Seconda Università degli studi di Napoli Facoltà di architettura

Seconda Università degli studi di Napoli
Facoltà di architettura “Luigi Vanvitelli”
Dipartimento di restauro e costruzione dell’architettura e
dell’ambiente
DOTTORATO IN CONSERVAZIONE DEI BENI ARCHITETTONICI
(XXIII CICLO)
S.S.D. ICAR/19
TESI DI DOTTORATO
LA CONSERVAZIONE DEGLI EDIFICI IN MURATURA
IN RELAZIONE AL RISCHIO SISMICO
Coordinatore del dottorato:
Prof. Arch. Giuseppe Fiengo
Tutors:
Prof. Ing. Pietro Lenza
Prof. Arch. Luigi Guerriero
Dottoranda: Gaetana Pacella
Ad una madre il cui ricordo rimarrà sempre vivo…
(a Pina)
INDICE
Capitolo 1: Le finalità della ricerca: approccio metodologico allo studio
dell’edificio in muratura:
1.1
L’interdisciplinarietà del restauro
p.3
1.2
L’evoluzione della concezione strutturale dell’edificio in muratura
p.5
1.3
La normativa sugli edifici in muratura
p.7
1.4
Lo studio del comportamento sismico dell’edificio in muratura
p.9
Capitolo 2: La modellazione della parete muraria e dell’impalcato
2.1
Introduzione
p.11
2.2
La modellazione della parete muraria
p.12
2.2.1
Le diverse possibili configurazioni della fascia di piano
2.2.2
Il ruolo della fascia di piano nel comportamento sismico degli edifici
in muratura
2.3
La modellazione dell’impalcato
p.14
p.16
p.19
2.3.1
Le volte
p.23
2.3.2
La configurazione strutturale delle volte
p.27
2.3.3
Il puntone arcuato nelle volte
p.33
2.3.4
La modellazione dell’impalcato con volte
p.36
Capitolo 3: La sperimentazione su pannelli di fascia in scala ridotta:
3.1
Introduzione
p.37
3.2
La morfologia delle fasce di piano storiche in area Napoletana
p.37
3.3
Sintesi dei risultati ottenuti dalla sperimentazione su provini in muratura
ordinaria e storica
3.4
3.5
p.38
L’influenza della tessitura muraria valutata attraverso una sperimentazione
su pannelli in materiale omogeneo
p.43
L’efficacia della fasciatura dei provini di malta con strisce di FRP
p.49
Capitolo 4: Le analisi numeriche su base sperimentale del comportamento
strutturale delle fasce di piano:
4.1
Sperimentazione numerica mediante analisi FEM
p.59
4.2
Considerazioni sui risultati
p.61
1
4.3
Modello teorico semplificato del comportamento della fascia
di piano: “puntone ad arco”
4.4
p.66
Confronto con i risultati di sperimentazioni in scala reale
disponibili in letteratura
p.72
4.5
Confronto con la normativa
p.75
4.6
Confronto risultati teorici e sperimentali in termini di modalità
di rottura
p.78
Capitolo 5: La modellazione tridimensionale degli edifici in muratura
5.1
Introduzione
5.2
Modellazione tridimensionale a telaio equivalente: il caso di
palazzo Petrucci
p.85
p.87
5.2.1
Palazzo Petrucci
p.87
5.2.2
Modellazione
p.89
5.2.3
L’analisi dei carichi verticali e la modellazione delle masse
p.97
5.2.4
Analisi lineari
p.98
5.3
Modellazione con elementi lastra-piastra: il caso del castello
di Castel Volturno
p.119
5.3.1
Stratificazione storica e conseguenti aspetti meccanici
p.121
5.3.2
Modellazione
p.124
5.3.3
Analisi lineari
p.128
5.3.4
Validazione dei risultati
p.143
Capitolo 6: Gli interventi di miglioramento
6.1
Gli interventi consentiti dalla normativa
p.144
6.2
Le finalità degli interventi
p.144
6.3 L’esperienza del terremoto dell’Aquila
p.145
Capitolo 7: Conclusioni
7.1
Risultati della ricerca
p.161
7.2
Sviluppi futuri
p.163
Bibliografia
p.165
2
Capitolo 1:
Le finalità della ricerca: approccio metodologico allo studio
dell’edificio in muratura
1.1 L’ interdisciplinarietà del restauro
La ricerca svolta nell’ambito della tesi di dottorato ha avuto come finalità l’individuazione di
una metodologia di studio del comportamento sismico dell’edificio in muratura, e ha posto
l’accento soprattutto sul problema della scelta di una modellazione adatta ad interpretare la
reale risposta della struttura alle sollecitazioni del sisma. Tuttavia emerge come per una
valutazione corretta della vulnerabilità sia necessaria una approfondita conoscenza della
fabbrica, ed in particolare degli elementi strutturali che risultano strategici per il
comportamento sismico globale dell’edificio, dei materiali utilizzati e delle tecniche adottate
per la realizzazione dell’apparecchiatura muraria.
In tal senso la conoscenza dello sviluppo che ha caratterizzato le costruzioni murarie,
non solo deve essere considerata presupposto essenziale alla progettazione dei nuovi edifici,
ma deve rappresentare un bagaglio imprescindibile per chi debba intervenire sul patrimonio
edilizio esistente con interventi di manutenzione, consolidamento, miglioramento o
adeguamento. Lo studio delle antiche costruzioni deve considerarsi, pertanto, indispensabile
per ingegneri ed architetti impegnati nella tutela di queste testimonianze storiche. La continua
necessità di studiare e approfondire la concezione delle antiche strutture, prima di compiere su
di esse interventi di qualsiasi genere, rende, infatti, fondamentale la conoscenza del loro
passato, per poter operare efficacemente nel presente e poter preservare gli antichi edifici per
il futuro.
In questo contesto assume rilevante valore un approccio di tipo interdisciplinare del
restauro, volto a garantire sia la conservazione del valore culturale della materia che la sua
sicurezza statica. Così oggi il mondo del restauro acquista sempre più la consapevolezza che è
necessario conciliare le sue competenze nelle discipline storico-artistiche con quelle degli
specialisti delle strutture.
Va peraltro evidenziato come sia indispensabile una specializzazione avanzata del
tecnico che deve operare nel campo del consolidamento strutturale. In passato avveniva
spesso che le soluzioni dei problemi statici di fabbriche storiche venivano risolti da
professionisti estranei alla disciplina, ed in particolare alla cultura delle tecniche pre-moderne,
alla tecnologia dei materiali storici e alle modalità esecutive della tradizione. Negli ultimi
3
tempi, invece, le nuove figure di tecnici sono preparate alla specificità dell’analisi e
dell’intervento sulle opere del passato e analizzano l’architettura storica mediante un tipo di
approccio che ha un più ampio raggio.
L’architetto restauratore deve valutare ed utilizzare i dati forniti dalla scienza ai fini
della conservazione dell'opera e di contempo guardare criticamente ai risultati delle nuove
ricerche tecnologiche. La complessità dell'intervento di restauro richiede, il più delle volte, la
necessità di apporti scientifici valutati caso per caso, e soprattutto che non ci si fermi alla
realizzazione del mero progetto di restauro ma si punti, invece, alla prevenzione e alla
manutenzione supportata anche da indagini conoscitive quali il rilievo e la diagnosi non
distruttiva. In tale prospettiva la figura dell’architetto restauratore può essere intesa come
principale interprete e supervisore di un vitale rapporto tra ricerca scientifica, coscienza
storica e corretta operatività.
La collaborazione tra figure differenti, storici, urbanisti, strutturisti, chimici, restauratori
ed altro, consente di valorizzare tutti gli aspetti dell’edificio esistente. Tuttavia ogni singolo
intervento specialistico, su di uno stesso manufatto, non potrà essere indipendente o separato
da un altro, ma dovrà mirare al raggiungimento di una soluzione comune e condivisa dai
diversi esperti. L’obbiettivo comune deve certamente essere rappresentato dalla ricerca di
interventi, minimi e poco invasivi, per il conseguimento di un miglioramento sismico, in
prospettiva della conservazione del patrimonio storico, concepito come testimonianza
autentica e culturale del passato.
Piero Sanpaolesi nel 1973 sosteneva che un edificio, dopo il restauro, dovesse
comportarsi in modo identico, anche strutturalmente, al suo assetto iniziale: “…anche se tale
comportamento, visto alla luce delle nostre attuali conoscenze di statica, presenta manifesti
difetti o anomalie, questi ultimi non vanno “corretti” se non lì dove è necessario farlo ad
evitare danni e dissesti irreparabili,…giacché tali anomalie fanno parte integrante e
documentaria dell’edificio”, pertanto aggiunge che “…un edificio sarà tanto meglio
restaurato quanto più si comporterà in modo autentico, anche strutturalmente, al suo
comportamento iniziale”. Tutto questo può essere possibile se si valorizzano le originarie
risorse della fabbrica e se si tiene conto dell’efficacia di presidi tradizionali (come ad esempio
l’uso di catene scorrevoli). Gli studi condotti negli ultimi anni, infatti, sono stati mirati a
individuare interventi compatibili e non invasivi, integrativi e non sostitutivi, e che non
necessariamente siano nascosti ma anche palesi se realmente giustificati.
4
1.2 L’evoluzione della concezione strutturale dell’edificio in muratura
L’edificio in muratura subisce nel corso degli anni un’evoluzione sia delle tecniche costruttive
che della concezione strutturale. È possibile, infatti, individuare nelle diverse epoche storiche
modi di costruire differenti, frutto dello sviluppo di nuove tecnologie.
Le prime costruzioni lapidee furono ottenute sovrapponendo semplicemente pietre nella
forma in cui si trovavano. Essendo inizialmente i muri realizzati "a secco", e cioè senza
impiego di malta, la stabilità della costruzione era affidata sia alla grandezza dei blocchi che
alla loro regolarità, e risultava tanto migliore quanto maggiore era la superficie di contatto. In
presenza di materiale "minuto" o di pietre arrotondate (come quelle di fiume) o fortemente
irregolari, si rese necessario l'uso di un elemento complementare come il fango, che avesse
funzione di connettore. Con il perfezionamento degli utensili, si capì che per conseguire
maggiori superfici di contatto conveniva sbozzare le pietre manualmente, prima della messa
in opera. Si capì che quanto più tali superfici, oltre che piane, erano orizzontali tanto più
stabili risultavano i muri: fu naturale, pertanto, l'evoluzione verso la pietra squadrata la cui
forma di parallelepipedi consentiva un perfetto contatto tra le pietre e la trasmissione delle
sole componenti verticali delle forze di gravità. Il legante, inizialmente, fu costituito da fango
di natura qualunque e, solo in seguito, da argilla. Frequenti sono stati i ritrovamenti di malte
di gesso utilizzate come legante, dagli egizi nel III millennio a.C. e dai greci in età ellenistica.
Tali malte, pur presentando una presa molto rapida, perdevano però capacità resistente alla
presenza di umidità. I romani, invece, ne introdussero e codificarono l'uso quale legante allo
stato puro (come dimostrano gli edifici di epoca repubblicana in opus quadratum).
L'abbondanza di cave di calcare in Campania fece sì che, proprio in tale regione, si verificasse
la prima diffusione delle malte di calce (così come testimoniano gli scavi di Pompei). Poiché
queste ultime presentavano notevole ritiro, nuove miscele vennero confezionate impastando il
grassello di calce con inerti: uno di questi fu la sabbia che aveva la stessa funzione
“sgrassante” già esercitata sulle argille, ovvero la funzione di evitare l'eccessivo ritiro e le
conseguenti fessurazioni. Impiegando come inerte la pozzolana già nel III secolo a.c. i romani
ottennero in Campania malte talmente tenaci da sfidare i secoli, resistendo benissimo anche
all'umidità, in virtù del fatto che la pozzolana trasformava la calce aerea in calce idraulica.
In ogni caso, in passato, le tipologie murarie degli antichi costituirono il riferimento
costante a partire dall’Alberti. In particolare l’opera di Vitruvio fu assunta come termine
dialettico con cui confrontarsi e dalla quale trarre insegnamenti utili alla costruzione di
murature salde e durevoli. Alberti, Palladio, Francesco Di Giorgio Martini e Scamozzi
riconobbero in Vitruvio “la più valida autorità” e in tutti i loro trattati dimostrarono notevole
5
sensibilità e attenzione nei riguardi della solidità delle murature, considerata la finalità
principale da perseguire in ogni costruzione. Fino agli inizi del ‘700 si riteneva fondamentale
per assicurare la solidità rispettare le cosiddette “regole d’arte”, ovvero principi e metodi
definiti nel corso dei secoli e dimostrati validi dalla pratica costruttiva. Infatti è proprio dalla
sperimentazione e dall’osservazione delle strutture già realizzate che gli architetti traggono
alcuni accorgimenti costruttivi: è consigliato costruire nelle stagioni temperate per evitare
l’asciugamento troppo rapido delle malte con conseguente perdita della loro resistenza; i
giunti dei filari devono essere sfalsati; bisogna costruire in maniera uniforme e con strati
regolari affinché il calo dovuto al costipamento delle malte e all’assestamento delle pietre sia
uguale; in muri molto elevati vano previsti delle pause periodiche per consentire il
consolidamento delle masse inferiori; è consigliabile l’uso di pietre di uguale peso nello
stesso filare per evitare che si producano sforzi difformi e quindi lesioni, ecc. Tuttavia tali
prassi non furono costantemente rispettate, soprattutto per gli edifici con destinazione d’uso
residenziale.
Il mutare delle tecniche costruttive determina anche dei diversi comportamenti
meccanici delle strutture. A tal proposito è interessante richiamare uno studio condotto dai
professori Fiengo e Guerriero, sulle murature in tufo giallo napoletano realizzate tra la fine del
XVI secolo e la prima metà del XX che ha portato ad individuare tre tipi costruttivi
fondamentali, definiti da indicatori cronologici di tipo morfologico e dimensionale: i registri
murari di pietrame spaccato allestiti a cantieri, diffusi nel XVI e nel XVII secolo, quelli di
bozzette a filari, riferibili al XVIII secolo, e quelli di blocchetti a filari, a sacco, adottati nel
XIX e nella prima metà del XX secolo [Fiengo e Guerriero, 1998 (Eds); Fiengo et al, 2003;
Guerriero, 2005]. A questo studio è poi seguita un’indagine sperimentale su macromodelli di
muratura tradizionale1, in scala reale, allestiti riproducendo le tecniche costruttive riscontrabili
nell'areale del tufo giallo napoletano per il periodo che va dal XV al XX secolo. La
sperimentazione ha consentito di determinare il comportamento meccanico di questo tipo di
muratura non solo in termini di resistenza, ma anche deformativi, potendone valutare in
particolare la capacità di adattamento plastico, una volta raggiunta la resistenza massima. Le
tre tipologie di muratura analizzate hanno mostrato un comportamento simile, anche se con
valori differenti di resistenza massima e deformazione ultima. Il valore medio della tensione
di picco per la muratura a cantieri è stata di 3.97 N/mm2, per quella a bozzette di 3.09 N/mm2
mentre, per quella “a sacco” di 2.65 N/mm2. Le differenze riscontrate nella resistenza e nella
deformabilità si è visto dipendere non solo dalle caratteristiche meccaniche della malta e delle
1
I risultati di tale sperimentazione sono descritti in B. Calderoni3, E.A. Cordasco, L. Guerriero, P. Lenza, G.
Manfredi, Mechanical behaviour of post-medieval tuff masonry in the Naples area. Masonry International.
6
pietre di tufo utilizzate, ma anche dalla tessitura corrispondente alla specifica tipologia
muraria e, quindi, dalla maggiore o minore presenza di elementi di cucitura trasversale.
Tutto ciò evidenzia, ancora una volta, come sia necessaria per lo studio degli edifici
esistenti una lettura attenta della fabbrica e quindi della sua stratificazione, finalizzata ad
un’analisi più consapevole che restituisca quanto più possibile il reale stato della struttura.
In effetti nel corso degli anni l’edificio subisce ampliamenti, cambi di destinazione
d’uso, interventi di consolidamento, che quindi trasformano la sua condizione originaria e
fanno sì che tecniche costruttive di epoche diverse coesistano in un'unica fabbrica.
1.3 La normativa sismica sugli edifici in muratura
A seguito del disastroso terremoto che colpì Messina nel 1908 si avvertì l’esigenza di
garantire la sicurezza degli edifici nei confronti delle azioni sismiche e ne scaturiscono le
prime normative sismiche.
Il Regio Decreto del 18.04.1909 (“Norme tecniche ed igieniche obbligatorie per le
ricostruzioni e nuove costruzioni degli edifici pubblici e privati nei luoghi colpiti dal
terremoto del 28 dic. 1908”) escluse l’edificabilità su siti inadatti (paludosi, franosi, molto
acclivi); indicò tecnologie costruttive (“…che le costruzioni fossero realizzate con una
ossatura di legno, di ferro, di cemento armato o di muratura armata”), limitando la muratura,
in mattoni o in blocchi di pietra squadrata o listata, alle costruzioni ad un solo piano; impose il
rispetto di dettagliate regole costruttive (cordoli, sbalzi, strutture non spingenti); limitò
l’altezza degli edifici ed il numero di piani (a seconda delle tecnologie); prescrisse di
considerare forze statiche orizzontali e verticali proporzionali ai pesi (per tener conto degli
effetti dell’azione sismica); definì la larghezza minima degli spazi tra gli edifici; limitò a 5 m
la distanza fra muri portanti.
Nel Regio Decreto n.1080 del 06.09.1912 la muratura ordinaria fu ammessa anche per
edifici a due piani, purché non più alti di 7 metri e di forma parallelepipeda.
Il D.L. 1526 del 1916 quantificò le forze sismiche e la loro distribuzione lungo l’altezza
dell’edificio.
Il Regio Decreto n.705 del 03.04.1926 limitò a 10 m e 2 piani l'altezza dei fabbricati in
zona sismica di I categoria e a 12 m e 3 piani in II categoria; impose un’altezza di interpiano
inferiore a 5 m; le costruzioni in muratura ordinaria furono consentite fino a 8 m in I categoria
e a 12 m in II categoria; i muri trasversali devono trovarsi a distanza non superiore a 7 metri;
7
lo spessore della muratura in mattoni pari a 30 cm all'ultimo piano con aumento di 15 cm ad
ogni piano inferiore.
Una disciplina specifica del consolidamento degli edifici in funzione antisismica è
apparsa dopo i terremoti del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980). Come si evince dal D.M.’81 i
provvedimenti tecnici per aumentare la resistenza degli elementi strutturali degli edifici in
muratura consistevano sostanzialmente nell’inserimento diffuso di elementi in c.a., come
cordoli e pilastri in breccia, iniezioni armate e pareti in cemento armato; soluzioni adottate in
particolare a causa della mancata fiducia nelle capacità resistenti della muratura, indifferenti
alle alterazioni dello schema statico originario.
Nel D.M.’86 compare il concetto di miglioramento sismico in luogo dell’adeguamento
come unica modalità di intervento compatibile con i monumenti.
L’OPCM 3274 del 2003, invece, per gli edifici esistenti introduce il livello di
conoscenza LC, ovvero un coefficiente moltiplicativo che misura il grado di conoscenza della
struttura e sancisce, inoltre, che “per gli edifici di speciale importanza artistica, di cui all’art.
16 della legge 2 febbraio 1974 n.64, è necessario derogare da quanto prescritto nelle presenti
norme, in quanto incompatibile con le esigenze di tutela e di conservazione del bene
culturale”. Per questi ultimi l’OPCM 3431 del 2005 prevede che il Dipartimento della
protezione civile, di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali, definisca “linee
guida” per l’applicazione delle norme tecniche allegate all’OPCM 3274 e ss.mm. in relazione
alle peculiari esigenze della salvaguardia del patrimonio vincolato di valore storico ed
artistico.
Anche il D.M.’04, n.41 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” al comma 5
dell’art.29 prevede che il Ministero definisca, anche con il concorso delle regioni e con la
collaborazione delle università e degli istituti di ricerca competenti, linee di indirizzo, norme
tecniche, criteri e modelli di intervento in materia di conservazione dei beni culturali. Infine, il
D.M.’05 “Norme tecniche per le costruzioni” prevede che, quando ricorrono particolari
complessità a livello di acquisizione dati e di processo conoscitivo, come nel caso di edifici
storico-monumentali ed artistici di grande significatività e complessità, la valutazione della
sicurezza sismica possa essere fondata su una accurata anamnesi storica della costruzione, su
processi logico deduttivi ed espressa e motivata con un “giudizio esperto”. Tali dettati
normativi hanno trovato attuazione nelle “linee guida per la valutazione e la riduzione del
rischio sismico del patrimonio culturale” approvate il 26 luglio 2006.
In ultimo, le recenti “Norme tecniche per le costruzioni” di cui al D.M. 14.01.2008,
confermano sostanzialmente i due livelli di intervento (adeguamento e miglioramento) e
8
riconoscono un terzo livello: “riparazioni o interventi locali che interessino elementi isolati e
che comunque comportino un miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti”.
1.4 Lo studio del comportamento sismico degli edifici in muratura
Il patrimonio edilizio storico è costituito principalmente da edifici in muratura. È possibile
individuare due categorie di edifici: speciali e ordinari. Alla prima appartengono fabbricati
con funzione di rappresentanza, spesso costituiti da ambienti molto ampi, adeguati ad ospitare
assemblee collettive, mentre la seconda è rappresentata da edifici che costituiscono l’edilizia
di tessuto dei centri storici italiani, spesso adibiti a funzione residenziale e caratterizzati da
locali di dimensioni modeste con una disposizione dei setti murari in pianta che si ripete con
sostanziale regolarità in altezza (piano tipo) e con pareti verticali portanti disposte in entrambe
le direzioni principali dell’edificio, che gli conferiscono una conformazione globale di tipo
scatolare. Nella realtà ci si trova però spesso di fronte a situazioni intermedie che potremmo
definire come “edifici particolari”.
Al termine edificio in muratura possono essere, quindi, associate forme di edilizia
molto diverse fra loro a cui corrispondono differenti comportamenti sismici: la varietà di
tipologie è principalmente legata a caratteri tecnologici generalmente dipendenti dal sito di
costruzione, dall’epoca storica e dalla destinazione d’uso originaria.
L’analisi della capacità sismica di tali edifici riveste, alla luce della nuova zonazione
sismica del territorio italiano (secondo le NTC08), un rilievo fondamentale, in particolare con
riferimento alle tipologie abitative storiche caratteristiche dei secoli dal XVI al XIX, che
risultano le più danneggiate in occasione di eventi sismici di una certa entità.
La necessità di condurre uno studio della vulnerabilità sismica di un edificio ha come
obbiettivo la salvaguardia delle persone e spesso l’esigenza di tutelare un valore storico,
artistico, archeologico o paesaggistico.
Il comportamento globale della struttura all’azione sismica è fortemente influenzato,
ancor prima che dalle caratteristiche intrinseche dei singoli elementi strutturali, dal grado di
connessione presente tra essi. Carenze nel collegamento tra pareti ortogonali e tra pareti ed
orizzontamenti fanno sì che la struttura non sia in grado di sviluppare, durante il terremoto,
una risposta globale che chiami a collaborare fra loro le diverse pareti ed a ripartire tra esse le
sollecitazioni indotte. In questo caso, infatti, si ha una risposta pressoché indipendente della
singola parete con una limitata interazione con il resto della fabbrica. La realizzazione del
comportamento scatolare fa sì che per l’edificio si possa definire una vulnerabilità globale che
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dipende dalla risposta sismica di tutto il sistema strutturale, governata dalla risposta nel piano
delle pareti e dall’azione di collegamento e ripartizione esercitata dagli orizzontamenti.
In tal senso la configurazione dell’impalcato svolge un ruolo fondamentale per il
comportamento meccanico dell’edificio sia nei confronti delle azioni sismiche che verticali.
Questo elemento è stato assunto da Pagano come discriminante per la classificazione degli
edifici in muratura, distinguendo tra prima, seconda e terza classe [M. Pagano, 1968; M.
Pagano, 1990]: l’edificio di prima classe, corrispondente alla tipologia più antica, è
integralmente in muratura, con archi e volte che garantiscono un regime di sollecitazioni di
sola compressione; l’ edificio della seconda classe è costituito da elementi murari verticali che
sostengono solai orizzontali semplicemente appoggiati; l’edificio di terza classe è costituito da
impalcati in cemento armato solidali con le pareti portanti. Tale classificazione è relativa in
particolare al comportamento degli edifici in muratura per carichi verticali.
In conclusione è possibile allora affermare che lo studio del comportamento sismico
dell’edificio in muratura deve sempre partire dalla conoscenza della sua storia costruttiva e
deve essere poi mirato a comprendere la sua risposta alle azioni simiche. In effetti a
preoccupare per la stabilità dell’edificio, e quindi per la sua conservazione, sono proprio
queste azioni di cui in passato non si teneva conto. Per poter fare ciò è necessario, tuttavia,
modellare in maniera adeguata la struttura (problematica illustrata più in dettaglio al capitolo
successivo).
10
Capitolo 2:
La modellazione della parete muraria e dell’impalcato
2.1 Introduzione
Prima di affrontare lo studio della modellazione dell’edificio nel suo complesso, è importante
soffermarsi in particolare su alcuni elementi che lo costituiscono: la parete muraria (e più in
dettaglio la fascia di piano) e l’impalcato. Infatti, come si osserverà in seguito, la loro
configurazione influenza notevolmente il comportamento sismico degli edifici in muratura.
In genere tali edifici sono destinati a funzione residenziale ed articolati su un numero
spesso consistente di piani con una configurazione distributiva in pianta che si ripete con
sostanziale regolarità in altezza (piano tipo). Essi caratterizzano ancora buona parte del
tessuto edilizio dei nostri centri urbani ed hanno assunto, nei secoli scorsi e fino ai giorni
nostri, tipologie strutturali diverse, frutto dell’evoluzione tecnologica. È da notare tuttavia
come l’assetto geometrico complessivo, spesso caratterizzato anche da una notevole regolarità
nella posizione delle aperture lungo le pareti, almeno per quelle perimetrali, sia rimasto
pressoché invariato.
Per tale tipo edilizio, una volta impedito il collasso delle pareti fuori dal piano, ad
esempio incatenandole in corrispondenza degli impalcati, il comportamento sismico globale
dipende dalla resistenza e dalla deformabilità delle pareti nel proprio piano. Pertanto la fascia
di piano, che ne rappresenta un elemento essenziale, assume anch’essa un ruolo fondamentale
nel determinare la capacità sismica della parete e dell’intero edificio2.
Il fine della ricerca svolta in passato a tale riguardo dai professori Calderoni e Lenza,
insieme con l’ing. Cordasco, e proseguita nell’ambito del presente lavoro, è stato quello di
analizzare il comportamento strutturale delle differenti tipologie di fascia riscontrabili negli
edifici esistenti nel loro stato originario o in quello derivante da successivi interventi di
consolidamento. Tali tipologie corrispondono a tecnologie ed efficienze strutturali diverse,
per cui, in relazione agli elementi da cui esse sono costituite (muratura, catene metalliche,
architravi o piattabande in calcestruzzo armato o in acciaio), è stato definito, per ciascuna di
esse, il modello meccanico utilizzabile per valutare il grado di accoppiamento fornito ai
maschi murari nell’ambito del comportamento globale della parete sotto azioni orizzontali, sia
in termini di resistenza che di capacità deformativa.
2
G. Magenes, D. Bolognini, C. Braggio, Metodi semplificati per l’analisi sismica non lineare di edifici in
muratura. CNR-Gruppo nazionale per la difesa dei terremoti, 2000.
11
Anche con riferimento agli impalcati è possibile individuare delle tipologie e quindi
delle configurazioni diverse, alle quali corrispondono differenti risposte della struttura
sottoposta ad azioni sismiche.
2.2 La modellazione della parete muraria
Un edificio in muratura può essere analizzato discretizzando le pareti mediante elementi finiti
di superficie o schematizzandole con telaio equivalente. In figura 2.1 viene riportata, come
esempio, la modellazione di una parete semplice in muratura, sia con uno schema a telaio
equivalente che con elementi finiti.
Nel caso di modellazione ad elementi finiti l’analisi è tanto più significativa quanto
maggiore è il grado di dettaglio della mesh, quindi risulta “mesh dependent” e fortemente
condizionata dalle operazioni di definizione del modello. Inoltre tale tipo di analisi risulta
decisamente più onerosa in termini computazionali ed è solo realizzabile con programmi di
calcolo automatico. Nel caso in cui venga considerata una legge costitutiva non lineare del
materiale, il metodo può prendere in esame il corretto degrado della muratura, riducendo la
resistenza degli elementi danneggiati. La definizione dei parametri richiede, però, una
accurata conoscenza del materiale murario ad un livello di dettaglio non esplicitamente
contemplato nelle normative la cui valutazione si può ricavare solo attraverso specifiche
analisi sperimentali. La mancanza di questi parametri o la non corretta valutazione, equivale
ad ottenere, come risultato di un’analisi statica non lineare, una curva “push-over” che non
prende in esame il tratto discendente che si ottiene a causa del danneggiamento strutturale.
L’NTC08 non presenta riferimenti espliciti a modellazione dei pannelli mediante
discretizzazione in elementi di superficie ma propone una modellazione a telaio equivalente
con maschi, travi in muratura ed eventuali altri elementi strutturali in c.a. ed acciaio.
In tale modello la parete, schematizzata come telaio, viene assemblata mediante gli
elementi resistenti (maschi e fasce) ed i nodi rigidi. Essa, tende a sostituire il modello POR,
usato ed abusato nelle applicazioni tecniche dal 1980 ad oggi. Paradossalmente anche il POR,
apprezzabile per i suoi sviluppi non lineari, configura le pareti come un telaio: però mentre da
un lato considera la fascia di piano infinitamente rigida e resistente (senza poi porsi il
problema di effettuare le corrispondenti verifiche), dall’altro ne trascura la capacità di
accoppiamento, tanto che non vengono considerate le variazioni di sforzo normale dovute
all’azione ribaltante delle forze orizzontali.
12
Figura 2.1: Modellazione di una parete in muratura: schema a telaio equivalenete e agli elementi finiti.
La modellazione a telaio, invece, non pone tali limitazioni mentre si presta, mediante
opportuni accorgimenti nella schematizzazione, ad interpretare il comportamento anche di
pareti che non presentino perfetta regolarità nella disposizione delle aperture.
L’analisi non lineare può facilmente conseguirsi adottando un modello di telaio elastico
a plasticità concentrata, che prevede la formazione di cerniere plastiche per presso flessione
e/o taglio, sia negli elementi di fascia che in quelli di maschio. In questo modo non si può
cogliere la progressiva maggiore deformabilità connessa alla estensione delle parzializzazioni,
ma si considera comunque la non linearità meccanica del materiale connessa alla
plasticizzazione degli elementi. Le maggiori difficoltà si incontrano, in questo caso, proprio
nella modellazione della fascia di piano, in quanto le potenziali cerniere plastiche devono
interpretare, sia in termini di resistenza che di deformabilità, il comportamento ultimo di un
elemento strutturale molto complesso e poco studiato. Infatti anche dall’analisi delle
normative sismiche è possibile desumere tali mancanze. Solo a partire dall’ordinanza 3274, e
poi con le recenti NTC08, si considera la possibilità che possa esistere una certa resistenza
flessionale della fascia anche nel caso in cui sia presente un solo elemento orizzontale
tensoresistente, quale una catena, un cordolo o una piattabanda efficacemente ammorsata alle
estremità. L’EC8 invece considera che la capacità di accoppiamento dei pannelli di fascia
possa essere considerata solo nel caso in cui sia presente sia un cordolo superiormente che una
piattabanda inferiormente, cioè quando si può instaurare un classico comportamento di trave a
doppia armatura. La norma americana FEMA 375 non fa alcun riferimento alla capacità di
accoppiamento delle fasce di piano.
Nei paragrafi successivi si riportano, quindi, degli approfondimenti sul comportamento
della fascia di piano, svolti in passato dai professori Calderoni, Guerriero, Lenza e dall’ing.
Cordasco, finalizzati proprio a sopperire a tale scarsa conoscenza.
13
2.2.1 Le diverse possibili configurazioni della fascia di piano
Le diverse configurazioni delle fasce sono quasi sempre correlate alle varie tipologie di
impalcato al quale le pareti sono in qualche modo collegate. Tali configurazioni possono
schematicamente ricondursi ai seguenti tipi:
a)
Fascia debole
a.1) Negli edifici caratterizzati da orizzontamenti a volta e da vani nelle pareti sovrastati da
archi, la fascia è priva di qualsiasi elemento tenso-resistente, se si trascura, cautelativamente,
la debole resistenza a trazione della muratura, della fascia vera e propria e della striscia di
volta in prossimità del collegamento alla parete.
a.2) Negli edifici con impalcati orizzontali e solai isostatici con travi in legno o in ferro, la
fascia è egualmente priva di elementi tenso-resistenti; le piattabande, in legno o ferro, sono
semplicemente appoggiate, senza ancoraggi, alle spalle dei vani e non possono quindi
svolgere la funzione di efficaci tiranti (Fig. 2.2).
La mancanza di affidabile resistenza a trazione della muratura comporta, pertanto,
l'incapacità di resistere a taglio e flessione e quindi di accoppiare i maschi murari se la parete
è soggetta a forze orizzontali.
Per entrambe queste tipologie alla debolezza della fascia è associata l’inaffidabilità
dell’impalcato ad assicurare un comportamento a diaframma rigido.
b)
b.1)
Fascia confinata o fascia “puntone”.
Gli edifici in muratura dotati dei primi impalcati in c.a. sono costituiti da pareti
verticali interrotte dal cordolo di piano che, assieme ad una striscia adiacente di solaio,
costituisce un vero e proprio elemento resistente a trazione, anche se l’aderenza del cordolo
stesso alla muratura è affidato al solo attrito tra i due materiali. Tale elemento può
configurarsi, quindi, come una catena aderente o scorrevole in funzione del carico verticale
agente sul cordolo: nel caso di solaio di copertura ordito parallelamente alla parete tale
capacità attritiva può rivelarsi insufficiente, per cui il cordolo è da considerarsi per tutta la sua
lunghezza alla stregua di una catena scorrevole; nel caso degli impalcati agli altri piani, ancor
più se il solaio scarica sulla parete, si ha un comportamento “aderente” dei cordoli in
corrispondenza delle zone di parete intersezione dei maschi murari e delle fasce di piano
(pannelli di nodo), mentre lungo la luce libera della fascia i cordoli si comportano da catene
scorrevoli, essendo ovviamente ridotti i carichi verticali agenti in corrispondenza dei vani
d’apertura sovrastanti. In questo caso la catena risulta localmente scorrevole. Le piattabande,
14
anch’esse in c.a., sono generalmente ancorate comunque in misura insufficiente sulle spalle
dei vani, presentandosi quindi come tiranti inaffidabili (Fig. 2.3a).
b.2)
Le pareti presentano ad ogni piano una cordolatura continua non solo in
corrispondenza del solaio ma anche al di sopra dei vani. Si determina in questo modo una
configurazione pienamente confinata della fascia, con due elementi (uno superiore ed uno
inferiore) tenso-resistenti. I due cordoli possono configurarsi poi come catene aderenti o
scorrevoli, sulla base delle stesse considerazioni esposte in precedenza per il caso b.1 (Fig.
2.3b).
La presenza di almeno un elemento orizzontale resistente a trazione, se efficacemente
ancorato, consente di impedire spostamenti relativi tra i singoli pannelli della fascia per cui
può nascere all'interno della fascia di piano uno sforzo normale orizzontale di compressione
(di valore non noto) che rende il pannello simile ad un maschio murario, con un
comportamento a puntone equivalente (Magenes et al., 2000), (Liberatore, 2000).
Per entrambe tali categorie l’impalcato è generalmente idoneo ad assicurare la funzione
di diaframma rigido.
c)
Fascia consolidata o fascia “trave”.
In questa categoria rientrano tutte le numerose tipologie ottenute come risultato di una
trasformazione delle configurazioni originarie. In generale la trasformazione interessa sia la
fascia stessa che l’impalcato vero e proprio.
Figura 2.2: Fascia di piano caratterizzata dalla presenza di solai e piattabande in legno
a) Piattabande in corrispondenza dei vani
15
b) cordolatura continua al di sopra dei vani di apertura
Figura 2.3: Fascia di piano caratterizzata dalla presenza di piattabande e cordoli di piano in c.a.
Figura 2.4. Fascia di piano con solai e piattabande in legno consolidata attraverso l’inserimento di una catena
metallica
c.1)
L’adozione di una catena metallica ancorata sulle testate dell’edificio, collocata in
adiacenza alla parete muraria ed in genere alla quota di intradosso del solaio, costituisce
l’intervento minimo che tuttavia è sufficiente a conferire alla fascia di piano una prima
capacità di accoppiamento tra i maschi murari (Fig. 2.4).
c.2)
La creazione invece di elementi tenso-resistenti alla quota del solaio, spesso come
completamento di un intervento sull’impalcato, e/o alla quota delle piattabande dei vani, ha la
stessa efficacia della fascia confinata, senza necessariamente interrompere la continuità
verticale del paramento. La necessità di ancorare i nuovi elementi alle murature, mediante
chiodature frequenti, determina poi, sia che si adotti la tecnologia del c.a. che quella
dell’acciaio, l’aderenza dei tiranti per tutta la lunghezza della parete.
c.3)
L’adozione su una fascia confinata da catene aderenti anche di ulteriori interventi di
rinforzo, che impediscano l’instaurarsi di un meccanismo fragile per rottura a taglio, porta ad
un elemento strutturale fortemente consolidato. Tra gli interventi più frequentemente adottati
si ricorda il placcaggio del pannello di fascia con reti metalliche e betoncino, la disposizione
di rinforzi in acciaio lungo le diagonali o la fasciatura con materiali innovativi del tipo fibrorinforzati. In questa configurazione si rende pienamente disponibile la deformabilità
flessionale dell’elemento (ottenendo un meccanismo di rottura più duttile).
Per suddette configurazioni è possibile allora l'attivazione di un vero e proprio
comportamento flessionale a trave, con resistenza a taglio e a flessione praticamente
disaccoppiate e valutabili come per una trave in muratura armata.
16
2.2.2 Il ruolo della fascia di piano nel comportamento sismico degli edifici
in muratura.
Ai fini della modellazione strutturale volta alla valutazione della capacità delle pareti di
controvento, il rilievo, oltre ad evidenziare l’efficacia dell’impalcato come collegamento
bidimensionale tra le pareti e, eventualmente, come piano rigido, deve verificare la presenza,
in corrispondenza delle fasce, di elementi tenso-resistenti efficaci, che possano configurarsi
come catene scorrevoli, localmente scorrevoli ovvero del tutto aderenti.
La prima tipologia, descritta nel paragrafo precedente, se si trascura la debole capacità
della muratura di trasmettere sforzi di trazione in direzione parallela ai letti di malta [Cattari
& Lagomarsino, 2007], presenta capacità di accoppiamento praticamente trascurabili, tanto
che nelle usuali schematizzazioni della parete muraria a telaio equivalente si rappresenta con
un pendolo privo di qualsiasi rigidezza e resistenza sia a taglio che a flessione.
Nel secondo caso, la presenza dell’elemento tensoresistente impedisce “l’allentamento”
dei pannelli di fascia rispetto agli elementi verticali, consentendo quindi l’instaurarsi di
meccanismi resistenti anche a taglio basati essenzialmente sulla formazione di un puntone
diagonale, che sembrerebbero quindi governati dalla resistenza a compressione del materiale.
Per tale tipologia le recenti NTC08 forniscono anche le corrispondenti formulazioni,
limitando la resistenza del pannello di fascia in relazione anche ad un comportamento a taglio
basato sulla sola resistenza a trazione della muratura [Cattari et al., 2006].
La terza tipologia è ovviamente la più efficace, in quanto dotata di resistenza a flessione
corrispondente a quella di una trave armata, fermo restando che la resistenza a taglio, in
assenza di appositi rinforzi d’anima, è sempre connessa a quella della muratura non armata.
E’ evidente quindi che la scelta del modello strutturale per la fascia di piano, in
relazione alla situazione effettiva della parete muraria in esame, è fondamentale per la corretta
valutazione della sua vulnerabilità sismica. A tale proposito in figura 2.5 si riportano quattro
curve push-over relative ad una parete muraria di sei piani a geometria regolare, ciascuna
riferita ad una diversa ipotesi comportamentale delle fasce di piano. Le curve sono state
ottenute mediante analisi non lineari effettuate su uno schema di telaio equivalente con
elementi a plasticità concentrata, valutandone poi la corrispondente vulnerabilità sismica
[Calderoni1 et al., 2007].
La curva più bassa rappresenta il caso di fascia di piano “debole”, che evidenzia una
capacità sismica molto limitata, con PGA=0.06g per un suolo di tipo B, valutata limitando
allo 0.4% la rotazione agli estremi delle fasce di piano, non ritenendone accettabile un dan 17
1400
Fb [kN]
1200
P.G.A.=0.32g
P.G.A.=0.33g
1000
800
Trave
Puntone
Taglio fvo
Fascia debole
P.G.A.=0.16g
600
400
P.G.A.=0.06g
200
0
0.00
a) schema geometrico
top [m]
.
0.01
0.02
0.03
0.04
0.05
b) curva di push-over
Figura 2.5 Analisi statica non lineare per una parete muraria di riferimento
neggiamento troppo accentuato.
La seconda curva evidenzia un miglior comportamento, con PGA=0.16g, ed è relativa
alla configurazione di fascia con “catena”. Per essa il taglio massimo trasmissibile è stato
valutato utilizzando la relazione (V = fvo h t) fornita dalle NTC08, che considera la sola
resistenza a taglio del materiale in assenza di sforzo di compressione e restituisce, quindi, un
valore sempre molto basso. Il limite di deformabilità a taglio, anche per le fasce di piano, si è
posto pari allo 0.4%, così come indicato dalle stesse NTC08 per i maschi murari.
La terza curva restituisce una PGA=0.33g. Essa è sempre corrispondente alla
configurazione di fascia con “catena”; ma, in questo caso, si è considerata la resistenza a
taglio connessa al meccanismo a puntone, così come formulata dalle NTC08, non tenendo
invece conto, al contrario del caso precedente, dei limiti relativi al taglio per solo scorrimento
(V = fvo h t). Il limite di deformabilità, essendo tale meccanismo più duttile, si è fissato allo
0.8%, così come previsto dalle NTC08 per la rottura a pressoflessione dei maschi.
La quarta curva, infine, rappresenta il comportamento della parete nel caso di fascia
“trave”, e mostra una analoga capacità sismica (PGA=0.32g). In questo caso la resistenza
flessionale del pannello di fascia è stata valutata con riferimento a travi in muratura armata
seguendo le formulazioni dell’EC6. Non si è tenuto conto di eventuali rotture a taglio,
supponendo che i pannelli siano armati se necessario, e si è limitata la capacità rotazionale
all’1.5%. Si noti che la maggiore resistenza delle fasce di piano non ha prodotto in questo
caso significativi miglioramenti, perché, in accordo con i principi della gerarchia delle
resistenze, sono stati alcuni maschi murari del piano terra a condizionare la capacità della
parete a causa di un limitato superamento della massima deformabilità a taglio, posta pari,
come da norma, allo 0.4%. Non considerando tale limite la capacità sismica della parete
arriverebbe a 0.43g.
18
Fascia debole
Taglio fvo
Puntone
Trave
Figura 2.6. Deformate al collasso
In figura 2.6 sono riportate, per ognuno dei casi analizzati, le corrispondenti deformate
al collasso, che evidenziano meccanismi di rottura significativamente diversi. È evidente
allora il ruolo strategico che la fascia di piano assume in relazione alla capacità sismica della
parete muraria, sia in termini di resistenza che di deformabilità, e come sia possibile
incrementare tale capacità solo modificando le proprietà dei pannelli di fascia senza alcun
intervento sui maschi murari. Dall’analisi della figura 2.6 risulta comunque che non è
necessario trasformare i pannelli di fascia in travi in quanto la fascia con catena fornisce
prestazioni significative se riesce ad esplicare la sua resistenza connessa al meccanismo a
puntone. Considerando poi che la stessa fascia con catena risulta notevolmente meno efficace
se si fa riferimento alla resistenza relativa ad un comportamento a taglio classico, appare
indispensabile approfondire il comportamento strutturale di tale tipologia al fine di
individuare in modo più convincente quale siano gli effettivi meccanismi di rottura che si
attivano in essa e quale siano le capacità resistenti e deformative corrispondenti.
2.3
La modellazione dell’impalcato
Gli impalcati hanno assunto col passare degli anni conformazioni diverse dovute soprattutto al
mutare delle tecniche costruttive degli edifici. È possibile quindi classificarli in diverse
tipologie (Fig. 2.7):
- I solai a travi in legno: utilizzati fino alla prima metà dell’ottocento e costituiti da travi in
castagno, generalmente poste ad un interesse pari a 70-90 cm, e tavolato in abete inchiodato
alle travi. Raramente, le testate delle travi erano ancorate alla muratura tramite staffe e perni
in ferro.
19
- Volte: realizzate da maestranze specializzate. La carpenteria era costituita da centine e
tavolato. Si individuano diverse tipologie in funzione della forma della loro superficie
(Fig. 2.8). In particolare si distinguono volte semplici e volte composte. Le volte semplici
sono quelle determinate da una superficie (semplice) secondo la quale è sagomato
l’intradosso, ovvero: volte a botte, a vela, elicoidale; mentre le volte composte sono
caratterizzate dall’avere l’intradosso composto da più superfici: volte a padiglione, a schifo, a
crociera. Nell’ambito di ciascuna forma è possibile, inoltre, una sottoclassificazione in base ai
parametri che caratterizzano i rapporti dimensionali della forma base. Ad esempio con
riferimento alle volte a botte si determina una ulteriore differenziazione in funzione del
rapporto tra la freccia e la semiluce (2f/l) che prende il nome di sesto, per cui si hanno: volte a
tutto sesto (sesto pari a 1); volte a sesto ribassato (sesto minore di 1); volte a sesto rialzato
(sesto maggiore di 1). L’orizzontalità del piano di calpestio era infine ottenuta mediante
riempimento con materiale leggero (pomice, lapillo piccoli vasi di terracotta).
- Solai in putrelle e voltine: hanno cominciato a diffondersi a partire da metà ottocento e sono
prevalenti nel primo novecento. L’interasse tra le putrelle varia tra 50 e 80 cm.
- Solai in latero-cemento: i primi esempi risalgono agli anni ’30-’40 e sono realizzati con
tondini di acciaio dolce e pignatte componibili. Meno frequenti sono le solette piene in c.a.
Molto spesso queste diverse tipologie coesistono negli edifici in muratura esistenti
interessati da ampliamenti e/o consolidamenti realizzati nel tempo. Tale convivenza produce
dei comportamenti strutturali che vanno studiati caso per caso.
Risulta, pertanto, fondamentale per un’analisi sismica di un edificio in muratura
conoscere la conformazione degli impalcati da cui dipende la loro capacità di assicurare un
Figura 2.7: Tipologie di impalcati (da M. Pagano, “Costruire in muratura”)
20
Figura 2.8: Tipologie di volte (da P. Lenza, “Sul comportamento sismico delle volte in muratura” –
Ingegneria Sismica)
comportamento spaziale della struttura e quindi di scongiurare il collasso delle pareti fuori dal
piano.
Quando l’impalcato non è in grado di collegare efficacemente tra loro le murature
verticali, le azioni sismiche determinano sollecitazioni flessionali agenti al di fuori dal piano
delle pareti, che possono causare meccanismi di ribaltamento delle stesse. Viceversa, quando
l’impalcato è in grado di svolgere la funzione di collegamento e, se sufficientemente rigido, è
anche in grado di distribuire le forze e le azioni orizzontali sollecitano le pareti nel proprio
piano (controventi). Va precisato, però, che mentre negli edifici moderni (edificio della terza
classe), dove le pareti sono più sottili, le aperture sono maggiormente presenti, l’impalcato
rigido (generalmente è presente un solaio in c.a) svolge a pieno la funzione di ripartire i
carichi, nell’edificio storico (di prima o seconda classe), anche quando si interviene per
rendere l’impalcato rigido, la presenza di pareti molto robuste e quindi molto pesanti, fa sì che
l’effetto della ridistribuzione sia molto modesto in quanto la distribuzione dei carichi è già
proporzionata (a meno del carico dei solai che però incide poco sul peso totale della struttura).
Al fine di studiare dei casi limiti di comportamento dell’impalcato sono state
individuate quattro ipotesi (Fig. 2.9): A) l’impalcato non connette e non distribuisce
(completamente assente); B) l’impalcato connette ma non distribuisce; C) l’impalcato
deformabile, con una certa deformabilità nel piano e quindi con la capacità di distribuire le
azioni orizzontali; D) l’impalcato infinitamente rigido, ovvero la struttura orizzontale è rigida
nel proprio piano ed ha la capacità di distribuire le azioni su tutte le pareti che connette.
La configurazione A corrisponde ad uno stato dell’edificio semiruderizzato, dove sono
presenti ampie lacune negli impalcati, i quali non sono affatto in grado di assolvere alla
funzione di collegamento e quindi di ridistribuire le sollecitazioni indotte dal sisma. Inoltre si
considerano inefficaci anche le croci di muro a causa di un cattivo ammorsamento dei conci
21
Modello A
Modello B
Modello C
Modello D
Figura 2.9: Ipotesi sul comportamento dell’impalcato
d’angolo o per la presenza di lesioni. In tale condizione si rendono, quindi, necessari degli
interventi volti a migliorare il comportamento dell’edificio.
Nel caso B, invece, si ipotizza ancora assente l’impalcato ma affidabili le croci di muro.
In tale situazione le pareti ortogonali al sisma possono collaborare evitando ribaltamenti. In
effetti l’efficacia delle croci di muro consente l’instaurarsi di un effetto ad arco, nelle pareti
resistenti poste in direzione del sisma, che scarica proprio sulle pareti di controvento. Tale
configurazione non può, però, considerarsi cautelativa per l’edificio, in quanto le pareti
possono, comunque, instabilizzarsi fuori dal piano (spanciamento).
L’impalcato analizzato nel caso C ha una certa deformabilità, grazie alla presenza di
catene, e quindi, riesce a collegare le pareti e a garantire una discreta ridistribuzione delle
sollecitazioni. Tale configurazione risulta essere molto importante soprattutto nei casi in cui si
rende fondamentale la conservazione del bene architettonico. Infatti, per ottenere un simile
vantaggio sarà necessario un intervento poco invasivo, quale è l’inserimento di catene.
Il caso D rappresenta l’ipotesi di un impalcato infinitamente rigido che certamente
rappresenta la configurazione migliore soprattutto per la condizione sismica. Tuttavia per
edifici antichi, non della terza classe, per garantire un simile comportamento è necessario
sostituire i solai esistenti (in genere lignei) con solai in c.a. (intervento invasivo).
Come anticipato al par. 2.2.1 le diverse configurazioni delle fasce sono correlate alle
varie tipologie di impalcato. In particolare, alla luce della distinzione fatta per gli impalcati, è
possibile precisare che nei casi A e B sarà certamente presente una tipologia di fascia
“debole”, nel caso C, invece, si potrà avere una fascia “puntone” e nel caso D, una fascia
“trave”.
Le possibili tipologie di impalcato descritte possono essere modellate mediante un
modello spaziale in cui si ha: per il caso A, le pareti non collegare tra loro e l’impalcato
assente; nel caso B, il collegamento delle pareti in corrispondenza delle croci di muro,
utilizzando un vincolo “equal” in cui si impongono uguali spostamenti e rotazioni; nel caso C
l’impalcato schematizzato mediante pendoli diagonali (puntoni) e le pareti collegate nelle
croci di muro; nel caso D l’impalcato modellato con un vincolo di diaframma rigido.
22
Con riferimento al caso C va precisato però il criterio con il quale viene assunta l’area
dei puntoni compressi. Il comportamento può essere assimilato a quello di una tamponatura
inserita in un telaio che subisce uno spostamento orizzontale (dovuto all’azione del sisma). A
tal proposito il D.M. 2/7/81 consentiva di tener conto dell’effetto irrigidente delle
tompagnature considerando l’attivazione di un puntone diagonale compresso di spessore (s)
pari a quello della muratura e larghezza (B) pari al 10% della sua lunghezza (ld). Altri studi
sperimentali, invece, considerano un intervallo di valori in cui B potrà essere compreso:
B. Stafford Smith indica il 15-30% di ld, M. Pagano propone il 20-25 di ld. Nel caso specifico
si assumerà come larghezza della diagonale compressa il 20% della lunghezza della diagonale
e come spessore l’altezza della soletta in c.a. eventualmente presente nel solaio.
2.3.1 Le volte
Il comportamento delle volte è stato studiato, nel corso degli anni, da diversi autori. In questo
paragrafo si descrive, pertanto, l’evoluzione della loro concezione strutturale attraverso
l’analisi dei principali trattati di architettura.
Vitruvio (I secolo a.c.) nel VI libro del “De Architectura” sostiene che in presenza di
archi si dovranno avere “i pilastri d’angolo più grossi per poter resistere, poiché i cunei,
compressi dal peso delle murature, spingono in fuori le imposte dell’arco” e, inoltre,
consiglia di costruire le volte con uno spessore massimo di due piedi e di utilizzare un
materiale leggerissimo per il riempimento.
L’Alberti (1404-1472), sulla base di criteri essenzialmente geometrici, individua la
tipologia a tutto sesto come la più solida, in grado di offrire maggiori garanzie e la sola a non
richiedere l’uso di catene o di qualsiasi altro mezzo di sostegno. Tuttavia negli studi
dell’Alberti non si trovano mai formule, per quanto empiriche ed approssimate, o regole che
servono a dimensionare queste strutture.
Leonardo (1452-1519) è indubbiamente il primo che abbia tentato la formulazione,
seppur in modo grossolano, di una teoria sufficiente a supportare la pratica costruttiva
secondo principi scientifici. A lui, infatti, si deve la prima “regola” per la stabilità dell’arco,
dedotta da sperimentazioni: “l’arco non si romperà, se la corda dell’archi di fori non tocherà
l’arco di dentro”. Anch’esso riconosce la necessità di utilizzare catene in ferro per garantire
una maggiore stabilità di tali strutture. Leonardo, inoltre, studia il comportamento sotto le
diverse condizioni di carico e la relativa spinta che esso esercita sui muri di appoggio,
analizzando le fratture e i conseguenti meccanismi che si innescano.
23
Nonostante i numerosi studi, il dimensionamento in chiave geometrica resta per molto
tempo il criterio più seguito dai trattatisti.
Palladio (1508-1580) fornisce delle dimensioni, per una corretta progettazione di tali
strutture, dedotte dall’esperienza costruttiva: i pilastri nelle logge devono essere pari circa ad
un terzo dell’interasse tra i pilastri; negli angoli pari circa a due terzi, così che i cantonali
siano ben resistenti.
Francesco Di Giorgio Martini (1439-1501) sostiene erroneamente che la volta a crociera
sia la più stabile. Egli propone dei sistemi di rinforzo per quelle tipologie particolarmente
deboli: le volte lunettate andranno collegate superiormente con catene, mentre le volte
semicircolari su peducci, dovranno poggiare su murature contraffortate, per evitare dissesti
provocati da spinte eccessive. Per diminuire il carico che grava sulle volte suggerisce
l’impiego di archetti di scarico o di vasi fittili di terracotta.
Lo Scamozzi (1548-1616) giudica le volte delle strutture molto sicure se costruite a
regola d’arte; riconosce l’importanza di realizzare delle murature di spessore idoneo a
contenere la spinta; suggerisce come sistemi di consolidamento da adottare in caso di dissesto:
l’aumento della sezione resistente attraverso la costruzione di pilastri o colonne e il ricorso a
tiranti metallici nel caso in cui non fosse possibile l’incremento dello spessore murario.
Solo con gli studi di De La Hire e De Belidor vennero introdotti per la prima volta
indicazioni della meccanica nella progettazione degli archi e delle volte. Philippe De La Hire
(1640-1718) fu il primo a formulare una teoria per il calcolo delle strutture voltate nel “Traité
de Mécanique” (pubblicato nel 1730). Egli riconosce nell’arco la presenza di una macchina
semplice, ossia il “cuneo”, che gli consente di presagire certe modalità di comportamento e
certi cinematismi di rottura, da cui far derivare congruenti soluzioni progettuali. De La Hire
affronta anche il problema del dimensionamento dei piedritti prefigurando un modello molto
prossimo al calcolo a rottura, che però non prende in considerazione l’attrito, parametro di
estrema importanza, le cui leggi verranno definite correttamente solo più tardi da Coulomb.
De Belidor (1697-1761) nel suo trattato “La science des Ingènieirs dans la conduite des
travaux de fortification et d’architecture civile” (pubblicato nel 1729) propone una
formulazione identica ma di più semplice comprensione e applicazione.
Guarino Guarini (1624-1683) studia la costruzione delle volte e delle cupole attraverso
lo strumento della geometria descrittiva, discostandosi dall’approccio seguito dai trattatisti a
lui coevi.
Anche nella trattatistica ottocentesca, la costruzione di volte costituisce un argomento
affrontato generalmente in modo diffuso. Esempi sono il Trattato teorico e pratico dell’arte
24
di edificare di Jean-Baptiste Rondelet, pubblicato in Francia in diverse edizioni dal 1802, o il
Trattato generale di costruzioni civili di Gustav Adolf Breymann, che ha conosciuto una
grande diffusione subito dopo la morte dello studioso tedesco nel 1859.
All’interno del trattato di Rondelet, le volte sono ampiamente illustrate dal punto di
vista geometrico nella sezione dedicata alla stereotomia. Con riferimento alle Volte in mattoni
comuni, per gli appartamenti, scrive Rondelet: “I mattoni per formare una volta si possono
disporre in due maniere diverse indipendentemente dalla direzione degli ordini. Si possono
mettere in coltello secondo la larghezza o la lunghezza, o piani come pei mattonati, in ragione
della forza e del collegamento che si vuol dare alle volte. […] I costruttori moderni hanno
impiegato questi due metodi per la costruzione delle volte formanti solaio; e per diminuire
l’altezza hanno data pochissima elevazione alla curvature di esse. Alcuni per ragguagliarle
colla verticale dei muri hanno formato questa curvatura con semiellissi o imitazioni di questa
curva”. Nel caso di dissesti delle volte Rondelet raccomanda diversi sistemi di
consolidamento: inserimento di grappe e perni in ferro, per collegare saldamente i conci;
inserimento di piccole pietre nelle cavità per evitare lo scorrimento di parte della volta; uso di
tiranti in ferro che, qualora siano posizionati in prossimità delle imposte, sono in grado di
opporsi alla deformazione avuta in corrispondenza delle reni e quindi all’eventuale crollo.
Anche il Trattato generale di costruzioni civili di Breymann presenta un carattere
enciclopedico. Ma l’obiettivo prioritario è quello di trasferire un bagaglio di conoscenze da
applicare nell’attività progettuale agli studenti del Politecnico di Stoccarda e quindi non
sorprende il carattere evidentemente didascalico dell’opera.
Sganzin (1750-1837) esamina le volte e gli archi prendendo come riferimento principale
gli studi dei maggiori scienziati dell’epoca, tra i quali Coulomb (1736-1806), il quale stabilì “i
veri punti di rottura delle volte sottili e i limiti delle forze che si possono applicare alle volte
già dimensionate”, ovvero i valori, massimo e minimo, della spinta orizzontale, entro i quali è
verificata la condizione di stabilità dell’arco, arrivando alla conclusione che la linea delle
pressioni non doveva essere necessariamente perpendicolare al giunto, ma rispettare solo la
condizione di cadere entro lo spessore dell’arco, cioè essere contenuta tra intradosso ed
estradosso. Sganzin dedica ampio spazio ad accorgimenti pratici, necessari per aumentare la
resistenza di una volta; indica tra i rimedi l’uso di tiranti metallici da posizionare al’altezza
dei conci di imposta, in prossimità dei giunti di rottura; consiglia contrafforti pieni oppure ad
arco per controbilanciare la spinta della volta.
Borgnis, diversamente da altri autori, sottolinea l’importanza di consolidare il terreno
per evitare l’insorgere di cedimenti differenziali e schiacciamenti dei piedritti, con
25
conseguenti rotture nelle volte soprastanti. Per consolidare le volte interessate da dissesti
consiglia di eseguire sull’estradosso dei muretti (frenelli), disposti normalmente alle
generatrici, aventi la funzione di rinforzare la volta alle reni e distribuire in maniera ottimale il
carico accidentale. Tuttavia egli aggiunge che è importante realizzare questi rinforzi in
muratura ben tessuta, con buona malta di calce e possibilmente prolungati dai due lati fino
alla chiave in modo da congiungersi per costruire degli archi di aiuto alla volta. A differenza
degli altri trattatisti il Borgnis non cita l’uso dei tiranti metallici.
Il Cavalieri San-Bertolo (1788-1867) studia, anche se in modo poco approfondito, il
comportamento delle volte e degli archi in zone sismiche e sconsiglia l’uso di tali strutture.
Egli propone di fissare la grossezza dei piedritti in base alla qualità dei materiali, alla natura
del terreno sul quale deve insistere ed alle forze cui è sottoposto. Inoltre sostiene che una
buona stabilità si ottiene quando la sua grossezza è pari ad 1/8 dell’altezza. I rimedi che
propone per aumentare la resistenza delle strutture voltate sono quelli usuali, come l’impiego
di contrafforti parallelepipedi o con base trapezoidali, oppure di speroni detti barbacani.
Cantalupi, nelle “Istruzioni pratiche sull’arte del costruire le fabbriche civili” (1862),
afferma che sapere applicare le teorie meccaniche alla pratica del costruire diventa
indispensabile per realizzare fabbriche solide e durevoli. Relativamente alla dimensione
minima di un arco in chiave, egli riporta gli studi di Rondelet e Perronet, i quali stabiliscono
che questa dipendeva dalla somma i due coefficienti determinati empiricamente e dal raggio
di curvatura dell’estradosso. Anche egli consiglia il ringrosso dei piedritti, la costruzione di
speroni e l’uso dei tiranti. Cantalupi, inoltre, è tra i pochi trattatisti a sottolineare come le
catene vista deturperebbero “sensibilmente la bellezza dell’edificio le cui linee architettoniche
si troverebbero intersecate da siffatte stringhe” e consiglia di eliminare la sporgenza dei capochiavi dalla superficie dei muri, incassando una piastra di ancoraggio all’interno del muro in
modo che le pressioni prodotte alla chiave vengano distribuite su una superficie maggiore e
più resistente.
Questo grande interesse per le volte sembra subire una flessione nella manualistica di
fine secolo, dove, da un lato viene meno il carattere enciclopedico e la dimensione scientifica
delle opere precedenti, mentre dall’altro alla descrizione del sapere tecnico consolidato si
affiancano soluzioni costruttive alternative caratterizzate da una certa sperimentalità.
Nel 1885, per esempio, Giuseppe Musso e Giuseppe Copperi, sulla scia delle traduzioni
italiane delle opere di Rondelet e di Breymann, pubblicano un volume di dettagli costruttivi
non a caso intitolato Particolari di costruzioni murali e finimenti di fabbricati. L’obiettivo è
in questo caso dichiaratamente più modesto rispetto ai trattati precedenti e in tal senso
26
scrivono gli autori nella premessa: “Colla fiducia di fare cosa grata ed utile a chi intraprende
la carriera del costruttore, presentiamo una serie di disegni di dettaglio di costruzioni murali,
corredandoli di tutte le spiegazioni necessarie a chiarire le figure esposte”.
È interessante notare come l’uso delle catene sia stato già in passato una pratica molto
seguita per contrastare le spinte delle volte. Esse, per quanto possibile, venivano collocate
proprio nei punti di applicazione delle spinte e anche se fino alla metà dell’Ottocento questi
punti non erano univocamente determinati, veniva comunque sempre specificato che, in caso
di consolidamento, si dovevano applicare nelle zone dove erano manifestate le lesioni più
gravi.
L’excursus storico sulla trattazione di archi e volte presentato dimostra come le
principali nozioni e acquisizioni teoriche, oggetto della moderna scienza delle costruzioni,
erano già ampiamente definite dai trattatisti del passato.
Tuttavia voler interpretare le antiche volte in muratura con teorie moderne, sviluppate
soprattutto con l’avvento di evoluti modelli di calcolo (analisi membranale e flessionale di
sistemi continui o discreti), crea non pochi problemi a causa della resistenza bilaterale del
materiale ipotizzata in tali teorie.
In tale contesto si inserisce uno studio, di seguito riportato (par. 2.3.3), che risulta però
solo avviato e che necessiterà di essere meglio sviluppato in futuro.
2.3.2 La configurazione strutturale delle volte
Negli edifici storici le volte rappresentano una tipologia costruttiva molto spesso utilizzata: in
edifici ordinari, soprattutto come solai di locali ai piani bassi, e in edifici speciali, quali chiese
o palazzi nobiliari, come sistemi di copertura.
Per comprendere meglio la loro configurazione strutturale sono state osservate in
ambito di “Terra di Lavoro” alcune tipologie di volte.
Risulta infatti fondamentale per una loro modellazione e analisi, la conoscenza delle
modalità costruttive utilizzate nel passato. Affinché il modello simuli al meglio il
comportamento di una struttura voltata, occorre conoscere il sistema costruttivo ed in
particolare il grado di connessione tra i muri verticali e la volta stessa, che spesso non è
possibile valutare a causa della presenza dell’intonaco (come accade nel caso riportato in
Fig. 2.10 raffigurante una volta a crociera). Dalla letteratura
3
risulta che in corrispondenza
3
Analisi dei trattati: Trattato teorico e pratico dell’arte di edificare di Rondelet e Trattato generale di
costruzioni civili di Breymann.
27
delle sezioni di imposta, ovvero dove le reazioni sono maggiori, si ha di solito un aumento
della sezione resistente: in queste zone non c’è materiale di rinfianco bensì una sezione di
muratura piena. Le pareti perimetrali, inoltre, offrono un vincolo di appoggio alla volta.
Nel caso di volte a crociera non sempre è chiaro se gli archi di bordo siano ammorsati
nelle pareti (l’intonaco nasconde l’interfaccia tra muri e volte). In letteratura4 sono stati
ritrovati casi in cui l’ammorsatura nelle murature è realizzata solo alle imposte, mentre il resto
dell’arco è messo in opera affiancato alla parete perimetrale. Questa tecnica costruttiva veniva
adottata per ovviare agli effetti del ritiro della malta, che provoca un calo dell’imposta.
L’ammorsatura nella parete, infatti, contrasterebbe questo abbassamento, ma provocherebbe
lesioni all’attacco con il muro. Se si considera l’ipotesi che gli archi di bordo siano ammorsati
alle pareti verticali, a causa della scarsa resistenza a flessione della muratura, il vincolo che si
viene a realizzare è in grado di trasmettere solo forze e non coppie. Inoltre, le reazioni
vincolari orizzontali possono essere dirette solo verso l’interno, perché quelle dirette verso
l’esterno originano tensioni di trazione che la muratura non è in grado di sopportare. Se si fa,
invece, l’ipotesi che gli archi siano semplicemente affiancati alle pareti, fatta eccezione per un
breve tratto alle imposte ammorsato alle pareti, ne consegue che le pareti offrono un vincolo
alla traslazione orizzontale e , per attrito, verticale, solo nei tratti dove la volta si sposta verso
le pareti. Dall’osservazione delle volte a crociera di S. Caterina a Formiello a Napoli (Figg.
2.11 e 2.12) la mancanza dell’intonaco consente di dedurre, ad esempio, che gli archi siano
ammorsati alla muratura. Dal rudere della volta a crociera del castello di Carinola (Fig. 2.13),
al contrario, è evidente come le pietre siano solo affiancate alle pareti verticali. Quindi
effettivamente è possibile nella realtà trovare entrambe queste ipotesi.
Spesso proprio la scarsa conoscenza della struttura delle volte, induce a sottovalutare la
loro capacità di offrire una discreta rigidezza all’impalcato. La tipologia delle volte e la loro
composizione può influire notevolmente sul comportamento sismico, pertanto è fondamentale
valutare con adeguati modelli il comportamento di queste strutture sottoposte a forze di tipo
sismico. È noto come in passato tali strutture venissero dimensionate solo per carichi di tipo
gravitazionali e per contrastare il loro effetto spingente si costruivano piedritti molto spessi
(Fig. 2.14) o si prevedeva l’inserimento di tiranti metallici (vedi par. 2.3.1). Per non avere
spinte eccessive si limitava, inoltre, il carico della volta realizzando il riempimento con
materiale leggero. La figura 2.13 mostra, infatti, la sezione strutturale della volta a crociera in
cui si ha un masso con uno spessore molto piccolo e una probabile controvolta che separa il
vuoto sottostante dal riempimento su cui il masso stesso poggia.
4
Gavarini C., Ingegneria antisismica, 1991
28
In figura 2.15, invece, è illustrato un rudere di una volta a vela, visibile al piano terra di
palazzo Carafa di S. Lorenzo a Napoli (1762-1763), da cui pure è possibile leggere la sezione
strutturale. Essa mostra in particolare la presenza di un riempimento caratterizzato da
pietrame legato con malta, che gli conferisce notevole rigidezza.
È stato possibile, inoltre, osservare, nel corso di questa ricerca, dei ruderi di scale
realizzate su volte rampanti (Figg. 2.16 e 2.17), in cui è evidente l’innesto dell’arco nelle
strutture verticali. Esse erano realizzate con conci di tufo di altezza consistente e
l’orizzontalità del piano di calpestio veniva ottenuto con materiale di riempimento.
Altro dato fondamentale per l’analisi di queste strutture è rappresentato dall’altezza
dell’imposta dell’arco al muro di gabbia, poiché, proprio a tale quota agisce la spinta della
volta. Tuttavia quest’ultimo aspetto rappresenta ancora uno degli elementi di maggiore
incertezza. In effetti l’innesto della volta nella muratura poteva avvenire o interrompendo la
muratura o predisponendo un dente di appoggio e realizzando quindi un muro continuo. Nel
primo caso la spinta dell’arco andrebbe applicata più in basso e quindi si avrebbe una freccia
maggiore, mentre nel secondo caso agirebbe più in alto.
Tale ricerca non si ritiene conclusa in quanto senz’altro necessita valutare un numero
molto più ampio di casistiche allo scopo di poter fare una classificazione più accurata delle
tipologie costruttive.
Figura 2.10: S. Caterina a Formiello: volta a crociera (1501-1543)
29
Figura 2.11: S. Caterina a Formiello: volte a crociera (1501-1543)
Figura 2.12: S. Caterina a Formiello: volte a crociera – apparecchiatura muraria (1501-1543)
30
Figura 2.13: Castello di Carinola: rudere di una volta a crociera del XIII sec (foto arch. F. Miraglia)
Figura 2.14: I Granili di Fuga, del XVIII secolo (negativi di Russi: da archivio del Prof. Fiengo)
31
Figura 2.15: Palazzo Carafa di S. Lorenzo a Napoli: rudere di una volta a vela (1762-1763)
Figura 2.16: Scala su volta (rudere) del XVIII sec. a Casaluce
32
Figura 2.17: Edificio napoletano a rudere in Sant’Arcangelo a Baiano
2.3.3 Il puntone arcuato nelle volte
Di seguito viene introdotto un modello capace di cogliere il comportamento delle volte
quando sono inserite all’interno di una gabbia muraria soggetta ad azioni di tipo sismico.
Il loro carattere spaziale consente di ipotizzare che, in caso di spostamenti della gabbia
muraria (Fig. 2.18 ) all’interno della quale esse sono contenute, si possano individuare lungo
le sue diagonali, due archi: uno di esso tenderebbe a comprimersi l’altro a decomprimersi. Ne
consegue da ciò che il punto di colmo, il quale vorrebbe sia alzarsi (per effetto della
compressione) e sia abbassarsi (per effetto della decompressione) non potrà muoversi in
verticale e tale impedimento farà nascere delle sollecitazioni. Il modello di riferimento può
essere quindi un arco a tre cerniere (Fig. 2.19).
Assegnato uno spostamento s si avrà che il punto centrale si sposterà solo in orizzontale
e di una quantità pari proprio ad s/2. Tale spostamento provocherà un allungamento pari a:
l 
s
 cos  ,
2
dove  rappresenta l’angolo, indicato in figura 2.19, tra l’orizzontale e la tangente all’arco.
Si avrà pertanto:
33
Punto di colmo
Arco compresso
Arco teso
Figura 2.18: Distorsione della gabbia muraria (vista piana orizzontale)

s  cos 2 
2  l
 cos 2  
ld
ld
e quindi:
 d  Ed    Ed 
s  cos 2 
ld
da cui è possibile ricavare lo sforzo normale che nasce nel puntone ( N    A) :
Nd 
E d  Ad  s  cos 2 
ld
per puntone con sviluppo ad arco
Nd 
E d  Ad  s
ld
per puntone con sviluppo piano
essendo Ad l’area del puntone diagonale.
Risulta quindi:
A' d (arco)  Ad  cos 2  .
Tale comportamento è stato confermato dall’analisi di un modello agli elementi finiti
(Fig. 2.20) realizzato con il programma Sap2000, il quale, con opportuni vincoli, simula il
caso di una volta a vela (avente una freccia di 1m) inserita in una gabbia muraria soggetta ad
una distorsione, del tipo riportata in figura 2.18, pari a 1 cm. In particolare sono stati utilizzati
elementi di tipo lastra aventi uno spessore (sia membranale che flessionale) pari a 30 cm. Il
modello è stato vincolato, lungo i lati paralleli all’asse x, alla traslazione in direzione x e z,
lungo i lati paralleli all’asse y, alla traslazione in direzione y e z, mentre nei quattro vertici
sono state bloccate le traslazioni secondo le direzioni x, y e z.
Dalla figura 2.21 è possibile osservare il risultato di quest’analisi in termini di
deformazioni. Si è in effetti verificato come il punto di colmo non subisca abbassamenti o
34
Figura 2.19: Modellazione della volta come arco a tre cerniere
innalzamenti, ma solo uno spostamento lungo la direzione in cui è assegnata la distorsione,
pari proprio a 0.5 cm (ovvero s/2).
Le considerazioni svolte sono risultate essenziali al fine di determinare un modello che
simuli il comportamento delle volte all’interno di un edificio. In effetti si ritiene che anche le
volte diano un contributo per l’irrigidimento del solaio e di conseguenza hanno una loro
efficacia nella ridistribuzione delle forze sismiche.
È utile inoltre sottolineare che tale benefico comportamento delle volte sia garantito
maggiormente nel caso in cui ci siano delle catene. Tuttavia nel caso in cui esse non
dovessero esserci rimane comunque una capacità di manifestare tale comportamento, seppur
limitata, dal momento che comunque la volta è stata progettata tenendo conto delle spinte
(condizione per soli carichi verticali).
Va infine aggiunto che, a differenza del caso piano, tale schema ad arco del puntone
presenta dei limiti di funzionamento, che per il momento sono individuati solo da
considerazioni qualitative ma che dovranno trovare riscontro in future analisi su modelli ad
elementi finiti, ovvero: la diagonale compressa potrà risultare efficace solo fino a quando non
si decomprime la diagonale tesa. Questa limitazione è dovuta alla non resistenza a trazione
della muratura.
Figura 2.20: Modello agli elementi finiti di una volta a vela.
35
Figura 2.21: Deformazione della volta.
2.3.4 La modellazione dell’impalcato con volte
Per la modellazione dell’impalcato costituito da volte si sono fatte due ipotesi: la prima in cui
si considera la presenza di un masso efficace per la distribuzione delle forze sismiche grazie
all’attivazione di un puntone diagonale; la seconda nella quale si suppone assente tale masso e
si ritiene comunque possibile l’attivazione di un puntone diagonale che abbia però uno
sviluppo ad arco.
In questo modo in una modellazione spaziale dell’edificio è possibile schematizzare tale
tipologia di impalcato tenendo conto della sua reale rigidezza (caso C).
Quando è presente un masso efficace al di sopra della volta è possibile schematizzare
l’impalcato con due diagonali compresse, aventi una sezione complessiva data dal prodotto
dello spessore del masso stesso per una larghezza pari al 20% della diagonale (in analogia con
quanto esposto al par. 2.3 con riferimento al caso di solaio piano).
Nell’ipotesi in cui, invece, tale masso non può essere considerato adatto a ripartire le
sollecitazioni, è possibile tener conto dell’effetto irrigidente offerto dalla volta. In particolare,
si adotta il modello, illustrato al paragrafo precedente, in cui si assume comunque
l’attivazione di un puntone compresso la cui area però risulta essere ridotta rispetto al caso
piano (di un fattore pari a cos2) a causa del suo sviluppo ad arco.
36
Capitolo 3
La sperimentazione su pannelli di fascia in scala ridotta
3.1 Introduzione
Partendo dai risultati ottenuti da una campagna sperimentale su provini in muratura storica in
scala ridotta, volta a studiare il comportamento della fascia di piano e condotta in passato
dall’ing. E.A. Cordasco nell’ambito della sua tesi di dottorato, si è proseguito tale studio
mediante ulteriori approfondimenti e successive sperimentazioni.
In particolare la precedente sperimentazione mirava a valutare l’influenza della
tipologia muraria sul comportamento meccanico delle fasce di piano. I provini furono
realizzati sempre in muratura di tufo ma adottando apparecchiature differenti, corrispondenti
alle diverse modalità con cui nel corso dei secoli (dal settecento fino ad oggi) veniva
realizzata la fascia di piano negli edifici dell'area napoletana. La scelta delle tessiture si basò
su analisi conoscitive condotte su edifici napoletani in collaborazione con specialisti del
settore del restauro in relazione ai secoli dal XVIII ai giorni nostri. Di seguito si riporta la
descrizione di tali tipologie di fascia storiche e una sintesi dei risultati della sperimentazione.
Il passo successivo è stato, invece, quello di analizzare l’influenza della tessitura
muraria sui meccanismi di rottura e a tale scopo si sono testati dei provini in materiale
omogeneo.
Dopo aver osservato le tipologie di rottura si è, infine, valutata la possibilità di
aumentare la resistenza e duttilità di tali pannelli mediante un intervento di fasciatura con
strisce di FRP che inibisse l’attivazione di meccanismi di rottura di tipo fragile.
3.2 La morfologia delle fasce di piano storiche in area napoletana
Negli edifici napoletani, costruiti a partire dal XVIII, la fascia di piano era quasi sempre
costituita da un arco più o meno ribassato ad intradosso orizzontale, realizzato con elementi
lapidei appositamente lavorati, sovrapposti per due o tre ordini di filari, ad occupare una parte
a volte significativa della stessa fascia muraria, e per il resto con filari orizzontali di pietre
(Fig. 3.1).
In alcuni casi la struttura ad arco si presenta con un profilo intradossale lievemente
rialzato, regolarizzato con alcuni piccoli conci sagomati a cuneo o con materiale minuto (con
37
a)
Fig. 3.1:a) Fascia di piano del settecento; b) fascia di piano di fine ottocento.
b)
funzione di cassaforma), sostenuti da tavole lignee di modesto spessore. A volte, invece,
veniva utilizzata una piattabanda lignea con funzione portante, a sostegno direttamente di
muratura apparecchiata a filari orizzontali, come quella dei maschi murari.
In funzione dei rapporti dimensionali tra gli elementi che costituiscono “l’arco” e quelli
ordinari tipici dell’epoca e per il tipo di lavorazione manuale dei conci di tufo si possono
individuare due principali cronotipi differenti: muratura a “filari di bozzette” diffusa nel
XVIII secolo, e muratura a ”filari di blocchetti” utilizzata nel XIX secolo e nella prima metà
del XX secolo. Solo dalla seconda metà del XX secolo, cioè all'avvento delle tecniche di
taglio meccanico, si riscontra l'utilizzo di muratura ben organizzata in filari orizzontali con
conci di tufo aventi tutti praticamente la stessa dimensione, dando luogo alla tipologia in
questa sede denominata "muratura ordinaria" di tufo.
In definitiva sono stati realizzati campioni di tre diverse tipologie murarie:
 muratura ordinaria (OM),
 muratura tipica delle fasce realizzate nel XVIII secolo (EM),
 muratura tipica delle fasce realizzate tra il XIX e il XX secolo (NM).
Nel primo caso il pannello è costituito da filari orizzontali. Negli altri due invece la parte
inferiore del pannello è apparecchiata ad arco mentre quella superiore a filari orizzontali, con
dimensioni e forma dei conci corrispondenti ai due diversi cronotipi caratteristici dell’epoca.
3.3 Sintesi dei risultati ottenuti dalla sperimentazione su provini in
muratura ordinaria e storica
L’attività sperimentale per analizzare il comportamento strutturale della fascia di piano è stata
condotta su provini in scala 1:10. Come è noto la riduzione in scala comporta necessariamente
una limitazione dell’indagine, soprattutto in termini quantitativi. Infatti, in particolare nel caso
38
della muratura, è praticamente impossibile applicare un criterio di rigorosa similitudine
geometrica e meccanica, soprattutto per la riproduzione in scala dello spessore dei giunti di
malta. Ciò però non pregiudica la valutazione qualitativa dei fenomeni, specie in termini
comparativi tra le diverse situazioni analizzate.
Per lo svolgimento delle prove è stato necessario realizzare una specifica attrezzatura,
che consente di imprimere al pannello di fascia una distorsione corrispondente a due rotazioni
alle estremità, sollecitandolo a taglio e a flessione come nella parete reale. In sintesi,
l’apparecchiatura di prova (Fig.3.2) è costituita da un martinetto elettrico che esercita la forza
su due bracci rigidi incernierati inferiormente, tra i quali è posizionato il provino.
Quest’ultimo non può subire spostamenti relativi orizzontali tra le due estremità, in modo da
riprodurre la situazione corrispondente alla configurazione di fascia con “catena”. In
particolare, in questa fase della sperimentazione, sono state sempre imposte rotazioni uguali
alle due facce del provino.
L’attività sperimentale ha avuto per oggetto il comportamento meccanico della tipologia di
fascia con catena ed è stata condotta su pannelli murari di piccole dimensioni, realizzati con
muratura di tufo e malta di calce e pozzolana adottando le tessiture murarie tipiche dell’area
napoletana dal XVIII secolo ai giorni nostri: muratura ordinaria (OM), muratura tipica del
XVIII secolo (EM), muratura tipica del periodo XIX-XX secolo (NM). Le due tipologie
storiche (EM ed NM) presentano un’apparecchiatura ad arco nella parte inferiore della fascia.
Sono stati provati una serie di campioni (tre per ciascuna tipologia muraria) aventi tutti la
stessa lunghezza (L = 14 cm) ma diversa altezza (H) in modo da realizzare tre diversi rapporti
di snellezza: fasce snelle (H/L  0.50), fasce intermedie (H/L  0.70) e fasce tozze
(H/L 1.10).
Figura 3.2: Apparecchiatura di prova
39
H/L
OM
EM
NM
Scorr. orizzontale
Punt. e rott. diag.
Punt. e rott. diag.
Vmed=553 [N]
Vmed=1134 [N]
Vmed=1026 [N]
Scorr orizz e rott diag
Punt. e rott. diag.
Punt. e rott. diag.
Vmed=493 [N]
Vmed=1528 [N]
Vmed=1179 [N]
Rott. diagonale
Rott. diagonale
Rott. diagonale
Vmed=951 [N]
Vmed=2825 [N]
Vmed=2476 [N]
0.50 (pannelli snelli)
0.71 (pannelli intermedi)
1.07 (pannelli tozzi)
Figura 3.3 :Meccanismi di collasso delle fasce
Sono state condotte sia prove monotone che cicliche, in controllo di spostamento, e
sono state inoltre effettuate prove sui materiali per determinarne la resistenza a compressione.
Si noti che per la muratura la resistenza a trazione non è stata ricavata sperimentalmente ma si
è assegnata sulla base dei dati presenti in letteratura o su considerazioni sui risultati ottenuti
dalle prove, come riassunto nella tabella 1.
Tabella 1: Caratteristiche meccaniche dei materiali [N/ mm2]
Muratura ordinaria
Muratura ‘700
Muratura ‘800
fh
ft
E
fh
ft
E
fh
ft
E
2.50
0.092
375
1.87
0.14
430
1.87
0.14
370
I risultati delle prove sono stati analizzati soprattutto in termini di resistenza, per cui per
le prove cicliche si considerano i massimi valori di taglio sopportati dai provini, ricavandoli
dalle corrispondenti curve di inviluppo.
Le prove monotone sono state condotte fino a raggiungere i limiti di spostamento
permessi dall’attrezzatura di prova, corrispondenti ad una rotazione massima sulle due facce
40
del provino pari a 0.042 rad; il carico è stato applicato con una velocità media di
0.0007 rad/s. Nelle prove cicliche sono stati imposti tre cicli di carico e scarico per ciascuno
dei nove valori di rotazione prescelti, ottenuti con incrementi di 0.002 rad, fino al massimo di
0.018 rad.
Le tipologie di rottura riscontrate (Fig. 3.3) sono state alquanto diverse in relazione al
tipo di materiale utilizzato e alla snellezza del pannello. In particolare, i provini OM hanno
evidenziato uno scorrimento orizzontale tra i filari per la snellezza maggiore, una rottura
lungo la diagonale per i tozzi e una rottura di tipo mista in quelli di snellezza intermedia. Per i
provini in muratura storica si è rilevato, invece, un quadro fessurativo fortemente influenzato
dalla presenza dei conci disposti di coltello: per la fascia snella e per quella intermedia, la
rottura è stata caratterizzata sia da una lesione diagonale che da uno schiacciamento
all’estremità del pannello, mentre per i provini tozzi si è manifestata la rottura diagonale
fragile già riscontrata per i campioni a tessitura regolare di pari snellezza. Va inoltre
evidenziato come per quest’ultima tipologia di provini la presenza dell’arco inferiore ha
determinato una maggiore resistenza dovuta al fatto che lo scorrimento è impedito anche dai
conci disposti di coltello che risultano interessati dalla rottura. Si è quindi tenuto conto di
questa particolarità di comportamento adottando per tali provini una resistenza a trazione
doppia rispetto a quella considerata invece per la muratura ordinaria (1/13 fh invece di 1/27fh).
Tutti i provini hanno evidenziato una capacità deformativa in campo post-elastico non
del tutto trascurabile, anche se fortemente correlata al tipo di rottura riscontrato: la rottura a
compressione degli spigoli è sempre accoppiata ad un comportamento molto duttile; la rottura
per scorrimento orizzontale manifesta una ragionevole capacità deformativa associata, però,
ad una significativa perdita di resistenza, così come la rottura diagonale è per i provini in
muratura.
Si deduce che la capacità deformativa e dissipativa della muratura è sicuramente legata
alla presenza dei conci e quindi ai fenomeni (interlocking, attrito, etc.) connessi ai loro
movimenti relativi all’approssimarsi della rottura, ciò risulta evidente soprattutto alla luce dei
risultati ottenuti dalla sperimentazione su provini in materiale omogeneo di seguito analizzata
(par.3.4).
In effetti le significative differenze riscontrate in termini di tipo di rottura, livelli di
resistenza e capacità deformativa tra le diverse tipologie di campioni hanno mostrato la
notevole influenza sia della snellezza geometrica che della tessitura muraria sul
comportamento della fascia di piano.
41
È utile sottolineare che tutti i tipi di comportamento della fascia riscontrati nella
sperimentazione sono comunque ascrivibili alla formazione di un puntone diagonale
compresso. Ed infatti, la resistenza massima di tale puntone può essere correlata o al
superamento della resistenza a compressione del materiale all’estremità del pannello (rottura
per schiacciamento orizzontale) o al superamento della resistenza a taglio per attrito
all’interno del puntone (rottura per scorrimento) o al superamento della resistenza a trazione
del materiale in relazione alla diffusione nel corpo del puntone delle tensioni di compressione
(rottura diagonale o per lacerazione ortogonale all’asse del puntone). Per ognuna delle
tipologie di rottura sono state presentate differenti formulazioni per la valutazione della
corrispondente resistenza a taglio del pannello.
I risultati ottenuti dalla sperimentazione mostrano che la resistenza a taglio dei pannelli
di fascia provati varia significativamente al variare della snellezza degli elementi e del
materiale con cui sono realizzati, esibendo meccanismi di rottura corrispondenti anch’essi
diversi.
Nella sostanza sono stati rilevati tre tipi fondamentali di meccanismi di rottura (Fig. 3.4):
a) per schiacciamento alle estremità della diagonale del pannello
b) per scorrimento orizzontale
c) per lesione diagonale
mentre non si è mai verificata una rottura per scorrimento verticale (d), che comunque non
può essere esclusa a priori.
Bisogna osservare che qualunque sia il tipo di rottura riscontrato, con riferimento alle
diverse geometrie del pannello, il comportamento della fascia è sempre quello di un puntone
compresso lungo la diagonale. La sua resistenza massima è correlata o allo schiacciamento
delle sue estremità (cioè alla resistenza a compressione del materiale) o allo scorrimento
all’interno del puntone (cioè alla resistenza locale a taglio) o ad una lacerazione ortogonale
all’asse del puntone connessa alla diffusione nel corpo del pannello delle tensioni di
compressione (cioè alla resistenza a trazione). Ciascuna di queste eventualità corrisponde ad
Schiacciamento
Scorrimento orizzontale
Rottura diagonale
Scorrimento verticale
Figura 3.4: Meccanismi di rottura per le fasce di piano
42
uno dei quattro meccanismi prima indicati, per i quali è possibile ricavare teoricamente la
resistenza a taglio.
Per tale determinazione è importante ricordare che, a differenza del maschio murario nel
quale lo sforzo normale è una forza esterna nota, nella fascia di piano (corrispondente nel caso
in questione alla fascia con catena) esso non è assegnato in valore. Si mantiene però in
rapporto praticamente costante col taglio agente, con un’inclinazione della loro risultante
dipendente dall’estensione delle zone reagenti alle estremità del pannello.
3.4 L’influenza
della
tessitura
muraria
valutata
attraverso
una
sperimentazione su pannelli in materiale omogeneo
Al fine di ottenere anche risultati non influenzati in alcun modo dalla tessitura muraria, sono
stati realizzati ulteriori nove campioni in scala ridotta (1:10) utilizzando unicamente malta
bastarda per simulare un materiale omogeneo (HM) caratterizzato da bassa resistenza a
trazione. Tale malta è stata realizzata componendo: 1 parte di grassello, 1 parte di cemento e 5
parti di pozzolana in volume. I provini di malta sono stati realizzati, ancora, con 3 diversi
rapporti di snellezza (H/L): snelli (H/L=0.5), intermedi (H/L=0.71) e tozzi (H/L=1.07) e con
uguale lunghezza (L=140mm).
Sono state effettuate prove per determinarne la resistenza a compressione e a trazione
della malta. Le prove a compressione eseguite come indicato dalle UNI EN 1015-11 hanno
restituito un valor medio di 4.30 N/mm2. La resistenza a trazione (ft) e a taglio puro (fvo) sono
state determinate mediante prove di compressione diagonale su tre provini di 15 cm di lato e
4.5 cm di spessore. I corrispondenti risultati sono riportati in tabella 2, insieme ai valori di
resistenza a taglio e a trazione calcolati secondo due diverse formulazioni, che risultano essere
le più utilizzate in letteratura per l’interpretazione di tale prova, che, però, come è noto,
presenta ancora incertezze significative [Galano & Vignoli, 2006].
Provino
Fmax
[N]
F
2A
[N/mm2]
ft 
F
A 2
[N/mm2]
d 
22
4078
0.30
0.43
23
4546
0.34
0.48
24
3908
0.29
0.41
media
4177
0.31
0.44
Tabella 2: Risultati delle prove di compressione diagonale sui campioni in materiale omogeneo
43
Pertanto, in tale lavoro, per la resistenza a trazione della malta si è deciso di utilizzare il
valore di 0.43 N/mm2, pari ad 1/10 di quella a compressione, assumendolo valido anche per la
resistenza a taglio (fvo). Esso risulta comunque abbastanza coerente con il complesso dei
risultati sperimentali.
Le prove realizzate con l’apparecchiatura sopra descritta (vedi par. 3.3) sono state di
tipo monotone. I risultati ottenuti sono sintetizzati in tabella 3, in termine di taglio massimo
(Vmax), momento massimo (Mmax) e distorsione massima impressa (max).
Mmax
(max)
[Nm]
0.50 HM1
1983
139
2.60%
0.50 HM4
1934
135
2.79%
0.50 HM11
2039
143
2.88%
0.71 HM2
3120
218
2.70%
0.71 HM8
2974
208
2.22%
0.71 HM9
2823
198
1.53%
1.07 HM3
3951
277
2.40%
1.07 HM10
4196
294
2.47%
Tabella 3: Risultati delle prove monotone per i provini in materiale omogeneo
H/L
provino
Vmax [N]
Di seguito, invece, sono riportati diagrammi M- e V- e le immagini delle relative
rotture riscontrate sui suddetti provini.
H/L=0.5 – Prova monotona – HM1
250
3000
M [Nm]
V [N]
H/L=0.50
H/L=0.50
200
2400
150
1800
100
1200
50
600
 [rad]
0
0.0%
2.5%
5.0%
7.5%
10.0%
 [rad]
0
0.0%
2.5%
5.0%
Diagramma M-
Diagramma V-
Inizio prova
Fine prova
7.5%
10.0%
44
H/L=0.5 – Prova monotona – HM4
250
3000
M [Nm]
V [N]
H/L=0.50
200
2400
150
1800
100
1200
50
600
 [rad]
0
0.0%
2.5%
5.0%
7.5%
10.0%
H/L=0.50
 [rad]
0
0.0%
2.5%
Diagramma M-
5.0%
7.5%
10.0%
Diagramma V-
Foto non disponibili
H/L=0.5 – Prova monotona – HM11
250
3000
M [Nm]
V [N]
H/L=0.50
H/L=0.50
200
2400
150
1800
100
1200
50
600
 [rad]
0
0.0%
2.5%
5.0%
7.5%
10.0%
 [rad]
0
0.0%
2.5%
5.0%
Diagramma M-
Diagramma V-
Inizio prova
Fine prova
7.5%
10.0%
45
H/L=0.71 – Prova monotona – HM2
300
3800
M [Nm]
H/L=0.71
V [N]
225
2850
150
1900
75
950
 rad]
0
0.0%
2.5%
5.0%
7.5%
0.0%
10.0%
2.5%
5.0%
Diagramma V-
Inizio prova
Fine prova
7.5%
10.0%
H/L=0.71 – Prova monotona – HM8
3800
M [Nm]
V [N]
H/L=0.71
225
2850
150
1900
75
950
 rad]
0
 rad]
0
Diagramma M-
300
0.0%
H/L=0.71
2.5%
5.0%
7.5%
10.0%
H/L=0.71
 rad]
0
0.0%
2.5%
5.0%
Diagramma M-
Diagramma V-
Inizio prova
Fine prova
7.5%
10.0%
46
H/L=0.71 – Prova monotona – HM9
300
3800
M [Nm]
H/L=0.71
V [N]
225
2850
150
1900
75
950
 rad]
0
0.0%
2.5%
5.0%
7.5%
H/L=0.71
 rad]
0
10.0%
0.0%
2.5%
5.0%
Diagramma M-
Diagramma V-
Inizio prova
Fine prova
7.5%
10.0%
H/L=1.07 – Prova monotona – HM3
7200
500
V [N]
M [Nm]
H/L=1.07
H/L=1.07
400
5400
300
3600
200
1800
100
 [rad]
 [rad]
0
0
0.0%
2.5%
5.0%
7.5%
10.0%
0.0%
2.5%
5.0%
Diagramma M-
Diagramma V-
Inizio prova
Fine prova
7.5%
10.0%
47
H/L=1.07 – Prova monotona – HM7
500
7200
M [Nm]
V [N]
H/L=1.07
H/L=1.07
400
5400
300
3600
200
1800
100
 [rad]
 [rad]
0
0
0.0%
2.5%
5.0%
7.5%
0.0%
10.0%
2.5%
5.0%
Diagramma M-
Diagramma V-
Inizio prova
Fine prova
7.5%
10.0%
H/L=1.07 – Prova monotona – HM10
7200
500
M [Nm]
V [N]
H/L=1.07
400
H/L=1.07
5400
300
3600
200
1800
100
 [rad]
 [rad]
0
0
0.0%
2.5%
5.0%
7.5%
10.0%
0.0%
2.5%
5.0%
Diagramma M-
Diagramma V-
Inizio prova
Fine prova
7.5%
10.0%
48
Nel caso della fascia più snella (H/L=0.5), per tutti i provini testati, si è manifestata una
rottura per schiacciamento alle estremità del pannello con un comportamento molto duttile,
corrispondente con evidenza all’attivazione di un puntone diagonale.
Al contrario per la fascia tozza (H/L=1.07) si è avuta sempre una rottura improvvisa di
tipo fragile con la formazione di una lesione netta lungo la diagonale del pannello e la
conseguente perdita totale di resistenza.
La fascia intermedia (H/L=0.71), invece, ha mostrato, per i tre provini, inizialmente una
rottura per schiacciamento alle estremità; ma, immediatamente dopo, essa è stata seguita da
un collasso improvviso con lesione diagonale.
In figura 3.6 si mettono a confronto i diagrammi M- per le tre snellezze analizzate e si
osserva come nel caso della rottura per compressione del puntone diagonale nella fascia
snella, la massima resistenza raggiunta viene mantenuta all’aumentare della deformazione
senza apprezzabili degradi, con un meccanismo molto favorevole da un punto di vista
sismico. Negli altri casi invece, come detto, la perdita di capacità portante del pannello è
subitanea e totale. Dal confronto viene escluso il provino 7 (con H/L=1.07) in quanto per esso
si è osservato un comportamento anomalo (valori di resistenza molto alti) rispetto a quello dei
provini con snellezza uguale, probabilmente a causa della realizzazione di una malta migliore,
pertanto si è ritenuto non paragonabile con gli altri.
300
300
300
M [Nm]
M [Nm]
H/L=0.50
M4
M11
M1
 rad]
0
0.0%
3.0%
6.0%
9.0%
H/L=1.07
M10
M3
M9
M8
M2
150
150
150
M [Nm]
H/L=0.71
 rad]
0
0.0%
3.0%
6.0%
9.0%
 rad]
0
0.0%
3.0%
6.0%
9.0%
Figura 3.6: Confronto diagrammi M-delle fasce in materiale omogeneo
3.5 L’efficacia della fasciatura dei provini di malta con strisce di FRP
I risultati della campagna sperimentale sui pannelli murari hanno evidenziato che la rottura a
compressione del puntone è quella più favorevole sia in termini di resistenza che di duttilità,
anche se è la più difficile da raggiungere a causa dell’insorgenza dei fenomeni di scorrimento
orizzontale e rottura diagonale. A tal proposito si è pensato di proseguire l’attività
49
sperimentale sui pannelli di fascia applicando ad essi dei sistemi di rinforzo con lo scopo di
evitare la rottura fragile per trazione e ottenere una rottura duttile a schiacciamento.
In questa fase si sono considerati i soli pannelli in materiale omogeneo con rinforzi
diagonali in FRP (denominati con la sigla RHM), sottoposti a carichi ciclici e monotoni.
Il programma sperimentale ha previsto la realizzazione di nove provini (in scala
ridotta – 1:10), tre per ogni classe di snellezza, con una malta costituita da una parte di calce,
una di cemento e cinque di sabbia.
Come sistema di rinforzo sono state adottate fibre in carbonio unidirezionali disposte
lungo le due diagonali del pannello, incollate sulla superficie ed impregnate con particolari
sostanze che conferiscono al composto, una volta indurite, un’elevata resistenza a trazione
specialmente nella direzione delle fibre.
Sulla malta utilizzata per il confezionamento dei provini sono stati svolti preventive
prove sperimentali allo scopo di valutarne la resistenza media a compressione e a trazione. Le
prove sono state eseguite in accordo alle UNI EN 1015-11 e nelle tabelle 4 e 5 si riportano i
relativi risultati:
ft
ft
[Kg]
[Kg/cm2]
N°1
32
6,4
N°2
35
7
N°3
53
10,6
Tabella 4 – Resistenza a trazione
fc [kN]
fc [N/mm2]
monc. 1-1
7,53
4,71
monc. 1-2
7,79
4,87
monc. 2-1
7,99
4,99
monc 2-2
7,82
4,89
monc. 3-1
8,97
5,61
monc. 3-2
8,05
5,03
Tabella 5 – Resistenza a compressione
A causa della maggiore resistenza dei campioni rinforzati, le prove cicliche sono state
condotte fino alla distorsione di circa il 9%, con sedici step di carico, ognuno di tre cicli con
uguale spostamento.
50
6.00
Monc. 1‐1
5.00
Monc. 1‐2
Monc. 2‐1
4.00
Monc. 2‐2
3.00
Monc. 2‐3
2.00
1.00
0.00
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
Figura 11 – Diagramma 
In tabella 6 sono sintetizzati i risultati ottenuti in termini di Vmax con riferimento sia alle
prove monotone che cicliche. Per il pannello tozzo (con H/L=1.07) si è verificato durante le
prove cicliche uno scorrimento del provino dovuto alla non adeguata resistenza del giunto di
malta che collega il provino stesso ai bracci dell’apparecchiatura, per cui i risultati di tali
prove sono stati ritenuti non validi. Per ovviare a questo problema successivamente si sono
realizzati dei provini con lunghezza L pari a 13 cm (anziché 14 cm) in modo da avere un
giunto di spessore maggiore. In virtù di ciò si è ritenuto opportuno ripetere anche la prova
monotona (provino RHM10) e non tener conto della curva corrispondente alla prova
monotona (RHM1) per il confronto con le prove cicliche.
H/L
provino
prova
Vmax [N]
0.50 RHM3
monotona
2438
0.50 RHM4
ciclica
2143
0.50 RHM8
ciclica
1939
0.71 RHM2
monotona
2997
0.71 RHM5
ciclica
3281
0.71 RHM9
ciclica
4601
1.07 RHM1
monotona
8668
1.15 RHM10 monotona
5873
1.15 RHM11
ciclica
7171
1.15 RHM12
ciclica
7536
1.15 RHM13
ciclica
5798
1.15 RHM14
ciclica
5547
Tabella 6: Risultati delle prove monotone e cicliche
Di seguito si riportano i diagrammi V-ed M-e le immagini relative alle prove svolte.
51
H/L=1,07 – Prova monotona –RHM1
Diagramma M-
Diagramma V-
H/L=0,71 - Prova monotona – RHM2
Diagramma M-
Diagramma V-
52
H/L=0,50 - Prova monotona- RHM3
Diagramma M-
Diagramma V-
H/L=0,50 - Prova ciclica- RHM4
Diagramma M-
Diagramma V-
53
H/L=0,71 - Prova ciclica- RHM5
Diagramma M-
Diagramma V-
H/L=0,50 - Prova ciclica RHM8
54
H/L=0,71 - Prova ciclica- RHM9
Diagramma M-
Diagramma V-
H/L=1,15 - Prova monotona – RHM10
Diagramma M-
Diagramma V-
55
H/L=1,15 - Prova ciclica – RHM11
Diagramma M-
Diagramma V-
H/L=1,15 - Prova ciclica – RHM12
Diagramma M-
Diagramma V-
56
H/L=1,15 - Prova ciclica –RHM13
Diagramma M-
Diagramma V-
H/L=1,15 - Prova ciclica – RHM14
Diagramma M-
Diagramma V-
57
In generale si è osservato che la rottura fragile non ha interessato nessuno dei provini
rinforzati con strisce di FRP (RHM) e che lo schiacciamento delle testate ha caratterizzato la
rottura in tutte le prove, confermando così l'efficacia del rinforzo. Prima della rottura a
schiacciamento si è verificato il sollevamento del rinforzo dagli spigoli del campione, ma in
questa fase la resistenza del pannello non aveva ancora raggiunto il valore massimo, che,
invece, è stato raggiunto solo al verificarsi della suddetta rottura. Le curve V- presentano un
ramo decrescente solo nei pannelli intermedi e tozzi, a seguito del sollevamento del rinforzo
dal centro del provino. È interessante notare che i pannelli snelli ed intermedi hanno raggiunto
valori massimi di resistenza confrontabili con quelli ottenuti per i pannelli non fasciati. Va
osservato tuttavia che mentre i pannelli di HM snelli hanno subito una rottura per
schiacciamento, quelli intermedi ha subito una rottura diagonale in corrispondenza del valore
massimo del taglio che ha condotto ad un degrado repentino della resistenza. L'effetto dei
rinforzi in FRP, in questo caso è stato quello di evitare la rottura diagonale in modo da
ottenere un comportamento più duttile e tale effetto positivo è molto più evidente nel pannello
tozzo. Pertanto il rafforzamento evitando l'insorgenza precoce della rottura diagonale
consente al pannello di sfruttare la sua massima resistenza connessa al comportamento a
puntone compresso, mostrando una capacità non trascurabile di deformazione.
Questo comportamento favorevole è stato confermato anche dalle prove cicliche. La
risposta ciclica dei pannelli rinforzati continua a mostrare un degrado di rigidezza, tuttavia tali
curve ben inviluppano quelle monotone presentano valori di resistenza e duttilità comparabili
con i risultati di queste ultime.
In definitiva, si può affermare che il rinforzo diagonale è un sistema efficace al fine di
evitare una rottura fragile, consentendo così al pannello di assumere un comportamento a
puntone compresso e di sfruttare le proprie capacità strutturali ai massimi livelli. Inoltre il
miglioramento del comportamento sotto carichi ciclici è il risultato più soddisfacente essendo
corrispondente ad una risposta sismica del pannello.
58
Capitolo 4
Le analisi numeriche su base sperimentale del comportamento
strutturale delle fasce di piano
4.1 Sperimentazione numerica mediante analisi FEM
Le prove sperimentali descritte al capitolo 3 sono state successivamente simulate
numericamente, con l’obiettivo di avere conferma dei meccanismi ipotizzati in relazione al
comportamento della fascia di piano soggetta a taglio, fino al limite della rottura, nonché dei
corrispondenti stati tensionali compatibili con la scarsa resistenza a trazione del materiale
murario. Inoltre, dalla sperimentazione numerica si possono ricavare informazioni non
rinvenibili direttamente dall’attività sperimentale, quali: l’estensione della parte reagente
all’estremità del provino e l’entità della componente orizzontale dello sforzo nel puntone
(sforzo normale nella fascia di piano), che risultano di difficile determinazione teorica.
Infine, una volta accertata la validità del modello numerico mediante il confronto con la
sperimentazione è possibile anche utilizzarlo per analizzare il comportamento di provini che
non è stato possibile testare in laboratorio (snellezze geometriche e/o materiali differenti).
Le analisi numeriche sono state condotte con il ben noto programma Abaqus (rel. 6.1),
riproducendo le stesse condizioni al contorno dei provini definite dall’apparecchiatura di
prova (Fig. 4.1). Il pannello murario è stato modellato mediante elementi shell a quattro nodi
disposti in una mesh molto fitta a maglia quadrata di lato 5 mm.
Allo stato attuale sono molti i modelli di materiale disponibili nei vari programmi agli
elementi finiti non lineari per simulare il comportamento della muratura; ma nessuno risulta
Figura 4.1. Modello agli elementi finiti
59
essere del tutto soddisfacente, soprattutto in relazione al fatto che i classici criteri di
resistenza, normalmente utilizzati per definire il comportamento post-elastico, mal si adattano
ai materiali scarsamente resistenti a trazione. Pertanto, per sviluppare le analisi numeriche,
non si è utilizzato il materiale “concrete”, che pure è presente nella biblioteca di ABAQUS ed
è spesso adottato da altri ricercatori. Si è preferito invece utilizzare un materiale elastico
perfettamente plastico, resistente sia a trazione che a compressione, in grado quindi di
simulare il comportamento in compressione in maniera sufficientemente approssimata,
almeno per deformazioni plastiche contenute. Si è tenuto conto, invece, della scarsa resistenza
a trazione adottando una procedura iterativa consistente nell’eliminare manualmente dal
modello iniziale gli elementi nei quali si evidenzia una tensione di trazione agente sulle
giaciture verticali superiore ad un certo livello prefissato. Si è operato comunque in maniera
molto cauta eliminando in prima battuta solo gli elementi più tesi. In tal modo si riesce ad
arrivare ad una configurazione finale resistente sufficientemente attendibile nella quale non
sono presenti più nel materiale tensioni di trazione orizzontali. È ovvio che il tentativo di
annullare del tutto le tensioni di trazione all’interno del materiale sarebbe illusorio e non
veritiero, considerando che esse devono esistere necessariamente in relazione alla diffusione
degli sforzi di compressione e che sono proprio tali tensioni di trazione a determinare nella
maggior parte dei casi la crisi dell’elemento strutturale.
Così operando si è ottenuta la configurazione effettivamente attiva del puntone per ogni
snellezza e tipologia analizzata sperimentalmente.
Si noti che ogni volta è stata utilizzata la resistenza dei materiali ottenuta dalle prove a
compressione condotte sui singoli pannelli. Per il modulo elastico si è adottato il valore
sperimentale secante, tra 1/3max e 2/3max, per i provini in muratura storica e in materiale
omogeneo, ed il valore di 150max per i campioni OM, come riportato in tabella 1.
Tabella 1: Caratteristiche meccaniche dei materiali (N/mm2)
fh
Muratura ordinaria
ft
E
2.50
0.092
375
fh
1.87
Muratura ‘700
ft
E
0.14
430
fh
1.87
Muratura ‘800
ft
E
0.14
370
fh
Malta
ft
E
4.30
0.43
340
60
4.2 Considerazioni sui risultati
La sperimentazione numerica è stata condotta analizzando il comportamento del pannello al
crescere della rotazione applicata ai blocchi rigidi di estremità, simulando in tal modo lo
sviluppo della corrispondente prova sperimentale. In particolare, per ogni valore di rotazione
imposta agli estremi, si è determinata la configurazione reagente del pannello, eliminando,
come già detto, in modo iterativo gli elementi soggetti a trazione. Quindi sono stati ricavati il
taglio e lo sforzo normale agenti sul pannello di fascia direttamente dai valori delle reazioni
vincolari delle cerniere attorno a cui ruotano i blocchi rigidi di estremità. Di conseguenza si è
potuto ottenere l’eccentricità dello sforzo normale rispetto all’asse longitudinale del pannello.
In questo modo sono stati tracciati i diagrammi M-dove M è il momento flettente sopportato
dalla fascia, definito in funzione dello sforzo normale e dell’eccentricità come prima
determinati, e è la distorsione relativa tra le estremità del pannello, che si può esprimere in
funzione di  come indicato in figura 4.2.
In figura 4.3, per i provini di malta e per tutti i rapporti di snellezza analizzati, è
riportata la configurazione geometrica finale del puntone con l’andamento delle tensioni di
compressione perpendicolari alle giaciture verticali (11) corrispondente ad una distorsione 
del 9.6%, che rappresenta il valore massimo raggiunto nelle prove reali monotone.
Si può preliminarmente osservare che il puntone compresso presenta zone laterali
soggette a tensioni di compressione trascurabili e che l’estensione di tali zone diventa sempre
più ampia all’aumentare del rapporto di snellezza. Ciò significa che, indipendentemente dal
rapporto dei lati del pannello, la larghezza effettivamente reagente del puntone tende ad essere
costante lungo la diagonale del pannello stesso. Inoltre, dalle prove eseguite a diversi livelli di
Figura 4.2. Deformazione a taglio della fascia di piano
61
a) H/L=0.50
b) H/L=0.64
c) H/L=0.71
d) H/L=0.93
e) H/L=1.07
N/m2
Figura 4.3. Configurazione del puntone e andamento delle 11 (a-b-c-d-e).
carico necessarie per tracciare i diagrammi M-, è emerso che tale larghezza è sostanzialmente
indipendente dalle azioni esterne agenti sul pannello.
62
La stessa cosa accade con riferimento all’estensione della zona reagente alle due
estremità. Pertanto la forma geometrica della zona “attiva” della fascia di piano sembra essere
funzione solo del rapporto di snellezza H/L e quindi essa può essere definita a priori
indipendentemente
dalle
caratteristiche
della
sollecitazione
agente.
Inoltre,
tale
configurazione è risultata la stessa anche al variare delle caratteristiche meccaniche del
materiale (resistenza a compressione e modulo elastico).
Ciò è molto importante soprattutto nel caso, piuttosto comune, di utilizzo di schemi di
telaio equivalente per la modellazione delle pareti murarie, in quanto è possibile assegnare
direttamente all’inizio della procedura di calcolo una rigidezza ridotta all’elemento trave che
rappresenta il pannello di fascia, senza doverla ulteriormente modificare. Tale rigidezza infatti
rimane costante anche all’aumentare delle azioni esterne sul telaio senza richiedere quindi una
procedura iterativa per la risoluzione dello schema.
Lo stesso non può dirsi per i maschi murari, per i quali l’estensione della zona reagente
sulle basi varia in funzione delle azioni esterne, essendo lo sforzo normale agente
indipendente dal taglio assorbito dall’elemento strutturale.
Facendo riferimento ai risultati delle analisi numeriche si è determinato quindi il
rapporto tra la rigidezza effettiva del pannello parzializzato (puntone) (Kp) e quella del
pannello interamente reagente (Kf), ricavando entrambi i valori direttamente dai diagrammi
M- numerici relativi alle diverse situazioni. In figura 4.4 sono riportati i valori che tale
rapporto assume in funzione della snellezza. Si può notare che nell’intervallo di snellezze
analizzate tale rapporto ha un andamento parabolico, con il valore massimo (0.48) per il
pannello di snellezza intermedia (H/L=0.71) ed il valore minimo (0.39) per il pannello tozzo
0.50
Kp/Kf
0.45
0.40
0.35
0.30
0.40
H/L
0.60
0.80
1.00
1.20
Figura 4.4. Variazione di Kp/Kf in relazione alla snellezza
63
(H/L=1.07), che quindi è quello caratterizzato dalla maggiore riduzione di rigidezza per
effetto della parzializzazione. Interpolando i risultati si è ricavata la seguente espressione:
Kp
2
H
H
 0.79     1.18     0.04
Kf
L
L
(1)
che rappresenta la riduzione di rigidezza del pannello di fascia in funzione del rapporto di
snellezza.
Per quanto riguarda l’estensione della zona reagente all’estremità del puntone, si ha,
come già detto, che anch’essa è invariante all’aumentare della rotazione applicata agli estremi
e quindi delle sollecitazioni esterne. Ciò è spiegabile se si considera che, a differenza del
maschio murario nel quale lo sforzo normale è una forza esterna nota, nella fascia di piano
esso non è assegnato e varia al variare del taglio agente con il quale si mantiene in un rapporto
praticamente costante, definito dall’inclinazione dell’asse del corrispondente puntone
compresso.
A sua volta tale inclinazione dipende dall’estensione della zona reagente alle estremità
del pannello o, meglio, dal punto di applicazione della risultante degli sforzi di compressione
e quindi dalla sua eccentricità rispetto all’asse del pannello. Pertanto, per l’equilibrio, si può
scrivere (Fig. 4.5):
V  L  N  2e
V N
2e
 N  tg
L
(2)
(3)
Esistono però infinite coppie N-e in grado di equilibrare il momento che si genera per
effetto del taglio agente, con l’eccentricità che può variare tra 0 e H/2, per cui la definizione
teorica dell’estensione della zona reagente richiederebbe l’utilizzo anche di relazioni di
congruenza. In questo lavoro, pertanto, si sono utilizzate a tal fine i risultati delle analisi nu-
Figura 4.5. Caratteristiche geometriche del puntone
64
meriche. Tali risultati, però, sono comunque caratterizzati da un certo grado di incertezza,
connesso sia alle dimensioni minime dell’elemento finito utilizzato, sia alla incertezza sulla
distribuzione delle tensioni lungo le sezioni trasversali, tipica dei metodi di discretizzazione,
sia alla difficoltà di simulare il comportamento plastico della muratura con i criteri di
resistenza classici disponibili nel programma di calcolo utilizzato. Pertanto, l’estensione della
zona reagente non si è ricavata dalla configurazione geometrica del puntone ottenuta con le
iterazioni, ma direttamente dal valore dell’eccentricità dello sforzo normale, ottenuta
dall’equazione 2 attraverso i valori delle reazioni vincolari (V ed N), ipotizzando al limite
ultimo una distribuzione costante delle tensioni di compressione nella zona reagente. Essa, si
ricorda, rimane comunque sostanzialmente invariata anche per livelli di carico molto più
bassi. In realtà a tali livelli la distribuzione delle tensioni non si può ritenere costante ma sarà
triangolare o trapezoidale. Considerato comunque che per tutti i valori di snellezza la zona
reagente risulta piuttosto ridotta rispetto all’altezza geometrica della fascia, il punto di
applicazione della risultante delle tensioni si sposta molto poco, in termini relativi, al variare
della forma della effettiva distribuzione delle tensioni.
In definitiva è quindi possibile determinare a priori il massimo taglio sopportabile dalla
fascia di piano (taglio resistente associato alla rottura a compressione del puntone): esso è
un’aliquota dello sforzo normale massimo a cui è in grado di resistere l’estremità del puntone,
dipendente dall’inclinazione dell’asse del puntone che è definita una volta assegnata la
snellezza del pannello.
I valori dell’eccentricità dello sforzo normale e l’estensione della zona reagente, ottenuti
dalle analisi svolte per le varie snellezze considerate, sono riportati in tabella 2 e diagrammati
in forma adimensionale nelle figure 4.6 e 4.7. Come si evince da esse, l’estensione della zona
reagente (c) è all’incirca pari ad H/3, per i pannelli più snelli, riducendosi, per quelli più tozzi,
anche fino a meno di H/5. Di conseguenza, l’inclinazione dell’asse del puntone, cioè della
risultante delle azioni a cui è soggetto il pannello di fascia, tende a diventare sempre più
prossima a quella della diagonale geometrica del pannello stesso all’aumentare del rapporto di
snellezza. Si nota ancora che i valori di eccentricità al variare della snellezza si dispongono
Tabella 2. Caratteristiche geometriche del puntone
H/L
0.50
0.64
0.71
0.93
H
70
90
100
130
0.36
0.48
0.51
0.73
tg 
20°
26°
27°
36°

c
19
22
28
28
1.07
150
0.88
41°
27
65
0.35
0.9
2e/L=tg
c/H
0.30
0.25
0.75
0.20
0.6
0.15
0.10
0.45
0.05
H/L
H/L
0.3
0.4
0.6
pannelli snelli
0.8
1
1.2
pannelli tozzi
0.00
0.40
Figura 4.6. Eccentricità (e) dello sforzo normale sulla
sezione di estremità del pannello
0.60
0.80
1.00
1.20
Figura 4.7. Estensione della zona reagente c
all’incirca lungo una retta di equazione:
2e
H
 0.90  0.10
L
L
(4)
Poiché tale espressione restituisce quasi esattamente i punti ricavati numericamente,
essa può essere adottata per determinare direttamente l’eccentricità alle estremità del puntone
allo stato limite ultimo, e quindi la corrispondente inclinazione del suo asse (tg) ed anche
l’estensione della zona reagente (c) mediante le relazioni:
tg=
2e
L
H

c  2    e
2

(5a)
(5b)
4.3 Modello teorico semplificato del comportamento della fascia di piano:
“puntone ad arco”
Le analisi numeriche descritte nel paragrafo precedente consentono di definire la forma del
puntone reagente che si attiva all’interno del pannello di fascia di piano. Inoltre da esse sono
state ricavate le espressioni analitiche per determinare l’eccentricità degli sforzi agenti
all’estremità del pannello e quindi l’inclinazione dell’asse dello stesso puntone.
La sperimentazione svolta sui campioni in scala ridotta (vedi cap. 3), al variare della
forma del pannello e della tipologia di muratura adottata, ha mostrato diverse modalità di
66
rottura, i cui meccanismi di crisi corrispondono o allo schiacciamento delle estremità del
puntone o alla “lacerazione” della zona interna del pannello per trazione (all’incirca
ortogonale all’asse del puntone) che si evidenzia con lesioni di distacco diagonali o suborizzontali, che potrebbero anche far pensare ad uno scorrimento.
Si propone allora un modello teorico semplificato del comportamento della fascia di
piano, che consente di interpretare in maniera unitaria i meccanismi di crisi a taglio osservati
sperimentalmente.
In particolare, all’interno del pannello, si considera un doppio arco a rappresentare la
diffusione nel corpo del puntone dello sforzo di compressione applicato alle sue estremità
(Fig. 4.8). Tale sforzo è dato dalla somma vettoriale del taglio e dello sforzo normale
trasmessi al pannello dal resto della struttura attraverso le sezioni reagenti ridotte di estremità.
Come ben evidenziato dai modelli numerici, la tensione di compressione, elevata al
bordo, si riduce al centro del pannello a causa della diffusione su una zona più ampia di
muratura. Poiché la diffusione di uno sforzo concentrato di compressione genera, come è
noto, tensioni di trazione ortogonali alla compressione [Calzona & Cestelli Guidi, 1978], nel
caso specifico tali tensioni sono proprio quelle che portano il pannello a lesionarsi in
direzione più o meno diagonale (lacerazione).
Nel modello proposto le azioni alle estremità del pannello si fanno corrispondere alla
spinta dei due archi individuati all’interno della fascia di piano. Tale spinta si considera
generata da un carico equivalente ortogonale all’asse inclinato del puntone, che rappresenta
proprio lo sforzo di trazione distribuito lungo tale asse generato dalla diffusione delle azioni
concentrate ai bordi.
La rottura del pannello può quindi dipendere dallo schiacciamento degli estremi, per
eccessiva compressione dovuta alla spinta dei due archi, o dalla “lacerazione” delle zone cen-
lr
la
Figura 4.8: Modello ad arco
Figura 4.9:Sviluppo della lesione a scalino lungo i giunti
di malta e della linea d’asse.
67
trali del pannello dovuta allo sforzo di trazione di cui si è detto.
Per quanto riguarda il meccanismo di crisi connesso allo schiacciamento delle estremità,
una volta definita l’estensione della zona reagente (vedi par. 5.2), è possibile immediatamente
determinare il massimo taglio (Vcompr) sopportabile dalla fascia di piano associato a tale tipo di
rottura. Esso si ricava in funzione dello sforzo normale massimo a cui è in grado di resistere
l’estremità del puntone(vedi eq. 2), il quale dipende dall’inclinazione dell’asse dello stesso,
che, a sua volta, è definita univocamente in relazione alla snellezza del pannello. Pertanto,
conoscendo la resistenza a compressione fh della muratura in direzione orizzontale, si ha:
Vcompr 
f h  t  c  2e
L
(6)
dove 2e e c sono ottenuti rispettivamente dalla (4) e dalla (5b).
Per quanto riguarda il meccanismo di rottura per trazione, ad esso è associato un altro
valore del taglio massimo sopportabile dal pannello (Vtraz), la cui determinazione si basa sulle
seguenti considerazioni: conoscendo il taglio V e lo sforzo normale N, agenti alle estremità del
pannello (cioè la spinta dell’arco), si può risalire al carico (q) corrispondente a tale spinta,
dopo aver definito la luce e la freccia dell’arco. Nel caso specifico l’estensione della zona
reagente alle estremità del pannello e quindi l’inclinazione dell’asse del puntone (che è
indipendente dalle azioni esterne ma dipende solo dalla forma del pannello) si ricavano anche
in questo caso dalle (5).
Per cui, fissata la geometria del pannello, sono note la direzione della spinta (data
dall’inclinazione dell’asse del puntone - tg), la luce (pari alla lunghezza dell’asse del
puntone) e la freccia (dipendente dall’estensione delle zone centrali reagenti del pannello):
tg=
2e
L
l=
f k
(direzione della spinta)
L
cos 
H
 cos 
2
(luce dell'arco)
(7)
(8)
(freccia dell’arco)
(9)
dove k è un coefficiente da determinare sulla base dei risultati sperimentali in relazione alla
geometria del pannello e alla tessitura della muratura.
Quindi dalla spinta (R) si ricava il carico (q) e la tensione di trazione (t) agente sulla
muratura nel corpo del pannello in direzione all’incirca diagonale:
68
R = N 2 V 2
q=
(10)
1
8f
N 2 V 2 
2
q  (l a / cos  ) 2
t=
q
t
(11)
(12)
Il massimo taglio (Vtraz) sopportabile dal pannello in relazione al meccanismo di
lacerazione per trazione, si ottiene per t pari alla resistenza a trazione del materiale in
direzione diagonale (fftd):
Vtraz 
f ftd  sen  2  t  L2
8  f  (cos  ) 2

Si deve tener conto però che la resistenza fftd dipende anche dalla tessitura della
muratura. Nel caso di tessitura regolare con letti di malta orizzontali, la rottura si sviluppa in
genere con andamento a scalini che segue proprio la tessitura muraria, definendo una
superficie di rottura maggiore di quella corrispondente all’asse del puntone. Ciò si può far
corrispondere ad un incremento convenzionale di resistenza a trazione, legata al rapporto tra
lo sviluppo (lr) della lesione di distacco (a scalini) ed il suo sviluppo rettilineo lungo la linea
d’asse del puntone (la) (Fig. 4.9). Pertanto la resistenza a trazione diagonale si può ottenere
incrementando opportunamente la resistenza a trazione di base della muratura (ft) (in genere
posta pari alla resistenza a taglio puro (fvo)) mediante il fattore  =lr/la che è risultato in tutti i
casi analizzati pari a  =cos-1.6 per cui:
fftd = fvo cos-1.6
Anche nel caso dei pannelli molto snelli nei quali la rottura a trazione si è manifestata su
giaciture quasi orizzontali, apparendo fenomenologicamente come uno “scorrimento”, è
possibile applicare la formulazione proposta che ne tiene conto proprio attraverso il fattore 
È interessante comunque notare che in questi casi, contrariamente alle aspettative per una
rottura a trazione, che risulta generalmente molto fragile, i pannelli hanno esibito anche una
discreta duttilità.
Nel caso del materiale omogeneo, non essendoci direzioni preferenziali di tessitura, non
occorre applicare alcun fattore incrementativo e quindi non si deve considerare il fattore .
D’altronde la lesione per trazione (quando si forma) si dispone in questi casi proprio lungo la
diagonale del pannello e si manifesta in modo improvviso e fragile.
69
Per quanto riguarda il coefficiente k, necessario per la valutazione della freccia
dell’arco, dal confronto con i risultati sperimentali si è ricavato un valore pari a 0.7,
indipendentemente dalla snellezza del pannello, ottenendo quindi una freccia di 23 mm per il
provino snello, 31 mm per l’intermedio e 40 mm per il tozzo.
In definitiva la resistenza del pannello a taglio è pari al minimo tra Vtraz e Vcompr. A titolo
di confronto in tabella 3 per tutti i provini sperimentati, si riportano i valori medi di resistenza
a taglio ottenuti sperimentalmente (Vexp) e quelli teorici corrispondenti alle due possibili
modalità di rottura (Vtraz e Vcompr). Risulta sempre che la modalità di rottura riscontrata durante
le prove coincide con quella caratterizzata dal valore teorico più basso di resistenza a taglio;
anche la corrispondenza tra i valori teorici e quelli sperimentali appare abbastanza buona.
Si noti che nella valutazione di Vcompr si è adottato un valore di resistenza a
compressione (fh) incrementato (mediante un coefficiente ) rispetto a quello ricavato dalle
prove definitorie, per tener conto dell’effetto di contenimento esercitato sulle estremità del
puntone dalla zona di nodo (rigida) della parete muraria alla quale appartiene la fascia. Nella
sperimentazione in laboratorio questo effetto è dato dai bracci rigidi ai quali sono vincolati i
provini, mentre in quella numerica è dato dai vincoli ai bordi che impediscono lo scorrimento
agli estremi, dando luogo a trazioni trasversali che non sono state annullate. Tale coefficiente,
tarato sulla base dei risultati sperimentali, non varia al variare della forma del pannello ed è
stato posto pari a 1.25.
Il caso dei provini rinforzati con strisce diagonali di FRP (RHM) va analizzato
diversamente. Come già detto, l’applicazione delle fasce FRP lungo le diagonali aveva
proprio lo scopo di impedire la rottura per trazione diagonale e di forzare lo schiacciamento
Tabella 3: Confronto valori teorici e sperimentali
Materiale
OM
EM
NM
HM
RHM
H/L
0.50
0.71
1.07
0.50
0.71
1.07
0.50
0.71
1.07
0.50
0.71
1.07
0.50
0.71
1.07
Vexp
(N)
553
493
951
1134
1528
2825
1026
1179
2476
1985
2972
4074
2173
3626
6385
Vtraz
(N)
451
622
1128
1171
1615
2926
1015
1400
2536
1853
2251
3170
1853
2251
3170
Vcompr
(N)
1034
1832
3525
1289
2284
4394
1117
1980
3808
1778
3151
6062
1778
3151
6062
Tipo di rottura sperimentale
Scorrimento orizzontale
Scorrimento orizzontale –Trazione diagonale
Trazione diagonale
Compressione –Trazione diagonale
Compressione –Trazione diagonale
Trazione diagonale
Compressione –Trazione diagonale
Compressione –Trazione diagonale
Trazione diagonale
Compressione
Trazione diagonale
Trazione diagonale
Compressione
Compressione
Compressione
70
alle estremità del pannello, che è la modalità di crisi che valorizza al massimo le capacità del
pannello murario sia in termini di resistenza che in termini di duttilità [Calderoni1 et al. 2009].
Ebbene, come si può notare dalla stessa tabella 3 e dall’osservazione delle modalità di
rottura riscontrate nella sperimentazione di cui al capitolo 3, l’obiettivo è stato raggiunto.
Infatti i valori sperimentali del taglio di rottura sono risultati molto superiori a quelli relativi
ai corrispondenti pannelli non fasciati, con incrementi di resistenza che diventano via via più
significativi passando dai pannelli snelli a quelli tozzi. Per il pannello snello, che invece già si
rompeva per compressione agli estremi, non risulta, correttamente, un incremento di
resistenza; per le altre snellezze, per le quali la rottura si è manifestata con lesioni diagonali e
modalità fragili, si sono avuti incrementi di resistenza variabili tra il 20% e il 50% e
significativi aumenti della duttilità, di cui era già dotato solo il pannello snello privo di
fasciatura. Comunque, nel caso dei pannelli rinforzati, il valore teorico di confronto è solo
quello connesso allo schiacciamento agli estremi (Vcompr), in quanto quello relativo alla
trazione (Vtraz) è riferito ad un meccanismo di rottura che è impedito proprio dai rinforzi
diagonali. Si osserva, anche in questi casi, una buona corrispondenza tra i valori sperimentali
e quelli teorici del modello a puntone.
3500
3000
2500
Vcompr
Vtraz
EM
2000
L=140mm
1500
MURATURA
SETTECENTESCA (EM)
V [N]
3000
2500
Vcompr
Vtraz
OM
2000
3500
MURATURA
ORDINARIA (OM)
V [N]
1500
1000
1000
L=140mm
500
500
H/L
H/L
0
0
0
3500
V [N]
3000
2500
0.3
0.6
0.9
7000
MURATURA
OTTOCENTESCA (NM)
5000
3000
1000
2000
L=140mm
500
0
0
0.3
0.6
0.9
1.2
0.9
1.2
MALTA (HM) E
MALTA RINFORZATA (RHM)
1000
H/L
0.6
Vcompr
Vtraz
HM
RHM
4000
1500
0.3
V [N]
6000
Vcompr
Vtraz
NM
2000
0
1.2
L=140mm
H/L
0
0
0.3
0.6
0.9
1.2
Figura 4.10: Confronto curve teoriche ottenute per la compressione e la trazione e i valori sperimentali
71
In figura 4.10 sono riportati i diagrammi del taglio (V) sopportabile dai pannelli di
fascia in funzione della snellezza (H/L). Essi, per le diverse tipologie di muratura considerate,
mettono a confronto le due curve teoriche, corrispondenti alla resistenza a taglio per
compressione (Vcompr) e per trazione (Vtraz), con i valori ottenuti sperimentalmente, riportati
sul grafico come punti. Si evidenzia da essi con chiarezza che, mentre la rottura per
“lacerazione”(Vtraz) è la più probabile per i pannelli intermedi e tozzi, quella per compressione
(Vcompr) lo è per gli snelli.
Per i pannelli di malta rinforzati (RHM) la curva relativa a Vtraz non è più significativa perché
tale tipo di rottura è di fatto impedito dal rinforzo; infatti si vede che, in questo caso, i risultati
sperimentali, rispetto a quelli dei provini non rinforzati (HM), si allontanano da tale curva e si
avvicinano a quella relativa al Vcompr; ciò soprattutto per i pannelli più tozzi che, quando privi
di rinforzo, hanno sempre evidenziato rotture per trazione.
4.4
Confronto con i risultati di sperimentazioni in scala reale disponibili
in letteratura
Attualmente non sono numerose le sperimentazioni in scala reale eseguite su fasce di piano in
muratura. Infatti nella letteratura recente sono stati individuati solo tre lavori su tale
argomento: Gattesco et al. (2008), Dazio & Beyer (2010) e Parisi et al. (2010). I primi due si
riferiscono a prove eseguite su una porzione di parete in muratura di mattoni pieni,
comprendente una fascia di piano e due monconi di maschi. In esse la fascia di piano viene
sollecitata a taglio spostando verticalmente uno o entrambi i maschi murari, i quali di
conseguenza possono anche ruotare. Il terzo lavoro riguarda invece un portale in muratura di
tufo con malta di calce e pozzolana, caricato a livello della fascia da una forza orizzontale,
che quindi determina sforzi di taglio nella fascia stessa. Essi, però, non sono stati misurati
direttamente durante la prova.
Il numero limitato di prove disponibili non consente un ampio confronto con le
formulazioni teoriche proposte in questo lavoro. Inoltre tale confronto si presenta anche
problematico a causa sia della mancanza di dati completi sulla resistenza dei materiali (che
non sempre vengono forniti dai rispettivi autori) sia delle effettive condizioni vincolari delle
fasce di piano imposte in tali sperimentazioni, che non sono completamente definite. Infatti
dall’analisi delle prove svolte dagli autori sopra citati, non è possibile definire con chiarezza
tali condizioni, in quanto esse sono fortemente influenzate dalla rigidezza laterale dei maschi
72
murari (difficilmente valutabile), dai dispositivi di carico e di contrasto nonché dalla presenza
in molti casi di catene pretese, che ovviamente potrebbero influire sulla configurazione
strutturale delle fasce.
È opportuno, a tal proposito, sottolineare che nella sperimentazione descritta al capitolo
3 è stato del tutto impedito lo spostamento relativo dei nodi che confinano la fascia di piano e
che a tale condizione cinematica (che corrisponde allo schema di fascia-puntone ideale) ci si è
riferiti anche nelle definizione delle formulazioni teoriche. Per quanto detto, invece, nelle
sperimentazioni degli altri autori qui richiamate questa condizione cinematica non appare del
tutto soddisfatta e, d’altronde, non è in pratica valutabile con esattezza. Di conseguenza le
previsioni teoriche delle formulazioni proposte devono considerarsi come dei valori massimi
rispetto a quelli ottenuti dalle sperimentazioni. A ciò si aggiunge la forte dipendenza delle
previsioni teoriche dal valore della resistenza a trazione della muratura, che, già di per sé, è un
parametro meccanico fortemente aleatorio e che non viene quasi mai fornito.
In ogni caso, se ci si riferisce alle prove di Gattesco et al., esse hanno evidenziato un
valore di taglio massimo che ha portato a rottura la fascia in assenza di catene pari a circa
70 kN. Tale valore è aumentato a 100 kN nella seconda prova svolta sullo stesso campione
danneggiato dalla prima prova, ma rinforzato con catene pretese ad 85 kN. In tal caso la
pretensione corrisponde ad una compressione media della muratura della fascia di circa
0.2 MPa, pari proprio al valore di resistenza a trazione della muratura fornita dagli stessi
autori. Quindi, mentre nella prima prova non si può valutare il grado di vincolo relativo
orizzontale tra le due estremità della fascia, nella seconda prova, la presenza della catena
rende le condizioni di vincolo abbastanza corrispondenti a quelle teoriche (anche se
condizionate dalla deformabilità delle catene). D’altro canto la compressione fornita dalle
catene non deve considerarsi come uno sforzo normale esterno applicato alla fascia, ma come
la restituzione della resistenza a trazione originaria, che era stata persa per l’aprirsi delle
lesioni durante la prima prova. E’ utile ancora ricordare che in questa prova la rottura della
fascia di piano è avvenuta con formazione di evidenti lesioni diagonali, confermando un
raggiungimento del taglio ultimo connesso alla resistenza a trazione del materiale (Vtraz).
Pertanto, considerando la resistenza media a trazione fornita dagli stessi autori delle
prove (fvo = 0.2 MPa) e le dimensioni geometriche del pannello di fascia provato (H = 110
cm; L = 130 cm; t = 38 cm), risulta una resistenza teorica, calcolata secondo la formula (13):
Vtraz = 105 kN, in ottimo accordo con il risultato sperimentale. E’ interessante notare che a
tale valore del taglio corrisponde uno sforzo normale nella fascia di circa 160 kN, ben
73
superiore alla pretensione delle catene, a dimostrazione della non influenza di tale pretensione
sulla resistenza finale della fascia.
Si osserva ancora che gli autori non hanno indicato la resistenza a compressione della
muratura; ma in questo caso - rottura per trazione- essa non ha influenza sulla resistenza della
fascia. In ogni caso, essa può essere considerata, data la tipologia muraria, non inferiore a
6 MPa, e quindi sicuramente sufficiente a fornire un valore di Vcomp (450 kN), valutato con la
formula (6), nettamente superiore a Vtraz, come peraltro confermato dal meccanismo di rottura
sperimentale.
Analizzando le prove svolte da Dazio & Beyer, occorre notare che anche in esse sono
state applicate catene pretese con valori della pretensione di 40 kN in un caso ed 80 kN in un
altro. Il massimo taglio sopportato dalla fascia di piano è risultato rispettivamente di 90 kN e
80 kN, con rottura caratterizzata in entrambi i casi da evidente lesione diagonale. Purtroppo
questi autori non hanno fornito il valore della resistenza a trazione della muratura da loro
utilizzata. Comunque, considerando che essa è una muratura di mattoni pieni, probabilmente
con malta di calce, simile a quella di Gattesco et al., è ragionevole considerare per fvo un
valore variabile tra 0.1 e 0.2 MPa ed una resistenza a compressione dell’ordine di 5.06.0 MPa. Pertanto le corrispondenti valutazioni teoriche con le formulazioni proposte in
questo lavoro, considerando la geometria del pannello di fascia provato (H = 126 cm;
L = 118 cm; t = 38 cm), forniscono:
- per fvo = 0.1 MPa
Vtraz = 70 kN
- per fvo = 0.2 MPa
Vtraz = 140 kN
All’interno di tale fascia di valori, corrispondenti alla tipologia di rottura riscontrata,
sono compresi entrambi i risultati sperimentali, confermando quantomeno la validità
dell’impostazione teorica in relazione ai meccanismi di rottura.
Per quanto riguarda le prove di Parisi et al., da esse non è possibile risalire direttamente
allo sforzo di taglio che ha condotto a rottura la fascia. Pertanto, non essendo stato nemmeno
fornito il valore della resistenza a trazione della muratura, non è possibile effettuare alcun
confronto. In ogni caso la rottura del campione provato, privo sia di catene che di ulteriori
interventi di rinforzo e caratterizzato da un rapporto di snellezza 0.59, è avvenuta con
formazione di lesioni diagonali miste a scorrimenti orizzontali, confermando la tipologia di
rottura riscontrata nelle prove sui pannelli in scala ridotta in muratura ordinaria di snellezza
analoga, di cui si è riferito nel capitolo 3, fornendo ulteriore conferma anche della validità di
tali sperimentazioni.
74
In definitiva il confronto con le sperimentazioni al vero, pur nella sua problematicità
anche in relazione ai pochi casi analizzati, offre spunti interessanti e incoraggianti,
confermando sia la previsione qualitativa del fenomeno (in termini di meccanismi di rottura)
che quella quantitativa (in termini di tagli resistenti) quando i dati disponibili la hanno resa
possibile.
4.5
Confronto con la normativa
Anche le NTC08 (ex OPCM3431) forniscono due formulazioni per la valutazione del taglio
massimo sopportabile dalle fasce di piano.
La prima:
Vp  H p 
H
L
Hp


 1 

 0,85 f h  H  t 
dove H p  0.4  H  f h  t
(15)
è relativa alla rottura del puntone per compressione. Essa deriva dal considerare un’estensione
della zona reagente alle estremità del pannello pari al 50% dell’altezza del pannello. Tale
estensione corrisponde alla massima capacità a taglio risultante dal dominio di resistenza V-N
adottato per i maschi murari, ridotta poi al 40%, probabilmente per tenere conto della
distribuzione non costante delle tensioni di compressione a rottura.
La seconda:
Vt  f vo  t  H
(16)
è relativa alla rottura per trazione ma fa riferimento ad un comportamento a taglio puro (fvo),
trascurando del tutto l’effetto dello sforzo normale agente sulle fasce di piano e la snellezza
del pannello, mentre considera resistente tutta la sezione trasversale.
Nelle figure 4.11 (a,b,c,d), per tutte le tipologie di provini considerate, è riportato il
confronto tra i risultati sperimentali e le formulazioni teoriche, relative sia al nuovo modello
ad arco che alla normativa. Si noti che in tutte le relazioni si è utilizzato lo stesso valore di
resistenza a compressione (fh) e lo stesso valore di resistenza a trazione (quello riportato in
Tab. 1), senza tener conto della riduzione convenzionale di resistenza, prevista dall’NTC08,
per VpNTC08. Dalla figura si può notare che per valori di H/L bassi (pannelli snelli) tutte le
formulazioni restituiscono risultati sostanzialmente simili; invece, al ridursi della snellezza
75
(H/L alti) le formule delle NTC08 sembrano sovrastimare in modo notevole la resistenza a
taglio connessa allo schiacciamento del puntone (VpNTC08) e a sottostimare in modo ancora più
evidente la resistenza connessa alla rottura per trazione (VtNTC08).
3500
MURATURA
ORDINARIA (OM)
V [N]
3000
Vcomp
2500
a)
Vp (NTC08)
Vtraz
Vcompr
OM
2000
VtNTC08
VpNTC08
1500
1000
Vtraz
500
H/L
Vt (NTC08)
0
0.1
0.4
0.7
1
3500
V [N]
3000
MURATURA
SETTECENTESCA (EM)
Vp
2500
Vcompr
Vp (NTC08)
Vtraz
EM
b)
2000
Vt NTC08
Vtraz
Vp NTC08
1500
1000
Vt (NTC08)
500
H/L
0
0.1
0.4
0.7
1
76
3500
V [N]
3000
Vcomp
2500
c)
MURATURA
OTTOCENTESCA (NM)
Vtraz
Vp (NTC08)
Vcompr
NM
2000
Vtraz
Vt NTC08
Vp NTC08
1500
1000
500
Vt (NTC08)
H/L
0
0.1
0.4
0.7
1
6000
V [N]
5000
MALTA (HM) E
MALTA RINFORZATA (RHM)
Vp
4000
Vcompr
Vp (NTC08)
Vtraz
HM
Vt NTC08
d)
Vtraz
Vp NTC08
3000
RHM
2000
1000
Vt (NTC08)
H/L
0
0.1
0.4
0.7
1
Figura 4.11. Resistenza a taglio dei pannelli di fascia
77
4.5 Confronto risultati teorici e sperimentali in termini di modalità di
rottura
Un ulteriore confronto viene svolto tra i risultati delle analisi numeriche e quelli della
sperimentazione in scala ridotta, facendo riferimento, in particolare, alle tipologie di rotture
osservate.
Ottenuta la configurazione del puntone attraverso l’analisi numerica, con riferimento
alle snellezze sperimentate, si sono successivamente eseguite, per i soli puntoni in malta e
muratura ordinaria, le verifiche a scorrimento lungo le giaciture verticali ed orizzontali,
evidenziando le sezioni in cui esse non risultano soddisfatte.
Dato un cubetto elementare interno al puntone, esso sarà interessato da uno stato
tensionale del tipo rappresentato in figura 4.12.
La verifica allo scorrimento orizzontale risulterà soddisfatta se si verifica la seguente
condizione:
21< fvko + 0.4 22
dove 21 rappresenta la tensione tangenziale orizzontale agente, fvko è la resistenza a taglio del
materiale, mentre 22 è la tensione di compressione perpendicolare alla giacitura orizzontale.
Per la verifica allo scorrimento verticale, invece, dovrà risultare:
12< fvko + 0.4 
dove  rappresenta la tensione tangenziale verticale agente, fvko è la resistenza a taglio del
materiale, mentre 11 è la tensione di compressione perpendicolare alla giaciture verticale.
Nei grafici di seguito riportati si evidenziano, per le fasce snelle, intermedie e tozze in
muratura ordinaria e malta, le sezioni in cui le verifiche a scorrimento non sono soddisfatte. Si
sono considerati tre step consecutivi in modo da valutare l’andamento delle lesioni e per
ognuno di essi si è indicato il valore della tensione di trazione principale nel nodo centrale del
provino.




Figura 4.12: Stato tensionale agente su un cubetto elementare
78
Per il pannelli in materiale omogeneo con rapporti di snellezze (H/L) pari a 1.07 e 0.71
si osserva come combinando le lesioni verticali ed orizzontali (individuate rispettivamente da
linee rosse e blu) è possibile leggere una lesione diagonale. Per la fascia snella , invece, la
presenza delle sole lesioni orizzontali indica l’assenza di uno stato tensionale di trazione
ortogonale all’asse del puntone.
Con riferimento ai provini in muratura ordinaria, invece, al variare del rapporto di snellezza si
osservano sempre delle linee di scorrimento molto estese.
MURATURA ORDINARIA
0
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
120
110
0
140
20
130
40
10
x
0
30
60
50
80
70
100
90
120
110
140
130
x
0
10
10
20
20
30
30
40
40
50
50
60
60
70
70
80
z
90
100
z
STEP 20: Max=0,039N/mm2
0
20
10
40
30
60
50
100
80
70
90
120
110
STEP 20: Max=0,068 N/mm2
140
0
130
20
10
x
0
40
30
60
50
80
70
100
90
120
110
140
130
x
0
10
10
20
20
30
30
40
40
50
50
60
60
70
70
80
z
90
100
z
STEP 21: Max=0,058 N/mm2
0
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
120
110
STEP 21: Max=0,10 N/mm2
0
140
130
10
x
0
20
40
30
60
50
80
70
100
90
120
110
140
130
x
0
10
10
20
20
30
30
40
40
50
50
60
60
70
70
80
z
90
100
z
2
STEP 22: Max=0,087 N/mm
H/L=0.5 (fascia snella)
STEP 22: Max=0,15 N/mm2
H/L=0.71 (fascia intermedia)
79
0
20
40
10
60
30
80
50
100
70
90
140
120
110
0
130
20
40
10
x
0
30
60
50
80
70
100
90
140
120
110
130
x
0
10
10
20
20
30
30
40
40
50
50
60
60
70
70
80
80
90
90
100
100
110
110
120
120
130
130
140
140
150
150
z
z
STEP 21: Max=0,12 N/mm2
0
STEP 22: Max=0,18 N/mm2
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
140
120
110
130
x
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
110
120
130
140
150
z
STEP 23: Max=0,22 N/mm2
H/L=1.07 (fascia tozza)
MATERIALE OMOGENEO (MALTA)
0
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
120
110
140
0
130
x
0
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
120
110
140
130
x
0
10
10
20
20
30
30
40
40
50
50
60
60
70
70
z
z
STEP 23: Max=0,19 N/mm2
STEP 24: Max=0,25 N/mm2
H/L=0.5 (fascia snella)
80
0
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
140
120
110
130
x
0
0
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
120
110
140
10
130
x
0
20
30
10
40
20
50
30
60
40
70
50
80
60
90
70
100
80
110
90
120
100
130
140
z
150
z
STEP 22: Max=0,22 N/mm2
STEP 21: Max=0,19 N/mm2
0
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
140
120
110
130
x
0
0
20
10
40
30
60
50
80
70
100
90
120
110
10
140
130
x
0
20
30
10
40
20
50
30
60
40
70
50
80
60
90
70
100
80
110
90
120
100
130
140
z
150
z
STEP 23: Max=0,32 N/mm2
STEP 22: Max=0,28 N/mm2
0
40
20
10
30
60
50
100
80
70
90
140
120
110
130
x
0
10
0
20
10
40
30
60
50
100
80
70
90
120
110
140
20
130
x
0
10
30
40
20
50
30
60
40
70
50
80
60
90
70
100
80
110
90
120
100
130
140
z
150
z
STEP 24: Max=0,41 N/mm2
H/L=0.71 (fascia intermedia)
STEP 23: Max=0,40 N/mm2
H/L=1.07 (fascia tozza)
81
Infine sono riportati i confronti tra le lesioni evidenziate durante le prove e gli schemi
delle verifiche a scorrimento sia per il materiale omogeneo che per la muratura ordinaria.
Da un’interpretazione qualitativa delle verifiche scaturisce una discreta corrispondenza
dei risultati ottenuti numericamente rispetto a quelli sperimentali.
Pannello snello muratura ordinaria
Pannello intermedio muratura ordinaria
82
Pannello tozzo muratura ordinaria
Pannello snello malta.
83
Pannello intermedio malta.
Pannello tozzo malta.
84
Capitolo 5:
La modellazione tridimensionale degli edifici in muratura
5.1 Introduzione
La recente classificazione della normativa, che vede il territorio italiano come interamente
sismico, impone un’analisi di vulnerabilità degli edifici esistenti (essenzialmente in muratura),
volta a tutelare il patrimonio edilizio di valore culturale e storico. Tale tutela, però, deve
partire dal presupposto che per “conservare” è necessario “conoscere” ed è dalla conoscenza
storica che devono poi scaturire le scelte di interventi finalizzati soprattutto a preservare tali
testimonianze.
Nell’ambito di questa difficile operazione la tecnica delle costruzioni cerca di fornire gli
strumenti per studiare complessi edifici e valutare l’efficacia di eventuali interventi di
miglioramento. Essa propone, quindi, sia dei metodi di analisi volti a interpretare il
comportamento degli edifici, sia delle tecniche di modellazione della struttura. Tuttavia è
necessario evidenziare le notevoli difficoltà di modellazione, e poi di analisi, di edifici non
ordinari con geometria in pianta e in elevazione particolarmente articolata.
È possibile individuare due categorie di edifici: speciali e ordinari. Alla prima
appartengono fabbricati con funzione di rappresentanza, spesso costituiti da ambienti molto
ampi, adeguati ad ospitare assemblee collettive. Essi presentano molto spesso vani di forma
rettangolare allungata, anche per la necessità di avere un lato più corto parallelamente al quale
ordire la copertura; le pareti perimetrali, molto alte, collocate lungo una direzione prevalente a
distanze elevate, sono collegate trasversalmente, in genere, solo da pannelli murari posti in
corrispondenza delle testate dell’edificio e dai solai o dalle volte di copertura. In questo caso,
il solaio, a causa della sua notevole estensione, non è in grado di svolgere una funzione di
collegamento o di ridistribuzione delle forze ai muri nel proprio piano, disposti ad interassi
troppo elevati, per cui ogni parete può essere considerata isolata rispetto alle altre parti della
struttura e scomposta nei maschi murari presenti tra due aperture successive, interessati da
meccanismi di ribaltamento fuori del piano.
La seconda categoria è rappresentata, invece, da edifici che costituiscono l’edilizia di
tessuto dei centri storici italiani, spesso adibiti a funzione residenziale e caratterizzati da locali
di dimensioni modeste con una disposizione dei setti murari in pianta che si ripete con
sostanziale regolarità in altezza (piano tipo), con un numero di piani variabili da due (nei
piccoli centri) fino ad un massimo di sei - sette (come accade a Napoli) e con un altezza
85
d’interpiano variabile tra i 4 e i 5 m. Il fabbricato è concepito in modo tale che ci siano
elementi portanti in entrambe le direzioni principali, determinando una conformazione globale
di tipo scatolare. In questo modo nessuna parete è libera, ma è vincolata dagli elementi murari
nell’altra direzione, purché le croci di muro siano realizzate con una tessitura adeguata a
svolgere tale funzione di collegamento.
Entrambe le categorie di edifici, pur essendo caratterizzate da un assetto geometrico
complessivo piuttosto costante nel tempo, hanno subito notevoli modifiche nel corso dei
secoli. Tali innovazioni, conseguite con l’applicazione di nuove tecniche costruttive, frutto
dell’evoluzione tecnologica, hanno interessato in particolare l’impalcato, che svolge un ruolo
fondamentale per il comportamento meccanico dell’edificio sia nei confronti delle azioni
sismiche che di quelle verticali.
Per edifici ordinari è possibile far ricorso ad analisi globali che utilizzano modellazioni
a telaio equivalente o agli elementi finiti (FEM), mentre per edifici speciali, in cui vi è
l’indipendenza del comportamento delle varie parti, esse si rivelano non idonee. Nella realtà
ci si trova poi di fronte a situazioni intermedie, per le quali non si può rinunciare alla globalità
delle analisi e i metodi di analisi attuali non sono esaurienti.
In particolare in questo lavoro di tesi si pone maggiore attenzione a quest’ultima
categoria di edifici, che potremmo definire come “edifici particolari”, e si analizzano due casi
studio, con lo scopo di evidenziare alcune delle possibili problematiche della modellazione.
Il primo caso studio è quello di un palazzo tardomedievale napoletano, conosciuto come
“palazzo Petrucci”, caratterizzato da una configurazione in pianta complessa e articolata e da
un notevole sviluppo in elevazione. Tale edificio, già oggetto di studio da parte dell’ing. E.A.
Cordasco, viene ora studiato a partire da una modellazione 3D a telaio equivalente allo scopo
di valutare il comportamento degli impalcati.
Il secondo caso studio riguarda, invece, un castello, situato a Castel Volturno, il quale
rappresenta un interessante esempio di edificio stratificato che allo stesso tempo, però, non si
presta ad una modellazione a telaio equivalente. In tal caso, infatti, si è resa necessaria una
modellazione agli elementi finiti, che comunque ha messo in luce delle criticità (dovute alla
particolarità della struttura) soprattutto per la validazione dei risultati.
86
5.2 Modellazione tridimensionale a telaio equivalente: il caso di Palazzo
Petrucci
La modellazione tridimensionale mediante telaio equivalente consente di effettuare la
valutazione della capacità sismica degli edifici tenendo conto della reale distribuzione in
pianta delle pareti e dell’effetto dell’impalcato nell’ipotesi in cui sia efficace. Tale
modellazione, che risulta abbastanza immediata per edifici ordinari, diventa molto critica per
edifici storici con configurazioni particolarmente articolate e con stratificazione di diverse
regole e tecniche costruttive.
Al fine di studiare alcune delle problematiche connesse a queste tipologie di
modellazioni si è considerato come caso studio un palazzo storico napoletano (palazzo
“Petrucci”) complesso per la sua geometria e stratificazione. L’analisi dell’edificio viene fatta
attraverso una modellazione a telaio spaziale.
5.2.1 Palazzo Petrucci
Il nucleo originario di tale edificio risale all’incirca al XIV secolo ed ha subito numerosi
ampliamenti, modifiche e consolidamenti nei secoli successivi, fino a raggiungere la
configurazione odierna (Figg. 5.1 e 5.2).
Confina su due lati con altri edifici, raggiunge un’altezza fuori terra di circa 23 m ed è
costituito da un piano terra, un piano ammezzato e da tre ulteriori livelli. Si ipotizza che
l’attacco dei maschi murari alla fondazione sia 1 m al di sotto dell’attuale piano di campagna.
Le pareti murarie risegano lungo l’altezza variando da un massimo di 120 cm ad un
minimo di 45 cm.
Gli impalcati sono di tipologie differenti ai vari livelli: all’ultimo livello vi sono solai
con putrelle in ferro, al quarto con travi di legno e al piano terra, invece, sono presenti
soprattutto volte a vela o a botte. Al primo e al secondo livello (piano ammezzato e primo
piano) gli impalcati sono misti con volte in alcuni campi e solai lignei in altri. La copertura
dell’edificio è in parte piana ed in parte a due falde inclinate, con struttura in legno. Esiste
un’unica scala del tipo a volta rampante in muratura.
Nel complesso la tipologia strutturale dell’edificio si può considerare di tipologia
intermedia tra la prima e la seconda classe secondo la classificazione di Pagano [Pagano,
1969].
87
Pianta piano terra
Pianta piano ammezzato
Pianta primo piano
Pianta secondo piano
Pianta terzo piano
Figura 5.1: Rilevo architettonico Palazzo Petrucci – piante (Arch. Helen Rotolo)
Sezione A-A’
Sezione B-B’
88
Prospetto su P.zza S. Domenico Maggiore
Prospetto su via Benedetto Croce
Figura 5.2: Rilevo architettonico Palazzo Petrucci – sezioni e prospetti (Arch. Helen Rotolo)
5.2.2 Modellazione
Per la costruzione del modello spaziale si sono dapprima individuate le pareti resistenti in
direzione x ed y (Fig.5.3) e successivamente si è definito lo schema di telaio equivalente per
ciascuna di esse, rappresentato nelle figure 5.4 e 5.5 in relazione alle direzioni anzidette. Il
telaio è individuato da ritti che schematizzano il maschio murario e aste che rappresentano le
fasce di piano, mentre i nodi sono definiti come infinitamente rigidi. Dall’assemblaggio di tali
schemi è stato infine ottenuto un modello spaziale (Fig. 5.6). È importante evidenziare come
nelle modellazioni a telaio di edifici in muratura, a differenza di ciò che accade nei moderni
edifici intelaiati in c.a., i ritti delle pareti nelle due direzioni principali (x e y) non coincidono.
Ciò implica che le sezioni vengono assegnate sia per i ritti in direzione x che y, per cui è
opportuno considerare solo la loro inerzia maggiore. Nelle modellazioni questo può essere
ottenuto mediante l’utilizzo di “releases” (rilasci) assegnati alle estremità delle aste.
Tuttavia va osservato come l’individuazione dello schema di telaio adeguato a ciascuna
parete, in grado cioè di fornire una risposta del modello abbastanza corrispondente a quella
reale, non sia immediata. Infatti la complessità geometrica, collegata in gran parte alla
distribuzione, in genere non regolare, delle aperture, comporta la necessità di scelte ed
accorgimenti non codificabili, da definire caso per caso, che richiedono una adeguata
sensibilità strutturale del progettista, e di cui ovviamente si deve tenere conto anche nella fase
di interpretazione dei risultati.
Di seguito si riportano alcuni accorgimenti adottati nel caso specifico di palazzo
Petrucci:
- Ai ritti in cui si suddividono i maschi murari unici sono state assegnate dimensioni fittizie
(tali da fornire globalmente le stesse rigidezze flessionali e taglianti del maschio reale), e sono
89
Pianta piano terra
Pianta piano ammezzato
Pianta primo piano
Pianta secondo piano
Pianta terzo piano
Figura 5.3: Pareti resistenti
stati collegati in testa da una coppia di pendoli inestensibili, che assicura l'uguaglianza della
rotazione in testa dei ritti equivalenti. Il numero di tali ritti è stato talvolta influenzato dalla
necessità di modellare collegamenti rigidi tra i ritti nelle due direzioni tali da non alterare il
comportamento reale della struttura e pertanto disposti a piccole distanze tra loro (ragione per
cui si rende indispensabile avere un numero di ritti maggiore).
90
-
La distribuzione irregolare delle aperture determina difficoltà nella definizione della
lunghezza della parte deformabile delle aste orizzontali, che vanno risolte caso per caso
variando l’estensione e l’inclinazione dei tratti indeformabili.
Per quanto riguarda la definizione del comportamento meccanico (resistente e
deformativo) di ciascun elemento strutturale, per i maschi murari si è adottato il modello di
trave dotata di rigidezza e resistenza sia flessionale che tagliante, tenendo conto, per la sola
resistenza, dell’incapacità del materiale di resistere a trazione.
L’edificio in questione presenta parti realizzate con tecniche costruttive di epoche
diverse, ciascuna corrispondente a diverse tipologie murarie storiche che hanno caratterizzato
l’area napoletana dal XVI al XX secolo. In particolare, nell’edificio di studio si possono
individuare alcuni elementi murari realizzati "a cantiere", diffusi nel XVI e nel XVII secolo,
altri "a filari di bozzette", riferibili al XVIII secolo, e altri ancora "a filari di blocchetti a
sacco", adottati nel XIX secolo e nella prima metà del XX [Fiengo e Guerriero, 1998], come
visibile dalle figure 5.7 e 5.8. Per ognuna delle tipologie murarie individuate, sono stati
adottati valori per la resistenza a compressione ed il modulo elastico diversi, pari a quelli
ottenuti sperimentalmente dalle prove eseguite su modelli in scala reale e sintetizzati in
tabella 1.
Tabella 1: Caratteristiche meccaniche [N/mm2]
Cantieri
Bozzette
max
0
E
3.25
0.12
965
max
2.60
Blocchetti
0
E
max
0
E
0.10
1160
2.17
0.08
830
In ogni caso la resistenza a compressione è stata ridotta del 20% per tenere conto delle
condizioni reali diverse da quelle riproducibili in laboratorio.
Non avendo a disposizione valori sperimentali di resistenza a taglio essa è stata posta
pari ad 1/30 della resistenza a compressione, valore che si ottiene usualmente per la muratura
in pietra di tufo.
91
Figura 5.4: Modello a telaio delle pareti murarie in direzione x
92
Figura 5.5: Modello a telaio delle pareti murarie in direzione y
93
Figura 5.6: Modello: telaio spaziale
94
Figura 5.7: Stratificazione delle pareti murarie in dir. x
Figura 5.8: Stratificazione delle pareti murarie in dir. y
Altro problema connesso alla modellazione è relativo alla rigidezza degli impalcati nel
proprio piano, che, a causa delle diverse tipologie presenti, tutte in genere non riconducibili ai
moderni solai, è di difficile se non impossibile valutazione, nonostante le numerose ricerche
attualmente in atto a proposito. Pertanto, non essendo allo stato dimostrabile che essi siano
sicuramente non rigidi, per l’analisi sismica del fabbricato è necessario quanto meno
considerare sia l’ipotesi di impalcato deformabile che di impalcato infinitamente rigido, che
rappresentano i due limiti estremi della fascia di comportamento meccanico in cui
necessariamente è compresa la risposta effettiva della struttura.
A tal proposito si sono analizzate quattro ipotesi di comportamento dell’impalcato (A,
B, C e D), descritte nel capitolo 2.
La configurazione A, che corrisponde all’ipotesi di assenza totale dell’impalcato, pur
non rappresentando una reale condizione per il caso in esame, viene comunque considerata
per motivi di studio. In tale ipotesi si considerano completamente scollegate tra loro le pareti,
ritenendo non affidabili le croci di muro e del tutto assente l’impalcato (configurazione di
edificio semiruderizzato). Nel modellare questa configurazione si è reso necessario
considerare il comportamento della parete anche fuori dal piano (non si utilizzano “releases”).
Nel caso B, invece, i telai nelle due direzioni vengono collegati in corrispondenza delle
croci di muro mediante un vincolo interno “equal” che solidarizza le pareti disposte nelle due
95
direzioni e si considera possibile, anche in questo caso, un loro comportamento fuori dal
piano (spanciamento).
L’ipotesi C considera un impalcato a deformabilità finita e viene schematizzato
mediante pendoli diagonali (rappresentati in colore rosso in figura 5.9 con riferimento al
piano terra) che convergono o in un punto appartenente ad uno dei ritti nelle due direzioni x
ed y o in un punto fittizio, e in entrambi i casi tali punti sono stati solidarizzati tra loro
mediante un vincolo di diaframma rigido. Per tale configurazione si analizza inoltre una
ulteriore distinzione, ovvero: il caso in cui nei solai voltati si suppone efficace il masso
sovrastante e il caso in cui esso si ritiene non idoneo a collegare le pareti tra loro e si attivi un
puntone arcuato all’interno della volta stessa (modello descritto nel cap. 2). Nel caso specifico
per la definizione delle sezioni delle diagonali si è considerato uno spessore della soletta pari
a 10 cm e uno spessore delle volte di 30 cm, la lunghezza, invece, sempre pari al 20%
dell’estensione della diagonale. In particolare nella modellazione che tiene conto del solo
effetto irrigidente delle volte (assenza del masso efficace) a causa dello sviluppo ad arco del
puntone viene ridotta l’area del puntone compresso mediante un coefficiente pari a cos2, in
cui l’angolo  (dato dall’inclinazione dell’arco lungo la diagonale) varia in funzione della
tipologia di volta. In effetti dal rilievo svolto dall’arch. Helen Rotolo è possibile per tutte le
tipologie di volte presenti nell’edificio (volte a vela, a botte e a crociera) conoscere le loro
dimensioni in pianta, e solo per alcune il valore della freccia e quindi l’angolo . Pertanto si è
assunto per tutte le tipologie di volte a vela un angolo  pari a 30°, per le volte a botte 21° e
per quelle a crociera 44°. Allo scopo, poi, di utilizzare tali modellazioni per analisi di tipo
lineari in cui si tenga conto della non resistenza a trazione delle diagonali è possibile
assegnare alle due diagonali (compressa e decompressa) una sezione pari alla metà di quella
della diagonale compressa.
Infine la configurazione D (impalcato infinitamente rigido) viene ottenuta mediante
l’utilizzo di un vincolo diaphragm a ciascun piano.
È inoltre da evidenziare come modellazioni così complesse consentono anche di tener
conto di eventuali meccanismi locali, che comunque necessitano delle verifiche specifiche
consentite dalla norma.
96
Figura 5.9: Modellazione del caso “C”: pianta piano terra.
5.2.3 L’analisi dei carichi verticali e la modellazione delle masse
La massa è stata assegnata in ciascun punto del telaio in relazione all’area di influenza,
considerando sia il contributo dell’impalcato e sia del peso proprio della struttura. In
particolare, in tabella 2 si riportano i pesi unitari considerati per l’analisi dei carichi.
Tabella 2: Pesi unitari delle strutture [kN/mq]
MURATURA
Muratura in tufo
TIPO DI SOLAIO
Solaio in legno
Volte
Solaio in ferro con voltine in tufo
Copertura in legno
SCALE
Scala in muratura
Scala in muratura con volte
Gk
17
Gk
3,79
17,75
6,28
1,42
Gk
8,07
9,63
Osservando tali valori è possibile dedurre come effettivamente il peso della muratura,
per il caso in esame in cui gli spessori dei muri sono molto grandi, sia molto più incidente
rispetto a quello dei solai. Fanno eccezione i solai voltati, i quali sono molto pesanti, ma
generalmente i muri della gabbia che li contengono hanno spessori notevoli. Tutto ciò
dimostra quindi come i carichi e di conseguenza le masse sono già distribuite in maniera
97
proporzionale alla rigidezza per questa tipologia di edificio (edificio antico compreso tra la
prima e la seconda classe).
Determinati i carichi verticali, nella condizione sismica, gravanti su ciascun maschio
murario in relazione alla propria area di influenza (divisi successivamente in parti uguali tra
ritti appartenenti a maschi unici) si è ripartita poi la massa in funzione di essi, ovvero:
M i , j  M tot , j 
CVi , j
CVtot , j
dove Mi,j rappresenta la massa assegnata al nodo i del piano j; Mtot,j è la massa totale al piano
j; CVi,j è il carico verticale che insiste nel nodo i al piano j; CVtot,j è il carico verticale totale al
piano j. In tabella 3 si riportano in sintesi i pesi sismici e le masse totali calcolati per ciascun
piano.
Tabella 3: Pesi sismici e masse
Impalcato
1
2
3
4
5
Pesi sismici
[kN]
54589
52285
38025
24548
16564
Masse
[ton]
5565
5329
3876
2502
1688
Le masse così determinate sono state infine assegnate in ciascun nodo sia lungo la
direzione x che y.
5.2.4 Analisi lineari
Per poter confrontare i diversi comportamenti dell’edificio al variare delle configurazioni che
l’impalcato può assumere (descritte al par. 5.2.2), si sono dapprima analizzati i modi di
vibrare della struttura ottenuti da un’analisi di tipo modale.
Nelle figure si riportano solo i primi due modi di vibrare per ciascun caso considerato
(A, B, C, C con modello del puntone arcuato, D) con i relativi periodi (T) e masse partecipanti
(M*).
Nel caso A le pareti AX e IX oscillano fuori dal piano. In effetti in questa ipotesi le pareti
sono del tutto scollegate tra loro (sia per l’assenza dell’impalcato che per l’inefficacia delle
croci di muro). Va osservato inoltre che per riuscire al eccitare una massa di circa l’80%, nelle
due direzioni x ed y, è necessario considerare un numero notevole di modi di vibrare (250
modi). Pertanto, analizzando i singoli modi di vibrare, si osserva che per avere un modo di
vibrare nel piano della parete si deve arrivare al modo centocinquesimo con un periodo di
98
0.94 sec e una massa partecipante dell’1%. È importante precisare che tale modello è utile
solo per esprimere in maniera qualitativa il comportamento dell’edificio. In effetti a rigore
sarebbe stato opportuno esaminare una differente modellazione delle pareti: i maschi unici
sono stati schematizzati con ritti aventi complessivamente la stessa inerzia flessionale e
tagliante iniziale nel piano, mentre nel modello A, e anche in quello B, in virtù del fatto che
sono ammessi meccanismi fuori piano, si sarebbe dovuta considerare l’uguaglianza
dell’inerzia fuori dal piano (ciò comporta l’assegnazione di sezioni diverse ai ritti). Tale
modifica consentirebbe di tener conto in maniera più corretta della deformabilità della parete
fuori dal piano, ottenendo dei periodi più bassi rispetto a quelli restituiti dal modello preso in
esame (i quali non sono stati riportati non essendo reali). Tuttavia il confronto svolto è stato
finalizzato solo a cogliere le differenze di comportamento dell’edificio al variare delle ipotesi
sull’impalcato e non a valutare quantitativamente i meccanismi fuori dal piano (la cui
esistenza è peraltro scontata per pareti non collegate a livello del piano).
Nel caso B il primo modo eccita una massa partecipante del 35% (in direzione y) con un
periodo (fuori dal piano) di 2.08 sec, il secondo modo, invece, coinvolge una massa del 6%
(in direzione y) con un periodo di 1.52 sec. Si osserva con riferimento a quest’ultimo anche
un meccanismo locale della parete NX, la quale tende a spanciarsi assumendo una deformata
ad arco (pressoflessione fuori dal piano). Anche in questo caso il numero di modi da
considerare per avere una massa partecipante di circa l’80% è di 260.
Per i casi C (con e senza l’efficacia della soletta sulle volte) si osserva dalla deformata,
in particolare per il primo modo, un coinvolgimento di tutta la struttura, infatti la massa
partecipante è del 38% (in direzione y) per il primo caso (C- con soletta efficace sulle volte) e
del 41% (in direzione y) nel secondo (C- assenza di una soletta efficace sulle volte e
formazione del puntone arcuato). Il secondo modo è invece di tipo locale e coinvolge una
piccola massa (3% nel primo caso e 0.8% nel secondo). I periodi risultano essere più bassi
rispetto al caso B e in particolare per il primo modo variano tra 1.54 e 1.49 sec, mentre nel
secondo tra 1.17 e 0.93 sec. Il numero di modi tenuti in conto è per entrambe le ipotesi pari a
270.
Infine nella configurazione D si osserva una notevole partecipazione di massa sia al
primo modo (My*=60%) che al secondo (Mx*=46%) con periodi rispettivamente di 1.24 e
0.75 sec., a conferma dell’efficacia dell’impalcato nel collegare le pareti e conferire un
comportamento scatolare all’edificio.
99
Caso a: Meccanismo fuori dal piano per la parete AX
Caso a: Meccanismo fuori dal piano per la parete IX
100
Caso a: T105=0.94 sec (nel piano) – My*=1%
Caso b: T1=2.08 sec (fuori dal piano) – My*=35%
101
Caso b: T2=1.52 sec (fuori dal piano) – My*=6%
Caso c (soletta efficace nelle volte): T1=1.54 sec – My*=38%
102
Caso c (soletta efficace nelle volte): T2=1.17 sec – My*=3%
Caso c: T1=1.49 sec – My*=41%
103
Caso c: T2=0.93 sec – My*=0.8%
Caso d: T1=1.24 sec – My*=60%
104
Caso d: T2=0.75 sec – Mx*=46%
Figura 5.10: Modi di vibrare della struttura al variare della configurazione assunta dall’impalcato
Per valutare la capacità sismica della struttura si è adottata sia l’analisi statica lineare
(ASL) che l’analisi dinamica modale (ADM). In entrambi i casi le azioni sismiche sono state
calcolate con riferimento allo spettro di risposta dell’NTC08, per suolo B, ridotto con un
fattore di struttura pari a 2.7, adottando il valore di sovraresistenza u/1=1.8 e di q0 pari ad
1.5. Nelle figure 5.11 e 5.12 si mostrano rispettivamente i parametri sismici corrispondenti
alla zona oggetto di studio e il grafico dello spettro elastico e di progetto corrispondenti.
Dopo aver determinato le forze da applicare a ciascun piano (Tab. 4) si sono ripartite nei
nodi del telaio in funzione dei carichi verticali, secondo la seguente formula:
FO i , j  FOtot , j 
CVi , j
CVtot , j
dove FOi,j rappresenta la forza assegnata al nodo i del piano j; FOtot,j è la massa totale al piano
j; CVi,j è il carico verticale che insiste nel nodo i al piano j; CVtot,j è il carico verticale totale al
piano j.
Per un primo confronto tra i diversi modelli, nelle figure 5.13 e 5.14 si riportano, solo
per il penultimo piano, le deformate ottenute applicando le forze orizzontali rispettivamente in
direzione x e y. Non si considera il caso C in cui la soletta sulle volte non è efficace, in quanto
a tale piano non produce differenze significative della deformata.
105
Figura 5.11: Parametri sismici (P.zza S. Domenico Maggiore – Napoli)
0.7
0.6
S [g]
Se (SLV)
Sd (SLV)
0.5
0.4
0.3
0.2
T [sec]
0.1
0.0
0.00
0.50
1.00
1.50
2.00
2.50
3.00
3.50
4.00
Figura 5.12: Grafico degli spettri
106
Tabella 4: Forze sismiche per ciascun piano
Impalcato
1
2
3
4
5
Forze sismiche
[kN]
5699
9906
10887
9767
7985
Nel caso A, le pareti si deformano in modo indipendente le une dalle altre e presentano
deformate fuori dal piano per sisma ortogonale ad esse. In B invece si osserva una deformata
ad arco delle pareti (essendo collegate solo nelle croci di muro). Con riferimento alle
configurazione C e D, è possibile infine, osservare un comportamento globale dell’edificio,
dovuto proprio all’efficacia di collegamento tra le pareti offerta dall’impalcato. È inoltre da
notare come nella direzione y gli spostamenti siano molto maggiori a causa della maggiore
deformabilità delle pareti (per la presenza di molte aperture –vedi figura 5.5).
Comportamenti analoghi si riscontrano anche con riferimento alle deformate nelle due
direzioni dovute all’applicazione di uno spettro di progetto (analisi dinamica modale) (Figg.
5.15 e 5.16).
Caso A
107
Caso B
Caso C (soletta efficace nelle volte)
108
Caso D
Figura 5.13: Deformate del penultimo impalcato per forze in direzione x (ASL).
Caso A
109
Caso B
Caso C (soletta efficace nelle volte)
110
Caso D
Figura 5.14: Deformate del penultimo impalcato per forze in direzione y (ASL).
Caso A
111
Caso B
Caso C (soletta efficace nelle volte)
112
Caso D
Figura 5.15: Deformate del penultimo impalcato per sima in direzione x (ADM).
Caso A
113
Caso B
Caso C (soletta efficace nelle volte)
114
Caso D
Figura 5.16: Deformate del penultimo impalcato per sima in direzione y (ADM).
Con riferimento sia all’analisi statica lineare (ASL) che dinamica modale (ADM) è
riportata, nelle figure 5.17 e 5.18, la distribuzione del tagliante sismico alle varie pareti nelle
diverse ipotesi di comportamento dell’impalcato considerate (par. 5.2.2). È da evidenziare
però come nel caso di analisi dinamica modale le sollecitazioni siano molto più basse rispetto
a quelle dell’analisi statica lineare in quanto in esse (a causa della combinazione del tipo
CQC) si perde il segno delle sollecitazioni.
Si riscontra come effettivamente nel caso A le pareti hanno un tagliante nel loro piano
pari proprio alla somma delle forze sismiche assegnate.
Nel caso B si ottiene, per alcune pareti, un tagliante molto elevato in quanto esse
risultano molto più rigide rispetto alle pareti ortogonali alle quali sono collegate. Questo
dimostra l’importanza dell’impalcato per la ridistribuzione delle forze alle pareti con rigidezza
maggiore. Infatti non basta che le croci di muro siano ben ammorsate ma deve esserci anche
un impalcato efficace affinché si abbia una ridistribuzione più equa delle sollecitazioni.
Nel caso D si ha che le pareti più rigide sono quelle che assorbono un tagliate maggiore,
al contrario di quelle molto deformabili (meno sollecitate).
I casi C risultano avere un comportamento intermedio tra B e D. Tale risultato è di
notevole importanza in quanto consente di affermare che l’infinita rigidezza dell’impalcato
non sia indispensabile ma può essere sufficiente inserire solo delle catene nelle due direzioni
115
dell’edificio per ottenere un comportamento semirigido che garantisca una discreta
ridistribuzione. Va altresì evidenziato come la configurazione di impalcato infinitamente
rigido sia per edifici antichi molto difficile da ottenere. In edifici in muratura (al contrario di
quelli in c.a.) le pareti sono presenti nelle due direzioni (x e y) e le masse sono distribuite
come le rigidezze, per cui se una parete prende sollecitazioni maggiori è perché è più rigida
(sempre che non si raggiunga il limite ultimo che ne causa il ribaltamento). Si noti inoltre che
le pareti portano un peso che, nell’ipotesi di impalcato efficace, potrebbe essere ridistribuito.
Ciò avviene però solo nel caso in cui la rigidezza della parete che porta molto carico fosse più
bassa delle altre pareti (ad esempio nel caso in cui nella parete ci sono molte aperture),
diversamente l’unico peso che deve essere ridistribuito dall’impalcato efficace, rimane solo
quello dell’impalcato stesso, che in percentuale è meno influente rispetto a quello della parete.
In realtà la configurazione D non dovrebbe differire molto dalla C, visto che le masse
delle pareti sono proporzionali alla loro rigidezza, per cui effettivamente l’impalcato non è
impegnato in una ripartizione. Al contrario invece, si può notare dai diagrammi come questa
ipotesi produca una diversa ridistribuzione nelle pareti ortogonali alla direzione del sisma.
Tale differenza si giustifica per la presenza di una rotazione dell’impalcato, infatti come si
osserva anche dalle deformate (Figg. 5.13 e 5.14, caso D) esso subisce oltre allo spostamento
nella direzione in cui sono applicate le forze, anche una rotazione. Le pareti che nella
direzione ortogonale al sisma assorbono il tagliante sono proprio le pareti più rigide.
Da queste osservazioni è possibile allora dedurre che non è necessario rendere i solai
rigidi e di conseguenza le strutture in muratura possono essere modellate correttamente con
modelli piani che non tengono conto degli effetti torsionali.
35000
Direzione x-sisma x
V [kN]
30000
CASO A
CASO B
25000
CASO C (mod. puntone arcuato)
20000
CASO C
CASO D
15000
10000
5000
0
AX
BX
CX
DX
EX
FX
GX
HX
IX
LX
MX
NX
116
35000
Direzione y-sisma x
V [kN]
30000
CASO A
CASO B
25000
CASO C (mod. puntone arcuato)
20000
CASO C
CASO D
15000
10000
5000
0
AY
BY
CY
DY
EY
FY
GY
HY
IY
LY
MY
NY
OY
35000
Direzione x-sisma y
V [kN]
30000
CASO A
CASO B
25000
CASO C (mod. puntone arcuato)
20000
CASO C
CASO D
15000
10000
5000
0
AX
BX
CX
DX
EX
FX
GX
HX
IX
LX
MX
NX
35000
Direzione y-sisma y
V [kN]
30000
CASO A
CASO B
25000
CASO C (mod. puntone arcuato)
20000
CASO C
CASO D
15000
10000
5000
0
AY
BY
CY
DY
EY
FY
GY
HY
IY
LY
MY
NY
OY
Figura 5.17: Distribuzione del tagliante per sisma in direzione x ed y (ASL).
117
15000
V [kN]
Direzione x -modale x
12500
CASO A
10000
CASO B
CASO C (mod. puntone arcuato)
7500
CASO C
CASO D
5000
2500
0
AX
15000
BX
CX
V [kN]
DX
EX
FX
GX
HX
IX
LX
MX
NX
Direzione y -modale x
12500
CASO A
10000
CASO B
CASO C (mod. puntone arcuato)
7500
CASO C
5000
CASO D
2500
0
AY
BY
CY
DY
EY
FY
GY
HY
IY
LY
MY
NY
OY
15000
12500
V [kN]
Direzione x-modale y
CASO A
CASO B
10000
CASO C (mod. puntone arcuato)
7500
CASO C
CADO D
5000
2500
0
AX
BX
CX
DX
EX
FX
GX
HX
IX
LX
MX
NX
15000
12500
Direzione y-modale y
V [kN]
CASO A
CASO B
10000
CASO C (mod. puntone arcuato)
7500
CASO C
CASO D
5000
2500
0
AY
BY
CY
DY
EY
FY
GY
HY
IY
LY
MY
NY
OY
Figura 5.18: Distribuzione del tagliante per sisma in direzione x ed y (ADM).
118
5.3 Modellazione con elementi lastra-piastra: il caso del castello di Castel
Volturno
Il secondo caso studio considerato riguarda un edificio speciale, ovvero un castello, sito a
Castel Volturno e oggetto di un progetto di restauro redatto dal prof. Guerriero. In esso
vengono proposti una serie di interventi volti sia a migliorare sismicamente la struttura e sia a
consentirne una rifunzionalizzazione (con destinazione di biblioteca – Figg. 5.17, 5.18 e
5.19). Prendendo spunto da tale progetto si è studiata una possibile tecnica di modellazione
che vede l’utilizzo di elementi lastra-piastra e che considera due ipotesi di comportamento
della struttura: la prima relativa allo stato di fatto (struttura semiruderizzata) e la seconda che
tiene conto delle scelte progettuali proposte, le quali essenzialmente mirano a ripristinare i
collegamenti trasversali.
Nello stato di fatto l’edificio presenta: pareti non sufficientemente ammorsate; lesioni di
distacco nelle croci di muro; un avanzato stato di degrado ed estese lacune nei solai (realizzati
con travi in legno); coperture del tutto assenti e lesioni in corrispondenza sia della volta
(situata al terzo piano – Fig 5.17) che lungo gli speroni.
In particolare il progetto di restauro prevede interventi poco invasivi e rispettosi
dell’esigenza di conservazione della fabbrica, i quali tendono anche ad un miglioramento del
comportamento sismico della struttura.
Gli interventi significativi proposti sono:

Cuciture delle lesioni negli speroni in maniera da ripristinare la rigidezza originaria
dell’elemento.

Rifazione degli impalcati con solai costituiti da travi metalliche nelle due direzioni e
sovrastante lamierino metallico opportunamente rasato. Si prevedono, inoltre, elementi
diagonali negli angoli, collegati alle travi e non alle murature, che assicurano la cucitura
della croce muraria senza il ricorso ad invasive perforazioni armate.

Rifazione delle coperture opache con manto di tegole su orditura lignea e sovrastante
doppio tavolato (incrociato).

Copertura trasparente della torre libri (indicata in Fig. 5.17) realizzata con collegamenti
metallici nelle due direzioni (Fig. 5.19).

Cordolatura di acciaio su tutta la cresta muraria che assicuri così la ricucitura delle pareti
almeno in sommità.

Inserimento di alcune catene metalliche da collocarsi nel masso sovrastante la volta in
muratura, con evidente funzione di collegamento tra le pareti e mitigazione degli
incrementi di spinta dovuti ai nuovi carichi.
119
Pila
Torre libri
Rampa
Spalla
Pianta piano terra
Pianta primo piano
Pianta secondo piano
Pianta terzo piano
Volta a botte
Pianta coperture
Figura 5.17: Piante dello stato di progetto (tratte dal progetto di restauro del prof. Guerriero)
Figura 5.18: Sezione prospettica dello stato di progetto (tratta dal progetto di restauro del prof. Guerriero)
120
Figura 5.19: Viste interna alla torre libri nello stato di progetto (tratte dal progetto di restauro del prof. Guerriero)

Le passerelle e rampe della torre libri (fig. 5.19) non trasmettono i nuovi rilevanti carichi
verticali alle pareti in muratura ma assicurano comunque il collegamento orizzontale della
nuova struttura metallica alla scatola muraria che è chiamata ad equilibrarne l’azione
inerziale ondulatoria. Anche in questo caso, per garantire la cucitura, seppur puntuale,
delle croci di muro si prevede un collegamento diagonale tra le travi metalliche in
corrispondenza dei cantonali.
5.3.1 Stratificazione storica e conseguenti aspetti meccanici
Il Castello costituisce uno straordinario episodio di costruzione stratificata. Esso sorge su di
un sito particolarissimo, alla foce del Volturno, oggi contiguo al fiume ma originariamente
nell’alveo dello stesso. Infatti la fabbrica sorge sulle rovine del ponte romano e precisamente
sulla pila, la spalla e la rampa di accesso al ponte (individuate in Fig. 5.17). Nel IX° secolo i
Longobardi chiusero il volume tra la pila e la spalla romana con murature in tufo arricchite da
grossi elementi di pietra lavica provenienti dalla pavimentazione della via Domiziana. Al di
sopra della quota della spalla e della pila fu eretta una prima torre.
Al basso medioevo risale l'erezione degli ambienti sulla verticale della pila, per ulteriori
due livelli, e di quelli adiacenti, per tre livelli, che ha determinato l'assetto che caratterizza il
monumento.
Nel corso dell'età moderna sono stati eretti diversi contrafforti in tufo giallo "a cantieri",
nel tentativo di contrastare le rotazioni verso l'esterno delle murature d'ambito. Al XVIII
secolo risale la sopraelevazione con murature di bozzette di tufo giallo degli ambienti agli
estremi nord e sud, con il pareggiamento altimetrico dell'intero complesso, che ha subito
121
ulteriori rifacimenti all'ultimo livello nella seconda metà del XIX secolo, quando alcuni tratti
della cortina meridionale sono stati rifatti con blocchetti di tufo grigio campano.
La pila romana reca sin oltre il pelo dell'acqua antico una cortina di grossi blocchi
calcarei (larghi circa 60 cm), che probabilmente fodera un nucleo interno in opera cementizia
a getto (scapoli di tufo, rari frantumi di mattoni, ottima malta di calce idraulica e pozzolana).
Più in alto, il corpo dell'arcata superstite reca ghiere esterne e ricorsi intermedi in bipedali
(grossi mattoni romani) e un nucleo, dimensionalmente prevalente, in opera cementizia del
tutto analoga a quella sottostante.
La spalla è anch'essa in opera cementizia, mentre la rampa adiacente è rivestita sui
fianchi con opera vittata (blocchetti regolari di tufo giallo). Non è noto quanto sia profonda la
muratura, pur essendo plausibile che la spalla abbia uno spessore analogo a quello della pila e
che la rampa non abbia un nucleo interno in terra.
Le murature longobarde (indicate come altomedievali nella cronologia delle strutture)
sono realizzate utilizzando in larga misura materiali di spoglio (grossi blocchi di tufo giallo
stratificato provenienti con tutta evidenza da un'opera quadrata romana, forse un edificio
pubblico di Volturnum; soprattutto basoli di lava leucitica, divelti dal lastrico della via
Domiziana; rari frammenti di coccio pesto; alcuni mattoni spezzati; rari massi di opera
cementizia). Tali murature sono allestite prevalentemente montando di coltello, su entrambi i
paramenti, i basoli di lava vulcanica, ossia disponendo verso l'esterno la superficie spianata
che un tempo costituiva il manto stradale. La forma troncopiramidale dei suddetti basoli, di
dimensioni cospicue, consente un sufficiente ingranaggio dei paramenti con il nucleo murario,
costituito da materiale tufaceo spaccato di piccole dimensioni costipato, legato con malta di
calce aerea di qualità media. Rispetto alle murature romane, le strutture longobarde hanno una
quota fondale molto più alta.
Le murature tardomedievali sono realizzate a cantieri, con materiale tufaceo (giallo e
grigio) spaccato di piccole dimensioni - disposto tra cantonali a blocchetti di tufo grigio, in
gran parte perduti - e malta di calce aerea di buona qualità. Tali murature si segnalano per la
sostanziale omogeneità della sezione trasversale.
I contrafforti presenti lungo i fronti orientale e occidentale sono di pezzame spaccato di
tufo giallo disposto "a cantieri".
Le murature settecentesche delle sopraelevazioni delle testate nord e sud, all'ultimo
livello, sono allestite con bozzette di tufo giallo, con sezione trasversale omogenea.
Solo un breve tratto della fronte ovest, all'ultimo livello, reca una muratura in blocchetti
di tufo grigio della seconda metà del XIX secolo, con nucleo murario a sacco, peraltro di
122
dimensioni molto ridotte, vista la sezione trasversale del muro in questione, in gran parte
impegnato dai blocchetti di cortina.
Le conseguenze strutturali di questa particolare stratificazione sono:
 L’eterogeneità delle murature:
 La inaffidabile ammorsatura delle murature negli incroci, dovuta proprio alla
successione delle aggiunte:
 La diversa situazione fondale tra le parti spiccate sulla pila romana (particolarmente
rigida), sulla spalla e sulla rampa romana (di minore rigidità) ed infine sul terreno
alluvionale dell’alveo, tra la spalla e la pila (particolarmente deformabile).
A seguito di tali considerazioni e facendo riferimento a quanto previsto dalle Istruzioni
(tabella C8A.2.1), si sono assunti per le murature a conci di pietra tenera (tufo, calcarenite,
ecc.) i seguenti valori dei parametri meccanici:
fm = 1.9 MPa; E = 1000 MPa; w=16 kN/mq, per muratura basso medievale e moderna.
fm = 1.9 MPa; E = 1200 MPa; w=18 kN/mq, per la muratura di età classica e altomedievale
tali valori sono peraltro suscettibili di fattori incrementativi (o riduttivi) derivanti da
particolari condizioni (tab. C8A.2.2). Nel caso in esame si ritiene che possa invocarsi una
maggiorazione fino al 50% per la buona qualità della malta ed una maggiorazione del 50%
per la presenza di connessioni trasversali, pertanto sarà possibile moltiplicare i parametri
meccanici per un coefficiente pari a 2.25
Per quanto attiene il fattore di confidenza, da utilizzarsi come parametro riduttivo del
valore di resistenza, si è assunto un valore pari a: FC = 1.12.
Tenendo conto di:

rilievo geometrico completo

rilievo materico esaustivo

esaustive indagini sul terreno

proprietà dei materiali: parametri meccanici desunti da dati già disponibili.
secondo quanto indicato dalla “Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri per la
valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale con riferimento alle
norme tecniche per le costruzioni” (12 Ottobre 2007).
Il valore di calcolo fd si è ottenuto dal valore caratteristico fk, assunto pari ad fm
(C8.7.1.5), diviso sia per il coefficiente parziale pari ad 2 (punto 7.8.1.1. NTC08) sia per il
fattore di confidenza (FC), ottenendo:
fd 
f m  2.25
 1.91MPa
 m  FC
123
Nel caso di verifiche tensionali statiche per le azioni gravitazionali, invece, si utilizza il
valore di calcolo fd ottenuto dal valore caratteristico fk diviso sia per il coefficiente parziale
pari ad 3 sia per il fattore di confidenza; in definitiva si ottiene:
fd 
f m  0.7  2.25
 0.89 MPa
 m  FC
Va tuttavia osservato che tale modalità di determinazione del valore di fd, codificata per
le nuove costruzioni, appare eccessivamente severa per quelle esistenti in quanto il
coefficiente di sicurezza parziale pari a 3 tiene conto anche delle incertezze correlate alla fase
di realizzazione (da escludere per le opere esistenti). L’utilizzo di tale valore di calcolo deve
considerarsi quindi conservativo.
5.3.2 Modellazione
Per poter realizzare il modello strutturale da analizzare è necessario dapprima individuare le
pareti resistenti nelle direzioni x ed y (vedi fig. 5.20) e nella fase successiva schematizzarle.
Direzione x
Direzione y
Figura 5.20: Pareti resistenti in direzione x ed y
124
Nel caso specifico si è adottata una modellazione agli elementi finiti lastra/piastra
(descritta al cap. 2) considerando la deformabilità del suolo per le azioni sismiche. In
particolare si considerano come costanti di sottofondo (o costanti di Winkler) i seguenti
valori: 10000 kN/m3 per il suolo sottostante la torre libri; 1000000 KN/m3 per la spalla;
500000 kN/m3 per la pila.
La modellazione adottata prevede un numero elevato di elementi finiti (pari a 6314).
Con riferimento allo stato di fatto le pareti vengono considerate scollegate per la parte
fuori terra e i collegamenti orizzontali completamente assenti a causa della mancanza o non
efficacia degli impalcati (fig. 5.21).
Nello stato di progetto, invece, avendo rinunciato per motivi di tutela conservativa della
fabbrica, a diffuse perforazioni armate di ricucitura dei cantonali, le pareti fuori terra si sono
considerate, come nello stato di fatto, scollegate tra loro salvo dei collegamenti puntuali che
verranno di seguito precisati.
Figura 5.21: Modellazione FEM – stato di fatto
125
Figura 5.22: Modellazione FEM – stato di progetto
In figura 5.22 è riportata la modellazione relativa allo stato di progetto. In essa si tiene
conto dei provvedimenti descritti al paragrafo 5.3. Infatti si prevede:
- che le parti distaccate nello stato di fatto (speroni) siano collegate mediante dei vincoli
interni (“equal”) che assicurano la cucitura;
- l’ inserimento, in corrispondenza degli impalcati, di elementi pendolari (per schematizzare
le travi), in entrambe le direzioni, e di elementi diagonali d’angolo che assicurano localmente
la cucitura delle croci di muro senza invasive perforazioni di ricucitura dei cantonali (Fig.
5.23 a). In effetti si ritiene cautelativamente che la configurazione assunta a seguito degli
interventi sui solai non garantisca la formazione di un diaframma rigido nel piano orizzontale;
126
- la disposizione di elementi pendolari per le coperture opache in entrambe le direzioni con
l’aggiunta di un vincolo di diaframma rigido, garantito dal doppio tavolato (Fig. 5.23 b);
- l’uso di soli elementi pendolari per la copertura trasparente della torre libri nelle due
direzioni (Fig. 5.23 c) non essendo assicurato un comportamento a diaframma rigido;
- il collegamento delle pareti negli angoli per simulare l’effetto della cordolatura di acciaio in
sommità (mediante l’inserimento di un vincolo interno -“equal”);
-
l’inserimento di 3 pendoli (catene metalliche) in corrispondenza della volta utili a
contrastarne la spinta. Il masso presente sopra la volta viene, inoltre, modellato mediante due
diagonali compresse (vedi cap. 2), aventi una sezione complessiva data dal prodotto dello
spessore per una larghezza pari al 20% della diagonale (Fig. 5.23 d);
- la modellazione delle travi delle passerelle e rampe come pendoli che non trasmettono i
carichi verticali alla muratura ma collegano in orizzontale le pareti. In corrispondenza dei
pianerottoli e delle passerelle si inseriscono ancora elementi diagonali negli angoli per
garantire localmente la cucitura delle croci di muro (Fig. 5.23 e).
Nel primo modello si considera agente il solo peso proprio della struttura muraria,
mentre nel secondo si aggiungono i carichi dei solai, assegnati in corrispondenza dei punti in
cui convergono i pendoli (travi del solaio).
a)
b)
127
c)
d)
e)
Figura 5.23: Dettagli della modellazione nello stato di progetto
5.3.3 Analisi lineare
Per l’analisi sismica della struttura si è adottato un metodo di analisi lineare basato sulla
composizione modale (analisi dinamica modale).
La sismicità dell’area del Castello, sito in Castel Volturno è stata valutata sulla base
della recente classificazione puntuale del territorio, anche in funzione della possibile futura
restituzione dell’edificio a funzioni pubbliche.
In questa prospettiva si sono assunti i seguenti parametri di ingresso:

vita nominale della struttura Vn = 200 anni;

classe d’uso III (in previsione anche di significativi affollamenti);
128

periodo di riferimento Vr = 300 anni;
ai quali corrispondono i valori, cerchiati nella tabella in figura 5.24 (ottenuta dalla
consultazione del sito dell’ACCA), che definiscono gli spettri di risposta elastici in termini di
accelerazioni.
Non è prevista alcuna amplificazione topografica, essendo il terreno pianeggiante, mentre è da
considerarsi una consistente amplificazione stratigrafica trattandosi di suolo classificabile
come C secondo le NTC08.
Figura 5.24: Parametri sismici (piazza del Castello a Castel Volturno-CS)
129
0.7
S[g]
Se (SLV)
0.6
Sd (SLV)-stato di fatto
0.5
Sd (SLV)-stato di progetto
0.4
0.3
0.2
T [sec]
0.1
0.0
0.00
0.50
1.00
1.50
2.00
2.50
3.00
3.50
4.00
Figura 5.25: Grafico degli spettri
Nel caso in esame ci si è riferiti, per la valutazione del miglioramento sismico, allo
Stato limite ultimo di salvaguardia della vita; confrontandosi con un possibile evento sismico
che avrà un periodo di ritorno di circa 2475 anni.
I coefficienti di struttura adottati sono stati considerati diversi per lo stato di fatto e di
progetto (le motivazioni di questa differenziazione saranno illustrate più avanti).
In figura 5.25 è riportato lo spettro elastico relativo allo SLV e gli spettri di progetto
adottando un coefficiente di struttura pari ad 1,5 e 2,25 rispettivamente per lo stato di fatto e
per quello di progetto.
Sono stati dapprima presi in esame, per le due ipotesi considerate, i risultati ottenuti
dall’analisi modale in termini di deformate e il periodo proprio della struttura (Figg. 5.26 e
5.27), con riferimento ai primi tre modi di vibrare della struttura.
I modo (T=1.55s)
130
II modo (T=1.36s)
III modo (T=1.21s)
Figura 5.26: Modi di vibrare della struttura e relativi periodi – stato di fatto
I modo (T=0.47s)
131
II modo (T=0.42s)
III modo (T=0.40s)
Figura 5.27: Modi di vibrare della struttura e relativi periodi – stato di progetto
I modi di vibrare corrispondenti allo stato di fatto (Fig. 5.26) evidenziano il
comportamento disaccoppiato delle pareti, per la parte, prevalente, fuori terra. Esse oscillano
come mensole fuori dal proprio piano e presentano periodi piuttosto elevati. Ne consegue che
la struttura è sostanzialmente priva di risorse iperstatiche e a tal proposito si ritiene necessaria
l’assunzione di un coefficiente di struttura pari a 1,5. Pertanto volendo procedere ad un’analisi
sismica globale è necessario tener conto di un numero molto elevato di modi al fine di
eccitare una frazione sufficiente della massa totale. Nel caso specifico si è tenuto conto di 280
modi riuscendo a partecipare l’84% della massa totale.
Nella seconda ipotesi (Fig. 5.27), invece, è evidente come i collegamenti consentano di
ottenere un comportamento globale della struttura, garantendo l’iperstaticità della stessa e
quindi la collaborazione delle pareti nelle due direzioni. Inoltre il periodo diminuisce
notevolmente passando da 1.55 sec (I ipotesi) a 0.47 sec (II ipotesi) con riferimento al primo
132
modo di vibrare. Anche in tal caso è stato necessario considerare 280 modi per eccitare una
massa dell’87% rispetto a quella totale.
Successivamente, in accordo con le indicazioni della norma (NTC08 par. 7.8.2.2), sono
state effettuate le verifiche di sicurezza per gli elementi strutturali (maschi murari), con
riferimento alle sollecitazioni scaturite dall’analisi dinamica modale.
Per una lettura dei risultati di tali analisi si è individuata una suddivisione della fabbrica
in pannelli numerati e nominati come indicato nelle successive figure 5.28 e 5.29, relative alla
direzione x e y rispettivamente.
Si precisa che pur essendo stata considerata una forte discretizzazione della struttura con
l’adozione di una mesh molto fitta ai fini delle verifiche si sono considerate le risultanti delle
sollecitazioni per ciascun pannello in modo da poter effettuare le verifiche con le modalità
previste dalla normativa che, appunto, fanno riferimento alle sollecitazioni complessive sui
singoli pannelli.
In tabella 5 si riportano i dati geometrici, ovvero lunghezza, spessore e altezza dei
maschi murari, individuati nelle due direzioni x ed y, lo sforzo normale da solo carico
verticale (in condizione sismica) e la corrispondente 0, facendo riferimento alle sezioni al
piede del piano interrato (individuate con la sigla pi), del piano terra (individuate con la sigla
pt) e del secondo piano (individuate con la sigla pIII), e alla mezzeria del piano terra
(individuate con la sigla pIm) e del primo piano (individuate con la sigla pIIm), queste ultime
considerate al fine di poter valutare anche eventuali meccanismi locali.
Nelle tabelle 6 e 7, per lo stato di fatto, sono indicati i momenti resistenti nel piano e
fuori dal piano, valutati secondo le NTC08 (par. 7.8.2.2.1 e 7.8.2.2.3), i momenti di calcolo
(Md1: momento di calcolo fuori dal piano; Md2: momento di calcolo nel piano) rispettivamente
per sisma in direzione x ed y, e il rapporto tra il momento resistente e il rispettivo momento di
calcolo. Pertanto quando questo rapporto risulta minore di 1 la verifica (a pressoflessione
fuori dal piano e nel piano) non è soddisfatta (tali valori sono evidenziati nel tabulato).
Le tabelle 8 e 9, invece, sono relative alle verifiche a taglio (per lo stato di fatto) e
quindi contengono: il taglio ultimo (valutato con la formula di Turnsek e Cakovic), il taglio di
calcolo (per sisma in direzione x ed y) e il loro rapporto.
Lo stesso viene fatto anche con riferimento allo stato di progetto, per cui: nelle tabelle
10 e 11 si indicano le verifiche a pressoflessione per il sisma in direzione x ed y, mentre nelle
tabelle 12 e 13 quelle a taglio.
133
Figura 5.28: Piante con individuazione delle pareti in direzione x
Figura 5.29: Piante con individuazione delle pareti in direzione y
134
Pareti x
2xpi
3xpi
8xpi
9xpi
1xpt1
1xpt2
2xpt1
2xpt2
3xpt1
3xpt2
4xpt
5xpt
6xpt
7xpt1
7xpt2
8xpt1
8xpt2
9xpt1
9xpt2
10xpt
11xpt
12xpt
13xpt1
13xpt2
1xpIm1
1xpIm2
2xpIm1
2xpIm2
3xpIm1
3xpIm2
4xpIm
5xpIm
6xpIm1
6xpIm2
7xpIm
8xpIm1
8xpIm2
9xpIm1
9xpIm2
10xpIm
11xpIm
1xpIIm
2xpIIm
3xpIIm
4xpIIm
5xpIIm
7xpIIm
8xpIIm1
8xpIIm2
9xpIIm1
9xpIIm2
10xpIIm
1xpIII
2xpIII1
2xpIII2
3xpIII
4xpIII
5xpIII
7xpIII
8xpIII1
8xpIII2
8xpIII3
9xpIII
10xpIII1
10xpIII2
L
t
h
Ncv
σo
[m]
[m]
[m]
[kN]
[kN/mq]
8.39
6.65
8.71
4.81
1.90
0.99
4.07
2.89
0.86
3.29
5.68
4.97
30.68
2.18
1.09
5.08
2.21
0.45
2.90
12.15
18.5
10.0
0.80
1.22
1.91
0.99
4.04
2.86
1.29
3.28
5.68
4.96
1.39
29.09
4.03
5.02
2.18
0.45
2.88
12.09
18.46
3.89
8.32
6.62
5.68
4.96
3.95
5.02
2.18
2.63
0.91
12.09
3.89
3.08
3.63
6.62
5.68
4.96
3.42
1.86
2.81
1.54
4.79
3.32
7.85
1.20
2.00
2.30
2.00
0.70
0.70
1.20
1.20
1.60
1.60
1.50
1.50
1.10
2.00
2.00
1.80
1.80
1.80
1.80
2.30
2.00
2.00
2.00
2.00
0.70
0.70
1.20
1.20
1.60
1.60
1.50
1.50
1.10
1.10
2.00
1.80
1.80
1.80
1.80
2.30
2.00
0.70
1.20
1.40
0.90
0.70
1.90
1.60
1.60
1.60
1.60
2.10
0.70
0.80
0.80
0.60
0.90
0.70
0.60
0.50
0.50
0.50
1.30
2.10
0.60
3.90
6.10
6.10
6.10
3.90
3.90
3.90
3.90
3.70
3.70
5.05
5.05
5.05
3.90
3.90
3.90
3.90
3.70
3.70
3.90
5.05
5.05
5.05
5.05
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
1893
2745
2991
2291
262
182
912
752
488
772
1592
1082
3189
579
293
1080
551
224
822
4757
4501
1513
245
311
220
160
760
644
443
608
1164
667
145
1159
671
796
427
199
660
3306
2555
231
833
556
707
298
278
289
142
305
156
1556
187
315
359
430
616
236
195
66
100
59
352
532
707
188
206
149
238
197
263
187
217
355
147
187
145
94
133
134
118
139
277
157
170
122
76
153
127
165
231
157
188
215
116
137
90
95
36
83
88
109
246
127
119
69
85
83
60
138
86
37
36
41
72
107
61
69
128
124
108
121
68
95
71
71
77
57
76
150
Pareti y
L
t
h
Ncv
σo
[m]
[m]
[m]
[kN]
[kN/mq]
0.90
1.40
0.80
0.80
1.00
1.00
1.00
1.00
0.80
0.80
1.40
1.40
1.80
1.00
0.80
1.00
0.80
1.40
1.80
1.80
1.00
1.00
0.80
1.00
0.80
1.40
1.00
1.00
1.00
1.00
0.45
0.50
0.50
0.5
0.5
1
1
1
1
0.5
0.5
6.10
6.10
3.90
3.90
3.90
3.90
3.90
3.90
3.90
3.90
3.90
3.90
5.05
7.75
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
2.7
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
3.9
1747
2595
189
617
63
270
123
623
349
670
430
1330
1717
874
651
897
823
1455
351
831
179
389
302
454
437
820
212
436
106
184
208
63
269
104
227
219
419
242
297
149
49
201
240
197
152
97
250
286
167
186
149
284
183
143
115
110
110
116
59
188
108
164
124
51
59
65
80
204
102
83
59
63
170
96
122
80
149
96
103
104
57
92
3ypi
9.64
4ypi
7.73
1ypt1
1.2
1ypt2
5.06
2ypt1
0.65
2ypt2
1.08
2ypt3
0.43
2ypt4
3.74
3ypt1
2.35
3ypt2
5.62
4ypt1
1.08
4ypt2
5.18
5ypt
6.67
6ypt
7.62
1ypIm
7.43
2ypIm
8.17
3ypIm
8.87
4ypIm 17.48
5ypIm1 1.04
5ypIm2 4.28
6ypIm1 1.09
6ypIm2 3.14
1ypIIm
7.4
2ypIIm
7.74
3ypIIm
8.44
4ypIIm
7.34
5ypIIm1 1.04
5ypIIm2 4.28
6ypIIm1 1.27
6ypIIm2 3.14
1ypIII
7.39
2ypIII1
0.74
2ypIII2
5.6
3ypIII1
1.71
3ypIII2
5.66
4ypIII1
1.47
4ypIII2
4.38
5ypIII1
2.34
5ypIII2
2.86
6ypIII1
5.21
6ypIII2
1.06
Tabella 5: Geometria e carichi verticali dei maschi murari in direzione x ed y
Si nota dalle verifiche effettuate che allo stato di fatto il castello presenta uno stato di
forte criticità con una capacità sismica molto inferiore a quello prevista per il sito.
Il miglioramento sismico conseguito con il progetto di restauro risulta, invece, evidente
innanzitutto sulla base di alcune considerazioni generali. Le analisi dinamiche hanno mostrato
nello stato attuale un comportamento disaccoppiato delle pareti in elevazione con conseguente
bassa iperstaticità della struttura ed esposizione delle pareti a pericolosi fenomeni fuori dal
135
piano. Nello stato di progetto si osserva, al contrario, un comportamento globale e solidale
della fabbrica conseguendo una maggiore iperstaticità ed evitando le diffuse criticità fuori dal
piano.
L’effetto del miglioramento emerge, inoltre, dalla comparazione numerica degli estesi
tabulati dai quali è visibile una larga diffusione delle situazioni critiche solo nello stato di
fatto. Esaminando invece i risultati relativi allo stato di progetto è possibile desumere come le
maggiori criticità (escludendo il muro di cinta che peraltro non è oggetto del progetto di
restauro) si concentrino nel terzo piano ove effettivamente le pareti presentano una forte
rastremazione dello spessore delle murature.
In tabella 14 si riassumono solo per comodità di lettura le suddette criticità riscontrate
per lo stato di progetto con riferimento alla condizione sismica. A fronte di queste criticità si
ritiene utile proporre ulteriori interventi di consolidamento compatibili con le esigenza di
rispetto dell’antico manufatto. Può risultare utile, ad esempio, cerchiare i vani compresi tra i
pannelli 8xpIII1 e 8xpII2, tra i pannelli 8xpIII2 e 8xpIII3 e tra 2xpIII1 e 2xpIII2 mediante
angolari metallici da collocarsi al bordo interno ed esterno del vano ed ancorati mediante
chiodature alle murature. Tale intervento assicurerà la eliminazione di tali residue criticità in
quanto conferirà ulteriore resistenza sia a flessione (nel piano e fuori dal piano) che a taglio.
Infine solo per la verifica del pannello 2ypIII1 è possibile considerare, ai sensi del punto
7.8.1.5.2 delle NTC08, una ridistribuzione del tagliante tra i due pannelli della parete con un
conseguente miglioramento nella verifica pari al 25%.
È utile precisare come per l’analisi sismica non si è tento conto della combinazione del
moto sismico nelle due direzioni e degli effetti del’eccentricità accidentale che, essendo
inapplicabili alla configurazione attuale, se applicati nella modellazione di progetto avrebbero
reso meno chiaro il confronto tra le due configurazioni dal quale emerge il miglioramento del
comportamento sismico.
In aggiunta alla condizione sismica è stata poi considerata anche una condizione non
sismica, riferita, però, solo allo stato di progetto, essendo la struttura nello stato attuale
semiruderizzata.
Si è tenuto conto, in tale fase, delle eccentricità di forma (dovuta alle forti riseghe in
elevazione), delle eccentricità dei carichi trasmessi dai solai e dalle coperture ed infine
dell’effetto del vento.
Per la condizione non sismica sono stati considerati i carichi verticali amplificati dai
coefficienti parziali di sicurezza:
G1k · γG1+ G2k · γG2 + Qk ·γQ
136
dove G1 è assunto pari a 1.1 (in virtù di quanto disposto dal punto 2.6.1. delle NTC08), G2 e
Q pari a 1.5.
La pressione del vento agente sulle pareti, è stata determinata con riferimento alle
NTC08, ed è risultata pari a circa 800 N/mq nell’ipotesi di parete sopravvento e a circa 400
N/mq per pareti sottovento.
Per lo stato limite ultimo in condizione non sismica occorre precisare che la rinnovata
normativa non prescrive procedure idonee alla tipologia speciale in esame. Le indicazioni
fornite infatti si riferiscono ad edifici murari scatolari con solai orizzontali generalmente
in c.a. In questo studio si è ritenuto opportuno considerare lo SLU:
STR Stato limite di resistenza; in questo caso è stata effettuata la verifica a pressoflessione
delle sezioni nell’ipotesi di materiale non resistente a trazione; è stato assunto il valore di
resistenza di calcolo della muratura fd, precisato in precedenza (par. 5.3.1).
I risultati ottenuti da tali verifiche, sono sintetizzati delle tabelle 15 e 16 in termini di
momenti resistenti e di calcolo, rispettivamente per la direzione x ed y.
Per questa condizione la struttura (allo stato di progetto) risulta verificata. Si segnala solo una
disverifica relativa al muro di cinta peraltro esterno all’area di intervento.
137
Pareti x Mu (nel piano) Mu (fuori piano) Md1 (modalex) Md2 (modalex) Md1 (modaley) Md2 (modaley) Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2
modale x
modale y
[kNm]
[kNm]
[kNm]
[kNm]
[kNm]
[kNm]
2xpi
3xpi
8xpi
9xpi
1xpt1
1xpt2
2xpt1
2xpt2
3xpt1
3xpt2
4xpt
5xpt
6xpt
7xpt1
7xpt2
8xpt1
8xpt2
9xpt1
9xpt2
10xpt
11xpt
12xpt
13xpt1
13xpt2
1xpIm1
1xpIm2
2xpIm1
2xpIm2
3xpIm1
3xpIm2
4xpIm
5xpIm
6xpIm1
6xpIm2
7xpIm
8xpIm1
8xpIm2
9xpIm1
9xpIm2
10xpIm
11xpIm
1xpIIm
2xpIIm
3xpIIm
4xpIIm
5xpIIm
7xpIIm
8xpIIm1
8xpIIm2
9xpIIm1
9xpIIm2
10xpIIm
1xpIII
2xpIII1
2xpIII2
3xpIII
4xpIII
5xpIII
7xpIII
8xpIII1
8xpIII2
8xpIII3
9xpIII
10xpIII1
10xpIII2
7021
7966
11827
4701
219
76
1642
941
164
1155
4000
2448
46070
579
146
2543
557
42
1076
25866
38512
7174
89
175
189
68
1387
814
248
926
3027
1563
95
16481
1283
1889
434
38
876
18520
22577
426
3287
1772
1837
700
537
709
151
383
66
9051
348
447
602
1328
1619
561
314
59
134
43
814
842
2518
1004
2396
3123
1955
81
53
484
391
305
562
1056
739
1652
532
269
901
454
167
668
4896
4163
1442
222
287
69
48
412
342
308
452
799
473
75
623
637
677
359
152
547
3523
2446
77
474
375
291
99
258
226
111
233
117
1572
63
116
133
120
257
79
55
16
24
14
221
532
192
73
-631
-305
-1034
19
10
173
179
78
355
1176
21
14
0.49
0.34
387
323
88
608
-349
236
679
-47
181
14
8
118
112
65
188
848
13
1
5
0.35
300
200
79
441
-335
91
11
167
170
499
6
0.15
141
71
165
77
-273
7
72
89
164
358
4
0.1
39
61
33
149
-103
-115
-314
984
-1691
471
205
53
1817
-149
97
1280
3489
1751
5496
293
76
1319
215
31
873
10838
7143
-257
1100
83
31
10
876
-11
53
648
2514
1072
0.64
2743
1083
789
18
8
453
7484
3645
339
1502
1252
1453
487
515
243
-3
2
21
4153
217
107
286
878
1084
309
278
36
93
12
283
-65
1407
272
274
548
-65
262
137
1248
943
459
1419
3230
1406
2094
713
350
1643
823
559
2499
7184
5095
365
67
141
195
107
986
726
413
1049
2255
877
113
505
790
1161
546
382
1864
4414
2089
159
1004
871
1337
414
391
466
215
690
320
1843
112
354
410
663
998
258
266
116
194
109
767
428
652
-345
881
-1337
465
-2
-1
1079
-464
22
556
-72
42
2849
-53
10
882
172
31
855
3382
1859
131
866
169
-24
5
552
-105
-34
367
26
33
-3
1882
92
553
13
8
428
2727
1018
-6
311
376
15
25
56
145
-1
3
20
1972
-15
-5
96
240
11
23
-26
20
42
4
327
-131
903
13.76
3.80
10.24
1.89
4.24
5.34
2.80
2.18
3.91
1.58
0.90
35.19
117.98
1084.90
790.37
2.33
1.40
1.90
1.10
14.03
17.64
2.12
4.72
1.58
4.94
6.00
3.49
3.05
4.73
2.40
0.94
36.35
75.09
124.64
1818.76
2.26
1.79
1.92
1.24
10.52
26.88
6.97
2.84
2.20
0.58
16.46
1720.46
1.60
1.56
1.41
1.51
5.76
8.95
1.61
1.49
0.73
0.72
19.78
550.73
0.40
0.39
0.43
1.48
5.17
1.67
22.36
8.10
6.99
9.98
1.07
1.42
0.90
6.32
1.69
0.90
1.15
1.40
8.38
1.98
1.93
1.93
2.59
1.35
1.23
2.39
5.39
27.92
0.08
2.11
6.09
6.79
1.58
74.04
4.68
1.43
1.20
1.46
148.26
6.01
1.18
2.39
24.12
4.75
1.93
2.47
6.19
1.26
2.19
1.42
1.26
1.44
1.04
2.92
50.30
191.58
3.16
2.18
1.61
4.18
2.10
1.51
1.49
1.81
1.13
1.63
1.44
3.61
2.88
12.95
1.79
3.69
8.74
5.70
30.07
0.31
0.39
0.39
0.41
0.66
0.40
0.33
0.53
0.79
0.75
0.77
0.55
0.55
0.30
0.27
0.68
0.82
3.95
3.31
2.03
0.35
0.45
0.42
0.47
0.74
0.43
0.35
0.54
0.66
1.23
0.81
0.58
0.66
0.40
0.29
0.80
1.17
0.48
0.47
0.43
0.22
0.24
0.66
0.49
0.52
0.34
0.36
0.85
0.56
0.33
0.32
0.18
0.26
0.31
0.21
0.14
0.12
0.13
0.29
1.24
0.30
20.35
9.04
8.85
10.11
109.34
75.50
1.52
2.03
7.45
2.08
55.56
58.29
16.17
10.93
14.65
2.88
3.24
1.35
1.26
7.65
20.72
54.77
0.10
1.03
7.87
13.59
2.51
7.76
7.29
2.52
116.44
47.36
31.63
8.76
13.94
3.42
33.40
4.75
2.05
6.79
22.18
70.97
10.57
4.71
122.45
28.00
9.58
4.89
150.90
127.72
3.31
4.59
23.22
89.37
6.27
5.53
147.23
24.38
12.07
2.93
3.20
10.82
2.49
6.42
2.79
Tabella 6: Verifica a pressoflessione (direzione x)
Pareti y Mu (nel piano) Mu (fuori piano) Md1 (modalex) Md2 (modalex) Md1 (modaley) Md2 (modaley) Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2
[kNm]
[kNm]
[kNm]
[kNm]
[kNm]
[kNm]
modale x
modale y
3ypi
4ypi
1ypt1
1ypt2
2ypt1
2ypt2
2ypt3
2ypt4
3ypt1
3ypt2
4ypt1
4ypt2
5ypt
6ypt
1ypIm
2ypIm
3ypIm
4ypIm
5ypIm1
5ypIm2
6ypIm1
6ypIm2
1ypIIm
2ypIIm
3ypIIm
4ypIIm
5ypIIm1
5ypIIm2
6ypIIm1
6ypIIm2
1ypIII
2ypIII1
2ypIII2
3ypIII1
3ypIII2
4ypIII1
4ypIII2
5ypIII1
5ypIII2
6ypIII1
6ypIII2
7375
8547
100
1414
19
123
22
1045
363
1710
191
3055
5221
3094
2255
3416
3389
12251
161
1660
88
564
1082
1693
1771
2861
96
874
64
278
739
21
709
82
611
146
863
265
398
374
24
689
1548
66
224
30
114
51
280
124
243
248
826
1409
406
243
418
306
981
279
698
80
180
117
219
168
546
93
204
50
89
45
14
63
24
54
99
197
113
139
36
12
312
783
182
769
65
243
91
744
337
616
808
2079
2542
1070
684
812
716
2212
423
1292
199
468
299
447
389
1165
250
693
95
206
185
46
240
84
205
244
571
271
399
144
45
-30
-12
13
127
23
-104
-15
1914
-91
651
81
969
-44
-275
45
420
1060
-5607
-5
-5
-6
83
17
212
594
771
-7
-56
1
78
8
7
83
11
218
21
278
43
23
16
3
291
829
8
34
3
10
4
53
56
51
146
158
117
55
28
41
68
249
22
66
10
25
12
24
47
201
13
35
5
11
7
2
15
14
32
54
105
15
19
7
2
152
228
42
668
63
-95
-13
2327
-20
735
127
1501
3351
1313
899
1299
1191
-4770
32
701
15
434
380
729
680
1213
-1
194
48
217
231
12
446
15
243
37
386
208
85
352
18
2.21
1.98
0.36
0.29
0.46
0.47
0.56
0.38
0.37
0.40
0.31
0.40
0.55
0.38
0.35
0.51
0.43
0.44
0.66
0.54
0.40
0.38
0.39
0.49
0.43
0.47
0.37
0.29
0.53
0.43
0.24
0.31
0.26
0.29
0.26
0.41
0.35
0.42
0.35
0.25
0.26
245.84
712.26
7.66
11.14
0.84
1.19
1.45
0.55
3.99
2.63
2.36
3.15
118.67
11.25
50.12
8.13
3.20
2.18
32.28
332.02
14.61
6.80
63.66
7.99
2.98
3.71
13.77
15.62
63.85
3.57
92.37
2.98
8.54
7.48
2.80
6.96
3.11
6.16
17.28
23.40
8.16
2.37
1.87
8.30
6.58
9.87
11.42
12.66
5.27
2.21
4.77
1.70
5.23
12.04
7.38
8.67
10.20
4.50
3.94
12.70
10.58
8.04
7.19
9.75
9.12
3.57
2.72
7.13
5.84
10.05
8.06
6.43
7.05
4.22
1.72
1.69
1.84
1.88
7.55
7.32
5.13
5.78
48.52
37.49
2.37
2.12
0.31
1.30
1.68
0.45
18.16
2.33
1.51
2.04
1.56
2.36
2.51
2.63
2.85
2.57
5.04
2.37
5.85
1.30
2.85
2.32
2.60
2.36
96.39
4.51
1.33
1.28
3.20
1.74
1.59
5.48
2.51
3.95
2.24
1.27
4.68
1.06
1.36
Tabella 7: Verifica a pressoflessione (direzione y)
138
Pareti x
Vu (T&C)
[KN]
Vd1 (modalex)
[KN]
2xpi
3xpi
8xpi
9xpi
1xpt1
1xpt2
2xpt1
2xpt2
3xpt1
3xpt2
4xpt
5xpt
6xpt
7xpt1
7xpt2
8xpt1
8xpt2
9xpt1
9xpt2
10xpt
11xpt
12xpt
13xpt1
13xpt2
1xpIm1
1xpIm2
2xpIm1
2xpIm2
3xpIm1
3xpIm2
4xpIm
5xpIm
6xpIm1
6xpIm2
7xpIm
8xpIm1
8xpIm2
9xpIm1
9xpIm2
10xpIm
11xpIm
1xpIIm
2xpIIm
3xpIIm
4xpIIm
5xpIIm
7xpIIm
8xpIIm1
8xpIIm2
9xpIIm1
9xpIIm2
10xpIIm
1xpIII
2xpIII1
2xpIII2
3xpIII
4xpIII
5xpIII
7xpIII
8xpIII1
8xpIII2
8xpIII3
9xpIII
10xpIII1
10xpIII2
1134
1555
2068
940
102
60
549
306
134
480
958
749
2974
288
144
868
266
71
431
3030
3548
1640
111
159
95
57
510
283
163
416
851
645
90
2192
683
779
241
68
373
2645
2961
232
846
715
513
297
516
549
198
333
89
1969
217
189
260
366
489
277
158
50
82
42
473
488
487
1962
-753
2418
911
92
29
497
-61
39
342
360
226
366
147
47
285
119
23
233
956
789
95
69
41
90
28
486
-67
32
322
341
198
3
205
182
258
111
21
216
862
603
92
273
236
275
131
119
168
-8
152
13
563
81
111
134
205
255
113
98
31
62
13
136
114
354
Vd2 (modalex) Vd1 (modaley) Vd2 (modaley)
[KN]
[KN]
[KN]
160
867
444
938
3
2
56
31
57
62
-98
3
12
0.002
0.001
104
13
46
52
215
55
201
22
71
3
1
52
28
54
52
-98
2
0.59
7
0.002
98
12
46
50
209
46
3
27
40
-99
2
0.001
49
16
48
25
181
3
25
25
29
-99
1
0.001
15
24
12
62
76
93
1717
-995
2538
1045
11
-2
276
-183
-5
103
5
3
8
3
-3
171
100
23
225
109
42
176
20
60
11
-2
273
-182
-7
97
4
3
-4
9
0.002
161
102
21
211
100
32
7
54
61
3
2
0.001
99
-20
149
11
69
6
27
23
54
3
1
0.001
17
27
3
131
4
55
291
1188
550
1231
38
18
172
112
82
171
141
186
564
104
46
318
100
132
299
1139
1026
108
70
45
37
18
162
104
77
159
123
169
29
358
144
296
89
130
284
1086
866
39
198
169
67
121
100
155
62
199
110
815
36
90
99
154
54
108
86
43
75
43
261
296
412
Vu/Vd1
Vu/Vd2
modale x
0.58
2.06
0.86
1.03
1.11
2.05
1.10
5.02
3.45
1.40
2.66
3.32
8.12
1.96
3.07
3.05
2.24
3.09
1.85
3.17
4.50
17.26
1.61
3.87
1.06
2.02
1.05
4.23
5.11
1.29
2.50
3.26
29.97
10.69
3.75
3.02
2.18
3.23
1.73
3.07
4.91
2.52
3.10
3.03
1.87
2.27
4.34
3.27
24.71
2.19
6.86
3.50
2.68
1.71
1.94
1.79
1.92
2.45
1.62
1.62
1.32
3.26
3.48
4.28
1.38
7.09
1.79
4.66
1.00
33.92
29.79
9.80
9.88
2.36
7.74
9.77
249.82
247.81
143754.74
144375.39
8.35
20.49
1.55
8.28
14.09
64.51
8.16
5.05
2.23
31.80
56.50
9.80
10.12
3.03
8.00
8.69
322.35
152.41
313.09
341269.47
7.95
20.12
1.47
7.46
12.66
64.36
77.31
31.33
17.86
5.18
148.40
516390.88
11.21
12.36
6.94
3.57
10.88
72.26
7.58
10.40
12.62
4.94
277.01
158437.27
3.34
3.40
3.53
7.62
6.43
5.24
Vu/Vd1
Vu/Vd2
modale y
0.66
1.56
0.81
0.90
9.25
29.79
1.99
1.67
26.89
4.66
191.54
249.82
371.71
95.84
48.13
5.08
2.66
3.09
1.91
27.80
84.48
9.32
5.56
2.64
8.67
28.25
1.87
1.56
23.34
4.29
212.85
214.90
22.48
243.51
341269.47
4.84
2.37
3.23
1.77
26.45
92.52
33.13
15.67
11.71
171.03
148.40
516390.88
5.55
9.88
2.24
8.10
28.53
36.13
7.01
11.30
6.78
162.87
277.01
158437.27
2.95
3.02
14.13
3.61
122.09
8.86
3.90
1.31
3.76
0.76
2.68
3.31
3.19
2.74
1.64
2.81
6.79
4.03
5.27
2.76
3.14
2.73
2.66
0.54
1.44
2.66
3.46
15.18
1.59
3.52
2.58
3.14
3.15
2.72
2.12
2.62
6.92
3.81
3.10
6.12
4.74
2.63
2.71
0.52
1.31
2.44
3.42
5.95
4.27
4.23
7.66
2.45
5.16
3.54
3.19
1.67
0.81
2.42
6.02
2.10
2.63
2.38
9.05
2.56
1.84
1.16
1.09
0.99
1.81
1.65
1.18
Tabella 8: Verifica a taglio (direzione x)
Pareti y
Vu (T&C)
[KN]
Vd1 (modalex)
[KN]
3ypi
4ypi
1ypt1
1ypt2
2ypt1
2ypt2
2ypt3
2ypt4
3ypt1
3ypt2
4ypt1
4ypt2
5ypt
6ypt
1ypIm
2ypIm
3ypIm
4ypIm
5ypIm1
5ypIm2
6ypIm1
6ypIm2
1ypIIm
2ypIIm
3ypIIm
4ypIIm
5ypIIm1
5ypIIm2
6ypIIm1
6ypIIm2
1ypIII
2ypIII1
2ypIII2
3ypIII1
3ypIII2
4ypIII1
4ypIII2
5ypIII1
5ypIII2
6ypIII1
6ypIII2
1004
1344
73
421
38
91
38
386
141
464
134
809
1220
704
550
756
669
1882
140
709
78
244
438
593
531
859
81
386
72
241
259
27
248
55
237
101
387
142
191
198
31
811
2350
15
-8
8
-81
-15
183
50
129
67
150
20
11
7
81
157
183
-12
30
2
7
4
58
108
133
12
2
1
5
3
3
50
16
75
29
87
18
-6
6
-0.2
Vd2 (modalex) Vd1 (modaley) Vd2 (modaley)
[KN]
[KN]
[KN]
24
-28
22
123
12
42
8
102
65
87
130
247
296
139
139
142
130
354
79
199
38
93
93
97
90
272
68
148
26
64
77
14
60
27
58
78
164
81
117
57
17
891
2620
40
131
12
-71
-13
310
92
179
106
305
397
211
162
215
183
345
31
335
32
165
102
153
121
235
61
216
10
116
81
7
125
18
84
46
155
146
100
101
8
5
-55
1
6
0.56
2
0.51
4
9
23
-7
64
15
7
6
7
21
39
4
10
2
5
4
4
11
33
3
7
1
3
3
0.65
3
5
10
17
20
4
6
3
1
Vu/Vd1
Vu/Vd2
modale x
1.24
0.57
4.90
52.63
4.81
1.12
2.55
2.11
2.81
3.59
2.01
5.39
60.99
64.00
78.55
9.34
4.26
10.29
11.71
23.63
38.86
34.85
109.47
10.23
4.92
6.46
6.72
193.23
71.75
48.12
86.43
8.92
4.96
3.42
3.16
3.49
4.45
7.86
31.76
33.06
154.58
41.85
48.00
3.34
3.42
3.21
2.17
4.79
3.78
2.16
5.33
1.03
3.28
4.12
5.06
3.96
5.33
5.15
5.32
1.78
3.56
2.05
2.62
4.71
6.12
5.90
3.16
1.19
2.61
2.76
3.76
3.37
1.91
4.13
2.02
4.09
1.30
2.36
1.75
1.63
3.48
1.82
Vu/Vd1
Vu/Vd2
modale y
1.13
0.51
1.84
3.21
3.21
1.28
2.95
1.24
1.53
2.59
1.27
2.65
3.07
3.34
3.39
3.52
3.66
5.46
4.53
2.12
2.43
1.48
4.29
3.88
4.39
3.66
1.32
1.79
7.18
2.07
3.20
3.82
1.98
3.04
2.82
2.20
2.50
0.97
1.91
1.96
3.86
200.86
24.44
73.43
70.17
68.74
45.49
75.13
96.43
15.61
20.16
19.20
12.64
81.32
100.57
91.64
108.05
31.87
48.26
35.12
70.90
38.86
48.80
109.47
148.30
48.31
26.03
26.88
55.21
71.75
80.20
86.43
41.15
82.68
10.93
23.70
5.95
19.37
35.39
31.76
66.11
30.92
Tabella 9: Verifica a taglio (direzione y)
139
Pareti y Mu (nel piano) Mu (fuori piano) Md1 (modalex)
[kNm]
[kNm]
[kNm]
3ypi
4ypi
1ypt1
1ypt2
2ypt1pr
2ypt3
2ypt4
3ypt1
3ypt2
4ypt1
4ypt2
5ypt
6ypt
1ypIm
2ypIm
3ypIm
4ypIm
5ypIm1
5ypIm2
6ypIm1
6ypIm2
1ypIIm
2ypIIm
3ypIIm
4ypIIm
5ypIIm1
5ypIIm2
6ypIIm1
6ypIIm2
1ypIII
2ypIII1
2ypIII2
3ypIII1
3ypIII2
4ypIII1
4ypIII2
5ypIII1
5ypIII2
6ypIII1
6ypIII2
7458
9122
109
1496
284
22
1120
393
1868
192
3099
5301
3094
2447
3749
3776
12445
161
1716
82
580
1262
2000
1994
2655
93
889
57
297
874
30
816
89
684
130
731
236
390
328
24
696
1652
72
237
164
50
300
134
266
249
838
1431
406
263
459
341
997
279
722
75
185
136
258
189
506
90
208
45
95
53
20
73
26
60
88
167
101
136
32
11
177
446
25
94
71
17
136
10
15
-2
30
490
109
48
100
25
-7
34
89
6
19
61
114
16
-14
11
9
5
22
39
10
56
15
17
34
-78
30
-0.56
4
5
Md2 (modalex)
[kNm]
Md1 (modaley)
[kNm]
Md2 (modaley)
[kNm]
411
1013
25
381
139
7
634
-89
273
-2
497
1147
211
510
1210
370
3950
0.68
273
3
201
337
589
251
2990
-3
-37
9
133
286
71
137
29
111
62
1110
80
43
98
8
-0.83
15
-3
-12
-0.08
-2
-8
14
9
21
32
-129
-6
-4
29
11
-38
-14
-43
-2
-6
34
65
7
-50
7
14
3
1
32
10
44
10
-0.11
66
-84
36
43
1
1
1147
1661
34
549
220
12
985
-84
1575
32
1248
4506
714
777
2416
2540
2941
40
1004
13
330
461
1173
929
2888
-0.54
118
25
204
355
73
308
54
250
81
1060
261
64
240
3
Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2 Mu(fuori piano)/Md1 Mu(nel piano)/Md2
modale x
modale y
3.93
3.70
2.90
2.52
2.31
2.94
2.20
13.37
17.73
124.57
27.92
2.92
3.73
5.49
4.59
13.62
142.39
8.22
8.11
12.53
9.72
2.24
2.27
11.82
36.18
8.15
23.09
8.97
4.30
1.36
2.00
1.30
1.73
3.55
2.60
2.14
3.37
243.52
7.88
2.27
18.15
9.01
4.34
3.93
2.04
3.07
1.77
4.41
6.84
96.10
6.24
4.62
14.67
4.80
3.10
10.21
3.15
237.39
6.28
27.33
2.89
3.74
3.40
7.95
0.89
31.08
24.04
6.33
2.24
3.06
0.42
5.96
3.06
6.16
2.09
0.66
2.95
9.07
3.35
3.00
838.95
110.14
24.13
19.71
2048.86
25.00
37.45
9.55
29.55
11.86
26.18
11.09
67.68
65.86
15.82
30.96
26.23
19.96
16.78
37.60
30.79
4.01
3.98
27.01
10.13
12.81
14.84
14.95
94.69
1.66
2.00
1.66
2.59
549.37
1.34
1.99
2.80
3.17
31.50
11.33
6.50
5.49
3.19
2.72
1.29
1.79
1.14
4.67
1.19
6.01
2.48
1.18
4.33
3.15
1.55
1.49
4.23
4.04
1.71
6.31
1.76
2.74
1.70
2.15
0.92
172.69
7.54
2.28
1.46
2.46
0.41
2.65
1.64
2.74
1.60
0.69
0.91
6.09
1.37
8.01
Tabella 11: Verifica a pressoflessione (direzione y)
Pareti x
Vu (T&C)
[KN]
2xpi
3xpi
8xpi
9xpi
1xpt1
1xpt2
2xpt1
2xpt2
3xpt1
3xpt2
4xpt
5xpt
6xpt
7xpt1
7xpt2
8xpt1
8xpt2
9xpt1
9xpt2
10xpt
11xpt
12xpt
13xpt1
13xpt2
1xpIm1
1xpIm2
2xpIm1
2xpIm2
3xpIm1
3xpIm2
4xpIm
5xpIm
6xpIm1
6xpIm2
7xpIm
8xpIm1
8xpIm2
9xpIm1
9xpIm2
10xpIm
11xpIm
1xpIIm
2xpIIm
3xpIIm
4xpIIm
5xpIIm
7xpIIm
8xpIIm1
8xpIIm2
9xpIIm1
9xpIIm2
10xpIIm
1xpIII
2xpIII1
2xpIII2
3xpIII
4xpIII
5xpIII
7xpIII
8xpIII1
8xpIII2
8xpIII3
9xpIII
10xpIII1
10xpIII2
1258
1654
2220
931
112
59
543
301
132
504
977
771
2974
297
143
883
260
69
427
3089
3548
1640
111
149
106
56
503
278
160
440
873
671
90
2192
696
794
235
65
370
2713
2961
248
828
726
529
323
530
549
204
312
86
2073
230
172
265
369
502
299
165
44
85
49
437
527
495
Vd1 (modalex) Vd2 (modalex) Vd1 (modaley) Vd2 (modaley)
[KN]
[KN]
[KN]
[KN]
279
50
281
67
211
46
357
180
-18
2
169
265
362
257
76
435
134
0.44
4
1094
690
86
57
29
208
44
338
167
-25
-18
153
251
2
196
324
403
119
-2
-15
1048
526
238
549
-80
19
218
222
468
74
-53
-5
695
122
410
142
-76
-24
117
129
345
135
28
-79
-446
800
-44
-188
65
15
1
2
36
15
-1
18
-15
8
9
20
19
45
15
-2
12
-12
39
173
20
57
0.5
2
40
14
-1
13
-20
4
0.4
5
37
43
10
-3
8
-20
33
6
15
1
36
-5
0.14
12
0.74
16
13
-45
22
18
5
20
-45
21
12
8
12
-8
-20
-4
33
399
42
261
108
102
15
273
184
-22
-34
7
99
7
142
36
394
143
-2
-41
-176
37
160
18
44
101
14
270
183
-22
-34
5
95
-4
9
176
384
139
-2
-42
-182
28
132
477
-48
-117
88
124
448
60
-65
-6
-405
116
373
102
-85
-92
96
89
305
121
32
-155
-668
332
134
687
470
661
3
4
46
69
16
45
153
77
438
53
44
60
55
14
39
815
734
93
58
36
0.65
3
32
53
9
24
142
60
20
268
93
39
37
10
17
783
614
10
44
22
48
38
9
13
30
26
22
238
32
66
49
98
55
32
18
9
32
8
27
5
162
Vu/Vd1
Vu/Vd2
modale x
Vu/Vd1
Vu/Vd2
modale y
4.51
33.08
7.90
13.89
0.53
1.28
1.52
1.67
7.33
251.81
5.78
2.91
8.21
1.16
1.88
2.03
1.94
155.86
106.85
2.82
5.14
19.07
1.95
5.15
0.51
1.27
1.49
1.66
6.41
24.47
5.71
2.67
44.96
11.18
2.15
1.97
1.98
32.51
24.64
2.59
5.63
1.04
1.51
9.07
27.84
1.48
2.39
1.17
2.76
5.88
17.24
2.98
1.89
0.42
1.86
4.86
20.91
2.56
1.28
0.13
0.63
1.75
5.53
1.18
0.62
3.15
39.38
8.51
8.62
1.09
3.94
1.99
1.64
6.00
14.81
139.56
7.79
424.81
2.09
3.96
2.24
1.82
34.29
10.42
17.55
95.90
10.25
6.17
3.39
1.05
4.00
1.86
1.52
7.28
12.95
174.60
7.06
22.48
243.51
3.96
2.07
1.69
32.51
8.80
14.91
105.74
1.88
1.74
15.12
4.52
3.66
4.28
1.23
3.40
4.79
14.37
5.12
1.99
0.46
2.60
4.35
5.46
3.11
1.85
0.14
0.70
1.53
2.82
0.79
1.49
28.59
8.80
34.15
62.06
111.54
29.52
15.08
20.06
131.91
27.98
65.13
96.44
330.41
14.85
7.50
19.61
17.37
34.29
35.62
257.45
90.98
9.48
5.56
2.62
211.69
28.03
12.58
19.83
160.25
33.88
43.65
167.73
224.80
438.33
18.81
18.48
23.51
21.67
46.20
135.64
89.71
41.35
55.21
725.77
14.69
64.50
3788.43
45.78
275.63
19.47
6.63
46.08
10.47
9.58
52.96
18.47
11.15
14.24
13.72
5.44
7.07
6.14
21.83
131.87
15.01
9.39
2.41
4.72
1.41
37.18
14.76
11.80
4.36
8.24
11.19
6.39
10.02
6.79
5.60
3.24
14.71
4.74
4.90
10.96
3.79
4.83
17.63
1.92
4.15
162.84
18.69
15.73
5.24
17.81
18.35
6.15
11.18
4.50
8.18
7.48
20.37
6.35
6.50
21.74
3.46
4.82
24.81
18.82
32.99
11.02
8.49
58.93
42.26
6.80
11.98
3.92
8.71
7.20
2.61
5.40
3.77
9.13
9.34
9.14
4.84
2.65
6.14
16.17
105.50
3.06
Tabella 12: Verifica a taglio (direzione x)
140
Pareti y
Vu (T&C)
[KN]
3ypi
4ypi
1ypt1
1ypt2
2ypt1pr
2ypt3
2ypt4
3ypt1
3ypt2
4ypt1
4ypt2
5ypt
6ypt
1ypIm
2ypIm
3ypIm
4ypIm
5ypIm1
5ypIm2
6ypIm1
6ypIm2
1ypIIm
2ypIIm
3ypIIm
4ypIIm
5ypIIm1
5ypIIm2
6ypIIm1
6ypIIm2
1ypIII
2ypIII1
2ypIII2
3ypIII1
3ypIII2
4ypIII1
4ypIII2
5ypIII1
5ypIII2
6ypIII1
6ypIII2
1010
1389
76
431
138
38
398
146
481
135
814
1227
704
567
783
698
1891
140
718
76
247
456
622
550
839
79
389
69
245
272
32
261
56
246
96
367
136
189
192
31
Vd1 (modalex) Vd2 (modalex) Vd1 (modaley) Vd2 (modaley)
[KN]
[KN]
[KN]
[KN]
-282
-261
27
17
151
8
103
54
37
-6
-143
140
76
42
257
82
-161
2
132
11
61
54
207
99
-139
40
90
6
44
26
31
153
22
96
51
-209
66
38
64
4
158
215
22
58
57
12
71
8
20
20
22
201
49
73
132
18
49
55
130
9
24
24
28
19
18
15
26
6
23
34
21
30
6
36
16
76
18
51
17
7
422
110
34
65
210
12
256
149
414
27
-36
515
149
96
473
533
-46
52
450
20
123
96
358
489
277
102
409
13
104
53
25
171
52
328
87
-51
223
174
99
-1
44
15
13
23
34
5
27
11
6
34
20
57
10
33
61
5
-4
27
35
4
6
6
-1
9
19
12
26
4
7
2
21
-1
-1
11
19
31
0.42
57
4
2
Vu/Vd1
Vu/Vd2
modale x
3.58
5.32
2.83
25.36
0.91
4.76
3.86
2.70
13.01
22.44
5.70
8.77
9.26
13.49
3.05
8.51
11.74
70.23
5.44
6.87
4.04
8.45
3.01
5.56
6.04
1.99
4.32
11.54
5.57
10.48
1.02
1.70
2.56
2.56
1.89
1.75
2.06
4.98
2.99
7.68
6.39
6.46
3.47
7.43
2.42
3.17
5.60
18.20
24.07
6.73
37.02
6.11
14.37
7.76
5.93
38.75
38.58
2.55
5.52
8.40
10.28
19.00
22.22
28.97
46.63
5.30
14.95
11.54
10.65
8.01
1.50
8.69
9.38
6.83
6.02
4.82
7.56
3.71
11.27
4.39
Vu/Vd1
Vu/Vd2
modale y
2.39
12.63
2.25
6.63
0.66
3.17
1.55
0.98
1.16
4.99
22.62
2.38
4.72
5.90
1.66
1.31
41.10
2.70
1.59
3.78
2.00
4.75
1.74
1.13
3.03
0.78
0.95
5.32
2.36
5.14
1.26
1.53
1.08
0.75
1.11
7.19
0.61
1.09
1.94
30.72
22.94
92.60
5.88
18.74
4.06
7.61
14.72
13.24
80.22
3.96
40.72
21.53
70.40
17.17
12.84
139.50
472.63
5.20
20.50
18.89
41.10
76.01
622.10
61.16
44.17
6.62
14.95
17.31
35.00
136.24
1.50
260.80
56.28
22.36
5.07
11.83
323.88
3.32
47.91
15.36
Tabella 13: Verifica a taglio (direzione y)
STATO DI PROGETTO
Verifica a pressoflessione
Verifica a taglio
MASCHI
nel piano
fuori piano
sisma x sisma y sisma x sisma y sisma x sisma y
8xpIII1
0.16
0.2
0.13
0.14
9xpIII
0.39
0.4
2ypIII1
0.53
0.51
8xpIII3
0.46
0.29
8xpIII2
0.71
0.36
2xpIII1
0.42
0.46
Tabella 14 : Le maggiori criticità dello stato di progetto che motivano
ulteriori provvedimenti locali.
141
Pareti x
Ncv
[kN]
2xpi
3xpi
8xpi
9xpi
1xpt1
1xpt2
2xpt1
2xpt2
3xpt1
3xpt2
4xpt
5xpt
6xpt
7xpt1
7xpt2
8xpt1
8xpt2
9xpt1
9xpt2
10xpt
11xpt
12xpt
13xpt1
13xpt2
1xpIm1
1xpIm2
2xpIm1
2xpIm2
3xpIm1
3xpIm2
4xpIm
5xpIm
6xpIm1
6xpIm2
7xpIm
8xpIm1
8xpIm2
9xpIm1
9xpIm2
10xpIm
11xpIm
1xpIIm
2xpIIm
3xpIIm
4xpIIm
5xpIIm
7xpIIm
8xpIIm1
8xpIIm2
9xpIIm1
9xpIIm2
10xpIIm
1xpIII
2xpIII1
2xpIII2
3xpIII
4xpIII
5xpIII
7xpIII
8xpIII1
8xpIII2
8xpIII3
9xpIII
10xpIII1
10xpIII2
2758
3619
4008
3531
359
200
1021
799
540
999
1975
1303
3508
707
328
1263
583
237
921
5562
4951
1665
270
342
313
177
854
681
491
819
1404
847
160
1051
814
950
446
209
743
3966
2810
307
906
675
862
440
365
337
189
279
158
2100
233
309
422
491
736
331
248
53
135
110
276
752
818
σo (Stato di prog.) Mu (nel piano) Mu (fuori piano)
[kN/mq]
[kNm]
[kNm]
274
272
200
367
270
289
209
230
392
190
232
175
104
162
150
138
147
293
176
199
134
84
169
140
234
255
176
198
238
156
165
114
105
33
101
105
114
258
143
143
76
113
91
73
169
127
49
42
54
66
109
83
86
125
145
124
144
95
121
57
96
143
44
108
174
7383
7708
12842
4375
219
61
1504
803
112
1231
3891
2490
46424
606
143
2623
519
33
1024
24906
37702
7368
84
170
206
58
1324
719
217
1066
3119
1785
96
14624
1421
2053
413
31
867
19458
23329
508
3317
2019
1903
909
675
799
191
335
62
11308
402
397
619
1360
1693
718
356
46
166
69
622
1070
2474
1056
2318
3391
1819
81
43
443
334
208
599
1028
752
1664
556
263
929
423
131
636
4715
4076
1481
210
279
76
41
393
302
269
520
824
540
76
553
705
736
341
124
542
3702
2527
91
478
427
301
128
324
255
140
204
108
1964
72
103
136
123
268
101
63
12
29
22
169
677
189
Md1
[kNm]
Md2
[kNm]
Mu/Md1
Mu/Md2
68
352
13
-87
3
2
2
10
11
5
74
70
160
46
24
46
2
4
27
467
302
34
-91
-37
0.03
0.68
2
0.77
1
9
26
26
6
17
38
23
-1
0.49
17
180
84
-2
16
14
45
2
9
7
3
13
6
-49
2
2
5
20
87
-2
9
5
8
11
31
-74
-75
994
-203
1113
-216
30
-5
-46
9
-12
227
-261
92
3037
15
-12
-148
7
-5
233
3537
1733
-716
821
63
-22
4
-110
48
-64
280
36
13
-4
4841
190
-230
-6
-4
186
3289
962
-26
-46
-58
-113
124
168
-146
-25
-94
7
2794
-50
-16
-14
-278
-69
81
-72
17
19
22
-34
8
882
15.53
6.59
260.85
20.91
26.95
21.66
221.72
33.35
18.91
119.77
13.89
10.74
10.40
12.08
10.95
20.20
211.56
32.71
23.54
10.10
13.50
43.56
2.31
7.53
2522.42
60.37
196.58
391.56
269.37
57.79
31.68
20.76
12.64
32.53
18.56
32.01
341.13
253.04
31.89
20.56
30.09
45.72
29.90
30.50
6.70
64.11
36.05
36.38
46.79
15.67
18.05
40.08
36.17
51.56
27.28
6.16
3.08
50.63
6.95
2.45
3.68
2.03
5.45
9.15
2.52
7.43
37.97
11.54
20.25
7.31
12.25
32.70
89.24
9.32
5.42
14.91
27.07
15.29
40.37
11.94
17.72
74.21
6.54
4.40
7.04
21.76
10.29
0.10
2.70
9.39
14.51
12.03
14.97
3.39
3.81
86.65
137.28
23.96
3.02
7.48
8.93
68.86
7.75
4.66
5.92
24.25
19.55
72.11
34.82
16.84
7.33
4.02
5.47
7.65
3.56
8.80
4.05
8.04
24.81
44.21
4.89
24.53
8.86
4.95
2.68
8.72
3.12
18.30
133.81
2.81
Tabella 15: Verifica condizione non sismica direzione x
Pareti y
Ncv
[kN]
3ypi
4ypi
1ypt1
1ypt2
2ypt1
2ypt3
2ypt4
3ypt1
3ypt2
4ypt1
4ypt2
5ypt
6ypt
1ypIm
2ypIm
3ypIm
4ypIm
5ypIm1
5ypIm2
6ypIm1
6ypIm2
1ypIIm
2ypIIm
3ypIIm
4ypIIm
5ypIIm1
5ypIIm2
6ypIIm1
6ypIIm2
1ypIII
2ypIII1
2ypIII2
3ypIII1
3ypIII2
4ypIII1
4ypIII2
5ypIII1
5ypIII2
6ypIII1
6ypIII2
2002
3183
235
735
420
135
744
444
853
504
1546
1977
994
800
1099
1082
1715
402
988
195
462
399
593
580
876
234
516
115
237
270
101
334
127
295
214
390
234
324
155
54
σo (Stato di prog.) Mu (nel piano) Mu (fuori piano)
[kN/mq]
[kNm]
[kNm]
231
294
245
182
243
314
199
236
190
333
213
165
130
135
135
152
70
215
128
179
147
67
77
86
85
225
121
91
75
81
273
119
149
104
146
89
100
113
60
102
6708
7523
95
1414
247
17
1026
359
1796
152
2877
5159
3135
2444
3692
3832
13602
150
1756
81
584
1345
2063
2170
2853
86
928
64
335
891
24
788
87
720
127
754
238
394
372
25
626
1362
64
223
143
40
274
122
256
197
777
1392
411
263
452
346
1089
259
739
74
186
145
266
206
544
82
217
51
107
54
16
70
26
64
86
172
102
138
36
12
Md1
[kNm]
Md2
[kNm]
Mu/Md1
Mu/Md2
-2
148
-2
-5
-6
-1
1
2
-8
-28
-29
-32
-0.84
-6
0.59
0.31
-5
-0.83
-3
-0.61
0.27
3
8
2
12
0.69
-3
-0.73
-0.06
1
-0.52
5
1
2
8
-10
7
-0.47
-0.02
0.13
495
151
20
189
59
2
171
14
160
29
500
151
-451
162
86
297
-8121
-0.7
-5
-3
70
111
37
182
252
-6
109
-0.35
93
48
20
86
9
36
10
225
42
22
-20
1.2
313.15
9.21
31.80
44.70
23.78
39.51
274.25
61.10
31.96
7.05
26.81
43.51
489.71
43.85
765.86
1114.92
217.87
312.25
246.19
122.06
689.27
48.46
33.31
102.84
45.35
119.17
72.30
69.35
1778.09
54.23
31.05
14.07
25.52
31.80
10.80
17.21
14.51
293.10
1785.22
89.87
13.55
49.82
4.77
7.48
4.18
8.49
6.00
25.64
11.23
5.25
5.75
34.17
6.95
15.08
42.93
12.90
1.67
213.92
351.23
27.05
8.35
12.12
55.75
11.92
11.32
14.25
8.52
183.69
3.60
18.56
1.19
9.16
9.70
20.00
12.70
3.35
5.66
17.91
18.60
20.64
Tabella 16 Verifica condizione non sismica direzione y
142
5.3.4 Validazione dei risultati
Per modellazioni così complesse (con elevato numero di elementi e quindi di gradi di libertà)
l’accettazione dei risultati richiede una appropriata procedura di validazione. Tuttavia
trattandosi di casi “particolari”, che vanno studiati caso per caso, non è sempre facile trovare
dei metodi semplificati che abbiano una valenza generale.
Nel caso di analisi dinamica modale la norma impone che gli effetti relativi ai singoli
modi di vibrare siano combinati mediante una combinazione quadratica completa (CQC),
ovvero:
E  ( j i  ij  Ei  E j )1 / 2
dove Ej rappresenta il valore dell’effetto relativo al modo j; ij, un coefficiente di correlazione
tra il modo i e il modo j (NTC08, par.7.3.3.1).
In effetti, quando il numero di modi di vibrare è elevato non si riesce ad avere il controllo dei
risultati che tali analisi forniscono.
Nel caso in esame si è pensato, allora, di assegnare al modello uno spettro costante con
accelerazione spettrale pari a 9.81 m/sec2, e di considerare una combinazione dei modi del
tipo ABS (somma degli effetti in valore assoluto). In questo modo è possibile leggere dal
modello il tagliante a piano terra (come somma delle reazioni vincolari) e confrontarlo
direttamente con il prodotto della massa assegnata alla struttura (anch’essa può essere
calcolata dalla somma delle reazioni vincolari –direzione z- dividendola poi per 9.81 m/sec2)
per l’accelerazione spettrale (ovvero 9.81 m/sec2).
I valori ottenuti da questo confronto sono: un tagliante di 45075 kN (nella direzione in cui si
assegna lo spettro), fornito dalla somma dalle reazioni vincolari, contro 39771 kN, dato dal
prodotto della massa per l’accelerazione spettrale.
Tale risultato, nonostante la non coincidenza dei valori, può ritenersi soddisfacente se si fanno
alcune considerazioni: quando si considera una analisi del tipo modale il segno viene perso,
quindi le reazioni vincolari, non solo restituiscono un valore più alto del tagliante relativo alla
direzione in cui è applicato lo spettro, ma forniscono anche un valore del tagliante diverso da
zero nell’altra direzione. In effetti i contributi negativi vengono sommati impropriamente e
ciò giustifica anche il taglio alla base nell’altra direzione.
143
Capitolo 6:
Gli interventi di miglioramento
6.1 Gli interventi consentiti dalla normativa
La normativa italiana, tradizionalmente attenta al problema della conservazione del
patrimonio architettonico, ha individuato due livelli di intervento, l’adeguamento ed il
miglioramento sismico.
Le “Norme Tecniche per le Costruzioni” di cui al D.M. 14.01.2008, confermano
sostanzialmente i due livelli di intervento ribadendo che quelli di miglioramento sono
finalizzati ad “aumentare la sicurezza strutturale esistente pur senza necessariamente
raggiungere i livelli richiesti” per le nuove costruzioni, mentre quelli di adeguamento devono
necessariamente conseguirli. Si riconosce inoltre un terzo livello definito come “riparazioni o
interventi locali che interessino elementi isolati e che comunque comportino un
miglioramento delle condizioni di sicurezza preesistenti”.
Per i beni di interesse culturale è possibile, inoltre, far riferimento ad un ulteriore
documento normativo che è costituito dalla Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri
12 ottobre 2007 “per la valutazione e la riduzione del rischio sismico del patrimonio culturale
con riferimento alle Norme Tecniche per le Costruzioni” (G.U. 24 del 29.01.08). Esso
propone interventi sulle strutture, volti a ridurre la vulnerabilità sismica e allo stesso tempo a
“garantire la conservazione dell’architettura in tutte le sue declinazioni, in particolare
valutando l’eventuale interferenza con gli apparati decorativi”. A tale scopo, quindi, si
richiedono interventi poco invasivi che abbiano requisiti di sicurezza e di durabilità.
6.2 Le finalità degli interventi
Obiettivo del restauro è quello di garantire la sicurezza strutturale degli edifici e, al contempo,
di salvaguardare i contenuti storico-artistici presenti in ogni elemento della costruzione, a
partire dalle stesse parti strutturali spesso celate da intonaci e finiture.
Nel consolidamento di alcuni edifici, negli anni passati, sono stati attuati degli interventi
senza un attento controllo storico-critico che hanno spesso snaturato il modello statico
originale dell’edificio occultando significative testimonianze di civiltà e di scienza. Troppo
frequentemente sono stati attuati degli interventi invasivi nelle strutture murarie di importanti
144
edifici senza aver valutato accuratamente le risorse meccaniche dei materiali, nell’intento di
privilegiare il rispetto delle caratteristiche originarie. In alcuni casi sono stati realizzati degli
interventi che hanno addirittura peggiorato la statica dell’edificio ricorrendo a tecniche che
seppur valide non risultavano necessarie.
Al contrario, invece, gli interventi devono avere come obiettivo principale il
raggiungimento di un punto di equilibrio tra le esigenze della conservazione della struttura
originaria, da un lato, e quelle, non meno importanti, della sicurezza strutturale e della
risposta sismica, dall’altro.
Va aggiunto anche che spesso la necessità di attuare radicali interventi non nasce dalla
constatazione di carenze statiche ineliminabili senza ricorso a massicci interventi, ma dalle
limitate conoscenze delle caratteristiche costitutive del materiale. Le scarse risorse
meccaniche attribuite alle murature derivano, in alcuni casi, dalla scarsità di approfonditi studi
sia teorici che sperimentali atti a valorizzare caratteristiche meccaniche, come la duttilità,
sulla quale si basano le più recenti normative in materia di protezione sismica degli edifici.
Emerge dagli studi svolti che per invocare un comportamento di tipo globale
dell’edificio, grazie al quale è possibile scongiurare meccanismi di collasso delle pareti fuori
dal piano, non è necessario realizzare consistenti interventi. Infatti dalle analisi di due casi
studio descritte al capitolo 5, si riscontra come con una configurazione dell’impalcato semirigido (caso C) si possa ottenere un soddisfacente miglioramento. Per cui è sufficiente anche
solo inserire delle catene metalliche che consentano sia di collegare tra loro le pareti nelle due
direzioni e sia l’attivazione di un puntone compresso che irrigidisce l’impalcato. Tale concetto
risulta fondamentale alla luce dell’esigenza di conservazione in quanto rivaluta gli interventi
tradizionali poco invasivi e rispettosi dell’esistente.
6.3 L’esperienza del terremoto dell’Aquila
Il terremoto dello scorso 6 Aprile 2009, che colpì la città dell’Aquila e alcune sue province,
ha messo in evidenza come la scelta degli interventi su edifici antichi (spesso non abilitati a
resistere ad azioni sismiche) sia determinante per la loro salvaguardia in occasione di tali
eventi. Lo scenario di danno osservato per gli edifici in muratura mostra, infatti, come nei casi
in cui gli antichi edifici (prima o seconda classe – vedi par.1.4) vengono migliorati in maniera
adeguata, si riescono ad evitare (in caso di sisma) dei crolli rovinosi fuori dal piano. Il
terremoto di Messina del 1908, aveva, in effetti, già dimostrato la forte vulnerabilità di queste
tipologie di edifici in cui sono assenti collegamenti trasversali tra le pareti e gli impalcati non
145
sono efficaci per ridistribuire le forze sismiche (Fig. 6.1). In virtù di ciò è frequente trovare
nei centri storici edifici migliorati mediante l’inserimento di catene (Figg. 6.2, 6.3, 6.4, 6.5,
6.6, 6.7) che in occasione di tali eventi non subiscono gravi danni.
Al contrario, edifici moderni in muratura (terza classe – vedi par. 1.4) in cui sono
presenti solai rigidi in c.a. collegati con continuità alle murature, esibiscono di per sé un buon
comportamento, risultando solo lievemente danneggiati (Figg.6.8, 6.9, 6.10).
Affinché non si verifichino meccanismi di ribaltamento delle pareti fuori dal piano
(cause di crolli rovinosi) è quindi necessario che ci siano efficaci collegamenti trasversali, i
quali devono garantire la collaborazione delle pareti. Per tale ragione in edifici della terza
classe o in edifici di prima e seconda che sono stati migliorati non si sono avuti scenari di
danno disastrosi, ma le pareti sono state impegnate in maniera prevalente nel loro piano. Si
osservano in questi casi delle lesioni a taglio nelle fasce di piano (Figg. 6.11, 6.12, 6.13, 6.14,
6.15) e nei maschi murari (Figg. 6.16, 6.17, 6.18, 6.19).
Si sono avuti, talvolta, dei crolli parziali, all’ultimo piano, dovuti all’effetto spingente
della copertura e all’assenza di tiranti capaci di contrastare tale spinta (Figg. 6.20, 6.21, 6.22).
Va notato, inoltre, come crolli locali o globali si siano anche verificati per strutture non
migliorate in modo adeguato. Dalle figure 6.23 e 6.24 si desume che l’inserimento di catene
in una sola direzione non sia sufficiente ad evitare fenomeni di distacco o ribaltamento fuori
dal piano delle pareti non interessate dall’intervento. Nel caso mostrato in figura 6.25, invece,
lo scarso ammorsamento delle pareti nelle due direzioni è stato causa del ribaltamento delle
pareti di facciata.
La figura 6.26 mostra un crollo globale di un edificio nel quale era stata realizzata una pesante
copertura in c.a. che in caso di sisma non garantisce una ripartizione corretta del tagliante.
È possibile, in conclusione, affermare che gli edifici antichi in muratura sono delle
strutture non adatte a sopportare azioni sismiche se non sono opportunamente migliorati. Per
far ciò non è necessario ricorrere ad invasivi interventi, ma sono sufficienti delle catene in
entrambe le direzioni che favoriscono un comportamento nel piano delle pareti, evitando
crolli fuori dal piano. L’obiettivo quindi deve essere quello di garantire un comportamento
scatolare dell’edificio.
Va aggiunto però che affinché l’edificio resista bene ad un terremoto non è solo
necessario intervenire per collegare le pareti tra loro, ma è altrettanto fondamentale conoscere
la qualità della muratura di cui è costituito. Accade infatti che una bassa qualità della
muratura non possa garantire il comportamento monolitico dei muri (per azioni fuori dal
piano), o una buona resistenza a taglio dei pannelli murari (per azioni nel piano)
146
Figura 6.1: Terremoto di Messina (1908) - crolli dovuti a meccanismi fuori dal piano
Figura 6.2: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila - meccanismi di danno nel piano
(lesioni a taglio)
147
Figura 6.3: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con meccanismi di danno nel piano
(lesioni a taglio) –foto del prof. P. Lenza
Figura 6.4: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con meccanismi di danno nel piano
(lesioni a taglio)
148
Figura 6.5: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con catene in entrambe le direzioni e
lievissimi danni nelle fasce
Figura 6.6: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con catene (lesioni nelle fasce e nei maschi)
149
Figura 6.7: Edificio in muratura del centro storico dell’Aquila con catene in entrambe le direzioni e assenza
di danni nelle pareti di facciata.
Figura 6.8: Edificio in muratura della terza classe nel centro storico dell’Aquila
150
Figura 6.9: Edificio in muratura della terza classe (L’Aquila)
Figura 6.10: Edificio in muratura della terza classe (L’Aquila)
151
Figura 6.11: Danneggiamento delle fasce di piano
Figura 6.12: Danneggiamento delle fasce di piano
152
Figura 6.13: Danneggiamento delle fasce di piano
Figura 6.14: Danneggiamento delle fasce di piano
153
Figura 6.15: Danneggiamento delle fasce di piano
Figura 6.16: Lesioni a taglio nei maschi murari
154
Figura 6.17: Lesioni a taglio nei maschi murari
Figura 6.18: Lesioni a taglio nei maschi murari
155
Figura 6.19: Lesioni a taglio nei maschi murari
Figura 6.20: Meccanismo fuori dal piano all’ultimo piano causato dall’effetto spingente della copertura
e dall’assenza di tiranti
156
Figura 6.21: Crollo parziale della parte superiore della parete dovuto all’assenza di collegamenti efficaci.
Figura 6.22: Crollo parziale della parte superiore della parete dovuto all’assenza di collegamenti efficaci.
157
Figura 6.23: Distacco delle pareti in corrispondenza delle croci di muro per mancanza di collegamenti
efficaci nella direzione ortogonale alla lesione.
158
Figura 6.24: Crollo della parete di facciata per mancanza di collegamenti efficaci
Figura 6.25: Crollo per ribaltamento della parete di facciata a causa dello scarso ammorsamento Palazzo del Governo (l’Aquila)
159
Figura 6.26: Crollo globale dell’edificio dovuto ad un intervento non adeguato (realizzazione di una
pesante copertura in c.a.).
160
Capitolo 7:
Conclusioni
7.1 Risultati della ricerca
L’analisi strutturale ha sempre rappresentato una componente del restauro architettonico e
sempre è stata chiamata a dare delle risposte affidabili sul comportamento sismico degli
edifici storici. Questo compito ha trovato il settore disciplinare abbastanza impreparato, sicché
tutt’ora la materia è in evoluzione e ci sono notevoli spazi per la ricerca scientifica.
Nel lavoro di tesi svolto si è cercato di inquadrare la problematica e di dare qualche
contributo di conoscenza in merito. In particolare esso ha avuto come obiettivo
l’identificazione di una metodologia di studio del comportamento sismico dell’edificio in
muratura, il cui presupposto essenziale è rappresentato da un approccio interdisciplinare volto
a definire una estesa conoscenza del suo passato e ad individuare appropriati interventi che ne
tutelino la sua materia.
È stato approfondito il comportamento della fascia di piano nell’ambito del
comportamento della parete e il comportamento dei solai storici (solai isoresistenti o volte di
varia forma).
Con riferimento alle fasce di piano, sono state svolte delle analisi sperimentali per
studiare il loro comportamento quando sono inserite in una parete soggetta a forze di taglio
(forze sismiche) e sulla base di tali risultati sono state sviluppate delle simulazioni numeriche
che hanno consentito di ottenere ulteriori informazioni non rinvenibili direttamente
dall’attività sperimentale e di difficile determinazione teorica. In particolare sono state
ricavate l’estensione della parte reagente all’estremità del puntone, che si forma nel pannello,
ed il valore dello sforzo normale che nasce in essa quando sollecitata a taglio.
Si è riscontrato che la configurazione resistente del puntone diagonale così come
l’estensione delle zone compresse (reagenti) alle sue estremità sono definite in funzione della
forma del pannello, risultando praticamente indipendenti dall’entità delle sollecitazioni
esterne agenti sull’elemento di fascia.
Successivamente a partire dai risultati avuti dalle analisi numeriche si è definito un
modello teorico semplificato che schematizza il pannello con due archi contrapposti (modello
del “puntone ad arco”) e consente di interpretare in maniera unitaria tutti i meccanismi di
rottura osservati sperimentalmente.
161
Tale modello, tarato sulla base dei risultati sperimentali, appare in grado di cogliere in
modo sufficientemente approssimato il comportamento dei pannelli di fascia appartenenti a
pareti murarie soggette ad azioni sismiche, purché dotate di opportuni collegamenti
orizzontali di piano (fascia con catene). Ed infatti le formulazioni proposte non solo
individuano il corretto meccanismo di collasso ottenuto dalla sperimentazione, ma forniscono
anche valori numerici di resistenza in buon accordo con quelli rilevati.
Appare comunque indispensabile, per la valutazione della resistenza relativa ad alcuni
meccanismi, la definizione di una resistenza a trazione della muratura, il cui valore influenza
in maniera significativa i risultati. Tale punto rappresenta ancora una criticità del problema, a
causa della difficoltà di definizione e di valutazione di tale resistenza in relazione anche alla
notevole variabilità delle tipologie in muratura.
Per l’impalcato, invece, si sono dapprima individuate delle ipotesi limite di
comportamento scaturite dalla consapevolezza che nel corso degli anni la sua configurazione
ha subito notevoli evoluzioni, e successivamente si sono individuati dei modelli che
consentissero un’analisi globale dell’edificio. In particolare si è determinato un modello
capace di cogliere il comportamento delle volte quando sono inserite all’interno di una gabbia
muraria soggetta ad azioni di tipo sismico, considerandole capaci di dare un contributo per
l’irrigidimento del solaio e quindi di avere un’efficacia nella ridistribuzione delle
sollecitazioni. In questo modo in una modellazione spaziale dell’edificio è possibile
schematizzare tale tipologia di impalcato tenendo conto della sua reale rigidezza.
Queste conoscenze (relative alle fasce e all’impalcato) sono state applicate alla realtà
tridimensionale degli edifici storici mediante due casi studio significativi.
Il primo ha riguardato un palazzo tardomedievale napoletano, conosciuto come “palazzo
Petrucci”, caratterizzato da una configurazione in pianta complessa e articolata e da un
notevole sviluppo in elevazione. Esso è stato modellato attraverso una modellazione spaziale
a telaio equivalente ed è stato studiato attraverso un’analisi di tipo lineare. Sono state, a tal
proposito, evidenziate le difficoltà di modellazioni per edifici di simile complessità
geometrica e stratigrafica. Le ipotesi fatte sul comportamento dell’impalcato sono state: A)
l’impalcato non connette e non distribuisce (completamente assente); B) l’impalcato connette
ma non distribuisce; C) l’impalcato deformabile, con una certa deformabilità nel piano e
quindi con la capacità di distribuire le azioni orizzontali; D) l’impalcato infinitamente rigido,
ovvero la struttura orizzontale è rigida nel proprio piano ed ha la capacità di distribuire le
azioni su tutte le pareti che connette. Dall’analisi dei risultati emerge come per invocare un
comportamento di tipo globale dell’edificio, grazie al quale è possibile scongiurare
162
meccanismi di collasso delle pareti fuori dal piano, non sia necessario realizzare consistenti
interventi. Infatti già con una configurazione dell’impalcato semi-rigido (caso C) si può
ottenere un soddisfacente miglioramento. Per cui è sufficiente anche solo inserire delle catene
metalliche che consentano sia di collegare tra loro le pareti nelle due direzioni e sia
l’attivazione di un puntone compresso che irrigidisce l’impalcato. Tale concetto risulta
fondamentale alla luce dell’esigenza di conservazione in quanto rivaluta gli interventi
tradizionali poco invasivi e rispettosi dell’esistente.
Il secondo caso studio considerato riguarda un edificio speciale, ovvero un castello, sito
a Castel Volturno e oggetto di un progetto di restauro redatto dal prof. Guerriero. Si è
utilizzata una modellazione agli elementi finiti lastra/piastra, non essendo applicabile uno
schema a telaio equivalente per strutture così particolari. Attraverso un’analisi di tipo lineare
si è studiato l’edificio sia nella configurazione corrispondente allo stato di fatto (impalcati
assenti – caso A) che in quella derivante dal progetto di restauro anzidetto (impalcati
deformabili – caso C). Si evidenzia in tale caso come per modellazioni così complesse (con
elevato numero di elementi e quindi di gradi di libertà) l’accettazione dei risultati richiede una
appropriata procedura di validazione.
Il quadro che ne emerge, pur ribadendo che la materia è ancora in forte evoluzione e che
non sia necessario procedere ad interventi invasivi motivati solo dalla non buona conoscenza
degli antichi manufatti, ma come sia opportuno, invece, valorizzare le configurazioni esistenti.
In particolare si evidenzia la grande efficacia di presidi tradizionali (catene scorrevoli) che
attivano comportamenti virtuosi sia negli impalcati che nelle pareti, come peraltro lo scenario
di danno del terremoto dell’Aquila ha evidenziato.
7.2 Sviluppi futuri
La ricerca svolta ha aperto importanti spunti per possibili sviluppi futuri.
In particolare alla luce dei risultati sperimentali e numerici ottenuti sulla fascia di piano
appare necessaria una sperimentazione in scala reale allo scopo di tarare i coefficienti
numerici che sono risultati strettamente connessi alle caratteristiche del materiale della
struttura.
Con riferimento alle modellazione tridimensionale agli elementi finiti (caso del castello
di Castel Volturno) e mediante telaio equivalente (caso di palazzo Petrucci), studiate
attraverso analisi di tipo lineare, appare interessante confrontare i risultati con quelli di
un’analisi non lineare e a tale scopo sarà necessario definire una procedura idonea, essendo
163
questa una problematica ancora non ampiamente trattata. In effetti va compreso, per la
modellazione a telaio spaziale, quale deve essere il punto di controllo da scegliere (necessario
per la costruzione di una curva push-over), mentre per una modellazione agli elementi finiti,
come poter definire delle cerniere plastiche e come definire le caratteristiche meccaniche del
materiale.
164
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RINGRAZIAMENTI
Al termine di questo straordinario percorso di formazione e di studio desidero esprimere una
profonda riconoscenza e stima nei confronti di coloro che mi hanno guidata e dato questa
opportunità, ed in particolare ai professori Lenza, Calderoni, Fiengo e Guerriero.
Un ringraziamento va poi a tutte le persone sulle quali ho potuto sempre contare:
…ad Antonio per non aver mai vincolato le mie scelte…
…alla mia famiglia per avermi sempre sostenuta…
…a Rosa e Marilena per essersi rivelate sorelle speciali…
…a Viviana per aver continuato, nonostante le distanze, a far parte della mia vita…
…alle mie amiche, Angela, Antonia, Miriam e Rosa per essere semplicemente delle persone
eccezionali alle quali voglio un bene immenso…
…a Emilia per essere stata un supporto e un esempio…
…ai colleghi del DIST e del dipartimento di restauro e Conservazione di Aversa con i quali
ho condiviso quest’esperienza...
Infine:...grazie Mariano…