Fattore D - Gruppo Maggioli

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ASSOCIAZIONE NAZIONALE “DONNE
GEOMETRA”
Professione Geometra
Intervista esclusiva a
Maurizio Ferrera,
Professore dell'Università
di Milano ed editorialista
del Corriere della Sera
Fattore D
Il lavoro delle Donne farà crescere l’Italia
IL PROFESSOR MAURIZIO FERRERA SPIEGA IL PERCHE’
Maurizio Ferrera, spiega
perché la più grande
occasione per il nostro
futuro è semplice e
sorprendente:
fare largo alle donne.
Professione Geometra
Utili indicazioni
per 1
Associazione Nazionale “Donne Geometra”
Pagina
partecipare allo sviluppo
economico e sociale del
Paese.
Maurizio Ferrera è Professore Ordinario di Teoria e
Politiche dello Stato Sociale presso l'Università degli
Studi di Milano, Presidente della Graduate School in
Social, Economic and Political Studies nella stessa
Università, editorialista del Corriere della Sera.
E' stato visiting professor a Berkeley, alla London
School of Economics and Political Science (LSE), al
Juan March Institute e all'EUI.
E’ membro di numerosi comitati scientifici nazionali e
internazionali, fra cui: il Group of Societal Policy
Advisers presso la Commissione Europea, il Comitato
MAURIZIO FERRERA
Scientifico di Confindustria, il Comitato Direttivo del
Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi di
Torino. Fa inoltre parte del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Collegio
Carlo Alberto di Moncalieri, presso cui nel 2003 ha fondato URGE (Unità di Ricerca
sulla Governance Europea).
I suoi campi di ricerca principali sono la politica sociale comparata, con particolare
attenzione al caso italiano e allo sviluppo del welfare nei paesi occidentali. Si è
occupato di ricerca sui temi del sistema politico e riforma del mercato del lavoro in
Europa; la ristrutturazione territoriale dello spazio socio-politico in Europa. Ha
dedicato attenzione al modello sud-europeo di welfare: sfide e prospettive per lo stato
sociale in Italia, Spagna, Portogallo e Grecia
Autore di importanti pubblicazioni, tra cui “Governance e
politiche nell'Unione europea” in collaborazione con
Marco Giuliani, edito dalla casa Il Mulino, è stato
apprezzato per la pubblicazione del libro dal titolo “Il
fattore D” edito dalla Mondatori.
Con acume e leggerezza insegna a guardare al lavoro
femminile in modo rivoluzionario.
Spiega il perché, la più grande occasione per il nostro
futuro è semplice e sorprendente: fare largo alle donne.
LA COPERTINA DEL LI BRO
"FATTORE D"
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“Da anni l'Italia cresce poco o nulla :cresce poco dal punto di vista economico e
ancora meno sul piano demografico”; questo è quanto afferma Maurizio Ferrera,
docente all’Università degli studi di Milano.
Con uno stile singolare, sorpassa ogni tipo di congettura formulata dai
giornali,economisti e sociologi su quello che andrebbe fatto per rimettere in moto
il paese dalle
liberalizzazioni, ai mercati più efficienti, fisco più leggero,
investimenti in ricerca e innovazione e così via. Con la sua “genialità concreta” ,
punta senza alcuna esitazione ad una risorsa più importante, di cui si parla poco
e sempre nel modo sbagliato: il lavoro femminile.
E’ determinato nel sostenere che, "fare largo alle donne" e promuoverne
l'occupazione è diventato urgente non solo per ragioni di pari opportunità e di
giustizia sociale, ma soprattutto perché senza di loro l'Italia non cresce.
Puntare sul lavoro delle donne è oggi la scommessa più "conveniente" per l’intero
Paese.
Sono molti i sociologi, che dopo la trascinante analisi di Maurizio Ferrera, stanno
analizzando con occhio attento lo sviluppo del ruolo della donna all’interno delle
sfere lavorative. Nel nostro Paese, sostiene Maurizio Ferrera, sono troppe le donne
relegate in casa. L'Italia, senza rendersene conto, sta rinunciando a quello che
recentemente si è rivelato essere il vero motore dell'economia mondiale:
nell'ultimo decennio l'incremento dell'occupazione femminile negli altri paesi
sviluppati ha contribuito alla crescita globale più dell'intera economia cinese.
Il fattore D, il lavoro delle donne, è un elemento decisivo di crescita perché
garantisce più ricchezza alle famiglie.
Ma non solo: quante più donne lavorano, tanti più nuclei famigliari si
rivolgeranno al mercato per cercare soluzioni a quei problemi e a quei bisogni di
cui oggi si occupano le madri e le mogli che stanno a casa, dando così un forte
impulso alla sviluppo di una moderna economia dei servizi. Il che significa nuovi
posti di lavoro e una nuova ricchezza diffusa.
E significa pure meno culle vuote e meno bambini
poveri. Si tratta di tre fenomeni apparentemente
indipendenti, ma in realtà non è per nulla così.
Perché, al contrario di quanto siamo abituati a
pensare, una donna che lavora non per questo fa
meno figli. Lo dicono i dati demografici: l'Italia, in cui
lavora solo il 46 per cento della popolazione
femminile, conosce uno dei tassi di natalità più bassi
del mondo. Mentre nel resto dell'Occidente sta
succedendo, quanto è apparentemente meno
probabile: le donne che hanno un impiego, e che sono
aiutate a conciliare impegno professionale e vita
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domestica, sono quelle che mettono al mondo più figli e che sono in grado di
garantire loro buona educazione, tranquillità economica e un avvenire più sicuro.
Raffale Mauro in Donne Leader ha evidenziato come
Maurizio Ferrera, nel libro “fattore D” indica un percorso
rilevante per capire come la condizione economica delle
donne sia un fattore fondamentale per la crescita e lo
sviluppo di un’economia avanzata.
L’ampiezza ed il peso delle donne nel mondo del lavoro,
può infatti avere un impatto notevole sulla vita
produttiva, un contributo maggiore rispetto a quelle
politiche economiche oramai sperimentate,che hanno fatto registrare risultati
insoddisfacenti. Nel nostro Paese il numero di donne lavoratrici tra il 15 ed i 64
anni, è pari a circa il 46,3%, un dato inadeguato alla media dei Paesi sviluppati.
Inoltre è presente anche un elemento “qualitativo”, riguardante il tipo di
occupazioni ed il livello retributivo della popolazione femminile. Il Global Gender
Gap report 2007 del World Economic Forum, uno studio annuale riguardante la
condizione economica femminile, posiziona l’Italia all’84esimo posto su 128
nazioni, una ulteriore retrocessione rispetto al periodo in cui l’Italia era
posizionata al 77esimo posto. La classifica è composta da 4 sottoindici:
opportunità economiche, opportunità politiche, salute, e istruzione. La voce
peggiore è quella della partecipazione economica, dove il nostro Paese si colloca
101esimo, mentre la migliore è quella dell’istruzione, dove siamo 32esimi.
Maurizio Ferrera, propone un “modello Lego” di welfare,
fondato sulla flessibilità e sull’adattamento ai mutevoli
tempi di vita e di lavoro legati alle economie moderne. Un
modello,
basato
sul
potenziamento
dell’autonomia
individuale, tendente a ridurre gli ostacoli alla mobilità
sociale “ex ante”, tramite un forte investimento nella cura
dell’infanzia, nell’educazione primaria e nell’istruzione,
piuttosto che nel riparare i danni “ex post”. Tutto questo è
realizzabile con l’identificazione delle migliori politiche
esistenti in Europa e all’interno dell’Italia, come nel caso di
Reggio Emilia per gli asili. Le “best practices”, possono
essere studiate, esportate e riadattate nei territori, fissando standard qualitativi e
mantenendoli tramite operazioni di monitoraggio e valutazione continua. Per fare
questo è necessario generare una chiara e incisiva forma di consapevolezza
collettiva.
L’Associazione Nazionale “Donne Geometra”, sempre attenta alla mutazione
del ruolo femminile all’interno della Categoria, svolge un ruolo importante nel
sostenere il progresso e la valorizzazione delle donne nella professione,
incentrando quotidianamente l’operatività sull’ integrazione delle rispettive
differenze, contribuendo così alla crescita di una cultura generale, che potenzi
l’arricchimento di ogni fattore sociale, intellettuale, economico.
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Con quest’ ottica, ha ritenuto intervistare Maurizio Ferrera, traendo dai suoi studi
e consigli un indirizzo per centrare ulteriormente le mutazioni generazionali e
rispondere alle esigenze del nuovo mondo operativo a vantaggio della pluralità
professionale.
Domanda : Dottore, i suoi principali campi di
ricerca sono la politica comparata e l’analisi delle
politiche pubbliche, con particolare riferimento
alle
problematiche
dello
stato
sociale
e
dell’integrazione europea. In che modo le donne
dovrebbero contribuire alla risoluzione delle
problematiche oggetto dei suoi studi?
Ho dato la mia risposta nel volume “Il Fattore D”:
l’occupazione femminile può svolgere un ruolo
importantissimo per risolvere la crisi del welfare state
e la crescente vulnerabilità economica e sociale delle famiglie.
Domanda :Dai dati Eurostat si nota come sia forte il distacco tra aspirazioni
e realtà, molte donne vorrebbero lavorare ma non trovano le condizioni per
farlo. E’ cruciale in tal senso il ruolo delle politiche sociali e della
regolazione del mercato del lavoro?
Dai sondaggi d’opinione emerge una chiarissima indicazione: le donne
desiderano sia avere figli sia avere un’ occupazione, ossia un lavoro al di
fuori della famiglia. Non vogliono essere costrette a scegliere fra una cosa e
l’altra. L’intensità e il contenuto di queste preferenze (soprattutto per quanto
riguarda il numero di figli e la natura full time o part time dell’occupazione) registra
ovviamente ampie variazioni. In ciascun paese vi è una (piccola) quota di donne
che dichiara di non volere nessun figlio oppure nessun lavoro. Pur desiderando
entrambi, alcune donne dichiarano poi di attribuire maggiore priorità ai figli, altre al
lavoro: nel linguaggio sociologico le prime sono “family-oriented”, le seconde
“career-oriented”. Il grosso delle donne (più della metà, in media europea) si situa
però nel mezzo. Non esprime un ordine di priorità rigido e predefinito, ma
un’aspirazione a conciliare entrambi gli obiettivi, maternità e lavoro. Le politiche
sociali e la regolazione del mercato del lavoro (part time, tempi di lavoro ecc.)
giocano un ruolo cruciale per colmare il divario fra aspirazioni e realtà.
Domanda :Il substrato teorico del suo
ragionamento è la cosiddetta
“womenomics”, il filone di studi che analizza l’impatto economico delle
attività femminile. Il termine womenomics, e la prospettiva teorica ad esso
correlata, è spesso presente nella denominazione di convegni, articoli
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scientifici ed inchieste giornalistiche. Dottore, Lei sostiene che
tale
prospettiva di analisi sia valida per l’Italia in misura anche maggiore
rispetto al Giappone, visti i nostri bassi tassi di occupazione e gli ostacoli
per l’avanzamento di carriera. Perché?
Le donne sono diventate il vero motore
dell’economia
mondiale.
Nell’ultimo
decennio
l’incremento
dell’occupazione
femminile nei paesi sviluppati ha contribuito
alla crescita del PIL globale (quello di tutto il
pianeta) più dell’intera economia cinese. Se il
Giappone portasse la propria quota di donne
occupate ai livelli americani (ossia dal 58% al
68% circa), il suo tasso di crescita economica
aumenterebbe di quasi mezzo punto percentuale all’anno per almeno 20 anni.
L’Italia si trova in una situazione ben peggiore del Giappone. Da noi solo il 47%
delle donne partecipa al mercato del lavoro: uno dei valori più bassi d’Europa. Lo
scostamento è particolarmente marcato nelle regioni del Sud. Qui le donne che
lavorano sono meno del 30% (sommerso incluso). Ciò è in contrasto non solo con
quanto avviene negli altri paesi UE, ma anche con le aspirazioni delle donne
italiane, che oggi hanno livelli di scolarità persino più elevati degli uomini. Senza
una svolta decisiva nei flussi di partecipazione femminile al mercato del lavoro,
l’economia italiana è destinata a perdere terreno, sprecando prezioso capitale
umano.
Domanda : Dottore, Lei tra le tante sue pubblicazioni ha scritto un libro dal
titolo “fattore D” dove con notevole bravura spiega che un maggiore livello
di occupazione femminile creerebbe sicuramente un “moltiplicatore
economico”, aumentando la domanda di servizi di varia natura (asili nido,
cura degli anziani, ristorazione, servizi per le abitazioni), generalmente
svolti dal coniuge donna, che potrebbero essere esternalizzati, come accade
in molti paesi nordici. perché è così difficile far comprendere tale concetto?
Ricordiamo innanzitutto come funziona il “motore” dell’occupazione femminile.
L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro può portare due enormi vantaggi sotto
il profilo economico. Il primo e più ovvio è l' aumento del reddito delle famiglie. Se
anche la donna guadagna, le famiglie hanno maggiore capacità di consumo, di
risparmio, di investimento. Con un secondo impiego in famiglia diminuisce anche il
rischio di povertà e di vulnerabilità rispetto a eventi imprevisti: non solo per le
maggiori entrate, ma anche per la maggiore sicurezza collegata a un doppio
aggancio al mercato del lavoro (più conoscenze, più relazioni sociali, più tutele). Più
sicurezza significa anche più disponibilità ad assumere rischi, a scommettere sul
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futuro, ad accettare flessibilità e cambiamenti. L’occupazione femminile favorisce
così il dinamismo dell’economia e della società.
Il secondo enorme vantaggio dell' occupazione
femminile è che essa crea altro lavoro. Non è un
gioco di parole. Le famiglie a doppio reddito
consumano molti più servizi delle famiglie monoreddito: perché se lo possono permettere ma
anche perché non ne possono fare a meno, vista
la minore quantità di tempo a disposizione.
Secondo alcune stime, per ogni 100 donne che
entrano nel mercato del lavoro si creano fino a
15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi:
assistenza all' infanzia e agli anziani, prestazioni per i vari bisogni domestici,
ricreazione, ristorazione e così via. Sappiamo che nelle società post-industriali le
maggiori prospettive di incremento occupazionale si concentrano proprio nei servizi.
Dalle statistiche risulta che l' Italia ha un forte deficit di occupati proprio nel settore
dei servizi alle famiglie: circa 20% in meno rispetto a Paesi come gli Stati Uniti, l'
Inghilterra, l'Olanda o la Danimarca. Il nostro Paese è come intrappolato in un
circolo vizioso: la scarsità di servizi è collegata alla bassa partecipazione lavorativa
delle donne, che a sua volta è collegata alla scarsità di servizi. Bisogna spezzare
questo circolo e accendere al più presto il motore dell’occupazione femminile e
sfruttare i suoi tanti “moltiplicatori”.
Il ragionamento è in se abbastanza semplice, ma fa ancora molta fatica ad
affermarsi, soprattutto fra i decisori politici. Per questo è importante impegnarsi in
una vera e propria “battaglia” della persuasione.
Domanda: Dott.Ferrera, è statisticamente
provato che
le donne che hanno un
impiego, e che sono aiutate a conciliare
impegno professionale e vita domestica,
sono quelle che mettono al mondo più
figli e che sono in grado di garantire loro
buona educazione, tranquillità economica
e un avvenire più sicuro. In Italia, invece
in
cui lavora solo il 47% della
popolazione femminile, è uno dei paesi in
cui si registra uno dei tassi di natalità più bassi del mondo, perchè?
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Il nostro Paese soffre di una sindrome non solo preoccupante, ma anche
paradossale: troppe donne a casa e culle vuote, o quasi. I sondaggi ci dicono
che le coppie italiane vorrebbero avere il doppio dei figli che effettivamente hanno.
La decisione di procreare non dipende, è ovvio, solo dalle madri. Ma la società
italiana sembra organizzata apposta per rendere molto difficile la conciliazione fra
maternità, lavoro e aspirazioni economiche (incluse quelle di carriera) delle donne.
Per convincersene, basta osservare ciò che capita a quante ci provano: impegni e
fatiche da Superwomen. Le politiche di conciliazione devono essere messe al
centro dell’agenda per le riforme: per sbloccare l’economia, ma anche la
demografia, e sconfiggere quella sindrome di anoressia riproduttiva di cui l’Italia
sembra essersi ammalata.
Domanda : Secondo Lei, a cosa è dovuta la rinunzia da parte delle donne
alla meternità ?
Al di là dei motivi di salute spiccano però due
ordini di ragioni: le difficoltà economiche e la
difficoltà di combinare lavoro e famiglia. I motivi
economici tendono a prevalere fra le coppie dove
la donna non lavora. Le difficoltà di conciliazione
prevalgono soprattutto fra le coppie in cui la
donna lavora. Insomma: laddove non è il
risultato di problemi biologici, la rinuncia è in
larga misura dovuta al problematico rapporto
fra donne e mercato del lavoro. Se la donna non lavora, l’accudimento dei figli non è
un problema ma la situazione economica della famiglia resta vulnerabile e
l’espansione della famiglia rischia di provocare forti tensioni nel bilancio familiare.
Se la donna lavora, la situazione economica è più florida e stabile, ma combinare
lavoro e figli diventa un grosso problema, al punto che molte donne sono costrette a
smettere tout court di lavorare dopo il primo figlio. Scilla e Cariddi: per non
naufragare, le coppie italiane si arrendono alla bassa fecondità.
Domanda : In Italia ci sono molte meno donne al vertice rispetto alla media
europea, ma l’analisi sulle società di capitali evidenzia come le imprese
guidate dalle donne vadano meglio rispetto alle altre (guidate da soli
uomini): accrescono più velocemente i ricavi, generano più profitti, hanno
minore probabilità di peggiorare la loro classe di rating e minore rischio di
default. Insomma, esisterebbe un vero e proprio “D factor”. Allora, secondo
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Lei, come si spiega che nei consigli di amministrazione le donne sono
sempre molto poche?
Alle resistenze e agli stereotipi di natura culturale, alla persistenza di pratiche
organizzative che tendono a favorire gli uomini tutte le volte che si creano
opportunità di promozione. Insomma ai tanti soffitti di cristallo che ancora
irrigidiscono le imprese italiane, più di quelle straniere.
Domanda : Le libere professioni in Italia fino a ieri considerate al maschile,
stanno riscuotendo un notevole incremento da parte delle donne. Cosa
consiglia in particolare alle donne geometra per integrarsi all’interno di una
professione tutta al maschile e cosa suggerisce agli uomini per collaborare al
cambio di mentalità – concretizzando un nuovo modo di essere, comunicare
e operare?
Da quello che ho potuto vedere sul vostro sito, le
“Donne Geometra” sono già attivamente impegnate
a far valere il loro “Fattore D”. L’obiettivo delle
professioniste italiane dovrebbe essere quello di “fare
sistema”, di raccordarsi maggiormente fra categorie,
di trasformarsi in un gruppo di interesse e di
pressione (nel senso “nobile” di questo termine)
capace di chiedere nuove politiche pubbliche per la valorizzazione dei talenti
femminile e la rimozione dei tanti, troppi soffitti di cristalli, compresi quelli di natura
culturale e psicologica.
Al termine di questa intervista, Le formuliamo
pubblicamente i nostri sentiti ringraziamenti, per averci
consentito di conoscere molti aspetti dello studio al
quale Lei ha dedicato considerazione e una attenta
analisi, rendendoci maggiormente responsabili nella
valutazione di ogni programma e iniziativa, partecipando
così all’effettivo sviluppo delle “donne geometra”,
all’interno dell’economia del Paese, anche in relazione
all’integrazione con i colleghi, interpretando tra l’altro il pensiero di Paul
Valery : arricchiamoci delle rispettive differenze.
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L’integrazione non è un fenomeno da individuare esclusivamente con le
“quote rosa”, ma uno strumento fondamentale per la prosperità economica
collettiva, della quale siamo tutti chiamati a esserne responsabili.
Il benessere economico, deve essere garantito ad ogni individuo per poter
godere di una libertà interiore,che favorisce creatività, stabilità psicologia,
positività tale da riversare su ogni aspetto della vita. I principi morali e
democratici sono il fondamento della nostra cultura.
Grazie Professore !!!!!
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