ai valori di resistenza a taglio e a trazione calcolati secondo due diverse formulazioni, che risultano essere le più utilizzate in letteratura per l’interpretazione di tale prova, che, però, come è noto, presenta ancora incertezze significative [Galano & Vignoli, 2006]. Provino Fmax [N] F 2A [N/mm2] ft F A 2 [N/mm2] d 22 4078 0.30 0.43 23 4546 0.34 0.48 24 3908 0.29 0.41 media 4177 0.31 0.44 Tabella 2: Risultati delle prove di compressione diagonale sui campioni in materiale omogeneo 43 Pertanto, in tale lavoro, per la resistenza a trazione della malta si è deciso di utilizzare il valore di 0.43 N/mm2, pari ad 1/10 di quella a compressione, assumendolo valido anche per la resistenza a taglio (fvo). Esso risulta comunque abbastanza coerente con il complesso dei risultati sperimentali. Le prove realizzate con l’apparecchiatura sopra descritta (vedi par. 3.3) sono state di tipo monotone. I risultati ottenuti sono sintetizzati in tabella 3, in termine di taglio massimo (Vmax), momento massimo (Mmax) e distorsione massima impressa (max). Mmax (max) [Nm] 0.50 HM1 1983 139 2.60% 0.50 HM4 1934 135 2.79% 0.50 HM11 2039 143 2.88% 0.71 HM2 3120 218 2.70% 0.71 HM8 2974 208 2.22% 0.71 HM9 2823 198 1.53% 1.07 HM3 3951 277 2.40% 1.07 HM10 4196 294 2.47% Tabella 3: Risultati delle prove monotone per i provini in materiale omogeneo H/L provino Vmax [N] Di seguito, invece, sono riportati diagrammi M- e V- e le immagini delle relative rotture riscontrate sui suddetti provini. H/L=0.5 – Prova monotona – HM1 250 3000 M [Nm] V [N] H/L=0.50 H/L=0.50 200 2400 150 1800 100 1200 50 600 [rad] 0 0.0% 2.5% 5.0% 7.5% 10.0% [rad] 0 0.0% 2.5% 5.0% Diagramma M- Diagramma V- Inizio prova Fine prova 7.5% 10.0% 44 H/L=0.5 – Prova monotona – HM4 250 3000 M [Nm] V [N] H/L=0.50 200 2400 150 1800 100 1200 50 600 [rad] 0 0.0% 2.5% 5.0% 7.5% 10.0% H/L=0.50 [rad] 0 0.0% 2.5% Diagramma M- 5.0% 7.5% 10.0% Diagramma V- Foto non disponibili H/L=0.5 – Prova monotona – HM11 250 3000 M [Nm] V [N] H/L=0.50 H/L=0.50 200 2400 150 1800 100 1200 50 600 [rad] 0 0.0% 2.5% 5.0% 7.5% 10.0% [rad] 0 0.0% 2.5% 5.0% Diagramma M- Diagramma V- Inizio prova Fine prova 7.5% 10.0% 45 H/L=0.71 – Prova monotona – HM2 300 3800 M [Nm] H/L=0.71 V [N] 225 2850 150 1900 75 950 rad] 0 0.0% 2.5% 5.0% 7.5% 0.0% 10.0% 2.5% 5.0% Diagramma V- Inizio prova Fine prova 7.5% 10.0% H/L=0.71 – Prova monotona – HM8 3800 M [Nm] V [N] H/L=0.71 225 2850 150 1900 75 950 rad] 0 rad] 0 Diagramma M- 300 0.0% H/L=0.71 2.5% 5.0% 7.5% 10.0% H/L=0.71 rad] 0 0.0% 2.5% 5.0% Diagramma M- Diagramma V- Inizio prova Fine prova 7.5% 10.0% 46 H/L=0.71 – Prova monotona – HM9 300 3800 M [Nm] H/L=0.71 V [N] 225 2850 150 1900 75 950 rad] 0 0.0% 2.5% 5.0% 7.5% H/L=0.71 rad] 0 10.0% 0.0% 2.5% 5.0% Diagramma M- Diagramma V- Inizio prova Fine prova 7.5% 10.0% H/L=1.07 – Prova monotona – HM3 7200 500 V [N] M [Nm] H/L=1.07 H/L=1.07 400 5400 300 3600 200 1800 100 [rad] [rad] 0 0 0.0% 2.5% 5.0% 7.5% 10.0% 0.0% 2.5% 5.0% Diagramma M- Diagramma V- Inizio prova Fine prova 7.5% 10.0% 47 H/L=1.07 – Prova monotona – HM7 500 7200 M [Nm] V [N] H/L=1.07 H/L=1.07 400 5400 300 3600 200 1800 100 [rad] [rad] 0 0 0.0% 2.5% 5.0% 7.5% 0.0% 10.0% 2.5% 5.0% Diagramma M- Diagramma V- Inizio prova Fine prova 7.5% 10.0% H/L=1.07 – Prova monotona – HM10 7200 500 M [Nm] V [N] H/L=1.07 400 H/L=1.07 5400 300 3600 200 1800 100 [rad] [rad] 0 0 0.0% 2.5% 5.0% 7.5% 10.0% 0.0% 2.5% 5.0% Diagramma M- Diagramma V- Inizio prova Fine prova 7.5% 10.0% 48 Nel caso della fascia più snella (H/L=0.5), per tutti i provini testati, si è manifestata una rottura per schiacciamento alle estremità del pannello con un comportamento molto duttile, corrispondente con evidenza all’attivazione di un puntone diagonale. Al contrario per la fascia tozza (H/L=1.07) si è avuta sempre una rottura improvvisa di tipo fragile con la formazione di una lesione netta lungo la diagonale del pannello e la conseguente perdita totale di resistenza. La fascia intermedia (H/L=0.71), invece, ha mostrato, per i tre provini, inizialmente una rottura per schiacciamento alle estremità; ma, immediatamente dopo, essa è stata seguita da un collasso improvviso con lesione diagonale. In figura 3.6 si mettono a confronto i diagrammi M- per le tre snellezze analizzate e si osserva come nel caso della rottura per compressione del puntone diagonale nella fascia snella, la massima resistenza raggiunta viene mantenuta all’aumentare della deformazione senza apprezzabili degradi, con un meccanismo molto favorevole da un punto di vista sismico. Negli altri casi invece, come detto, la perdita di capacità portante del pannello è subitanea e totale. Dal confronto viene escluso il provino 7 (con H/L=1.07) in quanto per esso si è osservato un comportamento anomalo (valori di resistenza molto alti) rispetto a quello dei provini con snellezza uguale, probabilmente a causa della realizzazione di una malta migliore, pertanto si è ritenuto non paragonabile con gli altri. 300 300 300 M [Nm] M [Nm] H/L=0.50 M4 M11 M1 rad] 0 0.0% 3.0% 6.0% 9.0% H/L=1.07 M10 M3 M9 M8 M2 150 150 150 M [Nm] H/L=0.71 rad] 0 0.0% 3.0% 6.0% 9.0% rad] 0 0.0% 3.0% 6.0% 9.0% Figura 3.6: Confronto diagrammi M-delle fasce in materiale omogeneo 3.5 L’efficacia della fasciatura dei provini di malta con strisce di FRP I risultati della campagna sperimentale sui pannelli murari hanno evidenziato che la rottura a compressione del puntone è quella più favorevole sia in termini di resistenza che di duttilità, anche se è la più difficile da raggiungere a causa dell’insorgenza dei fenomeni di scorrimento orizzontale e rottura diagonale. A tal proposito si è pensato di proseguire l’attività 49 sperimentale sui pannelli di fascia applicando ad essi dei sistemi di rinforzo con lo scopo di evitare la rottura fragile per trazione e ottenere una rottura duttile a schiacciamento. In questa fase si sono considerati i soli pannelli in materiale omogeneo con rinforzi diagonali in FRP (denominati con la sigla RHM), sottoposti a carichi ciclici e monotoni. Il programma sperimentale ha previsto la realizzazione di nove provini (in scala ridotta – 1:10), tre per ogni classe di snellezza, con una malta costituita da una parte di calce, una di cemento e cinque di sabbia. Come sistema di rinforzo sono state adottate fibre in carbonio unidirezionali disposte lungo le due diagonali del pannello, incollate sulla superficie ed impregnate con particolari sostanze che conferiscono al composto, una volta indurite, un’elevata resistenza a trazione specialmente nella direzione delle fibre. Sulla malta utilizzata per il confezionamento dei provini sono stati svolti preventive prove sperimentali allo scopo di valutarne la resistenza media a compressione e a trazione. Le prove sono state eseguite in accordo alle UNI EN 1015-11 e nelle tabelle 4 e 5 si riportano i relativi risultati: ft ft [Kg] [Kg/cm2] N°1 32 6,4 N°2 35 7 N°3 53 10,6 Tabella 4 – Resistenza a trazione fc [kN] fc [N/mm2] monc. 1-1 7,53 4,71 monc. 1-2 7,79 4,87 monc. 2-1 7,99 4,99 monc 2-2 7,82 4,89 monc. 3-1 8,97 5,61 monc. 3-2 8,05 5,03 Tabella 5 – Resistenza a compressione A causa della maggiore resistenza dei campioni rinforzati, le prove cicliche sono state condotte fino alla distorsione di circa il 9%, con sedici step di carico, ognuno di tre cicli con uguale spostamento. 50 6.00 Monc. 1‐1 5.00 Monc. 1‐2 Monc. 2‐1 4.00 Monc. 2‐2 3.00 Monc. 2‐3 2.00 1.00 0.00 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 Figura 11 – Diagramma In tabella 6 sono sintetizzati i risultati ottenuti in termini di Vmax con riferimento sia alle prove monotone che cicliche. Per il pannello tozzo (con H/L=1.07) si è verificato durante le prove cicliche uno scorrimento del provino dovuto alla non adeguata resistenza del giunto di malta che collega il provino stesso ai bracci dell’apparecchiatura, per cui i risultati di tali prove sono stati ritenuti non validi. Per ovviare a questo problema successivamente si sono realizzati dei provini con lunghezza L pari a 13 cm (anziché 14 cm) in modo da avere un giunto di spessore maggiore. In virtù di ciò si è ritenuto opportuno ripetere anche la prova monotona (provino RHM10) e non tener conto della curva corrispondente alla prova monotona (RHM1) per il confronto con le prove cicliche. H/L provino prova Vmax [N] 0.50 RHM3 monotona 2438 0.50 RHM4 ciclica 2143 0.50 RHM8 ciclica 1939 0.71 RHM2 monotona 2997 0.71 RHM5 ciclica 3281 0.71 RHM9 ciclica 4601 1.07 RHM1 monotona 8668 1.15 RHM10 monotona 5873 1.15 RHM11 ciclica 7171 1.15 RHM12 ciclica 7536 1.15 RHM13 ciclica 5798 1.15 RHM14 ciclica 5547 Tabella 6: Risultati delle prove monotone e cicliche Di seguito si riportano i diagrammi V-ed M-e le immagini relative alle prove svolte. 51 H/L=1,07 – Prova monotona –RHM1 Diagramma M- Diagramma V- H/L=0,71 - Prova monotona – RHM2 Diagramma M- Diagramma V- 52 H/L=0,50 - Prova monotona- RHM3 Diagramma M- Diagramma V- H/L=0,50 - Prova ciclica- RHM4 Diagramma M- Diagramma V- 53 H/L=0,71 - Prova ciclica- RHM5 Diagramma M- Diagramma V- H/L=0,50 - Prova ciclica RHM8 54 H/L=0,71 - Prova ciclica- RHM9 Diagramma M- Diagramma V- H/L=1,15 - Prova monotona – RHM10 Diagramma M- Diagramma V- 55 H/L=1,15 - Prova ciclica – RHM11 Diagramma M- Diagramma V- H/L=1,15 - Prova ciclica – RHM12 Diagramma M- Diagramma V- 56 H/L=1,15 - Prova ciclica –RHM13 Diagramma M- Diagramma V- H/L=1,15 - Prova ciclica – RHM14 Diagramma M- Diagramma V- 57 In generale si è osservato che la rottura fragile non ha interessato nessuno dei provini rinforzati con strisce di FRP (RHM) e che lo schiacciamento delle testate ha caratterizzato la rottura in tutte le prove, confermando così l'efficacia del rinforzo. Prima della rottura a schiacciamento si è verificato il sollevamento del rinforzo dagli spigoli del campione, ma in questa fase la resistenza del pannello non aveva ancora raggiunto il valore massimo, che, invece, è stato raggiunto solo al verificarsi della suddetta rottura. Le curve V- presentano un ramo decrescente solo nei pannelli intermedi e tozzi, a seguito del sollevamento del rinforzo dal centro del provino. È interessante notare che i pannelli snelli ed intermedi hanno raggiunto valori massimi di resistenza confrontabili con quelli ottenuti per i pannelli non fasciati. Va osservato tuttavia che mentre i pannelli di HM snelli hanno subito una rottura per schiacciamento, quelli intermedi ha subito una rottura diagonale in corrispondenza del valore massimo del taglio che ha condotto ad un degrado repentino della resistenza. L'effetto dei rinforzi in FRP, in questo caso è stato quello di evitare la rottura diagonale in modo da ottenere un comportamento più duttile e tale effetto positivo è molto più evidente nel pannello tozzo. Pertanto il rafforzamento evitando l'insorgenza precoce della rottura diagonale consente al pannello di sfruttare la sua massima resistenza connessa al comportamento a puntone compresso, mostrando una capacità non trascurabile di deformazione. Questo comportamento favorevole è stato confermato anche dalle prove cicliche. La risposta ciclica dei pannelli rinforzati continua a mostrare un degrado di rigidezza, tuttavia tali curve ben inviluppano quelle monotone presentano valori di resistenza e duttilità comparabili con i risultati di queste ultime. In definitiva, si può affermare che il rinforzo diagonale è un sistema efficace al fine di evitare una rottura fragile, consentendo così al pannello di assumere un comportamento a puntone compresso e di sfruttare le proprie capacità strutturali ai massimi livelli. Inoltre il miglioramento del comportamento sotto carichi ciclici è il risultato più soddisfacente essendo corrispondente ad una risposta sismica del pannello. 58 Capitolo 4 Le analisi numeriche su base sperimentale del comportamento strutturale delle fasce di piano 4.1 Sperimentazione numerica mediante analisi FEM Le prove sperimentali descritte al capitolo 3 sono state successivamente simulate numericamente, con l’obiettivo di avere conferma dei meccanismi ipotizzati in relazione al comportamento della fascia di piano soggetta a taglio, fino al limite della rottura, nonché dei corrispondenti stati tensionali compatibili con la scarsa resistenza a trazione del materiale murario. Inoltre, dalla sperimentazione numerica si possono ricavare informazioni non rinvenibili direttamente dall’attività sperimentale, quali: l’estensione della parte reagente all’estremità del provino e l’entità della componente orizzontale dello sforzo nel puntone (sforzo normale nella fascia di piano), che risultano di difficile determinazione teorica. Infine, una volta accertata la validità del modello numerico mediante il confronto con la sperimentazione è possibile anche utilizzarlo per analizzare il comportamento di provini che non è stato possibile testare in laboratorio (snellezze geometriche e/o materiali differenti). Le analisi numeriche sono state condotte con il ben noto programma Abaqus (rel. 6.1), riproducendo le stesse condizioni al contorno dei provini definite dall’apparecchiatura di prova (Fig. 4.1). Il pannello murario è stato modellato mediante elementi shell a quattro nodi disposti in una mesh molto fitta a maglia quadrata di lato 5 mm. Allo stato attuale sono molti i modelli di materiale disponibili nei vari programmi agli elementi finiti non lineari per simulare il comportamento della muratura; ma nessuno risulta Figura 4.1. Modello agli elementi finiti 59 essere del tutto soddisfacente, soprattutto in relazione al fatto che i classici criteri di resistenza, normalmente utilizzati per definire il comportamento post-elastico, mal si adattano ai materiali scarsamente resistenti a trazione. Pertanto, per sviluppare le analisi numeriche, non si è utilizzato il materiale “concrete”, che pure è presente nella biblioteca di ABAQUS ed è spesso adottato da altri ricercatori. Si è preferito invece utilizzare un materiale elastico perfettamente plastico, resistente sia a trazione che a compressione, in grado quindi di simulare il comportamento in compressione in maniera sufficientemente approssimata, almeno per deformazioni plastiche contenute. Si è tenuto conto, invece, della scarsa resistenza a trazione adottando una procedura iterativa consistente nell’eliminare manualmente dal modello iniziale gli elementi nei quali si evidenzia una tensione di trazione agente sulle giaciture verticali superiore ad un certo livello prefissato. Si è operato comunque in maniera molto cauta eliminando in prima battuta solo gli elementi più tesi. In tal modo si riesce ad arrivare ad una configurazione finale resistente sufficientemente attendibile nella quale non sono presenti più nel materiale tensioni di trazione orizzontali. È ovvio che il tentativo di annullare del tutto le tensioni di trazione all’interno del materiale sarebbe illusorio e non veritiero, considerando che esse devono esistere necessariamente in relazione alla diffusione degli sforzi di compressione e che sono proprio tali tensioni di trazione a determinare nella maggior parte dei casi la crisi dell’elemento strutturale. Così operando si è ottenuta la configurazione effettivamente attiva del puntone per ogni snellezza e tipologia analizzata sperimentalmente. Si noti che ogni volta è stata utilizzata la resistenza dei materiali ottenuta dalle prove a compressione condotte sui singoli pannelli. Per il modulo elastico si è adottato il valore sperimentale secante, tra 1/3max e 2/3max, per i provini in muratura storica e in materiale omogeneo, ed il valore di 150max per i campioni OM, come riportato in tabella 1. Tabella 1: Caratteristiche meccaniche dei materiali (N/mm2) fh Muratura ordinaria ft E 2.50 0.092 375 fh 1.87 Muratura ‘700 ft E 0.14 430 fh 1.87 Muratura ‘800 ft E 0.14 370 fh Malta ft E 4.30 0.43 340 60 4.2 Considerazioni sui risultati La sperimentazione numerica è stata condotta analizzando il comportamento del pannello al crescere della rotazione applicata ai blocchi rigidi di estremità, simulando in tal modo lo sviluppo della corrispondente prova sperimentale. In particolare, per ogni valore di rotazione imposta agli estremi, si è determinata la configurazione reagente del pannello, eliminando, come già detto, in modo iterativo gli elementi soggetti a trazione. Quindi sono stati ricavati il taglio e lo sforzo normale agenti sul pannello di fascia direttamente dai valori delle reazioni vincolari delle cerniere attorno a cui ruotano i blocchi rigidi di estremità. Di conseguenza si è potuto ottenere l’eccentricità dello sforzo normale rispetto all’asse longitudinale del pannello. In questo modo sono stati tracciati i diagrammi M-dove M è il momento flettente sopportato dalla fascia, definito in funzione dello sforzo normale e dell’eccentricità come prima determinati, e è la distorsione relativa tra le estremità del pannello, che si può esprimere in funzione di come indicato in figura 4.2. In figura 4.3, per i provini di malta e per tutti i rapporti di snellezza analizzati, è riportata la configurazione geometrica finale del puntone con l’andamento delle tensioni di compressione perpendicolari alle giaciture verticali (11) corrispondente ad una distorsione del 9.6%, che rappresenta il valore massimo raggiunto nelle prove reali monotone. Si può preliminarmente osservare che il puntone compresso presenta zone laterali soggette a tensioni di compressione trascurabili e che l’estensione di tali zone diventa sempre più ampia all’aumentare del rapporto di snellezza. Ciò significa che, indipendentemente dal rapporto dei lati del pannello, la larghezza effettivamente reagente del puntone tende ad essere costante lungo la diagonale del pannello stesso. Inoltre, dalle prove eseguite a diversi livelli di Figura 4.2. Deformazione a taglio della fascia di piano 61 a) H/L=0.50 b) H/L=0.64 c) H/L=0.71 d) H/L=0.93 e) H/L=1.07 N/m2 Figura 4.3. Configurazione del puntone e andamento delle 11 (a-b-c-d-e). carico necessarie per tracciare i diagrammi M-, è emerso che tale larghezza è sostanzialmente indipendente dalle azioni esterne agenti sul pannello. 62 La stessa cosa accade con riferimento all’estensione della zona reagente alle due estremità. Pertanto la forma geometrica della zona “attiva” della fascia di piano sembra essere funzione solo del rapporto di snellezza H/L e quindi essa può essere definita a priori indipendentemente dalle caratteristiche della sollecitazione agente. Inoltre, tale configurazione è risultata la stessa anche al variare delle caratteristiche meccaniche del materiale (resistenza a compressione e modulo elastico). Ciò è molto importante soprattutto nel caso, piuttosto comune, di utilizzo di schemi di telaio equivalente per la modellazione delle pareti murarie, in quanto è possibile assegnare direttamente all’inizio della procedura di calcolo una rigidezza ridotta all’elemento trave che rappresenta il pannello di fascia, senza doverla ulteriormente modificare. Tale rigidezza infatti rimane costante anche all’aumentare delle azioni esterne sul telaio senza richiedere quindi una procedura iterativa per la risoluzione dello schema. Lo stesso non può dirsi per i maschi murari, per i quali l’estensione della zona reagente sulle basi varia in funzione delle azioni esterne, essendo lo sforzo normale agente indipendente dal taglio assorbito dall’elemento strutturale. Facendo riferimento ai risultati delle analisi numeriche si è determinato quindi il rapporto tra la rigidezza effettiva del pannello parzializzato (puntone) (Kp) e quella del pannello interamente reagente (Kf), ricavando entrambi i valori direttamente dai diagrammi M- numerici relativi alle diverse situazioni. In figura 4.4 sono riportati i valori che tale rapporto assume in funzione della snellezza. Si può notare che nell’intervallo di snellezze analizzate tale rapporto ha un andamento parabolico, con il valore massimo (0.48) per il pannello di snellezza intermedia (H/L=0.71) ed il valore minimo (0.39) per il pannello tozzo 0.50 Kp/Kf 0.45 0.40 0.35 0.30 0.40 H/L 0.60 0.80 1.00 1.20 Figura 4.4. Variazione di Kp/Kf in relazione alla snellezza 63 (H/L=1.07), che quindi è quello caratterizzato dalla maggiore riduzione di rigidezza per effetto della parzializzazione. Interpolando i risultati si è ricavata la seguente espressione: Kp 2 H H 0.79 1.18 0.04 Kf L L (1) che rappresenta la riduzione di rigidezza del pannello di fascia in funzione del rapporto di snellezza. Per quanto riguarda l’estensione della zona reagente all’estremità del puntone, si ha, come già detto, che anch’essa è invariante all’aumentare della rotazione applicata agli estremi e quindi delle sollecitazioni esterne. Ciò è spiegabile se si considera che, a differenza del maschio murario nel quale lo sforzo normale è una forza esterna nota, nella fascia di piano esso non è assegnato e varia al variare del taglio agente con il quale si mantiene in un rapporto praticamente costante, definito dall’inclinazione dell’asse del corrispondente puntone compresso. A sua volta tale inclinazione dipende dall’estensione della zona reagente alle estremità del pannello o, meglio, dal punto di applicazione della risultante degli sforzi di compressione e quindi dalla sua eccentricità rispetto all’asse del pannello. Pertanto, per l’equilibrio, si può scrivere (Fig. 4.5): V L N 2e V N 2e N tg L (2) (3) Esistono però infinite coppie N-e in grado di equilibrare il momento che si genera per effetto del taglio agente, con l’eccentricità che può variare tra 0 e H/2, per cui la definizione teorica dell’estensione della zona reagente richiederebbe l’utilizzo anche di relazioni di congruenza. In questo lavoro, pertanto, si sono utilizzate a tal fine i risultati delle analisi nu- Figura 4.5. Caratteristiche geometriche del puntone 64 meriche. Tali risultati, però, sono comunque caratterizzati da un certo grado di incertezza, connesso sia alle dimensioni minime dell’elemento finito utilizzato, sia alla incertezza sulla distribuzione delle tensioni lungo le sezioni trasversali, tipica dei metodi di discretizzazione, sia alla difficoltà di simulare il comportamento plastico della muratura con i criteri di resistenza classici disponibili nel programma di calcolo utilizzato. Pertanto, l’estensione della zona reagente non si è ricavata dalla configurazione geometrica del puntone ottenuta con le iterazioni, ma direttamente dal valore dell’eccentricità dello sforzo normale, ottenuta dall’equazione 2 attraverso i valori delle reazioni vincolari (V ed N), ipotizzando al limite ultimo una distribuzione costante delle tensioni di compressione nella zona reagente. Essa, si ricorda, rimane comunque sostanzialmente invariata anche per livelli di carico molto più bassi. In realtà a tali livelli la distribuzione delle tensioni non si può ritenere costante ma sarà triangolare o trapezoidale. Considerato comunque che per tutti i valori di snellezza la zona reagente risulta piuttosto ridotta rispetto all’altezza geometrica della fascia, il punto di applicazione della risultante delle tensioni si sposta molto poco, in termini relativi, al variare della forma della effettiva distribuzione delle tensioni. In definitiva è quindi possibile determinare a priori il massimo taglio sopportabile dalla fascia di piano (taglio resistente associato alla rottura a compressione del puntone): esso è un’aliquota dello sforzo normale massimo a cui è in grado di resistere l’estremità del puntone, dipendente dall’inclinazione dell’asse del puntone che è definita una volta assegnata la snellezza del pannello. I valori dell’eccentricità dello sforzo normale e l’estensione della zona reagente, ottenuti dalle analisi svolte per le varie snellezze considerate, sono riportati in tabella 2 e diagrammati in forma adimensionale nelle figure 4.6 e 4.7. Come si evince da esse, l’estensione della zona reagente (c) è all’incirca pari ad H/3, per i pannelli più snelli, riducendosi, per quelli più tozzi, anche fino a meno di H/5. Di conseguenza, l’inclinazione dell’asse del puntone, cioè della risultante delle azioni a cui è soggetto il pannello di fascia, tende a diventare sempre più prossima a quella della diagonale geometrica del pannello stesso all’aumentare del rapporto di snellezza. Si nota ancora che i valori di eccentricità al variare della snellezza si dispongono Tabella 2. Caratteristiche geometriche del puntone H/L 0.50 0.64 0.71 0.93 H 70 90 100 130 0.36 0.48 0.51 0.73 tg 20° 26° 27° 36° c 19 22 28 28 1.07 150 0.88 41° 27 65 0.35 0.9 2e/L=tg c/H 0.30 0.25 0.75 0.20 0.6 0.15 0.10 0.45 0.05 H/L H/L 0.3 0.4 0.6 pannelli snelli 0.8 1 1.2 pannelli tozzi 0.00 0.40 Figura 4.6. Eccentricità (e) dello sforzo normale sulla sezione di estremità del pannello 0.60 0.80 1.00 1.20 Figura 4.7. Estensione della zona reagente c all’incirca lungo una retta di equazione: 2e H 0.90 0.10 L L (4) Poiché tale espressione restituisce quasi esattamente i punti ricavati numericamente, essa può essere adottata per determinare direttamente l’eccentricità alle estremità del puntone allo stato limite ultimo, e quindi la corrispondente inclinazione del suo asse (tg) ed anche l’estensione della zona reagente (c) mediante le relazioni: tg= 2e L H c 2 e 2 (5a) (5b) 4.3 Modello teorico semplificato del comportamento della fascia di piano: “puntone ad arco” Le analisi numeriche descritte nel paragrafo precedente consentono di definire la forma del puntone reagente che si attiva all’interno del pannello di fascia di piano. Inoltre da esse sono state ricavate le espressioni analitiche per determinare l’eccentricità degli sforzi agenti all’estremità del pannello e quindi l’inclinazione dell’asse dello stesso puntone. La sperimentazione svolta sui campioni in scala ridotta (vedi cap. 3), al variare della forma del pannello e della tipologia di muratura adottata, ha mostrato diverse modalità di 66 rottura, i cui meccanismi di crisi corrispondono o allo schiacciamento delle estremità del puntone o alla “lacerazione” della zona interna del pannello per trazione (all’incirca ortogonale all’asse del puntone) che si evidenzia con lesioni di distacco diagonali o suborizzontali, che potrebbero anche far pensare ad uno scorrimento. Si propone allora un modello teorico semplificato del comportamento della fascia di piano, che consente di interpretare in maniera unitaria i meccanismi di crisi a taglio osservati sperimentalmente. In particolare, all’interno del pannello, si considera un doppio arco a rappresentare la diffusione nel corpo del puntone dello sforzo di compressione applicato alle sue estremità (Fig. 4.8). Tale sforzo è dato dalla somma vettoriale del taglio e dello sforzo normale trasmessi al pannello dal resto della struttura attraverso le sezioni reagenti ridotte di estremità. Come ben evidenziato dai modelli numerici, la tensione di compressione, elevata al bordo, si riduce al centro del pannello a causa della diffusione su una zona più ampia di muratura. Poiché la diffusione di uno sforzo concentrato di compressione genera, come è noto, tensioni di trazione ortogonali alla compressione [Calzona & Cestelli Guidi, 1978], nel caso specifico tali tensioni sono proprio quelle che portano il pannello a lesionarsi in direzione più o meno diagonale (lacerazione). Nel modello proposto le azioni alle estremità del pannello si fanno corrispondere alla spinta dei due archi individuati all’interno della fascia di piano. Tale spinta si considera generata da un carico equivalente ortogonale all’asse inclinato del puntone, che rappresenta proprio lo sforzo di trazione distribuito lungo tale asse generato dalla diffusione delle azioni concentrate ai bordi. La rottura del pannello può quindi dipendere dallo schiacciamento degli estremi, per eccessiva compressione dovuta alla spinta dei due archi, o dalla “lacerazione” delle zone cen- lr la Figura 4.8: Modello ad arco Figura 4.9:Sviluppo della lesione a scalino lungo i giunti di malta e della linea d’asse. 67 trali del pannello dovuta allo sforzo di trazione di cui si è detto. Per quanto riguarda il meccanismo di crisi connesso allo schiacciamento delle estremità, una volta definita l’estensione della zona reagente (vedi par. 5.2), è possibile immediatamente determinare il massimo taglio (Vcompr) sopportabile dalla fascia di piano associato a tale tipo di rottura. Esso si ricava in funzione dello sforzo normale massimo a cui è in grado di resistere l’estremità del puntone(vedi eq. 2), il quale dipende dall’inclinazione dell’asse dello stesso, che, a sua volta, è definita univocamente in relazione alla snellezza del pannello. Pertanto, conoscendo la resistenza a compressione fh della muratura in direzione orizzontale, si ha: Vcompr f h t c 2e L (6) dove 2e e c sono ottenuti rispettivamente dalla (4) e dalla (5b). Per quanto riguarda il meccanismo di rottura per trazione, ad esso è associato un altro valore del taglio massimo sopportabile dal pannello (Vtraz), la cui determinazione si basa sulle seguenti considerazioni: conoscendo il taglio V e lo sforzo normale N, agenti alle estremità del pannello (cioè la spinta dell’arco), si può risalire al carico (q) corrispondente a tale spinta, dopo aver definito la luce e la freccia dell’arco. Nel caso specifico l’estensione della zona reagente alle estremità del pannello e quindi l’inclinazione dell’asse del puntone (che è indipendente dalle azioni esterne ma dipende solo dalla forma del pannello) si ricavano anche in questo caso dalle (5). Per cui, fissata la geometria del pannello, sono note la direzione della spinta (data dall’inclinazione dell’asse del puntone - tg), la luce (pari alla lunghezza dell’asse del puntone) e la freccia (dipendente dall’estensione delle zone centrali reagenti del pannello): tg= 2e L l= f k (direzione della spinta) L cos H cos 2 (luce dell'arco) (7) (8) (freccia dell’arco) (9) dove k è un coefficiente da determinare sulla base dei risultati sperimentali in relazione alla geometria del pannello e alla tessitura della muratura. Quindi dalla spinta (R) si ricava il carico (q) e la tensione di trazione (t) agente sulla muratura nel corpo del pannello in direzione all’incirca diagonale: 68 R = N 2 V 2 q= (10) 1 8f N 2 V 2 2 q (l a / cos ) 2 t= q t (11) (12) Il massimo taglio (Vtraz) sopportabile dal pannello in relazione al meccanismo di lacerazione per trazione, si ottiene per t pari alla resistenza a trazione del materiale in direzione diagonale (fftd): Vtraz f ftd sen 2 t L2 8 f (cos ) 2 Si deve tener conto però che la resistenza fftd dipende anche dalla tessitura della muratura. Nel caso di tessitura regolare con letti di malta orizzontali, la rottura si sviluppa in genere con andamento a scalini che segue proprio la tessitura muraria, definendo una superficie di rottura maggiore di quella corrispondente all’asse del puntone. Ciò si può far corrispondere ad un incremento convenzionale di resistenza a trazione, legata al rapporto tra lo sviluppo (lr) della lesione di distacco (a scalini) ed il suo sviluppo rettilineo lungo la linea d’asse del puntone (la) (Fig. 4.9). Pertanto la resistenza a trazione diagonale si può ottenere incrementando opportunamente la resistenza a trazione di base della muratura (ft) (in genere posta pari alla resistenza a taglio puro (fvo)) mediante il fattore =lr/la che è risultato in tutti i casi analizzati pari a =cos-1.6 per cui: fftd = fvo cos-1.6 Anche nel caso dei pannelli molto snelli nei quali la rottura a trazione si è manifestata su giaciture quasi orizzontali, apparendo fenomenologicamente come uno “scorrimento”, è possibile applicare la formulazione proposta che ne tiene conto proprio attraverso il fattore È interessante comunque notare che in questi casi, contrariamente alle aspettative per una rottura a trazione, che risulta generalmente molto fragile, i pannelli hanno esibito anche una discreta duttilità. Nel caso del materiale omogeneo, non essendoci direzioni preferenziali di tessitura, non occorre applicare alcun fattore incrementativo e quindi non si deve considerare il fattore . D’altronde la lesione per trazione (quando si forma) si dispone in questi casi proprio lungo la diagonale del pannello e si manifesta in modo improvviso e fragile. 69 Per quanto riguarda il coefficiente k, necessario per la valutazione della freccia dell’arco, dal confronto con i risultati sperimentali si è ricavato un valore pari a 0.7, indipendentemente dalla snellezza del pannello, ottenendo quindi una freccia di 23 mm per il provino snello, 31 mm per l’intermedio e 40 mm per il tozzo. In definitiva la resistenza del pannello a taglio è pari al minimo tra Vtraz e Vcompr. A titolo di confronto in tabella 3 per tutti i provini sperimentati, si riportano i valori medi di resistenza a taglio ottenuti sperimentalmente (Vexp) e quelli teorici corrispondenti alle due possibili modalità di rottura (Vtraz e Vcompr). Risulta sempre che la modalità di rottura riscontrata durante le prove coincide con quella caratterizzata dal valore teorico più basso di resistenza a taglio; anche la corrispondenza tra i valori teorici e quelli sperimentali appare abbastanza buona. Si noti che nella valutazione di Vcompr si è adottato un valore di resistenza a compressione (fh) incrementato (mediante un coefficiente ) rispetto a quello ricavato dalle prove definitorie, per tener conto dell’effetto di contenimento esercitato sulle estremità del puntone dalla zona di nodo (rigida) della parete muraria alla quale appartiene la fascia. Nella sperimentazione in laboratorio questo effetto è dato dai bracci rigidi ai quali sono vincolati i provini, mentre in quella numerica è dato dai vincoli ai bordi che impediscono lo scorrimento agli estremi, dando luogo a trazioni trasversali che non sono state annullate. Tale coefficiente, tarato sulla base dei risultati sperimentali, non varia al variare della forma del pannello ed è stato posto pari a 1.25. Il caso dei provini rinforzati con strisce diagonali di FRP (RHM) va analizzato diversamente. Come già detto, l’applicazione delle fasce FRP lungo le diagonali aveva proprio lo scopo di impedire la rottura per trazione diagonale e di forzare lo schiacciamento Tabella 3: Confronto valori teorici e sperimentali Materiale OM EM NM HM RHM H/L 0.50 0.71 1.07 0.50 0.71 1.07 0.50 0.71 1.07 0.50 0.71 1.07 0.50 0.71 1.07 Vexp (N) 553 493 951 1134 1528 2825 1026 1179 2476 1985 2972 4074 2173 3626 6385 Vtraz (N) 451 622 1128 1171 1615 2926 1015 1400 2536 1853 2251 3170 1853 2251 3170 Vcompr (N) 1034 1832 3525 1289 2284 4394 1117 1980 3808 1778 3151 6062 1778 3151 6062 Tipo di rottura sperimentale Scorrimento orizzontale Scorrimento orizzontale –Trazione diagonale Trazione diagonale Compressione –Trazione diagonale Compressione –Trazione diagonale Trazione diagonale Compressione –Trazione diagonale Compressione –Trazione diagonale Trazione diagonale Compressione Trazione diagonale Trazione diagonale Compressione Compressione Compressione 70 alle estremità del pannello, che è la modalità di crisi che valorizza al massimo le capacità del pannello murario sia in termini di resistenza che in termini di duttilità [Calderoni1 et al. 2009]. Ebbene, come si può notare dalla stessa tabella 3 e dall’osservazione delle modalità di rottura riscontrate nella sperimentazione di cui al capitolo 3, l’obiettivo è stato raggiunto. Infatti i valori sperimentali del taglio di rottura sono risultati molto superiori a quelli relativi ai corrispondenti pannelli non fasciati, con incrementi di resistenza che diventano via via più significativi passando dai pannelli snelli a quelli tozzi. Per il pannello snello, che invece già si rompeva per compressione agli estremi, non risulta, correttamente, un incremento di resistenza; per le altre snellezze, per le quali la rottura si è manifestata con lesioni diagonali e modalità fragili, si sono avuti incrementi di resistenza variabili tra il 20% e il 50% e significativi aumenti della duttilità, di cui era già dotato solo il pannello snello privo di fasciatura. Comunque, nel caso dei pannelli rinforzati, il valore teorico di confronto è solo quello connesso allo schiacciamento agli estremi (Vcompr), in quanto quello relativo alla trazione (Vtraz) è riferito ad un meccanismo di rottura che è impedito proprio dai rinforzi diagonali. Si osserva, anche in questi casi, una buona corrispondenza tra i valori sperimentali e quelli teorici del modello a puntone. 3500 3000 2500 Vcompr Vtraz EM 2000 L=140mm 1500 MURATURA SETTECENTESCA (EM) V [N] 3000 2500 Vcompr Vtraz OM 2000 3500 MURATURA ORDINARIA (OM) V [N] 1500 1000 1000 L=140mm 500 500 H/L H/L 0 0 0 3500 V [N] 3000 2500 0.3 0.6 0.9 7000 MURATURA OTTOCENTESCA (NM) 5000 3000 1000 2000 L=140mm 500 0 0 0.3 0.6 0.9 1.2 0.9 1.2 MALTA (HM) E MALTA RINFORZATA (RHM) 1000 H/L 0.6 Vcompr Vtraz HM RHM 4000 1500 0.3 V [N] 6000 Vcompr Vtraz NM 2000 0 1.2 L=140mm H/L 0 0 0.3 0.6 0.9 1.2 Figura 4.10: Confronto curve teoriche ottenute per la compressione e la trazione e i valori sperimentali 71 In figura 4.10 sono riportati i diagrammi del taglio (V) sopportabile dai pannelli di fascia in funzione della snellezza (H/L). Essi, per le diverse tipologie di muratura considerate, mettono a confronto le due curve teoriche, corrispondenti alla resistenza a taglio per compressione (Vcompr) e per trazione (Vtraz), con i valori ottenuti sperimentalmente, riportati sul grafico come punti. Si evidenzia da essi con chiarezza che, mentre la rottura per “lacerazione”(Vtraz) è la più probabile per i pannelli intermedi e tozzi, quella per compressione (Vcompr) lo è per gli snelli. Per i pannelli di malta rinforzati (RHM) la curva relativa a Vtraz non è più significativa perché tale tipo di rottura è di fatto impedito dal rinforzo; infatti si vede che, in questo caso, i risultati sperimentali, rispetto a quelli dei provini non rinforzati (HM), si allontanano da tale curva e si avvicinano a quella relativa al Vcompr; ciò soprattutto per i pannelli più tozzi che, quando privi di rinforzo, hanno sempre evidenziato rotture per trazione. 4.4 Confronto con i risultati di sperimentazioni in scala reale disponibili in letteratura Attualmente non sono numerose le sperimentazioni in scala reale eseguite su fasce di piano in muratura. Infatti nella letteratura recente sono stati individuati solo tre lavori su tale argomento: Gattesco et al. (2008), Dazio & Beyer (2010) e Parisi et al. (2010). I primi due si riferiscono a prove eseguite su una porzione di parete in muratura di mattoni pieni, comprendente una fascia di piano e due monconi di maschi. In esse la fascia di piano viene sollecitata a taglio spostando verticalmente uno o entrambi i maschi murari, i quali di conseguenza possono anche ruotare. Il terzo lavoro riguarda invece un portale in muratura di tufo con malta di calce e pozzolana, caricato a livello della fascia da una forza orizzontale, che quindi determina sforzi di taglio nella fascia stessa. Essi, però, non sono stati misurati direttamente durante la prova. Il numero limitato di prove disponibili non consente un ampio confronto con le formulazioni teoriche proposte in questo lavoro. Inoltre tale confronto si presenta anche problematico a causa sia della mancanza di dati completi sulla resistenza dei materiali (che non sempre vengono forniti dai rispettivi autori) sia delle effettive condizioni vincolari delle fasce di piano imposte in tali sperimentazioni, che non sono completamente definite. Infatti dall’analisi delle prove svolte dagli autori sopra citati, non è possibile definire con chiarezza tali condizioni, in quanto esse sono fortemente influenzate dalla rigidezza laterale dei maschi 72 murari (difficilmente valutabile), dai dispositivi di carico e di contrasto nonché dalla presenza in molti casi di catene pretese, che ovviamente potrebbero influire sulla configurazione strutturale delle fasce. È opportuno, a tal proposito, sottolineare che nella sperimentazione descritta al capitolo 3 è stato del tutto impedito lo spostamento relativo dei nodi che confinano la fascia di piano e che a tale condizione cinematica (che corrisponde allo schema di fascia-puntone ideale) ci si è riferiti anche nelle definizione delle formulazioni teoriche. Per quanto detto, invece, nelle sperimentazioni degli altri autori qui richiamate questa condizione cinematica non appare del tutto soddisfatta e, d’altronde, non è in pratica valutabile con esattezza. Di conseguenza le previsioni teoriche delle formulazioni proposte devono considerarsi come dei valori massimi rispetto a quelli ottenuti dalle sperimentazioni. A ciò si aggiunge la forte dipendenza delle previsioni teoriche dal valore della resistenza a trazione della muratura, che, già di per sé, è un parametro meccanico fortemente aleatorio e che non viene quasi mai fornito. In ogni caso, se ci si riferisce alle prove di Gattesco et al., esse hanno evidenziato un valore di taglio massimo che ha portato a rottura la fascia in assenza di catene pari a circa 70 kN. Tale valore è aumentato a 100 kN nella seconda prova svolta sullo stesso campione danneggiato dalla prima prova, ma rinforzato con catene pretese ad 85 kN. In tal caso la pretensione corrisponde ad una compressione media della muratura della fascia di circa 0.2 MPa, pari proprio al valore di resistenza a trazione della muratura fornita dagli stessi autori. Quindi, mentre nella prima prova non si può valutare il grado di vincolo relativo orizzontale tra le due estremità della fascia, nella seconda prova, la presenza della catena rende le condizioni di vincolo abbastanza corrispondenti a quelle teoriche (anche se condizionate dalla deformabilità delle catene). D’altro canto la compressione fornita dalle catene non deve considerarsi come uno sforzo normale esterno applicato alla fascia, ma come la restituzione della resistenza a trazione originaria, che era stata persa per l’aprirsi delle lesioni durante la prima prova. E’ utile ancora ricordare che in questa prova la rottura della fascia di piano è avvenuta con formazione di evidenti lesioni diagonali, confermando un raggiungimento del taglio ultimo connesso alla resistenza a trazione del materiale (Vtraz). Pertanto, considerando la resistenza media a trazione fornita dagli stessi autori delle prove (fvo = 0.2 MPa) e le dimensioni geometriche del pannello di fascia provato (H = 110 cm; L = 130 cm; t = 38 cm), risulta una resistenza teorica, calcolata secondo la formula (13): Vtraz = 105 kN, in ottimo accordo con il risultato sperimentale. E’ interessante notare che a tale valore del taglio corrisponde uno sforzo normale nella fascia di circa 160 kN, ben 73 superiore alla pretensione delle catene, a dimostrazione della non influenza di tale pretensione sulla resistenza finale della fascia. Si osserva ancora che gli autori non hanno indicato la resistenza a compressione della muratura; ma in questo caso - rottura per trazione- essa non ha influenza sulla resistenza della fascia. In ogni caso, essa può essere considerata, data la tipologia muraria, non inferiore a 6 MPa, e quindi sicuramente sufficiente a fornire un valore di Vcomp (450 kN), valutato con la formula (6), nettamente superiore a Vtraz, come peraltro confermato dal meccanismo di rottura sperimentale. Analizzando le prove svolte da Dazio & Beyer, occorre notare che anche in esse sono state applicate catene pretese con valori della pretensione di 40 kN in un caso ed 80 kN in un altro. Il massimo taglio sopportato dalla fascia di piano è risultato rispettivamente di 90 kN e 80 kN, con rottura caratterizzata in entrambi i casi da evidente lesione diagonale. Purtroppo questi autori non hanno fornito il valore della resistenza a trazione della muratura da loro utilizzata. Comunque, considerando che essa è una muratura di mattoni pieni, probabilmente con malta di calce, simile a quella di Gattesco et al., è ragionevole considerare per fvo un valore variabile tra 0.1 e 0.2 MPa ed una resistenza a compressione dell’ordine di 5.06.0 MPa. Pertanto le corrispondenti valutazioni teoriche con le formulazioni proposte in questo lavoro, considerando la geometria del pannello di fascia provato (H = 126 cm; L = 118 cm; t = 38 cm), forniscono: - per fvo = 0.1 MPa Vtraz = 70 kN - per fvo = 0.2 MPa Vtraz = 140 kN All’interno di tale fascia di valori, corrispondenti alla tipologia di rottura riscontrata, sono compresi entrambi i risultati sperimentali, confermando quantomeno la validità dell’impostazione teorica in relazione ai meccanismi di rottura. Per quanto riguarda le prove di Parisi et al., da esse non è possibile risalire direttamente allo sforzo di taglio che ha condotto a rottura la fascia. Pertanto, non essendo stato nemmeno fornito il valore della resistenza a trazione della muratura, non è possibile effettuare alcun confronto. In ogni caso la rottura del campione provato, privo sia di catene che di ulteriori interventi di rinforzo e caratterizzato da un rapporto di snellezza 0.59, è avvenuta con formazione di lesioni diagonali miste a scorrimenti orizzontali, confermando la tipologia di rottura riscontrata nelle prove sui pannelli in scala ridotta in muratura ordinaria di snellezza analoga, di cui si è riferito nel capitolo 3, fornendo ulteriore conferma anche della validità di tali sperimentazioni. 74 In definitiva il confronto con le sperimentazioni al vero, pur nella sua problematicità anche in relazione ai pochi casi analizzati, offre spunti interessanti e incoraggianti, confermando sia la previsione qualitativa del fenomeno (in termini di meccanismi di rottura) che quella quantitativa (in termini di tagli resistenti) quando i dati disponibili la hanno resa possibile. 4.5 Confronto con la normativa Anche le NTC08 (ex OPCM3431) forniscono due formulazioni per la valutazione del taglio massimo sopportabile dalle fasce di piano. La prima: Vp H p H L Hp 1 0,85 f h H t dove H p 0.4 H f h t (15) è relativa alla rottura del puntone per compressione. Essa deriva dal considerare un’estensione della zona reagente alle estremità del pannello pari al 50% dell’altezza del pannello. Tale estensione corrisponde alla massima capacità a taglio risultante dal dominio di resistenza V-N adottato per i maschi murari, ridotta poi al 40%, probabilmente per tenere conto della distribuzione non costante delle tensioni di compressione a rottura. La seconda: Vt f vo t H (16) è relativa alla rottura per trazione ma fa riferimento ad un comportamento a taglio puro (fvo), trascurando del tutto l’effetto dello sforzo normale agente sulle fasce di piano e la snellezza del pannello, mentre considera resistente tutta la sezione trasversale. Nelle figure 4.11 (a,b,c,d), per tutte le tipologie di provini considerate, è riportato il confronto tra i risultati sperimentali e le formulazioni teoriche, relative sia al nuovo modello ad arco che alla normativa. Si noti che in tutte le relazioni si è utilizzato lo stesso valore di resistenza a compressione (fh) e lo stesso valore di resistenza a trazione (quello riportato in Tab. 1), senza tener conto della riduzione convenzionale di resistenza, prevista dall’NTC08, per VpNTC08. Dalla figura si può notare che per valori di H/L bassi (pannelli snelli) tutte le formulazioni restituiscono risultati sostanzialmente simili; invece, al ridursi della snellezza 75 (H/L alti) le formule delle NTC08 sembrano sovrastimare in modo notevole la resistenza a taglio connessa allo schiacciamento del puntone (VpNTC08) e a sottostimare in modo ancora più evidente la resistenza connessa alla rottura per trazione (VtNTC08). 3500 MURATURA ORDINARIA (OM) V [N] 3000 Vcomp 2500 a) Vp (NTC08) Vtraz Vcompr OM 2000 VtNTC08 VpNTC08 1500 1000 Vtraz 500 H/L Vt (NTC08) 0 0.1 0.4 0.7 1 3500 V [N] 3000 MURATURA SETTECENTESCA (EM) Vp 2500 Vcompr Vp (NTC08) Vtraz EM b) 2000 Vt NTC08 Vtraz Vp NTC08 1500 1000 Vt (NTC08) 500 H/L 0 0.1 0.4 0.7 1 76 3500 V [N] 3000 Vcomp 2500 c) MURATURA OTTOCENTESCA (NM) Vtraz Vp (NTC08) Vcompr NM 2000 Vtraz Vt NTC08 Vp NTC08 1500 1000 500 Vt (NTC08) H/L 0 0.1 0.4 0.7 1 6000 V [N] 5000 MALTA (HM) E MALTA RINFORZATA (RHM) Vp 4000 Vcompr Vp (NTC08) Vtraz HM Vt NTC08 d) Vtraz Vp NTC08 3000 RHM 2000 1000 Vt (NTC08) H/L 0 0.1 0.4 0.7 1 Figura 4.11. Resistenza a taglio dei pannelli di fascia 77 4.5 Confronto risultati teorici e sperimentali in termini di modalità di rottura Un ulteriore confronto viene svolto tra i risultati delle analisi numeriche e quelli della sperimentazione in scala ridotta, facendo riferimento, in particolare, alle tipologie di rotture osservate. Ottenuta la configurazione del puntone attraverso l’analisi numerica, con riferimento alle snellezze sperimentate, si sono successivamente eseguite, per i soli puntoni in malta e muratura ordinaria, le verifiche a scorrimento lungo le giaciture verticali ed orizzontali, evidenziando le sezioni in cui esse non risultano soddisfatte. Dato un cubetto elementare interno al puntone, esso sarà interessato da uno stato tensionale del tipo rappresentato in figura 4.12. La verifica allo scorrimento orizzontale risulterà soddisfatta se si verifica la seguente condizione: 21< fvko + 0.4 22 dove 21 rappresenta la tensione tangenziale orizzontale agente, fvko è la resistenza a taglio del materiale, mentre 22 è la tensione di compressione perpendicolare alla giacitura orizzontale. Per la verifica allo scorrimento verticale, invece, dovrà risultare: 12< fvko + 0.4 dove rappresenta la tensione tangenziale verticale agente, fvko è la resistenza a taglio del materiale, mentre 11 è la tensione di compressione perpendicolare alla giaciture verticale. Nei grafici di seguito riportati si evidenziano, per le fasce snelle, intermedie e tozze in muratura ordinaria e malta, le sezioni in cui le verifiche a scorrimento non sono soddisfatte. Si sono considerati tre step consecutivi in modo da valutare l’andamento delle lesioni e per ognuno di essi si è indicato il valore della tensione di trazione principale nel nodo centrale del provino. Figura 4.12: Stato tensionale agente su un cubetto elementare 78 Per il pannelli in materiale omogeneo con rapporti di snellezze (H/L) pari a 1.07 e 0.71 si osserva come combinando le lesioni verticali ed orizzontali (individuate rispettivamente da linee rosse e blu) è possibile leggere una lesione diagonale. Per la fascia snella , invece, la presenza delle sole lesioni orizzontali indica l’assenza di uno stato tensionale di trazione ortogonale all’asse del puntone. Con riferimento ai provini in muratura ordinaria, invece, al variare del rapporto di snellezza si osservano sempre delle linee di scorrimento molto estese. MURATURA ORDINARIA 0 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 120 110 0 140 20 130 40 10 x 0 30 60 50 80 70 100 90 120 110 140 130 x 0 10 10 20 20 30 30 40 40 50 50 60 60 70 70 80 z 90 100 z STEP 20: Max=0,039N/mm2 0 20 10 40 30 60 50 100 80 70 90 120 110 STEP 20: Max=0,068 N/mm2 140 0 130 20 10 x 0 40 30 60 50 80 70 100 90 120 110 140 130 x 0 10 10 20 20 30 30 40 40 50 50 60 60 70 70 80 z 90 100 z STEP 21: Max=0,058 N/mm2 0 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 120 110 STEP 21: Max=0,10 N/mm2 0 140 130 10 x 0 20 40 30 60 50 80 70 100 90 120 110 140 130 x 0 10 10 20 20 30 30 40 40 50 50 60 60 70 70 80 z 90 100 z 2 STEP 22: Max=0,087 N/mm H/L=0.5 (fascia snella) STEP 22: Max=0,15 N/mm2 H/L=0.71 (fascia intermedia) 79 0 20 40 10 60 30 80 50 100 70 90 140 120 110 0 130 20 40 10 x 0 30 60 50 80 70 100 90 140 120 110 130 x 0 10 10 20 20 30 30 40 40 50 50 60 60 70 70 80 80 90 90 100 100 110 110 120 120 130 130 140 140 150 150 z z STEP 21: Max=0,12 N/mm2 0 STEP 22: Max=0,18 N/mm2 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 140 120 110 130 x 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 110 120 130 140 150 z STEP 23: Max=0,22 N/mm2 H/L=1.07 (fascia tozza) MATERIALE OMOGENEO (MALTA) 0 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 120 110 140 0 130 x 0 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 120 110 140 130 x 0 10 10 20 20 30 30 40 40 50 50 60 60 70 70 z z STEP 23: Max=0,19 N/mm2 STEP 24: Max=0,25 N/mm2 H/L=0.5 (fascia snella) 80 0 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 140 120 110 130 x 0 0 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 120 110 140 10 130 x 0 20 30 10 40 20 50 30 60 40 70 50 80 60 90 70 100 80 110 90 120 100 130 140 z 150 z STEP 22: Max=0,22 N/mm2 STEP 21: Max=0,19 N/mm2 0 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 140 120 110 130 x 0 0 20 10 40 30 60 50 80 70 100 90 120 110 10 140 130 x 0 20 30 10 40 20 50 30 60 40 70 50 80 60 90 70 100 80 110 90 120 100 130 140 z 150 z STEP 23: Max=0,32 N/mm2 STEP 22: Max=0,28 N/mm2 0 40 20 10 30 60 50 100 80 70 90 140 120 110 130 x 0 10 0 20 10 40 30 60 50 100 80 70 90 120 110 140 20 130 x 0 10 30 40 20 50 30 60 40 70 50 80 60 90 70 100 80 110 90 120 100 130 140 z 150 z STEP 24: Max=0,41 N/mm2 H/L=0.71 (fascia intermedia) STEP 23: Max=0,40 N/mm2 H/L=1.07 (fascia tozza) 81 Infine sono riportati i confronti tra le lesioni evidenziate durante le prove e gli schemi delle verifiche a scorrimento sia per il materiale omogeneo che per la muratura ordinaria. Da un’interpretazione qualitativa delle verifiche scaturisce una discreta corrispondenza dei risultati ottenuti numericamente rispetto a quelli sperimentali. Pannello snello muratura ordinaria Pannello intermedio muratura ordinaria 82 Pannello tozzo muratura ordinaria Pannello snello malta. 83 Pannello intermedio malta. Pannello tozzo malta. 84 Capitolo 5: La modellazione tridimensionale degli edifici in muratura 5.1 Introduzione La recente classificazione della normativa, che vede il territorio italiano come interamente sismico, impone un’analisi di vulnerabilità degli edifici esistenti (essenzialmente in muratura), volta a tutelare il patrimonio edilizio di valore culturale e storico. Tale tutela, però, deve partire dal presupposto che per “conservare” è necessario “conoscere” ed è dalla conoscenza storica che devono poi scaturire le scelte di interventi finalizzati soprattutto a preservare tali testimonianze. Nell’ambito di questa difficile operazione la tecnica delle costruzioni cerca di fornire gli strumenti per studiare complessi edifici e valutare l’efficacia di eventuali interventi di miglioramento. Essa propone, quindi, sia dei metodi di analisi volti a interpretare il comportamento degli edifici, sia delle tecniche di modellazione della struttura. Tuttavia è necessario evidenziare le notevoli difficoltà di modellazione, e poi di analisi, di edifici non ordinari con geometria in pianta e in elevazione particolarmente articolata. È possibile individuare due categorie di edifici: speciali e ordinari. Alla prima appartengono fabbricati con funzione di rappresentanza, spesso costituiti da ambienti molto ampi, adeguati ad ospitare assemblee collettive. Essi presentano molto spesso vani di forma rettangolare allungata, anche per la necessità di avere un lato più corto parallelamente al quale ordire la copertura; le pareti perimetrali, molto alte, collocate lungo una direzione prevalente a distanze elevate, sono collegate trasversalmente, in genere, solo da pannelli murari posti in corrispondenza delle testate dell’edificio e dai solai o dalle volte di copertura. In questo caso, il solaio, a causa della sua notevole estensione, non è in grado di svolgere una funzione di collegamento o di ridistribuzione delle forze ai muri nel proprio piano, disposti ad interassi troppo elevati, per cui ogni parete può essere considerata isolata rispetto alle altre parti della struttura e scomposta nei maschi murari presenti tra due aperture successive, interessati da meccanismi di ribaltamento fuori del piano. La seconda categoria è rappresentata, invece, da edifici che costituiscono l’edilizia di tessuto dei centri storici italiani, spesso adibiti a funzione residenziale e caratterizzati da locali di dimensioni modeste con una disposizione dei setti murari in pianta che si ripete con sostanziale regolarità in altezza (piano tipo), con un numero di piani variabili da due (nei piccoli centri) fino ad un massimo di sei - sette (come accade a Napoli) e con un altezza 85 d’interpiano variabile tra i 4 e i 5 m. Il fabbricato è concepito in modo tale che ci siano elementi portanti in entrambe le direzioni principali, determinando una conformazione globale di tipo scatolare. In questo modo nessuna parete è libera, ma è vincolata dagli elementi murari nell’altra direzione, purché le croci di muro siano realizzate con una tessitura adeguata a svolgere tale funzione di collegamento. Entrambe le categorie di edifici, pur essendo caratterizzate da un assetto geometrico complessivo piuttosto costante nel tempo, hanno subito notevoli modifiche nel corso dei secoli. Tali innovazioni, conseguite con l’applicazione di nuove tecniche costruttive, frutto dell’evoluzione tecnologica, hanno interessato in particolare l’impalcato, che svolge un ruolo fondamentale per il comportamento meccanico dell’edificio sia nei confronti delle azioni sismiche che di quelle verticali. Per edifici ordinari è possibile far ricorso ad analisi globali che utilizzano modellazioni a telaio equivalente o agli elementi finiti (FEM), mentre per edifici speciali, in cui vi è l’indipendenza del comportamento delle varie parti, esse si rivelano non idonee. Nella realtà ci si trova poi di fronte a situazioni intermedie, per le quali non si può rinunciare alla globalità delle analisi e i metodi di analisi attuali non sono esaurienti. In particolare in questo lavoro di tesi si pone maggiore attenzione a quest’ultima categoria di edifici, che potremmo definire come “edifici particolari”, e si analizzano due casi studio, con lo scopo di evidenziare alcune delle possibili problematiche della modellazione. Il primo caso studio è quello di un palazzo tardomedievale napoletano, conosciuto come “palazzo Petrucci”, caratterizzato da una configurazione in pianta complessa e articolata e da un notevole sviluppo in elevazione. Tale edificio, già oggetto di studio da parte dell’ing. E.A. Cordasco, viene ora studiato a partire da una modellazione 3D a telaio equivalente allo scopo di valutare il comportamento degli impalcati. Il secondo caso studio riguarda, invece, un castello, situato a Castel Volturno, il quale rappresenta un interessante esempio di edificio stratificato che allo stesso tempo, però, non si presta ad una modellazione a telaio equivalente. In tal caso, infatti, si è resa necessaria una modellazione agli elementi finiti, che comunque ha messo in luce delle criticità (dovute alla particolarità della struttura) soprattutto per la validazione dei risultati. 86 5.2 Modellazione tridimensionale a telaio equivalente: il caso di Palazzo Petrucci La modellazione tridimensionale mediante telaio equivalente consente di effettuare la valutazione della capacità sismica degli edifici tenendo conto della reale distribuzione in pianta delle pareti e dell’effetto dell’impalcato nell’ipotesi in cui sia efficace. Tale modellazione, che risulta abbastanza immediata per edifici ordinari, diventa molto critica per edifici storici con configurazioni particolarmente articolate e con stratificazione di diverse regole e tecniche costruttive. Al fine di studiare alcune delle problematiche connesse a queste tipologie di modellazioni si è considerato come caso studio un palazzo storico napoletano (palazzo “Petrucci”) complesso per la sua geometria e stratificazione. L’analisi dell’edificio viene fatta attraverso una modellazione a telaio spaziale. 5.2.1 Palazzo Petrucci Il nucleo originario di tale edificio risale all’incirca al XIV secolo ed ha subito numerosi ampliamenti, modifiche e consolidamenti nei secoli successivi, fino a raggiungere la configurazione odierna (Figg. 5.1 e 5.2). Confina su due lati con altri edifici, raggiunge un’altezza fuori terra di circa 23 m ed è costituito da un piano terra, un piano ammezzato e da tre ulteriori livelli. Si ipotizza che l’attacco dei maschi murari alla fondazione sia 1 m al di sotto dell’attuale piano di campagna. Le pareti murarie risegano lungo l’altezza variando da un massimo di 120 cm ad un minimo di 45 cm. Gli impalcati sono di tipologie differenti ai vari livelli: all’ultimo livello vi sono solai con putrelle in ferro, al quarto con travi di legno e al piano terra, invece, sono presenti soprattutto volte a vela o a botte. Al primo e al secondo livello (piano ammezzato e primo piano) gli impalcati sono misti con volte in alcuni campi e solai lignei in altri. La copertura dell’edificio è in parte piana ed in parte a due falde inclinate, con struttura in legno. Esiste un’unica scala del tipo a volta rampante in muratura. Nel complesso la tipologia strutturale dell’edificio si può considerare di tipologia intermedia tra la prima e la seconda classe secondo la classificazione di Pagano [Pagano, 1969]. 87 Pianta piano terra Pianta piano ammezzato Pianta primo piano Pianta secondo piano Pianta terzo piano Figura 5.1: Rilevo architettonico Palazzo Petrucci – piante (Arch. Helen Rotolo) Sezione A-A’ Sezione B-B’ 88 Prospetto su P.zza S. Domenico Maggiore Prospetto su via Benedetto Croce Figura 5.2: Rilevo architettonico Palazzo Petrucci – sezioni e prospetti (Arch. Helen Rotolo) 5.2.2 Modellazione Per la costruzione del modello spaziale si sono dapprima individuate le pareti resistenti in direzione x ed y (Fig.5.3) e successivamente si è definito lo schema di telaio equivalente per ciascuna di esse, rappresentato nelle figure 5.4 e 5.5 in relazione alle direzioni anzidette. Il telaio è individuato da ritti che schematizzano il maschio murario e aste che rappresentano le fasce di piano, mentre i nodi sono definiti come infinitamente rigidi. Dall’assemblaggio di tali schemi è stato infine ottenuto un modello spaziale (Fig. 5.6). È importante evidenziare come nelle modellazioni a telaio di edifici in muratura, a differenza di ciò che accade nei moderni edifici intelaiati in c.a., i ritti delle pareti nelle due direzioni principali (x e y) non coincidono. Ciò implica che le sezioni vengono assegnate sia per i ritti in direzione x che y, per cui è opportuno considerare solo la loro inerzia maggiore. Nelle modellazioni questo può essere ottenuto mediante l’utilizzo di “releases” (rilasci) assegnati alle estremità delle aste. Tuttavia va osservato come l’individuazione dello schema di telaio adeguato a ciascuna parete, in grado cioè di fornire una risposta del modello abbastanza corrispondente a quella reale, non sia immediata. Infatti la complessità geometrica, collegata in gran parte alla distribuzione, in genere non regolare, delle aperture, comporta la necessità di scelte ed accorgimenti non codificabili, da definire caso per caso, che richiedono una adeguata sensibilità strutturale del progettista, e di cui ovviamente si deve tenere conto anche nella fase di interpretazione dei risultati. Di seguito si riportano alcuni accorgimenti adottati nel caso specifico di palazzo Petrucci: - Ai ritti in cui si suddividono i maschi murari unici sono state assegnate dimensioni fittizie (tali da fornire globalmente le stesse rigidezze flessionali e taglianti del maschio reale), e sono 89 Pianta piano terra Pianta piano ammezzato Pianta primo piano Pianta secondo piano Pianta terzo piano Figura 5.3: Pareti resistenti stati collegati in testa da una coppia di pendoli inestensibili, che assicura l'uguaglianza della rotazione in testa dei ritti equivalenti. Il numero di tali ritti è stato talvolta influenzato dalla necessità di modellare collegamenti rigidi tra i ritti nelle due direzioni tali da non alterare il comportamento reale della struttura e pertanto disposti a piccole distanze tra loro (ragione per cui si rende indispensabile avere un numero di ritti maggiore). 90 - La distribuzione irregolare delle aperture determina difficoltà nella definizione della lunghezza della parte deformabile delle aste orizzontali, che vanno risolte caso per caso variando l’estensione e l’inclinazione dei tratti indeformabili. Per quanto riguarda la definizione del comportamento meccanico (resistente e deformativo) di ciascun elemento strutturale, per i maschi murari si è adottato il modello di trave dotata di rigidezza e resistenza sia flessionale che tagliante, tenendo conto, per la sola resistenza, dell’incapacità del materiale di resistere a trazione. L’edificio in questione presenta parti realizzate con tecniche costruttive di epoche diverse, ciascuna corrispondente a diverse tipologie murarie storiche che hanno caratterizzato l’area napoletana dal XVI al XX secolo. In particolare, nell’edificio di studio si possono individuare alcuni elementi murari realizzati "a cantiere", diffusi nel XVI e nel XVII secolo, altri "a filari di bozzette", riferibili al XVIII secolo, e altri ancora "a filari di blocchetti a sacco", adottati nel XIX secolo e nella prima metà del XX [Fiengo e Guerriero, 1998], come visibile dalle figure 5.7 e 5.8. Per ognuna delle tipologie murarie individuate, sono stati adottati valori per la resistenza a compressione ed il modulo elastico diversi, pari a quelli ottenuti sperimentalmente dalle prove eseguite su modelli in scala reale e sintetizzati in tabella 1. Tabella 1: Caratteristiche meccaniche [N/mm2] Cantieri Bozzette max 0 E 3.25 0.12 965 max 2.60 Blocchetti 0 E max 0 E 0.10 1160 2.17 0.08 830 In ogni caso la resistenza a compressione è stata ridotta del 20% per tenere conto delle condizioni reali diverse da quelle riproducibili in laboratorio. Non avendo a disposizione valori sperimentali di resistenza a taglio essa è stata posta pari ad 1/30 della resistenza a compressione, valore che si ottiene usualmente per la muratura in pietra di tufo. 91 Figura 5.4: Modello a telaio delle pareti murarie in direzione x 92 Figura 5.5: Modello a telaio delle pareti murarie in direzione y 93 Figura 5.6: Modello: telaio spaziale 94 Figura 5.7: Stratificazione delle pareti murarie in dir. x Figura 5.8: Stratificazione delle pareti murarie in dir. y Altro problema connesso alla modellazione è relativo alla rigidezza degli impalcati nel proprio piano, che, a causa delle diverse tipologie presenti, tutte in genere non riconducibili ai moderni solai, è di difficile se non impossibile valutazione, nonostante le numerose ricerche attualmente in atto a proposito. Pertanto, non essendo allo stato dimostrabile che essi siano sicuramente non rigidi, per l’analisi sismica del fabbricato è necessario quanto meno considerare sia l’ipotesi di impalcato deformabile che di impalcato infinitamente rigido, che rappresentano i due limiti estremi della fascia di comportamento meccanico in cui necessariamente è compresa la risposta effettiva della struttura. A tal proposito si sono analizzate quattro ipotesi di comportamento dell’impalcato (A, B, C e D), descritte nel capitolo 2. La configurazione A, che corrisponde all’ipotesi di assenza totale dell’impalcato, pur non rappresentando una reale condizione per il caso in esame, viene comunque considerata per motivi di studio. In tale ipotesi si considerano completamente scollegate tra loro le pareti, ritenendo non affidabili le croci di muro e del tutto assente l’impalcato (configurazione di edificio semiruderizzato). Nel modellare questa configurazione si è reso necessario considerare il comportamento della parete anche fuori dal piano (non si utilizzano “releases”). Nel caso B, invece, i telai nelle due direzioni vengono collegati in corrispondenza delle croci di muro mediante un vincolo interno “equal” che solidarizza le pareti disposte nelle due 95 direzioni e si considera possibile, anche in questo caso, un loro comportamento fuori dal piano (spanciamento). L’ipotesi C considera un impalcato a deformabilità finita e viene schematizzato mediante pendoli diagonali (rappresentati in colore rosso in figura 5.9 con riferimento al piano terra) che convergono o in un punto appartenente ad uno dei ritti nelle due direzioni x ed y o in un punto fittizio, e in entrambi i casi tali punti sono stati solidarizzati tra loro mediante un vincolo di diaframma rigido. Per tale configurazione si analizza inoltre una ulteriore distinzione, ovvero: il caso in cui nei solai voltati si suppone efficace il masso sovrastante e il caso in cui esso si ritiene non idoneo a collegare le pareti tra loro e si attivi un puntone arcuato all’interno della volta stessa (modello descritto nel cap. 2). Nel caso specifico per la definizione delle sezioni delle diagonali si è considerato uno spessore della soletta pari a 10 cm e uno spessore delle volte di 30 cm, la lunghezza, invece, sempre pari al 20% dell’estensione della diagonale. In particolare nella modellazione che tiene conto del solo effetto irrigidente delle volte (assenza del masso efficace) a causa dello sviluppo ad arco del puntone viene ridotta l’area del puntone compresso mediante un coefficiente pari a cos2, in cui l’angolo (dato dall’inclinazione dell’arco lungo la diagonale) varia in funzione della tipologia di volta. In effetti dal rilievo svolto dall’arch. Helen Rotolo è possibile per tutte le tipologie di volte presenti nell’edificio (volte a vela, a botte e a crociera) conoscere le loro dimensioni in pianta, e solo per alcune il valore della freccia e quindi l’angolo . Pertanto si è assunto per tutte le tipologie di volte a vela un angolo pari a 30°, per le volte a botte 21° e per quelle a crociera 44°. Allo scopo, poi, di utilizzare tali modellazioni per analisi di tipo lineari in cui si tenga conto della non resistenza a trazione delle diagonali è possibile assegnare alle due diagonali (compressa e decompressa) una sezione pari alla metà di quella della diagonale compressa. Infine la configurazione D (impalcato infinitamente rigido) viene ottenuta mediante l’utilizzo di un vincolo diaphragm a ciascun piano. È inoltre da evidenziare come modellazioni così complesse consentono anche di tener conto di eventuali meccanismi locali, che comunque necessitano delle verifiche specifiche consentite dalla norma. 96 Figura 5.9: Modellazione del caso “C”: pianta piano terra. 5.2.3 L’analisi dei carichi verticali e la modellazione delle masse La massa è stata assegnata in ciascun punto del telaio in relazione all’area di influenza, considerando sia il contributo dell’impalcato e sia del peso proprio della struttura. In particolare, in tabella 2 si riportano i pesi unitari considerati per l’analisi dei carichi. Tabella 2: Pesi unitari delle strutture [kN/mq] MURATURA Muratura in tufo TIPO DI SOLAIO Solaio in legno Volte Solaio in ferro con voltine in tufo Copertura in legno SCALE Scala in muratura Scala in muratura con volte Gk 17 Gk 3,79 17,75 6,28 1,42 Gk 8,07 9,63 Osservando tali valori è possibile dedurre come effettivamente il peso della muratura, per il caso in esame in cui gli spessori dei muri sono molto grandi, sia molto più incidente rispetto a quello dei solai. Fanno eccezione i solai voltati, i quali sono molto pesanti, ma generalmente i muri della gabbia che li contengono hanno spessori notevoli. Tutto ciò dimostra quindi come i carichi e di conseguenza le masse sono già distribuite in maniera 97 proporzionale alla rigidezza per questa tipologia di edificio (edificio antico compreso tra la prima e la seconda classe). Determinati i carichi verticali, nella condizione sismica, gravanti su ciascun maschio murario in relazione alla propria area di influenza (divisi successivamente in parti uguali tra ritti appartenenti a maschi unici) si è ripartita poi la massa in funzione di essi, ovvero: M i , j M tot , j CVi , j CVtot , j dove Mi,j rappresenta la massa assegnata al nodo i del piano j; Mtot,j è la massa totale al piano j; CVi,j è il carico verticale che insiste nel nodo i al piano j; CVtot,j è il carico verticale totale al piano j. In tabella 3 si riportano in sintesi i pesi sismici e le masse totali calcolati per ciascun piano. Tabella 3: Pesi sismici e masse Impalcato 1 2 3 4 5 Pesi sismici [kN] 54589 52285 38025 24548 16564 Masse [ton] 5565 5329 3876 2502 1688 Le masse così determinate sono state infine assegnate in ciascun nodo sia lungo la direzione x che y. 5.2.4 Analisi lineari Per poter confrontare i diversi comportamenti dell’edificio al variare delle configurazioni che l’impalcato può assumere (descritte al par. 5.2.2), si sono dapprima analizzati i modi di vibrare della struttura ottenuti da un’analisi di tipo modale. Nelle figure si riportano solo i primi due modi di vibrare per ciascun caso considerato (A, B, C, C con modello del puntone arcuato, D) con i relativi periodi (T) e masse partecipanti (M*). Nel caso A le pareti AX e IX oscillano fuori dal piano. In effetti in questa ipotesi le pareti sono del tutto scollegate tra loro (sia per l’assenza dell’impalcato che per l’inefficacia delle croci di muro). Va osservato inoltre che per riuscire al eccitare una massa di circa l’80%, nelle due direzioni x ed y, è necessario considerare un numero notevole di modi di vibrare (250 modi). Pertanto, analizzando i singoli modi di vibrare, si osserva che per avere un modo di vibrare nel piano della parete si deve arrivare al modo centocinquesimo con un periodo di 98 0.94 sec e una massa partecipante dell’1%. È importante precisare che tale modello è utile solo per esprimere in maniera qualitativa il comportamento dell’edificio. In effetti a rigore sarebbe stato opportuno esaminare una differente modellazione delle pareti: i maschi unici sono stati schematizzati con ritti aventi complessivamente la stessa inerzia flessionale e tagliante iniziale nel piano, mentre nel modello A, e anche in quello B, in virtù del fatto che sono ammessi meccanismi fuori piano, si sarebbe dovuta considerare l’uguaglianza dell’inerzia fuori dal piano (ciò comporta l’assegnazione di sezioni diverse ai ritti). Tale modifica consentirebbe di tener conto in maniera più corretta della deformabilità della parete fuori dal piano, ottenendo dei periodi più bassi rispetto a quelli restituiti dal modello preso in esame (i quali non sono stati riportati non essendo reali). Tuttavia il confronto svolto è stato finalizzato solo a cogliere le differenze di comportamento dell’edificio al variare delle ipotesi sull’impalcato e non a valutare quantitativamente i meccanismi fuori dal piano (la cui esistenza è peraltro scontata per pareti non collegate a livello del piano). Nel caso B il primo modo eccita una massa partecipante del 35% (in direzione y) con un periodo (fuori dal piano) di 2.08 sec, il secondo modo, invece, coinvolge una massa del 6% (in direzione y) con un periodo di 1.52 sec. Si osserva con riferimento a quest’ultimo anche un meccanismo locale della parete NX, la quale tende a spanciarsi assumendo una deformata ad arco (pressoflessione fuori dal piano). Anche in questo caso il numero di modi da considerare per avere una massa partecipante di circa l’80% è di 260. Per i casi C (con e senza l’efficacia della soletta sulle volte) si osserva dalla deformata, in particolare per il primo modo, un coinvolgimento di tutta la struttura, infatti la massa partecipante è del 38% (in direzione y) per il primo caso (C- con soletta efficace sulle volte) e del 41% (in direzione y) nel secondo (C- assenza di una soletta efficace sulle volte e formazione del puntone arcuato). Il secondo modo è invece di tipo locale e coinvolge una piccola massa (3% nel primo caso e 0.8% nel secondo). I periodi risultano essere più bassi rispetto al caso B e in particolare per il primo modo variano tra 1.54 e 1.49 sec, mentre nel secondo tra 1.17 e 0.93 sec. Il numero di modi tenuti in conto è per entrambe le ipotesi pari a 270. Infine nella configurazione D si osserva una notevole partecipazione di massa sia al primo modo (My*=60%) che al secondo (Mx*=46%) con periodi rispettivamente di 1.24 e 0.75 sec., a conferma dell’efficacia dell’impalcato nel collegare le pareti e conferire un comportamento scatolare all’edificio. 99 Caso a: Meccanismo fuori dal piano per la parete AX Caso a: Meccanismo fuori dal piano per la parete IX 100 Caso a: T105=0.94 sec (nel piano) – My*=1% Caso b: T1=2.08 sec (fuori dal piano) – My*=35% 101 Caso b: T2=1.52 sec (fuori dal piano) – My*=6% Caso c (soletta efficace nelle volte): T1=1.54 sec – My*=38% 102 Caso c (soletta efficace nelle volte): T2=1.17 sec – My*=3% Caso c: T1=1.49 sec – My*=41% 103 Caso c: T2=0.93 sec – My*=0.8% Caso d: T1=1.24 sec – My*=60% 104 Caso d: T2=0.75 sec – Mx*=46% Figura 5.10: Modi di vibrare della struttura al variare della configurazione assunta dall’impalcato Per valutare la capacità sismica della struttura si è adottata sia l’analisi statica lineare (ASL) che l’analisi dinamica modale (ADM). In entrambi i casi le azioni sismiche sono state calcolate con riferimento allo spettro di risposta dell’NTC08, per suolo B, ridotto con un fattore di struttura pari a 2.7, adottando il valore di sovraresistenza u/1=1.8 e di q0 pari ad 1.5. Nelle figure 5.11 e 5.12 si mostrano rispettivamente i parametri sismici corrispondenti alla zona oggetto di studio e il grafico dello spettro elastico e di progetto corrispondenti. Dopo aver determinato le forze da applicare a ciascun piano (Tab. 4) si sono ripartite nei nodi del telaio in funzione dei carichi verticali, secondo la seguente formula: FO i , j FOtot , j CVi , j CVtot , j dove FOi,j rappresenta la forza assegnata al nodo i del piano j; FOtot,j è la massa totale al piano j; CVi,j è il carico verticale che insiste nel nodo i al piano j; CVtot,j è il carico verticale totale al piano j. Per un primo confronto tra i diversi modelli, nelle figure 5.13 e 5.14 si riportano, solo per il penultimo piano, le deformate ottenute applicando le forze orizzontali rispettivamente in direzione x e y. Non si considera il caso C in cui la soletta sulle volte non è efficace, in quanto a tale piano non produce differenze significative della deformata. 105 Figura 5.11: Parametri sismici (P.zza S. Domenico Maggiore – Napoli) 0.7 0.6 S [g] Se (SLV) Sd (SLV) 0.5 0.4 0.3 0.2 T [sec] 0.1 0.0 0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50 4.00 Figura 5.12: Grafico degli spettri 106 Tabella 4: Forze sismiche per ciascun piano Impalcato 1 2 3 4 5 Forze sismiche [kN] 5699 9906 10887 9767 7985 Nel caso A, le pareti si deformano in modo indipendente le une dalle altre e presentano deformate fuori dal piano per sisma ortogonale ad esse. In B invece si osserva una deformata ad arco delle pareti (essendo collegate solo nelle croci di muro). Con riferimento alle configurazione C e D, è possibile infine, osservare un comportamento globale dell’edificio, dovuto proprio all’efficacia di collegamento tra le pareti offerta dall’impalcato. È inoltre da notare come nella direzione y gli spostamenti siano molto maggiori a causa della maggiore deformabilità delle pareti (per la presenza di molte aperture –vedi figura 5.5). Comportamenti analoghi si riscontrano anche con riferimento alle deformate nelle due direzioni dovute all’applicazione di uno spettro di progetto (analisi dinamica modale) (Figg. 5.15 e 5.16). Caso A 107 Caso B Caso C (soletta efficace nelle volte) 108 Caso D Figura 5.13: Deformate del penultimo impalcato per forze in direzione x (ASL). Caso A 109 Caso B Caso C (soletta efficace nelle volte) 110 Caso D Figura 5.14: Deformate del penultimo impalcato per forze in direzione y (ASL). Caso A 111 Caso B Caso C (soletta efficace nelle volte) 112 Caso D Figura 5.15: Deformate del penultimo impalcato per sima in direzione x (ADM). Caso A 113 Caso B Caso C (soletta efficace nelle volte) 114 Caso D Figura 5.16: Deformate del penultimo impalcato per sima in direzione y (ADM). Con riferimento sia all’analisi statica lineare (ASL) che dinamica modale (ADM) è riportata, nelle figure 5.17 e 5.18, la distribuzione del tagliante sismico alle varie pareti nelle diverse ipotesi di comportamento dell’impalcato considerate (par. 5.2.2). È da evidenziare però come nel caso di analisi dinamica modale le sollecitazioni siano molto più basse rispetto a quelle dell’analisi statica lineare in quanto in esse (a causa della combinazione del tipo CQC) si perde il segno delle sollecitazioni. Si riscontra come effettivamente nel caso A le pareti hanno un tagliante nel loro piano pari proprio alla somma delle forze sismiche assegnate. Nel caso B si ottiene, per alcune pareti, un tagliante molto elevato in quanto esse risultano molto più rigide rispetto alle pareti ortogonali alle quali sono collegate. Questo dimostra l’importanza dell’impalcato per la ridistribuzione delle forze alle pareti con rigidezza maggiore. Infatti non basta che le croci di muro siano ben ammorsate ma deve esserci anche un impalcato efficace affinché si abbia una ridistribuzione più equa delle sollecitazioni. Nel caso D si ha che le pareti più rigide sono quelle che assorbono un tagliate maggiore, al contrario di quelle molto deformabili (meno sollecitate). I casi C risultano avere un comportamento intermedio tra B e D. Tale risultato è di notevole importanza in quanto consente di affermare che l’infinita rigidezza dell’impalcato non sia indispensabile ma può essere sufficiente inserire solo delle catene nelle due direzioni 115 dell’edificio per ottenere un comportamento semirigido che garantisca una discreta ridistribuzione. Va altresì evidenziato come la configurazione di impalcato infinitamente rigido sia per edifici antichi molto difficile da ottenere. In edifici in muratura (al contrario di quelli in c.a.) le pareti sono presenti nelle due direzioni (x e y) e le masse sono distribuite come le rigidezze, per cui se una parete prende sollecitazioni maggiori è perché è più rigida (sempre che non si raggiunga il limite ultimo che ne causa il ribaltamento). Si noti inoltre che le pareti portano un peso che, nell’ipotesi di impalcato efficace, potrebbe essere ridistribuito. Ciò avviene però solo nel caso in cui la rigidezza della parete che porta molto carico fosse più bassa delle altre pareti (ad esempio nel caso in cui nella parete ci sono molte aperture), diversamente l’unico peso che deve essere ridistribuito dall’impalcato efficace, rimane solo quello dell’impalcato stesso, che in percentuale è meno influente rispetto a quello della parete. In realtà la configurazione D non dovrebbe differire molto dalla C, visto che le masse delle pareti sono proporzionali alla loro rigidezza, per cui effettivamente l’impalcato non è impegnato in una ripartizione. Al contrario invece, si può notare dai diagrammi come questa ipotesi produca una diversa ridistribuzione nelle pareti ortogonali alla direzione del sisma. Tale differenza si giustifica per la presenza di una rotazione dell’impalcato, infatti come si osserva anche dalle deformate (Figg. 5.13 e 5.14, caso D) esso subisce oltre allo spostamento nella direzione in cui sono applicate le forze, anche una rotazione. Le pareti che nella direzione ortogonale al sisma assorbono il tagliante sono proprio le pareti più rigide. Da queste osservazioni è possibile allora dedurre che non è necessario rendere i solai rigidi e di conseguenza le strutture in muratura possono essere modellate correttamente con modelli piani che non tengono conto degli effetti torsionali. 35000 Direzione x-sisma x V [kN] 30000 CASO A CASO B 25000 CASO C (mod. puntone arcuato) 20000 CASO C CASO D 15000 10000 5000 0 AX BX CX DX EX FX GX HX IX LX MX NX 116 35000 Direzione y-sisma x V [kN] 30000 CASO A CASO B 25000 CASO C (mod. puntone arcuato) 20000 CASO C CASO D 15000 10000 5000 0 AY BY CY DY EY FY GY HY IY LY MY NY OY 35000 Direzione x-sisma y V [kN] 30000 CASO A CASO B 25000 CASO C (mod. puntone arcuato) 20000 CASO C CASO D 15000 10000 5000 0 AX BX CX DX EX FX GX HX IX LX MX NX 35000 Direzione y-sisma y V [kN] 30000 CASO A CASO B 25000 CASO C (mod. puntone arcuato) 20000 CASO C CASO D 15000 10000 5000 0 AY BY CY DY EY FY GY HY IY LY MY NY OY Figura 5.17: Distribuzione del tagliante per sisma in direzione x ed y (ASL). 117 15000 V [kN] Direzione x -modale x 12500 CASO A 10000 CASO B CASO C (mod. puntone arcuato) 7500 CASO C CASO D 5000 2500 0 AX 15000 BX CX V [kN] DX EX FX GX HX IX LX MX NX Direzione y -modale x 12500 CASO A 10000 CASO B CASO C (mod. puntone arcuato) 7500 CASO C 5000 CASO D 2500 0 AY BY CY DY EY FY GY HY IY LY MY NY OY 15000 12500 V [kN] Direzione x-modale y CASO A CASO B 10000 CASO C (mod. puntone arcuato) 7500 CASO C CADO D 5000 2500 0 AX BX CX DX EX FX GX HX IX LX MX NX 15000 12500 Direzione y-modale y V [kN] CASO A CASO B 10000 CASO C (mod. puntone arcuato) 7500 CASO C CASO D 5000 2500 0 AY BY CY DY EY FY GY HY IY LY MY NY OY Figura 5.18: Distribuzione del tagliante per sisma in direzione x ed y (ADM). 118 5.3 Modellazione con elementi lastra-piastra: il caso del castello di Castel Volturno Il secondo caso studio considerato riguarda un edificio speciale, ovvero un castello, sito a Castel Volturno e oggetto di un progetto di restauro redatto dal prof. Guerriero. In esso vengono proposti una serie di interventi volti sia a migliorare sismicamente la struttura e sia a consentirne una rifunzionalizzazione (con destinazione di biblioteca – Figg. 5.17, 5.18 e 5.19). Prendendo spunto da tale progetto si è studiata una possibile tecnica di modellazione che vede l’utilizzo di elementi lastra-piastra e che considera due ipotesi di comportamento della struttura: la prima relativa allo stato di fatto (struttura semiruderizzata) e la seconda che tiene conto delle scelte progettuali proposte, le quali essenzialmente mirano a ripristinare i collegamenti trasversali. Nello stato di fatto l’edificio presenta: pareti non sufficientemente ammorsate; lesioni di distacco nelle croci di muro; un avanzato stato di degrado ed estese lacune nei solai (realizzati con travi in legno); coperture del tutto assenti e lesioni in corrispondenza sia della volta (situata al terzo piano – Fig 5.17) che lungo gli speroni. In particolare il progetto di restauro prevede interventi poco invasivi e rispettosi dell’esigenza di conservazione della fabbrica, i quali tendono anche ad un miglioramento del comportamento sismico della struttura. Gli interventi significativi proposti sono: Cuciture delle lesioni negli speroni in maniera da ripristinare la rigidezza originaria dell’elemento. Rifazione degli impalcati con solai costituiti da travi metalliche nelle due direzioni e sovrastante lamierino metallico opportunamente rasato. Si prevedono, inoltre, elementi diagonali negli angoli, collegati alle travi e non alle murature, che assicurano la cucitura della croce muraria senza il ricorso ad invasive perforazioni armate. Rifazione delle coperture opache con manto di tegole su orditura lignea e sovrastante doppio tavolato (incrociato). Copertura trasparente della torre libri (indicata in Fig. 5.17) realizzata con collegamenti metallici nelle due direzioni (Fig. 5.19). Cordolatura di acciaio su tutta la cresta muraria che assicuri così la ricucitura delle pareti almeno in sommità. Inserimento di alcune catene metalliche da collocarsi nel masso sovrastante la volta in muratura, con evidente funzione di collegamento tra le pareti e mitigazione degli incrementi di spinta dovuti ai nuovi carichi. 119 Pila Torre libri Rampa Spalla Pianta piano terra Pianta primo piano Pianta secondo piano Pianta terzo piano Volta a botte Pianta coperture Figura 5.17: Piante dello stato di progetto (tratte dal progetto di restauro del prof. Guerriero) Figura 5.18: Sezione prospettica dello stato di progetto (tratta dal progetto di restauro del prof. Guerriero) 120 Figura 5.19: Viste interna alla torre libri nello stato di progetto (tratte dal progetto di restauro del prof. Guerriero) Le passerelle e rampe della torre libri (fig. 5.19) non trasmettono i nuovi rilevanti carichi verticali alle pareti in muratura ma assicurano comunque il collegamento orizzontale della nuova struttura metallica alla scatola muraria che è chiamata ad equilibrarne l’azione inerziale ondulatoria. Anche in questo caso, per garantire la cucitura, seppur puntuale, delle croci di muro si prevede un collegamento diagonale tra le travi metalliche in corrispondenza dei cantonali. 5.3.1 Stratificazione storica e conseguenti aspetti meccanici Il Castello costituisce uno straordinario episodio di costruzione stratificata. Esso sorge su di un sito particolarissimo, alla foce del Volturno, oggi contiguo al fiume ma originariamente nell’alveo dello stesso. Infatti la fabbrica sorge sulle rovine del ponte romano e precisamente sulla pila, la spalla e la rampa di accesso al ponte (individuate in Fig. 5.17). Nel IX° secolo i Longobardi chiusero il volume tra la pila e la spalla romana con murature in tufo arricchite da grossi elementi di pietra lavica provenienti dalla pavimentazione della via Domiziana. Al di sopra della quota della spalla e della pila fu eretta una prima torre. Al basso medioevo risale l'erezione degli ambienti sulla verticale della pila, per ulteriori due livelli, e di quelli adiacenti, per tre livelli, che ha determinato l'assetto che caratterizza il monumento. Nel corso dell'età moderna sono stati eretti diversi contrafforti in tufo giallo "a cantieri", nel tentativo di contrastare le rotazioni verso l'esterno delle murature d'ambito. Al XVIII secolo risale la sopraelevazione con murature di bozzette di tufo giallo degli ambienti agli estremi nord e sud, con il pareggiamento altimetrico dell'intero complesso, che ha subito 121 ulteriori rifacimenti all'ultimo livello nella seconda metà del XIX secolo, quando alcuni tratti della cortina meridionale sono stati rifatti con blocchetti di tufo grigio campano. La pila romana reca sin oltre il pelo dell'acqua antico una cortina di grossi blocchi calcarei (larghi circa 60 cm), che probabilmente fodera un nucleo interno in opera cementizia a getto (scapoli di tufo, rari frantumi di mattoni, ottima malta di calce idraulica e pozzolana). Più in alto, il corpo dell'arcata superstite reca ghiere esterne e ricorsi intermedi in bipedali (grossi mattoni romani) e un nucleo, dimensionalmente prevalente, in opera cementizia del tutto analoga a quella sottostante. La spalla è anch'essa in opera cementizia, mentre la rampa adiacente è rivestita sui fianchi con opera vittata (blocchetti regolari di tufo giallo). Non è noto quanto sia profonda la muratura, pur essendo plausibile che la spalla abbia uno spessore analogo a quello della pila e che la rampa non abbia un nucleo interno in terra. Le murature longobarde (indicate come altomedievali nella cronologia delle strutture) sono realizzate utilizzando in larga misura materiali di spoglio (grossi blocchi di tufo giallo stratificato provenienti con tutta evidenza da un'opera quadrata romana, forse un edificio pubblico di Volturnum; soprattutto basoli di lava leucitica, divelti dal lastrico della via Domiziana; rari frammenti di coccio pesto; alcuni mattoni spezzati; rari massi di opera cementizia). Tali murature sono allestite prevalentemente montando di coltello, su entrambi i paramenti, i basoli di lava vulcanica, ossia disponendo verso l'esterno la superficie spianata che un tempo costituiva il manto stradale. La forma troncopiramidale dei suddetti basoli, di dimensioni cospicue, consente un sufficiente ingranaggio dei paramenti con il nucleo murario, costituito da materiale tufaceo spaccato di piccole dimensioni costipato, legato con malta di calce aerea di qualità media. Rispetto alle murature romane, le strutture longobarde hanno una quota fondale molto più alta. Le murature tardomedievali sono realizzate a cantieri, con materiale tufaceo (giallo e grigio) spaccato di piccole dimensioni - disposto tra cantonali a blocchetti di tufo grigio, in gran parte perduti - e malta di calce aerea di buona qualità. Tali murature si segnalano per la sostanziale omogeneità della sezione trasversale. I contrafforti presenti lungo i fronti orientale e occidentale sono di pezzame spaccato di tufo giallo disposto "a cantieri". Le murature settecentesche delle sopraelevazioni delle testate nord e sud, all'ultimo livello, sono allestite con bozzette di tufo giallo, con sezione trasversale omogenea. Solo un breve tratto della fronte ovest, all'ultimo livello, reca una muratura in blocchetti di tufo grigio della seconda metà del XIX secolo, con nucleo murario a sacco, peraltro di 122 dimensioni molto ridotte, vista la sezione trasversale del muro in questione, in gran parte impegnato dai blocchetti di cortina. Le conseguenze strutturali di questa particolare stratificazione sono: L’eterogeneità delle murature: La inaffidabile ammorsatura delle murature negli incroci, dovuta proprio alla successione delle aggiunte: La diversa situazione fondale tra le parti spiccate sulla pila romana (particolarmente rigida), sulla spalla e sulla rampa romana (di minore rigidità) ed infine sul terreno alluvionale dell’alveo, tra la spalla e la pila (particolarmente deformabile). A seguito di tali considerazioni e facendo riferimento a quanto previsto dalle Istruzioni (tabella C8A.2.1), si sono assunti per le murature a conci di pietra tenera (tufo, calcarenite, ecc.) i seguenti valori dei parametri meccanici: fm = 1.9 MPa; E = 1000 MPa; w=16 kN/mq, per muratura basso medievale e moderna. fm = 1.9 MPa; E = 1200 MPa; w=18 kN/mq, per la muratura di età classica e altomedievale tali valori sono peraltro suscettibili di fattori incrementativi (o riduttivi) derivanti da particolari condizioni (tab. C8A.2.2). Nel caso in esame si ritiene che possa invocarsi una maggiorazione fino al 50% per la buona qualità della malta ed una maggiorazione del 50% per la presenza di connessioni trasversali, pertanto sarà possibile moltiplicare i parametri meccanici per un coefficiente pari a 2.25 Per quanto attiene il fattore di confidenza, da utilizzarsi come parametro riduttivo del valore di resistenza, si è assunto un valore pari a: FC = 1.12. Tenendo conto di: rilievo geometrico completo rilievo materico esaustivo esaustive indagini sul terreno proprietà dei materiali: parametri meccanici desunti da dati già disponibili. secondo quanto indicato dalla “Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle norme tecniche per le costruzioni” (12 Ottobre 2007). Il valore di calcolo fd si è ottenuto dal valore caratteristico fk, assunto pari ad fm (C8.7.1.5), diviso sia per il coefficiente parziale pari ad 2 (punto 7.8.1.1. NTC08) sia per il fattore di confidenza (FC), ottenendo: fd f m 2.25 1.91MPa m FC 123 Nel caso di verifiche tensionali statiche per le azioni gravitazionali, invece, si utilizza il valore di calcolo fd ottenuto dal valore caratteristico fk diviso sia per il coefficiente parziale pari ad 3 sia per il fattore di confidenza; in definitiva si ottiene: fd f m 0.7 2.25 0.89 MPa m FC Va tuttavia osservato che tale modalità di determinazione del valore di fd, codificata per le nuove costruzioni, appare eccessivamente severa per quelle esistenti in quanto il coefficiente di sicurezza parziale pari a 3 tiene conto anche delle incertezze correlate alla fase di realizzazione (da escludere per le opere esistenti). L’utilizzo di tale valore di calcolo deve considerarsi quindi conservativo. 5.3.2 Modellazione Per poter realizzare il modello strutturale da analizzare è necessario dapprima individuare le pareti resistenti nelle direzioni x ed y (vedi fig. 5.20) e nella fase successiva schematizzarle. Direzione x Direzione y Figura 5.20: Pareti resistenti in direzione x ed y 124 Nel caso specifico si è adottata una modellazione agli elementi finiti lastra/piastra (descritta al cap. 2) considerando la deformabilità del suolo per le azioni sismiche. In particolare si considerano come costanti di sottofondo (o costanti di Winkler) i seguenti valori: 10000 kN/m3 per il suolo sottostante la torre libri; 1000000 KN/m3 per la spalla; 500000 kN/m3 per la pila. La modellazione adottata prevede un numero elevato di elementi finiti (pari a 6314). Con riferimento allo stato di fatto le pareti vengono considerate scollegate per la parte fuori terra e i collegamenti orizzontali completamente assenti a causa della mancanza o non efficacia degli impalcati (fig. 5.21). Nello stato di progetto, invece, avendo rinunciato per motivi di tutela conservativa della fabbrica, a diffuse perforazioni armate di ricucitura dei cantonali, le pareti fuori terra si sono considerate, come nello stato di fatto, scollegate tra loro salvo dei collegamenti puntuali che verranno di seguito precisati. Figura 5.21: Modellazione FEM – stato di fatto 125 Figura 5.22: Modellazione FEM – stato di progetto In figura 5.22 è riportata la modellazione relativa allo stato di progetto. In essa si tiene conto dei provvedimenti descritti al paragrafo 5.3. Infatti si prevede: - che le parti distaccate nello stato di fatto (speroni) siano collegate mediante dei vincoli interni (“equal”) che assicurano la cucitura; - l’ inserimento, in corrispondenza degli impalcati, di elementi pendolari (per schematizzare le travi), in entrambe le direzioni, e di elementi diagonali d’angolo che assicurano localmente la cucitura delle croci di muro senza invasive perforazioni di ricucitura dei cantonali (Fig. 5.23 a). In effetti si ritiene cautelativamente che la configurazione assunta a seguito degli interventi sui solai non garantisca la formazione di un diaframma rigido nel piano orizzontale; 126 - la disposizione di elementi pendolari per le coperture opache in entrambe le direzioni con l’aggiunta di un vincolo di diaframma rigido, garantito dal doppio tavolato (Fig. 5.23 b); - l’uso di soli elementi pendolari per la copertura trasparente della torre libri nelle due direzioni (Fig. 5.23 c) non essendo assicurato un comportamento a diaframma rigido; - il collegamento delle pareti negli angoli per simulare l’effetto della cordolatura di acciaio in sommità (mediante l’inserimento di un vincolo interno -“equal”); - l’inserimento di 3 pendoli (catene metalliche) in corrispondenza della volta utili a contrastarne la spinta. Il masso presente sopra la volta viene, inoltre, modellato mediante due diagonali compresse (vedi cap. 2), aventi una sezione complessiva data dal prodotto dello spessore per una larghezza pari al 20% della diagonale (Fig. 5.23 d); - la modellazione delle travi delle passerelle e rampe come pendoli che non trasmettono i carichi verticali alla muratura ma collegano in orizzontale le pareti. In corrispondenza dei pianerottoli e delle passerelle si inseriscono ancora elementi diagonali negli angoli per garantire localmente la cucitura delle croci di muro (Fig. 5.23 e). Nel primo modello si considera agente il solo peso proprio della struttura muraria, mentre nel secondo si aggiungono i carichi dei solai, assegnati in corrispondenza dei punti in cui convergono i pendoli (travi del solaio). a) b) 127 c) d) e) Figura 5.23: Dettagli della modellazione nello stato di progetto 5.3.3 Analisi lineare Per l’analisi sismica della struttura si è adottato un metodo di analisi lineare basato sulla composizione modale (analisi dinamica modale). La sismicità dell’area del Castello, sito in Castel Volturno è stata valutata sulla base della recente classificazione puntuale del territorio, anche in funzione della possibile futura restituzione dell’edificio a funzioni pubbliche. In questa prospettiva si sono assunti i seguenti parametri di ingresso: vita nominale della struttura Vn = 200 anni; classe d’uso III (in previsione anche di significativi affollamenti); 128 periodo di riferimento Vr = 300 anni; ai quali corrispondono i valori, cerchiati nella tabella in figura 5.24 (ottenuta dalla consultazione del sito dell’ACCA), che definiscono gli spettri di risposta elastici in termini di accelerazioni. Non è prevista alcuna amplificazione topografica, essendo il terreno pianeggiante, mentre è da considerarsi una consistente amplificazione stratigrafica trattandosi di suolo classificabile come C secondo le NTC08. Figura 5.24: Parametri sismici (piazza del Castello a Castel Volturno-CS) 129 0.7 S[g] Se (SLV) 0.6 Sd (SLV)-stato di fatto 0.5 Sd (SLV)-stato di progetto 0.4 0.3 0.2 T [sec] 0.1 0.0 0.00 0.50 1.00 1.50 2.00 2.50 3.00 3.50 4.00 Figura 5.25: Grafico degli spettri Nel caso in esame ci si è riferiti, per la valutazione del miglioramento sismico, allo Stato limite ultimo di salvaguardia della vita; confrontandosi con un possibile evento sismico che avrà un periodo di ritorno di circa 2475 anni. I coefficienti di struttura adottati sono stati considerati diversi per lo stato di fatto e di progetto (le motivazioni di questa differenziazione saranno illustrate più avanti). In figura 5.25 è riportato lo spettro elastico relativo allo SLV e gli spettri di progetto adottando un coefficiente di struttura pari ad 1,5 e 2,25 rispettivamente per lo stato di fatto e per quello di progetto. Sono stati dapprima presi in esame, per le due ipotesi considerate, i risultati ottenuti dall’analisi modale in termini di deformate e il periodo proprio della struttura (Figg. 5.26 e 5.27), con riferimento ai primi tre modi di vibrare della struttura. I modo (T=1.55s) 130 II modo (T=1.36s) III modo (T=1.21s) Figura 5.26: Modi di vibrare della struttura e relativi periodi – stato di fatto I modo (T=0.47s) 131 II modo (T=0.42s) III modo (T=0.40s) Figura 5.27: Modi di vibrare della struttura e relativi periodi – stato di progetto I modi di vibrare corrispondenti allo stato di fatto (Fig. 5.26) evidenziano il comportamento disaccoppiato delle pareti, per la parte, prevalente, fuori terra. Esse oscillano come mensole fuori dal proprio piano e presentano periodi piuttosto elevati. Ne consegue che la struttura è sostanzialmente priva di risorse iperstatiche e a tal proposito si ritiene necessaria l’assunzione di un coefficiente di struttura pari a 1,5. Pertanto volendo procedere ad un’analisi sismica globale è necessario tener conto di un numero molto elevato di modi al fine di eccitare una frazione sufficiente della massa totale. Nel caso specifico si è tenuto conto di 280 modi riuscendo a partecipare l’84% della massa totale. Nella seconda ipotesi (Fig. 5.27), invece, è evidente come i collegamenti consentano di ottenere un comportamento globale della struttura, garantendo l’iperstaticità della stessa e quindi la collaborazione delle pareti nelle due direzioni. Inoltre il periodo diminuisce notevolmente passando da 1.55 sec (I ipotesi) a 0.47 sec (II ipotesi) con riferimento al primo 132 modo di vibrare. Anche in tal caso è stato necessario considerare 280 modi per eccitare una massa dell’87% rispetto a quella totale. Successivamente, in accordo con le indicazioni della norma (NTC08 par. 7.8.2.2), sono state effettuate le verifiche di sicurezza per gli elementi strutturali (maschi murari), con riferimento alle sollecitazioni scaturite dall’analisi dinamica modale. Per una lettura dei risultati di tali analisi si è individuata una suddivisione della fabbrica in pannelli numerati e nominati come indicato nelle successive figure 5.28 e 5.29, relative alla direzione x e y rispettivamente. Si precisa che pur essendo stata considerata una forte discretizzazione della struttura con l’adozione di una mesh molto fitta ai fini delle verifiche si sono considerate le risultanti delle sollecitazioni per ciascun pannello in modo da poter effettuare le verifiche con le modalità previste dalla normativa che, appunto, fanno riferimento alle sollecitazioni complessive sui singoli pannelli. In tabella 5 si riportano i dati geometrici, ovvero lunghezza, spessore e altezza dei maschi murari, individuati nelle due direzioni x ed y, lo sforzo normale da solo carico verticale (in condizione sismica) e la corrispondente 0, facendo riferimento alle sezioni al piede del piano interrato (individuate con la sigla pi), del piano terra (individuate con la sigla pt) e del secondo piano (individuate con la sigla pIII), e alla mezzeria del piano terra (individuate con la sigla pIm) e del primo piano (individuate con la sigla pIIm), queste ultime considerate al fine di poter valutare anche eventuali meccanismi locali. Nelle tabelle 6 e 7, per lo stato di fatto, sono indicati i momenti resistenti nel piano e fuori dal piano, valutati secondo le NTC08 (par. 7.8.2.2.1 e 7.8.2.2.3), i momenti di calcolo (Md1: momento di calcolo fuori dal piano; Md2: momento di calcolo nel piano) rispettivamente per sisma in direzione x ed y, e il rapporto tra il momento resistente e il rispettivo momento di calcolo. Pertanto quando questo rapporto risulta minore di 1 la verifica (a pressoflessione fuori dal piano e nel piano) non è soddisfatta (tali valori sono evidenziati nel tabulato). Le tabelle 8 e 9, invece, sono relative alle verifiche a taglio (per lo stato di fatto) e quindi contengono: il taglio ultimo (valutato con la formula di Turnsek e Cakovic), il taglio di calcolo (per sisma in direzione x ed y) e il loro rapporto. Lo stesso viene fatto anche con riferimento allo stato di progetto, per cui: nelle tabelle 10 e 11 si indicano le verifiche a pressoflessione per il sisma in direzione x ed y, mentre nelle tabelle 12 e 13 quelle a taglio. 133 Figura 5.28: Piante con individuazione delle pareti in direzione x Figura 5.29: Piante con individuazione delle pareti in direzione y 134 Pareti x 2xpi 3xpi 8xpi 9xpi 1xpt1 1xpt2 2xpt1 2xpt2 3xpt1 3xpt2 4xpt 5xpt 6xpt 7xpt1 7xpt2 8xpt1 8xpt2 9xpt1 9xpt2 10xpt 11xpt 12xpt 13xpt1 13xpt2 1xpIm1 1xpIm2 2xpIm1 2xpIm2 3xpIm1 3xpIm2 4xpIm 5xpIm 6xpIm1 6xpIm2 7xpIm 8xpIm1 8xpIm2 9xpIm1 9xpIm2 10xpIm 11xpIm 1xpIIm 2xpIIm 3xpIIm 4xpIIm 5xpIIm 7xpIIm 8xpIIm1 8xpIIm2 9xpIIm1 9xpIIm2 10xpIIm 1xpIII 2xpIII1 2xpIII2 3xpIII 4xpIII 5xpIII 7xpIII 8xpIII1 8xpIII2 8xpIII3 9xpIII 10xpIII1 10xpIII2 L t h Ncv σo [m] [m] [m] [kN] [kN/mq] 8.39 6.65 8.71 4.81 1.90 0.99 4.07 2.89 0.86 3.29 5.68 4.97 30.68 2.18 1.09 5.08 2.21 0.45 2.90 12.15 18.5 10.0 0.80 1.22 1.91 0.99 4.04 2.86 1.29 3.28 5.68 4.96 1.39 29.09 4.03 5.02 2.18 0.45 2.88 12.09 18.46 3.89 8.32 6.62 5.68 4.96 3.95 5.02 2.18 2.63 0.91 12.09 3.89 3.08 3.63 6.62 5.68 4.96 3.42 1.86 2.81 1.54 4.79 3.32 7.85 1.20 2.00 2.30 2.00 0.70 0.70 1.20 1.20 1.60 1.60 1.50 1.50 1.10 2.00 2.00 1.80 1.80 1.80 1.80 2.30 2.00 2.00 2.00 2.00 0.70 0.70 1.20 1.20 1.60 1.60 1.50 1.50 1.10 1.10 2.00 1.80 1.80 1.80 1.80 2.30 2.00 0.70 1.20 1.40 0.90 0.70 1.90 1.60 1.60 1.60 1.60 2.10 0.70 0.80 0.80 0.60 0.90 0.70 0.60 0.50 0.50 0.50 1.30 2.10 0.60 3.90 6.10 6.10 6.10 3.90 3.90 3.90 3.90 3.70 3.70 5.05 5.05 5.05 3.90 3.90 3.90 3.90 3.70 3.70 3.90 5.05 5.05 5.05 5.05 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 1893 2745 2991 2291 262 182 912 752 488 772 1592 1082 3189 579 293 1080 551 224 822 4757 4501 1513 245 311 220 160 760 644 443 608 1164 667 145 1159 671 796 427 199 660 3306 2555 231 833 556 707 298 278 289 142 305 156 1556 187 315 359 430 616 236 195 66 100 59 352 532 707 188 206 149 238 197 263 187 217 355 147 187 145 94 133 134 118 139 277 157 170 122 76 153 127 165 231 157 188 215 116 137 90 95 36 83 88 109 246 127 119 69 85 83 60 138 86 37 36 41 72 107 61 69 128 124 108 121 68 95 71 71 77 57 76 150 Pareti y L t h Ncv σo [m] [m] [m] [kN] [kN/mq] 0.90 1.40 0.80 0.80 1.00 1.00 1.00 1.00 0.80 0.80 1.40 1.40 1.80 1.00 0.80 1.00 0.80 1.40 1.80 1.80 1.00 1.00 0.80 1.00 0.80 1.40 1.00 1.00 1.00 1.00 0.45 0.50 0.50 0.5 0.5 1 1 1 1 0.5 0.5 6.10 6.10 3.90 3.90 3.90 3.90 3.90 3.90 3.90 3.90 3.90 3.90 5.05 7.75 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 2.7 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 3.9 1747 2595 189 617 63 270 123 623 349 670 430 1330 1717 874 651 897 823 1455 351 831 179 389 302 454 437 820 212 436 106 184 208 63 269 104 227 219 419 242 297 149 49 201 240 197 152 97 250 286 167 186 149 284 183 143 115 110 110 116 59 188 108 164 124 51 59 65 80 204 102 83 59 63 170 96 122 80 149 96 103 104 57 92 3ypi 9.64 4ypi 7.73 1ypt1 1.2 1ypt2 5.06 2ypt1 0.65 2ypt2 1.08 2ypt3 0.43 2ypt4 3.74 3ypt1 2.35 3ypt2 5.62 4ypt1 1.08 4ypt2 5.18 5ypt 6.67 6ypt 7.62 1ypIm 7.43 2ypIm 8.17 3ypIm 8.87 4ypIm 17.48 5ypIm1 1.04 5ypIm2 4.28 6ypIm1 1.09 6ypIm2 3.14 1ypIIm 7.4 2ypIIm 7.74 3ypIIm 8.44 4ypIIm 7.34 5ypIIm1 1.04 5ypIIm2 4.28 6ypIIm1 1.27 6ypIIm2 3.14 1ypIII 7.39 2ypIII1 0.74 2ypIII2 5.6 3ypIII1 1.71 3ypIII2 5.66 4ypIII1 1.47 4ypIII2 4.38 5ypIII1 2.34 5ypIII2 2.86 6ypIII1 5.21 6ypIII2 1.06 Tabella 5: Geometria e carichi verticali dei maschi murari in direzione x ed y Si nota dalle verifiche effettuate che allo stato di fatto il castello presenta uno stato di forte criticità con una capacità sismica molto inferiore a quello prevista per il sito. Il miglioramento sismico conseguito con il progetto di restauro risulta, invece, evidente innanzitutto sulla base di alcune considerazioni generali. Le analisi dinamiche hanno mostrato nello stato attuale un comportamento disaccoppiato delle pareti in elevazione con conseguente bassa iperstaticità della struttura ed esposizione delle pareti a pericolosi fenomeni fuori dal 135 piano. Nello stato di progetto si osserva, al contrario, un comportamento globale e solidale della fabbrica conseguendo una maggiore iperstaticità ed evitando le diffuse criticità fuori dal piano. L’effetto del miglioramento emerge, inoltre, dalla comparazione numerica degli estesi tabulati dai quali è visibile una larga diffusione delle situazioni critiche solo nello stato di fatto. Esaminando invece i risultati relativi allo stato di progetto è possibile desumere come le maggiori criticità (escludendo il muro di cinta che peraltro non è oggetto del progetto di restauro) si concentrino nel terzo piano ove effettivamente le pareti presentano una forte rastremazione dello spessore delle murature. In tabella 14 si riassumono solo per comodità di lettura le suddette criticità riscontrate per lo stato di progetto con riferimento alla condizione sismica. A fronte di queste criticità si ritiene utile proporre ulteriori interventi di consolidamento compatibili con le esigenza di rispetto dell’antico manufatto. Può risultare utile, ad esempio, cerchiare i vani compresi tra i pannelli 8xpIII1 e 8xpII2, tra i pannelli 8xpIII2 e 8xpIII3 e tra 2xpIII1 e 2xpIII2 mediante angolari metallici da collocarsi al bordo interno ed esterno del vano ed ancorati mediante chiodature alle murature. Tale intervento assicurerà la eliminazione di tali residue criticità in quanto conferirà ulteriore resistenza sia a flessione (nel piano e fuori dal piano) che a taglio. Infine solo per la verifica del pannello 2ypIII1 è possibile considerare, ai sensi del punto 7.8.1.5.2 delle NTC08, una ridistribuzione del tagliante tra i due pannelli della parete con un conseguente miglioramento nella verifica pari al 25%. È utile precisare come per l’analisi sismica non si è tento conto della combinazione del moto sismico nelle due direzioni e degli effetti del’eccentricità accidentale che, essendo inapplicabili alla configurazione attuale, se applicati nella modellazione di progetto avrebbero reso meno chiaro il confronto tra le due configurazioni dal quale emerge il miglioramento del comportamento sismico. In aggiunta alla condizione sismica è stata poi considerata anche una condizione non sismica, riferita, però, solo allo stato di progetto, essendo la struttura nello stato attuale semiruderizzata. Si è tenuto conto, in tale fase, delle eccentricità di forma (dovuta alle forti riseghe in elevazione), delle eccentricità dei carichi trasmessi dai solai e dalle coperture ed infine dell’effetto del vento. Per la condizione non sismica sono stati considerati i carichi verticali amplificati dai coefficienti parziali di sicurezza: G1k · γG1+ G2k · γG2 + Qk ·γQ 136 dove G1 è assunto pari a 1.1 (in virtù di quanto disposto dal punto 2.6.1. delle NTC08), G2 e Q pari a 1.5. La pressione del vento agente sulle pareti, è stata determinata con riferimento alle NTC08, ed è risultata pari a circa 800 N/mq nell’ipotesi di parete sopravvento e a circa 400 N/mq per pareti sottovento. Per lo stato limite ultimo in condizione non sismica occorre precisare che la rinnovata normativa non prescrive procedure idonee alla tipologia speciale in esame. Le indicazioni fornite infatti si riferiscono ad edifici murari scatolari con solai orizzontali generalmente in c.a. In questo studio si è ritenuto opportuno considerare lo SLU: STR Stato limite di resistenza; in questo caso è stata effettuata la verifica a pressoflessione delle sezioni nell’ipotesi di materiale non resistente a trazione; è stato assunto il valore di resistenza di calcolo della muratura fd, precisato in precedenza (par. 5.3.1). I risultati ottenuti da tali verifiche, sono sintetizzati delle tabelle 15 e 16 in termini di momenti resistenti e di calcolo, rispettivamente per la direzione x ed y. Per questa condizione la struttura (allo stato di progetto) risulta verificata. Si segnala solo una disverifica relativa al muro di cinta peraltro esterno all’area di intervento. 137 Pareti x Mu (nel piano) Mu (fuori piano) Md1 (modalex) Md2 (modalex) Md1 (modaley) Md2 (modaley) Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 modale x modale y [kNm] [kNm] [kNm] [kNm] [kNm] [kNm] 2xpi 3xpi 8xpi 9xpi 1xpt1 1xpt2 2xpt1 2xpt2 3xpt1 3xpt2 4xpt 5xpt 6xpt 7xpt1 7xpt2 8xpt1 8xpt2 9xpt1 9xpt2 10xpt 11xpt 12xpt 13xpt1 13xpt2 1xpIm1 1xpIm2 2xpIm1 2xpIm2 3xpIm1 3xpIm2 4xpIm 5xpIm 6xpIm1 6xpIm2 7xpIm 8xpIm1 8xpIm2 9xpIm1 9xpIm2 10xpIm 11xpIm 1xpIIm 2xpIIm 3xpIIm 4xpIIm 5xpIIm 7xpIIm 8xpIIm1 8xpIIm2 9xpIIm1 9xpIIm2 10xpIIm 1xpIII 2xpIII1 2xpIII2 3xpIII 4xpIII 5xpIII 7xpIII 8xpIII1 8xpIII2 8xpIII3 9xpIII 10xpIII1 10xpIII2 7021 7966 11827 4701 219 76 1642 941 164 1155 4000 2448 46070 579 146 2543 557 42 1076 25866 38512 7174 89 175 189 68 1387 814 248 926 3027 1563 95 16481 1283 1889 434 38 876 18520 22577 426 3287 1772 1837 700 537 709 151 383 66 9051 348 447 602 1328 1619 561 314 59 134 43 814 842 2518 1004 2396 3123 1955 81 53 484 391 305 562 1056 739 1652 532 269 901 454 167 668 4896 4163 1442 222 287 69 48 412 342 308 452 799 473 75 623 637 677 359 152 547 3523 2446 77 474 375 291 99 258 226 111 233 117 1572 63 116 133 120 257 79 55 16 24 14 221 532 192 73 -631 -305 -1034 19 10 173 179 78 355 1176 21 14 0.49 0.34 387 323 88 608 -349 236 679 -47 181 14 8 118 112 65 188 848 13 1 5 0.35 300 200 79 441 -335 91 11 167 170 499 6 0.15 141 71 165 77 -273 7 72 89 164 358 4 0.1 39 61 33 149 -103 -115 -314 984 -1691 471 205 53 1817 -149 97 1280 3489 1751 5496 293 76 1319 215 31 873 10838 7143 -257 1100 83 31 10 876 -11 53 648 2514 1072 0.64 2743 1083 789 18 8 453 7484 3645 339 1502 1252 1453 487 515 243 -3 2 21 4153 217 107 286 878 1084 309 278 36 93 12 283 -65 1407 272 274 548 -65 262 137 1248 943 459 1419 3230 1406 2094 713 350 1643 823 559 2499 7184 5095 365 67 141 195 107 986 726 413 1049 2255 877 113 505 790 1161 546 382 1864 4414 2089 159 1004 871 1337 414 391 466 215 690 320 1843 112 354 410 663 998 258 266 116 194 109 767 428 652 -345 881 -1337 465 -2 -1 1079 -464 22 556 -72 42 2849 -53 10 882 172 31 855 3382 1859 131 866 169 -24 5 552 -105 -34 367 26 33 -3 1882 92 553 13 8 428 2727 1018 -6 311 376 15 25 56 145 -1 3 20 1972 -15 -5 96 240 11 23 -26 20 42 4 327 -131 903 13.76 3.80 10.24 1.89 4.24 5.34 2.80 2.18 3.91 1.58 0.90 35.19 117.98 1084.90 790.37 2.33 1.40 1.90 1.10 14.03 17.64 2.12 4.72 1.58 4.94 6.00 3.49 3.05 4.73 2.40 0.94 36.35 75.09 124.64 1818.76 2.26 1.79 1.92 1.24 10.52 26.88 6.97 2.84 2.20 0.58 16.46 1720.46 1.60 1.56 1.41 1.51 5.76 8.95 1.61 1.49 0.73 0.72 19.78 550.73 0.40 0.39 0.43 1.48 5.17 1.67 22.36 8.10 6.99 9.98 1.07 1.42 0.90 6.32 1.69 0.90 1.15 1.40 8.38 1.98 1.93 1.93 2.59 1.35 1.23 2.39 5.39 27.92 0.08 2.11 6.09 6.79 1.58 74.04 4.68 1.43 1.20 1.46 148.26 6.01 1.18 2.39 24.12 4.75 1.93 2.47 6.19 1.26 2.19 1.42 1.26 1.44 1.04 2.92 50.30 191.58 3.16 2.18 1.61 4.18 2.10 1.51 1.49 1.81 1.13 1.63 1.44 3.61 2.88 12.95 1.79 3.69 8.74 5.70 30.07 0.31 0.39 0.39 0.41 0.66 0.40 0.33 0.53 0.79 0.75 0.77 0.55 0.55 0.30 0.27 0.68 0.82 3.95 3.31 2.03 0.35 0.45 0.42 0.47 0.74 0.43 0.35 0.54 0.66 1.23 0.81 0.58 0.66 0.40 0.29 0.80 1.17 0.48 0.47 0.43 0.22 0.24 0.66 0.49 0.52 0.34 0.36 0.85 0.56 0.33 0.32 0.18 0.26 0.31 0.21 0.14 0.12 0.13 0.29 1.24 0.30 20.35 9.04 8.85 10.11 109.34 75.50 1.52 2.03 7.45 2.08 55.56 58.29 16.17 10.93 14.65 2.88 3.24 1.35 1.26 7.65 20.72 54.77 0.10 1.03 7.87 13.59 2.51 7.76 7.29 2.52 116.44 47.36 31.63 8.76 13.94 3.42 33.40 4.75 2.05 6.79 22.18 70.97 10.57 4.71 122.45 28.00 9.58 4.89 150.90 127.72 3.31 4.59 23.22 89.37 6.27 5.53 147.23 24.38 12.07 2.93 3.20 10.82 2.49 6.42 2.79 Tabella 6: Verifica a pressoflessione (direzione x) Pareti y Mu (nel piano) Mu (fuori piano) Md1 (modalex) Md2 (modalex) Md1 (modaley) Md2 (modaley) Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 [kNm] [kNm] [kNm] [kNm] [kNm] [kNm] modale x modale y 3ypi 4ypi 1ypt1 1ypt2 2ypt1 2ypt2 2ypt3 2ypt4 3ypt1 3ypt2 4ypt1 4ypt2 5ypt 6ypt 1ypIm 2ypIm 3ypIm 4ypIm 5ypIm1 5ypIm2 6ypIm1 6ypIm2 1ypIIm 2ypIIm 3ypIIm 4ypIIm 5ypIIm1 5ypIIm2 6ypIIm1 6ypIIm2 1ypIII 2ypIII1 2ypIII2 3ypIII1 3ypIII2 4ypIII1 4ypIII2 5ypIII1 5ypIII2 6ypIII1 6ypIII2 7375 8547 100 1414 19 123 22 1045 363 1710 191 3055 5221 3094 2255 3416 3389 12251 161 1660 88 564 1082 1693 1771 2861 96 874 64 278 739 21 709 82 611 146 863 265 398 374 24 689 1548 66 224 30 114 51 280 124 243 248 826 1409 406 243 418 306 981 279 698 80 180 117 219 168 546 93 204 50 89 45 14 63 24 54 99 197 113 139 36 12 312 783 182 769 65 243 91 744 337 616 808 2079 2542 1070 684 812 716 2212 423 1292 199 468 299 447 389 1165 250 693 95 206 185 46 240 84 205 244 571 271 399 144 45 -30 -12 13 127 23 -104 -15 1914 -91 651 81 969 -44 -275 45 420 1060 -5607 -5 -5 -6 83 17 212 594 771 -7 -56 1 78 8 7 83 11 218 21 278 43 23 16 3 291 829 8 34 3 10 4 53 56 51 146 158 117 55 28 41 68 249 22 66 10 25 12 24 47 201 13 35 5 11 7 2 15 14 32 54 105 15 19 7 2 152 228 42 668 63 -95 -13 2327 -20 735 127 1501 3351 1313 899 1299 1191 -4770 32 701 15 434 380 729 680 1213 -1 194 48 217 231 12 446 15 243 37 386 208 85 352 18 2.21 1.98 0.36 0.29 0.46 0.47 0.56 0.38 0.37 0.40 0.31 0.40 0.55 0.38 0.35 0.51 0.43 0.44 0.66 0.54 0.40 0.38 0.39 0.49 0.43 0.47 0.37 0.29 0.53 0.43 0.24 0.31 0.26 0.29 0.26 0.41 0.35 0.42 0.35 0.25 0.26 245.84 712.26 7.66 11.14 0.84 1.19 1.45 0.55 3.99 2.63 2.36 3.15 118.67 11.25 50.12 8.13 3.20 2.18 32.28 332.02 14.61 6.80 63.66 7.99 2.98 3.71 13.77 15.62 63.85 3.57 92.37 2.98 8.54 7.48 2.80 6.96 3.11 6.16 17.28 23.40 8.16 2.37 1.87 8.30 6.58 9.87 11.42 12.66 5.27 2.21 4.77 1.70 5.23 12.04 7.38 8.67 10.20 4.50 3.94 12.70 10.58 8.04 7.19 9.75 9.12 3.57 2.72 7.13 5.84 10.05 8.06 6.43 7.05 4.22 1.72 1.69 1.84 1.88 7.55 7.32 5.13 5.78 48.52 37.49 2.37 2.12 0.31 1.30 1.68 0.45 18.16 2.33 1.51 2.04 1.56 2.36 2.51 2.63 2.85 2.57 5.04 2.37 5.85 1.30 2.85 2.32 2.60 2.36 96.39 4.51 1.33 1.28 3.20 1.74 1.59 5.48 2.51 3.95 2.24 1.27 4.68 1.06 1.36 Tabella 7: Verifica a pressoflessione (direzione y) 138 Pareti x Vu (T&C) [KN] Vd1 (modalex) [KN] 2xpi 3xpi 8xpi 9xpi 1xpt1 1xpt2 2xpt1 2xpt2 3xpt1 3xpt2 4xpt 5xpt 6xpt 7xpt1 7xpt2 8xpt1 8xpt2 9xpt1 9xpt2 10xpt 11xpt 12xpt 13xpt1 13xpt2 1xpIm1 1xpIm2 2xpIm1 2xpIm2 3xpIm1 3xpIm2 4xpIm 5xpIm 6xpIm1 6xpIm2 7xpIm 8xpIm1 8xpIm2 9xpIm1 9xpIm2 10xpIm 11xpIm 1xpIIm 2xpIIm 3xpIIm 4xpIIm 5xpIIm 7xpIIm 8xpIIm1 8xpIIm2 9xpIIm1 9xpIIm2 10xpIIm 1xpIII 2xpIII1 2xpIII2 3xpIII 4xpIII 5xpIII 7xpIII 8xpIII1 8xpIII2 8xpIII3 9xpIII 10xpIII1 10xpIII2 1134 1555 2068 940 102 60 549 306 134 480 958 749 2974 288 144 868 266 71 431 3030 3548 1640 111 159 95 57 510 283 163 416 851 645 90 2192 683 779 241 68 373 2645 2961 232 846 715 513 297 516 549 198 333 89 1969 217 189 260 366 489 277 158 50 82 42 473 488 487 1962 -753 2418 911 92 29 497 -61 39 342 360 226 366 147 47 285 119 23 233 956 789 95 69 41 90 28 486 -67 32 322 341 198 3 205 182 258 111 21 216 862 603 92 273 236 275 131 119 168 -8 152 13 563 81 111 134 205 255 113 98 31 62 13 136 114 354 Vd2 (modalex) Vd1 (modaley) Vd2 (modaley) [KN] [KN] [KN] 160 867 444 938 3 2 56 31 57 62 -98 3 12 0.002 0.001 104 13 46 52 215 55 201 22 71 3 1 52 28 54 52 -98 2 0.59 7 0.002 98 12 46 50 209 46 3 27 40 -99 2 0.001 49 16 48 25 181 3 25 25 29 -99 1 0.001 15 24 12 62 76 93 1717 -995 2538 1045 11 -2 276 -183 -5 103 5 3 8 3 -3 171 100 23 225 109 42 176 20 60 11 -2 273 -182 -7 97 4 3 -4 9 0.002 161 102 21 211 100 32 7 54 61 3 2 0.001 99 -20 149 11 69 6 27 23 54 3 1 0.001 17 27 3 131 4 55 291 1188 550 1231 38 18 172 112 82 171 141 186 564 104 46 318 100 132 299 1139 1026 108 70 45 37 18 162 104 77 159 123 169 29 358 144 296 89 130 284 1086 866 39 198 169 67 121 100 155 62 199 110 815 36 90 99 154 54 108 86 43 75 43 261 296 412 Vu/Vd1 Vu/Vd2 modale x 0.58 2.06 0.86 1.03 1.11 2.05 1.10 5.02 3.45 1.40 2.66 3.32 8.12 1.96 3.07 3.05 2.24 3.09 1.85 3.17 4.50 17.26 1.61 3.87 1.06 2.02 1.05 4.23 5.11 1.29 2.50 3.26 29.97 10.69 3.75 3.02 2.18 3.23 1.73 3.07 4.91 2.52 3.10 3.03 1.87 2.27 4.34 3.27 24.71 2.19 6.86 3.50 2.68 1.71 1.94 1.79 1.92 2.45 1.62 1.62 1.32 3.26 3.48 4.28 1.38 7.09 1.79 4.66 1.00 33.92 29.79 9.80 9.88 2.36 7.74 9.77 249.82 247.81 143754.74 144375.39 8.35 20.49 1.55 8.28 14.09 64.51 8.16 5.05 2.23 31.80 56.50 9.80 10.12 3.03 8.00 8.69 322.35 152.41 313.09 341269.47 7.95 20.12 1.47 7.46 12.66 64.36 77.31 31.33 17.86 5.18 148.40 516390.88 11.21 12.36 6.94 3.57 10.88 72.26 7.58 10.40 12.62 4.94 277.01 158437.27 3.34 3.40 3.53 7.62 6.43 5.24 Vu/Vd1 Vu/Vd2 modale y 0.66 1.56 0.81 0.90 9.25 29.79 1.99 1.67 26.89 4.66 191.54 249.82 371.71 95.84 48.13 5.08 2.66 3.09 1.91 27.80 84.48 9.32 5.56 2.64 8.67 28.25 1.87 1.56 23.34 4.29 212.85 214.90 22.48 243.51 341269.47 4.84 2.37 3.23 1.77 26.45 92.52 33.13 15.67 11.71 171.03 148.40 516390.88 5.55 9.88 2.24 8.10 28.53 36.13 7.01 11.30 6.78 162.87 277.01 158437.27 2.95 3.02 14.13 3.61 122.09 8.86 3.90 1.31 3.76 0.76 2.68 3.31 3.19 2.74 1.64 2.81 6.79 4.03 5.27 2.76 3.14 2.73 2.66 0.54 1.44 2.66 3.46 15.18 1.59 3.52 2.58 3.14 3.15 2.72 2.12 2.62 6.92 3.81 3.10 6.12 4.74 2.63 2.71 0.52 1.31 2.44 3.42 5.95 4.27 4.23 7.66 2.45 5.16 3.54 3.19 1.67 0.81 2.42 6.02 2.10 2.63 2.38 9.05 2.56 1.84 1.16 1.09 0.99 1.81 1.65 1.18 Tabella 8: Verifica a taglio (direzione x) Pareti y Vu (T&C) [KN] Vd1 (modalex) [KN] 3ypi 4ypi 1ypt1 1ypt2 2ypt1 2ypt2 2ypt3 2ypt4 3ypt1 3ypt2 4ypt1 4ypt2 5ypt 6ypt 1ypIm 2ypIm 3ypIm 4ypIm 5ypIm1 5ypIm2 6ypIm1 6ypIm2 1ypIIm 2ypIIm 3ypIIm 4ypIIm 5ypIIm1 5ypIIm2 6ypIIm1 6ypIIm2 1ypIII 2ypIII1 2ypIII2 3ypIII1 3ypIII2 4ypIII1 4ypIII2 5ypIII1 5ypIII2 6ypIII1 6ypIII2 1004 1344 73 421 38 91 38 386 141 464 134 809 1220 704 550 756 669 1882 140 709 78 244 438 593 531 859 81 386 72 241 259 27 248 55 237 101 387 142 191 198 31 811 2350 15 -8 8 -81 -15 183 50 129 67 150 20 11 7 81 157 183 -12 30 2 7 4 58 108 133 12 2 1 5 3 3 50 16 75 29 87 18 -6 6 -0.2 Vd2 (modalex) Vd1 (modaley) Vd2 (modaley) [KN] [KN] [KN] 24 -28 22 123 12 42 8 102 65 87 130 247 296 139 139 142 130 354 79 199 38 93 93 97 90 272 68 148 26 64 77 14 60 27 58 78 164 81 117 57 17 891 2620 40 131 12 -71 -13 310 92 179 106 305 397 211 162 215 183 345 31 335 32 165 102 153 121 235 61 216 10 116 81 7 125 18 84 46 155 146 100 101 8 5 -55 1 6 0.56 2 0.51 4 9 23 -7 64 15 7 6 7 21 39 4 10 2 5 4 4 11 33 3 7 1 3 3 0.65 3 5 10 17 20 4 6 3 1 Vu/Vd1 Vu/Vd2 modale x 1.24 0.57 4.90 52.63 4.81 1.12 2.55 2.11 2.81 3.59 2.01 5.39 60.99 64.00 78.55 9.34 4.26 10.29 11.71 23.63 38.86 34.85 109.47 10.23 4.92 6.46 6.72 193.23 71.75 48.12 86.43 8.92 4.96 3.42 3.16 3.49 4.45 7.86 31.76 33.06 154.58 41.85 48.00 3.34 3.42 3.21 2.17 4.79 3.78 2.16 5.33 1.03 3.28 4.12 5.06 3.96 5.33 5.15 5.32 1.78 3.56 2.05 2.62 4.71 6.12 5.90 3.16 1.19 2.61 2.76 3.76 3.37 1.91 4.13 2.02 4.09 1.30 2.36 1.75 1.63 3.48 1.82 Vu/Vd1 Vu/Vd2 modale y 1.13 0.51 1.84 3.21 3.21 1.28 2.95 1.24 1.53 2.59 1.27 2.65 3.07 3.34 3.39 3.52 3.66 5.46 4.53 2.12 2.43 1.48 4.29 3.88 4.39 3.66 1.32 1.79 7.18 2.07 3.20 3.82 1.98 3.04 2.82 2.20 2.50 0.97 1.91 1.96 3.86 200.86 24.44 73.43 70.17 68.74 45.49 75.13 96.43 15.61 20.16 19.20 12.64 81.32 100.57 91.64 108.05 31.87 48.26 35.12 70.90 38.86 48.80 109.47 148.30 48.31 26.03 26.88 55.21 71.75 80.20 86.43 41.15 82.68 10.93 23.70 5.95 19.37 35.39 31.76 66.11 30.92 Tabella 9: Verifica a taglio (direzione y) 139 Pareti y Mu (nel piano) Mu (fuori piano) Md1 (modalex) [kNm] [kNm] [kNm] 3ypi 4ypi 1ypt1 1ypt2 2ypt1pr 2ypt3 2ypt4 3ypt1 3ypt2 4ypt1 4ypt2 5ypt 6ypt 1ypIm 2ypIm 3ypIm 4ypIm 5ypIm1 5ypIm2 6ypIm1 6ypIm2 1ypIIm 2ypIIm 3ypIIm 4ypIIm 5ypIIm1 5ypIIm2 6ypIIm1 6ypIIm2 1ypIII 2ypIII1 2ypIII2 3ypIII1 3ypIII2 4ypIII1 4ypIII2 5ypIII1 5ypIII2 6ypIII1 6ypIII2 7458 9122 109 1496 284 22 1120 393 1868 192 3099 5301 3094 2447 3749 3776 12445 161 1716 82 580 1262 2000 1994 2655 93 889 57 297 874 30 816 89 684 130 731 236 390 328 24 696 1652 72 237 164 50 300 134 266 249 838 1431 406 263 459 341 997 279 722 75 185 136 258 189 506 90 208 45 95 53 20 73 26 60 88 167 101 136 32 11 177 446 25 94 71 17 136 10 15 -2 30 490 109 48 100 25 -7 34 89 6 19 61 114 16 -14 11 9 5 22 39 10 56 15 17 34 -78 30 -0.56 4 5 Md2 (modalex) [kNm] Md1 (modaley) [kNm] Md2 (modaley) [kNm] 411 1013 25 381 139 7 634 -89 273 -2 497 1147 211 510 1210 370 3950 0.68 273 3 201 337 589 251 2990 -3 -37 9 133 286 71 137 29 111 62 1110 80 43 98 8 -0.83 15 -3 -12 -0.08 -2 -8 14 9 21 32 -129 -6 -4 29 11 -38 -14 -43 -2 -6 34 65 7 -50 7 14 3 1 32 10 44 10 -0.11 66 -84 36 43 1 1 1147 1661 34 549 220 12 985 -84 1575 32 1248 4506 714 777 2416 2540 2941 40 1004 13 330 461 1173 929 2888 -0.54 118 25 204 355 73 308 54 250 81 1060 261 64 240 3 Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 modale x modale y 3.93 3.70 2.90 2.52 2.31 2.94 2.20 13.37 17.73 124.57 27.92 2.92 3.73 5.49 4.59 13.62 142.39 8.22 8.11 12.53 9.72 2.24 2.27 11.82 36.18 8.15 23.09 8.97 4.30 1.36 2.00 1.30 1.73 3.55 2.60 2.14 3.37 243.52 7.88 2.27 18.15 9.01 4.34 3.93 2.04 3.07 1.77 4.41 6.84 96.10 6.24 4.62 14.67 4.80 3.10 10.21 3.15 237.39 6.28 27.33 2.89 3.74 3.40 7.95 0.89 31.08 24.04 6.33 2.24 3.06 0.42 5.96 3.06 6.16 2.09 0.66 2.95 9.07 3.35 3.00 838.95 110.14 24.13 19.71 2048.86 25.00 37.45 9.55 29.55 11.86 26.18 11.09 67.68 65.86 15.82 30.96 26.23 19.96 16.78 37.60 30.79 4.01 3.98 27.01 10.13 12.81 14.84 14.95 94.69 1.66 2.00 1.66 2.59 549.37 1.34 1.99 2.80 3.17 31.50 11.33 6.50 5.49 3.19 2.72 1.29 1.79 1.14 4.67 1.19 6.01 2.48 1.18 4.33 3.15 1.55 1.49 4.23 4.04 1.71 6.31 1.76 2.74 1.70 2.15 0.92 172.69 7.54 2.28 1.46 2.46 0.41 2.65 1.64 2.74 1.60 0.69 0.91 6.09 1.37 8.01 Tabella 11: Verifica a pressoflessione (direzione y) Pareti x Vu (T&C) [KN] 2xpi 3xpi 8xpi 9xpi 1xpt1 1xpt2 2xpt1 2xpt2 3xpt1 3xpt2 4xpt 5xpt 6xpt 7xpt1 7xpt2 8xpt1 8xpt2 9xpt1 9xpt2 10xpt 11xpt 12xpt 13xpt1 13xpt2 1xpIm1 1xpIm2 2xpIm1 2xpIm2 3xpIm1 3xpIm2 4xpIm 5xpIm 6xpIm1 6xpIm2 7xpIm 8xpIm1 8xpIm2 9xpIm1 9xpIm2 10xpIm 11xpIm 1xpIIm 2xpIIm 3xpIIm 4xpIIm 5xpIIm 7xpIIm 8xpIIm1 8xpIIm2 9xpIIm1 9xpIIm2 10xpIIm 1xpIII 2xpIII1 2xpIII2 3xpIII 4xpIII 5xpIII 7xpIII 8xpIII1 8xpIII2 8xpIII3 9xpIII 10xpIII1 10xpIII2 1258 1654 2220 931 112 59 543 301 132 504 977 771 2974 297 143 883 260 69 427 3089 3548 1640 111 149 106 56 503 278 160 440 873 671 90 2192 696 794 235 65 370 2713 2961 248 828 726 529 323 530 549 204 312 86 2073 230 172 265 369 502 299 165 44 85 49 437 527 495 Vd1 (modalex) Vd2 (modalex) Vd1 (modaley) Vd2 (modaley) [KN] [KN] [KN] [KN] 279 50 281 67 211 46 357 180 -18 2 169 265 362 257 76 435 134 0.44 4 1094 690 86 57 29 208 44 338 167 -25 -18 153 251 2 196 324 403 119 -2 -15 1048 526 238 549 -80 19 218 222 468 74 -53 -5 695 122 410 142 -76 -24 117 129 345 135 28 -79 -446 800 -44 -188 65 15 1 2 36 15 -1 18 -15 8 9 20 19 45 15 -2 12 -12 39 173 20 57 0.5 2 40 14 -1 13 -20 4 0.4 5 37 43 10 -3 8 -20 33 6 15 1 36 -5 0.14 12 0.74 16 13 -45 22 18 5 20 -45 21 12 8 12 -8 -20 -4 33 399 42 261 108 102 15 273 184 -22 -34 7 99 7 142 36 394 143 -2 -41 -176 37 160 18 44 101 14 270 183 -22 -34 5 95 -4 9 176 384 139 -2 -42 -182 28 132 477 -48 -117 88 124 448 60 -65 -6 -405 116 373 102 -85 -92 96 89 305 121 32 -155 -668 332 134 687 470 661 3 4 46 69 16 45 153 77 438 53 44 60 55 14 39 815 734 93 58 36 0.65 3 32 53 9 24 142 60 20 268 93 39 37 10 17 783 614 10 44 22 48 38 9 13 30 26 22 238 32 66 49 98 55 32 18 9 32 8 27 5 162 Vu/Vd1 Vu/Vd2 modale x Vu/Vd1 Vu/Vd2 modale y 4.51 33.08 7.90 13.89 0.53 1.28 1.52 1.67 7.33 251.81 5.78 2.91 8.21 1.16 1.88 2.03 1.94 155.86 106.85 2.82 5.14 19.07 1.95 5.15 0.51 1.27 1.49 1.66 6.41 24.47 5.71 2.67 44.96 11.18 2.15 1.97 1.98 32.51 24.64 2.59 5.63 1.04 1.51 9.07 27.84 1.48 2.39 1.17 2.76 5.88 17.24 2.98 1.89 0.42 1.86 4.86 20.91 2.56 1.28 0.13 0.63 1.75 5.53 1.18 0.62 3.15 39.38 8.51 8.62 1.09 3.94 1.99 1.64 6.00 14.81 139.56 7.79 424.81 2.09 3.96 2.24 1.82 34.29 10.42 17.55 95.90 10.25 6.17 3.39 1.05 4.00 1.86 1.52 7.28 12.95 174.60 7.06 22.48 243.51 3.96 2.07 1.69 32.51 8.80 14.91 105.74 1.88 1.74 15.12 4.52 3.66 4.28 1.23 3.40 4.79 14.37 5.12 1.99 0.46 2.60 4.35 5.46 3.11 1.85 0.14 0.70 1.53 2.82 0.79 1.49 28.59 8.80 34.15 62.06 111.54 29.52 15.08 20.06 131.91 27.98 65.13 96.44 330.41 14.85 7.50 19.61 17.37 34.29 35.62 257.45 90.98 9.48 5.56 2.62 211.69 28.03 12.58 19.83 160.25 33.88 43.65 167.73 224.80 438.33 18.81 18.48 23.51 21.67 46.20 135.64 89.71 41.35 55.21 725.77 14.69 64.50 3788.43 45.78 275.63 19.47 6.63 46.08 10.47 9.58 52.96 18.47 11.15 14.24 13.72 5.44 7.07 6.14 21.83 131.87 15.01 9.39 2.41 4.72 1.41 37.18 14.76 11.80 4.36 8.24 11.19 6.39 10.02 6.79 5.60 3.24 14.71 4.74 4.90 10.96 3.79 4.83 17.63 1.92 4.15 162.84 18.69 15.73 5.24 17.81 18.35 6.15 11.18 4.50 8.18 7.48 20.37 6.35 6.50 21.74 3.46 4.82 24.81 18.82 32.99 11.02 8.49 58.93 42.26 6.80 11.98 3.92 8.71 7.20 2.61 5.40 3.77 9.13 9.34 9.14 4.84 2.65 6.14 16.17 105.50 3.06 Tabella 12: Verifica a taglio (direzione x) 140 Pareti y Vu (T&C) [KN] 3ypi 4ypi 1ypt1 1ypt2 2ypt1pr 2ypt3 2ypt4 3ypt1 3ypt2 4ypt1 4ypt2 5ypt 6ypt 1ypIm 2ypIm 3ypIm 4ypIm 5ypIm1 5ypIm2 6ypIm1 6ypIm2 1ypIIm 2ypIIm 3ypIIm 4ypIIm 5ypIIm1 5ypIIm2 6ypIIm1 6ypIIm2 1ypIII 2ypIII1 2ypIII2 3ypIII1 3ypIII2 4ypIII1 4ypIII2 5ypIII1 5ypIII2 6ypIII1 6ypIII2 1010 1389 76 431 138 38 398 146 481 135 814 1227 704 567 783 698 1891 140 718 76 247 456 622 550 839 79 389 69 245 272 32 261 56 246 96 367 136 189 192 31 Vd1 (modalex) Vd2 (modalex) Vd1 (modaley) Vd2 (modaley) [KN] [KN] [KN] [KN] -282 -261 27 17 151 8 103 54 37 -6 -143 140 76 42 257 82 -161 2 132 11 61 54 207 99 -139 40 90 6 44 26 31 153 22 96 51 -209 66 38 64 4 158 215 22 58 57 12 71 8 20 20 22 201 49 73 132 18 49 55 130 9 24 24 28 19 18 15 26 6 23 34 21 30 6 36 16 76 18 51 17 7 422 110 34 65 210 12 256 149 414 27 -36 515 149 96 473 533 -46 52 450 20 123 96 358 489 277 102 409 13 104 53 25 171 52 328 87 -51 223 174 99 -1 44 15 13 23 34 5 27 11 6 34 20 57 10 33 61 5 -4 27 35 4 6 6 -1 9 19 12 26 4 7 2 21 -1 -1 11 19 31 0.42 57 4 2 Vu/Vd1 Vu/Vd2 modale x 3.58 5.32 2.83 25.36 0.91 4.76 3.86 2.70 13.01 22.44 5.70 8.77 9.26 13.49 3.05 8.51 11.74 70.23 5.44 6.87 4.04 8.45 3.01 5.56 6.04 1.99 4.32 11.54 5.57 10.48 1.02 1.70 2.56 2.56 1.89 1.75 2.06 4.98 2.99 7.68 6.39 6.46 3.47 7.43 2.42 3.17 5.60 18.20 24.07 6.73 37.02 6.11 14.37 7.76 5.93 38.75 38.58 2.55 5.52 8.40 10.28 19.00 22.22 28.97 46.63 5.30 14.95 11.54 10.65 8.01 1.50 8.69 9.38 6.83 6.02 4.82 7.56 3.71 11.27 4.39 Vu/Vd1 Vu/Vd2 modale y 2.39 12.63 2.25 6.63 0.66 3.17 1.55 0.98 1.16 4.99 22.62 2.38 4.72 5.90 1.66 1.31 41.10 2.70 1.59 3.78 2.00 4.75 1.74 1.13 3.03 0.78 0.95 5.32 2.36 5.14 1.26 1.53 1.08 0.75 1.11 7.19 0.61 1.09 1.94 30.72 22.94 92.60 5.88 18.74 4.06 7.61 14.72 13.24 80.22 3.96 40.72 21.53 70.40 17.17 12.84 139.50 472.63 5.20 20.50 18.89 41.10 76.01 622.10 61.16 44.17 6.62 14.95 17.31 35.00 136.24 1.50 260.80 56.28 22.36 5.07 11.83 323.88 3.32 47.91 15.36 Tabella 13: Verifica a taglio (direzione y) STATO DI PROGETTO Verifica a pressoflessione Verifica a taglio MASCHI nel piano fuori piano sisma x sisma y sisma x sisma y sisma x sisma y 8xpIII1 0.16 0.2 0.13 0.14 9xpIII 0.39 0.4 2ypIII1 0.53 0.51 8xpIII3 0.46 0.29 8xpIII2 0.71 0.36 2xpIII1 0.42 0.46 Tabella 14 : Le maggiori criticità dello stato di progetto che motivano ulteriori provvedimenti locali. 141 Pareti x Ncv [kN] 2xpi 3xpi 8xpi 9xpi 1xpt1 1xpt2 2xpt1 2xpt2 3xpt1 3xpt2 4xpt 5xpt 6xpt 7xpt1 7xpt2 8xpt1 8xpt2 9xpt1 9xpt2 10xpt 11xpt 12xpt 13xpt1 13xpt2 1xpIm1 1xpIm2 2xpIm1 2xpIm2 3xpIm1 3xpIm2 4xpIm 5xpIm 6xpIm1 6xpIm2 7xpIm 8xpIm1 8xpIm2 9xpIm1 9xpIm2 10xpIm 11xpIm 1xpIIm 2xpIIm 3xpIIm 4xpIIm 5xpIIm 7xpIIm 8xpIIm1 8xpIIm2 9xpIIm1 9xpIIm2 10xpIIm 1xpIII 2xpIII1 2xpIII2 3xpIII 4xpIII 5xpIII 7xpIII 8xpIII1 8xpIII2 8xpIII3 9xpIII 10xpIII1 10xpIII2 2758 3619 4008 3531 359 200 1021 799 540 999 1975 1303 3508 707 328 1263 583 237 921 5562 4951 1665 270 342 313 177 854 681 491 819 1404 847 160 1051 814 950 446 209 743 3966 2810 307 906 675 862 440 365 337 189 279 158 2100 233 309 422 491 736 331 248 53 135 110 276 752 818 σo (Stato di prog.) Mu (nel piano) Mu (fuori piano) [kN/mq] [kNm] [kNm] 274 272 200 367 270 289 209 230 392 190 232 175 104 162 150 138 147 293 176 199 134 84 169 140 234 255 176 198 238 156 165 114 105 33 101 105 114 258 143 143 76 113 91 73 169 127 49 42 54 66 109 83 86 125 145 124 144 95 121 57 96 143 44 108 174 7383 7708 12842 4375 219 61 1504 803 112 1231 3891 2490 46424 606 143 2623 519 33 1024 24906 37702 7368 84 170 206 58 1324 719 217 1066 3119 1785 96 14624 1421 2053 413 31 867 19458 23329 508 3317 2019 1903 909 675 799 191 335 62 11308 402 397 619 1360 1693 718 356 46 166 69 622 1070 2474 1056 2318 3391 1819 81 43 443 334 208 599 1028 752 1664 556 263 929 423 131 636 4715 4076 1481 210 279 76 41 393 302 269 520 824 540 76 553 705 736 341 124 542 3702 2527 91 478 427 301 128 324 255 140 204 108 1964 72 103 136 123 268 101 63 12 29 22 169 677 189 Md1 [kNm] Md2 [kNm] Mu/Md1 Mu/Md2 68 352 13 -87 3 2 2 10 11 5 74 70 160 46 24 46 2 4 27 467 302 34 -91 -37 0.03 0.68 2 0.77 1 9 26 26 6 17 38 23 -1 0.49 17 180 84 -2 16 14 45 2 9 7 3 13 6 -49 2 2 5 20 87 -2 9 5 8 11 31 -74 -75 994 -203 1113 -216 30 -5 -46 9 -12 227 -261 92 3037 15 -12 -148 7 -5 233 3537 1733 -716 821 63 -22 4 -110 48 -64 280 36 13 -4 4841 190 -230 -6 -4 186 3289 962 -26 -46 -58 -113 124 168 -146 -25 -94 7 2794 -50 -16 -14 -278 -69 81 -72 17 19 22 -34 8 882 15.53 6.59 260.85 20.91 26.95 21.66 221.72 33.35 18.91 119.77 13.89 10.74 10.40 12.08 10.95 20.20 211.56 32.71 23.54 10.10 13.50 43.56 2.31 7.53 2522.42 60.37 196.58 391.56 269.37 57.79 31.68 20.76 12.64 32.53 18.56 32.01 341.13 253.04 31.89 20.56 30.09 45.72 29.90 30.50 6.70 64.11 36.05 36.38 46.79 15.67 18.05 40.08 36.17 51.56 27.28 6.16 3.08 50.63 6.95 2.45 3.68 2.03 5.45 9.15 2.52 7.43 37.97 11.54 20.25 7.31 12.25 32.70 89.24 9.32 5.42 14.91 27.07 15.29 40.37 11.94 17.72 74.21 6.54 4.40 7.04 21.76 10.29 0.10 2.70 9.39 14.51 12.03 14.97 3.39 3.81 86.65 137.28 23.96 3.02 7.48 8.93 68.86 7.75 4.66 5.92 24.25 19.55 72.11 34.82 16.84 7.33 4.02 5.47 7.65 3.56 8.80 4.05 8.04 24.81 44.21 4.89 24.53 8.86 4.95 2.68 8.72 3.12 18.30 133.81 2.81 Tabella 15: Verifica condizione non sismica direzione x Pareti y Ncv [kN] 3ypi 4ypi 1ypt1 1ypt2 2ypt1 2ypt3 2ypt4 3ypt1 3ypt2 4ypt1 4ypt2 5ypt 6ypt 1ypIm 2ypIm 3ypIm 4ypIm 5ypIm1 5ypIm2 6ypIm1 6ypIm2 1ypIIm 2ypIIm 3ypIIm 4ypIIm 5ypIIm1 5ypIIm2 6ypIIm1 6ypIIm2 1ypIII 2ypIII1 2ypIII2 3ypIII1 3ypIII2 4ypIII1 4ypIII2 5ypIII1 5ypIII2 6ypIII1 6ypIII2 2002 3183 235 735 420 135 744 444 853 504 1546 1977 994 800 1099 1082 1715 402 988 195 462 399 593 580 876 234 516 115 237 270 101 334 127 295 214 390 234 324 155 54 σo (Stato di prog.) Mu (nel piano) Mu (fuori piano) [kN/mq] [kNm] [kNm] 231 294 245 182 243 314 199 236 190 333 213 165 130 135 135 152 70 215 128 179 147 67 77 86 85 225 121 91 75 81 273 119 149 104 146 89 100 113 60 102 6708 7523 95 1414 247 17 1026 359 1796 152 2877 5159 3135 2444 3692 3832 13602 150 1756 81 584 1345 2063 2170 2853 86 928 64 335 891 24 788 87 720 127 754 238 394 372 25 626 1362 64 223 143 40 274 122 256 197 777 1392 411 263 452 346 1089 259 739 74 186 145 266 206 544 82 217 51 107 54 16 70 26 64 86 172 102 138 36 12 Md1 [kNm] Md2 [kNm] Mu/Md1 Mu/Md2 -2 148 -2 -5 -6 -1 1 2 -8 -28 -29 -32 -0.84 -6 0.59 0.31 -5 -0.83 -3 -0.61 0.27 3 8 2 12 0.69 -3 -0.73 -0.06 1 -0.52 5 1 2 8 -10 7 -0.47 -0.02 0.13 495 151 20 189 59 2 171 14 160 29 500 151 -451 162 86 297 -8121 -0.7 -5 -3 70 111 37 182 252 -6 109 -0.35 93 48 20 86 9 36 10 225 42 22 -20 1.2 313.15 9.21 31.80 44.70 23.78 39.51 274.25 61.10 31.96 7.05 26.81 43.51 489.71 43.85 765.86 1114.92 217.87 312.25 246.19 122.06 689.27 48.46 33.31 102.84 45.35 119.17 72.30 69.35 1778.09 54.23 31.05 14.07 25.52 31.80 10.80 17.21 14.51 293.10 1785.22 89.87 13.55 49.82 4.77 7.48 4.18 8.49 6.00 25.64 11.23 5.25 5.75 34.17 6.95 15.08 42.93 12.90 1.67 213.92 351.23 27.05 8.35 12.12 55.75 11.92 11.32 14.25 8.52 183.69 3.60 18.56 1.19 9.16 9.70 20.00 12.70 3.35 5.66 17.91 18.60 20.64 Tabella 16 Verifica condizione non sismica direzione y 142 5.3.4 Validazione dei risultati Per modellazioni così complesse (con elevato numero di elementi e quindi di gradi di libertà) l’accettazione dei risultati richiede una appropriata procedura di validazione. Tuttavia trattandosi di casi “particolari”, che vanno studiati caso per caso, non è sempre facile trovare dei metodi semplificati che abbiano una valenza generale. Nel caso di analisi dinamica modale la norma impone che gli effetti relativi ai singoli modi di vibrare siano combinati mediante una combinazione quadratica completa (CQC), ovvero: E ( j i ij Ei E j )1 / 2 dove Ej rappresenta il valore dell’effetto relativo al modo j; ij, un coefficiente di correlazione tra il modo i e il modo j (NTC08, par.7.3.3.1). In effetti, quando il numero di modi di vibrare è elevato non si riesce ad avere il controllo dei risultati che tali analisi forniscono. Nel caso in esame si è pensato, allora, di assegnare al modello uno spettro costante con accelerazione spettrale pari a 9.81 m/sec2, e di considerare una combinazione dei modi del tipo ABS (somma degli effetti in valore assoluto). In questo modo è possibile leggere dal modello il tagliante a piano terra (come somma delle reazioni vincolari) e confrontarlo direttamente con il prodotto della massa assegnata alla struttura (anch’essa può essere calcolata dalla somma delle reazioni vincolari –direzione z- dividendola poi per 9.81 m/sec2) per l’accelerazione spettrale (ovvero 9.81 m/sec2). I valori ottenuti da questo confronto sono: un tagliante di 45075 kN (nella direzione in cui si assegna lo spettro), fornito dalla somma dalle reazioni vincolari, contro 39771 kN, dato dal prodotto della massa per l’accelerazione spettrale. Tale risultato, nonostante la non coincidenza dei valori, può ritenersi soddisfacente se si fanno alcune considerazioni: quando si considera una analisi del tipo modale il segno viene perso, quindi le reazioni vincolari, non solo restituiscono un valore più alto del tagliante relativo alla direzione in cui è applicato lo spettro, ma forniscono anche un valore del tagliante diverso da zero nell’altra direzione. In effetti i contributi negativi vengono sommati impropriamente e ciò giustifica anche il taglio alla base nell’altra direzione. 143 Capitolo 6: Gli interventi di miglioramento 6.1 Gli interventi consentiti dalla normativa La normativa italiana, tradizionalmente attenta al problema della conservazione del patrimonio architettonico, ha individuato due livelli di intervento, l’adeguamento ed il miglioramento sismico. Le “Norme Tecniche per le Costruzioni” di cui al D.M. 14.01.2008, confermano sostanzialmente i due livelli di intervento ribadendo che quelli di miglioramento sono finalizzati ad “aumentare la sicurezza strutturale esistente pur senza necessariamente raggiungere i livelli richiesti” per le nuove costruzioni, mentre quelli di adeguamento devono necessariamente conseguirli. Si riconosce inoltre un terzo livello definito come “riparazioni o interventi locali che interessino elementi isolati e che comunque comportino un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti”. Per i beni di interesse culturale è possibile, inoltre, far riferimento ad un ulteriore documento normativo che è costituito dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 12 ottobre 2007 “per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle Norme Tecniche per le Costruzioni” (G.U. 24 del 29.01.08). Esso propone interventi sulle strutture, volti a ridurre la vulnerabilità sismica e allo stesso tempo a “garantire la conservazione dell’architettura in tutte le sue declinazioni, in particolare valutando l’eventuale interferenza con gli apparati decorativi”. A tale scopo, quindi, si richiedono interventi poco invasivi che abbiano requisiti di sicurezza e di durabilità. 6.2 Le finalità degli interventi Obiettivo del restauro è quello di garantire la sicurezza strutturale degli edifici e, al contempo, di salvaguardare i contenuti storico-artistici presenti in ogni elemento della costruzione, a partire dalle stesse parti strutturali spesso celate da intonaci e finiture. Nel consolidamento di alcuni edifici, negli anni passati, sono stati attuati degli interventi senza un attento controllo storico-critico che hanno spesso snaturato il modello statico originale dell’edificio occultando significative testimonianze di civiltà e di scienza. Troppo frequentemente sono stati attuati degli interventi invasivi nelle strutture murarie di importanti 144 edifici senza aver valutato accuratamente le risorse meccaniche dei materiali, nell’intento di privilegiare il rispetto delle caratteristiche originarie. In alcuni casi sono stati realizzati degli interventi che hanno addirittura peggiorato la statica dell’edificio ricorrendo a tecniche che seppur valide non risultavano necessarie. Al contrario, invece, gli interventi devono avere come obiettivo principale il raggiungimento di un punto di equilibrio tra le esigenze della conservazione della struttura originaria, da un lato, e quelle, non meno importanti, della sicurezza strutturale e della risposta sismica, dall’altro. Va aggiunto anche che spesso la necessità di attuare radicali interventi non nasce dalla constatazione di carenze statiche ineliminabili senza ricorso a massicci interventi, ma dalle limitate conoscenze delle caratteristiche costitutive del materiale. Le scarse risorse meccaniche attribuite alle murature derivano, in alcuni casi, dalla scarsità di approfonditi studi sia teorici che sperimentali atti a valorizzare caratteristiche meccaniche, come la duttilità, sulla quale si basano le più recenti normative in materia di protezione sismica degli edifici. Emerge dagli studi svolti che per invocare un comportamento di tipo globale dell’edificio, grazie al quale è possibile scongiurare meccanismi di collasso delle pareti fuori dal piano, non è necessario realizzare consistenti interventi. Infatti dalle analisi di due casi studio descritte al capitolo 5, si riscontra come con una configurazione dell’impalcato semirigido (caso C) si possa ottenere un soddisfacente miglioramento. Per cui è sufficiente anche solo inserire delle catene metalliche che consentano sia di collegare tra loro le pareti nelle due direzioni e sia l’attivazione di un puntone compresso che irrigidisce l’impalcato. Tale concetto risulta fondamentale alla luce dell’esigenza di conservazione in quanto rivaluta gli interventi tradizionali poco invasivi e rispettosi dell’esistente. 6.3 L’esperienza del terremoto dell’Aquila Il terremoto dello scorso 6 Aprile 2009, che colpì la città dell’Aquila e alcune sue province, ha messo in evidenza come la scelta degli interventi su edifici antichi (spesso non abilitati a resistere ad azioni sismiche) sia determinante per la loro salvaguardia in occasione di tali eventi. Lo scenario di danno osservato per gli edifici in muratura mostra, infatti, come nei casi in cui gli antichi edifici (prima o seconda classe – vedi par.1.4) vengono migliorati in maniera adeguata, si riescono ad evitare (in caso di sisma) dei crolli rovinosi fuori dal piano. Il terremoto di Messina del 1908, aveva, in effetti, già dimostrato la forte vulnerabilità di queste tipologie di edifici in cui sono assenti collegamenti trasversali tra le pareti e gli impalcati non 145 sono efficaci per ridistribuire le forze sismiche (Fig. 6.1). In virtù di ciò è frequente trovare nei centri storici edifici migliorati mediante l’inserimento di catene (Figg. 6.2, 6.3, 6.4, 6.5, 6.6, 6.7) che in occasione di tali eventi non subiscono gravi danni. Al contrario, edifici moderni in muratura (terza classe – vedi par. 1.4) in cui sono presenti solai rigidi in c.a. collegati con continuità alle murature, esibiscono di per sé un buon comportamento, risultando solo lievemente danneggiati (Figg.6.8, 6.9, 6.10). Affinché non si verifichino meccanismi di ribaltamento delle pareti fuori dal piano (cause di crolli rovinosi) è quindi necessario che ci siano efficaci collegamenti trasversali, i quali devono garantire la collaborazione delle pareti. Per tale ragione in edifici della terza classe o in edifici di prima e seconda che sono stati migliorati non si sono avuti scenari di danno disastrosi, ma le pareti sono state impegnate in maniera prevalente nel loro piano. Si osservano in questi casi delle lesioni a taglio nelle fasce di piano (Figg. 6.11, 6.12, 6.13, 6.14, 6.15) e nei maschi murari (Figg. 6.16, 6.17, 6.18, 6.19). Si sono avuti, talvolta, dei crolli parziali, all’ultimo piano, dovuti all’effetto spingente della copertura e all’assenza di tiranti capaci di contrastare tale spinta (Figg. 6.20, 6.21, 6.22). Va notato, inoltre, come crolli locali o globali si siano anche verificati per strutture non migliorate in modo adeguato. Dalle figure 6.23 e 6.24 si desume che l’inserimento di catene in una sola direzione non sia sufficiente ad evitare fenomeni di distacco o ribaltamento fuori dal piano delle pareti non interessate dall’intervento. Nel caso mostrato in figura 6.25, invece, lo scarso ammorsamento delle pareti nelle due direzioni è stato causa del ribaltamento delle pareti di facciata. La figura 6.26 mostra un crollo globale di un edificio nel quale era stata realizzata una pesante copertura in c.a. che in caso di sisma non garantisce una ripartizione corretta del tagliante. È possibile, in conclusione, affermare che gli edifici antichi in muratura sono delle strutture non adatte a sopportare azioni sismiche se non sono opportunamente migliorati. Per far ciò non è necessario ricorrere ad invasivi interventi, ma sono sufficienti delle catene in entrambe le direzioni che favoriscono un comportamento nel piano delle pareti, evitando crolli fuori dal piano. L’obiettivo quindi deve essere quello di garantire un comportamento scatolare dell’edificio. Va aggiunto però che affinché l’edificio resista bene ad un terremoto non è solo necessario intervenire per collegare le pareti tra loro, ma è altrettanto fondamentale conoscere la qualità della muratura di cui è costituito. Accade infatti che una bassa qualità della muratura non possa garantire il comportamento monolitico dei muri (per azioni fuori dal piano), o una buona resistenza a taglio dei pannelli murari (per azioni nel piano) 146 Figura 6.1: Terremoto di Messina (1908) - crolli dovuti a meccanismi fuori dal piano Figura 6.2: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila - meccanismi di danno nel piano (lesioni a taglio) 147 Figura 6.3: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con meccanismi di danno nel piano (lesioni a taglio) –foto del prof. P. Lenza Figura 6.4: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con meccanismi di danno nel piano (lesioni a taglio) 148 Figura 6.5: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con catene in entrambe le direzioni e lievissimi danni nelle fasce Figura 6.6: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con catene (lesioni nelle fasce e nei maschi) 149 Figura 6.7: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con catene in entrambe le direzioni e assenza di danni nelle pareti di facciata. Figura 6.8: Edificio in muratura della terza classe nel centro storico dell’Aquila 150 Figura 6.9: Edificio in muratura della terza classe (L’Aquila) Figura 6.10: Edificio in muratura della terza classe (L’Aquila) 151 Figura 6.11: Danneggiamento delle fasce di piano Figura 6.12: Danneggiamento delle fasce di piano 152 Figura 6.13: Danneggiamento delle fasce di piano Figura 6.14: Danneggiamento delle fasce di piano 153 Figura 6.15: Danneggiamento delle fasce di piano Figura 6.16: Lesioni a taglio nei maschi murari 154 Figura 6.17: Lesioni a taglio nei maschi murari Figura 6.18: Lesioni a taglio nei maschi murari 155 Figura 6.19: Lesioni a taglio nei maschi murari Figura 6.20: Meccanismo fuori dal piano all’ultimo piano causato dall’effetto spingente della copertura e dall’assenza di tiranti 156 Figura 6.21: Crollo parziale della parte superiore della parete dovuto all’assenza di collegamenti efficaci. Figura 6.22: Crollo parziale della parte superiore della parete dovuto all’assenza di collegamenti efficaci. 157 Figura 6.23: Distacco delle pareti in corrispondenza delle croci di muro per mancanza di collegamenti efficaci nella direzione ortogonale alla lesione. 158 Figura 6.24: Crollo della parete di facciata per mancanza di collegamenti efficaci Figura 6.25: Crollo per ribaltamento della parete di facciata a causa dello scarso ammorsamento Palazzo del Governo (l’Aquila) 159 Figura 6.26: Crollo globale dell’edificio dovuto ad un intervento non adeguato (realizzazione di una pesante copertura in c.a.). 160 Capitolo 7: Conclusioni 7.1 Risultati della ricerca L’analisi strutturale ha sempre rappresentato una componente del restauro architettonico e sempre è stata chiamata a dare delle risposte affidabili sul comportamento sismico degli edifici storici. Questo compito ha trovato il settore disciplinare abbastanza impreparato, sicché tutt’ora la materia è in evoluzione e ci sono notevoli spazi per la ricerca scientifica. Nel lavoro di tesi svolto si è cercato di inquadrare la problematica e di dare qualche contributo di conoscenza in merito. In particolare esso ha avuto come obiettivo l’identificazione di una metodologia di studio del comportamento sismico dell’edificio in muratura, il cui presupposto essenziale è rappresentato da un approccio interdisciplinare volto a definire una estesa conoscenza del suo passato e ad individuare appropriati interventi che ne tutelino la sua materia. È stato approfondito il comportamento della fascia di piano nell’ambito del comportamento della parete e il comportamento dei solai storici (solai isoresistenti o volte di varia forma). Con riferimento alle fasce di piano, sono state svolte delle analisi sperimentali per studiare il loro comportamento quando sono inserite in una parete soggetta a forze di taglio (forze sismiche) e sulla base di tali risultati sono state sviluppate delle simulazioni numeriche che hanno consentito di ottenere ulteriori informazioni non rinvenibili direttamente dall’attività sperimentale e di difficile determinazione teorica. In particolare sono state ricavate l’estensione della parte reagente all’estremità del puntone, che si forma nel pannello, ed il valore dello sforzo normale che nasce in essa quando sollecitata a taglio. Si è riscontrato che la configurazione resistente del puntone diagonale così come l’estensione delle zone compresse (reagenti) alle sue estremità sono definite in funzione della forma del pannello, risultando praticamente indipendenti dall’entità delle sollecitazioni esterne agenti sull’elemento di fascia. Successivamente a partire dai risultati avuti dalle analisi numeriche si è definito un modello teorico semplificato che schematizza il pannello con due archi contrapposti (modello del “puntone ad arco”) e consente di interpretare in maniera unitaria tutti i meccanismi di rottura osservati sperimentalmente. 161 Tale modello, tarato sulla base dei risultati sperimentali, appare in grado di cogliere in modo sufficientemente approssimato il comportamento dei pannelli di fascia appartenenti a pareti murarie soggette ad azioni sismiche, purché dotate di opportuni collegamenti orizzontali di piano (fascia con catene). Ed infatti le formulazioni proposte non solo individuano il corretto meccanismo di collasso ottenuto dalla sperimentazione, ma forniscono anche valori numerici di resistenza in buon accordo con quelli rilevati. Appare comunque indispensabile, per la valutazione della resistenza relativa ad alcuni meccanismi, la definizione di una resistenza a trazione della muratura, il cui valore influenza in maniera significativa i risultati. Tale punto rappresenta ancora una criticità del problema, a causa della difficoltà di definizione e di valutazione di tale resistenza in relazione anche alla notevole variabilità delle tipologie in muratura. Per l’impalcato, invece, si sono dapprima individuate delle ipotesi limite di comportamento scaturite dalla consapevolezza che nel corso degli anni la sua configurazione ha subito notevoli evoluzioni, e successivamente si sono individuati dei modelli che consentissero un’analisi globale dell’edificio. In particolare si è determinato un modello capace di cogliere il comportamento delle volte quando sono inserite all’interno di una gabbia muraria soggetta ad azioni di tipo sismico, considerandole capaci di dare un contributo per l’irrigidimento del solaio e quindi di avere un’efficacia nella ridistribuzione delle sollecitazioni. In questo modo in una modellazione spaziale dell’edificio è possibile schematizzare tale tipologia di impalcato tenendo conto della sua reale rigidezza. Queste conoscenze (relative alle fasce e all’impalcato) sono state applicate alla realtà tridimensionale degli edifici storici mediante due casi studio significativi. Il primo ha riguardato un palazzo tardomedievale napoletano, conosciuto come “palazzo Petrucci”, caratterizzato da una configurazione in pianta complessa e articolata e da un notevole sviluppo in elevazione. Esso è stato modellato attraverso una modellazione spaziale a telaio equivalente ed è stato studiato attraverso un’analisi di tipo lineare. Sono state, a tal proposito, evidenziate le difficoltà di modellazioni per edifici di simile complessità geometrica e stratigrafica. Le ipotesi fatte sul comportamento dell’impalcato sono state: A) l’impalcato non connette e non distribuisce (completamente assente); B) l’impalcato connette ma non distribuisce; C) l’impalcato deformabile, con una certa deformabilità nel piano e quindi con la capacità di distribuire le azioni orizzontali; D) l’impalcato infinitamente rigido, ovvero la struttura orizzontale è rigida nel proprio piano ed ha la capacità di distribuire le azioni su tutte le pareti che connette. Dall’analisi dei risultati emerge come per invocare un comportamento di tipo globale dell’edificio, grazie al quale è possibile scongiurare 162 meccanismi di collasso delle pareti fuori dal piano, non sia necessario realizzare consistenti interventi. Infatti già con una configurazione dell’impalcato semi-rigido (caso C) si può ottenere un soddisfacente miglioramento. Per cui è sufficiente anche solo inserire delle catene metalliche che consentano sia di collegare tra loro le pareti nelle due direzioni e sia l’attivazione di un puntone compresso che irrigidisce l’impalcato. Tale concetto risulta fondamentale alla luce dell’esigenza di conservazione in quanto rivaluta gli interventi tradizionali poco invasivi e rispettosi dell’esistente. Il secondo caso studio considerato riguarda un edificio speciale, ovvero un castello, sito a Castel Volturno e oggetto di un progetto di restauro redatto dal prof. Guerriero. Si è utilizzata una modellazione agli elementi finiti lastra/piastra, non essendo applicabile uno schema a telaio equivalente per strutture così particolari. Attraverso un’analisi di tipo lineare si è studiato l’edificio sia nella configurazione corrispondente allo stato di fatto (impalcati assenti – caso A) che in quella derivante dal progetto di restauro anzidetto (impalcati deformabili – caso C). Si evidenzia in tale caso come per modellazioni così complesse (con elevato numero di elementi e quindi di gradi di libertà) l’accettazione dei risultati richiede una appropriata procedura di validazione. Il quadro che ne emerge, pur ribadendo che la materia è ancora in forte evoluzione e che non sia necessario procedere ad interventi invasivi motivati solo dalla non buona conoscenza degli antichi manufatti, ma come sia opportuno, invece, valorizzare le configurazioni esistenti. In particolare si evidenzia la grande efficacia di presidi tradizionali (catene scorrevoli) che attivano comportamenti virtuosi sia negli impalcati che nelle pareti, come peraltro lo scenario di danno del terremoto dell’Aquila ha evidenziato. 7.2 Sviluppi futuri La ricerca svolta ha aperto importanti spunti per possibili sviluppi futuri. In particolare alla luce dei risultati sperimentali e numerici ottenuti sulla fascia di piano appare necessaria una sperimentazione in scala reale allo scopo di tarare i coefficienti numerici che sono risultati strettamente connessi alle caratteristiche del materiale della struttura. Con riferimento alle modellazione tridimensionale agli elementi finiti (caso del castello di Castel Volturno) e mediante telaio equivalente (caso di palazzo Petrucci), studiate attraverso analisi di tipo lineare, appare interessante confrontare i risultati con quelli di un’analisi non lineare e a tale scopo sarà necessario definire una procedura idonea, essendo 163 questa una problematica ancora non ampiamente trattata. In effetti va compreso, per la modellazione a telaio spaziale, quale deve essere il punto di controllo da scegliere (necessario per la costruzione di una curva push-over), mentre per una modellazione agli elementi finiti, come poter definire delle cerniere plastiche e come definire le caratteristiche meccaniche del materiale. 164 Bibliografia 1923 D. DONGHI, Manuale dell’Architetto, Editrice Torinese 1965 S. MASTRODICASA, Dissesti statici delle strutture edilizie, Milano 1943; IV edizione, rifatta e ampliata, Milano. 1968 M. PAGANO, Teoria degli edifici in muratura, Liguori editore, Napoli. 1970 V. TURNSEK, F. CACOVIC, Some Experimental Results on the Strength of Brick Masonry Walls. Proceedings of the second International brick masonry. Stoke-on-Trent, England, pp. 149-155. 1981 G. TONIOLO, P.G. MALERBA, Metodi di discretizzazione dell’analisi strutturale; Masson Italia editore, Milano. 1982 F. CESARI, Introduzione al metodo degli elementi finiti; Pitagora editrice, Bologna. J. 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Un ringraziamento va poi a tutte le persone sulle quali ho potuto sempre contare: …ad Antonio per non aver mai vincolato le mie scelte… …alla mia famiglia per avermi sempre sostenuta… …a Rosa e Marilena per essersi rivelate sorelle speciali… …a Viviana per aver continuato, nonostante le distanze, a far parte della mia vita… …alle mie amiche, Angela, Antonia, Miriam e Rosa per essere semplicemente delle persone eccezionali alle quali voglio un bene immenso… …a Emilia per essere stata un supporto e un esempio… …ai colleghi del DIST e del dipartimento di restauro e Conservazione di Aversa con i quali ho condiviso quest’esperienza... Infine:...grazie Mariano…