Semplice, esplicito e complesso: Che dite? Fanno una piega?

Semplice, esplicito e complesso: Che dite? Fanno una piega?
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Semplice, esplicito e complesso: Che dite? Fanno una piega?
SEMPLICE, ESPLICITO, IMPLICITO, COMPLESSO
Fanno tutti una "piega"
Semplice
Semplice” non è “facile”. Di conseguenza il suo contrario non sarà “difficile”. Se difficile si oppone a facile, quale aggettivo
si oppone a semplice?
Partiamo dalla terminologia grammaticale, giusto per avere un linguaggio molto caratterizzato in cui il significato delle parole
deve essere preciso e, possibilmente, univoco.
Nel distinguere i tempi del verbo, una prima classificazione è quella tra tempi semplici e tempi composti. Nella grammatica
italiana, infatti, i tempi: Presente, Imperfetto, Passato remoto, Futuro semplice sono definiti tempi semplici; gli altri: Passato
prossimo, Trapassato prossimo, Trapassato remoto, Futuro anteriore sono definiti tempi composti. Così, anche nella
rappresentazione grafica dei prospetti sinottici che troviamo nelle nostre grammatiche, col mostrare i primi da un lato su di una
colonna e i secondi, in corrispondenza dei primi, sulla colonna accanto, si cerca di far risaltare, in un colpo d’occhio, tutti quei
meccanismi generativi che sono alla base della coniugazione (governati dall’analogia quando la coniugazione è regolare).
Implicitamente si mostrano, a chi sa usare la logica, quelle che poi saranno esplicitate come “regole grammaticali”. Perciò,
restando nell’ambito di questo particolare linguaggio tecnico, già potremmo dire che semplice si oppone a composto.
I tempi semplici sono, infatti, quelli che per ogni voce presentano una sola parola; mentre i tempi composti sono quelli le cui
voci sono formate da più di una parola (almeno due), cioè sono formate mediante il verbo ausiliare: avere, essere, venire,
diventare. A dire il vero con maggiore rigore scientifico dovremmo dire che i tempi definiti semplici contemplano voci verbali
morfologicamente strutturate (cioè una sola parola formata da più morfemi ognuno dei quali, come suffisso, aggiunge la sua
parte di significato: tempo, persona, singolare/ plurale. Una sola parola con tutte le etichette necessarie a caratterizzarla come
voce verbale.
I tempi composti invece poiché non si prestano a questa possibilità, hanno bisogno di utilizzare la voce del verbo ausiliare
(essere, avere, venire). Perciò questi tempi presentano voci verbali formate da due o più parole. Allora come abbiamo detto di
chiamare i tempi semplici con la dizione “morfologicamente strutturati”, così i tempi composti dovrebbero essere chiamati
perifrastici.
Se però prendiamo in esame la diàtesi passiva (esclusiva dei verbi transitivi), pur continuando a mantenere – i tempi – il nome
di semplici o composti, constatiamo che i tempi semplici sono formati questa volta da due parole (voce del verbo essere +
participio passato. Es. : “era visto”) e i tempi composti hanno, a loro volta, tre parole (voce composta di “essere” + participio
passato. Es. : era stato visto). Ancora una volta notiamo la convenzionalità nell’uso del segno linguistico. (Perché nel caso
della forma passiva del verbo anche i tempi semplici presentano voci perifrastiche).
Da tutto questo parlare siamo arrivati, in maniera empirica, a spiegare che in generale “semplice” innanzitutto significa
“formato” da un solo elemento, mentre “composto” significa “formato da più di un elemento”. Ma se guardiamo agli elementi
che compongono la parola (semplice, da sim-plex), più che “composto” (compositum = messo insieme, assemblato), dovrebbe
prevedere come suo opposto “complesso” (cum – plex). Perciò l’opposto di semplice è complesso. La stessa composizione
presentano: “duplice”, “triplice”, “quadruplice”, ecc. (numerali moltiplicativi).
Latino: sim-plex /du-plex / tri-plex / quadru-plex / quintu-plex, fino a com-plex.
Il tutto viene dalla radice indeuropea “sem” e dall’elemento suffissale “plex”.
La radice “sem” è alla base delle parole latine solus (uno solo), semel (una sola volta), e del numerale greco eîs, mía, én (uno,
una), che ha già perduto la s iniziale, e corrisponde, come si vede, al latino unus, una, unum (uno, una). L’elemento “plex”
viene da plico (piego) e significherebbe – all’origine – “piega” (avvolgimento su se stesso). Quindi: una volta, due volte –
vedete bene che anche in italiano c’è “il piegare”, espresso dalla parola “volta” – tre volte, ecc., fino a “complesso” (più
pieghe). Da complesso viene anche “complice” (piegato, abbracciato insieme: quindi associato alla stessa sorte, allo stesso
destino) e “amplesso” (ambi = di qua e di là, tutt’intorno + plex = avvolto [abbracciato]).
Esplicito e implicito
La parola “implicito” la usiamo per dire “sottinteso”, quando vogliamo dire che una cosa, anche se in maniera non chiara e
manifesta, è già contenuta nel discorso stesso.
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“Era implicito” significa quindi: “anche se non l’ho detto, lo si doveva capire da quello che ho detto”. Così, al contrario,
“esplicito” significa “detto chiaramente”. Oppure possiamo dire: “Esplicito significa “spiegato”; implicito significa “non
spiegato”. E approfondendo ulteriormente la questione, possiamo aggiungere poi che spiegato significa “fuori dalla piega”,
mentre implicito significa “dentro la piega”.
Per renderci conto di quello che sto dicendo ci basterà un po’ di latino. E anche un po’ di pazienza. Se ne avessimo, dell’uno e
dell’altra, vedremmo subito “spiegarsi” (quasi che uscissero dalle pieghe di un cartoccio) davanti agli occhi – e all’intelletto –
una serie di parole, tutte collegate alla stessa radice di “implicito ed esplicito” alla base delle quali c’è il verbo latino plico/
plicui/ plicatum/ plicare. (Tra queste aggiungerei anche semplice, già trattata in questa rubrica.
Il verbo plico/plicare significa infatti proprio: piego, faccio una piega, avvolgo, accartoccio. Ogni studente liceale sa che il
gruppo consonantico latino “pli” (di plico) in italiano è divenuto “pie” (es.: p l i c o = p i e g o). Allora, di conseguenza:
ex-plico = porto fuori dalla piega, spiego. E analogamente: in-plico = metto dentro la piega, chiudo nel plico, quindi nascondo.
E così abbiamo spiegato (fatto uscire dalla piega!) il significato di esplicito e implicito, nonché quello di plico (parola dotta
molto utilizzata negli uffici postali). E, sperando che il discorso si sia fatto esplicito (più chiaro !!!) ora, affido a voi il compito
di continuare l’approfondimento semantico e la ricerca lessicale dandovi l’avvio con qualche accenno, implicito (!!!) nel
quadro sintetico che segue.
Consigliandovi, inoltre, di andare a rileggervi anche il lemma “semplice” già pubblicato non molto tempo fa in questa stessa
rubrica, il cui elemento radicale “plex” è collegato alla radice “plic” di plico.
SCHEMA RIASSUNTIVO
Dal verbo latino: plico / plicui / plicatum / plicare, derivano:
Ad+plico ? applico (adatto ... nel plico o alla piega)
Cum+plico ? complico (metto insieme ... nel plico o nella piega)
Ex+plico ? esplico (porto fuori ... dal plico o dalla piega)
In+plico ? implico (metto nel plico o nella piega)
Re+plico ? replico (piego di nuovo)
Du+plico ? duplico
(piego due volte)
Tri+plico ? triplico
(piego tre volte)
Multi+plico moltiplico (piego molte volte)
Sim+plex ?semplice (una sola piega)
Com+plex complesso (molte pieghe insieme)
Nota: Lo stesso meccanismo di formazione (metaforico-semantico) che si è generato nella lingua latina con la radice “plic” del
verbo plico, si è ripetuto successivamente anche in italiano con l'uso della parola "volta" (voluta, avvolta, da volvo [ = volgere,
rotolare, far girare]) nelle espressioni : "Prima volta", “Un’altra volta”, “Due volte”, "C'era una volta", ecc. .
Luigi Casale
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