MODULO 7 “Aspetti tipologici della lingua italiana” referente scientifico prof. Immacolata Tempesta, Università di Lecce Autori: Immacolata Tempesta (prof. straordinario di Linguistica italiana, Facoltà di Lingue e Letterature straniere) Salvatore De Masi (prof. di Linguistica generale, Facoltà di Lettere) Il modulo è stato progettato e discusso da entrambi gli autori. La redazione dei §§ 7.1., 7.3., 7.7.2. è di Salvatore De Masi, quella dei §§ 7.0, 7.2., 7.4., 7.5., 7.6, 7.7.1. è di Immacolata Tempesta. 1 Indice 7.0 PRESENTAZIONE DEL MODULO 7.1 PERCHÉ UNA CONOSCENZA TIPOLOGICA 7.2 LA STRUTTURA FONOLOGICA 7.2.1 I suoni. I fonemi. I grafemi 7.2.2 L'accento 7.2.3 La sillaba 7.2.4 Fenomeni fonologici 7.2.5 Note di varietà 7.3 ASPETTI SINTATTICI 7.3.1 La struttura della frase 7.3.2 I costituenti 7.3.3 Il soggetto 7.3.4 Formare le parole 7.4 IL VERBO 7.4.1 Il modo 7.4.2 Il tempo 7.4.3 L'aspetto 7.4.4 L'accordo verbale 7.5 LA COORDINAZIONE 7.6 LA SUBORDINAZIONE 7.6.1 La dipendente finale 7.7 FATTI DI PRAGMATICA 7.7.1 La deissi sociale 7.7.2 La topicalizzazione 7.8 GUIDA BIBLIOGRAFICA 2 7.0 PRESENTAZIONE DEL MODULO Nel modulo si presentano alcuni caratteri tipologici dell'italiano relativi, in particolare, alla fonologia, alla morfosintassi, alla formazione delle parole, alla pragmatica di cui si esaminano la deissi sociale, la focalizzazione e la topicalizzazione. Oltre ad alcune caratteristiche generali di queste parti della lingua italiana si esaminano le tendenze più significative, fenomeni linguistici recenti che evidenziano il carattere dinamico dei meccanismi strutturali dell'italiano. Lo studio delle categorie generali qui considerate può essere integrato da altri moduli quali Tipologia linguistica (Modulo 5) Aspetti tipologici della lingua italiana e implicazioni didattiche (Modulo 8) nel gruppo dei moduli di 80 ore, Lineamenti di grammatica (dal suono al significato); lessico (Modulo 1), Tipologia linguistica, riflessione sulle lingue in generale e in comparazione con le lingue di immigrazione (Modulo 4), Applicazioni didattiche della riflessione tipologica (Modulo 5) nel gruppo dei moduli di 120 ore. 3 7.1 PERCHÉ UNA CONOSCENZA TIPOLOGICA L'attuale riflessione tipologica sulla lingua nasce con la pubblicazione del saggio di J. H. Greenberg Some Universals of Grammar with Particular Reference to the Order of Meaningful Elements, avvenuta nel 1966. Essa è caratterizzata dalla ricerca di caratteristiche universali delle lingue umane (Universali linguistici) e dalla definizione di modelli secondo cui le diverse lingue differiscono fra loro (Modelli di variazione). In questo modulo troverai illustrati alcuni caratteri tipologici dell'italiano: un inquadramento generale che, segnalando le caratteristiche tipologiche più importanti, può favorire lo studio e la conoscenza della lingua. Come scrive Simone (1992) "la conoscenza tipologica di una lingua ha valore anche dal punto di vista pratico: gli errori che vengono fatti nell'apprendimento della lingua da parte di uno straniero tendono a concentrarsi particolarmente sugli aspetti più specifici di quella lingua. È come se l'apprendente urtasse più sulle strutture basilari della lingua che sta studiando che su quelle marginali" (p. 1). Gli aspetti tipologici relativi alla fonologia, alla morfosintassi, alla formazione delle parole, alla pragmatica trattati in questo modulo rappresentano alcuni dei tasselli generali principali per conoscere la nostra lingua. 4 7.2. LA STRUTTURA FONOLOGICA 7.2.1 I suoni. I fonemi. I grafemi Nella comunicazione parlata la trasmissione di un messaggio dall'emittente al ricevente avviene, com'è noto, attraverso il canale fonico-acustico, anche se possono intervenire contemporaneamente altri canali come quello gestuale, mimico, prossemico. La catena parlata è una catena costituita essenzialmente, ma non solo, di suoni 'fisici' che hanno un valore linguistico. La fonologia studia il valore linguistico dei suoni, la fonetica ne studia le caratteristiche fisiche. Le due scienze sono complementari poiché le unità fonologiche si basano sulle unità fonetiche. I suoni che l'uomo può produrre sono molto numerosi e formano un continuum in cui sarebbe difficile distinguere le unità tra di loro se non si individuassero delle invarianti fonologiche che ci permettono di organizzare e trasmettere il sistema fonologico di una lingua. Tra i vari suoni possibili troviamo, per ogni lingua, delle unità minime che, con la loro semplice sostituzione, servono a determinare delle differenze di significato. Queste unità vengono definite fonemi (si veda modulo 4.4) II Il meccanismo della fonazione non è uguale in tutte le lingue: in italiano la maggior parte dei suoni viene prodotta con l'espirazione, cioè emettendo aria dai polmoni. Solo in alcune interiezioni, di paura, di spavento, produciamo suoni inspirando aria. Alcune lingue africane vengono invece prodotte soprattutto con l'inspirazione. Quando nell'articolazione di un suono il flusso d'aria espirata dai polmoni incontra un ostacolo nella cavità orale otteniamo i fonemi consonantici, quando l'aria passa liberamente attraverso la cavità orale si hanno i fonemi vocalici. Le vocali sono prodotte con la vibrazione delle corde vocali. Possono classificarsi in base a diversi criteri: il punto di articolazione, la disposizione delle labbra, la durata, l'accento. In italiano abbiamo sette vocali, così rappresentate: III Le consonanti, definite ‘rumori’ a differenza delle vocali che sono ‘suoni musicali’, si classificano secondo il modo e il luogo di articolazione. Possono essere inoltre sorde quando vengono articolate senza la vibrazione delle corde vocali (t, p, k,ecc.) o sonore quando le corde intervengono nella produzione, semplici o brevi, doppie o lunghe. (si veda il modulo 4.4.). 5 Nell’inventario dei suoni dell’italiano troviamo anche dei foni intermedi tra vocali e consonanti detti semivocali o semiconsonanti a seconda della loro posizione nella catena fonica. Sono la [j] e la [w], presenti nei dittonghi e nei trittonghi. IV Alcuni foni sono realizzazioni diverse di uno stesso fonema, dette allòfoni. L'uso degli allòfoni può avere un carattere individuale, o regionale, o sociale, può dipendere dal contesto, come avviene per la realizzazione della nasale /n/ prima di un'altra consonante. Questa consonante presenta vari allofoni: per esempio viene pronunciata come [n] in posizione iniziale e intervocalica, come velare [ŋ] prima di una velare ['aŋgolo]. Nella lingua scritta i foni sono resi con le lettere dell'alfabeto, dette grafemi. Non c'è una corrispondenza biunivoca tra grafemi e fonemi, per alcune consonanti manca, per esempio, la distinzione tra sorda e sonora, e in alcuni casi un suono unico è rappresentato con più lettere. V 6 7.2.2 L'accento L'accento è uno dei tratti soprasegmentali della lingua, riguarda la durata e l'intensità della sillaba, può cadere solo su segmenti vocalici ed è mobile. Sul valore fonologico e la posizione dell'accento si veda (4.4.). VI 7 7.2.3 La sillaba La sillaba è un'unità composta da almeno una vocale, o da una consonante con una vocale -questa combinazione è la prevalente- o da due consonanti con una vocale. L'elemento fondamentale della sillaba è il nucleo, che può essere preceduto da un attacco e seguito da una coda. Quando la sillaba termina in vocale, è cioè priva di coda, si dice aperta o libera, quando finisce in consonante si dice chiusa o implicata. La struttura della sillaba varia da una lingua all'altra. In italiano, per esempio, sia l'attacco che la coda possono essere rappresentati solo da specifiche entità foniche, e la maggior parte delle parole ha la sillaba finale aperta, soprattutto alla fine della frase, prima di pausa. Nella scrittura la divisione in sillabe segue delle regole che non sempre coincidono con l'articolazione sillabica: così mi-ne-stra sta per mi-nes-tra, e in fi-glio la consonante lunga, poiché corrisponde ad un unico suono, non viene divisa. VII. 8 7.2.4 Fenomeni fonologici Nel momento in cui si concatenano sintagmaticamente fra di loro, i suoni possono subire delle modificazioni. Tra i diversi cambiamenti che possono riguardare l'italiano troviamo: – – – la cancellazione. È il fenomeno per cui un suono, in certi contesti, viene soppresso, ‘cancellato’; l'inserzione. È l'aggiunta di un segmento in determinati confini, come la -d di ed in "giovani ed anziani", o nella derivazione di alcune parole (comodino ← comò + ino); il rafforzamento. In una catena fonica, in alcune sequenze di due parole, la consonante iniziale della seconda parola può essere rafforzata, soprattutto nelle aree toscana e centromeridionale. Solo in alcuni casi, quando le due parole si sono fuse, la grafia segnala questo rafforzamento (affresco da a fresco, soprattutto da sopra tutto). VIII. 9 7.2.5 Note di varietà Il sistema fonologico dell'italiano contemporaneo, basato sul fiorentino trecentesco, oltre alle costanti, tipologicamente importanti, prima riportate, presenta altri, numerosi, caratteri che rinviano alle diverse varietà, stilistiche, areali, sociali, presenti nel repertorio contemporaneo dell'italiano. Per il vocalismo, segnaliamo, per esempio: l'epitesi di una vocale finale in parole che finiscono con consonante (bussu "bus", sportto "sport", barra "bar") e l'anaptissi, cioè l'inserzione di una vocale epentetica in nessi consonantici 'difficili' (diffiterite "difterite", malattia delle prime vie respiratorie), molto diffuse nell'Italia meridionale, l'evanescenza della vocale palatale media, atona, che porta ad uno spostamento centrale del suono con la realizzazione di un'indistinta, il cosiddetto schwa [∂], soprattutto nell'Italia centro-meridionale. In molte pronunce regionali, con l'esclusione della Toscana, dell'area romana e centromeridionale, il grado di apertura delle vocali toniche medie è spesso diverso da quello previsto nell'italiano standard, non essendoci opposizione tra medio-alte o semiaperte e medio-basse o semichiuse. IX - - Nel consonantismo è tipica di tutta l'Italia centro-meridionale una resa delle sorde con minore energia articolatoria. L'indebolimento riguarda anche i nessi di nasale+ occlusiva e nasale+fricativa. Sono note la difficoltà dei settentrionali a realizzare le doppie e la tendenza a sonorizzare le sorde intevocaliche /k/,/t/,/p/ (muratore murador). La sonorizzazione ricorre anche nell'area centro-meridionale dopo una -n- o una -m-: ad esempio momend∂ per "momento", tand∂ per "tanto", Sand∂ per "Santo", in gasa "in casa", temb∂ per "tempo. L'opposizione fonologica in posizione intervocalica delle fricative alveolari è viva solo in Toscana e non nelle altre varietà regionali. La fricativa intervocalica spesso al Nord è pronunciata come /z/. Nel caso della /s/ prima di /t/, soprattutto a Roma, si tende ad allungare la fricativa e ad assorbire la dentale (che strano! kes'srano). Nell'Italia meridionale è diffuso il raddoppiamento della sorda occlusiva bilabiale e dell' affricata postalveolare fra vocali e in fonosintassi (debbito, Luiggi) e la nasale /n/ in fine di parola cade, in questi casi, la consonante iniziale della parola che segue viene rafforzata (un certo u ccerto, non lo mangiò no llo mangiò). In molte zone, specie del Centro-Sud, la /λ/ è resa sistematicamente con [jj]; la /ts/ viene realizzata come sonora all'inizio di parola (zaino) e quando è intervocalica scempia (azoto), viene pronunciata come sorda se è intervocalica doppia (mezzo)). La fricativa palatale sonora /3/ è un allòfono dell'affricata palatale in posizione intervocalica nella varietà toscana, per esempio in "fagioli" [fa3oli]. 10 7.3 ASPETTI SINTATTICI I 7.3.1 La struttura della frase La sintassi studia i rapporti tra i costituenti della frase, ossia le relazioni d'ordine, l'accordo, le relazioni di selezione. La frase semplice è costituita dal verbo e dai suoi argomenti, ai quali si possono aggiungere altri elementi che specificano il contesto o le circostanze entro cui si colloca l'evento. Distinguiamo, perciò, gli elementi obbligatori o nucleari dai quali è costituita la frase minima, ossia il verbo ed i suoi argomenti, da quelli facoltativi o circostanziali. Si dice anche che gli elementi obbligatori saturano le valenze del verbo e sono i suoi complementi, mentre i circostanziali possono essere chiamati aggiunti. Nelle frasi successive, i costituenti sottolineati sono nucleari: Ieri Luisa è andata al cinema con Elisa Il mese scorso Elisa ha incontrato Giorgio a Lecce Come si vede lo status di nucleare non dipende dalla circostanza che il complemento sia diretto (Giorgio) oppure indiretto (al cinema). Agli argomenti del verbo vengono assegnate le funzioni sintattiche di Soggetto, Oggetto diretto e Oggetto indiretto. II Una delle caratteristiche sintattiche più appariscenti è l'ordine secondo cui gli elementi della frase si dispongono tra loro. Da questo punto di vista, l'italiano appartiene alle lingue di tipo SVO (Soggetto Verbo Oggetto). Non sempre l'appartenenza ad un tipo linguistico esclude la presenza di fenomeni ascrivibili teoricamente ad un tipo diverso. Sono possibili incoerenze (un esempio lo vedremo più avanti) ed è possibile anche che una lingua utilizzi risorse di altri livelli, come la maggiore articolazione della flessione verbale per consentire frasi con ordini di parole differenti da quello principale. Diremo, in questo caso, che esiste un ordine basico o non marcato e degli ordini derivati o marcati. Gli studi tipologici hanno mostrato, inoltre, che esiste una relazione tra diversi parametri relativi all'ordine delle parole. Oltre all'ordine dei costituenti, perciò, bisogna prendere in considerazione, per quanto riguarda la struttura interna del Sintagma Nominale, l'ordine relativo tra Nome e Aggettivo, tra Nome e frase Relativa, tra Nome e sintagma possessivo o Genitivo. Un ultimo parametro riguarda la presenza di preposizioni o posposizioni nella reggenza di oggetti indiretti. III L'italiano, come altre lingue romanze, presenta una grande libertà nella collocazione dei costituenti, anzi «La varietà delle manipolazioni ammissibili...è talmente ampia che si può dire costituisca la sua principale caratteristica sintattica.» (Simone 1993, p. 87) Le frasi successive, pertanto, sono tutte possibili. 1) SV 2) VS 3) SVO 4) SOV 5) OVS 6) OSV 7) VSO 8) VOS Luisa corre È partita Valentina L'orso insegue il cacciatore L'orso, il cacciatore, ha inseguito Il cacciatore, ha inseguito l'orso Il cacciatore, l'orso ha inseguito Ha mangiato Marco, la tua colazione Ha portato la torta, il mio amico 11 Esse, tuttavia, sono il risultato di trasformazioni a partire dai due ordini basici SV e SVO. IV Se prendiamo in considerazione tutti gli elementi nucleari e circostanziali, diremo che il loro ordine non marcato è dato da SVOIA. (I = Oggetto indiretto, A = Aggiunti ossia circostanziali di tempo,luogo ecc.) Le manipolazioni di cui abbiamo parlato si spiegano, nella prospettiva funzionalista, mediante le esigenze comunicative dipendenti da particolari situazioni e contesti studiate dalla pragmatica (7.5.). Rimandando ai punti successivi un esame più completo del problema, possiamo vedere subito che una frase come la (8) (Ha portato la torta, il mio amico), mentre risulterebbe anomala se pronunciata con intonazione normale in un contesto in cui si enuncia semplicemente un fatto, sarà perfettamente adeguata, se pronunciata con enfasi sulla parte sottolineata e tonia sospensiva in corrispondenza della virgola, in uno scambio conversazionale come A: Quell'avaro del tuo amico si è presentato a mani vuote B: Ha portato la torta, il mio amico V 12 7.3.2 I costituenti I costituenti principali della frase sono il Sintagma Verbale (SV), il Sintagma Nominale (SN), il Sintagma Aggettivale (SA) ed il Sintagma Preposizionale (SP). I sintagmi sono configurazioni sintattiche le quali, rispetto a certi fenomeni, si comportano come una unità; possono essere definiti in base alla loro distribuzione, ossia in base ai contesti nei quali è possibile che siano presenti. Diremo, perciò, che Carlo e il figlio del mio vecchio compagno di scuola sono lo stesso tipo di sintagma poiché possono occupare le stesse posizioni in strutture come: Ho visto X; X ha superato l'esame; ho scritto una lettera a X Un altro modo di definire i sintagmi consiste nel considerare le proprietà della loro testa, dell'elemento, cioè, che svolge il ruolo più importante all'interno del gruppo, per cui possiamo dire che il tutto si comporta sintatticamente come la testa. Così, diremo che l'espressione il figlio del mio vecchio compagno di scuola si comporta come il nome Carlo piuttosto che come il verbo superare. VI Il Sintagma Nominale ha come testa un Nome al quale possono essere aggiunti diversi altri elementi. Esso può essere soggetto della frase, complemento oggetto, complemento preposizionale o complemento predicativo. Relativamente ai parametri sull'ordine delle parole (7.3.1), le lingue appartenenti al tipo SVO hanno un ordine Testa+Modificatore e cioè l'aggettivo, la frase relativa e il sintagma genitivo seguono la testa nominale da essi modificata. L'italiano si comporta in maniera coerente per quanto riguarda le due sequenze Nome+Genitivo e Nome+Relativa (La casa di Francesca; La ragazza che è arrivata ieri), mentre consente sia l'ordine Nome+Aggettivo che quello Aggettivo+Nome. Come mostra Simone (1993), l'alternanza nella posizione segue la distinzione tra aggettivi qualificativi (appositivi) ed aggettivi restrittivi, per cui avremo: L'occupazione tedesca *La tedesca occupazione Un bel romanzo Un romanzo bello L'aggettivo tedesco, essendo intrinsecamente restrittivo, non ammette la posizione prenominale, mentre bello avrà interpretazione appositiva nel primo caso e restrittiva nel secondo, in opposizione ad un romanzo brutto. VII Quando il modificatore è un aggettivo possessivo, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe per il tipo linguistico SVO, l'ordine privilegiato dall'italiano, come dalle principali lingue europee, è quello Possessivo+Nome (Ramat 1993, p. 20). La struttura del SN è determinata, in larga parte, dal tipo di nome che ne costituisce la testa, cioè dalla sua struttura argomentale. Una distinzione importante è quella tra nomi argomentali e nomi non argomentali: appartengono al primo tipo telefonata, desiderio, rifiuto, cattura; al secondo casa, letto, libro. Mentre i secondi non definiscono relazioni precise e sistematiche con i propri modificatori, in quanto le stesse dipendono dal contesto (Il libro di Immacolata può significare il libro scritto da Immacolata oppure il libro posseduto da Immacolata), i primi selezionano i propri argomenti parallelamente a quanto avviene per i verbi da cui derivano; nell'espressione la telefonata di Luca, Luca è il soggetto come in Luca ha telefonato; in la cattura dei romani da parte dei barbari, sono riconoscibili un paziente (i romani) ed un agente (i barbari) come in i romani sono stati catturati dai barbari. VIII Il Sintagma verbale svolge un ruolo fondamentale, in quanto la struttura argomentale del verbo determina la struttura complessiva della frase. Questa può essere, in effetti, considerata come una predicazione nella quale il verbo è il Predicato che seleziona un numero variabile di Argomenti (Ramat 1984, pp. 70-75). A parte pochi verbi (piove, nevica, ecc.), tutti gli altri selezionano almeno 13 un argomento esterno: il soggetto. Il Sintagma Verbale è costituito dal verbo più gli eventuali argomenti interni più eventuali modificatori avverbiali e aggiunti (circostanziali). Gli argomenti interni possono essere costituiti da Sintagmi Nominali o da Sintagmi Preposizionali i quali svolgono le funzioni, rispettivamente, di oggetto diretto oppure oggetto indiretto e ricoprono ruoli semantici come Paziente, Beneficiario, Strumentale, Locativo: Luisa[AGENTE] ha messo l'auto[PAZIENTE] nel garage[LOCATIVO] Il valore semantico dei predicati è indipendente dalle specifiche realizzazioni linguistiche (Ramat 1984, p. 71) sì da poter avere per predicati uguali strutture argomentali differenti da lingua a lingua. IX 14 7.3.3 Il soggetto Come si è detto, il soggetto è l'argomento esterno del verbo, che con esso si accorda in persona e numero. Gli studi tipologici hanno mostrato le difficoltà insite nel tentativo di dare una definizione universale di soggetto. Esso può svolgere diversi ruoli all'interno della frase, così è agente in Luigi corre, esperiente in Mario gioisce e paziente Luigi fu colpito da Stefano. È da notare come la passivizzazione consegua il risultato di evidenziare il paziente promuovendolo da oggetto diretto a soggetto e di mettere in rilievo l'azione rispetto all'agente che può anche essere eliminato (Luigi fu colpito). (Simone 1993, p. 85; Ramat 1993, p. 19). L'italiano è una lingua a soggetto nullo, nel senso che quando il soggetto è costituito da un pronome (forma non referenziale) può essere omesso, contrariamente a quanto avviene in lingue come il francese o l'inglese, le quali, anche con verbi privi di argomenti come i meteorologici richiedono un soggetto fittizio o espletivo. X La possibilità del soggetto nullo viene spiegata con la maggiore articolazione e ricchezza della flessione del verbo, il quale acquisisce, così, una forza pronominale, che gli consente di esprimere anche il soggetto. Sia Benincà (1993) che Simone (1993) mettono in evidenza, tuttavia, come esista una forte spinta verso l'utilizzazione del soggetto pronominale, soprattutto nel parlato anche quando non risponde all'esigenza di creare un contrasto o una messa in rilievo come avviene, invece, in frasi come Io voglio che torni presto a casa, non m'importa quello che pensa tua madre. Il soggetto pronominale è normalmente omesso nelle frasi coordinate e nelle subordinate, purché si verifichi una condizione di coreferenza (riferimento alla stessa entità) tra il soggetto inespresso e uno degli argomenti del verbo dell'altra frase. Tale argomento, nel caso della coordinazione, deve obbligatoriamente essere il soggetto, mentre potrà essere altro argomento, a seconda del verbo reggente, nel caso di subordinazione: Giorgio baciò Mariella e arrossì (Giorgio arrossì) Giorgio avvisò Mariella che avrebbe fatto l'esame un altro giorno (A fare l'esame può essere uno dei due) Giorgio promise a Mariella di tornare presto (Solo Giorgio può essere il soggetto di tornare) Giorgio permise al figlio di tornare tardi (Il soggetto di tornare è il figlio) XI 15 7.3.4 Formare le parole L'italiano possiede un sistema di formazione di parole (Modulo 1 di Bianchi-Marello) molto sviluppato, basato sui due meccanismi della derivazione e della composizione. Generalmente, i processi di formazione danno luogo a derivati con evidenti rapporti formali oltre che semantici con le loro basi: decifrare → decifrabile lavorare → lavoratore utile → utilità I casi in cui il rapporto formale è opacizzato, dando luogo al fenomeno del suppletivismo, in italiano restano limitato quasi esclusivamente a voci dotte derivate dal greco o dal latino: acqua → idrico cavallo → ippico/equestre/cavallino I casi precedenti evidenziano la elaborata stratificazione del lessico italiano, nel quale convivono «materiali latini, latino-classici, greci e di altre lingue» (Simone 1993, p. 50). XII Gli schemi di composizione più produttivi sono: N+N (capopopolo, legge truffa) N+A (camposanto) A+N (altorilievo) V+N (scolapasta) V+V (saliscendi, prendi prendi) P+N (sottosegretario) A+A (dolceamaro) Tranne che con lo schema A+A che dà origine ad un aggettivo, in tutti i casi il composto è un nome; le poche eccezioni (rosa confetto) sono marginali e limitate ad aggettivi di colore (Scalise (1995): 499). In alcuni casi, il comportamento morfosintattico di un composto è determinato dalle caratteristiche di una delle parti componenti: altorilievo è un nome come rilievo, sottopassaggio è un nome come passaggio. In questi casi si dice che il composto è endocentrico e la parola che gli trasferisce i propri tratti si chiama testa del composto. I composti privi della testa si chiamano esocentrici: saliscendi, lavapiatti ecc. XIII Nei composti di tipo V+N, la funzione del nome è quella di complemento oggetto: il copricostume è qualcosa che copre un costume, cantastorie è qualcuno che canta delle storie. È naturale aspettarsi, perciò che anche nel caso della composizione valga il principio che governa l'ordine dei costituenti in italiano, l'ordine, appunto, Verbo+Oggetto: scola+pasta canta+ storie guarda+sigilli Le eccezioni a questo principio (sanguisuga) sono, come dice Ramat (1993) «un esempio evidente dell'incoerenza tipologica che si riscontra in ogni lingua naturale; incoerenza dovuta a molteplici stratificazioni diacroniche (diastratiche, diafasiche) dal percorso tipologicamente tutt'altro che lineare.» (p. 20). 16 7.4 IL VERBO I Il verbo rappresenta, in italiano, una categoria variabile complessa sia sul piano morfosintattico che su quello semantico. La flessione verbale italiana è una delle più complicate in ambito romanzo: le voci verbali possono contenere informazioni relative al genere, al numero, alla persona (oggetto, idea, ecc.) a cui il verbo si riferisce, alla forma, al tempo, al modo (che può indicare realtà, desiderio, opinione, volontà, ipotesi, condizione, ordine), all'aspetto. I verbi possono essere lessicali, dotati cioè di significato 'pieno', questi possono essere accompagnati da un insieme di argomenti (7.3.1.), o ausiliari che servono a specificare il valore grammaticale del verbo lessicale. Tra i verbi ausiliari, oltre ad essere e avere abbiamo altre forme come stare, venire. Alcuni verbi ausiliari possono avere anche un valore lessicale come nelle espressioni "sono a Roma", "ho un pennino rosso". II 17 7.4.1 Il modo Il modo esprime la certezza o l'incertezza sulla realizzazione di un evento, oltre che la dipendenza sintattica. L'indicativo è il modo della realtà e delle frasi principali. Il congiuntivo esprime incertezza ed è usato nelle frasi dipendenti. Nelle frasi principali può sostituire l'imperativo per la terza persona singolare o plurale (venga!, vengano!) o per esprimere un valore ottativo o dubitativo (volesse il cielo! fosse vero!). Il condizionale esprime una modalità controfattuale, un dubbio, il futuro nel passato nelle frasi dipendenti (Speravo che sarebbe arrivato). Il gerundio, come l'infinito, ricorre nelle dipedenti e nelle perifrasi (7.4.3.). L'infinito compare in frasi interrogative e esclamative (che dire?, che ridere!) e con valore nominale (Amare è vivere). L'indicativo, il congiuntivo, il condizionale e l'imperativo sono modi finiti, poiché contengono le desinenze che determinano le persone; il gerundio, l'infinito e il participio sono indefiniti. III 18 7.4.2 Il tempo Il tempo verbale è uno dei mezzi utilizzati per esprimere il tempo linguistico, per esprimere cioè il sistema delle relazioni temporali veicolato dai segni linguistici. All'interno di questo sistema gli ancoraggi temporali sono stabiliti da tre importanti momenti: dal momento dell'enunciazione (ME), che è il momento in cui si enuncia il messaggio scritto o parlato, dal momento dell'avvenimento (MA), che è il momento in cui avviene l'azione indicata, e dal momento di riferimento (MR) che rappresenta una sorta di punto prospettico da cui si può, in alcuni casi, considerare l'avvenimento. Tra i caratteri generali del verbo italiano ricordiamo che il presente può essere usato per indicare un'asserzione permanente (L'acqua bolle a cento gradi) ed è usato in questa accezione anche nelle subordinate (Gli antichi sapevano che l'acqua bolle a cento gradi). IV La localizzazione degli eventi nel passato e nel futuro può presentare distanze diverse rispetto al momento dell'enunciazione, come avviene per il passato prossimo e il passato remoto: nel primo vi è una distanza minore dal momento dell'enunciazione. Il sistema verbale presenta diverse opzioni di localizzazione temporale. Importanti variazioni dipendono da fattori extralinguistici: dal punto di vista regionale abbiamo, per citare solo un esempio, la prevalenza del passato prossimo nell'Italia settentrionale, del passato remoto in quella meridionale, con la coesistenza, in Toscana, di entrambe le forme. Nelle forme composte si pone la delicata questione della scelta degli ausiliari. V Abbiamo tre coniugazioni, distinte per vocale tematica (a-re, e-re, i-re). I verbi con vocale tematica in -i- e quelli in -e- presentano un numero di affinità maggiore di quello che c'è tra i primi due gruppi da una parte e i verbi in -a- dall'altra. La classe dei verbi in -a- è più regolare e stabile dal punto di vista dell'accento. Ciò favorisce le formazioni verbali in -a- (cliccare, chattare) e le sostituzioni di forme in -a- a quelle in -e- e in -i- (spintonare per spingere). Molti verbi presentano delle irregolarità. Tra gli aspetti costanti delle forme irregolari ricordiamo che nessun verbo è irregolare all'imperfetto indicativo (tranne essere) e che la maggior parte delle irregolarità si trova nel presente dell'indicativo e del congiuntivo, nel passato remoto e nel participio passato. VI 19 7.4.3 L'aspetto L'aspetto è una categoria grammaticale del verbo che esprime le diverse prospettive di durata, momentaneità, ripetitività, inizio e conclusione di un processo, della compiutezza e dell'incompiutezza dell'azione. Per esprimere l'aspetto l'italiano può servirsi di diversi mezzi: – morfologici (per es. l'uso dell'imperfetto indica in genere un'azione continua); – lessicali (per es. "cominciare" indica l'inizio, "continuare" indica l'avanzamento di un processo. "Nascere"-"vivere"-"morire", "decollare"-"volare"-"atterrare" indicano fasi diverse, di inizio, svolgimento e conclusione, di un processo; – derivativi (per es. con i suffissi -icchiare "canticchiare", -ucchiare "mangiucchiare", -ellare "giocherellare" si possono indicare la ripetizione e l'attenuazione di un'azione). L'aspetto può essere espresso, inoltre, da varie perifrasi. VII Nel quadro quanto mai ricco e vario di tipi aspettuali presenti in letteratura i tipi principali risultano: il perfettivo, l'imperfettivo, il compiuto, l'aoristico, l'abituale, il progressivo, il continuo. Tra i mezzi con cui possiamo manifestare l'aspetto verbale abbiamo le perifrasi che possono essere di diversi tipi a seconda della fase e del modo in cui si osserva il processo descritto. In generale possiamo avere perifrasi aspettuali imminenziali, incoative/ingressive, continuative o durative semplici, progressive o durative rafforzate, abituali, conative, risolutive terminative o conclusive. Ogni perifrasi comprende un verbo 'modificatore', di tempo finito, e un verbo principale (o 'modificato') di tempo indefinito (gerundio, participio, infinito). Nell'italiano contemporaneo il quadro generale mostra numerose varianti provenienti da forme locali da una parte, scambi, sovrapposizioni, iperestensioni tra le forme dall'altra. L'incoativa risulta spesso accompagnata da un valore progressivo, con un sovraccarico di significati aspettuali, come nell'espressione "sta cominciando a piovere" e "è dietro a mettersi a piovere" per "comincia a piovere", in altri casi risulta un processo di alleggerimento dell'aspetto, con la caduta del modificatore ("Piove" per "Comincia a piovere"). VIII 20 7.4.4 L'accordo verbale La regola generale dell'accordo in italiano è che il verbo si accorda con il soggetto. Quando il verbo è composto l'accordo è governato dall'ausiliare: il participio passato resta invariato con avere, assume il numero e il genere del soggetto con essere (Ornella ha telefonato, Lucia si è lavata). Il complemento oggetto espresso attraverso un pronome atono attira il participio passato (Franco ha incontrato Laura e l'ha invitata a cena). L'accordo con il complemento oggetto si può fare anche con un pronome personale di prima e seconda persona in posizione preverbale (Mi hanno visto/a al cinema). 21 7.5. LA COORDINAZIONE I La coordinazione è un modo per costruire strutture linguistiche complesse, in cui più elementi siano connessi tra di loro. Nella coordinazione di proposizioni (paratassi) con cui si ottengono le cosiddette frasi composte, le proposizioni sono autonome sintatticamente e semanticamente ed hanno un rapporto di equivalenza logico-sintattica. Questo permette l'applicazione del criterio della simmetria, poiché gli elementi coordinati possono essere spostati di posto senza cambiare significato. La coordinazione può essere sindetica, quando il legame è esplicitato con una congiunzione o con una preposizione, polisindetica quando il collegamento è realizzato con più congiunzioni, soprattutto per dare enfasi ("Se mangi alle due e poi prendi il gelato alle 15 e poi bevi il succo d'arancia alle 16, certo che ingrassi!"), ma può avvenire anche per asindeto, per semplice allineamento o affiancamento, con l'ellissi della congiunzione, con una rappresentazione grafica della pausa (virgola, punto e virgola o due punti) nella scrittura, con l'uso delle tonie nel parlato. Dal punto di vista formale le congiunzioni possono essere, come quelle subordinative, semplici, formate da una sola parola (e, né), oppure composte (nondimeno non+di+meno), o essere formate da locuzioni congiuntive, sintagmi complessi i cui componenti rimangono distinti (dal momento che...). II Tra le congiunzioni coordinanti sono compresi anche alcuni elementi lessicali avverbiali, tuttavia, quindi, peraltro, finalmente. Questi operatori possono combinarsi con altri coordinatori, come e, o, a differenza degli operatori di coordinazione veri e propri che non tollerano tale compresenza (Mario studia il cinese e cioè studia una lingua a toni). III Le congiunzioni coordinanti, che, come le restanti congiunzioni, fanno parte dei connettivi, cioè di quegli elementi che svolgono funzione di raccordo tra le varie parti (parole, sintagmi, frasi) del testo, permettendone la pianificazione, possono esprimere diversi significati: copulativo (A e B), disgiuntivo (A o B), avversativo (A o B, non A bensì B), conclusivo (A quindi B), dichiarativo (A infatti B, A cioè B), Alle coordinanti appartengono, inoltre le correlative: e....e, così.....come, non solo.....ma anche. 22 7.6 LA SUBORDINAZIONE I La subordinazione crea frasi complesse ed esplicita il rapporto gerarchico tra una frase autonoma, detta principale, reggente o sovraordinata, e altre, subordinate, dipendenti o subordinate, che dipendono, sia grammaticalmente che semanticamente da essa. Sul piano sintattico gli operatori di subordinazione hanno con gli elementi subordinati un rapporto più stretto rispetto al rapporto tra gli operatori di coordinazione e gli elementi coordinati. Nella subordinazione non c'è simmetria tra modificatore e modificato, poiché cambiando di posto, questi cambiano di significato. I rapporti gerarchici possono riguardare diversi gradi di subordinazione: di 1°, 2°, 3° grado, ecc. ("Mario è un medico, che conosce molto bene la letteratura, che studia con molto interesse e a cui dedica molto del suo tempo libero"). Il legame di subordinazione può essere realizzato con : 1. una congiunzione coordinante (perché, affinché, sebbene, ecc.) 2. un pronome relativo(che, il quale...) o un avverbio (dove.....) 3. una preposizione (per, a, di, da, dopo, prima di, senza), seguite dall'infinito 4. con il gerundio (per indicare causa, modo, mezzo, tempo). In 1) e 2) il verbo presenta un modo finito, soprattutto il congiuntivo. Le subordinate al congiuntivo presentano una maggiore connessione con la sovraordinata rispetto a quelle all'indicativo (Salvi 1988). II L'uso del congiuntivo risulta, in alcuni casi, obbligatorio: nelle finali, per esprimere modalità impositiva, ottativa, avversativa, con verbi di volontà o espressioni di necessità, con i verbi di volontà usati al condizionale. Nell'italiano parlato il congiuntivo è in forte regressione. Questo fenomeno è un fenomeno di semplificazione dell'italiano contemporaneo, per cui "per parlare italiano usando anche clausole dipendenti serve poco di più dell'indicativo e dell'infinito" (Simone 1993, p. 65). Alla tendenza verso la semplificazione si aggiunge, nelle forme più basse dell'italiano, la risalita di vari costrutti provenienti da forme locali. III 23 7.6.1 La dipendente finale Le dipendenti finali esprimono un rapporto di scopo, fine, intenzione. Possono avere forma esplicita o implicita, essere anteposte o posposte alla reggente anche se l'anteposizione è meno usuale. Il costrutto implicito, che risulta il più diffuso, si ha quando c'è identità di soggetto tra reggente e finale e può essere introdotta da a, per, di, da, onde, che è della lingua scritta formale e si può costruire con l'infinito e con il congiuntivo ("Venga in fretta onde evitare la pioggia/ onde eviti la pioggia"). La forma implicita si usa frequentemente anche quando i due soggetti, della reggente e della finale, sono diversi, ricorrendo ai causativi o fattitivi, cioè a quei verbi che indicano un'azione fatta compiere da agenti diversi dal soggetto ("L'ho chiamato per fargli fare i compiti"). Tra i verbi reggenti delle finali risultano particolarmente presenti i verbi di movimento (tornare, venire, andare), e i verbi di esortazione, preghiera, supplica ("Ti prego di ritornare ad essere te stesso"). IV Le congiunzioni subordinanti della finale esplicita sono perché, affinché, acciocché, a fare sì che, a che, con una prevalenza, nell'uso parlato, della prima. Perché è un connettivo non specializzato, essendo anche causale, ma quando ha valore finale richiede il congiuntivo, presente se nella reggente c'è un presente o un futuro, imperfetto negli altri casi, quando ha valore causale si costruisce con l'indicativo. Quando la finale dipende da un imperativo+che, poiché l'imperativo sovraordinato dà sempre un valore finale alla frase dipendente, è ammesso l'uso dell'indicativo, specie nel parlato ("Vieni che ti offro un gelato"). La disambiguazione di che, che può avere anche valore consecutivo e causale, dipende dal lessico e da fattori pragmatici. La finale esplicita è sempre posposta alla principale. V Semanticamente esistono importanti restrizioni nella formazione delle finali, in particolare una finale non è ritenuta accettabile se il soggetto del predicato principale non è in grado di esercitare un controllo sull'evento espresso nella finale. Ciò avviene, per esempio, con i verbi metereologici (*Tuona per fare paura). Per rendere accettabili espressioni di questo tipo è necessario introdurre un agente implicito ("Sembra che tuoni per farci paura"). La presenza di un agente implicito è richiesta anche quando il soggetto è animato o inanimato ma non agentivo (*Gli sembro bella per conquistarlo /"Voglio sembrargli bella per conquistarlo"; * Il parco è andato distrutto per lasciare posto al seminativo/ "Il parco è stato distrutto per lasciare posto al seminativo"). In genere possiamo dire che "una finale non è accettabile se il soggetto della principale non è in grado di esercitare un controllo sull'evento espresso dalla stessa finale" (Dardano, Trifone 1997, p. 408). Altre restrizioni riguardano l'uso dell'esplicita con verbi di movimento, per cui abbiamo. "Lucia esce per andare a prendere il treno", ma *Lucia esce affinché vada a prendere il treno. VI Dal punto di vista sintattico le finali possono essere circostanziali o avverbiali di frase. Le prime modificano il contenuto proposizionale della principale, le seconde modificano il contenuto comunicativo e sono in molti casi rappresentate da vere e proprie formule: "per dirla tutta", "per farla breve", "per salvare capra e cavoli". Le finali circostanziali possono comparire in strutture scisse ("È perché tu lo legga che ho lasciato il giornale sul tavolo"), topicalizzate ("Perché tu lo legga ho lasciato il giornale sul tavolo"), focalizzate ("Ho lasciato il giornale sul tavolo PERCHÉ 24 TU LO LEGGA, non perché tu lo metta da parte"), possono essere precedute da un focalizzatore ("Ho lasciato il giornale sul tavolo proprio perché tu lo legga"). Nelle forme colloquiali di italiano si ricorre alla congiunzione e così, che copre diversi significati di subordinazione: causale, consecutiva, finale ("Ho regalato un libro a Franco e così si ricorda di me"), e, in alcuni casi, alla coordinazione ("Apro la porta per uscire"/ "Apro la porta e esco"). 25 7.7 FATTI DI PRAGMATICA I 7.7.1 La deissi sociale La deissi sociale codifica, in un'interazione, le identità sociali dei partecipanti e la relazione sociale che li lega. I riferimenti della deissi sociale vengono espressi tramite i pronomi soggetto e i clitici nelle due serie dei pronomi atoni (mi, me, ti, te, lo, la al singolare, ci, ce, vi, ve, li, le al plurale) e di quelli tonici (me, te, lui, lei, noi, voi, loro). Il parlante può riferirsi a se stesso (io); a se stesso con altri (noi); a un interlocutore (tu); a più interlocutori (voi); a terze persone indirettamente coinvolte dall'enunciato (ella, lei, esse, egli, lui, essi, loro). Il deittico tu può anche riferirsi a un interlocutore generico o assente (Mi dirai che le cose non sono così semplici per "Qualcuno potrebbe dire che le cose non sono così semplici"). II Particolarità rilevanti dell'italiano sono: -la presenza di un unico pronome atono e tonico plurale per la prima (ci, noi) e la seconda persona (vi, voi), a differenza di altre lingue che distinguono, per esempio, il genere del referente; -la doppia coppia, alla terza persona singolare di egli/ella, lui/lei, con una forte espansione della seconda e un'altrettanto forte riduzione della prima; -i numerosi divieti relativi alla coppia egli/ella che hanno finito col ridurne l'uso. III Esempi di grammaticalizzazione della deissi sociale sono i pronomi 'di cortesia' e i titoli usati per rivolgersi a qualcuno. In contesti informali, se il riferimento è a un unico destinatario, si usa la seconda persona singolare dei pronomi tonici tu, se i destinatari sono più d'uno si usa la seconda persona plurale voi. Tu e voi sono detti pronomi naturali. I pronomi di cortesia o reverenziali sono invece Lei/Voi/Ella al singolare, Voi/Loro al plurale. L'italiano moderno si serve principalmente di un sistema bipartito che comprende la coppia tu/lei. In vaste aree dell'Italia meridionale è frequente voi al singolare, come forma di rispetto. Le regole d'uso di tu/lei tengono conto di alcune variabili sociolinguistiche: ad es. per rivolgersi ad un anziano, soprattutto quando è un estraneo, un ragazzo usa il lei e riceve il tu, un inferiore usa il lei con un superiore e può ricevere il tu o il lei. IV La distinzione, al singolare, fra Lei/Voi/Ella introduce notevoli complessità nei sistemi di accordo. Ella richiederebbe un accordo al femminile, in realtà è variabile. Con lei l'accordo di aggettivi e participi si fa con il genere dell'interlocutore. I pronomi atoni di cortesia possono avere funzione di complemento diretto o indiretto. Come complementi diretti si hanno la (anche enclitico) al singolare (Grazie, arrivederla), vi, li/le per il plurale. Li per il maschile e le per il femminile sono piuttosto rari (Signorine, Le/Vi ringrazio per la collaborazione). Per i complementi indiretti abbiamo le per il singolare (Signore le posso chiedere un'informazione?), vi/loro (quest'ultimo generalmente posposto al verbo) per il plurale (Signori, posso chiedere Loro (Vi posso chiedere) un'informazione?). 26 7.7.2. La topicalizzazione I Nell'analisi linguistica, accanto a nozioni di natura sintattica (Soggetto, Oggetto diretto, ecc.), vengono utilizzate nozioni di natura pragmatica, che riguardano l'organizzazione e la distribuzione dell'informazione nel discorso. Così, in una frase è possibile distinguere il tema, ciò di cui si parla, dal rema, ciò che si dice del tema. Possiamo osservare, ancora, che ogni frase ha una informazione condivisa da parlante e ascoltatore, che chiameremo dato, ed una informazione non condivisa, che chiameremo nuovo. Nella frase Luisa ha regalato un libro a Maria Luisa è il dato, ciò che è noto a parlante ed ascoltatore, e ha regalato un libro a Maria è il nuovo, l'informazione aggiunta dal parlante. La frase sarebbe pragmaticamente inadeguata se Luisa non fosse conosciuta da entrambi i partecipanti alla conversazione, ma lo sarebbe pure se l'ascoltatore fosse già a conoscenza del regalo. II Nella frase non marcata, dato, tema e soggetto coincidono, cosicché, nella frase precedente, Luisa è il soggetto, il tema ed il dato. In una lingua come l'italiano, che pur avendo come ordine basico quello SVO, consente ampia libertà di movimento ai costituenti della frase, si possono utilizzare i diversi ordini per scopi comunicativi particolari, ossia per distribuire l'informazione in modo differente rispetto a quanto avviene nelle frasi con ordine basico. Una delle costruzioni che conseguono tale effetto è la topicalizzazione, che consiste nello spostamento in posizione iniziale di frase di un sintagma al quale si affida la funzione di contraddire in tutto o in parte le informazioni presenti nel contesto. A dispetto della sua posizione all'inizio di frase, l'elemento topicalizzato non è dato, ma nuovo, per questo, su di esso è collocato l'accento enfatico, che indicheremo con il carattere maiuscolo negli esempi successivi. III Se in una conversazione nella quale qualcuno ci ha detto che Marco ha comprato una bici, rispondiamo: UNO SCOOTER, ha comprato Marco otteniamo una topicalizzazione dell'oggetto che contraddice globalmente l'informazione che esplicitamente ci è data sull'oggetto acquistato. Una risposta come ANCHE UNO SCOOTER, ha comprato Marco contraddice solo una delle inferenze rese possibili dal contesto: quella secondo cui Marco ha comprato solo una bici. Ovviamente, anche il soggetto di una frase può essere topicalizzato, anche se esso conserverà, apparentemente, la stessa posizione. In questo caso il fenomeno sintattico è segnalato dall'enfasi e dalla breve pausa che si effettua in corrispondenza della virgola: Ti ha detto nessuno che sei una bella donna? MARCO, me l'ha detto 27 7.8 GUIDA BIBLIOGRAFICA Per un’introduzione generale alla tipologia linguistica (7.1.) si vedano: Comrie B. (1983), Universali del linguaggio e tipologia linguistica, Il Mulino, Bologna. Cristofaro S., Ramat P. 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(1992), La pragmatica dell'italiano, Treccani, Roma. 30 Le caratteristiche tipologiche sono individuate attraverso l'analisi strutturale di singole lingue ed il confronto interlinguistico. Vengono così estrapolati tratti linguistici comuni a tutte le lingue (Universali assoluti) e tratti che sono tra loro in una relazione di implicazione logica (Universali implicazionali) Un esempio del primo tipo è costituito dal principio a) Tutte le lingue hanno vocali Il secondo tipo è esemplificato dalla relazione tra le diverse marche di numero: singolare, plurale, duale(marca riservata alle entità che naturalmente si presentano in coppia): b) Duale ⇒ Plurale ⇒ Singolare (si legga: il duale implica il plurale, il plurale implica il singolare) Il principio asserisce che non esistono lingue che possano indicare il duale senza poter indicare il plurale ed il singolare o che indichino il plurale, ma non il singolare Torna al paragrafo 7.1 31 Questi fenomeni rivestono particolare importanza nella prospettiva tipologica, la quale è detta funzionalista poiché affida il compito di spiegare la variazione linguistica a principi esterni al sistema morfosintattico, i quali hanno a che fare soprattutto con la funzione comunicativa delle lingue e sono, perciò, di natura semantica o pragmatica. La scoperta di universali è obiettivo di un'altra corrente linguistica, la grammatica generativa, nata con gli studi del linguista americano N. A. Chomsky. Secondo questa concezione, la spiegazione degli universali, come tutta la sintassi, deve essere autonoma dalla semantica e dalla pragmatica; viene così preclusa la possibilità di ricercare principi cognitivi più generali che siano alla base di diversi sistemi concettuali umani. Torna al paragrafo 7.1 32 La terminologia non è comune a tutti gli studiosi. Per alcuni, per es., la fonologia indica lo studio diacronico, storico, del sistema fonologico. Torna al paragrafo 7.2.1 33 La vocale [a] è una vocale media, articolata sul palato medio, [è], [é], [i], sono vocali palatali o anteriori, articolate nella parte anteriore della cavità orale, [ò], [ó], [u] sono vocali velari o posteriori, articolate nella parte posteriore della cavità orale. Sulla base del punto di articolazione si distingue anche la chiusura e l'apertura vocalica: la [è] e la [ò] sono semiaperte, la [é] e la [ó] sono semichiuse. Torna al paragrafo 7.2.1 34 Nella pronuncia delle vocali velari le labbra sono protruse, in quelle palatali sono distese. Torna al paragrafo 7.2.1 35 L’accento interessa la vocale tonica, le altre vocali si dicono atone. Torna al paragrafo 7.2.1 36 Il modo può essere rappresentato da un’occlusione del flusso d’aria proveniente dai polmoni (consonanti occlusive), da un restringimento (fricative), dalla combinazione di un’occlusione e di un restringimento (affricate), da una fuoriuscita laterale dell’aria che si ottiene appoggiando la lingua al palato, per cui l’aria passa dai lati (laterali), da una vibrazione della punta della lingua sugli alveoli (vibranti). Torna al paragrafo 7.2.1 37 La consonante può essere bilabiale, labiodentale, dentale, alveolare, postalveolare, palatale, velare, a seconda che il punto di articolazione si trovi in corrispondenza delle labbra, dei denti, degli alveoli, del palato, del velo del palato. Torna al paragrafo 7.2.1 38 Il dittongo è sempre formato da una vocale detta ‘debole’: i, u e una vocale ‘forte’: a, o, e, o dalle due vocali deboli. L’accento cade nel primo caso sulla vocale forte (fieno, buono), sulla u nel secondo caso (più). Il dittongo si dice discendente quando la vocale forte precede quella debole (causa), in questo caso si parla di semivocale, ascendente quando la vocale forte segue quella debole (uomo), in questo caso abbiamo la semiconsonante. Quando vi è un incontro vocalico in cui non sono soddisfatte tali condizioni le due vocali formano uno iato (beato, pìo). Torna al paragrafo 7.2.1 39 Il fono è il suono considerato in quanto entità fisica, discreta, individuabile nella catena fonica. Designa, cioè, la singola realizzazione effettiva di un suono linguistico. Torna al paragrafo 7.2.1 40 Riportiamo i segni dell'alfabeto italiano che si discostano da quelli dell' IPA . ' prima di una sillaba indica l'accento : dopo una consonante ne indica il rafforzamento grafemi c ch q c g gh g gl gn s s sci z z e e o o i i u u casa chitarra quadro cinema gara ghiro giro gli gnomo rosa (da rodere) rosa (fiore) sciame zio zero pesca (da pescare) pesca (frutto) botte (per il vino) botte (percosse) idea ieri ulivo uomo segni IPA k k k t• g g d• • • s z • tz dz é è ó ò i j u w kasa kitar:a kwadro 't•inema gara giro d•iro •i •omo rósa ròza •ame tzio dzero pésca pèsca bót:e bòt:e idea jeri ulivo womo Torna al paragrafo 7.2.1 41 Può cadere sull'ultima sillaba (guarderà) nelle parole ossìtone o tronche, sulla penultima (pane) nelle parole parossìtone o piane, che in italiano sono la maggioranza, sulla terzultima (làmpada) nelle parole proparossìtone o sdrucciole, sulla quartultima sillaba (andàndosene) nelle bisdrucciole. Nell'italiano parlato contemporaneo si nota una tendenza alla ritrazione dell'accento, soprattutto in parole trisillabe (sàlubre per salùbre, vàluto per valùto, Pàkistan per Pakìstan) e in alcuni francesismi come mìgnon per mignon, cògnac per cognac. Torna al paragrafo 7.2.2 42 Solo gli ideofoni, come le onomatopee (brr, mmm), sono rappresentati privi di vocali. Torna al paragrafo 7.2.3 43 L'attacco può essere formato da: a) una consonante (lu-na) - è il tipo di attacco prevalente-; b) una semiconsonante ( uo-vo); c) più consonanti (pre-mio); d) una o più consonanti, una o più semiconsonanti (fuo-co , quie-te); e) nessi consonantici del tipo pneumatico (pneu-mà-ti-co), 'ndrangheta (dal calabrese, ndràn-gheta), in sequenze di origine greca, straniera o dialettale. La coda può essere costituita da: a) una consonante (una laterale (bel-lo), una vibrante (or-to), una nasale (pon-te) oppure una consonante identica a quella che apre la sillaba successiva (mes-so); b) una semivocale (cau-sa); c) una semivocale e una consonante (faus-to). Torna al paragrafo 7.2.3 44 Troviamo, tuttavia, con finale consonantica interiezioni e onomatopee (boh, bum), l'articolo un, le preposizioni in, per, con, le preposizioni articolate (del, al, ecc.), l'avverbio non, che in fine di frase diventa no, le forme con -d eufonica in ad, ed, od, le voci apocopate (bel sole, san Nicola). L'introduzione massiccia di forestierismi non adattati e di acronimi ha determinato l'aumento di parole con finale consonantica. Compaiono in posizione finale di parola quasi tutte le consonanti (album, bar, bus, ecc.) e, in alcuni casi, si hanno code ramificate, costituite cioè da due consonanti (sport, film, ecc.). Torna al paragrafo 7.2.3 45 Per dividere in sillabe è utile ricordare che: 1. nei nessi consonantici la prima consonante si unisce alla vocale che precede, la seconda a quella che segue (sal-to, an-ge-lo, zap-pa); 2. i gruppi gn, gl, sc formano un'unica sillaba (o-gni, fa-mi-glia, a-scia); nei gruppi con r o l le due consonanti si uniscono alla vocale successiva, formando l'attacco della sillaba seguente (ca-pra, ci-clo-mo-to-re); 3. nel dittongo i gruppi con vocale e semivocale (o semiconsonante) formano un'unica sillaba (pieno, or-mai); 4. nello iato le due vocali formano due sillabe (be-a-to). Torna al paragrafo 7.2.3 46 Il rapporto sintagmatico (7.3.) è quello che si istituisce tra due o più unità che si succedono nella catena fonica. Torna al paragrafo 7.2.4 47 Troviamo la cancellazione soprattutto nella combinazione di elementi morfologici: nell'unione di un suffisso alla radice (libr+accio), nel contatto di un nome con uno specificatore, per esempio un aggettivo o un articolo (l'oro e l'argento), nel troncamento (andar via, buon cuore). Torna al paragrafo 7.2.4 48 Il raddoppiamento fonosintattico si ha con i monosillabi forti (qui, fa, sì, ecc.), con alcuni monosillabi deboli (a, che, se, ecc.), con alcuni bisillabi (come, dove, sopra, qualche), con le parole ossitone (bontà). Torna al paragrafo 7.2.4 49 Gli argomenti sono gli elementi richiesti dal verbo. Una frase come Luigi va risulta agrammaticale, perché il verbo andare richiede due argomenti: il soggetto e il locativo. Per una trattazione più ampia si veda De Masi 2003. Torna al paragrafo 7.3.1 50 Il termine valenza è preso dalla chimica, dove indica la capacità posseduta da un atomo di combinarsi con un certo numero di altri atomi, dando luogo a molecole. La valenza del verbo indica, perciò, la sua proprietà di combinarsi con uno (verbi monovalenti), due (bivalenti) o tre argomenti (trivalenti). Torna al paragrafo 7.3.1 51 Considerando i tre costituenti indicati, sono logicamente possibili sei diversi tipi linguistici: SOV, SVO, VSO, VOS, OVS, OSV. Benché esistano esempi di lingue appartenenti a tutti i tipi, quelli maggiormente attestati sono i primi due (Comrie 1983, p. 130). Torna al paragrafo 7.3.1 52 Le parole sintagma e sintassi derivano dal greco συντασσω che vuol dire metto insieme, ordino. F. de Saussure, il fondatore della linguistica moderna, chiamò sintagmatici i rapporti di vario genere che si stabiliscono tra elementi compresenti nella stessa catena parlata, cioè quelli che definiscono la struttura della frase. Torna al paragrafo 7.3.2 53 L'accezione appositiva indica una caratteristica dell'entità cui si riferisce, mentre quella restrittiva esprime l'appartenenza ad una classe. Quando sono usati in combinazione, l'aggettivo qualificativo precede il nome e quello restrittivo lo segue (Un bel romanzo tedesco), se entrambi assumono posizione postnominale, come in Un romanzo tedesco bello, anche il secondo aggettivo assume una connotazione restrittiva. Torna al paragrafo 7.3.2 54 Nel latino era privilegiata la posposizione del possessivo (liber meus); nel passaggio alle lingue romanze, si è avuta una pressoché generalizzata diffusione dell'anteposizione (il mio libro). La posposizione sopravvive o in espressioni sintatticamente marginali come allocuzioni o esclamazioni (amici miei; mamma mia!) o in aree arcaiche o periferiche. Si vedano Tekavčić (1972, II, p. 186), Rohlfs (1968, II, pp. 124-127). Torna al paragrafo 7.3.2 55 Per un'analisi completa di questa problematica, si veda Giorgi (1988), pp. 273-314. Torna al paragrafo 7.3.2 56 A volte gli avverbi possono svolgere funzioni argomentali, come in Luisa veste elegantemente, La riunione si è svolta ordinatamente (Lonzi 1991, pp. 364-366). Torna al paragrafo 7.3.2 57 Si avrà, per esempio: Italiano: impedire a qualcuno di fare qualcosa Francese : empêcher quelqu'un de faire quelque chose Italiano: aspettare qualcuno Inglese: to wait for somebody. Torna al paragrafo 7.3.2 58 In particolare, sono stati individuati due modi di trattare gli argomenti del verbo. Il primo, che è chiamato sistema nominativo-accusativo ed al quale appartiene l'italiano, mette in relazione l'argomento unico dei verbi intransitivi, con l'agente delle costruzioni transitive: Io sono arrivato Io ho colpito te In tutti e due i casi, il soggetto è al nominativo, mentre l'accusativo è riservato al paziente della frase transitiva. Il secondo, detto ergativo-assolutivo, comprende le lingue filippine e mette in relazione l'argomento unico intransitivo con il paziente transitivo. Come conseguenza, in una frase come Stefano colpì Luigi e scappò via il soggetto sottinteso della coordinata è interpretato come coreferente con Stefano nel sistema nominativo-accusativo e con Luigi in quello ergativo. Si vedano Comrie (1983), pp. 151-173; Ramat (1984), pp. 63 sgg. Torna al paragrafo 7.3.3 59 Privilegiando le forme sintetiche, la flessione del verbo, in italiano, risulta molto articolata: i morfemi legati delle varie forme flesse indicano il tempo, il modo e la persona. Per la tipologia linguistica la distinzione fra tipo sintetico e analitico costituisce un’opposizione morfologica fondamentale: nelle forme sintetiche i morfemi grammaticali sono legati, nelle forme analitiche, invece, sono liberi. Si confronti, ad esempio la forma sintetica italiana prenderei con la corrispondente forma analitica inglese I would take: mentre in italiano il morfema grammaticale – erei, legato al morfema lessicale, esprime sia il modo (condizionale) che la persona (prima singolare), queste due categorie sono indicate in inglese con i morfemi liberi would (ausiliare per la formazione del condizionale) e I (pronome personale soggetto di prima persona). Torna al paragrafo 7.3.3 60 La testa di un composto è, quindi, la sua parte più importante. Quando non è possibile identificarla in base alla categoria grammaticale, come nel caso dei composti N+N, la si può riconoscere perché governa i processi morfosintattici (come l'accordo con l'articolo), oppure si può sottoporre il composto stesso ad un test È UN... che evidenzia, in questo caso, le caratteristiche semantiche della parola. Avremo, quindi, la casa vacanza/le case vacanza. Il capostazione È UN capo. Torna al paragrafo 7.3.4 61 62 Serianni (1988) definisce il verbo come "una parola variabile indicante: a) un'azione che il soggetto compie («il pollo mangia») o subisce («il pollo è mangiato»); b) l'esistenza o lo stato del soggetto («quel Dio[...]gli pareva sentirlo gridar dentro di sé:-Io sono però» Manzoni, I promessi Sposi, XX 17); c) il rapporto tra soggetto e attributo («Maria è giovane»)" (p. 321). Torna al paragrafo 7.4 63 L'altro mezzo è quello degli avverbiali di tempo: oggi, ieri, domani, prossimamente, ecc. In generale, com'è noto, il rapporto temporale può essere di contemporaneità (presente), di anteriorità (passato) e di posteriorità (futuro). Torna al paragrafo 7.4.2 64 Nell'espressione: Antonio, quando si sarà laureato, andrà a lavorare a Stoccolma "quando si sarà laureato" rappresenta il momento di riferimento (MR), "andrà a lavorare" si riferisce al momento dell'avvenimento (MA). Gli elementi indispensabili per localizzare cronologicamente un evento sono il momento dell'enunciazione (ME) e quello dell'avvenimento (MA). Il momento di riferimento (MR) si ha quando un evento non si situa sulla base dell'enunciazione ma rispetto ad altri eventi. Ad esempio in: Alle sei del mattino ero già uscita "ero già uscita" rappresenta il momento dell'avvenimento che precede il momento del riferimento "alle sei del mattino", che precede, a sua volta, il momento in cui viene prodotto l'enunciato. Nel presente tutti e tre i momenti, ME, MA, MR, coincidono (come avviene, per esempio in Gianna legge il giornale), nel trapassato prossimo sono tutti e tre separati (per es. in Maria aveva già regalato un libro a Nicola quando arrivò il suo compleanno, risulta che il regalo è già stato fatto al momento del compleanno che rappresenta il MR. Sia il regalo che il compleanno precedono inoltre il momento dell’enunciazione). Torna al paragrafo 7.4.2 65 La combinazione dei modi e dei tempi in italiano è la seguente: Indicativo Presente Passato prossimo Imperfetto Trapassato prossimo Passato remoto Trapassato remoto Futuro semplice Futuro anteriore Congiuntivo Condizionale Participio Infinito Gerundio Imperativo Presente Presente Presente Presente Presente Presente Passato Passato Passato Passato Passato Imperfetto Trapassato Torna al paragrafo 7.4.2 66 I verbi transitivi richiedono l'ausiliare avere, quelli intransitivi l'ausiliare essere. Alcuni verbi possono avere come ausiliare sia essere che avere, con una lieve differenza semantica (ho saltato, sono saltato (sul treno)). I verbi impersonali, che indicano fatti atmosferici, hanno solitamente come ausiliare essere (è piovuto), anche se alcuni accettano anche il verbo avere (ha piovuto, ha nevicato). Nelle espressioni con i verbi modali (potere, dovere, volere) si usa l'ausiliare del verbo principale (è dovuto andare, ha dovuto pulire tutta la casa). Torna al paragrafo 7.4.2 67 Si veda per questa parte Tempesta (2003a, 2003b). Torna al paragrafo 7.4.3 68 L'imperfetto è un tempo con una forte valenza aspettuale e un'ampia varietà d'uso. Dal punto di vista aspettuale si caratterizza per l'imperfettività, per cui l'azione è presentata nel suo svolgersi e si oppone al passato prossimo e al passato remoto che sono tempi perfettivi in quanto indicano un'azione compiuta. Nelle forme più colloquiali dell'italiano possiamo trovare anche altri usi dell'imperfetto. Con questo tempo si può esprimere la posteriorità di un'azione come in: Mi dissero che Daniela arrivava la sera stessa, Non avevo capito che Maria partiva quella sera. In questi casi l'imperfetto sostituisce il condizionale passato. Torna al paragrafo 7.4.3 69 L'aspetto perfettivo si ha quando il processo è osservato nella sua globalità, con la visualizzazione del punto finale (Nel 1953 il padre di Gianni andò a lavorare in America; Ho scritto una lettera; Carlo prese la cartella e uscì). L'aspetto perfettivo riguarda sempre un evento ben determinato nel tempo: il passato remoto è considerato un esempio di verbo perfettivo poiché indica un processo interamente concluso. Torna al paragrafo 7.4.3 70 L'aspetto imperfettivo si ha quando il processo è osservato secondo un punto di vista interno al suo svolgimento senza che sia visualizzato il punto finale (Studiava molto). Torna al paragrafo 7.4.3 71 L'aspetto compiuto si manifesta con le forme composte del verbo e esprime il perdurare, in un dato momento di riferimento, del risultato di un evento compiutosi in precedenza. In Marco è arrivato da almeno due ore "da almeno due ore" rappresenta il momento di riferimento, "è arrivato" l'evento compiutosi. Torna al paragrafo 7.4.3 72 L'aspetto aoristico indica un'azione compiuta senza un'esplicita indicazione del quando: A un tratto gli uccelli cantarono. Torna al paragrafo 7.4.3 73 L'aspetto abituale indica il ripetersi più o meno regolare di un'azione (Daniele tutte le sere giocava con gli amici). L'abitualità è diversa dall'iteratività che riguarda l'azione: Per festeggiare Mario sparò molti colpi in aria, indica, per es. un processo iterativo ("sparò molti colpi"), ma non abituale. Torna al paragrafo 7.4.3 74 L'aspetto progressivo si ha quando il processo viene colto in un singolo istante del suo svolgimento, detto punto di focalizzazione, oltre il quale la prosecuzione del processo non è determinata (In quel momento Giorgio stava dormendo). Berrettoni (1982), esaminando i contenuti semantici dell'aspetto progressivo in italiano, interpreta quest'aspetto come derivato da una struttura semantica locativa e considera i verbi "stare" e "essere" come verbi di localizzazione, come elementi statici, che nelle perifrasi vengono uniti ad un significante tipico di situazioni dinamiche, rappresentato dal gerundio o da altri mezzi linguistici. La parte dinamica ha valore direzionale, rappresenta cioè la progressione dall'inizio dell'azione verso il suo compimento, come dimostrano, secondo l'A., le perifrasi del tipo "Giovanni è in via di guarigione". L'aspetto abituale e quello progressivo possono coesistere e fondersi. In: Quando arrivo, lui sta sempre parlando al telefono (Bertinetto 1986, p. 156) abbiamo il ripetersi dell'azione abituale da una parte, l'indicazione (progressiva) degli istanti di focalizzazione dall'altra. Torna al paragrafo 7.4.3 75 L'aspetto continuo implica un'idea di indeterminatezza rispetto alla prosecuzione del processo e rispetto al numero delle iterazioni del processo stesso, è plurifocalizzato, si riferisce cioè a più istanti di focalizzazione: Durante la conferenza Mario chiedeva a Lucia di tradurgli ciò che diceva l'oratore. Torna al paragrafo 7.4.3 76 Costrutti delle perifrasi: × imminenziale: con i costrutti "stare per", "accingersi a" + infinito (Sta per piovere); × incoative/ingressive con i verbi "cominciare a", "iniziare a", "avviarsi a", "mettersi a" + infinito (Si mise a piovere); "incominciare col" + infinito (Mario incominciò col dire che non stava bene). In italiano abbiamo anche "scoppiare" che funziona come modificatore perifrastico incoativo in congiunzione con "ridere/piangere" ed ha una marcata catterizzazione iconica (scoppiò a ridere). × continuative o durative semplici introdotte da "continuare a", "non smettere di", "seguitare a", "stare a", "andare avanti a"+ infinito (Continua a piovere); × progressive o durative rafforzate con "stare" + gerundio (Sta piovendo); × continue: "andare", "venire" + gerundio (Le nuvole andavano ammassandosi all'orizzonte); × abituali: "solere", "essere solito", "avere l'abitudine di" + infinito (Mario era solito studiare dopo pranzo); × conative: "sforzarsi a/di" + infinito (Mario si sforzò di capire); × risolutive: "finire per", "riuscire a" + infinito (Mario riuscì a superare l'esame); × terminative o conclusive: "finire di", "terminare di", "smettere di", "cessare di", "piantarla di" + infinito1 (Ha smesso di piovere). Torna al paragrafo 7.4.3 77 Nel Salento troviamo, per esempio, "sta" + indicativo (Sta vva a Roma; Sta partiva a Roma), con la proiezione del costrutto dialettale in italiano. Il costrutto è usato anche per la progressiva. È attestato anche co + tempo finito al posto di "per" + infinito ("Stava co partiva a Roma". Nell'Italia settentrionale risultano attestati: × "essere dietro a" + infinito / "essere dietro che" + indicativo (Luigi è dietro a partire per Roma; Luigi era dietro a partire per Roma; Luigi è dietro che parte per Roma); × "essere in cammino che" + indicativo (Luigi è in cammino che parte per Roma, Luigi era in cammino che partiva per Roma). I due costrutti ricorrono anche per la progressiva. "Essere dietro a/essere in cammino a" + infinito (sono dietro a partire, sono in cammino a farti una sigaretta) sono riportati da Berruto (1990) per il quale rappresentano una trasposizione del modulo dialettale piemontese all'italiano popolare. In Sardegna ricorre "essere" + gerundio (Sono scrivendo una lettera). Torna al paragrafo 7.4.3 78 L'imminenziale tende a sovrapporsi alla progressiva, presentandosi, come questa, con "stare" + gerundio. Torna al paragrafo 7.4.3 79 Le congiunzioni copulative, di unione (A e B), possono esprimere anche negazione: e, né, che vale "e non", anche, neppure, nemmeno, neanche. Sia e che né possono avere un valore correlativo; a differenza di e, né non può mai essere omesso in posizione iniziale ("Ha assaggiato la torta, mangiato la pasta, e bevuto il vino, ora dorme profondamente"; "Non ha assaggiato la torta, né mangiato la pasta, né bevuto il vino, ora dorme profondamente"). Anche, insieme ad inoltre, è considerata specificamente aggiuntiva. E può avere valore avversativo ("Sembrava un angelo ed era una donna perfida e cattiva"). Torna al paragrafo 7.5 80 Le disgiuntive (A o B) comprendono o, oppure, ovvero, ossia. Semanticamente possono essere esclusive, indicare l'esclusione di uno dei due membri ("O entri in casa o ti bagni"), o inclusive quando indicano una scelta ("Non sapeva se accettare il voto o ripetere l'esame"). La congiunzione è usata talvolta con valore esplicativo, per correggere o glossare un termine o un'affermazione (L' Angelica archangelica, o sedano selvatico, è una pianta commestibile). Come e, o può assumere valore correlativo non binario e può ricorrere in una coordinazione di più elementi ("Comprerò delle rose, o dei garofani, o delle viole"). Oppure presenta delle restrizioni: non può, per esempio, essere usato davanti al primo coordinato (*Vorrebbe diventare oppure medico o veterinario). Torna al paragrafo 7.5 81 Le avversative, di contrapposizione (ma, però, tuttavia, anzi, invece, nondimeno, pure, eppure, piuttosto), possono indicare un contrasto parziale (A però B) ("La casa era grande, ma c'erano poche finestre"), o totale (non A bensì B) (Biagio non è un amico di Rocco, ma un astuto concorrente"). Hanno valore avversativo però, tuttavia, eppure, nondimeno, pure, hanno valore sostitutivo bensì, anzi, invece. Ma può avere valore avversativo e sostitutivo. Ma, però, eppure possono coordinare frasi principali, ad eccezione di bensì che può coordinare frasi subordinate, quando è negata la principale e quando la negazione si trova all'esterno delle coordinate ("Non ha detto che domani non ci sarà l'esame, bensì che comincerà l'appello con ritardo"). Ma introduce un' avversativa binaria, che non ammette più di due membri (*Voleva uscire ma pioveva, ma faceva freddo) e non può, come le altre coordinate, precedere la principale. Torna al paragrafo 7.5 82 Le conclusive, di conclusione (A quindi B) sono perciò, quindi, dunque, pertanto. E può assumere valore conclusivo ("Angelo ha studiato molto e farà un ottima prova"). Torna al paragrafo 7.5 83 Possono essere di dichiarazione (A infatti B) ("Faceva molto caldo, infatti erano tutti al mare") o di spiegazione (A cioè B) ("Quella donna è molto perfida, cioè si compiace di fare del male"). Torna al paragrafo 7.5 84 Così il congiuntivo è sostituito dall'indicativo: nei costrutti relativi alla modalità irreale, dopo verbi dichiarativi ed epistemici preceduti dalla negazione, quando il contenuto della subordinata è considerato non vero ("Non dico che è/sia partito"); nei costrutti relativi alla modalità assuntiva, con "ammettere", "presupporre" ("Ammettiamo che tu hai ragione /abbia ragione"); nei costrutti relativi alla modalità dubitativa, con verbi di opinione ("si dice che torna/torni stasera"); nei costrutti relativi alla modalità valutativa ("Sono contento che tu sei/sia qui"); nel periodo ipotetico ("Se venivi/fossi venuto, mangiavi/avresti mangiato un dolce molto buono"); nelle interrogative indirette, se il verbo sovraordinato comprende una negazione ("Non so se viene/venga"). Torna al paragrafo 7.6 85 Nell' italiano molto basso dell'Italia centro-meridionale risultano, per esempio, costruzioni con il verbo volere di provenienza dialettale: -vuoi scritta questa lettera subito? per "vuoi che sia scritta questa lettera subito?". -mia madre vuole essere spiegata la ricetta "mia madre vuole che le sia spiegata la ricetta". Torna al paragrafo 7.6 86 Egli/Ella non possono essere usati isolati (Chi è venuto?*Egli); non possono essere coordinati con altri sintagmi nominali (*Egli e Marco sono partiti ieri); non possono essere focalizzati (*Proprio egli ti ha mentito); non possono essere usati in posizione postverbale, come elemento nuovo (* È stato egli). Torna al paragrafo 7.7.1 87 Altre costruzioni sono la dislocazione a destra e a sinistra, la frase scissa, il tema sospeso, l'anteposizione anaforica. Per tutte si veda Benincà-Salvi-Frison (1988) Torna al paragrafo 7.7.2 88