IL XVII secolo: quadro generale
Dal punto di vista degli uomini e delle generazioni che lo hanno attraversato il Seicento non può
che apparire terribile, caratterizzato come fu da guerre, carestie, rivolte e persecuzioni, insomma da
tutti i segni di una profonda crisi politica, sociale ed economica. Seguendo però i molteplici fili del
suo dipanarsi, si scopre che nello stesso secolo si selezionarono diverse strategie di sviluppo economico, si definirono nuove forme del potere politico, si delinearono i tratti essenziali della scienza
moderna, si elaborò una nuova concezione dei diritti umani, si gettarono le basi della supremazia
dell'Europa sul mondo, supremazia destinata a durare almeno fino al principio del XX secolo. È in
questo preciso momento storico infatti che un continente come quello europeo, relativamente
limitato per estensione territoriale e popolazione - geograficamente quasi una propaggine dell'Asia
-, allargò progressivamente il suo dominio. Questo processo appare straordinario, tanto più se
pensiamo che avvenne a scapito di civiltà, come quella indiana e cinese, portatoci di culture
millenarie e in possesso di saperi, risorse, ricchezze e uomini di gran lunga maggiori di quelli
europei.
Un secolo, il Seicento, contrassegnato dunque da spinte contrastanti, due facce di una stessa
medaglia: tradizione e modernità, crisi e trasformazione economica, guerra e confronto politico.
Un'Europa a due velocità La "doppiezza del secolo" si coglie molto chiaramente osservando
l'evidente contrapposizione tra le diverse aree geografiche europee. All'area mediterranea, in
particolare alla Spagna e all'Italia meridionale, e a parte dell'Europa orientale, si contrapponeva
infatti l'area nordoccidentale, che includeva Inghilterra e Olanda, ma anche paesi scandinavi,
Francia e Italia settentrionale. È sufficiente una sommaria analisi dei dati demografici a mostrarci
il netto divario tra le diverse parti del continente: mentre in Inghilterra e nei paesi nordici la
popolazione continuò ad aumentare, per quanto a ritmi inferiori rispetto al secolo precedente, e in
Francia restò stabile, nell'Europa centrorientale e meridionale subì invece una severa contrazione.
La popolazione è una spia importante per comprendere lo stato di salute di un paese, soprattutto
nei secoli che precedono la rivoluzione industriale. Esiste infatti un legame molto stretto tra
l'andamento della popolazione e quello della produzione: quando la prima cresce troppo, la
seconda non è più in grado di soddisfare i crescenti bisogni nel caso manchino le trasformazioni
tecniche adeguate (rotazione delle colture, nuovi strumenti di lavoro, legame tra allevamento e
agricoltura).
Ma, dunque, che cosa avvenne? La risposta al quesito è complessa, sebbene gli storici individuino
un elemento cruciale nel processo di concentrazione della ricchezza verificatosi nel corso del
Cinquecento, quando i grandi proprietari avevano accresciuto i loro patrimoni non con
investimenti produttivi ma attraverso un maggiore sfruttamento dei contadini, e beneficiando, al
contempo, di un minor costo della manodopera per via della crescita demografica. Tali
comportamenti avevano provocato però un grave impoverimento nella maggioranza della
popolazione: si guadagnava meno, si riducevano i consumi e gli acquisti, deprimendo così gli
scambi. Inoltre, un numero crescente di persone proprio a causa della povertà tendeva a ritardare
l'età da matrimonio e ad avere quindi meno figli. La popolazione diminuiva mettendo in moto un
circolo vizioso: si riduceva la forza lavoro e di conseguenza calarono la produzione e la domanda di
beni.
Dove fu più pronunciato, come in Spagna, nell'Italia meridionale o ancora nell'Europa orientale,
questo fenomeno determinò un processo di rifeudalizzazione, ovvero il ripristino per i contadini di
antichi obblighi di servitù e di dipendenza. Mentre nell'Europa nordoccidentale i processi di
concentrazione della ricchezza e la capacità di reagire alla crisi portarono a tutt'altri esiti.
Così si delineò un'Europa a due velocità: l'area meridionale e quella orientale subirono, insieme al
forte calo demografico, una prolungata stasi economica (stagnazione) e un peggioramento drastico
delle condizioni di vita della popolazione contadina; nell'area nordoccidentale, invece, si
diversificarono le produzioni agricole, si fecero investimenti e migliorie tecniche, accrescendo le
rese dei terreni. In questo modo, peraltro, i paesi dell'area nordoccidentale riuscirono, almeno
parzialmente, a proteggersi dalle carestie, che si susseguirono ad ondate in tutta l'Europa
continentale, e dalle epidemie che spesso le seguivano.
Un contributo importante alla crisi venne inoltre dalla lunga e terribile guerra dei Trent anni che,
tra il
1618 e il 1648, coinvolse con effetti devastanti quasi tutti i paesi europei, portando morte e
distruzione tra la popolazione civile e riducendo allo stremo le finanze degli Stati belligeranti.
primato europeo nei traffici Proprio in questa fase si andò delineando quindi uno squilibrio
tra Nord e Sud, che durerà molti secoli, insieme a quello tra l'Occidente e l'Oriente europeo. La perdita di vigore significò per i paesi del Mediterraneo il passaggio dell'iniziativa economica e militare
ai paesi del Baltico e dell'Atlantico nel corso del diciassettesimo secolo. Col contrarsi degli interessi
italiani e il rinchiudersi in se stessi degli spagnoli, altri si accollarono il compito di estendere il
dominio degli europei sul mondo».
Furono gli olandesi, gli inglesi e in misura minore i francesi a imporsi come dominatori
incontrastati dei traffici. I primi in particolare insidiarono il primato portoghese nei commerci con
l'Oriente prima di essere a loro volta battuti dalla concorrenza inglese.
Assolutismo e costituzionalismo Dal punto di vista politico nel Seicento trovò compimento il
processo di rafforzamento dello Stato e dei suoi poteri, che abbiamo visto delinearsi lungo il corso
del Quattrocento e del Cinquecento. L'istituzione-Stato divenne la forma suprema della vita
associata: agli organi dello Stato venne attribuita la produzione del diritto ed era lo Stato che
possedeva ora gli strumenti per far rispettare la legge. All'interno di questa comune prospettiva la
strada però si biforcò per l'emergere di due modelli alternativi: quello assolutistico e quello
costituzionale. Il primo era rappresentato esemplarmente dalla Francia e il secondo dall'In-
ghilterra. Francia e Inghilterra divennero peraltro le potenze più forti d'Europa, a scapito della
Spagna e dell'Impero, in declino soprattutto dopo la guerra dei Trent anni dalla quale uscirono
sconfìtti.
In Francia, durante il suo lungo regno (1643-1715), Luigi XIV concluse l'opera, avviata dai suoi
predecessori, di radicale accentramento del potere decisionale, amministrativo e di controllo su
tutti i settori della vita politica, culturale e religiosa. Per ottenere questo risultato il re non si limitò
a rafforzare ulteriormente gli apparati burocratici e gli organi di governo a lui fedeli, ma ricorse alla
repressione feroce di ogni dissenso. Lesercizio del potere assoluto era inteso come illimitato e non
soggetto a nessuna legge e si accompagnò alla ricerca di tutto ciò che poteva accrescere il prestigio
della monarchia. Il re era considerato responsabile del suo operato solo di fronte a Dio. Il Sole,
scelto come emblema della sua figura da Luigi XIV - che sarà infatti chiamato Re Sole -, esprimeva
bene la centralità e lo splendore della figura del sovrano, mentre l'ostentazione della magnificenza
e della forza della Corona fu comunicata dallo sfarzo della nuova reggia costruita a Versailles.
In Inghilterra invece si affermò la monarchia costituzionale attraverso due successive rivoluzioni,
quella del 1642 e quella del 1688, nota come "Gloriosa Rivoluzione". Il Parlamento contrastò le
aspirazioni assolutistiche del re e anzi ne limitò per sempre, alla fine del processo rivoluzionario, le
prerogative. L’assemblea parlamentare divenne il punto di contatto tra la Corona e il paese e i
sovrani capirono ben presto che non avrebbero potuto governare senza il suo consenso.
Se in Francia l'ordine coincise con la sottomissione della società alla volontà del sovrano, in Inghilterra si riconobbero il ruolo della società civile e l'importanza delle libertà individuali.
L'assolutismo caratterizzò la maggioranza degli Stati europei e si affermò, anche se con significative
varianti rispetto al modello francese, in Svezia, Prussia, Russia, paesi che si andavano imponendo
sulla scena continentale. In Prussia il centralismo statale assunse un carattere burocratico-militare;
in Russia si realizzò una forma di autocrazia con una nobiltà assoggettata alla Corona e i contadini
ridotti in servitù. L'altra strada venne seguita, oltre che dall'Inghilterra, dalla Repubblica delle
Province Unite, come sappiamo, più nota con il nome della maggiore di queste, l'Olanda.
Il rafforzamento dello Stato passò spesso attraverso la sconfitta, o almeno il contenimento, di rivolte e sommosse che nei decenni centrali del secolo si verificarono in tutti i paesi europei. Ad
animarle furono soprattutto i contadini e gli strati popolari impoveriti dalla crisi economica, dai
cattivi raccolti provocati dalla guerra ma anche dal peggioramento del clima: si trattava perlopiù di
fiammate, di esplosioni di collera contro l'opprimente pressione fiscale, contro i signori o i soldati.
A volte i disordini furono anche espressione dei nobili che le trasformazioni socio-economiche e
politiche avevano declassato e che per i loro fini facevano leva sul malcontento popolare, come
avvenne in Francia tra il 1648 e il 1653, quando si verificò un periodo di agitazioni e di torbidi noto
come la Fronda, dal nome dello strumento, la fionda, con cui i popolani scagliavano i sassi.
La guerra nel Seicento Ma l'intera epoca fu, soprattutto, ricordata da coloro che l'avevano
vissuta come un'epoca di guerra e di soldati. Non si può negare infatti che il conflitto
accompagnasse passo passo tutti i mutamenti intervenuti, lasciando in eredità al Seicento questa
fama desolante di secolo di battaglie, di orrori, di devastazioni. Ma è poi vero che nel Seicento gli
anni di guerra furono ininterrotti? Gli storici amanti delle statistiche hanno stabilito che fu il secolo
precedente, il Cinquecento, a conoscere più guerre e ad avere solo pochissimi anni di pace. Era la
guerra che era cambiata: non divideva più solo i re e gli Stati, ma anche i popoli che la combattevano. Da una parte erano i cattolici, dall'altra i protestanti: due stili di vita, costumi, culture
contrapposti. Un esempio di questa dinamica fu l'ultima grande guerra di religione, la guerra dei
Trentanni, che vide opporsi il fronte dei cattolici - l'Impero e la Spagna -e il fronte dei protestanti Danimarca, Svezia e Olanda -, sostenuto attivamente dalla Francia, che era sì cattolica, ma decisa a
contrastare il tentativo egemonico degli Asburgo. La guerra del Seicento, dunque, segnò una
radicalizzazione della lotta politica e delle relazioni internazionali. Nel Cinquecento, che pure vide
raffermarsi della grande politica di potenza degli Stati, le guerre erano ancora combattute da
regnanti in lotta alla ricerca di onori, di gloria, di territori da conquistare come segno di prestigio
internazionale. Nel Seicento il panorama cambiò: ora fronti contrapposti si davano battaglia.
Cattolici e protestanti si combattevano senza esclusione di colpi e si sentirono enormemente
distanti, nemici anche in pace.
La repressione del dissenso Se si guarda ora alla cultura, si evidenzia di nuovo una sorta di
contraddittoria duplicità: il secolo si apre nel segno dell'intolleranza con la morte sul rogo, a Roma,
in Piazza Campo dei Fiori, il 17 febbraio 1600, di Giordano Bruno (1548-1600). Il filosofo moriva
punito dall'Inquisizione per le sue idee eterodosse, ossia in contrasto con la dottrina della Chiesa.
Le condanne furono molte, di persone comuni e di uomini illustri, come Galileo Galilei (15641642). Questi non fu ucciso ma costretto ad abiurare, cioè a ricusare, nel 1633, le sue teorie
scientifiche, che confermavano la teoria eliocentrica formulata da Copernico nel 1543. La
repressione del dissenso non fu solo appannaggio dei paesi cattolici. Anche i protestanti difesero
con intransigenza l'ortodossia, perseguitando ebrei, seguaci di altre religioni, dissidenti e liberi
pensatori. La censura cercava di instaurare un controllo capillare su tutto ciò che si stampava: tanti
furono i venditori di libri o gli editori finiti in carcere o sul rogo. Da questo clima di intolleranza si
salvarono l'Olanda, che divenne per gli intellettuali perseguitati un porto di pace e, almeno in parte,
l'Inghilterra.
La nuova scienza Eppure questo secolo, così profondamente oscurantista, vide nascere il
razionalismo moderno. Lo spirito di ricerca e conoscenza spinse l'uomo a porsi con decisione al
centro dell'Universo, a scrutarlo con gli strumenti della ragione, non più sottoposta all'autorità
della fede o degli antichi, per condurre liberamente e senza remore le opportune indagini. Si
affermava un modo del tutto nuovo di concepire la natura e la scienza: nascevano l'astronomia
moderna e la fisica che ancora oggi snidiamo, e si mettevano le basi perché l'indagine scientifica,
abbandonata la ricerca di forze occulte, si aprisse a sempre nuovi campi con il fine ben preciso di
dominare la realtà e piegarla alle necessità dell'uomo. La nuova scienza si fondava sulla
matematica, sulla convinzione di poter misurare la realtà naturale e sulla volontà di verificare le
ipotesi scientifiche con l'esperimento. Questo profondo rinnovamento delle scienze, che ebbe come
rappresentanti importantissimi studiosi, filosofi e scienziati - Galilei, Bacone, Cartesio e Newton -,
si accompagnò a un incredibile progresso delle tecnologie: si passò, per dirla con il titolo di un
importante libro di filosofia della scienza, Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione
(Alexandre Koyré). Scoperte e invenzioni di nuovi strumenti si susseguirono così rapidamente da
far parlare gli studiosi di una "rivoluzione scientifica".