indicazioni ortopediche al taglio cesareo

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INDICAZIONI ORTOPEDICHE AL TAGLIO CESAREO
M.Carbone*, V.Barresi, G. Zito, I. Fantasia, C. Businelli, M. tropea
*Unità Operativa di Ortopedia e Traumatologia,
Struttura Complessa di Ginecologia ed Ostetricia,
Burlo Garofolo di Trieste.
INTRODUZIONE
Nel complesso fenomeno del parto spontaneo fisiologico sono implicati i seguenti fattori: il corpo mobile, la
forza ed il canale del parto; quest’ ultimo è costituito a sua volta dal cingolo osseo del bacino rivestito dalle
sue parti molli.
Prima di analizzare nel dettaglio le condizioni di interesse ortopedico che configurano l’impedimento al
passaggio del feto durante le fasi del parto, è necessario riconsiderare brevemente l’anatomia del bacino
femminile.
Nel suo insieme il canale osseo può essere paragonato ad un cilindro irregolare, con asse ricurvo in avanti.
Nella sua porzione craniale risulta costituito dal grande bacino che a sua volta si trova compreso tra il piano
delle creste iliache e lo stretto superiore che costituisce l’ingresso del piccolo bacino. Quest’ultimo si
presenta rigido ed inestensibile.
La parete anteriore misura 4-4,5 cm ed è costituita dalla faccia posteriore della sinfisi pubica; la parete
posteriore misura invece 12,5 cm ed è rappresentata dalla faccia anteriore del sacro e del coccige. Le pareti
laterali sono costituite dalla faccia mediale delle ossa pelviche (ileo, ischio e pube) al di sotto della linea
innominata e nella loro parte più ampia misurano circa 9 cm.
Nel piccolo bacino distinguiamo: lo stretto superiore, lo scavo pelvico e lo stretto inferiore.
Lo stretto superiore si presenta orientato in avanti e forma con il piano orizzontale l’angolo di inclinazione
pelvica, all’incirca 60° di ampiezza. E’ delimitato posteriormente dal promontorio sacro-lombare (angolo
formato da L5 ed S1), lateralmente dalla linea innominata e dall’eminenza ileo pettinea, ed anteriormente
dal margine superiore del ramo ascendente del pube e dal margine superiore della sinfisi pubica. Per
valutare l’adeguatezza delle sue dimensioni l’ostetrico si serve della valutazione dei diametri dello stretto
superiore.
Il diametro antero-posteriore o coniugata anatomica, esteso dal promontorio sacro-vertebrale al bordo
superiore della sinfisi pubica; normalmente misura 11 cm. La coniugata “ostetrica” o “vera” misurata dal
promontorio al punto più sporgente della sinfisi pubica, che misura usualmente 10,5-10,8 cm. I diametri
obliqui congiungono il punto di mezzo dell’eminenza ileo pettinea di un lato con la sinfisi sacro-iliaca contro
laterale e misurano in genere 12,0-12,5 cm, il sinistro solitamente supera di qualche millimetro il destro. Il
diametro trasverso massimo (13,5 cm) congiunge i due punti più distanziati della linea innominata, mentre
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il trasverso medio è parallelo al precedente ma passante per l’intersezione dei due obliqui e misura
normalmente 12 cm.
Lo scavo pelvico è collocato al di sotto dello stretto superiore; ha forma irregolarmente cilindrica, ed è
delimitato anteriormente dalla sinfisi pubica, lateralmente dalle ossa iliache al di sotto delle linee
innominate e posteriormente dalla faccia anteriore del sacro e del coccige. Ai fini della meccanica del parto
il diametro più importante dello stretto medio è il bispino-ischiatico che di norma misura 10,5-11 cm. Il
diametro antero-posteriore il più accogliente dello stretto medio si estende dal sacro al vertice dell’arcata
sottopubica e misura in media 11 cm.
Infine lo stretto inferiore, la parte finale del canale pelvico, è delimitato posteriormente dall’apice del
coccige, lateralmente dalle tuberosità ischiatiche e dalle branche ischio pubiche, anteriormente dal vertice
dell’arcata sottopubica. Anche in questo caso consideriamo i diametri dello stretto: diametro trasverso o
bituberoso, teso tra le tuberosità ischiatiche, che misura in media 11 cm. L’antero-posteriore, il diametro
che consente il passaggio del maggior diametro della parte presentata fetale, è esteso dal punto più
prominente dell’arcata sottopubica all’apice del coccige, misura 9-10 cm, tuttavia per la retropulsione del
coccige può raggiungere 12-12,5 cm nella fase espulsiva.
In ultima analisi è d’obbligo descrivere la coniugata diagonale, che si estende dal vertice dell’arcata
sottopubica al punto di mezzo del promontorio sacro vertebrale e misura da 12,5 a 13 cm, si tratta di un
diametro di grande importanza pratica poiché è l’unico misurabile clinicamente senza l’ausilio di mezzi
strumentali e perché sottraendo dal suo valore 1,5-2 cm, si ottiene il valore della coniugata ostetrica (6,8).
Sulla base di quanto premesso, si possono quindi distinguere condizioni di patologia ortopedica che
costituiscono una indicazione assoluta al taglio cesareo, mentre altre situazioni ne possono rappresentare
l’indicazione relativa, che dipende dalle condizioni locali e generali della paziente, dall’ambiente nel quale si
verifica il parto, e dalle capacità e dall’esperienza dello specialista ostetrico.
Le condizioni ortopediche che costituiscono indicazione assoluta al taglio cesareo sono quelle che
comportato una insufficiente ampiezza del canale del parto, nella statica e nella dinamica.
L’osteotomia di bacino secondo Chiari è una osteotomia trasversa sopra-acetabolare, nella quale il
moncone craniale dell’ileo viene lateralizzato (3,12). Quale conseguenza della relativa medializzazione del
blocco ischio-pube-acetabolo, si ha una sensibile riduzione del diametro trasverso del bacino. Questa
situazione è ancora più evidente nei casi, non rari, di osteotomie di Chiari bilaterali. Le indicazioni a questa
osteotomia di bacino in età pediatrica sono diverse, legate prevalentemente al trattamento della lussazione
congenita dell’anca, con la finalità di ampliare la cavità acetabolare aumentandone la congruenza con
l’epifisi femorale (4); e nel trattamento degli esiti di morbo di Perthes, con lo scopo di modificare il carico al
quale l’articolazione viene sottoposta (figura 1).
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Figura 1
Paziente di anni 10, osteotomia di Chiari a destra per esiti di m. di Perthes. La dislocazione
mediale dell’acetabolo comporta una riduzione del diametro traverso dello stretto superiore, che si
accentua ulteriormente in caso di bilateralità del trattamento.
La spondilolistesi è una soluzione di continuo dell’istmo (spondilolisi), quella parte dell’arco vertebrale
compreso fra l’apofisi articolare superiore e inferiore, con un conseguente scivolamento anteriore del
corpo vertebrale soprastante (1,7). Si tratta si una patologia quasi sempre congenita, che interessa più
spesso la quinta vertebra lombare (spondilolistesi L5-sacro). La malformazione comporta una condizione di
displasia del passaggio lombosacrale: nelle forme più gravi (ad alta displasia) lo scivolamento è più
accentuato, superiore al 50% nella classificazione di Meyerding, fino alla spondiloptosi, condizione nella
quale il soma di L5 si trova anteriormente al sacro (10). A queste situazioni consegue una riduzione anche
grave del diametro antero-posteriore del bacino, con un promontorio apparentemente dislocato in avanti
(figura 2).
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Figura 2
Spondilolistesi di 3° di L5 sul sacro in una paziente di 15 anni. Uno scivolamento di questa gravità
comporta un cospicuo accorciamento del diametro antero-posteriore del canale del parto.
Il trattamento delle forme ad alta displasia è sempre chirurgico, ma non è univoco anche se la maggior
parte dei chirurghi vertebrali ritiene che la fissazione vertebrale con strumentario metallico debba essere
associata a una riduzione dello scivolamento.
Gli esiti delle fratture e delle fratture-lussazioni di bacino, specialmente di quelle non trattate
correttamente, possono essere causa di un restringimento del canale del parto a tutti i livelli. Negli ultimi
anni il trattamento di queste lesioni traumatiche, con lo studio di vie di accesso dedicate e con strategie
condivise di osteosintesi, tende alla ricostruzione precisa dell’anatomia regionale, rendendo così possibile
un successivo parto per vie naturali. Una particolare attenzione deve essere rivolta comunque alla presenza
di mezzi di sintesi che ostacolino l’articolarità delle sacro-iliache, o che blocchino la sinfisi pubica: queste
condizioni possono costituire infatti una indicazione relativa al taglio cesareo.
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La coxa protrusa rappresenta la forma più grave della malformazione dell’anca caratteristica della “coxa
profunda”, più frequente (70-80% dei casi) nel sesso femminile (5). L’acetabolo si presenta bilateralmente
come affondato nell’ileo, e procide in maniera anomala all’interno del bacino, portandosi medialmente alla
linea innominata. Questa condizione è già evidente in tutta la sua gravità in età pediatrica, anche se
asintomatica nella maggior parte dei casi, ed è presente quindi già nella giovane adulta in età fertile.
Gli esiti di malattie reumatiche o settiche dell’ articolazione sacroiliaca, se di una certa gravità, possono
comportarne una limitazione dell’articolarità, indispensabile nella fase espulsiva del parto, nei movimenti di
nutazione, per portare posteriormente il coccige e rendere di dimensioni adeguate il diametro anteroposteriore dello stretto inferiore.
Le indicazioni relative al taglio cesareo riguardano diverse patologie ortopediche che, pur non interessando
direttamente il bacino, colpiscono regioni quali il rachide e gli arti inferiori nei quali la motilità e la
possibilità di assumere una determinata posizione possono essere giudicate necessarie dallo specialista
ostetrico per l’espletamento del parto per vie naturali. A tale proposito, è d’obbligo un breve richiamo ai
fenomeni meccanici del parto fisiologico; ricordando che la progressione fetale nel canale del parto è resa
possibile dalla forza esplicata dalle contrazioni uterine e dall’intervento del così detto torchio addominale,
cioè la contrazione della muscolatura della parete addominale e del diaframma. Quando, durante la fase
espulsiva, la contrazione della muscolatura addominale è sincrona alla contrazione uterina, si genera una
pressione endouterina tale da permettere l’espulsione del feto. La mancanza o il deficit delle forze ausiliarie
del parto non lo compromette definitivamente, ma può causare difficoltà e rallentamenti nello svolgimento
dello stesso.
Il travaglio e il parto rappresentano un fenomeno dinamico, un succedersi di eventi in cui il movimento si
traduce in adattamento.
Varie sono le posizioni adottate dalle donne durante la fase espulsiva del parto nelle diverse epoche
storiche e nei diversi paesi.
La posizione distesa, orizzontale, litotomica, sdraiata sulla schiena; quindi le posizioni verticali, in cui il
tronco è posto verticalmente e il bacino risulta libero di muoversi (in piedi, accovacciata, seduta, a carponi
e inginocchiata), sono le preferite dalle donne di diverse culture fin dal passato ma richiedono la perfetta
integrità delle strutture osteoarticolari degli arti inferiori.
Il trattamento delle forme gravi di scoliosi idiopatica dell’adolescente, patologia più frequente nel sesso
femminile, può richiedere un intervento chirurgico correttivo, che comprende una riduzione della
deformità vertebrale, con apposizione di strumentario metallico, e la sua artrodesi, cioè la fusione dei
metameri vertebrali interessati dalla curva. Il chirurgo vertebrale seleziona l’area da sottoporre ad
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intervento, per limitare una eccessiva rigidità a livello lombare, risparmiando il maggior numero di dischi
intervertebrali caudali alla deformità (9,11). A volte, in presenza di gravi curve lombari, può essere però
indispensabile estendere l’artrodesi a L4 o persino a L5. In questi casi è limitata la possibilità di flettere il
tronco, e la forza del torchio addominale può essere diminuita (figura 3).
Figura 3
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Artrodesi vertebrale estesa fino a L4 nel trattamento di una scoliosi congenita. La riduzione
dell’articolarità in flesso-estensione del rachide lombare potrebbe costituire una indicazione relativa
al taglio cesareo.
Occorre considerare inoltre come in un rachide sottoposto ad artrodesi vertebrale posteriore possa
risultare impossibile l’accesso al canale vertebrale per l’esecuzione di una analgesia peridurale.
Tutte le condizioni che comportino una rigidità, anche monolaterale, dell’anca, costituiscono una
potenziale limitazione nell’assumere la posizione corretta (coricata, seduta o accucciata) per realizzare una
spinta efficace. Fra le patologie congenite o acquisite che possono portare a esiti anchilotici dell’anca,
occorre ricordare la lussazione congenita dell’anca, e più frequentemente l’osteonecrosi della testa del
femore. Quest’ultima è legata a una interruzione della vascolarizzazione dell’epifisi prossimale del femore
con necrosi osteocondrale, parziale o totale. Può essere idiopatica, interessando anche il giovane adulto, o
secondaria; tra queste, per la frequente bilateralità e per la gravità, è rilevante quella causata da un
protratto trattamento cortisonico (più spesso per patologie di tipo reumatico od oncologico)(2). Appartiene
infine a questo gruppo un esito di intervento chirurgico, che fa parte della storia dell’ortopedia: l’ artrodesi
dell’anca, il blocco chirurgico dell’articolazione malata; questo intervento viene eseguito raramente, per le
stesse indicazioni infatti oggi si preferisce impiantare una artroprotesi totale.
Infine, è possibile che una situazione patologica congenita o acquisita che sia causa di rigidità articolare in
estensione di un ginocchio, possa limitare, allo stesso modo che per l’anca, ma in misura minore, le capacità
di spinta della paziente. Per la frequenza maggiore occorre ricordare fra le forme acquisite i traumi recenti
(distorsioni gravi, fratture, anche sottoposte a riduzione chirurgica, con eventuale immobilizzazione
temporanea con ortesi in estensione) e i loro esiti.
Le conclusioni che si possono ricavare da questa breve relazioni sulle indicazioni ortopediche al taglio
cesareo sono le seguenti. La mancanza di riferimenti a questo argomento nella letteratura scientifica ci ha
portato ad esaminare le condizioni di patologia ortopedica che possono influenzare i diversi fattori che
devono interagire per realizzare il parto per vie naturali. Nella clinica quotidiana è comunque l’esperienza
dell’ostetrico che consente una valutazione obiettiva dei dati anamnestici e clinici che portano a questa
indicazione, con l’eventuale supporto del consulente ortopedico.
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12. Toennis D., “Congenital Dysplasia and Dislocation of the Hip”, Springer-Verlag, 1984, Cap. 25.
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