2010 CONCORSO AFAM ALTA FORMAZIONE ARTISTICA E

2010
CONCORSO
AFAM
ALTA FORMAZIONE
ARTISTICA
E MUSICALE
PRIMA EDIZIONE
ANNA MARIA MORAZZONI
INTERVISTA AI VINCITORI
Concorso AFAM
Alta Formazione Artistica e Musicale
Anna Maria Morazzoni
Dodici compositori rispondono
a dieci domande
Dodici compositori rispondono a dieci domande
di Anna Maria Morazzoni
Sandro Gorli ha chiesto ai vincitori del primo concorso di composizione
AFAM di rispondere a dieci domande; una sorta di questionario per cogliere,
almeno a grandi linee, l’orientamento verso la musica nello scenario contemporaneo attraverso un campione, ristretto ma qualificato, di studenti delle
istituzioni musicali italiane.
Come sempre, anche nel caso specifico prevale il maschile, con soltanto due
studentesse su dodici autori; si incontrano invece due eccezioni, una per genere, rispetto all’età media tra i venti e i trent’anni: il nuovo ordinamento dei
Conservatori consente infatti l’iscrizione ai corsi superiori senza limiti di età.
Le istituzioni musicali alle quali afferiscono gli studenti sono prevalentemente settentrionali (soltanto una di Roma e due del Sud) e i maestri ai quali si
sono avvicinati nel corso degli studi hanno spesso contribuito a segnare la
scelta per la composizione.
L’analisi delle risposte delinea la condivisione di un atteggiamento di severità e rigore, di convinto impegno nell’attività compositiva, per il 70% già individuata come professione per la vita. Tra gli aspetti comuni emergono in
particolare:
- l’età di inizio dello studio della composizione, collocata tra i 15 e i 20 anni;
- la grande dedizione alla composizione, che occupa la più parte delle giornate e fa vivere come sottratto all’attività d’elezione il tempo riservato ad altri
impegni;
- l’interesse verso le nuove tecnologie (con l’eccezione di Covello) e il loro
utilizzo, sia per la scrittura – almeno nel passaggio alla “bella copia” – sia per
la generazione e la manipolazione elettroniche dei suoni;
- il significato dirimente nella vita attribuito alla composizione, intesa come
una necessità irrinunciabile (perfino una «presenza totalizzante» per Schiavotti), formulata in termini di estrema serietà e scarso piacere (una componente di “divertimento” compare soltanto nelle parole di Xhuvani);
- l’orientamento verso la figura autoriale consueta, ossia la singola individualità creativa, pur contemplando l’apertura a competenze artistiche diversificate;
- l’importanza del confronto e dello scambio di esperienze con altri compositori, sia della stessa generazione sia più giovani o più maturi, e il disagio dei
due studenti ai quali mancano contatti adeguati.
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La domanda «Cos’è la “fantasia”? Di che cosa si nutre?» – di per sè personalissima e forse troppo impegnativa – incontra quattro risposte pressoché tautologiche: «fantasia è immaginazione» e altre di orientamento poetico («saper
sognare a occhi aperti», «vibrazioni interiori»), in tre casi con citazioni dirette
dal panorama letterario; a questa domanda si sottraggono due studenti. Irene Pacini scrive: «La fantasia è una dote umana che va protetta. Si nutre di ciò
che non viene mostrato, si nutre dello stupore, di ciò che non viene svelato».
Schiavotti, sebbene sia al suo primo lavoro compiuto, assume una posizione
precisa e articolata, scrivendo: «A costo di rispolverare Hanslick ho la pretesa di affermare che la mia “fantasia” sia esclusivamente musicale, nel senso
che nasce e si sviluppa secondo categorie musicali: non credo nei referenti
extra-musicali, se non quali supporti secondari a un’idea primaria prettamente musicale (come nel caso del mio pezzo). Se la musica è un linguaggio, la
sua semantica è (fortunatamente) imperfetta e il suo contenuto rimanda a se
stessa: riconosciamo la musica come un linguaggio ma non possiamo verbalizzare ciò che dice, se non in termini musicali».
Senza affrontare la questione se la musica sia un linguaggio – sulla quale
si può rimandare a una vasta letteratura musicologica –, da queste parole
emerge un aspetto cruciale, ossia la necessità della musica, qualunque siano
le sonorità e la loro organizzazione, per articolare il proprio pensiero. Infatti,
soltanto con la premessa dell’indispensabilità del suono per la formulazione
del pensiero è possibile distinguere un lavoro intrinsecamente musicale da
un lavoro artistico in senso lato. Invece, questa distinzione – e la conseguente
necessità di rivolgersi alla musica anziché ad altri ambiti artistici – non risulta tematizzata nelle risposte fornite alle domande che si addentrano nelle
questioni del comporre, cioè «Cosa intendi per “comporre” musica?» e «Potresti riassumere in poche parole come nasce una tua composizione? Qual’è
l’idea da cui parti? Come organizzi il tuo pensiero musicale?». Qui lo spessore
o l’ingenuità delle affermazioni rispecchiano anche la formazione culturale
generale e l’iter accademico seguito. Ricorrono frequentemente in queste risposte “immagini” e “visioni” da decodificare in suoni, indagini nella propria
interiorità, processi inconsci che sfociano in ispirazioni subitanee, sensazioni
indicibili o magiche, relazioni tra suoni ed emozioni, urgenze e ideali espressivi, insomma qualcosa di molto prossimo alla temperie romantica che pareva inattuale. Risultano piuttosto diffuse anche espressioni quali “dare forma”
(a idee, intuizioni, sentimenti, saperi), come pure intenzioni di carattere narrativo, spesso a partire da suggestioni extra-musicali.
Nella sua risposta alla prima di queste due domande Gardella cita utilmente
la figura del bricoleur, che ha ampiamente interessato gli studiosi di organizzazione («Letteralmente com-porre significa “porre insieme”, è ciò che in
retorica prende il nome di dispositio degli elementi; il compositore, in questo senso, è una sorta di bricoleur, che nel suo mettere insieme gli elementi costruisce il proprio strumento. […] Comporre significa dunque, per me,
riflettere sui nostri archetipi per immaginare come vorremmo che fosse la
musica.») e alla seconda domanda reagisce scrivendo: «Ogni composizione
ha, per quanto mi riguarda, una sua “psicologia”: compositore e composizione imparano a conoscersi reciprocamente durante la scrittura e la “storia” del
pezzo è anche, in un certo senso, la storia di questo dialogo. Cerco di immaginare innanzitutto cosa mi piacerebbe ascoltare e poi come fare a comunicarlo; cerco, insomma, di partire dalle idee. Queste idee non sono però mai
soltanto sonorità, figure o armonie, ma sono un insieme, un contrappunto di
questi differenti elementi le cui trasformazioni rappresentano uno dei vettori
della composizione». All’opposto, ci si imbatte in un comporre inteso come
«trattare un testo scritto (cercando di decorarlo di musica adatta)» e in tal
caso viene da interrogarsi sulle ragioni del ricorrere al suono come “decorazione”, quando parrebbe più consona una visiva.
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Nelle risposte alla domanda «Cos’è secondo te la musica d’arte e quale ruolo
ha nella società, distinguendo, se credi, fra musica del passato e musica contemporanea?» si trovano articolate riflessioni sia personali sia generali, insieme a qualche considerazione sociologica. Le pubblichiamo integralmente e
senza commenti (in ordine alfabetico), poiché rappresentano dichiarazioni
di poetica utili per cogliere il pensiero di ciascuno degli autori dei brani in
programma, come pure per orientarsi nel “lavoro in corso” oggi presso i Conservatori italiani.
Pasquale Corrado
La musica d’arte è il luogo della mente in cui tutto si dilata e si restringe in
una dimensione privata e personale, sia per quanto riguarda il compositore
che l’ascoltatore. La musica d’arte è: stato sonoro oltre il puro aspetto notazionale, disciplina, amore, senso della tradizione, in una parola la musica
d’arte è musica, ossia un modo complesso di sentire e di pensare. Forse proprio in questa consapevole e ricercata complessità risiede la ragione della
sua limitata diffusione, almeno per quanto riguarda l’esperienza italiana.
A differenza delle arti visive del Novecento, che sono state grandemente sostenute dal mercato, la musica d’arte non ha condiviso la stessa sorte, essendo stata privilegiata la diffusione di un altro tipo di musica, quella così
detta pop. Forse perché, come diceva Bernstein, la melodia di una canzone
è “compiuta”, non ha bisogno di un tempo e di un’attesa. La melodia di un
pezzo di musica classica invece è incompiuta, in quanto manca di sviluppo e
crea aspettativa e dunque si rivolge a un ascoltatore attivo.
In questo senso, infatti, non esiste una differenza tra la musica del passato
e quella contemporanea, quanto piuttosto credo vi sia un filo che le unisce;
mi riferisco alla nozione di figura musicale, intesa come qualità di uno stato
sonoro al di là dell’aspetto notazionale. È vero che l’avanguardia musicale del
dopoguerra ci ha messo di fronte al superamento delle possibilità legate al
linguaggio tonale, senza ovviamente prescindere dalla necessità del senso
della tradizione.
Antonio Covello
Ritengo che la musica raggiunga un elevato livello artistico quando si compone di più livelli d’ascolto e di lettura. Nella nostra società questa caratteristica credo appartenga alla musica “scritta”, quella collocabile nella grande
tradizione occidentale. Con questo non voglio ridurre gli altri linguaggi (penso al jazz o alle tante diverse sfumature della musica pop) a mero fenomeno
commerciale privo di qualsiasi interesse artistico, solo ritengo che siano generi musicali che non si avvolgono di quelle potenzialità necessarie a descrivere la complessità dell’essere umano e del suo “pensare musicale”.
Il rapporto fra il compositore (e la sua musica) e la società credo cambi in
base ai mutamenti della società stessa, e non tanto degli “stili”. Ma io penso
che l’arte non debba avere necessariamente un ruolo nella società: farla, viverla, riceverla…. devono essere necessità dei singoli individui.
Federico Gardella
È molto difficile definire cosa sia la “musica d’arte”, mi piace pensare che la
differenza tra la musica e gli altri infiniti stimoli sonori che ci circondano stia
nel fatto che la musica è un’esperienza in grado di cambiare profondamente
chi la ascolta. Penso, inoltre, che il ruolo della musica (come del resto di tutte
le arti) non sia mutato nel tempo; la sua funzione di farci pensare, di metterci
in contatto con la parte più profonda di noi stessi è ciò che la rende, oggi più
che mai, indispensabile.
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Matteo Giuliani
Come ogni forma d’arte, anche la musica, secondo me, deve porsi l’obiettivo
di suscitare emozioni nell’ascoltatore. Ciò mi sembra un fatto trasversale alle
varie epoche, in cui a modificarsi sono invece le forme con cui essa si esprime. Il percorso intrapreso dalla musica (e dall’arte in generale) a partire dal
Novecento ha prodotto una pluralità di linguaggi in cui non dovrebbe essere
troppo difficile trovare quello più adatto al nostro sentire. Purtroppo, a tanta
offerta non sembra corrispondere una richiesta adeguata e la musica d’arte pare non trovare possibilità sufficienti di diffusione ad ampio raggio. Una
parte del pubblico sembra, poi, bollarla come qualcosa di incomprensibile a
priori, alimentando un atteggiamento di chiusura nei confronti della stessa.
Inoltre – forse per un’associazione talvolta troppo definitiva tra musica e svago – credo non sia per tutti facile comprendere come nella musica d’arte la
fantasia sia concretamente modulata dalla razionalità e che comporre, e più
in generale fare musica, sia un lavoro. Meraviglioso, ma pur sempre un lavoro.
Con i suoi problemi, le sue scadenze da rispettare, le sue soddisfazioni. Peccato che oggi, forse, non sia sempre riconosciuto come tale.
Maria Ausilia Grasso
La musica d’arte è quella che non ha tempo, è già adulta e non invecchia mai,
poiché la novità che contiene germoglia da radici profonde che affondano
nel passato e porta in sé i fiori dei frutti che matureranno nella musica del
futuro. La musica d’arte contiene l’essenza più profonda dell’animo umano
così che ogni uomo di ogni tempo può ritrovarsi in essa.
Nicola Graziano
Musica d’arte è musica comprensibile e riconosciuta come “musica valida” dal
pubblico più vasto, ma… ormai la musica contemporanea è diventata sfortunatamente “musica per pochi”, escludendosi quasi del tutto dalla società;
anche musicisti tecnicamente bravi sono spesso in grande difficoltà di fronte
a nuove espressioni di pensiero. Colpa di un linguaggio troppo tecnico o di
una totale mancanza di educazione alla musica contemporanea a tutti i livelli, dalle scuole fino ai programmi ministeriali dei Conservatori? Colpa di una
totale assenza da parte dei media o di una nostra incapacità, spesso pigrizia,
a “spiegare al pubblico” che succede in un pezzo in sala prima di un concerto?
Colpa nostra, incapaci di organizzarci, reagire e agire!!!
Vittorio Montalti
La musica per me è un mezzo di evasione dalla realtà e allo stesso tempo
di elevazione spirituale.In realtà vorrei andare al di là delle classificazioni e
forse l’unica distinzione che posso fare è tra musica scritta e non scritta. Detto ciò, quel che resta è la qualità della musica; se una musica è complessa,
ha un grado di fattura elevato, ha molto da dire e allora mi interessa al di là
dell’etichetta che le è stata appiccicata per classificarla. A questo punto bisogna saper scegliere tra tutto ciò ci viene propinato. Come diceva Miles Davis,
rispondendo a cosa pensasse della musica pop, “...è fantastica. Prendi quello
che vuoi e lasci ciò che non ti piace: come con il cibo”.
Irene Pacini
Il ruolo della musica, e dell’arte in generale, è quello di esprimere l’essere
dell’uomo.
Alessio Rossato
La ricerca del suono come entità, suono come centro e motore di vibrazioni
vitali che permettono di percepire istanti infiniti. Linguaggio sonoro/musicale come mezzo per prendere coscienza di sé.
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Giovanni Schiavotti
All’interno della cultura occidentale l’espressione “musica d’arte” viene utilizzata per indicare il vasto repertorio di musica scritta, cioè di tutta quella musica intesa come opera d’arte unica, realizzata da un autore per un pubblico.
L’espressione in realtà nasconde un presupposto ideologico vincolante, ossia
la concezione della musica quale autonoma espressione estetica svincolata
da altre discipline o finalità, escludendo di fatto tutta la tradizione pre-illuministica.
Aldilà di questi paradossi terminologici si può dire che ogni singola opera
presuppone un orizzonte teorico-concettuale che la circoscrive e, nei limiti
del possibile, la determina. In ogni epoca possiamo rinvenire delle costanti di
produzione, esecuzione e ricezione che ci permettono di collocare l’oggetto
musicale all’interno di una precisa tradizione, comprendendone i vari meccanismi. La musica d’arte è quindi la storia delle costellazioni del pensiero
speculativo, delle sue premesse concettuali, delle sue conquiste e rinunce
all’interno della complessità dello spazio sonoro.
Soprattutto nel Novecento si consuma il distacco tra produzione e ricezione,
facendo emergere due prospettive contrastanti: da un lato viene istituzionalizzato, a uso del grande pubblico, una parte del repertorio occidentale attraverso la certificazione di “musica classica”; dall’altro buona parte della produzione novecentesca viene erroneamente ghettizzata sotto il nome di “musica
contemporanea” e implicitamente destinata a un pubblico di specialisti.
Lorenc Xhuvani
La questione è molto complessa. In realtà si dovrebbe partire dalla domanda“che
cos’è l’arte?” dovendo poi distinguere l’arte del passato da quella moderna per
arrivare al contemporaneo. La musica d’arte per me è un’espressione dell’umano
che utilizza l’ordine dei suoni per la comunicazione di una sua urgenza espressiva.
Per quanto riguarda il ruolo che la musica d’arte ha nella società: nel passato spesso e volentieri la cerchia che poteva usufruire della musica d’arte era
ristretta e questo dipendeva soprattutto da fattori pratici. Ma la musica era
considerata in ogni caso come un divertimento. Nella nostra epoca la musica d’arte ha perso quella parte di divertimento senza però sostituire questo
vuoto con un altro ruolo sociale. Bisogna però considerare che è cresciuta
la cerchia degli addetti ai lavori per la facilità con cui, oggi si può reperire
un’opera.
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