prefazione
valori di cartone
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PREFAZIONE
Aldo Grasso
la tv dei ragazzi non è morta. anzi, è la più grande novità offerta dalla tv digitale. La nostalgia per quella tv spesso è nostalgia per
quando eravamo ragazzi: Zurlì, mago del giovedì, Chissà chi lo sa?, Giovanna la nonna del corsaro nero, Giocagiò, I ragazzi di padre Tobia, Il
Dirodorlando, Giramondo, Scaramacai, Topo Gigio… Ma anche, per
quel che riguarda gli anni Settanta e Ottanta, Atlas Ufo Robot, Tandem,
Bim Bum Bam. E poi il prezioso investimento pedagogico dell’Albero
azzurro, della Melevisione e di Trebisonda. È anche vero che la tv delle
origini aveva un’ideologia (ambiva essere una specie di seconda scuola)
che si traduceva molte volte in programmi. Ma anche cinquant’anni fa
molti maestri e sociologi temevano che i bambini non leggessero più,
avvinti perdutamente dal nuovo incantesimo.
La vera rivoluzione della nostra tv è iniziata, e in parte si è compiuta,
con la tv per ragazzi (non “dei ragazzi”, ma “per i ragazzi”), prima
che su altri generi: è il settore di mercato più innovativo e dinamico.
Esiliata dai palinsesti della tv generalista, ha trovato rifugio e terreno
fertile sul digitale satellitare e terrestre. Persino il Servizio pubblico
investe principalmente sul digitale, a dimostrazione che oggi è ancora
possibile conciliare mercato ed educazione, investimenti tecnologici e
intenti pedagogici. Edutainment è la parola d’ordine: educare e intrattenere, guidare il bambino e stimolarlo con molte attività, svilupparne
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la fantasia e aumentarne le capacità relazionali.
Negli Stati Uniti, ma ormai anche in Italia, Disney Channel ha creato dei teen cult, veri e propri fenomeni di culto giovanile, studiati
nelle Università: High School Musical, Hannah Montana, Camp Rock
(considerato un musical generazionale, La febbre del sabato sera degli
adolescenti). Di riflesso, si sta generando in tutto il mondo un curioso
fenomeno di import-export dei modelli di tv per ragazzi. All’inizio si
pensava che le major riuscissero a imporre i loro modelli (d’educazione)
in tutto il mondo (ennesimo caso di colonizzazione culturale, ancora
più delicata perché rivolta ai più giovani), ma in realtà l’aspetto più
interessante è quello della “localizzazione”, dove non sfigura nemmeno
il made in Italy, come dimostra l’esempio di Quelli dell’ intervallo, prodotto nostrano divenuto format internazionale per Disney.
All’interno della tv dei ragazzi, occupano uno spazio particolare i
cartoni animati (animated cartoon). L’animazione è ancora un fenomeno misconosciuto. Anche se prodotti per adulti esistono e sono molto diffusi, soprattutto in Occidente (complice il modello disneyano)
l’animazione è ancora considerata il genere principe per i bambini. E
questo ha spesso recato pregiudizio alla sua reputazione. II cartoon viene svilito, inteso come prodotto “per bambini” nel senso più riduttivo
del termine. Queste osservazioni valgono anche per l’animazione televisiva, che soffre però di un ulteriore handicap perché rappresenta, in
un certo senso, un ghetto nel ghetto: è accusata di lasciare ben poca
libertà agli artisti; è considerata, non sempre a torto a dir la verità, di
basso livello qualitativo.
Senza contare che l’animazione televisiva deve anche superare un altro ostacolo: il pregiudizio verso quella particolare fetta di produzione
proveniente dal Giappone. Il mondo degli anime è vastissimo: non solo
perché i generi sono tantissimi, ma anche perché ogni prodotto è realizzato per un preciso target di telespettatori. Quando arrivano in Italia
a fine anni Settanta, nessuno tiene conto di tale varietà, e gli anime
vengono accusati di essere inadatti a un pubblico infantile perché diseducativi. Eppure anche il campo dell’animazione televisiva non è privo
di prodotti di buon livello, e anzi rappresenta oggi uno dei mercati più
innovativi, sulla scia del rinnovamento imposto dai Simpson. E sebbene
oggi subisca la concorrenza delle produzioni dal vero, il cartone animato rimane un cardine della tv per ragazzi.
Il lavoro dell’Osservatorio di Pavia appare quindi doppiamente interessante. Perché si dedica alla tv per ragazzi, settore innovativo, e ai
cartoni animati, genere innovativo. La ricerca combina approcci metodologici quantitativi e qualitativi, cercando di mappare il “cosa” senza
dimenticare il “come”: tenta una ricostruzione dei valori presenti nei
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cartoni animati senza dimenticare categorie interpretative più complesse, capaci di trascendere la singola occorrenza.
Ecco allora che, al di là dei soliti pregiudizi e delle paure dei grandi,
l’animazione per i più piccoli si caratterizza per un’elevata densità valoriale. L’amicizia è al primo posto, e con essa la dimensione del gruppo
e della cooperazione. Ma anche l’individuo, con il suo percorso di crescita e perfezionamento, è altrettanto importante. In un quadro equilibrato, dove, pur nella loro diversità, si inseriscono anche i vituperati
cartoni giapponesi.
L’analisi qualitativa permette inoltre di approfondire alcune importanti dinamiche.
Prima fra tutte quella della trasformazione. I cartoni animati permettono metamorfosi fantasiose negate ad altri generi, ma al tempo
stesso il tema del cambiamento è insito nel percorso di ogni personaggio. La trasformazione diventa allora un modo per rendere concreto
il passaggio all’età adulta, la ricerca di una propria identità. Il mondo
dei cartoni animati, inoltre, non appare come sregolato, ma anzi come
un mondo che al suo interno pone dei limiti. L’azione dei protagonisti
avviene all’interno di un contesto disciplinato, e anche questo è un
valore. Come lo è l’idea di regola “da sfidare”, in una sana dialettica fra
mondo infantile e adulto.
La ricerca si concentra poi su una particolare figura ricorrente, quella
del bullo. Il bullismo a scuola è un male sociale piuttosto diffuso. A
scuola come nella vita. Basta rileggere la famosa pagina di Cuore di
Edmondo De Amicis dedicata a Franti. La definizione di bullismo si
richiama all’inglese bullying, indicando la messa in atto di una serie di
episodi di reiterata, squilibrata e intenzionale prevaricazione a danno
di coetanei che si sviluppano in ambiente scolastico tra soggetti di età
compresa tra i 6 e i 19 anni, per la maggior parte in contesti di gruppo
o di branco: mobbing in età evolutiva. Forte con i deboli, irrispettoso
dell’autorità scolastica, Franti incarna anche fisicamente (fronte bassa,
occhi torbidi), anzi fisiognomicamente, il modello del prevaricatore.
La sua dettagliata descrizione in un romanzo di metà Ottocento ne fa
una significativa immagine di proto-bullo, rassicurandoci sul fatto che
l’emergenza educativa e i numerosi episodi di bullismo giovanile che
in questi mesi hanno catturato l’interesse dei talk televisivi e occupato
le pagine dei quotidiani non rappresentano una prerogativa esclusiva
delle giovani generazioni d’oggi. Vi è però un fatto nuovo: la crescente
mediatizzazione della sfera pubblica e della società ha reso inevitabile
l’estendersi del fenomeno bullismo anche al campo dei media, sempre
più presenti nella vita dei più giovani. Il bullismo si è dunque adeguato
ai nuovi media, alla crescente disponibilità di tecnologia digitale ad
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ampia accessibilità, che permette facilmente di produrre filmati con un
oggetto di consumo di massa come il telefonino e di metterli in rete su
siti come YouTube e MySpace. Diventa interessante chiedersi come si
comporta un medium tradizionale come la tv nel mettere in scena tale
fenomeno. Ebbene, la ricerca dell’Osservatorio di Pavia fa anche questo, tracciando quattro modelli di bulli “di cartone”, ognuno dei quali
sfata il mito secondo il quale la tv si limiterebbe a fornire paradigmi
emulativi pericolosi.
Alla fine della lettura, è il gioco che conta. I ricercatori hanno ripreso le famose distinzioni di gioco di Roger Caillois, e le hanno applicate per spiegare la distribuzione dei valori su due assi-fattori, quello
dell’Impegno-Disimpegno e quello del Competitivo-Non competitivo. L’interessante è che il gioco, in tutte le sue varianti, diventa così una
potente metafora per spiegare il mondo “altro” dei cartoni animati:
un “come se”, un mondo reale eppure sospeso nell’irrealtà, con le sue
trasgressioni rispetto al quotidiano ma anche con le sue regole. Il gioco,
nelle sue declinazioni profonde, è il valore fondante dei cartoni animati. I cui protagonisti non sono campioni senza valore, né “di cartone”.
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