Il melodramma si fa preghiera
Il Miserere di Hasse
«Non lascerò però di scrivere in sino che Iddio mi darà vita; ma in stile
diverso, cioè in quello da camera, e molto più in quello da Chiesa, che forma
oggidì la maggior mia passione». Con queste parole nel 1768 Johann Adolf
Hasse annunciava all’ amico Gian Maria Ortes, poligrafo e “ dilettante” di
musica, l’ intenzione di abbandonare le scene teatrali, di cui era assoluto
protagonista, per concentrarsi prevalentemente sul repertorio di carattere
religioso.
Non si trattava certo di un nuovo orientamento, quanto piuttosto di una scelta
di campo con cui il compositore – nato a Bergedorf nel 1699 – decideva di
prolungare fino all’ anno della sua morte (Venezia, 1783) una lunga e
assidua frequentazione con tutte le forme e i generi riferiti al culto cattolico,
ai quali è dedicata una parte rilevante del suo catalogo, riconducibile a tre
Requiem, una decina di Messe, una dozzina di oratori, diverse serie di litanie
lauretane, una ventina di antifone mariane, un centinaio tra mottetti, salmi,
offertori e inni.
Hasse fu attivo nei principali centri del panorama culturale coevo, conteso da
principi, duchi, sovrani e dai maggiori teatri d’ Europa ma, come ha avuto
modo di affermare Raffaele Mellace nel suo illuminante volume monografico
dedicato alla figura del maestro sassone, «raramente nella storia della musica
è dato sperimentare un dislivello tanto sconcertante tra la stima attribuita a un
compositore dai contemporanei e l’ oblio pressoché totale nel quale il suo
nome precipita dopo la morte».
Oggi la sua statura stenta ancora a essere pienamente riconosciuta, nonostante
abbia ricoperto incarichi di assoluto prestigio come quelli di Kapellmeister a
Dresda al servizio del re di Polonia ed Elettore di Sassonia, di compositore
ufficiale presso la corte imperiale degli Asburgo a Vienna o di maestro del
coro presso l’ Ospedale degli Incurabili a Venezia.
Alla fortunata produzione per questa prestigiosa istituzione risale anche lo
splendido Miserere in do minore, concepito intorno al 1731 e più volte
sottoposto a revisione, con cambiamenti di organico vocale (con l’ impiego
di coro femminile o misto). Si tratta di una straordinaria pagina musicale,
celebrata ed eseguita durante tutta la vita dell’ autore; la sua grandiosa
struttura formale si articola in diversi pannelli, organizzati in una serie di sei
sezioni contrastanti.
La versione originaria propone sostanzialmente tre blocchi omogenei, con il
coro d’ apertura (“ Miserere mei, Deus” ) e la prima aria (“ Tibi soli
peccavi” ) che introducono l’ ascoltatore nel clima penitenziale della
composizione; l’ ampia area centrale viene aperta da un complesso
movimento corale (“ Ecce enim” ), prosegue con uno ispirato duetto
(“ Libera me” ) e viene suggellata dalla magnifica aria del soprano
(“ Quoniam si voluisses” ), prima che in chiusura il coro venga nuovamente
chiamato a ripristinare il clima meditativo che apre l’ opera (“ Benigne
fac” ); all’ insegna della miglior tradizione hassiana della grande musica per
il melodramma.
Andrea Milanesi
(articolo tratto da www.luoghidellinfinito.it)
(video tratto dal canale Youtube Cantate Domino)
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