Programma - Società del Quartetto di Milano

Stagione
2012-2013
Martedì 20 novembre 2012, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
I Musici
Vivaldi
Concerto ripieno in la maggiore RV 158 per archi e b. c.
Giordani
Concerto in do maggiore per cembalo e archi
Vivaldi
Concerto in sol maggiore RV 151 “alla Rustica” per archi e b. c.
Concerto in sol maggiore RV 413 per violoncello e archi
Geminiani
Concerto Grosso in re minore n. 12 “La Follia”
Vivaldi
“Le Quattro Stagioni” da “Il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione” op. VIII
4
Consiglieri di turno
Direttore Artistico
Paolo Arcà
Salvatore Carrubba
Alberto Conti
Sponsor istituzionali
Con il contributo di
per i 150 anni del Quartetto
Con il patrocinio di
Sponsor ciclo Beethoven
Soggetto di rilevanza
regionale
È vietato, senza il consenso dell’artista, fare fotografie e registrazioni, audio o video,
anche con il cellulare.
Iniziato il concerto, si può entrare in sala solo alla fine di ogni composizione.
Si raccomanda di:
• disattivare le suonerie dei telefoni e ogni altro apparecchio con dispositivi acustici;
• evitare colpi di tosse e fruscii del programma;
• non lasciare la sala fino al congedo dell’artista.
Il programma è pubblicato sul nostro sito web dal venerdì
precedente il concerto.
Antonio Vivaldi
(Venezia 1678 - Vienna 1741)
Concerto ripieno in la maggiore RV 158 per archi e b. c. (ca. 7,5’)
I. Allegro molto II. Andante molto III. Allegro
Tommaso Giordani
(Napoli 1730 ca. - Dublino 1806)
Concerto in do maggiore per cembalo e archi (ca. 15’)
I. Allegro II. Larghetto III. Allegro spiritoso
Solista: Francesco Buccarella
Antonio Vivaldi
(Napoli 1730 ca. - Dublino 1806)
Concerto in sol maggiore RV 151 “alla Rustica” per archi e b. c. (ca. 4’)
I. Allegro II. Adagio III. Presto
Concerto in sol maggiore RV 413 per violoncello e archi (ca. 10,5’)
I. Allegro II. Largo III. Allegro
Solista: Pietro Bosna
Francesco Geminiani
(Lucca 1687 – Dublino 1762)
Concerto Grosso in re minore n. 12 “La Follia” (ca. 11,5’)
Anno di pubblicazione: 1729
Intervallo
Antonio Vivaldi
da “Il Cimento dell’Armonia e dell’Invenzione” op. VIII (ca. 40’)
Concerto I “La Primavera”
I. Allegro II. Largo III. Danza pastorale
Concerto II “L’Estate”
I. Allegro non molto II. Adagio III. Presto
Concerto III “L’Autunno”
I. Allegro II. Adagio molto III. La Caccia
Concerto IV “L’Inverno”
I. Allegro non molto II. Largo III. Allegro
Anno di composizione: 1720 ca.
Anno di pubblicazione: Amsterdam, 1725
Solista: Antonello Anselmi
Basta gettare uno sguardo sulle biografie degli autori in programma per accorgersi che tutti e tre i musicisti sono andati a morire in luoghi molto lontani dalle
loro città e più in generale dai loro Paesi. In particolare, colpisce la coincidenza
che due musicisti allora di primo piano come il lucchese Francesco Geminiani e
il napoletano Tommaso Giordani abbiano speso gli ultimi anni di vita in una città
apparentemente periferica come Dublino, ma in realtà nel Settecento seconda
solo a Londra nell’Impero britannico. Questa singolare concomitanza rivela da
una parte la diffusione della musica italiana in Europa fino ai primi decenni
dell’Ottocento e dall’altra mette in luce il trattamento di favore riservato agli
artisti italiani nel mondo britannico. Giordani infatti era figlio del cantante e
impresario teatrale Giuseppe Giordani, che verso la metà del Settecento aveva
lasciato Napoli con una piccola compagnia a conduzione familiare per cercare
fortuna fuori dai confini del Regno. Dopo aver girovagato per qualche anno in
varie città del continente, la famiglia Giordani trovò condizioni migliori nei teatri inglesi, soprattutto nelle due città principali dell’Impero, Londra e Dublino.
Il giovane Tommaso cominciò a emergere negli anni Sessanta proprio a Dublino
non solo con alcuni lavori teatrali di successo, ma anche per la produzione di
musica strumentale. Molta musica da camera, scritta nello stile galante allora
in voga a Londra grazie alla figura di Johann Christian Bach, ma anche lavori
per organici di maggior respiro, come i Concerti per cembalo. Il Concerto in do
maggiore, riscoperto e pubblicato in edizione moderna dal pianista Riccardo
Castagnone nel 1962, rimane forse il lavoro più eseguito dell’ampia produzione
di Giordani, che altrimenti sarebbe noto solo per la popolare canzone Caro il
mio ben. La tastiera del resto era lo strumento del Giordani, che ha contribuito
in maniera rilevante a conferire al cembalo una posizione predominante nel
consumo musicale domestico. L’attività dei Giordani era divisa tra Dublino e
Londra, dove per esempio troviamo nel 1764 un rappresentante della famiglia,
probabilmente il padre Giuseppe, al capezzale di Leopold ammalato («ma il
vecchio e onorato Giordani, che durante il periodo della mia malattia era sempre venuto a trovarmi 2 volte al giorno, mi fece alzare e camminare avanti e
indietro per la stanza; mi fece mangiare la minestra, stando seduto per un po’
in poltrona») durante il soggiorno dei Mozart nella capitale inglese.
Cinquant’anni prima invece la piazza irlandese era stata una scelta di ripiego
per Geminiani. La città mostrava ancora i segni della dura repressione di
Cromwell per domare gli ultimi fuochi di ribellione della vecchia nobiltà gaelica.
Gli inglesi avevano deciso di trasformare il vecchio borgo medioevale in una
capitale moderna e uno dei progetti per la rinascita culturale della città mirava
a insediare alla testa della cappella musicale di corte il famoso violinista italiano, allievo del leggendario Corelli. Ma il cattolico Geminiani nel 1728 proprio
non se la sentiva di accettare un incarico della corte protestante inglese in una
città ancora ferita dalla dure rappresaglie contro i giacobiti, i cattolici irlandesi.
E inoltre pensava di avere ancora delle buone carte da giocare a Londra.
Geminiani era trattenuto nella capitale anche dalla divorante passione per la
pittura, che alla fine lo avrebbe portato a conoscere le delizie della famigerata
Marshalsea, la prigione in cui venivano rinchiusi oppositori politici e soprattutto debitori insolventi. Il violinista fu tirato fuori di galera dal suo principale
protettore, il conte di Essex, ma dovette defilarsi e trovare rifugio a Dublino.
Senza ripercorrere l’intera vicenda di Geminiani, sarà sufficiente ricordare che
una delle sue prime musiche pubblicate in Inghilterra fu la trascrizione per
orchestra dell’op. V di Arcangelo Corelli. Il lavoro di Geminiani, che aveva trasformato le dodici sonate per violino e basso continuo in altrettanti concerti
grossi, non era solo l’omaggio di un allievo al maestro, ma anche un eccellente
biglietto da visita per il pubblico inglese, che conosceva già la musica di Corelli
grazie alle innumerevoli copie manoscritte circolanti in tutta Europa. L’ultima
Sonata dell’op. V, pubblicata da Corelli nel 1700, rappresenta una delle prime e
monumentali forme di variazioni della letteratura musicale. Il tema era un’antica melodia di origine portoghese, la Follia, sviluppata su uno schema armonico
di otto misure che si presta in maniera perfetta alla ripetizione circolare. Su
questa struttura, Corelli e poi Geminiani hanno costruito una piramide di difficoltà tecniche via via crescenti, creando il primo elogio al virtuosismo della
musica occidentale.
La storia di Vivaldi è ancora diversa, perché la decisione di lasciare Venezia
venne presa come ultimo e patetico tentativo di recuperare un successo che
sembrava ormai avergli voltato le spalle. Venezia nel primo Settecento, con i
suoi teatri pubblici e la moltitudine di musicisti attivi nelle chiese e negli
Ospedali, era una delle capitali europee dello spettacolo e dell’editoria musicale.
Vivaldi era riuscito ad affermare non solo uno stile nuovo nella scrittura violinistica e più in generale solistica, ma aveva anche creato un vero e proprio marchio commerciale con la sua copiosa produzione, richiesta da committenti di
altissimo lignaggio, come l’imperatore Carlo VI, che aveva manifestato verso il
musicista veneziano segni di una benevolenza fuori dal comune. In una lettera
del 1737 Vivaldi poteva vantarsi “di carteggiare con nove Principi d’Altezza, e
girano le mie lettere per tutta l’Europa”. Fu proprio la speranza di ottenere
dall’Imperatore qualche beneficio importante a spingere fino a Vienna Vivaldi,
ormai non più giovane e interiormente incrinato. La scelta dei tempi non poteva
essere peggiore, perché nell’ottobre del 1740, proprio dopo l’arrivo di Vivaldi,
Carlo VI moriva e aveva inizio la catastrofica Guerra di successione austriaca.
In una Vienna impaurita e a lutto, quasi priva di ogni forma di vita artistica
dopo la fuga della famiglia imperiale, il grande e orgoglioso Vivaldi spirò dopo
nemmeno un anno in povertà e solitudine.
Per motivi diversi, il grande secolo della musica strumentale italiana cadde ben
presto nell’oblio e i suoi protagonisti vennero quasi del tutto dimenticati. Il
Romanticismo aveva steso una coltre sulle eleganti geometrie della musica
barocca, privilegiando le grandi forme narrative dell’orchestra e del teatro
musicale. Solo agli inizi del Novecento i musicisti e gli studiosi della cosiddetta
generazione dell’Ottanta tornarono a osservare quel patrimonio musicale, in
reazione al pesante linguaggio dell’Ottocento. In questo quadro il fenomeno
senza dubbio più rilevante è la Vivaldi renaissance cominciata negli anni
Trenta, grazie alla fantasia visionaria di un poeta geniale come Ezra Pound e
alla più pratica intelligenza musicale di un artista sensibile e generoso come
Alfredo Casella. La prima Settimana musicale senese, il festival creato alla
Chigiana da Casella nel 1939, fu dedicata a Vivaldi, allora in pratica uno sconosciuto, destando un interesse strepitoso dapprima per la musica del Prete
Rosso e poi via via per quella di tanti altri musicisti minori del Settecento italiano. La fondazione di un ensemble strumentale come I Musici di Roma rappresenta uno dei frutti migliori della prima stagione di rinascita dell’antica
musica italiana. Nella formazione iniziale figuravano musicisti come Felix Ayo,
Roberto Michelucci, Dino Asciolla, Maria Teresa Garatti, artisti che hanno non
solo riportato in vita una quantità di capolavori sconosciuti, ma anche reinventato una scuola tecnica e uno stile d’interpretazione per una musica di cui s’era
completamente persa la tradizione esecutiva. Per festeggiare i 60 anni di vita
dell’ensemble, gli attuali Musici riprendono alcuni dei lavori che hanno dato
lustro internazionale alla formazione originaria.
Nella sterminato catalogo vivaldiano si trovano circa quaranta lavori per orchestra d’archi senza solisti denominati Concerti o Sinfonie, molti dei quali conservati solo in manoscritto. La distinzione tra i due generi rimane assai vaga, tanto
che Vivaldi a volte usa espressioni come Sinfonia/Concerto, Concerto o Sinfonia,
Concerto ripieno. In linea generale il Concerto ripieno mostra un tono stilistico
più alto, mentre la Sinfonia sembra più vicina al mondo del teatro. L’epoca di
questi lavori è quasi sempre incerta. Il Concerto ripieno in la maggiore RV 158,
per le caratteristiche grafiche della scrittura, sembra collocabile nella seconda
metà degli anni Venti. La rinuncia alle attrazioni spettacolari del virtuosismo
dei singoli strumenti conferisce un maggior spessore al lavoro compositivo, che
si concentra soprattutto nel movimento iniziale. La scrittura a quattro parti
viene esaltata da giochi di prospettive sonore e arricchita da un chiaroscuro
particolarmente espressivo nell’alternanza di armonie maggiori e minori. Il
movimento centrale, “Andante molto”, mostra un carattere più patetico che
riflessivo, mentre il finale ritorna alla luminosa tonalità di la maggiore con
l’energia tipica della musica strumentale di Vivaldi, non priva però di qualche
ombra drammatica gettata qua e là da passaggi nel modo minore.
Tra i lavori per archi merita un posto a sé il brevissimo Concerto alla rustica in
sol maggiore RV 151. In meno di quattro minuti di musica Vivaldi concentra
una sorta di scenetta di genere, nella quale si raffigura la parodia di un’orchestrina di campagna. Era un tipo di satira dell’ignoranza musicale in voga per
gran parte del Settecento, che trova la sua espressione più alta nel Musikalischer
Spaß di Mozart. Vivaldi è meno aggressivo di Mozart, si limita a dipingere con
simpatia un mondo musicale di sempliciotti lontani dalle raffinatezze armoniche, ritmiche ed espressive dei loro colleghi di città.
Il catalogo Ryom elenca anche 27 Concerti per violoncello. Sono decisamente
una minoranza rispetto a quelli per violino, ma rappresentano tuttavia il mag-
gior contributo al repertorio del violoncello nel primo Settecento. All’epoca di
Vivaldi il violoncello era uno strumento ancora nuovo e da poco emancipato
dalla schiavitù del basso continuo, grazie anche ad alcune innovazioni tecniche
come l’invenzione delle corde di budello rivestite d’argento. Il Concerto in sol
maggiore RV 413 sembra appartenere al gruppo di quelli scritti dagli anni Venti
in poi. Il lavoro manifesta un carattere sereno e pastorale, com’è nelle corde
della tonalità di sol maggiore. La scrittura piccante e arguta della parte solistica viene accompagnata quasi con una punta d’ironia dall’orchestra. Anche nel
passo solenne dell’introduzione del “Largo” sembra di avvertire una delicata
presa in giro della nobile eloquenza messa in vetrina dal violoncello solista.
Il Libro I della raccolta “Il Cimento dell’Armonia e dell’Inventione” op. VIII,
annunciata come di imminente pubblicazione sulla Gazzetta d’Amsterdam il 14
dicembre 1725 dall’editore Le Cène, si apre con quattro Concerti per violino
intitolati alle stagioni dell’anno: “La primavera”, “L’estate”, “L’autunno”,
“L’inverno”. Anche gli altri due Concerti del fascicolo recano un titolo, “La tempesta di mare” e “Il piacere”. Risulta chiaro dunque che la natura della nuova
raccolta di Vivaldi, studiata con cura a partire dagli anni attorno al 1720, consisteva nel tentativo di conferire alla musica strumentale e al linguaggio concertante un carattere narrativo e descrittivo. Per non lasciare alcun dubbio
sull’obiettivo del lavoro, le partiture delle Stagioni erano corredate da sonetti
esplicativi, con l’aggiunta di alcune lettere dell’alfabeto per mettere in grado il
lettore di ritrovare facilmente nella musica i passi corrispondenti del testo. La
qualità letteraria dei sonetti è piuttosto scadente e infarcita a volte di termini
dialettali, come mossone o giaccio, ma l’idea del programma deriva dalla grande
poesia italiana ed europea del Seicento. Il tema allegorico delle stagioni era
passato infatti, a cavallo del secolo, in molte forme d’espressione artistica e
teatrale, trovando poi nel Settecento una grande fortuna anche nella letteratura musicale. Le Stagioni non sono certo il solo esempio di musica a programma
nella produzione di Vivaldi, ma costituiscono di gran lunga il tentativo più organico di esplorare il fenomeno rappresentativo nel linguaggio musicale. L’affresco
filosofico e spirituale dipinto da Vivaldi restituisce l’immagine di un mondo
perennemente in bilico tra il Bene e il Male, raffigurato nelle molteplici avversità procurate all’uomo dalla Natura. Ma le due stagioni “negative”, “Estate” e
“Inverno”, non sono tuttavia del tutto matrigne, come rivela il verso conclusivo
del ciclo: “quest’ è il verno, ma tal che gioja apporte”. Viceversa la “Primavera”
e l’“Autunno”, stagioni che pure celebrano la dolcezza del vivere e l’operosità
dell’uomo, non sono a loro volta prive di ombre, come rivelano i “tuoni” che
zittiscono “gl’augelletti” o la sanguinosa caccia alla belva “sbigottita e lassa”. La
struttura musicale è conforme alla simmetria poetica dei sonetti, con i due
Concerti “positivi” in tonalità maggiore (MI e FA) e i due “negativi” in minore
(sol e fa). L’articolazione formale dei Concerti segue il modello messo a punto da
Vivaldi, che riesce a far quadrare la struttura tripartita della musica con lo
schema bipartito del sonetto (due quartine + due terzine) variando la distribuzione della materia poetica. In linea generale, nel primo movimento si concentra
la maggior quantità d’immagini, mentre i tempi lenti hanno un carattere più
introspettivo che narrativo. I Finali invece possono mettere in luce una logica
del tutto musicale, come nel caso della “Primavera” e dell’“Estate”, oppure
articolare il linguaggio in forma più descrittiva, come accade nell’“Allegro”
dell’“Autunno” e dell’“Inverno”. Quest’ultimo anzi è uno dei movimenti più complessi del ciclo, con una carica di espressione gestuale del violino solista senza
molti precedenti. La lotta finale tra “tutti i venti in guerra” suggella in maniera
pessimistica il grandioso affresco allegorico-musicale immaginato da Vivaldi,
che fino all’ultima battuta inchioda il Concerto alla livida tonalità di fa minore,
togliendo al violino solista, ormai del tutto riassorbito nell’orchestra, qualunque
barlume di eroismo.
Oreste Bossini
La Primavera
Giunt’ è la Primavera e festosetti
La salutan gl’augei con lieto canto,
E i fonti allo spirar de’ zeffiretti
Con dolce mormorio scorrono intanto:
Vengon’ coprendo l’aer di nero amanto
E lampi, e tuoni ad annuntiarla eletti
Indi tacendo questi, gl’augelletti;
di nuovo al lor canoro incanto:
E quindi sul fiorito ameno prato
Al caro mormorio di fronde e piante
Dorme ‘l caprar col fido can’ à lato.
Di pastoral zampogna al suon festante
Danzan Ninfe e Pastor nel tetto amato
Di primavera all’apparir brillante.
L’Estate
Sotto dura stagion dal sole accesa
Langue l’huom, langue ‘l gregge, ed arde ‘l pino,
Scioglie il cucco la voce, e tosto intesa
Canta la tortorella e ‘l gardelino.
Zeffiro dolce spira, ma contesa
Muove Borea improviso al suo vicino;
E piange il Pastorel, perché sospesa
Teme fiera borasca, e ‘l suo destino;
Toglie alle membra lasse il suo riposo
Il timore de’ lampi, e tuoni fieri
E de mosche, e mossoni il stuol furioso!
Ah che pur troppo i suo timor sono veri
Tuona e fulmina il cielo grandinoso
Tronca il capo alle spiche e a’ grani alteri.
L’Autunno
Celebra il vilanel con balli e canti
Del felice raccolto il bel piacere
E del liquor di Bacco accesi tanti
Finiscono col sonno il lor godere.
Fa’ ch’ ogn’ uno tralasci e balli e canti
L’aria che temperata dà piacere,
E la staggion ch’ invita tanti e tanti
D’un dolcissimo sonno al bel godere.
I cacciator alla nov’alba à caccia
Con corni, schioppi, e cani escono fuore.
Fugge la belva, e seguono la traccia;
Già sbigottita, e lassa al gran rumore
De’ schioppi e cani, ferita minaccia
Languida di fuggir, ma oppressa muore.
L’Inverno
Agghiacciato tremar tra nevi algenti
Al severo spirar d’orrido vento,
Correr battendo i piedi ogni momento;
E pel soverchio gel batter i denti;
Passar al foco i dì quieti e contenti
Mentre la pioggia fuor bagna ben cento.
Caminar sopra il giaccio, e a passo lento
Per timor di cader girsene intenti;
Gir forte sdruzziolar, cader a terra
Di nuovo irsopra ‘l giaccio e correr forte
Sin ch’ il giaccio si rompe, e si disserra;
Sentir uscir dalle ferrate porte
Sirocco, Borea, e tutti i venti in guerra
Quest’ è ‘l verno, ma tal, che gioja apporte.
I Musici con i loro strumenti
La vicenda de I Musici è straordinaria e irripetibile. Nati nel 1952, sono il
più antico gruppo da camera in attività, hanno aperto la strada nel mondo
intero alla musica italiana del settecento, a Vivaldi, alle Quattro Stagioni,
hanno inciso per la prima volta in assoluto il capolavoro vivaldiano facendolo
diventare uno dei brani più famosi della storia della musica.
Hanno registrato il primo cd di musica classica per la Philips, hanno girato
il primo film-video musicale classico negli anni ’70, hanno portato il nome
dell’Italia e la musica italiana nel mondo, spaziando con il loro repertorio dal
Settecento alla contemporanea, essendo anche dedicatari di composizioni da
parte di autori quali N. Rota, E. Porrino, V. Bucchi, L. Bacalov, E. Morricone
e numerosi altri.
I Musici svolgono una significativa attività concertistica in sale da concerto
e nei teatri più prestigiosi quali il Festival Internazionale “G. Enescu” di
Bucarest, il Teatro Colon di Buenos Aires, la Carnegie Hall e il Lincoln Center
di New York, lo “Spring Festival” di Budapest, la Sunthory Hall e la Opera
City di Tokyo, il Musikverein di Vienna, la Philharmonie di Berlino, il Palau
de la Musica di Barcellona, l’Arts Center di Seoul, la Boston Simphony Hall,
la Shanghai Concert Hall, il Parco della Musica di Roma.
Hanno inciso per molti anni in esclusiva per Philips; la loro produzione
discografica, una vera miniera di opere di autori del ‘700, ‘800 e ‘900, è stata
ripetutamente premiata da giurie specializzate: Grand Prix de l’Académie
Charles Cros, Grand Prix International du Disque, Edison Award, Deutscher
Schallplattenpreis, Grand Prix des Discophiles. Recentemente hanno inciso
per Sony Classics, Fonè, Epic e Arcadia.
Nel 2012 I Musici festeggiano il 60° anniversario del loro debutto.
Sono stati ospiti della nostra Società nel 1953, 1957, 1958 (2 volte), 1961, 1962,
1966 e 1978.
Violini:
Antonio Anselmi (N. Amati, 1676 Cremona), Marco Serino (N. Amati, 1661
Cremona), Ettore Pellegrino (G. Cappa, 1691 Saluzzo), Pasquale Pellegrino
(V. Postiglione, 1880 Napoli), Claudio Buccarella (G.B. Ceruti, 1796 Cremona),
Gianluca Apostoli (G. Pressenda, 1821 Torino)
Viole:
Massimo Paris (P. Guarneri, 1697 Mantova)
Silvio Di Rocco (Blaurock-Da Salò, 1600 Brescia)
Violoncelli:
Vito Paternoster (L. Carcassi, 1780 Firenze)
Pietro Bosna (L. Storioni, 1791 Cremona, concessione del M° P. Lacchio)
Contrabbasso:
Roberto Gambioli (C. Farotto, 1935 Milano)
Cembalo:
Francesco Buccarella (Keith Hill, copia P. Taskin, Francia 2004)
Prossimo concerto:
Martedì 27 novembre 2012, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Trio di Parma
Il Trio di Parma completa in questa stagione il ciclo dedicato ai lavori di Dvořák.
L’integrale termina con l’esecuzione del Trio n. 2 in sol minore e del n. 3 in fa
minore, scritti rispettivamente nel 1876 e nel 1883. Sono gli anni in cui Dvořák
forgia uno stile personale e riesce finalmente a emanciparsi dal provincialismo
dell’ambiente di Praga. Nella musica da camera, in particolare, l’inesauribile vena
melodica dell’autore boemo conferisce ai suoi lavori un carattere e una forza
espressiva che furono ben presto riconosciuti a livello internazionale. Entrambi i
Trii furono scritti sotto l’impressione di un grave lutto. Nel 1876 infatti Dvořák
aveva perso la prima figlia, vissuta per soli due giorni, mentre all’epoca del Trio in
fa minore doveva piangere l’amatissima madre. Quest’ultimo rimane uno dei
capolavori della letteratura cameristica per qualità di scrittura, intensità di espressione e personalità stilistica.
Società del Quartetto di Milano - via Durini 24 - 20122 Milano - tel. 02.795.393
www.quartettomilano.it - e-mail: [email protected]