Facoltà di Ingegneria:
Corso di laurea in ingegneria dei materiali
METALLURGIA DEI METALLI NON FERROSI
Anno Accademico 2000-01
Trattamenti galvanici dei metalli
Studente: Fossen Omar 1638IM
Docente: Diego Colombo
INDICE:
1. Trattamenti galvanici
 Generalità
 Attrezzature
2. Sgrossatura dei metalli
 Tipologie di sporco
 Lavaggio
 Tipi di sgrassanti
 Processi di sgrassaggio
 Neutralizzazione
 Problemi ecologici
3. Pretrattamenti di elettrodeposizione
 Prenichel e presame
4. Ramatura
 Bagni al cianuro di rame
 Bagni al solfato di rame
 Bagni al pirofosfato
 Bagni al fluoborato
 Analisi chimica dei bagni di ramatura
5. Nichelatura
 Generalità
 Composizione
 Analisi chimica del bagno di nichelatura
6. Cromatura
 Teoria della cromatura
 Generalità
 Reazioni elettroniche
 Cromo decorativo
 Sviluppo dei principi della riduzione elettrolitica dell’acido cromico
 Stato presente della teoria della deposizione del cromo
 Processi anodici
 Struttura e proprietà del deposito di cromo
 Caratteristiche del cromo elettrodeposto
 Tensioni interne
 Proprietà meccaniche
 Durezza e resistenza all’abrasione
 Riflettività
 Coefficiente di attrito
 Proprietà chimiche
 Contenuto di gas
 Comportamento alla corrosione
 Costituenti di un bagno di cromo e loro azione
 Generalità
 Catalizzatori
 Il cromo trivalente
 Additivi speciali
 Bagni da cromo trivalente

Influenza delle condizioni operative sulle proprietà dei depositi di cromo
 Lucentezza e colore
 Durezza e resistenza all’abrasione
 Relazione tra durezza e resistenza all’abrasione
 Effetto della concentrazione del cromo
 Influenza dei catalizzatori
 Influenza dei vari cationi
 Proprietà meccaniche
 Contenuto di gas
 Influenza della densità di corrente e della temperatura
 Protezione della corrosione
 Metodi operativi su soluzioni di cromatura
 Conducibilità elettrica
 Rendimento di corrente
 Potere penetrante e coprente
 Misura del potere penetrante col sistema Haring-Blum
 Deposizione tecnica di cromo
 Generalità
 Deposizione di cromo lucido
 Depositi intermedi
 Pretrattamenti meccanici e chimici
 Intelaiatura
 Elettroliti
 Risciacquo e trattamenti successivi
 Campi di applicazione
 Analisi dei costituenti fondamentali di un bagno di cromatura
7. Trattamenti finali con metalli comuni
 Lega nickel – stagno
8. Trattamenti finali con metalli preziosi
 Argentatura
 Doratura
 Platinatura
 Rodiatura
 Palladiatura
 Palladio – nickel
 Rutenio
 Determinazione dei metalli preziosi nelle soluzioni galvaniche
 Strumentazione per l’analisi spettrofotometrica ad assorbimento atomico
TRATTAMENTI GALVANICI
1) GENERALITÀ
Lo scopo fondamentale di una finitura galvanica è ottenere un deposito il cui effetto
persista per un periodo almeno pari alla vita media dell’oggetto su cui è applicato. Questo
periodo non è di semplice definizione tuttavia esiste qualche condizione su cui ci si può
basare per ottenere un risultato soddisfacente.
Innanzitutto bisogna individuare l’ambiente in cui il sistema opera. Sarà quindi utile
fare delle prove potenziometriche per definire una scala delle nobiltà relativa all’ambiente
dei metalli interessati al processo compreso il metallo base. In questo caso lo strato
esterno, per poter mantenere intatte tutte le sue caratteristiche estetiche, dovrà fornire
una protezione catodica, cioè avere il massimo di nobiltà possibile.
Stabilita tale scala si potrà definire una successione di depositi conveniente
economicamente e di valore tecnico. In genere l’oggetto da rivestire richiede un
rivestimento livellato e lucido per eliminare imperfezioni provenienti dalle lavorazioni
meccaniche precedenti. I depositi che soddisfano a queste condizioni sono la nickelatura
lucida e la ramatura lucida.
Uno o entrambi di questi depositi diventano necessari per conferire le proprietà
anzidette indipendentemente dal valore del potenziale del materiale base. E’ buona
norma in questo caso che la successione dei depositi segua una scala dei potenziali
crescenti nel senso della nobiltà dall’interno verso l’esterno in modo che la differenza fra
uno strato ed il successivo non superi i 200 mV.
In queste condizioni la possibilità che si verifichi una corrosione per contatto fra due
strati successivi risulta notevolmente ridotta a causa dell’intervento dei fenomeni di
polarizzazione dei due elettrodi che assorbono una buona parte del potenziale disponibile
rendendo così trascurabile la corrente di corrosione. Affinché questo sia verificato è
necessario che i depositi non siano porosi altrimenti si può avere contatto fra due strati
non confinanti per intercessione di un elettrolita.
La porosità, che è insita in ogni rivestimento, può essere limitata sfruttando lo
spessore del deposito almeno dove l’aspetto economico lo consenta. Oltre alle porosità
anche le criccature indotte da sforzi esterni possono provocare il contatto fra strati non
adiacenti. Questo succede generalmente quando il deposito è fragile e di elevato
spessore.
Da quanto detto è necessario stabilire una successione degli strati che tenga conto
dei seguenti parametri:




Scala delle nobiltà dei metalli interessati compreso il metallo base.
Aspetto qualitativo del metallo base per poter definire gli spessori di nickel e/o
rame al fine di avere depositi lucidi e livellati.
Tipo di finitura metallica che definisce l’aspetto estetico e la resistenza agli
aggressivi chimici e meccanici.
Metalli intermedi che soddisfino alle condizioni elettrochimiche precedentemente
dette tenendo conto degli aspetti fisici (durezza e porosità) e degli aspetti
economici.
L’aspetto economico si riferisce in genere al costo del metallo nobile depositato in
quanto molto superiore rispetto a tutti gli altri costi generali di deposizione.
Per quanto riguarda l’aspetto corrosivo si riportano due scale della nobiltà crescente
in due ambienti diversi che possono essere rappresentativi delle condizioni d’uso per
bigiotteria e montature per occhiali, cioè oggetti che vengono a contatto con la pelle e
soggetti quindi a sudore o all’azione di corrosione salina.
Soluzione cupro salina acetica
Rame
Alpaca
Nickel
Argento
Oro
Palladio
Platino
Rutenio
Sudore artificiale
Alpaca
Nickel
Rame
Argento
Oro
Platino
Palladio
Rutenio
Composizione della soluzione cupro salina acetica:
Cloruro di Sodio
Acido Acetico
Cloruro Rameico biidrato
PH
Temperatura
NaCl
CH3COOH
CuCl22H2O
50 g/l
10 g/l
0.26 g/l
3.0 – 3.1
20 °C
Composizione soluzione sudore artificiale:
Cloruro di Sodio
Acido Lattico
Urea
PH
Temperatura
NaCl
CH3CHOHCOOH
H2N-CO-NH2
10 g/l
1 g/l
1 g/l
4.7
20°C
2) ATTREZZATURE
. In qualsiasi trattamento galvanico la soluzione elettrolitica è contenuta in una
vasca, normalmente rettangolare, costituita in materiale polimerico inerte rispetto alla
soluzione e cioè PVC e PP. Il PP ha una miglior resistenza alla deformazione a caldo ma
non resiste ad ambienti ossidanti (ad esempio cromati). Se le vasche sono di dimensioni
elevate è più economico utilizzare una struttura portante in acciaio e rivestirla con un
foglio da 2-3 mm di PVC o PP. Sui due fianchi più lunghi della vasca vengono fissati
appesi ad una barra metallica gli anodi. Questi possono essere costituiti da anodi attivi
che si ossidano durante l’elettrolisi fornendo ioni alla soluzione dello stesso tipo di quelli
che si vanno depositando al catodo. Oppure possono essere di tipo inerte quali titanio o
titanio platinato che non partecipano alla reazione anodica ma fanno solo da supporto alla
stessa per lo scambio elettronico alla loro superficie. Se gli anodi sono di tipo solubile,
come nel caso della ramatura o della nichelatura, gli stessi andranno introdotti in piastre
rivestiti con sacchi filtranti di meraklon per evitare che particelle che si staccano
dall’anodo possano andare a depositarsi al catodo provocando scarti. E’ diventato di uso
comune l’utilizzo di anodi solubili in forma di quadretti, discoidi o sfere di piccole
dimensioni che vengono introdotti in cestelli di rete di titanio. In questo modo risulta più
semplice mantenere costante la superficie anodica con un rabbocco frequente di
materiale. Anche in questo caso è d’obbligo l’uso del sacchetto di protezione in meraklon.
Sopra la vasca, disposta centralmente rispetto alle due barre anodiche viene
posizionata la barra catodica su cui vengono disposti i pezzi da trattare. Questa potrà
essere dotata di movimentazione longitudinale e parallela agli anodi. In questo modo le
linee di corrente subiranno continuamente una modifica di percorso andando ad investire
anche zone del catodo che rimarrebbero altrimenti meno favorite. Un secondo effetto
della movimentazione è rappresentato dalla azione della soluzione sullo strato limite
catodico che viene continuamente rimosso favorendo i fenomeni di diffusione
all’interfaccia. La superficie anodica dovrà in genere essere almeno doppia della
catodica.
Se la soluzione opera a caldo bisogna dotare la vasca di un sistema di
riscaldamento che può essere a vapore oppure a energia elettrica. Nel primo caso la
serpentina, all’interno della quale circola il vapore, dovrà essere in titanio per evitare
fenomeni di corrosione. Nel secondo caso, valido in particolare per piccoli impianti, si
utilizzano resistenze elettriche protette da una camera in ceramica oppure da un
rivestimento in teflon. Per controllare la temperatura si utilizzano termostati con
regolazione PID (Proporzionale , Integratore, Derivatore) o PI .
Per mantenere la omogeneità della temperatura nella soluzione questa viene agitata
mediante una pompa di ricircolo esterna che ha una portata oraria di 10-20 volte il
contenuto della vasca. A tale pompa è collegato un sistema filtrante con filtri in carta o in
polipropilene che asportano in continuo dalla soluzione eventuali particelle solide
provenienti o da pezzi che cadono sul fondo della vasca o dagli anodi per rottura del
sacco di contenimento.
Per evitare che una diminuzione del livello del liquido nella vasca metta allo
scoperto gli oggetti da trattare o la resistenza elettrica per il riscaldamento, con
conseguenze alle volte anche molto onerose, è conveniente dotare le vasca di un
sensore di livello che intercetti il comando del riscaldamento e quello della pompa e dia
l’allarme.
Un altro elemento importante a corredo della vasca di trattamento è il dosatore
automatico dei brillantanti. Mentre la concentrazione dei sali può variare entro intervalli
sufficientemente larghi ,la concentrazione degli additivi brillantanti non può variare molto
per poter mantenere sufficientemente costante la finitura. Siccome il consumo di queste
sostanze è funzione preponderante della quantità di corrente che passa nella soluzione si
adottano delle pompe dosatrici la cui portata è funzione degli amperora utilizzati. Con
questo sistema il controllo della soluzione può essere notevolmente ridotto.
I telai di supporto dei pezzi da trattare sono costituiti in ottone con ganci
generalmente in acciaio armonico. Il tutto, con l’esclusione del contatto alla barra catodica
ed il contatto dei pezzi, va ricoperto con plastisol di PVC per evitare il deposito su parti
non richieste.
Infine si utilizza un raddrizzatore di corrente che converte la corrente alternata in
continua mediante ponti a diodi o triristori in accoppiamento con condensatori per rendere
l’onda di corrente più lineare possibile. La tensione a cui si opera arriva ad un massimo di
6-8 V per cui non vi sono problemi di sicurezza anche nell’aggancio manuale dei telai
portapezzi sulla barra catodica.
E’ comunque doveroso che tutti i servizi elettrici collegati alla vasca e cioè: pompa,
raddrizzatore, riscalcaldatore e movimentazione catodica siano dotati di interruttore
differenziale per proteggere l’operatore da eventuali perdite elettriche visto che può
essere necessario intervenire manualmente durante le operazioni di elettrodeposizione.
SGRASSATURA DEI METALLI
1. TIPOLOGIE DI SPORCO
In una produzione industriale i pezzi grezzi che provengono dalle lavorazioni
meccaniche possono essere contaminati da materiali estranei raccolti durante il ciclo
lavorativo. Inoltre anche le condizioni ambientali e i tempi di lavorazione o di sosta fra una
lavorazione e l’altra possono modificare le condizioni superficiali del materiale andando ad
influire sulle operazioni galvaniche successive. Le tipologie di sporco più comuni sono:










ossidazioni spontanee all’ambiente
scaglie di ossidi dovuti a riscaldamenti o saldature
grassi bruciati
oli da trafila o stampaggio
impronte digitali
agenti per burattatura e pulitura
impronte di guanti
agenti protettivi anti corrosivi
flussanti per saldatura
inchiostri di stampigliatura
Dal punto di vista chimico gli sporchi possono essere suddivisi in tre categorie:
1. Organici: Sono tipicamente i lubrificanti utilizzati nelle operazioni meccaniche di
trafilatura e stampaggio. Possono essere derivati del petrolio o sintetici. Fanno
parte di questa categoria i saponi, gli oli grassi e le cere.
2. Inorganici: Sono ossidi, scaglie di riscaldamento o di saldatura.
3. Misti: Impronte di guanti sporchi, flussanti di brasatura, oli bruciati da operazioni di
tempra o ricottura.
Normalmente la rimozione non è una operazione semplice perché lo sporco ha
composizioni non sempre definite e costanti. In particolare ha molta influenza il periodo di
invecchiamento dello sporco a contatto con il pezzo. Tempi lunghi di contatto comportano
maggior difficoltà per l’intervento di reazioni fra metallo e sporco, specialmente nel caso di
sostanze organiche che possono subire ossidazione. E’ quindi importante ridurre al
minimo il tempo di permanenza dei pezzi allo stato non deterso.
2. LAVAGGIO
E’ l’operazione che ha lo scopo di rimuovere dal metallo i materiali estranei raccolti
nelle precedenti lavorazioni e renderlo così adatto alle successive . Il risultato di questa
operazione non dipende solo dalla tipologia delle soluzioni adottate ma anche dalle
modalità di lavaggio.
I componenti di un detergente sono i tensioattivi e sali coadiuvanti:
 Tensioattivi
Il componente fondamentale di un sistema di lavaggio è il tensioattivo. Le proprietà
dei tensioattivi derivano dalla dipolarità della sua molecola per cui una porzione è solubile
in solventi polari (acqua) e un’altra è solubile in quelli apolari (oli minerali). Questo provoca
una distribuzione molecolare caratteristica all’interfaccia fra i due sistemi con la modifica
dell’energia interfacciale (micelle). I tensioattivi sono quindi utilizzati per modificare la
bagnabilità della superficie in fase di lavaggio o per favorire l’emulsionabilità di un olio o di
uno sporco per poterlo così asportare dalla superficie di un oggetto. Sono normalmente
utilizzati nell’industria con soluzioni alcaline, acide o con solventi. Possono essere
suddivisi nelle seguenti classi:




Anionici.
Non ionici.
Cationici.
Anfoteri.
Il tipo cationico è poco utilizzato mentre molto usate sono le miscele di anionici e non
ionici.
TENSIOATTIVI ANIONICI
Il primo tipo di detergente organico ,il sapone derivato da grassi animali, è stato
utilizzato per molti anni anche senza una formale conoscenza del meccanismo della
detergenza.
Il grasso reagisce con la soda caustica che sposta il gruppo glicerico e salifica
l’acido derivato. Questi saponi sono quindi costituiti da una lunga catena di atomi di
carbonio solubile in olio e da un gruppo terminale ionizzato negativamente solubile invece
in acqua. Sono dei buoni detergenti ma se salificati con metalli come calcio e magnesio
diventano insolubili. Le acque dure utilizzate nella preparazione di queste soluzioni
inibiscono quindi l’azione detergente.
La loro solubilità in acqua è limitata per la presenza di una lunga catena paraffinica
solubile in solventi apolari contro un piccolo gruppo solubile in quelli polari. La loro azione
è limitata ad un certa varietà di grassi per cui sono generalmente sostituiti da componenti
sintetici. I tensioattivi sintetici sono prodotti da alcoli derivati da noci di cocco, come il
laurilsolfato sodico,o da frazioni petrolifere combinate con benzene e solforati con acido
solforico.La lunghezza della catena ne determina le proprietà. Se la catena paraffinica
contiene da 8 a 10 atomi di carbonio si ottiene un tensioattivo; se gli atomi di carbonio
della parte paraffinica sono 12 si ha un detergente mentre con 16 si ha un emulsionante.
TENSIOATTIVI NON IONICI
Si ottengono condensando fra loro molecole di ossido di etilene con polimeri
insolubili in acqua. La struttura ottenuta è costituita da una parte apolare (catena
polimerica ) e da un’altra polare ma non dissociata. I gruppi che compongono la parte
polimerica sono generalmente:




alchilici
alchilfenolici
polialchilici
alcolici a catena lunga
Se ci sono almeno 20 gruppi di ossido di etilene il prodotto è un tensioattivo, se
questo numero è circa 10 allora abbiamo un detergente mentre se sono solo 5 avremo un
emulsionante.
TENSIOATTIVI CATIONICI
In questo caso il gruppo terminale è caricato positivamente invece che
negativamente come nel caso degli anionici. I detergenti cationici hanno basse
caratteristiche. Il loro uso è dovuto al loro potere germicida, emolliente e antistatico. I più
usati sono formati da sali d’ammonio quaternari.
TENSIOATTIVI ANFOTERI
I tensioattivi anfoteri hanno un gruppo anionico ed uno cationico sufficientemente
grande e si caricano positivamente o negativamente in base all’alcalinità o basicità della
soluzione in cui sono immessi. Essi sono in genere compatibili con soluzioni di natura
diversa.

Sali coadiuvanti
I detergenti possono essere suddivisi nelle seguenti categorie in base alla natura dei
sali coadiuvanti che contengono e cioè:




alcalini
neutri
acidi
solventi
Dal punto di vista fisico possono essere in polvere o liquidi.
Nella scelta di uno sgrassante è necessario tenere in considerazione sia lo sporco
che deve essere eliminato, sia il materiale base che deve essere preservato da attacchi
che ne alterano le caratteristiche estetiche e meccaniche in generale.
Ad esempio sistemi basici ad elevato contenuto in soda caustica sono molto validi
per la detergenza dei materiali ferrosi ma sono sconsigliati per leghe di rame ed
estremamente dannosi per l’alluminio. Il grosso dei consumi nell’industria riguarda i
detergenti alcalini mentre gli acidi sono più dedicati ad alluminio e sue leghe, rame e
ottone.
I solventi organici il cui utilizzo ha avuto un notevole sviluppo nell’ultimo ventennio
hanno subito recentemente una notevole contrazione nell’utilizzo per motivi ecologici.
Anche per i detergenti a base acquosa gli effetti ecologici hanno imposto comunque
restrizioni riguardevoli.
L’azione di uno sgrassante si concentra in uno o più dei seguenti effetti:
1. Solubilizzante: E’ l’effetto per cui i contaminanti diventano solubili come l’ossido di
ferro negli acidi o una vernice acrilica in una base forte.
2. Emulsionante: Si ha quando una sostanza normalmente insolubile si disperde
uniformemente in un solvente incompatibile. Un’ esempio è rappresentato dal latte
in cui proteine e grassi sono dispersi nell’acqua. L’emulsione è complicata dalla
combinazione di tensioattivi e solventi .
3. Saponificante: E’ la reazione con cui gli alcali caustici reagiscono con i gruppi acidi
degli oli trasformandoli in saponi solubili.
4. Bagnante: Un contaminante viene spostato dalla superficie con l’uso di un agente
bagnante che ha una buona affinità per la superficie del substrato rispetto a quella
per lo sporco.
3. TIPI di SGRASSANTI

Sgrassanti alcalini
Questa classe di sgrassanti è la più utilizzata ed è costituita da una miscela di sali
alcalini con tensioattivi. Lo scopo di queste miscele è di soddisfare ad un certo numero di
esigenze che possono essere così elencate:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
8.
generare una soluzione a basso valore di tensione superficiale ed interfacciale
possedere una riserva alcalina per neutralizzare lo sporco acido
contenere degli elettroliti per aiutare l’azione dei tensioattivi
avere proprietà di dispersione nei riguardi dello sporco solido ed evitarne la
rideposizione.
avere proprietà emulsionanti per prevenire la rideposizione di oli
essere costituite da ingredienti non costosi
inibire l’attacco del materiale base
avere proprietà conservative dopo il lavaggio
Per ottenere queste proprietà è spesso necessario mescolare più sali alcalini e più
tensioattivi. Il contenuto di tensioattivi è di circa il 5-15% e la sua scelta è molto legata allo
sporco da eliminare. Industrialmente vi sono sgrassanti specifici oppure ad ampio
specchio. Gli alcali utilizzati nei detergenti industriali sono:
1-Sodio idrato. Fornisce un’alcalinità iniziale.
2-Sodio carbonato. Mantiene il pH basico per idrolisi e liberazione di CO2.
3-Sodio metasilicato e sodio ortosilicato. Forniscono l’acido silicico che essendo
insolubile in acqua rimane sospeso nella soluzione per lunghi periodi ed impedisce la
rideposizione dello sporco sui pezzi. Inibisce la corrosione dei metalli in particolare di
alluminio e zinco. Se la soluzione è acida l’acido silicico precipita sui pezzi formando un
velo protettivo di difficile rimozione se non ricorrendo ad alcali molto forti o ad acido
fluoridrico. Prima di introdurre i pezzi lavati con una soluzione che contiene silicati in una
soluzione acida è bene operare un attento risciacquo.
4-Trisodio fosfato, TSP; Tetrasodio pirofosfato ,TSPP; polifosfati. Hanno elevato
valore peptizzante ma scarso valore detergente. Sostituiscono i silicati dove questi sono
indesiderati ed hanno un certo effetto nella rimozione degli oli minerali. I polifosfati si
combinano con calcio e magnesio presenti nell’acqua per effetto del loro potere
sequestrante evitando che questi sali possano reagire con i saponi. L’aspetto negativo è
che i fosfati complessi per effetto della temperatura, del tempo o dell’abbassamento del
pH idrolizzano a fosfati semplici perdendo il loro potere complessante.
5-Chelanti. Sono sostanze organiche che hanno la funzione dei sequestranti ma la loro
forza complessante è maggiore e risente meno delle variazioni di pH. I più comuni sono
l’EDTA e la NTA ed il sodio gluconato che ha un buon effetto sul ferro e rame dove l’EDTA
è più carente. Anche i cianuri ed i citrati hanno un buon effetto complessate su rame e
ferro.
 Sgrassanti acidi e neutri
Sono meno utilizzati di quelli alcalini. Sono costituiti da tensioattivi e da sali acidi o
neutri come i pirofosfati, tartrati e citrati. Si utilizzano solamente nei casi in cui un metallo
sia molto sensibile all’attacco di una base forte. Metalli di questo tipo sono ad esempio lo
zinco o le leghe di zinco (Zama) e l’alluminio. L’utilizzo non è elevato in quanto questi
sgrassanti sono mediamente molto costosi. Infatti sono costituiti da quantità di tensioattivo
più elevate e da sali più pregiati rispetto ai detersivi basici. Quindi si utilizzano solo se è
strettamente necessario.
4. PROCESSI DI SGRASSAGGIO
o IMMERSIONE
Gli oggetti vengono sottoposti all’azione chimica del detergente più conveniente
coadiuvato dall’intervento di azioni meccaniche semplici o combinate quali:
1. Insufflazione d’aria
Migliora il ricambio del liquido detergente nell’intorno del pezzo. Non può essere
utilizzata con soluzioni di tensioattivi per evitare formazioni di schiume.
2. Ultrasuoni
Si tratta di una azione meccanica ad elevata frequenza (20000-40000 Hz) che
prodotta mediante generatori magnetostrittivi o piezoelettrici viene trasmessa alla
parete della vasca che contiene la soluzione detergente. La parete trasmette a sua
volta alla soluzione queste vibrazioni ad elevata frequenza che, incontrando i pezzi,
provocano sulla superficie degli stessi fenomeni di vibrazione, cavitazione ed
implosioni delle bolle di vapore che si formano per effetto della compressione e
successiva espansione che il liquido subisce. Queste azioni staccano le particelle
di sporco e favoriscono la bagnabilità del pezzo e la conseguente solubilità delle
contaminazioni. La concentrazione del detergente varia da 1 a 2% e non deve
comunque conferire elevata densità alla soluzione per non opporre resistenza alla
trasmissione delle onde d’urto. La temperatura, che coadiuva la solubilità dello
sporco, non deve essere prossima all’ebollizione (sono sufficienti 70-80 °C) per
evitare formazione di bolle gassose che andrebbero ad assorbire l’azione
meccanica degli ultrasuoni prima che questa possa esercitarsi sulla superficie
dell’oggetto. E’ buona norma attivare l’ultrasuono alcuni minuti prima di iniziare il
lavoro per espellere l’aria assorbita dalla soluzione durante le pause. Questo è
molto importante con la soluzione preparata di fresco.
3. Agitazione dei pezzi
Questa azione di tipo meccanico favorisce il distacco delle particelle ed il rinnovo
della soluzione a contatto con la superficie dei pezzi. Può essere accoppiata a
quella degli ultrasuoni tenendo presente che in questo caso non deve essere troppo
intensa per evitare la formazioni di bolle d’aria all’interno della soluzione.
o ELETTROLITICO
In questo caso il pezzo costituisce uno dei due elettrodi di un trattamento
elettrochimico. Per effetto del passaggio della corrente attraverso la soluzione l’acqua si
dissocia in idrogeno al catodo e ossigeno all’anodo. La produzione di elevate quantità di
gas produce un elevato livello di agitazione della soluzione facilitando il ricambio della
soluzione a contatto con il metallo e quindi l’azione detergente. Il trattamento elettrolitico in
oggetto non ha comunque un elevato effetto sgrassante ma serve per togliere il film
sottilissimo che gli oggetti potrebbero aver conservato durante il lavaggio chimico o
ricevuto durante qualche fase successiva ad esso. Se l’oggetto funziona da catodo si
sviluppa idrogeno in quantità doppia rispetto all’ossigeno che si sviluppa all’anodo e quindi
è maggiore l’azione meccanica. L’azione dell’idrogeno è molto importante perché produce
una riduzione a metallo dei film di ossido presenti sulla superficie. L’azione dell’ossigeno è
più importante come sgrassante per effetto dell’azione ossidante verso i grassi e
l’aumento della loro solubilità nella soluzione acquosa.
Un problema importante è la possibilità che si formi la miscela tonante idrogenoossigeno in concentrazioni tali da provocare l’esplosione . Per evitare questo e necessario
che la quantità di tensioattivo presente nella soluzione sia bassa e che la vasca sia dotata
di collare di aspirazione.Lo stesso tensioattivo presente nella soluzione forma durante il
funzionamento uno strato di schiuma che evita spruzzi e formazioni di nebbie.
Effetti elettrodici
In base al modo in cui il pezzo è polarizzato esso potrà funzionare da anodo o da
catodo. I metalli che possono subire passivazione per ossidazione come nichel, acciaio
inossidabile ,alluminio o titanio sono trattati catodicamente. L’ottone viene trattato
catodicamente per evitare la dissoluzione dello zinco contenuto in lega. Contrariamente
per il trattamento delle leghe di zinco da fusione si utilizza la polarizzazione anodica . A
causa della sensibilità del metallo all’attacco degli sgrassanti alcalini è necessario
utilizzare sistemi inibiti. Se questo è costituito da silicato si forma un film insolubile se si
opera in catodica. Si opera allora in anodica con formulazioni speciali a bassi valori di
tensione e per brevi tempi. L’acciaio, che è scarsamente sensibile all’ossidazione o alla
riduzione può essere trattato anodicamente o catodicamente; ad alte densità di corrente
l’acciaio tende ad annerire se non sono presenti inibitori. Anche l’acciaio inossidabile può
essere trattato catodicamente o anodicamente ma quando viene utilizzata quest’ultima
tecnica bisogna ricorrere ad un forte attacco acido per distruggere l’ossidazione
superficiale e favorire una buona adesione del deposito galvanico successivo. Per il nickel
e sue leghe è consigliato l’uso del trattamento catodico per evitare la formazione di ossidi
molto stabili. Rame e zinco possono essere trattati in entrambi i modi ma l’effetto anodico
è preferito per evitare deposizione di metallo disciolto nel bagno.
L’ottone di solito è trattato catodicamente e successivamente in modo anodico.
Gli effetti elettrodici dipendono dalla densità di corrente che viene espressa in
Ampere per decimetro quadro di superficie. Tuttavia la distribuzione della corrente e quindi
la densità non è costante. Essa sarà più alta sulle punte e nelle zone più vicine al
controelettrodo, più bassa nei recessi e nelle zone più distanti.
Più alta è la densità di corrente maggiore è la produzione di gas e quindi l’effetto
sgrassante ma se il trattamento è anodico può aumentare la dissoluzione del metallo o gli
effetti ossidativi. L’utilizzo di alte densità di corrente in anodica può essere ammessa se
l’ossido che si forma è facilmente asportabile in ambiente acido: questo viene spesso fatto
deliberatamente col rame per evitare la formazione di un ossido rameoso difficilmente
solubile mentre è facilmente solubile l’ossido rameico nero.
Conduttività
La conducibilità della soluzione elettrolitica è dovuta alla presenza di ioni la cui
mobilità determina l’efficienza di corrente. Ioni monovalenti come l’idrogenione, il sodio, il
potassio e lo ione idrossido sono molto più mobili degli ioni complessi. In particolare lo
ione ossidrile ha valori di conducibilità molto elevati. Anche la temperatura influenza
positivamente la mobilità ionica. Tensioattivi o acidi grassi possono migrare all’elettrodo e
formare uno strato impermeabile al passaggio della corrente e di difficile asportazione.
Questi inquinanti possono far parte della formulazione del detersivo ma possono derivare
anche dallo sporco asportato dai pezzi; per questo è necessario che il trattamento di
sgrassatura elettrolitica sia preceduto da un buon lavaggio. Questi bagni vengono sostituiti
con una certa cadenza che dipende dall’esperienza degli operatori in funzione delle
condizioni operative. La tentazione di voler prolungare la vita di questi sistemi porta
spesso a risultati scadenti nei depositi elettrochimici successivi.
Attrezzature
La vasca normalmente è in acciaio inossidabile se lo sgrassante è alcalino e non
contiene componenti aggressivi per tale materiale tenendo conto anche dell’azione
concomitante dell’elettrolisi. In questo caso esso fa da controelettrodo per l’oggetto che
invece viene appeso alla barra catodica o anodica.
La vasca dovrà essere collegata ad un raddrizzatore di corrente di opportuna
potenza di circa 1-2 Ampere per litro di soluzione. La vasca sarà dotata di riscaldatore
gestito da un termostato ed un indicare di livello minimo per evitare che i pezzi o il
riscaldatore possano essere parzialmente non coperti dalla soluzione.
5. NEUTRALIZZAZIONE
Dopo l’operazione di sgrassaggio elettrochimico i pezzi vengono risciacquati con
acqua allo scopo di rimuovere i residui di detergente ed in particolare di tensioattivo rimasti
aderenti alla superficie. Inoltre l’azione dell’idrogeno può aver trasformato degli ossidi
superficiali in un metallo poco aderente al substrato e molto reattivo. La presenza di
questa situazione potrebbe generare dei difetti nel deposito successivo. Per evitare questa
evenienza i pezzi vengono sottoposti ad una blanda azione acida.
Questa avrà lo scopo di neutralizzare i componenti alcalini provenienti dallo
sgrassaggio precedente, sciogliere gli ossidi residui e il metallo attivo causato dalla
riduzione. Nei trattamenti puramente industriali dove l’aspetto estetico è minoritario
rispetto a quello tecnico è tradizione di operare questo trattamento in una soluzione acida
costituita da 2-4% di HCl o 3-5% di H2SO4 . Questo trattamento è poco oneroso ma può
provocare l’attacco del substrato annullando l’effetto brillante generato dalle operazioni
meccaniche di preparazione come la burattatura o pulitura con ruote di panno. Nel caso
sia necessario ottenere una finitura lucida con bassi spessori di nickel o rame (2-6m)
conviene operare con una soluzione più costosa ma meno aggressiva così costituita:
NaHSO4
NaHF2
Tensioattivo anionico
Temperatura
PH
20-30 g/l
5-10 g/l
1 g/l
ambiente
2-3
Una soluzione di questo tipo evita l’attacco del metallo base, esclusi titanio e
alluminio, neutralizza la basicità trasportata sul pezzo dal bagno alcalino precedente, evita
la precipitazione sulla superficie dei pezzi di calcio e magnesio presenti nelle acque di
risciacquo, e per la presenza del tensioattivo, lascia una superficie bagnabile
immediatamente dalla soluzione del bagno successivo.
6. PROBLEMI ECOLOGICI
I tensioattivi non si possono certo considerare in genere pericolosi per l’uomo ma lo
sono sicuramente per l’ambiente. Queste sostanze sono nocive per la flora e la fauna
ambientale perché ne alterano i meccanismi vitali. In sintesi possiamo fare un elenco dei
composti che non dovrebbero essere contenuti nei tensioattivi:












Cromati
Fosfati
Silicati
Fluoruri
Complessanti
Nitriti
Ammine
Borati
Cianuri
Alcali forti
Solventi
Emulsionanti
Dovrebbero inoltre non essere schiumogeni ed avere basso COD e basso BOD.
Da queste condizioni si nota che i prodotti futuri si dovranno basare sulla
salvaguardia dall’inquinamento, sia esterno che interno al luogo di lavoro, ed essere di
facile rigenerazione o almeno biodegradabili.
PRETRATTAMENTI di ELETTRODEPOSIZIONE
Prenickel e prerame
Quando si ha a che fare con oggetti assemblati con materiali diversi, specialmente con
parti in acciaio inossidabile, o di diversi fornitori dai quali spesso è difficile conoscerne
l’esatta natura, è conveniente prima di passare alla deposizione degli strati di nickel o
rame a spessore effettuare una deposizione sottile con un bagno ad ampio specchio di
adesione al substrato e al successivo deposito. Questo si ottiene depositando
elettroliticamente un film molto sottile (0,1m) di nickel o rame dai seguenti bagni

Prenickel
Nickel Cloruro
Acido Cloridrico
Temperatura
Densità di corrente
Polarità

NiCl2*6H2O
HCl 35 %
240 g/l
125 cc/l
Ambiente
2-4 A/dm2
solo catodica
CuSO4*5H2O
HCl 35%
0,5 g/l
350 cc/l
ambiente
4-6 A/dm2
solo catodica
Prerame
Rame solfato
Acido cloridrico
Temperatura
Densità di corrente
Polarità
L’elevata acidità di questi bagni provoca un notevole sviluppo di idrogeno attivando il
catodo su cui si deposita un sottilissimo film di metallo. In genere il bagno di prenickel
fornisce i risultati migliori specialmente su substrati di nickel o acciaio inossidabile.
Il bagno di prerame ha invece la caratteristica di avere un minor effetto coprente nel caso
in cui sul pezzo vi fossero dei difetti di preparazione. In tal senso questo bagno funziona
da agente diagnostico sui pretrattamenti.
RAMATURA
Il rame viene depositato per diversi motivi ma in particolare:
 come substrato per il nickel specie su leghe di zinco (Zama) per evitare l’attacco di
queste da parte della soluzione di nichelatura
 come substrato su ferro prima della nichelatura: vista la difficoltà di lucidare il ferro,
lo si fa dopo la ramatura.
 per mascherare le parti di un pezzo di acciaio per le operazioni di carburazione
nella produzione di circuiti stampati.
Due sono le tipologie di soluzioni di ramatura più utilizzate: quelle basiche al cianuro
e quelle acide al solfato. Limitate applicazioni hanno ottenuto i bagni al pirofosfato e quelli
al fluoborato.

Bagni al cianuro di rame
La ramatura al cianuro, malgrado la sua pericolosità, è comunque molto importante
in operazioni galvaniche sia per depositi di aggancio che per depositi a spessore quando
sia necessario limitare le tensioni interne. I bagni sono caratterizzati da un elevato potere
penetrante e possono essere applicati direttamente ad acciai e leghe di zinco a differenza
dei bagni acidi. Infatti, immergendo un pezzo di ferro o una lega di zinco in un bagno acido
di rame, si avrebbe la deposizione di rame per cementazione.
Il sale di partenza per la formazione del bagno è il cianuro di rame (CuCN) che deve
essere complessato con KCN o NaCN per ottenere un complesso solubile in acqua. La
forma complessa più importante è rappresentata da K 2Cu(CN)3 o Na2Cu(CN)3. La somma
del cianuro richiesto per complessare in questo modo il rame più quello richiesto per il
buon funzionamento del bagno (cianuro libero) rappresenta il cianuro totale.
La presenza di cianuro libero stabilizza i vari complessi cianurati del rame, però il
numero di ioni rame disponibili alla scarica catodica diminuisce con l’aumento della
concentrazione del cianuro libero. La polarizzazione catodica invece aumenta ed aumenta
così il potere penetrante della soluzione. Il deposito che si ottiene è duro e con grana fine.
La concentrazione del cianuro libero deve essere mantenuta entro limiti ben
prefissati. Un aumento eccessivo riduce il rendimento catodico fino a favorire la scarica
dell’idrogeno che provoca puntinature ed esfoliazioni del deposito. Se si opera in difetto
invece non si solubilizza il CuCN che si forma all’anodo. Questo si ricopre di uno strato di
questo sale insolubile quindi si polarizza e non permette la dissoluzione ulteriore
dell’anodo.
Gli anodi di rame devono essere di elevata purezza e possono essere in piastre o in
quadrotti inseriti in cestelli di rete di titanio entrambi insacchettati in sacchi di meraklon. Se
il contenuto di rame aumenta nella soluzione basta sostituire qualche anodo di rame con
altrettanti di acciaio fino a trovare le condizioni di stabilità. Il rapporto ottimale fra la
superficie anodica e catodica è circa 2:1
 Tipi di bagni al cianuro
Bagni di rame cianuro generali
La deposizione da questo bagno si utilizza per aumentare l’adesione specie nel caso
di superfici passive. Quando viene usato per leghe di zinco bisogna operare con bassa
concentrazione di ione idrossido (4 g/l) per evitare l’attacco basico. Un esempio di bagno
al sodio è descritto nella tabella sottostante.
Cianuro di Rame
Sodio cianuro
Sodio carbonato
Sodio idrossido
Temperatura
Densità di corrente
Tempo di deposizione
Efficienza catodica
Agitazione
CuCN
NaCN
Na2CO3
NaOH
25-20 g/l
40-60 g/l
10-15 g/l
3-4 g/l
25-60 °C
0.5-4.0 A/dm2
30-180 sec
30-60 sec
Nessuna o meccanica
Può essere necessario aggiungere del sodio carbonato per migliorare la conducibilità
del bagno. La concentrazione di tale sale comunque aumenta con l’invecchiamento del
bagno per assorbimento della CO2 dall’atmosfera o per idrolisi e ossidazione del cianuro.
Se il carbonato supera certe concentrazioni si deve sostituire una parte di bagno
aggiungendo di conseguenza il cianuro di rame ed il sodio cianuro fino a ripristinare le
condizioni ideali. La concentrazione del carbonato può essere ridotta per precipitazione
con carburo di calcio e successiva filtrazione. In questo caso le reazioni interessate sono
le seguenti:
CaC2+2H2O=Ca(OH)2+C2H2
Ca(OH)2+Na2CO3=2NaOH+CaCO3
Un ultimo sistema per ridurre la quantità di carbonato di sodio consiste nel
raffreddare la soluzione con una serpentina di raffreddamento in modo tale che il
carbonato cristallizzi sulla serpentina stessa.
Bagni di rame ad elevata efficienza
Vengono utilizzati per ottenere uno spessore notevole in un tempo limitato. Si utilizza
per questo una elevata concentrazione di rame cianuro, alta temperatura per aumentare la
conducibilità e gli effetti diffusivi e quindi un’alta densità di corrente. Lucentezza e grana
sottile si può ottenere mediante correnti pulsate e con l’utilizzo di appropriati additivi.
Una tipica formulazione è data da:
Rame cianuro
Potassio cianuro
Potassio carbonato
Potassio idrato
Tartrato di sodio e potassio
Temperatura
Densità di corrente
Efficienza catodica
Agitazione
CuCN
KCN
K2CO3
KOH
KNaC4H4O6*4H2O
70-80 g/l
100-120 g/l
15 g/l
15 g/l
45 g/l
60-70 °C
3-10 A/dm2
90-100
Meccanica o con aria
Ai bagni di rame al cianuro vengono spesso aggiunte delle sostanze brillantanti quali
sodio bisolfito o sodio solfito. Queste aggiunte riducono la polarizzazione catodica e quindi
peggiorano il potere penetrante. Se si aggiunge anche del tartrato si riducono le
dimensioni dei grani del rame depositato. Attualmente i brillantanti comprendono sostanze
come il trifenilmetano, la cetil--betaina, selenio bisditiocarbammato ed altri composti del
selenio e potassio tiocianato specialmente in bagni ad alto contenuto in cianuro.
Vantaggi e svantaggi dei bagni al cianuro
Vantaggi:




i bagni sono facilmente gestibili e a buon mercato
possono essere trattati direttamente metalli ferrosi e non ferrosi
il potere penetrante è elevato per cui sono adatti per pezzi complicati
il peso di rame depositato per unità di corrente è elevato visto che il rame è allo
stato monovalente.
Svantaggi:

problemi di sicurezza relativi alla tossicità dei cianuri
 Bagni al solfato di rame
 Caratteristiche
Un bagno di ramatura al solfato è costituito essenzialmente da rame solfato ed acido
solforico. La deposizione di rame può essere effettuata ad alta intensità di corrente per cui
questo elettrolita è adatto a depositare alti spessori. Il peggior svantaggio è rappresentato
dal basso potere penetrante e dalla impossibilità di deporre direttamente su acciaio e
ferro. Un oggetto in acciaio o ferro sposta il rame dalla soluzione secondo la reazione:
CuSO4+FeFeSO4+Cu
Il rame così precipitato non aderisce al ferro. Per questo motivo deve essere
applicato prima un film di rame da un bagno al cianuro dopodiché il pezzo viene trasferito
nel bagno acido dove si potrà ottenere lo spessore desiderato. Esiste la possibilità di
depositare un flash di rame chimico direttamente su ferro utilizzando una soluzione acida
di solfato rameico in presenza di un inibitore come la acetiltiurea. Si ottiene un film
aderente senza l’intervento di bagni al cianuro. In questo caso speciale notevole
importanza ha la preparazione dei pezzi perché viene a mancare l’effetto detergente del
cianuro.
Una formulazione tradizionale utilizzata con i bagni acidi al solfato è la seguente:
Rame solfato
Acido solforico
Cloruri
Tiurea
Destrina
PH
Temperatura
Densità di corrente
CuSO4
H2SO4
Cl-
170-220 g/l
50-70 g/l
100 ppm
10 ppm
10 ppm
Acido da acido solforico
Ambiente
2-6 g/L
E’ consigliabile operare con alte concentrazioni di rame. La presenza dell’acido
solforico diminuisce la solubilità del solfato di rame (fig. 8.5)
L’acido solforico ha le seguenti funzioni:





previene l’idrolisi del solfato di rame durante l’elettrolisi
aumenta la conducibilità del bagno riducendo il costo dell’energia elettrica
riduce la tendenza a formare depositi rugosi alle alte densità di corrente
previene la formazione di ossido rameoso al catodo che riduce l’efficienza catodica.
diminuisce la solubilità del solfato di rame (vedi figura)
Al catodo avviene la reazione di riduzione del rame secondo la :
Cu2+ + 2eCu
Ma studi cinetici hanno dimostrato che lo ione rameico dapprima si riduce a ione
rameoso:
Cu2+ + e  Cu+
stadio lento
Il quale a sua volta passa a rame metallico
Cu+ + e  Cu
stadio veloce
All’anodo invece avviene l’ossidazione del rame col processo inverso:
Cu  Cu2+ +2e
L’efficienza catodica ed anodica è di circa il 100% sotto normali condizioni operative.
Poiché la polarizzazione catodica per l’incremento della densità di corrente è bassa il
potere penetrante del bagno al solfato è inferiore a quello al cianuro. Il potere penetrante
del bagno acido può essere migliorato aumentando la concentrazione dell’acido solforico e
diminuendo quella del rame solfato o diminuendo la temperatura. I bagni acidi hanno di
solito una buona tolleranza nei riguardi delle impurezze ma se sono presenti arsenico
antimonio e ferro si ottengono depositi rugosi. Importante è anche l’uso di anodi di rame
fosforoso e l’agitazione con insufflazione d’aria.
Contaminanti del bagno
Per ottenere dei depositi lucidi è necessario evitare la contaminazione del bagno da
sostanze organiche e metalli dannosi. Per quanto riguarda le sostanze organiche queste
possono provenire dai brillantanti o trascinate dai pezzi dai bagni precedenti. Si possono
comunque eliminare mediante un trattamento con carbone attivo il quale eliminerà anche
parte dei brillantanti che andranno reintegrati nelle opportune concentrazioni. Per quanto
riguarda i metalli possiamo sinteticamente rappresentarne gli effetti:
Antimonio
Arsenico
Bismuto
Cadmio
Ferro
Nickel
Selenio
Tellurio
Stagno
Zinco
>50 ppm
>50 ppm
>50 ppm
>500 ppm
>1000 ppm
>1000ppm
>10 ppm
>10 ppm
>500 ppm
>500 ppm
Ruvido, polverulento
Ruvido, polverulento
Ruvido, polverulento
Polarizza l’anodo, sottrae cloruri alla soluzione
Riduce la conducibilità ed il potere penetrante del bagno
Riduce la conducibilità ed il potere penetrante del bagno
Polarizza l’anodo,provoca ruvidità
Polarizza l’anodo,provoca ruvidità
Si deposita chimicamente,polarizza gli anodi
Polarizza l’anodo, sottrae cloruri alla soluzione
Difetti e loro soluzioni
Bruciature a correnti
elevate
Scarsa brillantezza
Deposito ruvido
Pitting
Distribuzione scarsa
Bassa conducibilità
Anodi polarizzati
Basso rame,acido alto
Temperatura bassa
Agitazione insufficiente
Contaminazione organica
Cloruro troppo basso
Bassa concentr. brillantante
Contaminazione organica
Basso cloruro
Alta temperatura
Basso contenuto in rame
Particelle in soluzione
Sacchetti anodici rotti
Anodi non conformi
Basso cloruro
Contaminazione organica
Basso cloruro
Agitazione scarsa o non uniforme
Area anodica eccessiva
Film anodico non conforme
Corrente non sufficient. rettificata
Contaminazione organica
Contaminazione organica
Acido solforico basso
Brillantanti bassi
Cloruro alto
Densità di corrente troppo bassa
Temperatura troppo alta
Contaminazione da Au o Sn
Temperatura bassa
Anodi non conformi
Alto cloruro
Acido solforico alto
Basso solfato di rame
Contaminazione organica
Analizzare e sistemare
Aumentare la temperatura del bagno
Se non è possibile aumentare l’agitazione
diminuire la corrente
Trattamento al carbone
Analizzare e sistemare
Determinare la mancanza con cella di Hall
Trattamento al carbone
Analizzare e sistemare
Raffreddare il bagno
Analizzare e sistemare
Filtrare il bagno
Cambiare il sacchetto e filtrare
Utilizzare anodi al fosforo
Analizzare e sistemare
Trattamento al carbone
Analizzare e sistemare
Aumenta ed aggiusta
Togliere qualche anodo
Lavare gli anodi
Portare AC<10%
Trattamento al carbone
Trattamento al carbone
Analizzare e sistemare
Determinare gli additivi con cella di Hull
Precipitare con solfato o nitrato di rame
e filtrare su carbone
Aumentare la corrente
Raffreddare il bagno
Inserire un foglio di rame
Riscaldare il bagno
Devono essere al fosforo
Precipitare con solfato o nitrato di rame
e filtrare su carbone
Analizzare e diluire il bagno
Analizzare e aggiustare la concentrazione
Filtrare su carbone
Vantaggi e svantaggi della ramatura acida
I vantaggi della ramatura acida possono essere così sintetizzati:





Si possono ottenere alti spessori ad elevate densità di corrente e quindi in
tempi brevi.
Per la caratteristica precedente il bagno è adatto per operazioni di
elettroformatura
La soluzione è molto più stabile rispetto a quella al cianuro e la sua
composizione è meno critica
I depositi sono più livellanti di quelli degli altri bagni di ramatura
Non vi sono grossi problemi di sicurezza ambientale
Gli svantaggi sono:


Basso potere penetrante
Difficoltà nella ramatura di ferro e acciaio.
 Bagni al pirofosfato
Le soluzioni dei bagni al pirofosfato contengono rame pirofosfato Cu2P2O7 e K4P2O7.
In soluzione il rame è presente prevalentemente come anione Cu(P 2O7)26-. Come nel caso
dei bagni al cianuro il complessante pirofosfato deve essere presente in eccesso. Esso
promuove una efficiente dissoluzione degli anodi, previene la formazione di sali insolubili e
assicura una complessazione completa. Il sale potassico è preferito per la sua solubilità e
maggior conducibilità rispetto al sale sodico. Il rapporto minimo in peso fra pirofosfato e
rame deve essere 7:1. Valori inferiori di questo rapporto rendono difficoltosa la solubilità
degli anodi per cui il bagno si impoverisce in ioni rame mentre valori più elevati del
rapporto non generano alcun effetto negativo. Assieme ai due sali base vengono aggiunti
altri componenti per migliorare le proprietà del deposito ed aumentare la velocità di
deposizione. Questi includono l’ammoniaca, nitrati, acidi alifatici ed altri agenti organici. La
presenza di ammoniaca e composti organici quali ossalati e citrati aumenta la lucentezza
del deposito. Citrati e ossalati funzionato anche da agenti tamponanti del pH.
Una composizione tipica è la seguente:
Rame pirofosfato
Potassio pirofosfato
Ammoniaca conc
Temperatura
PH
Densità di corrente
Agitazione
Cu2P2O7*3H2O
K4P2O7
NH4OH
25-120 g/l
100-400 g/l
1-2 cc/l
20-50 °C
8.2-8.8
0.5-10 A/dm2
Meccanica o aria
Le concentrazioni più basse servono per depositi flash, quelle più elevate per forti
spessori.
Le soluzioni al pirofosfato necessitano di una vigorosa agitazione altrimenti si forma
un film scuro non aderente che diminuisce la densità di corrente operativa. Può essere
utilizzata l’agitazione meccanica anche se è preferibile quella con aria . I pirofosfati a
differenza dei cianuri non subiscono decomposizione e non si formano carbonati.
L’efficienza catodica è circa del 100%.
Si ottengono depositi a grana fine, duri ma ragionevolmente duttili La duttilità
diminuisce con l’aumento eccessivo della concentrazione dell’ammoniaca e del pH.
L’effetto delle condizioni operative sulla duttilità sono illustrate in figura
Le soluzioni di pirofosfato posseggono proprietà livellanti e hanno un potere
penetrante simile a quello dei bagni al cianuro. L’effetto delle variabili del bagno sul potere
penetrante e sull’efficienza catodica è sommariamente indicata nella tabella seguente:
Variabile
Pirofosfato/rame
Rame
Ammoniaca
PH
Densità di corrente
Temperatura
Agitazione
Potere penetrante
Aumenta
Aumenta
Diminuisce
Diminuisce
Diminuisce
Diminuisce
Aumenta
Efficienza
Leggera crescita
Non Cambia
Non Cambia
Leggera crescita
Diminuisce
Leggera crescita
Non Cambia
Soluzioni basate su una soluzione al pirofosfato sono utilizzate prima della
nickelatura su basi costituite da leghe di zinco. Nel caso dei bagni acidi è infatti
necessario depositare prima un sottile strato di rame da un bagno al cianuro. Il bagno al
pirofosfato è utilizzato nell’ elettroformatura e nella ramatura dei circuiti stampati.
L’elevato potere penetrante lo consiglia nella ramatura di componenti con superfici
complicate e forate.
 Bagni al fluoborato
Il rame fluoborato ha una elevata solubilità;le soluzioni basate su questo sale
possono contenere una concentrazione doppia di rame rispetto a quelle al solfato. A
causa delle elevate densità di corrente utilizzabili e della elevata efficienza catodica,
normalmente il 100%, il bagno è utilizzato per l’elettroformatura dove è richiesta una
rapida deposizione di grossi spessori. Una tipica formulazione può essere la seguente:
Rame fluoborato
Acido fluoborico libero
Acido borico
PH
Densità di corrente
Temperatura
Cu(BF4)2
HBF4
H3BO3
400-500 g/l
30-40 g/l
30 g/l
0,3-0,6
10-40 A/dm2
35-45°C
La densità di corrente catodica permessa è determinata dalla temperatura del bagno
e dal grado di agitazione. Con temperature nell’intervallo 35-45°C e vigorosa agitazione si
possono utilizzare correnti fino a 50 A/dm2.
I bagni al fluoborato producono una grana fine, un deposito livellato, ma la presenza
di piombo in soluzione anche in piccole concentrazioni può causare opacità. Questo può
essere eliminato con l’aggiunta di acido solforico che precipita il piombo come solfato.

Analisi chimica dei bagni di ramatura
Determinazione volumetrica del rame in un bagno al solfato
Reagenti:
1. Ammoniaca concentrata
2. acido acetico
3. potassio ioduro al 10%
4. salda d’amido
5. sodio tiosolfato 0,1N
PROCEDURA:
Prelevare 2cc di bagno mediante una pipetta graduata e scaricare in una beuta da
300 cc.
Aggiungere 100 cc di acqua deionizzata e ammoniaca conc fino a comparsa di una
intensa colorazione blu e aggiungere qualche goccia di acido acetico per rendere la
soluzione più limpida.
Titolare con la soluzione di tiosolfato fino ad ottenere una colorazione giallopaglierina.
Aggiungere 5 cc di soluzione di salda d’amido e continuare la titolazione fino ad
ottenere una soluzione incolore.
Siano A i cc di sodio tiosolfato 0,1 n utilizzati.
Calcolo:
g/l di Cu =
A*3,177
g/l CuSO4*5H2O = A*11,977
Determinazione dell’acido solforico in un bagno di ramatura acida
Reagenti:
1. Sodio idrato 0,1 N
2. Soluzione di metilarancio 1%
PROCEDURA:
Prelevare 2 cc di bagno mediate una pipetta graduata e scaricare in una beuta da
300 cc.
Aggiungere 5 gocce di metilarancio e titolare con la soda 0,1 N fino a viraggio
dell’indicatore.
Siano A i cc di soda 0,1 N utilizzati.
Calcolo:
g/l di H2SO4=
A*2,45
Determinazione complessometrica dei cloruri in un bagno di ramatura acida
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Reagenti:
Acido nitrico concentrato
Potassio permanganato 0,1 N
Argento nitrato 0,1 N
EDTA 0,01 M
Ammoniaca concentrata
Potassio tetraciano nicolato
Miscela Muresside-NaCl 1:100
PROCEDURA
Prelevare 100 cc di soluzione di bagno in una beuta da da 300 cc e aggiungere 2 cc
di acido nitrico,10 cc di potassio permanganato, 10 cc di argento nitrato e riscaldare
finché tutto il precipitato è coagulato. Permettere la sedimentazione per 10 minuti,filtrare
su filtro fascia nera ,lavare il precipitato con demonizzata acidulata con acido nitrico per
eliminare il rame. Quando il lavaggio è completo sciogliere il precipitato di argento cloruro
con 10 cc di ammoniaca, aggiungere 100 cc d’acqua ,una punta di spatola di potassio
tetraciano nicolato e riscaldare a 50 °C. Aggiungere una punta di spatola di muresside e
titolare con EDTA 0,01 M fino al viraggio da arancio a Magenta.
Siano A i cc di EDTA 0,01 M utilizzati:
Calcolo:
g/l Cl-=
A*0,709
g/l NaCl=
A*1,169
Determinazione del rame in un bagno di ramatura alcalino
1.
2.
3.
4.
5.
Reagenti:
Ammoniaca conc.
Perossido di idrogeno al 30%
Soluzione di nitrato d’argento al 5%
Muresside-NaCl 1:100
EDTA 0,05 M
POCEDURA:
Prelevare 10 cc di bagno in un pallone tarato da 100 cc e portare a volume con
acqua distillata. Trasferire 5 cc di questa soluzione in una beuta da 300 cc ,diluire con 50
cc di acqua distillata e aggiungere nell’ordine 5cc di ammoniaca, 2-3 cc di perossido di
idrogeno e 2-3 cc di argento nitrato. Aggiungere una punta di spatola di muresside e
titolare con EDTA 0,05 M fino a comparsa di una colorazione porpora.
Siano A i cc di EDTA.
Calcolo:
g/l Cu=
A*6,35
Determinazione del cianuro libero in un bagno di ramatura alcalino
Reagenti:
1. Ammoniaca conc
2. Potassio ioduro 100 g/l
3. Argento nitrato 0,1 N
PROCEDURA:
Prelevare 10 cc di bagno in una beuta da 300 cc, diluire con 150 cc di acqua,
aggiungere 3 gocce di ammoniaca e 1 cc di soluzione di potassio ioduro. Titolare con
argento nitrato 0’1 N finché la soluzione assume una colorazione lattescente.
Siano A i cc di soluzione di argento nitrato utilizzato.
Calcolo:
g/l di NaCN =
A*0,98
g/l di KCN =
A*1,3
Determinazione del carbonato libero in un bagno di ramatura alcalino
1.
2.
3.
4.
Reagenti:
BaCl2 al 30%
metilarancio
Acido cloridrico 1 N
Soda caustica 1 N
PROCEDURA
Prelevare 10 cc di soluzione di bagno in un beker da 400 cc, diluire con 200 cc di
acqua distillata e aggiungere 30 cc di soluzione di bario cloruro.Quando il precipitato si è
depositato filtrare con filtro a fascia bianca e lavare il precipitato sul filtro con acqua calda.
Porre il filtro con il precipitato in una beuta da 300 cc, aggiungere 100 cc di acqua
distillata, 25 cc di acido cloridrico 1 N e alcune gocce di sol.di metilarancio.Titolare con
NaOH 1 N fino a viraggio.
Siano A i cc di NaOH 1 N utilizzati.
Calcolo:
g/l Na2CO3 = (25-A)*5,3
g/l K2CO3 = (25-A)*6,91
NICKELATURA

Generalità
La deposizione elettrolitica di nickel è uno dei processi di finitura utilizzati in modo
generalizzato sia nel campo ingegneristico che decorativo. I rivestimenti decorativi si
ottengono aggiungendo ai bagni tecnici tradizionali degli additivi organici appropriati. Il
processo comprende la dissoluzione di un elettrodo (anodo) e la deposizione del nickel
metallo sull’altro elettrodo (catodo). Ciò si fa applicando una tensione fra l’anodo (positivo)
ed il catodo (negativo). La conducibilità elettrica fra i due elettrodi è supportata da una
soluzione acquosa di sali di nickel. Quando i sali di nickel sono disciolti in acqua il nickel è
presente come ione Ni2+(acq) con varie moli d’acqua di coordinazione assieme ad altri
gruppi che determina il colore della soluzione che risulta verde. Quando il pezzo da
nickelare viene polarizzato catodicamente (-) rispetto all’anodo (+) gli ioni nikel Ni2+
migrano sul catodo,assorbono da questi due elettroni e si depositano come atomi metallici
sullo stesso secondo la reazione semplificata
Ni2+ + 2e-  Ni
Poichè la reazione che avviene all’anodo è il contrario di questa il processo
può avvenire per lungo tempo senza interruzione.

Composizione
La tipica formulazione di un bagno di nickelatura lucida si basa sulla
formulazione di un bagno di Watts cioè una ricetta nata per depositare un nickel
opaco che ha avuto una notevole importanza nella storia della nickelatura. Le
caratteristiche fondamentali di tale ricetta sono le seguenti:
Componente
Nickel solfato NiSO4*6H2O
(g/l)
Nickel cloruroNiCl2*6H2O
(g/l)
Nickel totale come metallo
(g/l)
Acido borico (g/l)
Temperatura (°C)
PH
Agitazione
Densità di corrente
catodica (A/dm2)
Densità di corrente
anodica (A/dm2)
Anodi
Intervallo di conc.
250-320
Valore ottimale
300
50-70
60
65-75
70
30-45
45-65
3.5-5.5
Aria o meccanica
3-6
40
60
4.5
4
2-4
3
Nickel
Nickel
Il nickel solfato fornisce la maggioranza del contenuto in ioni nickel nel
bagno. E’ un sale poco costoso con uno anione che non subisce riduzione al
catodo o ossidazione all’anodo e non è volatile.
Il nickel cloruro fornisce gli ioni cloro che prevengono la ossidazione degli
anodi che si traduce in una passivazione. Infatti all’anodo le tre reazioni
concorrenti sono:
Ni  Ni2+ + 2e2Cl- Cl2 + 2e2OH- H2O+1/2O2 +2e-
(1)
(2)
(3)
La reazione desiderata è la (1) che ripristina all’anodo quello che si è
depositato al catodo. La reazione (3) provoca la formazione di ossigeno all’anodo
con conseguente deposizione di ossido di nickel e di ossigeno adsorbito che
riduce la conducibilità elettronica aumentando così la tensione di lavoro
(polarizzazione ). La reazione (2) provoca la ossidazione dell’anodo con
formazione di NiCl2 sale solubile che passa subito in soluzione mantenendo
quindi l’anodo allo stato di nikel attivo.
L’acido borico serve come tampone per il film catodico. Qui infatti la scarica
continua di cationi (Ni2+ e in misura molto minore anche se indesiderato H+)
provoca un aumento del pH che se non viene tamponato porta alla formazione
di idrossidi di Nickel, sali poco solubili, che vanno a depositarsi sul pezzo
originando delle puntinature e quindi degli scarti.
L’antipuntinante è necessario poiché l’efficienza catodica di scarica del
nickel è circa del 97% mentre il resto è dovuto alla scarica dei portatori minoritari
H+ con formazione di bollicine di H2 che rimangono attaccate al catodo. Per
favorire il distacco di queste vengono aggiunti dei tensioattivi anionici che
riducono la tensione interfacciale soluzione - superficie nickelata per cui la
soluzione bagna la superficie scalzando la bollicina ed evitando così che questa
crei un impedimento alla crescita del deposito con formazione di una cavità. Il
lauril solfato sodico è uno dei più comuni tensioattivi adottati nei bagni lucidi.
I brillantanti sono sostanze che migliorano la lucentezza del deposito ma
non forniscono da soli l’aspetto lucido richiesto. Si possono suddividere in due
classi:
I brillantanti della classe 1 sono acidi benzendisolfonici, benzentrisulfonici,
benzensolfonammidi e benzensulfonimidi (saccarina). Gli anelli aromatici sono
di solito benzenici o naftalenici ma attualmente vengono utilizzati gruppi insaturi
alifatici quali il vinile e l’allile Queste sostanze migliorano la lucentezza del
deposito ma non forniscono da soli l’aspetto lucido richiesto. Le concentrazioni di
questi additivi possono arrivare anche a valori di qualche grammo (1-10 g/l)
senza interferire sull’adesione e sulla corrente limite. Essi comunque tendono a
diminuire le tensioni interne del deposito e per i valori più alti dell’intervallo
tendono a farle divenire di compressione. Questi composti tendono ad introdurre
dello zolfo nel deposito.
I brillantanti della classe 2 sono utilizzati in combinazione con quelli della
prima classe per produrre livellamento e brillantezza che aumenta con l’aumento
dello spessore. Questi sono costituiti da composti organici insaturi. Hanno la
caratteristica di introdurre carbonio nel deposito. Molti di questi brillantanti
devono essere utilizzati assieme a quelli della prima classe perché se utilizzati
da soli producono tensioni interne riducendo l’adesione al substrato. I principali
brillantanti della seconda classe contengono il gruppo olefinico –C=C- come la
cumarina o il gruppo acetilenico come il 2-butin-1-4-diolo.
La temperatura deve essere mantenuta sufficientemente elevata
nell’intervallo definito. Questo permette di operare con una velocità di
deposizione elevata. Infatti la velocità con cui il deposito si forma dipende dalla
velocità con cui i portatori ionici utili (Ni2+) possono giungere sul catodo, velocità
che è funzione della tensione applicata agli elettrodi. Se però la tensione
applicata è troppo alta per cui la scarica ionica è elevata possono intervenire i
due seguenti fenomeni:
1. Gli atomi depositati sono tanti e non hanno il tempo per ricercare nella
zona di deposito la condizione di minor energia per cui vi sarà un
impilamento di atomi disordinato con formazione di un deposito opaco.
2. Se la velocità di diffusione di questi atomi metallici all’interfaccia è troppo
bassa, allora possono intervenire dei portatori indesiderati quali lo ione H +.
Vi è quindi la possibilità di formazione di puntinature o di deposito di sali
basici provocato dall’aumento del pH per la riduzione nello strato catodico
della concentrazione di H+.

Analisi chimica del bagno di nickelatura
Determinazione della quantità di nickel
REAGENTI:
1)Ammonio cloruro
2)Ammoniaca 1:1
3)Muresside - NaCl 1:100
4)EDTA 0,1 mol
PROCEDURA:
Pipettare 10 cc di soluzione di nikelatura e portarla a 100 cc in un
pallone tarato con acqua distillata.
Prelevare da questa nuova soluzione 10 cc e portarli in una beuta da
300 cc diluendo con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere una spatolina di cloruro d’ammonio e 30 cc di ammoniaca
1:1 e una punta di spatola di muresside.
Titolare quindi con EDTA 0,1 M fino a comparsa di una colorazione
porpora della soluzione
Siano  i cc di EDTA utilizzati.
Calcolo : g/l di Ni =  x 5,87
Determinazione del contenuto in cloruro
REAGENTI:
1) Potassio cromato sol.10%
2) Argento nitrato sol. 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 10 cc di di soluzione di nickelatura in una beuta da 300 cc e
diluire con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere 3 cc di soluzione di potassio cromato al 10%
Titolare con argento nitrato 0,1 N fino a comparsa di una colorazione
rosso bruno.
Siano  i cc di argento nitrato 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di Cl- =  x 0,354
g/l di NiCl2 =  x 1,17
Determinazione del contenuto in acido borico
REAGENTI:
1) Potassio cromato sol.10%
2) Argento nitrato sol. 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 10 cc di di soluzione di nikelatura in una beuta da 300 cc e
diluire con 50 cc di acqua distillata.
Aggiungere 3 cc di soluzione di potassio cromato al 10%
Titolare con argento nitrato 0,1 N fino a comparsa di una colorazione
rosso bruno.
Siano  i cc di argento nitrato 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di Cl- =  x 0,354
g/l di NiCl2 = x 1,17
Determinazione della saccarina
REAGENTI:
1) HCl 1:1
2)Gravetolo (Sciogliere 0,2 gr di rosso metile in 50 cc di
alcool isopropilico,aggiungere 1,75 cc di acido solforico
concentrato e portare ad un litro con etilacetato. Filtrare
la soluzione dopo 2 giorni)
3) Alcool etilico
4) NaOH 0,1 N
PROCEDURA
Pipettare 50 cc di soluzione di nikelatura in un imbuto separatore,
aggiungere 2 cc di HCl 1:1, 10 cc di Gravetolo e 25 cc di alcool etilico.
Agitare vigorosamente per 1 minuto. Permettere la separazione e
drenare lo strato inferiore verde.
Trasferire la soluzione gialla in una beuta , aggiungere 25 cc di alcool
etilico e titolare con NaOH 0,1 N da giallo a rosso.
Siano  i cc di NaOH 0,1 N utilizzati
Calcolo: g/l di saccarina =  x 1,4
CROMATURA
TEORIA DELLA CROMATURA

Generalità
La deposizione elettrolitica del cromo ha avuto inizio nel terzo decennio del
ventesimo secolo e dalla sua introduzione ha avuto molte applicazioni viste le sue
proprietà anche a spessori molto limitati.
Il cromo forma con il nickel la coppia di metalli più importanti nella deposizione
galvanica. Come per il nickel anche per il cromo si possono avere essenzialmente due
tipologie di deposito:
1. Cromo decorativo: sottile strato minore di 1m con aspetto lucido duraturo specie
su nichel;
2. Cromo duro: deposito ad applicazione industriale le cui peculiarità sono la
resistenza all’ossidazione a caldo, resistenza all’usura, all’abrasione, all’erosione e
basso coefficiente di frizione.
Le caratteristiche positive del cromo hanno dovuto scontrarsi con alcuni fattori
negativi che non vanno trascurati e in particolar modo gli aspetti ecologici lo stanno, in
questi tempi, mettendo a dura prova.
Gli svantaggi più importanti del processo di cromatura sono:
a) La soluzione elettrolitica è molto aggressiva anche a basse concentrazioni. Il
problema della nocività durante lo svolgimento del processo, e in particolare i
problemi delle emissioni sia negli aeriformi che negli scarichi idrici, devono essere
tenuti presenti in fase di progettazione dell’impianto per definire i costi di gestione.
b) Il basso rendimento di corrente associato all’elevato voltaggio richiesto comporta un
alto costo per unità di peso di deposito. Questo è dell’ordine di un centinaio di volte
superiore rispetto ad altre deposizioni per effetto del basso equivalente chimico del
cromo in questo processo. Esso è l’unico metallo che viene elettrodepositato
direttamente da uno stato d' ossidazione esavalente.
c) La necessità di lavorare ad alte densità di corrente comporta l’utilizzo di generatori
di corrente continua d'elevata potenza e conduttori di collegamento alle vasche di
elevata sezione.
d) L’elevata produzione di idrogeno come reazione secondaria al catodo causa la
produzione di un aerosol contenente la soluzione, che va eliminato o con una forte
aspirazione o mediante soppressori adatti.
e) L’elevato assorbimento di idrogeno sia nel deposito che nel metallo base causa
tensionamenti nei manufatti cromati.
f) Il processo condotto con anodi insolubili comporta un continuo reintegro del cromo
depositato.
La ragione per la quale il processo di cromatura è tuttora così utilizzato è da attribuire
alle eccellenti proprietà dimostrate dal deposito specie su substrati di nickel o rame-nickel.

Reazioni elettrodiche
Possiamo considerare che alle concentrazioni usuali del bagno di cromatura il cromo
sia presente come Cr2O7=. Le reazioni più importanti che si ipotizzano al catodo sono:
Deposizione di cromo
: Cr2O7= + 14 H+ + 12 e-
Evoluzione di idrogeno :
2 H + + 2 e-
Formazione di Cr3+ : Cr2O7= + 14 H+ + 6 e-


2 Cr + 7 H2O

H2
2Cr3+ + 7H2O
In effetti molte sono le ipotesi sulla reazione di deposizione di cromo ma poche le
conferme. E’ difficile credere che un gruppo Cr2O7= possa reagire contemporaneamente
con 12 elettroni e quattordici idrogenioni. Questa reazione deve avvenire per stadi
successivi. La reazione di sviluppo di idrogeno è per la deposizione una reazione passiva,
ma potrebbe anche partecipare alla riduzione chimica del cromo (VI) a cromo (III)
mediante reazione puramente chimica in combinazione con quella elettrolitica. Sembra,
infatti, che la presenza di cromo trivalente sia necessaria per la riduzione elettrochimica a
cromo metallo. L’importanza del cromo trivalente si esplica probabilmente all’interfaccia
catodica. Comunque un elevato valore della concentrazione in cromo trivalente produce
effetti negativi sulla deposizione e diminuisce la conducibilità del bagno.
Non si utilizzano anodi di cromo perché non sono solubili. Conviene utilizzare anodi
insolubili meno costosi e più adatti. Questi sono costituiti da piombo o sue leghe con
contenuti del 10% in Sn o Sb
che hanno la caratteristica di avere una sufficiente
resistenza alla corrosione in quest’ambiente. Ma il maggior pregio di questi anodi è di
concorrere alla riossidazione del cromo trivalente compensando quello prodotto nelle
reazioni viste al catodo.
Le reazioni più importanti che avvengono all’anodo sono:
Evoluzione di ossigeno

2H2O
Ossidazione dello ione cromico
2Cr3+ +6H2

Produzione di PbO2 sull’anodo
Pb + 2H2O

O2 + 4H+ + 4e
2CrO3 + 12H+ + 6e-
PbO2 + 4H+ + 4e-
Molta energia è consumata per la produzione di ossigeno. Le altre due reazioni sono
molto importanti. La riossidazione del cromo (III) a cromo (VI) compensa la sua
produzione al catodo permettendo di mantenere il livello di Cr 3+ entro valori dell’intervallo
di deposizione ottimale. Perché ciò accada è necessario che l’anodo si ricopra di uno
strato di biossido di piombo. Se questo film scompare o non si forma, compare al suo
posto uno strato di cromato di piombo che ha la caratteristica di non permettere la
riossidazione del cromo trivalente. Tale evenienza può succedere quando il bagno non
viene utilizzato per lungo tempo. In tal caso si nota la formazione sugli anodi di uno strato
giallo di piombo cromato. Quando il bagno viene riutilizzato lo strato di biossido in genere
si riforma e si nota sull’anodo un caratteristico colore scuro quasi nero.
Una mancanza di questo film può anche indicare uno scarso contatto elettrico
dell’anodo con la barra anodica per cui l’anodo non riceve la quantità di corrente che gli
spetta. Può anche succedere che ciò sia dovuto alla presenza di un cortocircuito interno
alla soluzione fra anodo e catodo. Se l’anodo non si riattiva spontaneamente durante
l’esercizio normale della elettrolisi è necessario scollegarlo dalla barra anodica, liberarlo
dello strato di piombo cromato mediante spazzolatura e immergerlo di nuovo nella
soluzione avendo l’accortezza che ciò avvenga mentre il bagno è in funzione, cioè quando
alla barra catodica sono appesi degli oggetti in fase di lavorazione. In questo modo
l’elettrodo rigenerato entrerà in funzione istantaneamente e l’ossigeno che si sviluppa
porterà immediatamente alla formazione del biossido di piombo.

Cromo decorativo
Il cromo rappresenta lo strato finale dei trattamenti lucidi di nickelatura o di ramatura
e nickelatura . Questo metallo è dotato di un colore bianco-bluastro ed ha una elevata
riflettività che mantiene in diversi ambienti di esposizione. Esso resiste molto bene
all’opacizzazione in ambienti domestici normali e questa è la ragione del suo utilizzo come
rivestimento del nickel. Resiste molto bene all’usura e al graffio. Raramente è applicato
direttamente al metallo base ma rappresenta di solito la finitura di un substrato di nickel o
rame-nickel. L’eccezione può essere rappresentata dalla cromatura dell’acciaio
inossidabile dove viene applicato direttamente alla base per fornire all’acciaio una
colorazione più gradevole. Lo spessore di cromo che viene applicato su nickel dipende
dalle condizioni di esposizione e d’uso e dal livello di qualità dell’oggetto.
Per applicazioni domestiche in ambiente secco sono sufficienti spessori di circa 0,1
µm. Per applicazioni all’interno di autoveicoli e in particolare all’esterno degli stessi sono
consigliati spessori di circa 1,25 micron. Applicazioni marine richiedono gli stessi spessori
utilizzati per gli esterni delle automobili. In verità non tutte le attrezzature marine che
devono resistere all’acqua di mare vengono cromate ma molte sono fatte direttamente in
materiali resistenti a queste condizioni come i bronzi. In effetti sono pochi i sistemi di
placcatura economici che resistono all’acqua di mare .
Esistono due tipologie di bagni di cromatura da acido cromico: I “convenzionali” in cui
il catalizzatore è l’acido solforico e i bagni “catalizzati” in cui oltre al solfato è presente il
fluoruro sotto forma di fluosilicato.

Sviluppo dei principi della riduzione elettrolitica dell’acido cromico.
L’elettrodeposizione di metalli da soluzioni nelle quali sono presenti in un sistema
anionico è comunemente praticata. I più importanti sono i bagni alcalini al cianuro da cui,
per esempio, vengono depositati rame, zinco e metalli preziosi. Anche il cromo è presente
nei bagni di cromatura in forma anionica, tuttavia esiste una differenza sostanziale fra le
due forme. Nel caso del cianuro e complessanti simili, si può assumere che l’equilibrio del
complesso fornisca in modo continuo, anche se limitato dalla costante di stabilità e dalla
cinetica di scomplessazione, la quantità di metallo in forma ionica necessaria alla
deposizione (per esempio il cianuro di argento scomplessato in ione argento libero e ioni
cianuro):
Ag(CN)2-  Ag+ +2 CNNel caso dell’acido cromico non è termodinamicamente possibile la liberazione di
uno ione cromo esavalente poiché l’atomo corrispondente è contenuto nello ione CrO 42che è molto stabile in ambiente acquoso. La decomposizione semplice in ioni Cr III e
ossigeno è altrettanto impossibile se non interviene una reazione di riduzione. La
deposizione di cromo può solamente essere effettuata come risultato della riduzione
dell’acido cromico, che può procedere in molti stadi.
La deposizione da cromo esavalente consiste essenzialmente di una soluzione
relativamente concentrata di acido cromico, che deve , comunque, sempre contenere in
aggiunta una piccola quantità di anioni estranei, normalmente fluoruri o solfati. Una piccola
quantità di cromo trivalente è anch’essa sempre presente, anche se studi hanno
evidenziato che la deposizione del metallo non avviene da questo, ma direttamente
dall’acido cromico. La riduzione dell’acido cromico avviene per stadi, in un singola serie
di reazioni nel film catodico. Il cromo trivalente che viene prodotto in questo modo
diffonde dalla zona del catodo e si distribuisce in ogni parte dell’elettrolita per cui non
resta disponibile per lungo tempo per un’ulteriore riduzione diretta a metallo. Egli può,
comunque, raggiungere l’anodo, dove esso viene riossidato ad acido cromico e così entra
nuovamente nel ciclo di reazione.
Gli studi sulla teoria del processo di cromatura elettrolitica procedettero in modo
simultaneo con lo sviluppo della tecnologia del processo. Vari studiosi hanno sviluppato
studi teorici dettagliati applicandoli ad esperimenti. La più significativa proposta, ancora
valida oggigiorno, è che durante l’elettrolisi, un film di cromato di cromo, insolubile negli
acidi, si formi al catodo in modo da avere un maggiore effetto sulla reazione. Dal momento
che questo film è normalmente di spessore sub-microscopico, è stato per lungo tempo
impossibile osservarlo o dimostrare la sua esistenza direttamente; la sua presenza può
essere rilevata soltanto mediante misure di densità di corrente / potenziale. Questo
naturalmente porta a vedute conflittuali sulla natura del film. Comunque si è riusciti a
preparare e osservare direttamente questo film al microscopio elettronico. La formazione
di questo film è influenzata enormemente dalla presenza di ioni estranei nella soluzione. In
accordo con questi studi l’influenza degli ioni estranei consiste di un effetto catalitico sulla
reattività dell’acido cromico. Weiner è stato capace di far vedere, con analisi dettagliata di
curve densità di corrente / potenziale catodico su un gran numero di metalli, che il metallo
del catodo ha una profonda influenza sui processi elettrochimici nella zona catodica. Studi
completi sul ruolo che gioca il metallo al catodo sul meccanismo di reazione sono stati
forniti da misure con fasci elettronici nel film catodico con i quali è possibile dimostrare la
presenza di metallo nel film catodico.
J. Matulis assunse che la reazione dell’acido cromico con il catodo di metallo
avvenga per deposizione chimica attraverso la formazione di un film primario senza
l’intervento di processi elettrolitici. Processi elettrolitici si hanno solo quando la
polarizzazione del catodo rimuove la passività del metallo catodico e rende possibile la
sua dissoluzione nell’ acido cromico. Un film secondario si può anche sviluppare durante
l’elettrolisi per riduzione diretta dell’acido cromico a cromo trivalente con la formazione di
cromato di cromo insolubile sulla superficie catodica.
Dal momento che l’acido cromico è molto aggressivo e il suo potenziale Redox è
anche più nobile dei potenziali degli altri metalli (incluso l’oro), è ovvio che tutti gli altri
metalli che possono essere usati come catodo si possono sciogliere, così che i loro ioni
possono essere disponibili per reazioni nella zona catodica.
Altri studi hanno preso in considerazione misure potenziometriche, per esempio
misure galvanometriche su un catodo a potenziale costante invece di catodo a densità di
corrente costante. Va tenuto conto in questo contesto che tenendo costante il potenziale
esterno del catodo non significa che il processo al catodo rimanga costante. Il potenziale
misurato è dato dalla somma di processi parziali che sono individualmente accessibili
cosicché l’assunzione di uno stato stazionario assoluto in uno studio condotto secondo
misure potenziometriche può dare risultati errati.
Attualmente, gli studi potenziometrici portano alle stesse difficoltà, che sono quindi
solamente spostate dal potenziale alla densità di corrente ma rimangono invariate.

Stato presente della teoria della deposizione del cromo
Il corrente punto di vista è basato su esperimenti molto specifici da parte di studiosi
che hanno dato a questo problema un notevole contributo. Se le teorie originali si sono
rivelate obsolete, bisogna sempre tenere conto però che è stato grazie a queste teorie che
lo sviluppo di questi processi è stato studiato in modo specifico. Inoltre le teorie moderne
si sono servite del vecchio materiale acquisito durante gli anni.
E’ noto che nel caso di acido cromico puro, libero da ioni estranei, non si ha nessuna
riduzione al catodo. Sembra probabile la formazione di un sottile film di cromato di cromo
che impedisce l’ulteriore accesso di soluzione di acido cromico e previene anche l’ulteriore
riduzione. Questi film che si formano sembra abbiano caratteristiche semiconduttive,
cosicché la riduzione dell’acido cromico può avvenire sulla superficie del film che ricopre il
catodo. Gli ulteriori studi al microscopio elettronico hanno però portato a supporre che
questo film non abbia proprietà di semiconduttore ma che possieda proprietà di scambio
ionico.
L’acido cromico ha una particolare abilità nel dissolvere il film catodico in presenza di
ioni estranei. R.Weiner stabilì che l’idrossido di cromo non può sciogliersi in acido cromico
senza ioni estranei. Se però una piccola quantità di ioni (es. solfati , cloruri o fluoruri) viene
aggiunta alla soluzione si ha una rapida dissoluzione del precipitato purchè non si formi un
nuovo composto di cromo insolubile. Il carbonato dei metalli pesanti ( es. cromo, rame,
nichel ecc.) non si scioglie in acido cromico puro, ma lo fa molto rapidamente quando si è
in presenza di ioni estranei di tipo acido.
L’effetto di un incremento del contenuto di ioni solfato nel processo elettrochimico fu
studiato sempre da R. Weiner. Egli investigò sulla azione dell’acido cromico e fece vedere
che l’effetto dell’aggiunta di ioni estranei dipende dall’influenza catalitica del solvente e
dalle proprietà reattive dell’acido cromico.
L’incremento dell’ azione di dissoluzione del cromato da parte dell’acido cromico
contenente ioni estranei, porta ad avere un film catodico sempre più sottile e non
completamente isolante, o anche poroso che non previene l’ulteriore riduzione dell’acido
cromico.
Come l’effetto catalitico degli ioni estranei influenzi le proprietà dell’acido cromico
non è ancora ben noto. Appare certo che agenti complessanti sono presenti nella
soluzione che contiene cromato così come i solfati e il cromo trivalente. Queste specie
probabilmente giocano un ruolo importante nella formazione del film catodico.
Ogni metallo presente nell’acido cromico, esiste in una forma complessata. Nelle
soluzioni di acido cromico che sono state neutralizzate con un composto di rame a
carattere basico e che contengono acido cromico e rame approssimativamente in rapporto
2:1, non passa nessuna corrente, a parte una debole corrente residua persino a potenziali
molto negativi. Quindi, gli ioni rame così come quelli di cromato sono legati tra loro come
un complesso molto stabile.
Solo ad un potenziale oltre il potenziale normale di deposizione del cromo, si ha
riduzione dell’acido cromico, sebbene il rame non venga depositato. Un film non poroso
con proprietà semiconduttive può essere presente, ma non è rilevante per spiegare il
fenomeno, dato che la deposizione del rame così come la riduzione dell’ acido cromico
può avvenire sulla sua superficie. La presenza di complessi nei quali tutti e tre i costituenti
del bagno (acido cromico, cromo trivalente e solfato) sono presenti è stato confermato da
una serie di recenti studi.
Venne scoperto un complesso che contiene uno ione SO 4 con due ioni CrIII. Questo
complesso apparentemente non sembra aver effetto catalitico sulla riduzione dell’acido
cromico. All’anodo invece, dove il cromo trivalente viene decomposto per ossidazione, si
libera l’ SO4. Se l’anodo è rinchiuso in un diaframma tutto l’SO 4 presente nel complesso è
gradualmente convertito e la deposizione catodica di cromo si ferma. L’ SO 4 in questo
complesso non può più ad esempio essere precipitato con bario.
Ulteriori esperimenti sono stati effettuati sulla preparazione e analisi della curva
densità di corrente / potenziale catodico. Mentre i primi studiosi lavorarono esclusivamente
con catodi che consideravano inerti rispetto all’acido cromico (platino, oro e carbonio),
R.Weiner studiò i catodi formati per la prima volta da vari metalli e stabilì dalla forma delle
curve e con la purezza analitica delle procedure, che quasi tutti i metalli (incluso oro e
anche platino) possono sciogliersi nell’acido cromico, come era prevedibile in base ai
potenziali. Se la dissoluzione normalmente non sembre che avvenga, questo è dovuto
all’effetto simultaneo di passivazione dell’acido cromico. L’azione passivante è, comunque,
opposta alla scarica catodica, così che tanti metalli che sono totalmente passivi e non
attaccabili nell’acido cromico (come rame, argento, ferro, nickel, oro e platino) sono
attaccati dall’acido cromico solo durante la carica catodica. E’ molto facile osservare sui
catodi di argento e rame, che una piccola dissoluzione avviene al catodo sopra certi valori
di potenziale catodico, e spessi depositi di argento e cromato di rame si sciolgono.
La curva densità di corrente / potenziale catodico nell’acido cromico ha una forma
molto ripida come si vede nel diagramma di fig1.
La riproducibilità di queste curve è in alcuni casi peggiore che nella maggior parte
degli altri processi elettrochimici. Ciò è dovuto all’effetto passivante incontrollabile che si
ha al catodo. Anche il pretrattamento del catodo, sia di attivazione che passivazione, ha
un notevole effetto sulla forma delle curve. Nonostante tutte le incertezze che ci sono, è
stato stabilito che la forma simile dei rami delle curve per diversi metalli catodici è correlata
al loro potenziale.
Ogni operatore sa che il nickel passivato (cioè nickel che è stato esposto all’aria per
lungo tempo, o che ha subito un trattamento di passivazione) non può essere ricoperto
con cromo senza che venga effettuata qualche forma di attivazione come immersione in
acido oppure trattamento catodico. E’ precisamente l’analisi di questi fattori tecnici, che
può essere considerata nella ricerca, che spesso fornisce una pietra di paragone per la
teoria. Nel caso del rame e ottone, che non hanno tendenze passivanti come il nickel, il
fenomeno della non rivestibilità con cromo non è osservato.
Nell’ acido cromico con un basso contenuto di ioni estranei, è ostacolata la
formazione di un film che inibisce la riduzione dell’acido cromico come risultato dell’azione
catalitica di questi ioni. Malgrado ciò, un film è presente in alcuni range di potenziale.
Questo può essere definitivamente notato dalla curva densità di corrente/potenziale e da
altre osservazioni, come l’impossibilità di produrre cromo aderente su superfici che sono
state catodicamente pretrattate in acido cromico. La presenza di questi film è stata provata
con il microscopio elettronico; le fotografie di diffrazione elettronica in particolare
evidenziano la notevole partecipazione del metallo catodico nella formazione di questo
film. Gli ioni del metallo catodico che vanno in soluzione accelerano la riduzione dell’acido
cromico a cromo trivalente a causa del loro alto tasso di scarica.
Il potenziale di scarica del metallo catodico gioca un ruolo importante. Le curve di
densità di corrente-potenziale dei metalli che presentano due stadi di valenza differenti
evidenziano addizionali ramificazioni rispetto a quelli che presentano un unico stadio.
Gli ioni cromo trivalenti che sono rimossi dalle immediate vicinanze del catodo per
convezione o per diffusione non sono disponibili per ulteriore riduzione, probabilmente
come risultato della formazione di un complesso con la grande quantità di acido cromico
presente. D’altra parte, gli ioni Cr3+ rimanenti nel film diffusivo sul catodo possono essere
ridotti a cromo metallico. Che questa riduzione avvenga dal film formatosi al catodo, o
dagli ioni Cr3+ disciolti, o direttamente dall’acido cromico non può essere ancora provato.
Il meccanismo della riduzione catodica dell’acido cromico si può immaginare che
avvenga come segue:
Immergendo un catodo solubile, come rame o oro, in acido cromico, esso è disciolto
essenzialmente nel suo stato di valenza più elevato dovuto all’alto potenziale di
ossidazione dell’acido cromico. La dissoluzione cessa se il catodo diventa rivestito da un
denso, compatto film (assenza di ioni estranei). Se il catodo è ora polarizzato, il primo
processo che avviene è quello della riduzione degli ioni dei metalli ad alta valenza ad uno
stato a bassa valenza. Il potenziale dell’acido cromico è attualmente più nobile del
potenziale Redox dei metalli, e da un punto di vista termodinamico la riduzione dell’acido
cromico deve essere il primo stadio. La riduzione è, comunque, un processo molto
complicato che avviene in un numero di stadi ed è soggetto ad effetti di ritardo, così che la
riduzione del metallo avviene prima per effetto della cinetica di reazione.
La concentrazione degli ioni a bassa valenza aumenta nella zona del catodo e inizia
quindi la riduzione dell’acido cromico.
E’ certo anche che, come nel caso della deposizione catodica, la forma del metallo
depositato è notevolmente influenzata dalla struttura del film diffusivo che ricopre il catodo,
nel quale la presenza di una fase solida gioca un ruolo molto importante. L’esistenza di
quest’ultimo è confermata dal fatto che particelle finemente suddivise di inclusioni di
ossido presenti nel cromo elettrodepositato, si combinano per formare grandi particelle
visibili al microscopio per effetto di un adatto riscaldamento.
In ogni caso la deposizione di cromo avviene in un intervallo di potenziale nel quale
può avvenire evoluzione di idrogeno al catodo, cosicchè entrambi i processi non sono
inseparabili, ma l’ultimo prende il sopravvento, e l’efficienza di corrente al catodo è
generalmente nel range del 10-20% e può raggiungere il 35% in circostanze eccezionali. Il
processo principale è in accordo con la formazione di idrogeno gassoso, seguita dalla
riduzione dell’acido cromico a cromo metallico sia direttamente sia attraverso uno stadio
intermedio costituito da un composto di cromo a bassa valenza.
La deposizione può alternativamente avvenire dal film di cromato presente allo stato
solido che costantemente si consuma dalla parte del catodo, e simultaneamente si riforma
dalla parte dell’elettrolita.

Processi anodici
Il piombo, o le sue leghe, è usato come materiale anodico che si ossida
anodicamente a biossido di piombo. Il principale processo anodico consiste
nell’evoluzione di gas ossigeno. Gli ioni Cr3+ presenti nell’elettrolita sono ossidati ad acido
cromico. Se la quantità di cromo trivalente ossidato all’anodo è equivalente a quella che si
forma nell’elettrolita al catodo, il contenuto di questo rimane costante ad un valore di
meno del 10% del contenuto di acido cromico. Se l’area dell’anodo è piccola, la densità di
corrente anodica diventa grande e la riossidazione del cromo trivalente avviene a bassa
efficienza di corrente, cosicchè incrementa gradualmente la sua quantità nell’elettrolita e
può essere dannoso per le operazioni. Al contrario una grande area anodica può portare
ad una riduzione del contenuto di Cr3+ .
Su anodi di Platino l’ossidazione di Cr3+ non avviene. Se una piccola quantità di
piombo è aggiunta all’elettrolita essa viene depositata sull’anodo di platino come perossido
di piombo e quest’ultimo catalizza l’ossidazione del Cr3+ ad acido cromico. L’uso
dell’anodo di Platino non è praticato perché costoso.
Gli anodi di ferro oltre a non riossidare il Cr3+ si sciolgono nella soluzione e quando il
contenuto di ferro in soluzione cresce sopra i limiti permessi provoca problemi alla
deposizione per cui questo materiale non è adatto per operazioni continue.
STRUTTURA E PROPRIETÀ DEL DEPOSITO DI CROMO

Caratteristiche del cromo elettrodeposto
L’elettrodeposizione del cromo differisce dagli altri processi di placcatura non solo
per il tipo di bagno ma anche per la natura del metallo depositato. Con depositi molto sottili
(sotto i 0,5 µm) si ottiene un deposito fortemente poroso. Con l’aumento dello spessore
non si ha un aumento della porosità ma il deposito di cromo si rompe irregolarmente e
perpendicolarmente alla superficie del substrato per cui il metallo risulta permeato da una
sottile rete di crepe che giungono ad angolo retto sulla superficie. Questo deposito criccato
viene gradualmente ricoperto da altro cromo, che a sua volta si crepa, per cui alla fine si
otterrà un sandwich di depositi criccati uno sull’altro. Le criccature che si sovrappongono
producono delle porosità che possono raggiungere il metallo base. Ciò succede finché il
deposito non supera i 20µm. La formazione di una struttura criccata dipende dalla natura
degli ioni estranei presenti nel bagno. Bagni che contengono fluoruri forniscono in genere
una criccatura molto sottile; bagni al solfato forniscono un sistema a grana grossa mentre i
bagni al solfato–fluoruro danno un deposito di struttura intermedia. La causa per cui si
forma una struttura criccata sembra sia dovuta alla iniziale formazione di un idruro di
cromo CrH stabile di struttura esagonale. Sembra che la struttura stabile dell’idruro sia la
fcc. Il tipo di idruro che si forma dipende dalle condizioni di lavoro. La formazione di un
idruro esagonale è favorita dalle basse temperature del bagno, dalle alte densità di
corrente e dalla alta concentrazione di anidride cromica del bagno. La struttura cubica del
cromo è altamente distorta principalmente per l’incorporamento di sostanze estranee nel
film catodico e per l’assorbimento di idrogeno nel deposito. Con l’aumento della quantità di
idrogeno assorbito la struttura cubica diventa instabile e passa alla forma esagonale, che
ha una più elevata capacità assorbente. La liberazione dell’idrogeno legato chimicamente
o assorbito fisicamente permette la ritrasformazione dell’idruro in cromo metallico (bcc). Il
CrH è un idruro molto stabile e poiché la superficie del deposito tende ad assorbire
ossigeno questo blocca la liberazione dell’idrogeno L’idrogeno è presente nel metallo
parzialmente allo stato assorbito e parzialmente allo stato combinato. La completa
decomposizione dell’idruro per riscaldamento porta alla formazione di cromo metallico
(bcc) simile a quello prodotto termicamente. Questa trasformazione comporta una
riduzione di volume del 15% per cui si sviluppano nel deposito delle tensioni interne. Ma
poiché l’adesione del cromo al supporto è molto elevata la contrazione avviene in senso
parallelo al substrato e produce la rottura degli strati di cromo. Queste crepe sono riempite
con un film invisibile che è convertito a CrO3 per riscaldamento. A causa delle cricche
presenti il peso specifico del cromo elettrodepositato è compreso fra 6,9 e 7,1 in funzione
delle condizioni di elettrolisi mentre quello ottenuto per fusione è 7,138. Riscaldando
l’idruro di cromo si accelera la sua decomposizione e a 600 °C comincia la
ricristallizzazione che provoca l’aumento delle criccature e la diminuizione delle tensioni
interne. Nel deposito si possono trovare degli ossidi che non sono visibili al microscopio
ottico. Col trattamento termico questi si possono agglomerare in particelle visibili
preferenzialmente al contorno dei nuovi grossi
grani di cromo formatisi. La
ricristallizzazione produce una netta riduzione della durezza sopra i 500 °C. Sopra i 600 °C
la riduzione diventa trascurabile e può essere imputata alla perdita dell’idrogeno assorbito.
La formazione di depositi di cromo criccato è molto spesso richiesta. Il numero di
cricche può essere aumentato mediante attacco chimico per sviluppare una superficie
notevolmente porosa che ha la capacità di trattenere gli oli lubrificanti.
Al contrario è possibile produrre dei depositi non criccati ad elevati spessori partendo
da elettroliti misti e operando in condizioni costanti dei parametri. La presenza del 15% di
indio rapportato al contenuto di acido cromico a densità di corrente fra 15 e 45 A/dm 2
fornisce questa condizione. Se la produzione di depositi esenti da criccature non è molto
complicata, esistono comunque problemi per mantenere tale proprietà dopo la loro
produzione. Quando il prodotto viene sottoposto a tensioni esterne possono ricomparire le
criccature annullando il successo precedente.
La dimensione del grano del cromo è generalmente molto piccola (0,008-0,14m)
mentre le dimensioni dei cristalli ottenuti termicamente sono circa 1 m. Le dimensioni
limitate dei cristalli si possono attribuire alla decomposizione degli idruri prodotti
inizialmente. Nella deposizione ad alte temperature gli idruri si formano in piccole quantità
oppure si sviluppano solo idruri con vita molto breve. In questo caso i depositi hanno
tensioni interne molto basse e limitate criccature. I depositi di cromo lucidi hanno in genere
una grana più fine e presentano dei cristalli orientati parallelamente alla superficie.
Presentano una fitta rete di criccature e contengono inclusioni. Questi hanno una
resistenza alla corrosione minore rispetto ai depositi opachi che hanno invece cristalli
senza orientamento preferenziale, sono meno criccati e hanno meno inclusioni. Molte
criccature del cromo sono originate da difetti del substrato che vengono poi trasferiti al
cromo sovrastante.

Tensioni interne
Come è già stato detto ,l’idruro di cromo che inizialmente si forma nella deposizione
prima o poi si decompone in cromo metallico ed idrogeno. Il metallo base rimane così
parzialmente non protetto dal cromo e vi è la possibilità che questo assorba idrogeno
specialmente quando questo metallo è ferro o nickel. Le tensioni interne del metallo base
prodotte dall’assorbimento di idrogeno possono indurre difetti sul deposito di cromo. I
cambiamenti di volume nel deposito dovuti alla decomposizione degli idruri portano alla
formazione di tensioni interne. In accordo con diversi studi si nota che le tensioni di
compressione si sviluppano prima nel nickel che nel cromo per effetto dell’assorbimento di
idrogeno. Queste vengono trasferite al cromo dove compensano parzialmente le tensioni
di trazione dello stesso. All’aumentare dello spessore l’effetto del substrato diminuisce fino
a sparire. Questo risultato è stato ottenuto con uno spessore di cromo di 0,02 a 0,6m.
Inizialmente le tensioni sono di compressione e sono da attribuire al metallo base poi
gradualmente diminuiscono fino ad annullarsi a 0,5m per poi diventare di trazione. Quindi
la decomposizione dell’idruro di cromo inizialmente non gioca ruoli significativi nello
sviluppo delle tensioni nel cromo ma molto di più nella crescita dei singoli cristalli. Sono
stati misurati in uno spessore di 2 m i valori delle tensioni interne che sono variati da un
valore di compressione di 2200 kgp/mm2 ad uno di trazione di 1350 kgp/mm2; in genere
però i valori delle tensioni di trazione variano da 0 a 240 kg p/mm2. I più alti valori delle
tensioni interne sono stati trovati nei depositi di cromo ottenuti da bagni al fluoruro o al
tetracromato. Con temperature e intensità di corrente elevate si ottengono depositi poco
tensionati o addirittura con tensioni di compressione. La condizione di formazione di un
deposito non stressato non corrisponde ad una regola come può essere quella che porta
alla formazione di un deposito di cromo lucido. Aumentando la temperatura dell’ elettrolita
sotto condizioni costanti degli altri parametri le tensioni interne prima aumentano per poi
diminuire. Particolari aggiunte all’ elettrolita come ad esempio acido selenico agiscono
sulle tensioni interne. Se le tensioni interne superano il limite di rottura del cromo allora il
deposito si cricca, condizione che si verifica normalmente quando si supera lo spessore di
2 m. Una parziale criccatura riduce il valore delle tensioni interne sebbene la loro
presenza debba essere sempre considerata. In particolare con depositi di cromo di elevato
spessore queste tensioni possono essere latenti ma possono condurre alla formazione di
ulteriori criccature come conseguenza di azioni meccaniche esterne. Una riduzione
sostanziale delle tensioni interne può essere ottenuta con il riscaldamento. Questo non è
necessario nel caso di depositi lucidi sottili che sono permeati di fessurazioni. Al contrario
il trattamento termico diventa necessario per ridurre le tensioni a valori accettabili per l’uso
pratico.
PROPRIETA’ MECCANICHE

Durezza e resistenza all’abrasione
La struttura del cromo elettrodepositato e’ responsabile della elevata durezza dei
depositi. I depositi di cromo più duri sono due volte più duri di metalli quali ferro, cobalto e
nickel . Sono anche molto più duri degli acciai temprati. La durezza Vickers, che è
determinata mediante l’uso di una punta di diamante piramidale caricata con un peso
prefissato, è compresa fra 1000 kg/mm2 e 1200 kg/mm2.
Sempre in riferimento alla durezza del cromo si trovano frequentemente valori
variabili. Questo è principalmente dovuto al fatto che le durezze dipendono dalle
condizioni di deposizione. Questo fatto è stato studiato e viene sempre tenuto presente
nelle misure di durezza. Un’altra causa di discordanza dei dati e dovuta ai limitati spessori
dei depositi che sono anche caratterizzati da una fitta rete di criccature, perciò depositi
identici possono presentare differenti valori quando vengono determinati con diversi
metodi. Ovviamente si possono fare solo misure di microdurezza con pesi inferiori ad 1 Kg
(generalmente 200 gr). E’ usuale misurare la profondità dell’ impronta, o la diagonale dell’
impronta fatta dalla piramide di diamante. Nel caso di una durezza Vickers si ottiene una
impronta quadrata. Col metodo Knoop si ottiene un’impronta rombica. Nella
determinazione della durezza di questi depositi bisogna che il metallo base non influenzi i
risultati. Perché ciò non accada la profondità dell’impronta deve essere una frazione dello
spessore del deposito. E’ spesso conveniente condurre la prova su una sezione di
spessore molto elevato. Poiché’ le impronte sono funzioni del peso , questo va specificato
per ogni prova. Le misure di durezza vengono fatte con il metodo Vickers utilizzando un
diamante piramidale con un angolo di 136° fra le facce o con il metodo di Knoop
utilizzando una piramide rombica con angoli di 72°30’ e 130° fra due facce. La profondità
della impronta è 1/7 della diagonale del quadrato dell’ impronta nel metodo Vickers. Nel
caso del metodo di Knoop l’ impronta è profonda 1/30 della lunghezza della diagonale del
rombo. Sembra quindi vantaggioso l’uso del metodo Knoop, specialmente per depositi
sottili poiché questo metodo ha una penetrazione inferiore. La durezza Knoop può essere
trasformata in durezza Vickers con opportune tabelle.
Un errore comune che viene compiuto nell’uso dei valori di durezza di un deposito è
quello di legarlo direttamente alla resistenza all’abrasione o alla resistenza in generale.
Tuttavia non solo la durezza ma anche la duttilità e l’elasticità sono fattori che influenzano
la resistenza all’usura. Quindi nessuna conclusione può essere tratta riguardo la
resistenza all’abrasione da misure di durezza ne inversamente. Tenendo presente
l’importanza della cromatura dura nelle applicazioni industriali la questione delle misure di
durezza e di resistenza all’usura è di primaria importanza. Mentre vi sono molti metodi
standardizzati per le misure di durezza, nel caso delle misure di resistenza all’abrasione
prevale un sistema di prove più personalizzate. Vari sono i metodi usati per la misura della
resistenza all’abrasione come ad esempio la riduzione dello spessore, la perdita di peso, il
volume abraso, il consumo di abrasivo, il tempo per ridurre lo spessore di un certo valore
in seguito a continuo sfregamento. In ogni caso metodi diversi producono risultati diversi.
Sono stati riportati i risultati di molte prove mettendo in relazione la durezza con la
resistenza all’abrasione come si vede in fig 8.
Volumi elevati indicano maggior usura e bassa resistenza all’abrasione. Sono stati
testati più di 100 depositi di cromo da differenti bagni e differenti condizioni di deposizione;
i relativi valori della durezza Vickers e dei volumi abrasi sono stati racchiusi all’interno
delle due curve. Si è visto che i depositi di cromo duro con HV=750-800 kg/mm2 hanno
una elevata resistenza ad usura poiché con questi valori esiste un rapporto più favorevole
fra durezza e duttilità (fig.9).
Il fenomeno per cui si osserva il valore ottimale delle caratteristiche abrasive a valori
intermedi di durezza può essere notato anche con i depositi di oro. Questi depositi sono
spesso utilizzati nei contatti elettrici dove sono imposti stress di sfregamento. Vengono
utilizzati depositi di oro con durezza di 400 kg/mm2 ma questi hanno una scarsa resistenza
ad usura mentre sono più adatti depositi con durezza di 250 kg/mm2. Che le condizioni del
substrato influenzino la resistenza ad abrasione del cromo è accertato. Cilindri per alta
pressione che sono rivestiti di rame come substrato del cromo hanno durata
completamente diversa a seconda del tipo di deposito di rame. Su un deposito orientato il
cromo ha una scarsa aderenza e la vita di questo deposito è un decimo di quella di un
cromo deposto su un rame a orientamento irregolare. Lo spessore del cromo ha
un’influenza sulla vita dello stesso e questa non è interamente proporzionale allo spessore
ma decresce rapidamente a bassi spessori. Se la resistenza all’abrasione deve essere la
caratteristica fondamentale del deposito questo deve avere almeno uno spessore di
7,5m.

Riflettività
Il colore del cromo è bianco con riflessi azzurrini. Il coefficiente di riflessione di una
superficie pulita di cromo è del 55% rispetto ad una argentata e lucidata nel campo del
visibile. Tuttavia queste proprietà riflettive vengono mantenute per lunghe esposizioni
all’atmosfera mentre tutti sanno che l’argento si opacizza in breve tempo. L’argento perde
le sue proprietà riflessive specialmente in ambienti solforati mentre il cromo rimane
inalterato.
Attualmente nel campo della moda si tende ad incoraggiare il deposito opaco o
semiopaco piuttosto che il deposito lucido. Questo accade ad esempio nel campo ottico o
automobilistico ove l’effetto lucido deve essere evitato, oppure nel campo decorativo dove
magari viene preferito l’effetto opaco. E’ risaputo che la produzione di un deposito opaco è
molto più difficoltosa di quello lucido specialmente su superfici molto larghe. Queste
difficoltà possono essere evitate depositando un substrato opaco di nickel o rame oppure
utilizzando un trattamento meccanico di opacizzazione come la sabbiatura. Su questa
superficie viene poi depositato un film di cromo lucido che non comporta variazioni
apprezzabili dell’originaria opacità.

Coefficiente d’attrito
Una proprietà del cromo elettrodeposto è il suo basso coefficiente di frizione. In
particolare il suo coefficiente d’attrito a secco è il più basso di tutti i metalli.
Tab. 1:
Coefficiente di attrito di vari metalli
Combinazione
Cromo su cromo
Cromo su metalli bianchi
Cromo su acciaio
Acciaio su metalli bianchi
Metalli bianchi su metalli bianchi
Acciaio su acciaio
Coefficiente d’attrito
Statico
Dinamico
0.14
0.12
0.15
0.13
0.17
0.16
0.25
0.20
0.54
0.19
0.30
0.20
Il coefficiente di frizione del cromo su ferro aumenta all’aumentare della temperatura
mentre nel caso dell’acciaio su ferro non cambia. L’attrito diminuisce con la lubrificazione.
Si è visto che l’aggiunta di un acido grasso ad un olio neutro ha un favorevole effetto sulla
lubrificazione dell’acciaio mentre è inefficace nel caso di superfici cromate. La scarsa
bagnabilità delle superfici cromate ha spesso un effetto indesiderato sulle condizioni di
scorrevolezza. Da queste considerazioni il cromo non rappresenta mai una soluzione
ottimale. Data la sua scarsa bagnabilità viene utilizzato dove non è possibile lubrificare
come nello stampaggio della plastica dei vetri e dei metalli nell’industria tessile e nei vari
campi dell’industria alimentare.
PROPRIETA’ CHIMICHE

Contenuto di gas
I depositi di cromo contengono spesso apprezzabili quantità di idrogeno ed ossigeno.
Le quantità di questi dipendono dalla concentrazione del bagno, dalla densità di corrente e
dalla temperatura. Il contenuto di idrogeno diminuisce considerevolmente con l’aumento
della temperatura di elettrolisi, ma solo leggermente con l’aumento della densità di
corrente. Per esempio con una densità di corrente di 50 A/dm 2 ed una soluzione alla
temperatura di 35 °C si ottiene un contenuto di idrogeno nel deposito di 0,07%. A 55°C
diventa lo 0,05% e a 80°C lo 0,03%. L’idrogeno può essere gradualmente eliminato dal
cromo per riscaldamento del pezzo. Di regola circa il 50% di idrogeno può essere
eliminato per prolungato riscaldamento a 200°C. L’idrogeno residuo può essere eliminato
per fusione sotto vuoto. Esso fuoriesce dal deposito sotto forma di gas molecolare e non
sotto forma di acqua benché nel cromo sia presente anche dell’ossigeno.
Contrariamente a quanto si può pensare l’idrogeno non ha una particolare influenza
sulla durezza del cromo ma ne causa solo un piccolo aumento per effetto della distorsione
del reticolo. Contrariamente ha un maggior effetto sulla fragilità.
Il contenuto di ossigeno nel cromo elettrodepositato dipende prevalentemente dalla
temperatura dell’elettrolita. Da un elettrolita comune a 20°C il metallo contiene circa l’ 1%
di ossigeno; a 50°C ne contiene lo 0,4% e a 85 °C lo 0,1 %. In generale i depositi con
contenuto di ossigeno sono più duri di quelli che non ne contengono.

Comportamento alla corrosione
L’elevata resistenza alla corrosione atmosferica da parte del cromo dipende, come
nel caso dell’alluminio, dalla formazione di un sottile strato di ossido che lo protegge da
un’ulteriore ossidazione. Fino a circa 300°C il cromo non subisce opacizzazioni palesi e
solo per esposizioni prolungate sopra questa temperatura si manifesta un imbrunimento
della superficie dovuto all’aumento dello spessore dell’ossido. Se la temperatura supera i
500°C l’ossido assume un colore bluastro.
L’ossido che si forma agisce da protezione contro diversi aggressivi chimici, cosicché
il cromo pur non essendo un metallo nobile dal punto di vista del potenziale normale
mostra un alto grado di resistenza all’attacco chimico per effetto dello strato passivo.
Agenti ossidanti o riducenti hanno scarso effetto sul cromo, tuttavia è rapidamente
attaccato dall’acido cloridrico e moderatamente dall’acido solforico e nitrico diluiti.
L’attacco acido ha inizio dalle criccature. Bisogna notare che la scarsa bagnabilità del
cromo ha un effetto favorevole sulla resistenza a corrosione. Questo significa che la
superficie microcriccata ha una resistenza alla corrosione più alta di quella che ci si
potrebbe aspettare sulla base della porosità. La resistenza alla corrosione per effetto della
passivazione è solo di limitato valore nel caso di rivestimenti elettrodeposti. In tutti i
depositi decorativi e spesso in molti rivestimenti di cromo duro non esiste un deposito che
sigilli completamente il substrato. Esso è sempre comunque costituito da un certo numero
di criccature e porosità che lo attraversano. Il sistema protettivo alla corrosione non può
essere attribuito solo al cromo bensì alla combinazione del cromo con altri metalli che
sono molto meno nobili rispetto ad esso.
Il risultato è che il rivestimento di cromo forma degli elementi elettrochimici locali con
il materiale base in cui quest’ultimo rappresenta l’anodo solubile ed è quindi corroso
rapidamente; ciò porta alla dissoluzione dell’intero substrato o anche alla formazione di
pitting che penetrano fino al metallo base causandone il suo attacco. Questo fatto si nota
ancora spesso nella pratica industriale. Si utilizzano ancora depositi di cromo con spessori
di circa 0,25 m sopra un substrato metallico. Si nota che il cromo microfessurato accelera
notevolmente l’azione corrosiva sul nickel sottostante.
La ragione per cui si trovano spesso difetti nel nickel è dovuta all’applicazione di un
cromo poroso su di esso. Prove fatte su nickel rivestito in cromo e non, dimostrano la
elevata tendenza alla corrosione del nickel rivestito con un basso spessore. Il cromo non
poroso con uno spessore almeno di 18-20 m dimostra invece una eccellente protezione
alla corrosione che dura nel tempo anche per l’elevata resistenza all’abrasione. Per
assicurarsi contro la corrosione da gas è necessario avere un deposito di cromo di almeno
30 m. Lo straordinario campo di applicazione dei depositi decorativi, specialmente quelli
esposti all’atmosfera esterna (industria automobilistica), è la conseguenza degli studi
condotti in vari paesi.
COSTITUENTI DI UN BAGNO DI CROMO E LORO AZIONE

Generalità
Nella produzione di elettrodepositi di cromo vengono usate soluzioni di cromo
esavalente (anidride cromica o acido cromico). Inizialmente i primi tentativi di deposito del
cromo sono stati condotti con cromo trivalente ma ancora adesso i risultati non sono
soddisfacenti se paragonati con il deposito da anidride cromica.
I bagni di cromo operano senza eccezione con anodi insolubili cosicché tutto il
metallo depositato è prelevato dalla soluzione e quindi deve essere continuamente
rimpiazzato. Questo viene fatto aggiungendo anidride cromica.
Si deve tener presente che non è possibile depositare cromo da soluzioni pure di
acido cromico ma che invece è necessaria la presenza di piccole quantità di anioni
estranei chiamati catalizzatori costituiti generalmente da solfati, fluoruri, fluosilicati o
fluoborati. Poiché la quantità di anioni estranei è dell’ordine dell’1% del contenuto di acido
cromico e la loro concentrazione agisce in maniera determinante sul risultato della
deposizione, è conveniente utilizzare dell’acido cromico molto puro sia per la formazione
del bagno che per la sua manutenzione. Se questo non è possibile è conveniente
conoscere la concentrazione in acido solforico dell’anidride cromica utilizzata per poter
eseguire in modo appropriato l’aggiunta di catalizzatore mancante.
La concentrazione di acido cromico generalmente varia da 150 a 400 g/l. Basse
concentrazioni permettono rendimenti di corrente maggiori e riducono i problemi delle
emissioni sia aeriformi che liquide. Soluzioni concentrate hanno maggior conducibilità e
quindi richiedono minor tensione ovvero minor potenza impegnata; inoltre sono meno
sensibili alle impurezze e alla variazione di concentrazione. Le soluzioni diluite forniscono
depositi più tensionati mentre quelle concentrate hanno miglior potere penetrante. Queste
differenze non sono però molto determinanti nella scelta di un elettrolita. Le proprietà di un
cromo elettrolitico dipendono non solo dal contenuto di acido cromico ma anche dalla
natura e dalla quantità di catalizzatore utilizzato, dalle condizioni operative, dalle
impurezze (come ferro e cromo trivalente) presenti in soluzione. La variazione di un
parametro influenza l’effetto degli altri.

Catalizzatori
Solfati, fluoruri, fluosilicati, fluoborati o miscele di questi sono esempi classici di
catalizzatori utilizzati. Se non è presente un catalizzatore il cromo non si deposita al
catodo nelle condizioni usuali di corrente. A bassi potenziali catodici è possibile che non si
abbia nessun apprezzabile passaggio di corrente. Con polarizzazione catodica più elevata
si ha sviluppo di idrogeno senza deposizione di cromo. A densità di corrente più alte, il cui
valore dipende dal tipo di elettrolita, invece si deposita cromo.
Se è presente una quantità troppo piccola di catalizzatore inizialmente non passa
nessuna corrente oppure la corrente passa senza generare deposito di cromo ma solo con
la formazione di un deposito di ossido bruno.
Un eccesso di catalizzatore si evidenzia con effetti diversi. Innanzitutto influenza il
potere penetrante del bagno. Con valori molto alti di concentrazione di catalizzatore il
rendimento di corrente diminuisce rapidamente e la deposizione del metallo viene
completamente inibita.
Gli anioni estranei possono essere aggiunti come acidi liberi o come sali alcalini o
alcalino terrosi. Il più utilizzato è il solfato che viene aggiunto nel rapporto CrO 3:SO4
compreso fra 80 e 120 con un valore ottimale di 100. E’ importante notare che la quantità
di catalizzatore non rappresenta una quantità assoluta ma è sempre relativa alla
concentrazione di anidride cromica.
Al posto del solfato può essere aggiunto del fluoruro nella concentrazione da 1,5 a
4%. I fluoruri permettono di operare a rendimenti di corrente maggiori e quindi con una
velocità di deposizione più elevata. Da soluzioni che contengono solo acido fluosilicico si
deposita cromo più duro. Questi bagni presentano lo svantaggio di essere più sensibili alle
impurezze quali il ferro per cui è necessario avere un maggior controllo nella conduzione
del bagno. Inoltre il controllo analitico dei fluoruri è complicato e inoltre questi sono molto
aggressivi nei confronti dei materiali ceramici di cui possono essere costituiti i riscaldatori
e nei riguardi degli anodi di piombo. Particolarmente svantaggiosa è l’aggressività nei
riguardi delle zone catodiche dove la densità di corrente è molto bassa, o delle zone non
ben protette dalle vernici utilizzate per ottenere cromature selettive. L’uso di questi bagni
non è quindi molto consigliato e si ricorre piuttosto all’utilizzo di fluoruri complessi quali la
criolite (fluoruro sodico di alluminio) o i fluoborati che presentano questi inconvenienti in
misura molto più limitata. Sono invece consigliate aggiunte di fluoruri dei metalli delle terre
rare che aumentano il potere coprente, il potere penetrante, e danno una grana più fine
con una maggior velocità di deposizione.
In questi ultimi anni sono stati introdotti bagni contenenti piccole quantità di sali quali
il solfato di stronzio (SrSO4) ed il fluosilicato di potassio . Questi sali hanno una solubilità in
acido cromico tale da fornire una concentrazione di ioni solforici e fluoridrici corrispondente
a quella ideale per la deposizione del cromo. Bisogna tener presente che la solubilità di
questi sali è funzione della temperatura e della concentrazione dell’acido cromico, Questi
due parametri possono variare in un intervallo definito ma sufficientemente largo per una
buona riuscita dell’elettrodeposizione. Per queste caratteristiche tali bagni autoregolanti
vengono chiamati SRHR (self regulating high speed). La presenza di un eccesso di sale
insolubile sul fondo del bagno permette di evitare un controllo continuo del catalizzatore la
cui quantità nella soluzione va via via diminuendo per effetto dello scodellamento ma viene
ripristinata dall’equilibrio di solubilità del solido. L’unica avvertenza da tenere presente è
che il riequilibrio della solubilità di questi sali per una variazione di temperatura o di
concentrazione dell’acido cromico non è istantanea ma richiede un certo intervallo di
tempo funzione delle variazioni.

Il cromo trivalente
Oltre all’acido cromico e al catalizzatore il bagno di cromo contiene anche del cromo
trivalente. Questo viene aggiunto al bagno sotto forma di sale di cromo(III) o viene fatto
generare dall’acido cromico per aggiunta di un riducente organico come alcool, acido
citrico, tartarico, ossalico o zucchero. Durante l’operazione di elettrodeposizione il cromo
trivalente si forma spontaneamente al catodo mentre si riossida all’anodo. Questo cromo
che si trova distribuito nella soluzione per effetto della diffusione e convezione si pensa
non prenda parte direttamente alla riduzione a cromo metallico ma che abbia comunque
una qualche influenza sulla stessa. Probabilmente non esiste come ione libero Cr3+ ma è
complessato con il catalizzatore o con il gruppo cromato.
Si è verificato che piccole quantità di cromo trivalente aumentano il potere penetrante
e nello stesso tempo diminuiscono il rendimento di corrente. Sulla quantità di cromo
trivalente necessaria le opinioni divergono. Le ipotesi vanno da 2 a 20 g/l. Esperienze
personali su cromatura lucida a 40 °C e 300 g/l di CrO4 in un bagno autoregolato limitano il
valore a 7g/l. Questi valori così discordanti dipendono dalle impurezze presenti nel bagno
e maggiori sono queste minore è la necessità di cromo trivalente. Quando un bagno
lavora, se il cromo(III) non si mantiene costante, è necessario intervenire sulla superficie
anodica. Quando, per la configurazione dei pezzi non è possibile ottenere questo giusto
rapporto si utilizza una vasca di servizio collegata alla principale mediante una pompa.
Essa ribilancia il rapporto superficie catodica / superficie anodica. che deve essere basso
per la riossidazione e alto nel caso contrario. Anche se il valore della concentrazione del
cromo trivalente non è importante come quella del catalizzatore un suo controllo saltuario
è comunque conveniente in quanto serve per conoscere la stabilità dello stesso
specialmente nei riguardi degli anodi.

Additivi speciali
Se ad un bagno di acido cromico con circa 400 g/l di anidride cromica vengono
aggiunti 60 g/l di NaOH si ottiene una soluzione di cromatura in cui l’acido cromico è
parzialmente neutralizzato a tetracromato. Questi bagni sono caratterizzati da una elevata
conducibilità e da un rendimento di circa il 30% quindi il doppio di un bagno standard.
Poiché il tetracromato si decompone ad alte temperature e in genere si lavora con alte
densità di corrente, è necessario raffreddare la soluzione a temperatura ambiente.
L’aggiunta di acido borico ( 5-10g/l ) evita la formazione di macchie e produce depositi più
lucidi e duri. Anche l’aggiunta di piccole quantità di composti del magnesio o del tungsteno
migliorano le proprietà del deposito. L’aggiunta di selenio, titanio o zirconio da la possibilità
di ottenere depositi lucidi direttamente dai bagni al tetracromato, altrimenti da questi bagni
si ottengono depositi opachi che sono però lucidabili.
L’aggiunta di magnesio fluoruro aumenta il potere coprente di un bagno standard.
Additivi organici molto utilizzati nei bagni convenzionali di ogni tipo non hanno trovato
grosse applicazioni nei bagni di cromo a causa dell’eccessivo potere ossidante. Sembra
comunque accertato che aggiunte di acido glicolico o di acido diclorosuccinico e di altri
acidi organici aumentino il potere penetrante, il potere coprente ed il campo di variabilità
della densità di corrente. Non è ben definito se ciò coincida con l’aumento entro dati limiti
della quantità di cromo trivalente generato per riduzione.
Una tipologia di additivi molto importanti è rappresentata dalle sostanze organiche
che vengono aggiunte per ridurre la formazione di nebbie cromiche. Infatti a causa
dell’elevata produzione di gas agli elettrodi questi asportano delle nebbie contenenti la
soluzione cromica. Questa nebbia è accentuata dalla viscosità della soluzione. L’aggiunta
di tensioattivi diminuisce la viscosità e riduce la possibilità di formazione di nebbie.
Naturalmente questi tensioattivi devono resistere all’ossidazione della soluzione e
appartengono alle famiglie dei fluorurati.
Durante la lavorazione queste sostanze generano una schiuma che evita la fuga dei
gas rallentando la loro emissione e favoriscono la loro espulsione mediante i collettori di
aspirazione che si trovano sul bordo vasca.

Bagni da cromo trivalente
Le soluzioni di cromo esavalente hanno notevoli svantaggi che possiamo così
elencare:
 basso peso equivalente del cromo che passa dallo stato di ossidazione sei a zero.
 è necessario operare ad alte densità di corrente con rendimento di poco superiore
al 10%
 notevole sviluppo di idrogeno che provoca nebbie che vanno abbattute
 l’uso di anodi insolubili che provoca lo sviluppo di ossigeno
 la necessità di continui rabbocchi della soluzione con anidride cromica per
ripristinare la concentrazione di cromo
 l’elevata tossicità del cromo che richiede speciali precauzioni
 la predisposizione della Seveso 2
Per questi motivi si è pensato di sostituire il cromo esavalente con quello trivalente e
sono stati depositati diversi brevetti. Sono state proposte soluzioni al solfato, al cloruro, al
perclorato con complessi organici ed inorganici. Varie sostanze sono state indicate come
additivi quali urea e formaldeide. La densità di corrente è paragonabile a quella dei bagni
all’acido cromico. Sono stati proposti anche bagni in sali fusi come quello costituito da
cloruro di cromo (CrCl3) in miscela con cloruri di sodio e di potassio (NaCl e KCl) a 800°C,
e soluzioni di sali di cromo in solventi organici quali formammide ed acetammide. Di tutte
queste proposte non si sono avute applicazioni pratiche di rilevanza industriale esclusa
una soluzione che ha avuto qualche applicazione in Inghilterra. Questa contiene cloruro di
cromo, sodio e ammonio cloruro e acido borico in soluzione al 40% di dimetilformammide
(DMF) in acqua. Il cromo è depositato a 25°C e a pH 1.0 con una densità di corrente
media pari a 12 A/dm2 . L’efficienza catodica è sufficientemente alta con un minimo di 0,25
m al minuto. Con questo spessore il deposito è microporoso mentre a 1,25m è
totalmente microfessurato. Il colore del deposito ottenuto da questo bagno è diverso da
quello ottenuto dai bagni convenzionali decorativi che presentano un aspetto bluastro.
Test di esposizione ad ambienti esterni sia mobili che fissi hanno dimostrato che questi
depositi hanno caratteristiche simili a quello dei sistemi microcriccati e superiori rispetto ai
sistemi tradizionali.
Un altro sistema che ha il vantaggio di non necessitare dei diaframmi di separazione
fra la zona anodica e quella catodica è costituito da un complesso alogenocarbossilato
che ha però lo svantaggio di produrre cloro all’anodo di carbone oltre che fornire un
deposito decisamente grigio opaco. Il potere coprente è tuttavia eccezionale come del
resto la distribuzione del metallo per densità di corrente di 10-100 A/dm2. Dopo lungo
tempo è stato presentato un processo con applicazioni commerciali e brevettato in diversi
stati. Questo sistema è ragionevolmente semplice da condurre e richiede vasche in
plastica, anodi di carbone con ganci in titanio. L’alimentazione elettrica richiede una
densità di corrente di 10 A/dm 2 e una tensione di 6-10 V. L’ agitazione della soluzione con
aria è necessaria per una miglior distribuzione del deposito. Si opera a freddo,
preferibilmente a 20-25 °C per cui diventa necessario un sistema di raffreddamento. I
problemi di inquinamento sono minimizzati data la presenza di cromo trivalente che può
essere precipitato dalla soluzione con idrato sodico e non presenta emissioni di nebbie
durante il processo di elettrolisi. Il colore del deposito si avvicina a quello dell’ acciaio inox
ed i costi di manutenzione sono ridotti. La composizione della soluzione non è nota ma si
sa che contiene del cromo complesso, sali conduttori ed un tensioattivo speciale. Il
contenuto di cromo è circa 20 g/l che va reintegrato in base al consumo. Il pH è mantenuto
fra 2,5 e 3 con ammoniaca o acido cloridrico e la velocità di deposizione è di 0,8-1,5 m
con una densità di corrente di 10 A/dm2.
In questi ultimi tempi la ricerca si è spinta verso la possibilità di deporre leghe di
cromo con altri metalli basati sull’utilizzo di soluzioni contenenti cromo trivalente ed in
particolar modo leghe con ferro, cobalto e nickel e altri metalli pesanti. In particolare lo
scopo è prevalentemente quello di ottenere una composizione simile all’acciaio
inossidabile. Generalmente è possibile depositare solo spessori molto sottili mentre,
mantenere una costanza di concentrazione e di parametri del bagno per produrre un
deposito di composizione costante, è quasi impossibile. Si deve notare che queste leghe,
anche se hanno una composizione analoga ad un acciaio, hanno comunque una struttura
completamente diversa e quindi anche il comportamento alla corrosione non è in genere
quello che ci si aspetterebbe.
INFLUENZA
DELLE
CONDIZIONI
PROPRIETA’ DEI DEPOSITI DI CROMO

OPERATIVE
SULLE
Lucentezza e colore
Per placcature di tipo decorativo, la più importante proprietà è la perfetta lucentezza
del deposito. Agli inizi della cromatura, quando non era semplice lucidare i depositi di
cromo dopo la deposizione, per la mancanza di mezzi lucidanti, la produzione diretta di
depositi lucidi dal bagno era essenzialmente un pre-requisito per le applicazioni pratiche
del processo. La conoscenza che era possibile produrre depositi lucidi che resistevano
all’opacizzazione per lungo tempo, contribuì in grande misura alla ricerca di altri
elettrodepositi metallici. Lo sviluppo dei moderni bagni lucidi dei vari metalli è perciò una
diretta conseguenza della produzione di cromo lucido.
Ora è infatti possibile lucidare un deposito di cromo opaco con un’ alta finitura,
sebbene questo post-trattamento comprenda spese addizionali e produca anche un minor
effetto attrattivo rispetto al deposito diretto di cromo,così che ci si è ancora più orientati
sulla produzione diretta di cromo lucido. Per le soluzioni di cromo normalmente utilizzate
che contengono acido cromico in concentrazione da 150 a 500 g/l e 1% di catalizzatore,
esistono definite densità di corrente e un definito intervallo di temperatura nei quali il
cromo è depositato come cromo lucido. La relazione fra temperatura del bagno e densità
di corrente è visualizzata in Fig.10.
Il cromo lucido è depositato all’interno della sezione tratteggiata; fuori di quest’area
si ottiene un deposito opaco. La transizione tra deposito brillante e deposito non lucido
non è netta. La forma della zona può essere alterata variando la composizione della
soluzione ma il modello rimane valido come principio.
La dimensione del grano di cromo depositato nella forma lucida è straordinariamente
piccola (per esempio 0,008 m). La determinazione della dimensione del grano è possibile
solo al microscopio elettronico o mediante metodi che sfruttano i raggi X.
Il cromo che è stato depositato in forma non lucida ha un grano con dimensione
molto più elevata (circa 100 m). Questo deposito non possiede la stessa struttura del
cromo lucido.
Si può osservare dalla figura 10 che a basse temperature l’intervallo di densità di
corrente del deposito lucido è più piccolo che alle alte temperature. Questo è di notevole
importanza nella deposizione del cromo lucido. Se una densità di corrente media che sta
entro l’intervallo di temperatura è applicata su un telaio di montaggio pieno di componenti,
è possibile che per effetto dello scarso potere ricoprente del bagno di cromo, ci sia una
diversa densità di corrente nelle diverse parti della superficie. Questo può essere il caso
di un articolo completamente piatto, ma ciò succede anche su un campione sagomato.
Nel caso di un intervallo di densità di corrente stretto il valore locale per la deposizione
lucida può molto facilmente andare fuori del range ottimale e produrre una superficie
opaca.
Nel caso in cui si operi con valori di densità di corrente medi, la tolleranza è più
elevata che nel caso di corrente agli estremi del range di deposizione a causa della
temperatura permessa del bagno. Temperature del bagno troppo elevata o densità di
corrente troppo bassa portano ad un aspetto lattiginoso. Se la temperatura sale ancora il
deposito risulta completamente opaco e successivamente scuro. Una eccessiva densità di
corrente o una bassa temperatura portano ad un deposito anche in questo caso opaco e
irregolare.
Tutto questo vale per depositi di cromo al di sotto di 1 m e di regola compresi tra
0.25m e 0.5m. Con depositi più spessi si perde la lucidità. In alcuni casi eccezionali si
può arrivare anche a 10 m.
I bagni al tetracromato generalmente portano a depositi opachi che sono però
facilmente lucidabili. Recentemente è diventata praticabile la deposizione diretta di cromo
lucido da soluzioni di tetracromato modificate.
Dal momento che il cromo lucido è depositato solamente in film sottili, la qualità del
substrato gioca un ruolo importante; la presenza di un substrato lucido è essenziale.
Inoltre la natura chimica della base è anch’essa importante; per esempio il range lucido è
più importante nella cromatura di rame e sue leghe che nel caso di nickel, ferro o acciaio.
In bagni di composizione media compresa tra i 200 e i 500 g/l di CrO 3 con ioni solfato
come catalizzatori nel rapporto 1:95 o 1:115 si ottiene un deposito lucido con una corrente
compresa tra 7 e 20 A/dm2 a temperature comprese tra 30 e 55°C. Al di fuori di quel
range il deposito diventa sempre più opaco.
L’aumento della concentrazione di acido cromico induce una restrizione del range di
deposizione lucida. Aumentando la quantità di ioni solfato con contenuto di acido costante
si porta il range a valori di densità di corrente più elevati. Nei bagni contenenti fluoruri la
zona di deposizione lucida è normalmente diversa che nel caso del solfato, dovuta al fatto
che un alto grado di lucidità può essere ottenuto da soluzioni più fredde. In elettroliti acidi
contenenti sia solfato che silico-fluoruri, un eccesso di silico-fluoruri riduce la lucidità.
Contaminanti, specialmente quelli che portano a elevate concentrazioni di cromo trivalente
e di ferro, riducono la lucidità del deposito.
Un bagno non è però caratterizzato da singoli parametri, ma tutte le condizioni
separate devono essere lasciate costanti se vogliamo ottenere risultati riproducibili.
Bisogna prendere in considerazione lo scarso potere coprente e penetrante delle soluzioni
di cromo convenzionali che possono fornire risultati differenti in punti a densità di corrente
diversa. Densità di corrente più alte sono convenienti per soluzioni con potere penetrante
basso. La distribuzione di corrente sopra l’intera area catodica deve essere sempre tenuta
in conto nella scelta della densità di corrente ottimale.
Il colore del deposito di cromo è bianco con riflessi azzurrini e si distingue dal colore
giallo-bianco del nickel. La tonalità può tuttavia variare essendo in molti casi lucido e
brillante e in altri opaco. Per ottenere un colore brillante il punto più importante è di
galvanizzare una base estremamente lucida. Particolarmente buono è il metallo base che
ha subito brillantatura anodica o un substrato prodotto da un bagno di placcatura lucida. Il
cromo opaco che è stato lucidato meccanicamente con finitura lucida spesso non ha lo
stesso buon aspetto di un cromo depositato direttamente lucido. Ha un aspetto smorto
probabilmente causato da tracce di residui di pulitura trattenuti dalla superficie. Una
pulitura successiva deve essere vista come una operazione di emergenza ed è buona
regola strippare e riplaccare i depositi opachi e parzialmente opachi.
DUREZZA E RESISTENZA ALL’ABRASIONE

Relazione tra durezza e resistenza all’abrasione
A parte la lucentezza che il cromo mantiene per lungo tempo dovuta alla sua alta
resistenza alla corrosione, la sua elevata durezza è la seconda proprietà importante del
cromo elettrodepositato, e quello che è chiamato cromo duro ha una importanza uguale a
quello decorativo. La durezza di un deposito di cromo varia tra ampi limiti, e queste
variazioni sono causate dal cambiamento della composizione del bagno e dai parametri
operativi.
E’ inoltre noto che le proprietà di durezza e resistenza all’abrasione di un deposito di
cromo duro viaggiano parallelamente le une alle altre ciò che non avviene per gli altri
metalli.

Effetto della concentrazione del cromo
I più importanti fattori che influenzano la deposizione di cromo sono la
concentrazione di cromo del bagno, il tipo e la quantità di catalizzatori, il tipo e la quantità
di cationi, le impurezze della soluzione, la temperatura del bagno e la densità di corrente
alla quale avviene la deposizione.
La più semplice è la relazione tra la durezza e la concentrazione di acido cromico. Se
la concentrazione di CrO3 aumenta, tenendo costante il rapporto CrO3 su SO4, la durezza
del cromo è ridotta di qualche ordine di grandezza. L’effetto dei cambiamenti di
concentrazione sulla resistenza all’abrasione sembra avere lo stesso comportamento, ma
in modo maggiore. Una soluzione più diluita porta ad un deposito più duro e resistente
all’usura, ma durante il processo la concentrazione cambia e quindi le caratteristiche del
deposito non saranno uniformi. Ci saranno allora stress residui che rendono il campione
più fragile. E’ necessario quindi mantenere la concentrazione del bagno più costante
possibile durante il processo. Questo è più facile farlo in bagni concentrati, dato che la
variazione di concentrazione è minore. La concentrazione preferita è 200-300 g/l. I bagni
galvanici più diluiti sono utilizzati nella produzione di cromo duro. Nel caso del cromo
lucido il verificarsi di stress interni non gioca un ruolo importante dato il basso spessore.

Influenza dei catalizzatori
Un incremento del contenuto di solfato produce un decremento della durezza.
Questo fatto si vede variando la concentrazione di solfato entro ampi limiti, da circa 1% al
20% della concentrazione di acido cromico. Però aumentando la temperatura del bagno e
allo stesso tempo la densità di corrente aumenta la durezza. Nei processi reali, non si
verificano grosse variazioni di concentrazione di solfato.
Altri studi hanno fatto vedere che aumentando la concentrazione di solfato è
necessario lavorare a temperature del bagno più elevate e a correnti più elevate.
L’influenza della densità di corrente è comunque, più grande di quello della temperatura
della soluzione. Mentre, per esempio, a bassi contenuti di solfato è possibile operare a
45°C circa e a 10-20 A/dm2, con concentrazione di solfato più elevata il punto ottimale di
lavoro si sposta a 55°C e a 80 A/dm 2. La durezza massima ottenibile è la stessa in tutti e
due i casi.
In generale il range di deposizione lucida e quello di durezza maggiore variano circa
nella stessa maniera, così che è spesso possibile trarre conclusioni sulla durezza
dall’aspetto esteriore. Una concentrazione di solfato troppo bassa produce un materiale
opaco, grigio e che non ha durezza elevata.
Tab 2:Durezza (Knoop) dei depositi di cromo da bagni al solfato e floruro a 85 °C
Densità di corrente
Composizione della soluzione
A/dm2
20
40
60
80
300 g CrO3+3 g H2SO4
300 g CrO3+ 7.5 g KF
325
425
475
550
470
836
885
880
Depositi di cromo ad elevata durezza sono ottenuti da soluzioni contenenti fluoruri
invece di solfati.
La differenza di durezza tra due elettroliti composti il primo da 250 gr di acido
cromico e 1% di acido solforico e il secondo da 0.6% di acido solforico e 1% di acido
fluorosilicico non è molto elevata. Lo stesso vale per quanto riguarda la resistenza
all’abrasione.
Tab. 3:Durezza (HV) dei depositi di cromo da bagni al solfato e da solfato più fluosilicato a 50 °C
Densità di corrente
Composizione della soluzione
A/dm2
250 g CrO3+ 2.5 g H2SO4
20
40
60
80

1000
1065
1110
1190
250 g CrO3+1.5 g H2SO4 +2.5g H2SiF6
1120
1150
1150
1180
Influenza dei vari cationi.
Il contenuto di cromo trivalente nella soluzione è spesso difficile da controllare, dal
momento che è influenzato dalle condizioni operative e in particolare dal rapporto tra le
due correnti catodica e anodica. Nel caso di soluzione completamente priva di Cr 3+ si ha
un deposito tenero. Una piccola quantità di ioni Cr3+ migliora l’aspetto e la durezza del
deposito. Una quantità di 5-10 g/l di cromo trivalente rappresenta il valore ottimale. Se si
aumenta però di molto questa quantità la durezza cala bruscamente. Questo
comportamento viene notato anche con la presenza di metalli quali ad esempio il ferro o i
metalli pesanti. Soluzioni con elevate percentuali di ferro o di cromo trivalente producono
un deposito opaco con granulometria elevata. E’ importante dire che l’aggiunta di 5-10 g/l
di acido borico produce un aumento di durezza e aumenta il range operativo.

Influenza della densità di corrente e della temperatura.
La durezza dei depositi di cromo elettrolitico è influenzata notevolmente dalla
densità di corrente e dalla temperatura a cui si opera. Esiste una densità di corrente per
ogni temperatura; sopra e sotto questo valore la durezza del cromo cala bruscamente.
Per ogni densità di corrente c’è una temperatura ottimale per la deposizione del
cromo. Dal momento che vari studiosi hanno determinato la durezza e la resistenza
all’abrasione con diversi metodi, è difficile aspettarsi che i risultati siano completamente in
accordo.
La figura 11 fa vedere la curva di uguale resistenza all’abrasione in relazione ai
parametri densità di corrente e temperatura del bagno. Essa unisce tutti i punti ad uguale
perdita di volume che palline di cromo danno in seguito all’abrasione sotto condizioni
costanti per un tempo specifico. Nelle linee tratteggiate il tempo di asportazione di uno
spessore costante di cromo è preso come misura della resistenza all’abrasione. La più
piccola perdita di volume e il maggior tempo di asportazione indicano la maggior
resistenza all’abrasione.
Altri test sono stati effettuati per conoscere la resistenza all’usura. Un deposito di
cromo è stato ad esempio abraso con una successione di brevi periodi di tempo. Il numero
di periodi necessari per consumare un definito spessore è un indice della resistenza
all’abrasione del campione. In figura 12 sono mostrate le curve della resistenza all’usura
contro la densità di corrente e la temperatura del bagno.
Differenze sono state riscontrate dai vari studiosi. La massima durezza che può
essere ottenuta per tutti valori di corrente in una soluzione contenente 300 g/l di CrO 3 e 6
g/l di SO4 si ha per T=50°C. Alla temperatura di 55°C, la durezza è ugualmente alta a tutti i
valori di densità di corrente. Alle alte temperature, aumentando la densità di corrente si
produce un aumento della durezza, mentre alle basse temperature aumentando la densità
di corrente la si diminuisce notevolmente.
Recenti sviluppi hanno stabilito che ad ogni valore di densità di corrente esiste una
temperatura ottimale alla quale si ottiene una durezza elevata. Sotto e sopra questo valore
la durezza decresce.

Proprietà meccaniche
La determinazione del modulo elastico e del limite di snervamento di un deposito è
difficile, dal momento che i depositi sottili non possono essere testati con metodi standard,
e perché l’effetto del substrato può influenzare i risultati.
Molteplici esperienze effettuate hanno dimostrato che il cromo depositato alle alte
temperature ha un modulo elastico più elevato che quello depositato a basse temperature.
Una sequenza di trattamenti termici sul cromo diminuisce il modulo elastico; per esempio
da 16000 Kg/mm2 si passava a 14400 Kg/mm2 dopo riscaldamento a 150°C e a 13600
Kg/mm2 dopo riscaldamento a 300°C.
La densità del cromo elettrodepositato varia tra 6.9 e 7.1. Il cromo per getti ha un
densità di 7.138. Con l’incremento della densità di corrente, la densità del deposito di
cromo cala. Trattamenti termici successivi aumentano la densità stessa. Evidentemente
questo è associato con il contenuto di idrogeno.
La densità inoltre diminuisce con l’aumento del contenuto di ossigeno. Esiste una
relazione tra la densità e la conducibilità del deposito di cromo tanto che la conducibilità
aumenta con l’aumentare della densità.

Contenuto di Gas
Il cromo elettrodepositato assorbe sia ossigeno che idrogeno durante l’elettrolisi; e
questo può essere identificato analiticamente. L’assorbimento di idrogeno può essere
spiegato senza difficoltà, dal momento che l’idrogeno si sviluppa al catodo, ed è in parte
assorbito dal cromo come idruro. L’assorbimento di ossigeno è dovuto al fatto che il
catodo è ricoperto da un film di cromato di cromo durante la deposizione, e la deposizione
probabilmente avviene partendo da questo film. Riguardo all’assorbimento di idrogeno, si
può dire che dipende dalle condizioni di deposizione. Così, con una densità di corrente di
5 A/dm2 il cromo assorbe 200-250 parti in volume di idrogeno, mentre con una densità di
corrente di 20 A/dm2 ne assorbe 5000 parti in volume. Studi successivi hanno rilevato che
aumentando la temperatura del bagno l’assorbimento di idrogeno cala mentre
aumentando la densità di corrente esso aumenta come già detto. La figura 13 mostra
l’assorbimento di idrogeno per un bagno contenente 200 g/l di CrO3 e 2 g/l di H2SO4.
L’assorbimento di ossigeno dei depositi di cromo è meno studiato. Lo stesso
procedimento può essere applicato sia all’assorbimento di ossigeno che di idrogeno. Con
la diminuzione della temperatura e con l’aumento della densità di corrente aumenta
l’assorbimento come si vede in fig 14.
La tabella 4 mostra come l’assorbimento di ossigeno in differenti condizioni operative
sia 6-7 volte superiore a quello dell’idrogeno.
Tab. 4:Assorbimento di idrogeno di cromo elettrodepositato in varie condizioni operative
Densità
corrente
20
20
20
30
30
30
60
60
60
60
80
80
80
80

di Temperatura
del bagno
50
38
32
56
44
37
63
53
46
39
67
57
49
43
H2%
O2%
O2/H2
O2+H2
0,04
0,05
0,06
0,04
0,05
0,06
0,04
0,05
0,06
0,07
0,04
0,05
0,06
0,07
0,23
0,38
0,43
0,23
0,34
0,41
0,23
0,30
0,39
0,43
0,23
0,30
0,28
0,43
5,75
7,60
7,16
5,75
6,80
6,83
5,75
6,00
6,50
6,14
5,75
6,00
6,34
6,14
0,27
0,43
0,49
0,27
0,39
0,47
0,27
0,35
0,45
0,50
0,27
0,35
0,34
0,50
Protezione dalla corrosione
Il cromo metallico è facilmente passivabile in aria, e in queste condizioni è più nobile
degli altri metalli. Per questa ragione bassi spessori di cromo che sono molto porosi e
criccati non danno protezione al metallo costituente il substrato che è meno nobile, ma
accelerano la corrosione.
Nel caso della corrosione del solo cromo, l’attacco da parte di acidi o di basi parte
dalle cricche del deposito. La corrosione del metallo base dipende principalmente dalla
porosità del deposito di cromo e da tutte le condizioni che sopprimono la porosità o
riducono la formazione di cricche. In questo modo il metallo diventa più resistente alla
corrosione. Inizialmente si pensava che un deposito senza cricche potesse avere
eccezionale resistenza alla corrosione. Comunque, la condizione necessaria per produrre
depositi senza cricche (alta temperatura e bassa densità di corrente) produce un deposito
opaco normalmente inaccettabile per tante applicazioni. Un deposito più duro senza
cricche, comunque, sviluppa macro cricche durante l’esercizio. E’ ora riconosciuto che il
cromo microcriccato di adeguato spessore presenta la migliore resistenza a corrosione.
L’azione vantaggiosa del cromo microcriccato è spiegata dal fatto che, mentre la corrente
totale agente tra la superficie catodica del cromo e quella anodica del substrato rimane
costante, la densità di corrente diminuisce per effetto del grande numero di siti anodici ora
presenti dovuti alle numerose discontinuità della superficie. Le soluzioni sono state
modificate con un certo numero di additivi per avere un deposito microcriccato, che ha un
fine reticolo di cricche di circa 300-800 cricche per cm. Un simile miglioramento nella
resistenza a corrosione può essere dovuto a depositi microporosi. Per incorporamento di
una piccola quantità di particelle non conduttive di circa 0.02-0.5 m di diametro nel nickel
elettrodepositato che agiscono da substrato per il successiva cromatura, non si ha
deposizione di cromo in questo punto, così da avere un cromo microporoso. Data la bassa
velocità di placcatura degli elettroliti di cromo e la alta azione intaccante del grande
volume di idrogeno prodotto al catodo, l’incorporazione di queste particelle insolubili nella
soluzione di cromo non è facile. I depositi ottenuti contengono circa 200000-400000 pori
per cm2.
Non sembra esserci una stretta relazione tra la resistenza a corrosione e la durezza
del cromo, anche se il deposito di cromo duro è meno attaccato da acido cloridrico e da
trattamento anodico in soluzione di acido solforico o acido cromico che quello tenero. I
trattamenti termici che causano il rilascio delle inclusioni di idrogeno,generalmente
aumentano la tendenza alla corrosione, che è probabilmente dovuta al cambiamento del
reticolo di cricche risultato dalla liberazione dell’idrogeno.
Lo spessore di un deposito di cromo è ovviamente una misura importante della sua
resistenza alla corrosione, dal momento che la porosità del cromo è strettamente a lui
legata. Comunque, le proprietà del deposito possono differire notevolmente secondo le
condizioni di deposizione, mentre la porosità può cambiare da un caso all’ altro. Nessuna
conclusione generale può essere tratta su come lo spessore del deposito possa
influenzare la resistenza alla corrosione.
Generalmente il deposito di cromo di circa 30m (senza substrato di nickel) da
adeguata protezione all’ossidazione atmosferica, mentre 50m sono necessari per avere
protezione da agenti chimici. Con un buon substrato di nickel il deposito può essere più
sottile. Quando il deposito è molto sottile, bisogna avere cura che il primo cromo
depositato sia non criccato e che sia criccato dopo aver raggiunto un certo spessore. Se la
deposizione è interrotta prima di questo momento il deposito può avere una migliore
protezione che quello più sottile che è ancora permeabile agli agenti esterni attraverso le
porosità.
Bisogna anche dire che il modello di cricca presente nel cromo probabilmente non
gioca un ruolo importante nella corrosione da parte di basi come ci si aspetterebbe. La
bassa bagnabilità può avere una significativa influenza. Infatti i liquidi corrosivi possono
penetrare nel deposito solo fino ad una certa profondità così che il substrato non viene
intaccato così come ci si aspetterebbe in un deposito poroso. La possibilità di corrosione
deve essere sempre tenuta presente.
La teoria che il cromo sottile, senza cricche e pori, abbia una protezione sicura agli
agenti atmosferici deve essere corretta.
Recenti esperienze hanno dimostrato che anche depositi di cromo spessi (circa
1mm) danno fenomeni di corrosione con esposizione all’ambiente esterno durante l’azione
di stress meccanici sebbene il cromo non subisca danni. E’ probabile che gli sforzi interni
portino alla formazione di cricche penetranti nel tempo, specialmente se sono presenti
stress meccanici. Gli agenti corrosivi possono attraversare il deposito e corroderlo.
METODI OPERATIVI SU SOLUZIONI DI CROMATURA

Conducibilità elettrica
La conducibilità elettrica di una soluzione di cromatura non ha una grossa
importanza come lo ha invece l’efficienza di corrente ed il potere penetrante. La tensione
di deposizione è determinata dalla conducibilità, quindi da questa dipende il consumo
totale di energia che influisce sul costo totale del deposito. In ogni caso la scelta dell’
elettrolita o delle condizioni operative (temperatura e densità di corrente) non saranno mai
condizionate dalla conducibilità. Non bisogna trascurare che la conducibilità ha
un’importanza sulla corrente disponibile, per il potere penetrante e coprente.
In generale con soluzioni acquose la conducibilità aumenta al crescere della
temperatura. In fig.15 si nota la relazione fra la temperatura e la conducibilità per un
elettrolita con 300 g/l di CrO3 e 3 g/l di H2SO4 .La conducibilità di un elettrolita è
innanzitutto funzione della concentrazione di acido cromico e dipende pochissimo dalla
natura e quantità del catalizzatore. Per ogni temperatura esiste un massimo di
conducibilità ad una certa concentrazione come si vede dal diagramma fig 16.
Da questo diagramma si nota che il massimo della conducibilità aumenta con la
temperatura e con la concentrazione. Un effetto opposto hanno certi inquinanti come il
cromo trivalente. Questo provoca un aumento della resistenza del bagno con una
conseguente diminuzione della conducibilità. Per basse concentrazioni il suo effetto è
poco rilevante ma contenuti attorno ai 25 g/l di ferro o cromo trivalente sono da evitare
poiché la conducibilità decade velocemente. Nei bagni al tetracromato un eccesso di
alcali abbassa la conducibilità per effetto della neutralizzazione dell’acido cromico che
avrebbe elevata conducibilità.

Rendimento di corrente
Un aspetto importante nella deposizione del cromo è rappresentato dal rendimento di
corrente. Questo dipende dalla composizione del bagno (contenuto in acido cromico, tipo
e quantità di catalizzatore e anioni o cationi estranei), temperatura operativa e densità di
corrente.
Tutti i bagni di cromatura hanno un rendimento di corrente estremamente basso se
paragonato con la deposizione di altri metalli. Infatti in generale il rendimento per questi
ultimi si avvicina al 100% e solo raramente scende al 70% mentre per il cromo
difficilmente supera il 20% per arrivare al 35%.
Tab. 5:Peso equivalente ed equivalente elettrochimico
Metallo
Cromo (VI)
Oro (III)
Oro (I)
Rame (II)
Rame (I)
Equiv. in peso
8.67
65.73
197.20
31.79
63.57
g/Ah
0.3234
2.4522
7.3567
1.1858
2.3715
Metallo
Nickel (II)
Argento (I)
Zinco (II)
Stagno (IV)
Stagno (II)
Equiv. in peso
29.35
107.88
32.69
29.67
59.35
g/Ah
1.0948
4.0245
1.2195
1.1071
2.2141
Siccome l’equivalente elettrochimico del cromo è particolarmente basso a causa
della sua valenza, il consumo di corrente durante la deposizione del cromo è circa 10 volte
maggiore rispetto a quella degli altri metalli. Mentre in genere nell’elettrodeposizione il
costo della corrente non rappresenta la voce più pesante, nel caso specifico della
cromatura la sua incidenza è da non trascurare. Nella fig. 17 si vede la relazione fra la
concentrazione dell’acido cromico e il rendimento di corrente per un bagno con 250 g/l di
CrO3 a 45 °C e con 20 A/dm2 di densità di corrente.
In queste condizioni il massimo di corrente è del 19%. A valori diversi di
concentrazione il rendimento diminuisce. In fig.18 cambiando le altre condizioni operative
tutti i rapporti sono variati. Qui si nota l’andamento del rendimento di corrente con la
densità di corrente con tre concentrazioni diverse a due temperature diverse. A 55°C
nell’intervallo considerato l’incremento di concentrazione dell’acido cromico comporta una
riduzione del rendimento di corrente. A 25 °C, fino a valori di densità di corrente di 9 A/dm 2
il comportamento è simile a quello a 55°C; successivamente invece si inverte. Il contenuto
in catalizzatore ha un profondo effetto sul rendimento di corrente e il valore del rapporto
CrO3:SO4 =100 è la condizione ideale anche variando temperatura e la densità di
corrente. A bassi contenuti di anioni estranei o in loro completa assenza generalmente
non si ottiene deposizione di cromo.
La fig.20 illustra l’azione dell‘acido fluoridrico e del solforico sul rendimento di
corrente in una soluzione a 300 g/l di CrO3 a 40 °C e a 7 A/dm2. In entrambi i casi si può
identificare la condizione di massimo rendimento di corrente in funzione delle
concentrazioni ed in particolare si nota che il fluoruro determina un aumento del
rendimento. La fig.21 mostra l’andamento del rendimento in funzione delle concentrazioni
dell’acido fluoridrico, solforico e fluosilicico in una soluzione a 250 g/l di CrO 3 a 55°C e a
50 A/dm2 . Il primo contribuisce in modo minore del terzo all’ aumento del rendimento. Il
fluoborato dà valori intermedi fra il solforico ed il fluoridrico. L’uso frequente di miscele di
questi catalizzatori non fa superare il rendimento ottenuto con l’acido fluosilicico. Un
eccesso di questi catalizzatori fa sempre diminuire il rendimento.
Il modo in cui la concentrazione di CrO3 influenza il rendimento con date
concentrazioni di catalizzatore è rappresentato dal diagramma di fig. 22.
La contaminazione con cromo trivalente e ferro non ha effetti apprezzabili sul
rendimento di corrente; tuttavia elevate concentrazioni devono essere evitate per non
avere notevoli riduzioni della conducibilità e del potere penetrante. L’effetto più importante
sul rendimento di corrente è dato dalla variazione di temperatura e dalla densità di
corrente. Dalla fig.24 si vede che il rendimento di corrente aumenta aumentando la densità
di corrente e decresce aumentando la temperatura. Se si aumenta la concentrazione di
acido solforico la differenza diminuisce. Esiste una formula che mette in relazione il
rendimento di corrente con la densità di corrente e cioè:
A  a log D  b
dove A è il rendimento di corrente D la densità di corrente a e b sono costanti che
dipendono dalla composizione e dalla temperatura della soluzione.
Nella fig.23 vengono mostrate le rette che alle varie temperature descritte
rappresentano l’andamento del rendimento in funzione della densità di corrente per un
bagno con 250 g/l di CrO3 e 2,5 g/l di SO4. La costante b è fornita dall’intercetta della retta
sull’asse delle ordinate mentre la costante a ne rappresenta l’inclinazione. In fig.24 la
rappresentazione è fatta mediante un diagramma lineare per un elettrolita dal contenuto di
400 g/l di CrO3 e 4 g/l di SO4. La dipendenza del rendimento di corrente con la
temperatura nello stesso elettrolita è mostrato in fig.25 per tre diverse densità di corrente.
La fig.26 dà le curve corrispondenti per un bagno costituito da 250 g/l di CrO 3 e da 2,5 g/l
di SO4 .Come si è già visto l’effetto delle concentrazioni sui rendimenti è tale che un
aumento di concentrazione diminuisce il rendimento mentre la dipendenza dalla
temperatura è essenzialmente la stessa in entrambi i bagni.

Potere penetrante e coprente
Una speciale attenzione va riservata al potere penetrante dei bagni di cromatura.
Mentre i bagni al cianuro (oro, argento, rame, cadmio e zinco) hanno un elevato potere
penetrante, e quindi pezzi variamente complessi geometricamente possono ricevere
spessori più o meno uniformi, nelle soluzioni acide il potere penetrante è generalmente
molto inferiore. I bagni acidi sono di solito quelli di ramatura nichelatura zincatura e
cromatura. Di questi il bagno di cromo rappresenta una tipologia a basso potere
penetrante. In accordo con le definizioni di potere penetrante quello di cromo presenta
valori negativi. Questo aumenta lentamente con l’aumento della concentrazione dell’acido
cromico da 250 a 300 g/l a 50 °C e 45 A/dm 2 ma diminuisce altrettanto velocemente se si
aumenta la densità di corrente.
TAB. 6: Potere penetrante in una soluzione di cromatura con 400 g/l di CrO 3 4 g/l di H2SO4
Temperatura °C
25
35
35
35
45
45
45
55
55
55
Densità di
corrente media
A/dm2
5.0
7.5
10.0
15.0
15.0
25.0
35.0
25.0
35.0
45.0
Efficienza di corrente catodica %
Catodo vicino
Catodo lontano
21.8
12.2
19.5
15.9
12.2
14.4
17.9
11.6
14.1
15.2
5.9
4.1
7.7
11.3
6.7
12.0
14.2
7.7
10.8
12.6
Media
13.8
8.1
11.1
13.6
9.5
13.2
16.0
9.6
12.5
13.9
Potere penetrante
%
-312
-177
-87
-59
-85
-28
-25
-52
-29
-18
Tab. 7: Potere penetrante in una soluzione di cromatura con 250 g/l di CrO3 2.5 g/l di H2SO4
Temperatura °C
25
35
35
35
45
45
45
55
55
55
Densità di
corrente media
A/dm2
5.0
7.5
10.0
15.0
15.0
25.0
35.0
25.0
35.0
45.0
Efficienza di corrente catodica %
Catodo vicino
Catodo lontano
19.2
14.3
17.2
19.3
15.9
19.0
21.0
15.7
17.9
19.5
5.4
6.5
9.3
12.0
9.9
13.6
17.0
10.8
13.8
16.7
Media
12.3
10.4
13.2
15.6
12.9
16.3
19.0
13.3
15.8
18.1
Potere penetrante
%
-295
-108
-87
-58
-65
-27
-23
-46
-28
-14
Nei bagni che contengono una miscela di acido fluoridrico e fluosilicico il potere
penetrante è migliore di quello al solo solfato con bagni di concentrazione di CrO 3 inferiore
a 250 g/l ma diminuisce con l’incremento della concentrazione.
Il valore ottimale di potere penetrante si ha con una percentuale dell’ 1% di H 2SO4
sulla CrO3 ma diminuisce prima lentamente e poi più velocemente al diminuire della
concentrazione di H2SO4. Anche un aumento di anioni estranei produce una diminuzione
del potere penetrante. E’ stata verificata l’influenza degli ultrasuoni sulla deposizione del
cromo e si è notato che non hanno influenza particolare sul potere penetrante mentre
influenzano positivamente il rendimento catodico e permettono l’utilizzo di densità di
corrente maggiori. Il cromo trivalente ed il ferro migliorano il potere penetrante ma i loro
effetti negativi sugli altri parametri rendono possibili il loro utilizzo solo in intervalli ristretti e
definiti. Allo scopo di ottenere un buon potere penetrante da una soluzione di cromatura
bisogna innanzitutto utilizzare alte densità di corrente ma non soluzioni concentrate in
CrO3 e con una percentuale il più vicina possibile all’ 1% di H2SO4. L’aumento della
distanza anodo catodo agisce favorevolmente sul potere penetrante ma comporta un
aumento dei costi dovuto alla elevata tensione utilizzata. L’utilizzo di anodi ausiliari e
inversamente di catodi ausiliari o schermi per mascherare le parti del catodo, che
potrebbero essere soggette a intensità di corrente catodica troppo elevata, sono mezzi
che permettono una distribuzione artificiale più uniforme del deposito. Esiste qualche
relazione fra il potere penetrante ed i potere coprente ma bisogna star attenti a non
confondere i concetti. Il potere coprente nella deposizione del cromo nelle aree a bassa
densità di corrente dipende dalla composizione della soluzione e dal metallo base. La
distribuzione è buona su superfici lucide di nichel, migliore su ferro e acciaio che su rame
e sue leghe e dipende in generale dalla temperatura della soluzione. Dipende anche dalle
condizioni del metallo base essendo migliore su superfici lucide piuttosto che su quelle
opache. Se si utilizza la cella di Hall da 250 cc per la verifica del potere coprente e si
fanno passare 10 Ampere per 3-5 minuti in genere à necessario termostatare il sistema
per evitare il riscaldamento della soluzione e rendere il test inutilizzabile.

Misura del potere penetrante col sistema di Haring-Blum
Il potere penetrante è la capacità di un elettrolita di depositare uno spessore
soddisfacente anche sulle zone di una superficie soggette a basse densità di corrente
rispetto ad altre più favorite.
La misura del potere penetrante viene eseguita mediante una cella a base
rettangolare di dimensioni 200X50 mm e un’altezza di 65 mm. Ai due estremi della cella
vengono disposti due catodi uguali dello spessore di 1 mm appoggiati contro le pareti.
L’anodo invece ha uno spessore di 3 mm ed è disposto ad una distanza di 39 mm dal
catodo più vicino e quindi a 156 mm da quello più lontano. In questo modo il rapporto fra le
distanze dell’anodo dai due catodi è 4:1. Sia l’anodo che i catodi devono avere una
superficie pari alla sezione della cella. Se si indicano con Kf e Kn le due distanze il
rapporto K=Kf/Kn nel caso sarà uguale a 4.
Il potere penetrante,S, è dato dall’equazione
Mn
Mf
*100
K
K
S (%) 
dove Mn è il peso del metallo depositato sul catodo vicino e Mf il peso depositato
sull’altro.
DEPOSIZIONE TECNICA DI CROMO

Generalità
La prima applicazione pratica del deposito di cromo è quella di produrre depositi
bianchi e lucidi in modo da migliorare la apparenza della superficie metallica. La
deposizione di cromo avvenne presto ma rimase confinata a produrre depositi sottili. Lo
spessore di 0.25-0.30m è la regola, quello di qualche m l’eccezione. Alcuni depositi
sono porosi e attraverso questi pori il metallo base è esposto alla corrosione. Dal
momento che il cromo si passiva all’atmosfera esso ha un ruolo più nobile di altri metalli
che invece hanno il ruolo di elettrodo solubile e che sono quindi facilmente attaccati.
Normalmente più o meno grandi spessori di nickel servono da substrato per la
successiva cromatura. Si è osservato che il cromo depositato sopra il nickel talvolta è
soggetto a corrosione pitting, mentre substrati di nickel senza il cromo sono meno soggetti
a questo. E’ stato constatato che il deposito di cromo per ostacolare la corrosione e non
accelerarla deve coprire il substrato senza presentare porosità.
Nel caso di oggetti decorativi si deposita uno spessore sottile per questioni di tempo
e di costi. Va però riconosciuto che la natura del deposito sotto il cromo è di notevole
importanza sulla resistenza a corrosione della combinazione dei depositi. In particolare è
stato trovato che gli additivi usati per produrre nickel lucido (particolarmente solfuri) sono
dannosi al sistema, ma miglioramenti si sono avuti con depositi successivi di nickel opaco
e nickel lucido. E’ stato anche notato che le proprietà di corrosione di cromo sottile
dipendono dalla natura delle cricche presenti nel cromo.
La ragione della bassa corrosione del cromo sottile lucido deve essere vista come
conseguenza della scarsa bagnabilità del cromo da parte degli agenti corrosivi, così che
possono penetrare nel metallo base con difficoltà, in modo che la corrosione venga
soppressa. Si dimostra che in presenza di agenti bagnanti la corrosione viene accelerata.
Nel caso di depositi sottili su un substrato tenero la durezza del deposito è bassa dal
momento che viene facilmente penetrata come un guscio d’uovo quando è
meccanicamente sollecitata. Un indurimento notevole della superficie avviene con depositi
spessi; lo spessore necessario viene determinato dalla natura del carico. Sviluppi hanno
abilitato la produzione di depositi di cromo “pesante" nella forma chiamata “cromo duro”
per diventare produzioni di larga scala usati in tanti campi.
La definizione “cromo duro” in opposizione con “cromo lucido” è erronea, dal
momento che il cromo duro non è molto più duro di quello lucido. La sua durezza è una
conseguenza solo dello spessore. Il cromo lucido può essere anche più duro ma della sua
durezza non si può farne uso in pratica.
Depositi spessi, che sono liberi da pori, danno una eccezionale protezione da
attacchi sia chimici che meccanici, secondo le nobili caratteristiche del cromo passivato da
una parte e della sua durezza dall’altra. I depositi di cromo sono stati introdotti dove non è
necessaria una notevole durezza ma bensì resistenza alla corrosione.
Dal momento che il cromo duro è generalmente impiegato nella forma di deposito a
spessore che ricopre il substrato in modo efficente, il substrato di nickel non viene
applicato eccetto nei casi in cui lo spessore e le condizioni economiche lo rendano
necessario. Una ulteriore proprietà del cromo è la sua resistenza al calore, così che esso
può venire impiegato in situazioni di grande stress meccanico e termico ad esempio in
utensili per presse, in stampi per vetri, plastiche o metalli.
Un importante campo di applicazione del cromo duro è il ripristino di componenti
consumati o per il miglioramento di particolari soggetti ad uso intenso. Articoli come
stampi, aste, condotte, cilindri ecc, che si sono consumati al di sotto della tolleranza
minima possono essere ricostruiti con la cromatura. Un vantaggio particolare sta nel fatto
che questo processo può essere ripetuto anche quando il consumo è già notevole, così
che la durezza della superficie rinnovata è incrementata assieme alla durata del pezzo.
Essenzialmente, sia il cromo lucido che quello duro è prodotto dallo stesso bagno
cioè , soluzione di acido cromico con aggiunta di anioni estranei. Leggere differenze della
composizione dei due bagni sono normali in pratica; così per il cromo lucido vi è un
contenuto maggiore di acido cromico fino anche a 450 g/l comparato con i 250 g/l del
bagno di cromo duro. Negli ultimi anni, comunque, nuovi catalizzatori hanno portato le
concentrazioni dei due bagni a valori inferiori cioè a circa 150 g/l.
Dal momento che il cromo è duro, esso non viene abraso dai normali agenti lucidanti.
L’ossido di cromo verde è il materiale più comune nella lucidatura dei pezzi, ma il
processo è molto costoso e laborioso e nei casi dove è necessario avere cromo lucido si
preferisce depositarlo direttamente in bagno. La lucidatura meccanica è applicata solo in
alcuni casi. E’ infatti preferibile eliminare il deposito opaco e depositare più volte quello
lucido. La lucidità del cromo depositato più volte è quasi come quella del cromo depositato
una volta sola ma i costi sono ben differenti.
Nel caso di cromo duro la lucidità non è una proprietà interessante, ma lo è invece la
durezza e l’uniformità del colore di un insieme di componenti. La finitura di depositi a
spessore è invariabilmente compiuta per levigatura Dal momento che il cromo duro è
depositato in spessori più elevati, il tempo di deposizione è molto importante. La tendenza
è di accelerare la deposizione usando forti densità di corrente, così che è necessario
operare a temperature più elevate per rimanere nel range di deposizione ottimale,
cercando di non avere depositi opachi e scuri.
Mentre normalmente la porosità è considerata un difetto, in alcuni casi se ne fa largo
uso. La scarsa bagnabilità del cromo è uno svantaggio considerevole nel caso di superfici
scorrevoli, dal momento che non mantiene un film di lubrificante. Ciò può portare a danni
se si lavora a secco. Se invece il cromo è poroso le cricche che si formano sono più
grosse e in questo modo supportano il film di lubrificante generando eccellenti proprietà in
condizioni operative.
Dove è necessario che il cromo resista alla corrosione dobbiamo avere un deposito
senza pori. La produzione di cromo non poroso è possibile sotto condizioni operative di
controllo particolari.
DEPOSIZIONE DI CROMO LUCIDO.

Depositi intermedi
I depositi di cromo lucido hanno normalmente uno spessore di 0.5m e il deposito è
molto lucido quando lascia il bagno. Chiaramente, non avviene nessun livellamento dal
momento che il deposito è molto sottile, così che il substrato deve avere una lucidità
elevata. I pretrattamenti del substrato sono molto importanti per i successivi depositi di
cromo lucido e i requisiti in questo modo sono perciò grandi rispetto a quelli di altri
depositi. Dal momento che il ferro e l’acciaio non sono facilmente lucidabili, è conveniente
depositare su essi un materiale che formi un deposito lucido che in genere è nichel . Se su
un oggetto di rame viene deposto del cromo, il colore risultante può risentire del colore del
substrato. Spesso è anche conveniente avere un substrato più rigido del rame e quindi
prima di depositare il cromo si deposita uno strato di nickel. Oggigiorno ci sono bagni di
nickel che permettono di avere depositi livellanti, così che il nickel può essere deposto
anche su superfici che non sono lucide. Il deposito di nickel viene effettuato nei casi in cui
bisogna avere lunga resistenza del materiale. Si sta però cercando di sostituire il nickel
con altri metalli o leghe per questioni di tossicità.
Si è visto inoltre che l’utilizzo di depositi multipli ha portato ad un aumento delle
caratteristiche di resistenza chimica. In questo caso il substrato è opaco mentre il deposito
o i depositi sovrastanti danno il carattere lucido all’oggetto.
I depositi di nickel lucido,che normalmente contengono solfuri, hanno proprietà di
resistenza chimica più scarse rispetto a quelli del nickel opaco . In particolare i depositi
lucidi sono soggetti a corrosione pitting, che riesce a penetrare nel substrato. Quindi si ha
esfoliazione del deposito che implica una non protezione del substrato. Con depositi di
cromo molto sottili il colore è quello del metallo base. Quindi nel caso del substrato di
rame il colore sarà scuro mentre per il nickel avremo un colore del deposito nickel+cromo
che è bianco.
Il deposito di cromo ha al suo interno stress residui notevoli. Per questo è necessario
avere una buona aderenza col substrato per evitare esfoliazioni. Il deposito intermedio
deve essere inoltre anch’esso libero da stress. Nel rame esso è di poca importanza. Nel
nickel possiamo avere delle esfoliazioni durante la successiva deposizione del cromo. Gli
stress possono essere sia di compressione che di trazione e possono essere eliminati
aggiungendo degli additivi al nickel.
Il deposito di rame intermedio può essere molto sottile se applicato ad una base ben
preparata, e in alcuni casi può essere applicato da un bagno rapido a circa 40°C con una
corrente di 1-1.5 A/dm2 da una soluzione contenente 20 g/l di rame. Depositi più spessi
che devono essere poi lucidati o che sono applicati per proteggere il nickel sono ottenuti a
temperature e densità di corrente più elevate.
Le soluzioni di rame lucido , che sono normalmente più calde ( circa 70°C) vengono
utilizzate ad alte densità di corrente. Le soluzioni più usate sono quelle al cianuro, all’acido
tartarico, al pirofosfato o al fluoroborato.
Se si deve ottenere un deposito di rame spesso è necessario avere un bagno di
rame acido e livellante dopo un breve strato di preramatura in un bagno al cianuro, perché
il rame dal bagno di cianuro assorbe una notevole quantità di idrogeno che può produrre il
distacco del nickel e del cromo. Bisogna notare che il bagno al cianuro di rame alcalino è
molto sensibile alla contaminazione dell’acido cromico. L’acido cromico, in questo caso,
può essere eliminato mediante riscaldamento a 40°C in presenza di sodio idrosolfito
(Na2S2O4) in proporzione di 5 volte il contenuto di acido cromico. Così il cromo è ridotto a
cromo trivalente, precipitato come idrossido e quindi filtrato. Per questo tipo di depositi è
inoltre consigliato usare una corrente inversa periodica. Il risultato è un deposito meno
poroso anche se i costi sono notevoli e i tempi di deposizione sono più lunghi.
Normalmente la diretta deposizione di cromo su ferro e acciaio non è effettuata.
Questo è dovuto alla bassa resistenza a corrosione del substrato e al fatto che la
superficie non è perfettamente livellata. Su nickel lucido invece la superficie è livellata.
Quindi normalmente si depone uno strato sottostante di nickel che livella la superficie e
successivamente un ulteriore strato di cromo che da l’aspetto lucido e le caratteristiche di
anticorrosione. L’adesione del cromo sul nickel lucido è inoltre più elevata. Su rame, nickel
e leghe di rame-nickel il cromo viene depositato senza una deposizione intermedia.

Pretrattamenti meccanici e chimici
La lucidatura prima della cromatura è effettuata con modalità convenzionale.
Notevole cura si deve dare per assicurarsi che il surriscaldamento locale dovuto alla pasta
lucidante non dia luogo a bruciature difficilmente visibili sulla superficie. Questo ha effetti
negativi sull’ulteriore cromatura. Nella lucidatura del nickel è sconsigliato l’utilizzo di paste
eccessivamente grasse e la velocità delle spazzole che la supportano non deve essere
elevata.
Piccoli articoli sono normalmente lucidati mediante burattatura, che genera una
superficie liscia. Recentemente è stato scoperto un notevole vantaggio della lucidatura
anodica o della lucidatura chimica di alcune leghe, come ultimo trattamento prima della
placcatura finale. Questi processi permettono un risparmio di tempo e producono una
superficie sufficientemente lucida. Sono quindi spesso utilizzati in processi automatici.
A riguardo dei residui della pulitura e sgrassatura, non si devono prendere eccessive
precauzioni per la loro completa eliminazione dal momento che l’acido cromico dissolve i
contaminanti come ad esempio i film grassi sulla superficie. Nel caso della nichelatura è
invece importante eliminare questi residui.
Ciò non significa che non bisogni sgrassare la superficie dell’oggetto perché grande
contaminazione può avere effetti contrari. Ogni impurità sulla superficie determina un
eccessivo consumo di acido cromico. Le superfici nickelate esposte all’aria per lungo
tempo si passivano e non possono essere cromate in questo stato ma devono essere
prima attivate in acidi diluiti o mediante sgrossatura catodica.

Intelaiatura
E’ una importante operazione per produrre perfetti depositi di cromo. Dobbiamo
sempre tenere conto che in un bagno di cromo la densità di corrente è alta e che sia il
potere penetrante che quello coprente è basso. La corrente elevata implica un contatto di
sezione sufficiente. Dal momento che i bagni ad alta conducibilità per rame e nickel
operano con vigorosa agitazione, la perdita di contatto porta ad uno scarto. Legare i pezzi
richiede un lungo tempo e molto lavoro e spesso lascia l’impronta in seguito alla
cromatura.
Ora è diventato normale impiegare telai rigidi nei quali il pezzo può essere
direttamente inserito. Tutte le aree di non contatto sono isolate con resistenti vernici, o
meglio con depositi plastici. In questo modo l’attacco del telaio è evitato, eliminando la
contaminazione del bagno. L’aggancio del pezzo deve essere effettuato in modo che i gas
che si sviluppano durante la placcatura non possano fermarsi in zone concave rivolte
verso il basso non permettendo così la deposizione. Contrariamente zone concave verso
l’alto provocano lo scodellamento del bagno al recupero. I telai sono normalmente costituiti
di acciaio o rame perché hanno buona conducibilità rispetto ad altri metalli. Può essere
utilizzato anche il titanio. I telai vanno rivestiti con plastisol lasciando liberi solo i contatti
con i pezzi e gli agganci alla barra catodica. Si può eliminare l’eccesso di metallo
depositato sui contatti dei telai mediante stripping con trattamento anodico in soluzioni
appropriate.
Una superficie completamente liscia che è disposta parallelamente all’anodo
mostrerà uno spessore di bordo molto più elevato che non al centro. Per evitare ciò, il
catodo deve essere posizionato lontano dall’anodo. Un alternativa è di disporre un filo
metallico assorbitore di corrente a distanza di pochi mm dal bordo della porzione
prominente.
La protezione totale di certe zone del catodo può essere attuata con mascherature
non conduttive.
Lo scarso potere penetrante e coprente deve essere tenuto in considerazione nel
caso di oggetti che hanno una forma complessa, particolarmente quelli che hanno una
area fortemente defilata. Con un aggiustamento della forma dell’anodo rendendolo di
forma irregolare come il catodo, o mediante l’introduzione di un anodo ausiliario, la
deposizione del cromo può essere assicurata anche sulle aree defilate. Con angoli acuti
l’anodo ausiliario deve essere disposto all’interno vicino all’apice dell’angolo in modo da
assicurare la deposizione anche in quei punti.

Elettroliti
La composizione dell’elettrolita per la cromatura lucida può variare secondo la
concentrazione di acido cromico fra i 150 e i 500 g/l. Generalmente la più elevata
concentrazione non viene utilizzata perché il range di temperatura e di densità di corrente
è stretto. La soluzione più diluita presenta meno problemi di trascinamento di soluzione e
di deposizione. Per alcuni anni la concentrazione usuale di acido cromico era di 300-400
g/l CrO3, con un contenuto di solfato pari all’ 1% del contenuto di acido cromico. La
densità di corrente variava tra i 7 e i 20 A/dm 2, mentre la temperatura della soluzione tra i
30 e i 55°C. La più alta temperatura viene usata con la più alta densità di corrente. Per
quanto riguarda la densità di corrente, il range di deposizione lucida è ampio, sebbene non
sia sufficiente in pratica dato il basso potere penetrante degli elettroliti di cromo.
Su parti completamente piatte vi è una sensibile differenza di corrente tra il centro e
la periferia del pezzo, mentre la differenza è molto maggiore in profili con cavità profonde.
Se la densità media sta all’interno del range lucido, ci saranno delle zone del pezzo in cui
la densità di corrente è più elevata di quella necessaria e zone in cui non si riesce a
raggiungere la soglia della densità di corrente minima. In queste zone non ho deposizione.
Vi sono soluzioni di elettroliti, che vengono chiamate HTHR ( High Temperature High
Ratio) che contengono una quantità maggiore di acido cromico rispetto a quella di solfato,
e inoltre lavorano a temperature più elevate. Ad esempio una soluzione di 350 g/l di CrO 3
con 2.5 g/l di SO4 lavora a temperature di 55-60°C con densità di corrente di 30-45 A/dm2.
Il pezzo può entrare nel bagno sia asciutto che bagnato. Per prevenire l’attacco di
articoli altamente lucidati, è necessario farli entrare nell’elettrolita sotto tensione, in modo
che l’elettrolisi cominci appena dopo l’immersione. Bisogna fare molta attenzione che la
superficie immersa non presenti bruciature come risultato di una eccessiva densità di
corrente.
All’inizio della cromatura è conveniente applicare una densità di corrente più elevata
per ottenere una rapida copertura di tutte le parti del catodo, anche di quelle che
riceverebbero correnti basse. Si osserva che si può avere dissoluzione nelle zone a bassa
densità di corrente mentre il cromo viene depositato sulle aree dove la densità di corrente
è più elevata. Ciò deve essere evitato tenendo conto della possibile contaminazione della
soluzione. Durante la copertura, che dura circa 10-30 secondi, viene usato un potenziale
più elevato di 1-2 volt. La bassa conducibilità delle soluzioni diluite portano a far si che
siano richieste tensioni più elevate del normale per ottenere la densità di corrente
desiderata.
Le condizioni operative sono di seguito riassunte nella tabella seguente:
Tab. 8:Condizioni operative per una cromatura lucida su vari metalli
Metallo base
Rame
Bronzo
Alpacca
Ferro, acciaio
Nickel
Argento
Temp. °C
35-40
35-40
35-40
40-45
40-45
40-45
Densità di corrente Durata (minuti)
A/dm2
5-10
30-45
5-10
20-45
5-10
30-60
10-30
60-120
5-20
3-5
5-10
30-60
E’ anche importante che il pezzo sia alla stessa temperatura del bagno o che la
raggiunga in tempi brevi in modo da non avere una deposizione opaca. I pezzi piccoli che
entrano nel bagno si riscaldano molto velocemente mentre quelli più grossi richiedono
tempi di riscaldamento superiori e possono raffreddare eccessivamente l’elettrolita.
E’ inoltre normale applicare una piccola tensione di 2 volts per 2 minuti nel bagno
prima dell’elettrolisi. Non si ha deposizione di cromo, ma il sistema aumenta la sua
temperatura, l’attacco è prevenuto, e ogni sostanza contaminante è distrutta dall’acido
cromico.

Risciacquo e trattamenti successivi
Il primo trattamento successivo del deposito di cromo è il risciacquo. Il pezzo che
esce dalla vasca di deposizione viene prima risciacquato in una vasca statica. L’agitazione
di questa vasca è preferibile. Il recupero si fa per non perdere soluzione del bagno che è
costosa e tossica per l’ambiente. Spesso il sistema di risciacquo è a cascata in modo che
la perdita di soluzione di acido cromico possa essere ridotta.
Dal momento che la soluzione di cromo utilizzata è calda, e se ne ha una notevole
perdita all’uscita, il contenuto deve essere sempre rabboccato. Questo rabboccamento
viene effettuato con soluzione del primo risciacquo. Se le vasche di risciacquo sono
molteplici la soluzione della seconda viene messa nella prima e così via per le altre. La
continua perdita di soluzione non è l’unico problema, ma si ha anche una contaminazione
sempre maggiore della soluzione del bagno. Questa contaminazione dipende dal tipo di
articoli trattati e dalle condizioni operative.
Dopo le vasche di risciacquo viene utilizzata una vasca di neutralizzazione. Questa è
una vasca statica di agente riducente normalmente costituito da 10-20 g/l di sodio
idrosolfito, che converte ogni residuo di acido cromico in cromo trivalente. I telai vengono
risciacquati in acqua deionizzata prima dell’asciugatura.
L’ascuigatura è effettuata in vari modi . Un vecchio e buon metodo è quello di
asciugare i pezzi in segatura calda. Per questo motivo un box di farina di legno non
resinoso viene riscaldato fino a temperature tali da avere asciugatura del pezzo. Altro tipo
di asciugatura è quella in forno a 105-115°C. Questa tecnica presuppone che si sia
utilizzata un’acqua deioizzata come ultimo risciacquo perché le macchie di calcare sono
difficili da rimuovere. Ci sono altri modi come ad esempio l’asciugatura in corrente di aria
calda, mediante radiazioni infrarosse, ecc.
La lucidatura di un pezzo cromato non è necessaria. Se vi sono delle zone opache
esse vengono lucidate con panni particolari, ma se il pezzo alla fine della lucidatura non è
sufficientemente lucido viene scartato e ricromato.

Campi di applicazione
Uno dei primari campi di applicazione è quello della posateria. Le posate di ferro o di
acciaio vengono cromate direttamente o mediante deposizioni multiple. Nel caso di
cromatura diretta è necessario un tempo di 1-2 ore per avere uno spessore sufficiente. Le
leghe di alpacca sono molto buone per la cromatura diretta e facilmente lucidabili.
Nel caso di posateria assemblata, tutte le parti che non necessitano di cromatura
devono essere protette mediante vernici particolari. Una di queste potrebbe essere una
mistura di paraffina e cera carnauba. Dopo la cromatura viene facilmente rimossa.
Il maggior campo di applicazione della cromatura è l’industria automobilistica. In
questo caso sono utilizzati nickel e rame come substrati. Il deposito di rame è qualche
volta estremamente sottile (meno di 1 m ) ma normalmente spesso, mentre lo spessore
del nickel varia tra i 2 e i 40 m. Per quel che riguarda il cromo lo spessore è di 0.4-0.5
m.
La resistenza a corrosione di un articolo placcato con nickel e cromo non è molto
elevata. Perciò si preferisce impiegare altri rivestimenti multistrato. Per esempio si
possono fare doppi depositi di nickel. I 2/3 dello spessore è costituito da nickel opaco
mentre la rimanente parte da nickel lucido. Dal momento che il nickel lucido contenente
solfuri è meno nobile del nickel opaco sottostante, esso costituisce l’elettrodo solubile
quando avviene la corrosione, così che l’attacco corrosivo non penetra nel substrato.
La maggior parte dei componenti per automobile è ormai costituita di leghe di zinco.
Questo materiale può essere facilmente placcato prima con rame, poi con nickel e
successivamente con cromo.
La cromatura lucida è impiegata anche in alcuni oggetti domestici tipo lavandini,
lavatrici, rubinetteria ecc. Inoltre pezzi cromati sono utilizzati anche per produrre strumenti
dentali od ospedalieri dove è necessario avere alta resistenza chimica.

Analisi dei costituenti fondamentali di un bagno di cromatura
Determinazione dell’anidride cromica nel bagno di cromatura
Reagenti:
1.
2.
3.
4.
5.
Ammonio bifluoruro
HCl conc.
Soluzione di potassio ioduro al 10% +0,1% KOH
Sodio tiosolfato 0,1 N
Soluzione di salda d’amido
Procedura:
Prelevare 10 cc di bagno di cromo e porlo in un pallone tarato da 500 cc portando a
volume con acqua distillata. Trasferire 10 cc di questa soluzione in una beuta da 300 cc,
diluire con 100 cc di acqua distillata ed aggiungere 2 g di ammonio bifluoruro,10 cc di HCl
conc. e 5 cc di soluzione di potassio ioduro. Quindi titolare con sodio tiosolfato 0,1 N
usando 0,5 cc di soluzione di salda d’amido come indicatore finché scompare la
colorazione blu.
Siano A i cc di tiosolfato utilizzati:
Calcolo:
g/l CrO3 =
A*16,67
Determinazione del cromo trivalente nel bagno di cromatura
Reagenti:
1.
2.
3.
4.
5.
Sodio perossido
Acido cloridrico conc
Soluzione di potassio ioduro al 10% +0,1% KOH
Sodio tiosolfato 0,1 N
Soluzione di salda d’amido
Procedura:
Prelevare 10 cc di bagno di cromo e porlo in un pallone tarato da 500 cc portando a
volume con acqua distillata. Trasferire 10 cc di questa soluzione in una beuta da 300 cc,
diluire con 100 cc di acqua distillata ed aggiungere 2 g di ammonio bifluoruro,10 cc di HCl
conc. E 5 cc di soluzione di potassio ioduro. Quindi titolare con sodio tiosolfato 0,1 N
usando 0,5 cc di soluzione di salda d’amido come indicatore finché scompare la
colorazione blu.
Siano B i cc di tiosolfato utilizzati:
Calcolo:
g/l CrIII =
del cromo esavalente
(B-A)*8,7 dove A sono i cc utilizzati nella determinazione
dell’analisi precedente
Determinazione del solfato nel bagno di cromatura
Reagenti:
1.
2.
3.
Soluzione riducente (15 parti in volume di alcool isopropilico+7 parti
di acido cloridrico + 25 parti di acidi acetico)
Soluzione satura di acido picrico
Bario cloruro al 10%
PROCEDURA:
Prelevare 10 cc di bagno di cromatura in un becker da 250 cc, aggiungere 75 cc di
soluzione riducente e portare all’ebollizione per 15-20 minuti. Diluire con acqua distillata,
aggiungere 5 cc di acido picrico e 10 cc di soluzione di bario cloruro. Aspettare 1-2 ore e
filtrare il precipitato di solfato di bario su filtro di carta. Bruciare il filtro in un crogiolo di
porcellana preventivamente pesato. Mettere in muffola a 800 °C per due ore quindi
pesare.
Siano A i grammi pesati:
Calcolo:
g/l SO42- =
A*41,5
LEGA NICKEL STAGNO
Questa lega si deposita con una composizione del 65% in stagno ed del 35% in nichel
corrispondente al composto intermetallico SnNi. Ha un aspetto metallico lucido con un
riflesso rosa ed è resistente all’imbrunimento. Può essere alternativa al cromo per certe
applicazioni decorative per interni o esterni, o per applicazioni su contatti elettrici. Ha una
buona resistenza all’usura e trattiene un film d’olio che ne esalta questa proprietà. Trova
applicazione nella metallizzazione dei fori dei circuiti stampati, come parziale sostituto
dell’oro, a causa del notevole potere penetrante dei bagni e la buona conducibilità del
deposito.
La durezza del deposito è compresa fra quella del nickel e quella del cromo. Essa è duttile
e saldabile.
La tipologia di bagno più utilizzata risponde alla seguente composizione:
SnCl2 2H2O
NiCl2 6H2O
NH4HF2
NH4Cl
NH4OH o HCl
Temperatura
Densità di corrente
Agitazione
50 g/l
250 g/l
55 g/l
50 g/l
fino a pH 2.5-3.5
65 °C
1.0-3.0 A/dm2
Movimentazione catodica
L’agitazione non è necessaria per piccoli spessori mentre diventa obbligatoria nel caso
contrario.
Anche la filtrazione continua si rende necessaria per eliminare particelle sospese.
Si utilizzano anodi di nickel oppure anodi di nickel con anodi di stagno nel rapporto 2:1.
Nel primo caso lo stagno consumato va reintegrato con aggiunte regolari di cloruro
stannoso.
Il contenuto in fluoruro è molto importante per il suo effetto complessante sullo stagno. Un
aumento della sua concentrazione diminuisce il contenuto di stagno nel deposito.
Molto dannosa è la presenza di contaminanti organici. Piombo oltre i 25 ppm, rame,zinco
e cadmio oltre i 200 ppm, hanno effetti negativi sul deposito ma questi possono essere
rimossi mediante elettrolisi a bassa densità di corrente.
Determinazione iodometrica dello stagno(II) in un bagno di nickel-stagno
Reagenti:
1. Acido cloridrico concentrato
2. Soluzione di iodio 0,1 N
3. Salda d’amido
PROCEDURA:
Prelevare 5 cc di bagno e porli in una beuta da 300 cc, diluire con 200 cc di acqua
distillata e aggiungere 30 cc di acido cloridrico concentrato. Aggiungere 5cc di salda
d’amido e titolare con iodio 0,1N finché la soluzione passa dal nero al blu.
Siano A i cc di iodio 0,1 N utilizzati.
Calcolo:
g/l Sn(II) =
A*1,187
ARGENTATURA
I bagni cianurati di argento sono quelli che forniscono i migliori risultati tecnici ed economici anche
tenendo conto delle spese per il trattamento delle emissioni. Gli anodi d’argento si sciolgono bene
nei bagni al cianuro ed il consumo di brillantanti è basso.
Un bagno classico utilizzabile a telaio è il seguente:
Argento come KAg(CN)2
Potassio cianuro KCN
Potassio carbonato K2CO3
Temperatura
Densità di corrente
15-40 g/l
20-150 g/l
20 g/l
20-30 °C
0.5-4 A/dm2
Per un’ argentatura a buratto si tiene conto che si ha un maggior trascinamento e una minore densità
di corrente per cui si utilizzano bagni a minor concentrazione. Una formula tipica è la seguente:
Argento come KAg(CN)2
Potassio cianuro KCN
Potassio carbonato K2CO3
Temperatura
Densità di corrente
5-20 g/l
25-75 g/l
20 g/l
20-30 °C
0.1-0.8 A/dm2
Entrambe le formulazioni producono un deposito opaco ma comunque tenero. Per produrre un
deposito molto lucido vengono aggiunti affinatori del grano e brillantanti.
Esempi di questi brillantanti sono molecole organiche che contengono gruppi ammidici quali la
nicotinammide o gruppi amminici come l’etilendiammina e complessi dei metalli del gruppo VA e
VIA come selenio, bismuto o antimonio.
Aumentando la quantità di brillantanti aumenta la durezza del deposito. Questa è compresa di solito
fra i 100 e 200 Knoop. Antimonio e selenio aumentano la durezza più delle sostanze organiche ma
queste ultime impartiscono miglior conduttività elettrica.
I carbonati derivano dalla ossidazione del cianuro cosicchè l’aggiunta iniziale non deve essere
ripetuta. Questa ossidazione è lenta quando il bagno non lavora ma quando la concentrazione arriva
verso i 120 g/l allora il deposito diventa opaco. La rimozione di questo sale può essere fatta per
raffreddamento della soluzione ed asportazione dei cristalli di carbonato precipitato o precipitazione
dello stesso con idrato di bario.
L’argento è un metallo relativamente nobile per cui l’immersione in una sua soluzione di un metallo
meno nobile può provocare fenomeni di cementazione che di solito sono deleteri per l’adesione
dello strato successivo. Per minimizzare questo effetto è necessario impiegare un predeposito di
argento. Una composizione tipica di questo bagno è la seguente:
Argento come KAg(CN)2
Potassio cianuro KCN
Potassio carbonato K2CO3
Temperatura
Densità di corrente
3.5-5 g/l
80-100 g/l
20 g/l
15-25 °C
0.5-1.0 A/dm2
Lo spessore ottenuto da questo deposito è molto limitato ( 0,05-0,25m). Dopo il bagno di
preargentatura si entra in quello di argentatura senza risciacquare. La purezza degli anodi è molto
importante poiché impurità come il rame, ferro, piombo, solfuro, tellurio, e metalli del gruppo del
platino possono causare contaminazione della soluzione con formazione di un film sull’anodo che
inibisce la solubilità dello stesso. Gli anodi devono essere ottenuti per trafilatura, fusione o
estrusione e devono subire un trattamento di ricottura per ottenere una grana che non si sfogli
durante la dissoluzione. Una insufficiente concentrazione di cianuro libero e un’area anodica
limitata causa consumi e dissoluzione anomali.
L’analisi della concentrazione del cianuro libero deve essere eseguita frequentemente e
regolarmente e ripristinata con potassio cianuro. Il rapporto anodo catodo consigliato e 2-1e la
densità di corrente catodica massima di 1,25 A/dm2
L’argentatura di piccoli pezzi può essere fatta anche utilizzando anodi inerti. In questo caso i
tradizionali bagni al cianuro subiscono degradazione per effetto della polimerizzazione del radicale
cianuro e della sua ossidazione. Sono state sviluppate delle soluzioni per sopperire a questi casi
particolari utilizzando bagni privi di cianuro libero di cui la seguente è una formulazione classica:
Argento come KAg(CN)2
Sali conduttori e tamponanti
PH
Temperatura
Densità di corrente
Agitazione
Anodi
40-75 g/l
60-120 g/l
8.0-9.5
60-70 °C
30-400 mA/dm2
a flusso di soluzione
Platino o titanio platinato
I sali conduttori sono di solito pirofosfati che funzionano anche da tamponi, oppure nitrati in cui i
tamponanti sono costituiti da borati. In queste soluzioni sono molto importanti i sali tamponanti
poiché sull’anodo inerte vengono consumati gli ossidrili con conseguente aumento dell’acidità. Si
forma allora all’anodo del cianuro d’argento insolubile per effetto della perdita del acido cianidrico
che si sviluppa. Per questa causa aumenta l’effetto di polarizzazione anodica con diminuzione della
corrente. Le seguenti reazioni illustrano il fenomeno:
4OH- 2H2O + O2 +4eAg(CN)2- AgCN + CN-
DORATURA
La doratura è un tipo di placcatura con metalli preziosi che ha numerose applicazioni
specialmente per oggetti ornamentali.
I sistemi di doratura odierni sono suddivisi in 8 classi:
Classe
A
B
C
D
E
F
G
H
Tipo
Flash di oro decorativo 24K (0.05-0.1 m), su telaio e in buratto
Flash di leghe di oro decorativo (0.05-0.1m), su telaio e in buratto
Leghe di oro decorativo, pesante(0.5-1m), su telaio . Questi depositi
possono essere sia classe C – 1 carato o C – 2 carati
Oro tenero ad alta purezza per industria elettronica (0.05-0.5m) su telai, in
buratto e selettivo
Oro pesante (95%) duro,opaco per industria elettronica (0.05-0.5m) su
telaio, in buratto e selettivo
Leghe di oro spessore (0.05-1m) su telaio e selettivo
Leghe opache e pure, raffinato (0.01-0.1m), su telaio e selettivo
Miscele, comprendenti oro elettroformato e leghe di oro, per scopi
architettonici
Per semplificare ulteriormente l’oro e le leghe di oro possono essere considerate
appartenenti a 5 gruppi generali:
Gruppo
1
2
3
4
5
Miscele
Oro cianuro alcalino, per doratura e placcatura di leghe di oro
Oro cianuro neutro, per doratura ad alta purezza
Oro cianuro acido, per doratura opaca e dura
Oro solfito, per doratura generica
Miscele
Classi
A-D;F-H
D,G
B,C,E–G
A–D;F–H
Ci sono centinaia di formulazioni tra queste cinque classi di soluzioni di oro per doratura.
Fisicamente, considerazioni di tipo estetico e ingegneristico determinano in quale di questi
gruppi è il bagno desiderato. Il fattore normalmente altrettanto importante è quello
economico. Il prezzo dell’oro è solo un aspetto che deve essere considerato nella
decisione del tipo di tecnica di deposizione (telaio, buratto, continua o selettiva).
Per ogni applicazione è necessario bilanciare e ottimizzare le seguenti variabili:
 Costo del bagno:
Questo include il volume di bagno necessario e la
concentrazione di oro.
 Velocità di placcatura: Determina la dimensione dell’equipaggiamento, il bagno e i
costi per avere la produzione desiderata.
 Costi di perdita di trascinamento: Dipende dalla concentrazione utilizzata, la forma
del pezzo, se la placcatura è su telaio, in buratto, continua o selettiva;deve
includere anche il probabile recupero della soluzione perduta mediante
elettrodeposizione o scambio ionico.
 Costi di controllo e di mantenimento: Alcuni bagni ad alta velocità e alta efficienza
richiedono costante manutenzione e analisi.
 Costo di longevità del bagno: Bagni ad alta velocità e ad alta purezza con elevato
trascinamento devono essere periodicamente cambiati per mantenere la purezza
voluta. Questo implica una certa perdita nel ricambio.
 Costi iniziali dell’ equipaggiamento
 Spese generali

Doratura decorativa
Gran parte della placcatura decorativa è applicata alla gioielleria, in generale per oggetti
che servono da ornamento. Lo spessore di oro o di leghe di oro è di circa 0.05-0.1m e il
tempo di placcatura è di circa 5-30 sec. Indrustialmente si distingue tra questo tipo di
placcatura che viene chiama flash rispetto a quella a spessore in cui lo spessore del
deposito è maggiore di 0.5m.
Questi depositi sono usualmente applicati su un substrato di nickel lucido e l’aspetto
risultante è ancora lucido. Non richiedono quindi successivo trattamento di lucidatura.
Gli anodi utilizzati sono di acciaio puro. Il miglior rapporto fra l’area del anodo e quella del
catodo è 1:1 oppure 3:1. Alti rapporti, quando la vasca è usata come anodo, tendono a
dare un colore e uno spessore del deposito disomogenei, e il pezzo finale frequentemente
si brucia. Non è necessario nessun tipo di agitazione per assicurare colore uniforme.
L’oro e gli elementi in lega si consumano durante il processo e quindi devono essere
aggiunti periodicamente per non sbilanciare il bagno. Normalmente ci si basa sulla lettura
di un amperometro. Il bagno opera con un efficienza catodica di circa il 6%. Quindi ogni 11
Ah consumate devono essere aggiunti 5 g di oro, assieme alla giusta quantità di elementi
in lega.
Tutte le condizioni operative devono essere controllate attentamente. Ogni variazione di
queste condizioni influenza l’efficienza della corrente catodica dell’oro o delle leghe o di
entrambi.
I fattori che alterano il colore del deposito sono:
1. Finitura superficiale.
La finitura superficiale del metallo base cambia il colore
apparente del deposito. Questo si nota facilmente quando l’oggetto da dorare ha
superficie in parte lucida e in parte opaca. Placcato nello stesso bagno, esso risulterà
di due diversi colori.
2. Colore del metallo base. Il colore del metallo base altera il colore del deposito di oro
sovrapponendo il suo colore a quello dell’oro quando il deposito è sottile (flash). La
maggiorparte dei depositi di leghe d’oro, se correttamente depositati, oscura la base
quando lo spessore del deposito è superiore a 0.05 m. Additivi speciali possono far si
che lo spessore di oro necessario per oscurare la base sia minore e cioè fino a
0.03m. In questo caso a parità di colore si usa meno oro.
3. Densità di corrente.
La densità di corrente bassa tende a favorire la deposizione di
oro e porta all’arricchimento della soluzione di elementi in lega. L’aumento notevole di
densità di corrente porta ad avere lo sviluppo di tonalità di colore rosso,arancione o
rosa.
4. Cianuri liberi. Le soluzioni che contengono rame sono molto sensibili ai cambiamenti
nel contenuto di cianuro libero. Un basso contenuto causa un incremento nelle
sfumature rosse e rosa, mentre un alto contenuto favorisce il colore giallo trattenendo il
rame.
5. Temperatura. L’effetto è simile a quello della densità di corrente. Basse temperature
favoriscono il colore giallo, e alte temperature favoriscono quello rosso. Temperature
sopra i 70°C devono essere evitate, eccetto nel caso di oro rosa, visto il rapido crollo
del cianuro e quindi la formazioni di colorazioni scure.
6. pH. E’ raramente necessario aggiustare il pH di un bagno di oro. Normalmente esso
sta nell’intervallo tra 10 e 11. Solo oro rosa o rosso sono favoriti da alti valori di pH
24 K
Basso
Giallo
Rosa
Verde
Cianuro
Potassio Oro Cianuro (g/l)
Bianco
Bianco
n°1
n°2
Verde
Rosso
Rosa
1.25-2
1.25-2
1.25-2
1.25-2
1.25-2
0.4
0.325
2
0.82
6
Potassio Cianuro Libero (g/l)
7.5
7.5
7.5
2
2
15
15
7.5
4
4
Fosfato potassico (g/l)
15
15
15
15
15
15
15
15
15
Idrossido di Sodio (g/l)
15
Carbonato di Sodio (g/l)
30
Potassio Nickel Cianuro (g/l)
0.025-1.4
Potassio Rame Cianuro (g/l)
0.025
0.025
0.13
1.1
Potassio Argento Cianuro (g/l)
0.025
1.1
0.2
0.7
0.05
0.25
Stagno (g/l)
2.1
Temperatura (°C)
2
Densità di corrente (A/dm )
50-70
50-70
50-70
50-70
50-70
50-70
50-70
50-70
50-70
50-70
1-4
1-4
1-3.5
2-5
1-4
3-6
3-5
1-3
3-4
2-5
Tabella di Oro e leghe di Oro in bagni Flash (Classi A,B)
Bagni alcalini di oro al cianuro (Gruppo 1, Classe D)
Potassio Oro Cianuro (g/l)
Potassio Argento Cianuro (g/l)
Fosfato potassico (g/l)
Potassio Cianuro (g/l)
pH
Temperatura (°C)
Anodi
Rapporto Anodo / Catodo
Agitazione
Densità di corrente (A/dm 2)
Telaio
Buratto
Efficienza di corrente (%)
Tempo di placcatura (sp = 2,54 micron)
Riempimento
Opaco
8-20
Lucido
8-20
0.3-0.6
22-45
15-30
12
50-70
Acciaio inossidabile
1:1
da Moderata a Vigorosa
60-100
12
15-25
Acciaio inossidabile
1:1 - 5:1
da Niente a Moderata
0.3-0.5
0.1-0.2
90-95
2
8 minuti a 0.5 A/dm
6.3 gr di oro / A-h
0.3-0.8
0.1-0.2
90-100
2
7 minuti a 0.6 A/dm
6.3 gr di oro / A-h
Tabella dei Bagni di Oro alcalini al cianuro
La tabella sovrastante elenca i bagni alcalini di oro cianuro che sono ancora usati. Per
depositi opachi, aumentando la temperatura, si ha il miglior deposito e la più alta velocità
di deposizione. Bisogna però cercare di non superare il limite di temperatura consentito.
I bagni alcalini al cianuro sono molto sensibili alle impurezze organiche , sia quelle
introdotte dal trascinamento, sia quelle dovute all’assenza di pulizia, così come quelle
dovute al crollo del cianuro libero. Per fare in modo che un deposito sia di buon aspetto e
strutturalmente sano, è necessario trattare la soluzione con carbone e filtrarla
periodicamente. Il grado di purezza del carbone deve essere elevato in modo da non
introdurre più impurezze di quelle rimosse. La filtrazione continua attraverso un filtro
impaccato di carbone è praticamente accettata ma non è efficiente nella rimozione delle
impurità come un trattamento discontinuo con carbone. Se la soluzione è abbastanza
contaminata prima del trattamento, è importante conservare il carbone utilizzato e i filtri
per recuperare la quantità di oro persa durante il processo.
Il miglior metodo per trattare una soluzione con carbone è di:
1.
2.
3.
4.
5.
Riscaldare la soluzione a 65-70°C
Trasferire la soluzione calda ad una vasca ausiliaria
Aggiungere 1-1.5 g di carbone per litro di soluzione
Mescolare per non più di 20-30 minuti
Filtrare la soluzione per decantazione nella vasca originaria
Nessuna regola viene data alla frequenza di trattamenti con carbone. Ciò dipende dalla
pulizia generale e dalla disponibilità economica, come dal pezzo che si deve processare;
mediamente varierà da una volta ogni due settimane a una volta ogni due mesi. Per
esempio i bagni a temperatura ambiente necessitano di trattamenti con carbone meno
frequenti rispetto a quelli caldi al cianuro.
Bagni neutri di oro al cianuro. (Gruppo 2 , Classe D)
I bagni neutri al cianuro sono principalmente usati dalla industria dei semiconduttori. Molta
cura va data per prevenire la contaminazione della soluzione perché anche una piccola
quantità (ppm) di sostanze inorganiche indesiderabili può causare problemi al deposito
come rotture o fragilità.
Placcatura su Telio o Buratto Placcatura veloce continua
Potassio Oro Cianuro (g/l)
8-20
15-30
Fosfato potassico (g/l)
80
Cirtato potassico (g/l)
70
90
pH
6.0-8.0
4.5-5.5
Temperatura (°C)
70
50-70
Agitazione
Necessaria
Violenta
Anodi
Platino rivestito
Platino rivestito
2
Densità di corrente (A/dm )
0.1-0.3
10-40
Efficienza di corrente (%)
90
95-98
Tempo di placcatura (sp = 2,54 micron)
12 minuti
10-20 sec
Riempimento
6.3 gr di oro / A-h
6.3 gr di oro / A-h
Bagni acidi di oro al cianuro. (Gruppo 3 , Classe E)
Placc. in buratto
Potassio Oro Cianuro (g/l)
Acido citrico (g/l)
Cobalto o Nickel come metallo (g/l)
Ph
Temperatura (°C)
Anodi
Agitazione
Densità di corrente (A/dm 2)
Efficienza di corrente (%)
Tempo di placc. (sp = 2,54 micron)
Riempimento
Bagno Opaco n° 1
8
60
70
3.8-5.0
50-60
Platino rivestito
Necessaria
0.1-0.5
Placc.in buratto
o su telaio
Bagno Opaco n° 2
8
60
0.2-0.5
3.8-4.5
25-35
Plat. Rivest.,acc. inox
Necessaria
0.5-2
30-40
2
10 min a 1 A/dm
2.4 gr di oro / A-h
Alta velocità
Placcatura continua
Bagno Lucido
8-16
90
0.75
3.8-4.3
25-50
Platino rivestito
Violenta
10-40
30-40
2
15 sec a 40 A/dm
2.4 gr di oro / A-h
PLATINATURA
Il platino può trovarsi in soluzione allo stato bivalente o tetravalente. Lo ione bivalente può subire
l’ossidazione a tetravalente all’anodo specialmente in soluzione alcalina. Questo effetto diminuisce
il rendimento di corrente e perciò può essere utile separare con membrane la zona catodica da quella
anodica.
Tipologie di bagni:
Bagni al dinitroplatinato solfato
Platino come H2Pt(NO2)2SO4
Acido solforico
Temperatura
Densità di corrente
Anodi
5 g/l
fino a pH 2
40 °C
0,1-1 A/dm2
Platino, Titanio platinato
Bagni acidi all’acido cloroplatinico
Platino comeH2PtCl6
Acido cloridrico (al 35%)
Temperatura
Densità di corrente
Anodi
20 g/l
300 g/l
65 °C
0,1-2 A/dm2
Platino,titanio platinato
Bagni ammoniacali all’acido cloroplatinico
Platino comeH2PtCl6
Ammonio fosfato
Ammonio idrato
Temperatura
Densità di corrente
Anodi
10 g/l
60 g/l
fino a pH 7.5-9.0
65-75 °C
0,1-1 A/dm2
Platino, Titanio platinato
La formulazione alcalina può essere applicata direttamente su basi nickelate. Le formulazioni acide
richiedono in genere una predoratura sul materiale base.
RODIATURA
Tre sono le tipologie di bagni che sono stati finora proposti per la rodiatura e cioè:
1. bagni al solfato
2. bagni al fosfato
3. bagni al solfato - fosfato
La prima tipologia fornisce un deposito prevalentemente tecnico, la seconda un deposito a
caratteristiche prevalentemente estetiche (lucido e riflettente) e la terza produce un deposito con
proprietà intermedie fra i due precedenti.
La gioielleria e la produzione di oggettistica in argento sono le industrie che maggiormente
utilizzano questo deposito per il suo aspetto molto bianco. Benché entrambi i bagni forniscano
depositi bianchi, i bagni al fosfato sono stati preferiti perché intaccano meno le saldature quando la
rodiatura viene eseguita direttamente sul metallo base.
Il trattamento di rodiatura ha uno scopo puramente estetico. I suoi depositi sono molto bianchi,
lucidi e duri ma altrettanto porosi e costosi per cui vengono utilizzati spessori molto bassi (0.1 m).
Bagni al fosfato di rodio
Rodio fosfato
Acido fosforico all’ 85%
Temperatura
Densità di corrente
pH
Anodi
Agitazione
2 g/l
60-150 g/l
40-50 °C
2-10 A/dm2
<1
Platino, Titanio platinato
moderata
Bagni al solfato di rodio
Rodio solfato
Acido solforico al 96%
Temperatura
Densità di corrente
PH
Anodi
Agitazione
1-2 g/l
50-150 g/l
40-50 °C
2-10 A/dm2
<1
Platino, Titanio platinato
moderata
Bagni al solfato-fosfato di rodio
Rodio fosfato
Acido solforico al 96%
Temperatura
Densità di corrente
PH
Anodi
Agitazione
1-2 g/l
50-150 g/l
40-50 °C
2-10 A/dm2
<1
platino,titanio platinato
moderata
PALLADIATURA
Il palladio può essere depositato da sistemi caratterizzati da ambienti ammoniacali o acidi. Fra
questi i più numerosi sono quelli ammoniacali in cui il palladio è presente in forma coordinata con
molecole di ammoniaca Pd(NH3)42+ mentre l’anione che fa da controione può essere il Cl- ,NO2- e
SO42-.
Gli elettrodepositi di palladio sono suscettibili alla formazione di microcricche per effetto della
codeposizione di idrogeno per cui conviene sempre depositare in condizioni di alto rendimento. Per
rendere lucido il deposito esistono dei brillantanti che fanno parte della famiglia dei solforati, che
funzionano da duttilizzanti, mentre i legami olefinici impartiscono lucentezza . I sottostrati di rame
vanno protetti con nickel o con un flash di palladio o di oro prima di entrare in un bagno di
palladiatura per evitare opacizzazioni per effetto del contenuto ammoniacale.
Le soluzioni di placcatura acide vengono utilizzate per ottenere alti spessori con basse tensioni
interne. Sono basati sull’impiego di palladio cloruro o solfato. Questi depositi sono opachi o
semilucidi e l’efficienza di corrente è del 97-100% . La presenza di rame nella soluzione provoca
dei depositi lattescenti.
Bagni convenzionali
Al solfammato
Palladio come Pd(NH3)2(NO2)2
Ammonio solfammato
Ammonio idrato
Temperatura
Densità di corrente
Anodi
10-20 g/l
100 g/l
fino a pH 7,5-8,5
25-35 °C
0,1-2,0 A/dm2
Titanio platinato
Al cloruro
Palladio come Pd(NH3)4Cl2
Ammonio cloruro
Ammonio idrato
Temperatura
Densità di corrente
Anodi
10-20 g/l
60-90 g/l
fino a pH 8.0-9.5
20-25 °C
0,1-2,5 A/dm2
Titanio platinato o grafite
Acido al cloruro
Palladio come PdCl2
Ammonio cloruro
Acido cloridrico
Temperatura
Densità di corrente
Anodi
50 g/l
30 g/l
fino a pH 0,1- 0,5
40-50 °C
0.1-1.0 A/dm2
Palladio o grafite
PALLADIO - NICKEL
Il palladio forma leghe con diversi metalli. Di queste la più importante commercialmente è quella
con il nickel che si può depositare elettroliticamente con una composizione compresa fra il 30 e il
90% in palladio. Nella pratica corrente viene utilizzata la lega con il 75-85% in palladio. Questo
tipo di lega ha la caratteristica di avere una notevole resistenza alla corrosione e una buona duttilità
fino a spessori di 2 m che garantiscono la bassa porosità. La lega è meno sensibile alle criccature
indotte dall’idrogeno rispetto ai depositi di palladio puro.
La composizione più utilizzata è la seguente:
Palladio come Pd(NH3)4Cl2
Ammonio cloruro
Nickel cloruro esaidrato
Ammonio idrossido
Temperatura
Densità di corrente
Anodi
Brillantanti
18-28 g/l
60 g/l
20-40g/l
fino a pH 7.5-9.0
< 25°C
0.1-2.5 A/dm2
Titanio platinato,grafite
Solfonati e Acetilenici
RUTENIATURA
Il Rutenio è un metallo molto duro ed è il meno caro dei metalli del gruppo del platino. Ha una
elevata temperatura di fusione. Il colore del deposito è più scuro rispetto al palladio e può essere
ulteriormente inscurito con aggiunta di sostanze organiche tipo fenolo o piridina fino ad assumere
un colore canna di fucile.
Una formulazione molto usata è la seguente:
Rutenio solfammato o nitrosil solfammato
Acido solfammico
PH
Temperatura
Densità di corrente
Rendimento di corrente
5 g/l
8 g/l
1-2
60-65 °C
1-3 A/dm2
10-20 %
A causa dell’ acidità del sistema è conveniente far precedere questo deposito da una predoratura o
da un flash di palladio.

Determinazione dei metalli preziosi nelle soluzioni galvaniche
L’analisi ponderale, iodometrica o complessometrica viene utilizzata in genere per i metalli
comuni nei bagni dove la concentrazione è elevata. Quando questi sono presenti in
quantità limitata, come accadde per i metalli preziosi, è ormai d’uso comune l’utilizzo del
metodo spettrofotometrico ad assorbimento atomico o al plasma.
In questi casi una piccola aliquota di bagno (1-2 cc) viene diluita fino ad ottenere una
soluzione di concentrazione compresa in genere fra i 2 e 50 ppm.

Strumentazione per l’analisi spettrofotometrica ad assorbimento atomico
Lo schema generale di uno spettrofotometro di assorbimento atomico è illustrato in figura.
+
Esso è costituito da una sorgente luminosa che emette radiazioni pressoché
monocromatiche caratteristiche dell’elemento che interessa.
Il campione viene portato allo stato atomico mediante una fiamma aria – acetilene. La
soluzione viene prelevata dal contenitore mediante un tubicino che la invia nebulizzata con
aria e acetilene alla fiamma. Qui si formano gli atomi, che assorbono la luce proveniente
dalla sorgente.
Il segnale in uscita dalla fiamma passa attraverso un monocromatore che si incarica di
eliminare le radiazioni che non interessano. Infine la radiazione monocromatica passa al
rivelatore (di solito un tubo fotomoltiplicatore) che produce una corrente proporzionale
all’intensità del raggio.
La corrente viene trasformata in tensione e amplificata. Il segnale ottenuto viene poi
espresso sotto forma numerica in un display e rappresenta la concentrazione del metallo
della soluzione precedentemente diluita.
BIBLIOGRAFIA:

Cromium Plating - Weiner,Walmfley

Modern Analisis for electroplating - Wild

Trattato di galvanotecnica - E. Bertorelle - Hoeply

Metal finishing guidebook and directory issue - Metal Finishing U.S.A.

Analisi chimica strumentale e tecnica
- Finishing Publication
-
- Finishing Publication
Amandola & Terreni - Masson