CANTIERE DEL `900 Opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo Il

CANTIERE DEL ’900
Opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo
Il progetto scientifico
Cantiere del ’900. Opere dalle collezioni Intesa Sanpaolo è il nuovo progetto espositivo - proposto nelle
Gallerie di Piazza Scala, polo culturale e museale di Intesa Sanpaolo a Milano - dedicato alla presentazione
delle opere del Novecento presenti nelle collezioni della banca.
Curato da Francesco Tedeschi, il primo allestimento espositivo del progetto propone una selezione delle
opere più significative dei protagonisti e delle tendenze della seconda metà del secolo, in ambito italiano.
Le opere, circa duecento, offrono una visione multiforme della ricchezza delle direzioni di ricerca nelle quali
l’arte italiana di questo importante periodo ha raggiunto livelli di eccellenza sul piano mondiale. L’itinerario
storico-critico si articola attraverso momenti di approfondimento su singoli autori e situazioni, ma intende
anche intrecciare idee e temi che suggeriscono una lettura aperta a diverse possibilità di approfondimento.
Muovendo da tali motivazioni, l’immagine che guida questa ipotesi di lavoro è quella del “cantiere”, come
luogo simbolico di una costruzione in fieri, ma anche come metafora del processo di scavo e di ricerca.
Cantiere del ’900 è dedicato all’arte di un periodo ancora vicino, nel quale affondano le radici del presente, ma la
cui storia appare ben delineata, almeno nella conoscenza dei maggiori autori (ai quali sono stati dedicati cataloghi
generali e ragionati) e delle sue linee complessive e particolari. Nonostante questo, l’arte del Novecento necessita
di ulteriori attenzioni, non solo per verificare o confermare i valori acquisiti, ma anche per esplorare situazioni e
convergenze non ancora compiutamente sondate. La presentazione dell’arte del secondo Novecento, poi, nelle sue
diramazioni, costituisce occasione per una sua divulgazione allargata. Partendo dalle opere presenti nelle raccolte
del Novecento, che in qualche caso coprono in modo dettagliato situazioni e tendenze che meritano di essere
riprese e approfondite, scopo dell’apertura di un “cantiere del Novecento” è di offrire occasioni utili ad avviare ulteriori
esplorazioni nella conoscenza dell’arte recente - che può essere soggetta a riletture, a differenti interpretazioni, a
una pluralità di racconti per la sua stessa natura di essere testimonianza di un’epoca particolarmente ricca e
complessa -, ben esemplificata dalle oltre tremila opere del Novecento nelle collezioni Intesa Sanpaolo.
Il percorso espositivo
L’allestimento, ospitato nei luminosi ambienti della sede storica della Banca Commerciale Italiana - il palazzo
che affaccia su piazza della Scala progettato agli inizi del Novecento da Luca Beltrami e rivisitato oggi in
chiave espositiva dall’architetto Michele De Lucchi -, è organizzato in sezioni tematiche e sale monografiche,
raccolte attorno ai tre saloni principali del palazzo che, con diversa funzione, fanno in questo caso da
introduzione e cornice al percorso proposto.
Sono presentate opere realizzate secondo le diverse tecniche e poetiche proprie dell’arte del secondo
dopoguerra, suggerendo un dialogo fra scultura e pittura - o tra forme plastiche e rappresentative - e fra i
poli della ricerca artistica in Italia, in primis nel confronto fra l’ambito milanese e quello romano. Per questo i
saloni ospitano unicamente alcune sculture, che guidano verso le sale circostanti e i temi in esse presentati.
Dal punto di vista storico-critico il percorso prende le mosse dagli aspetti predominanti dell’arte italiana
dell’immediato secondo dopoguerra, portando attenzione ad alcune delle opere più significative, per
qualità e per importanza storica, che le collezioni possiedono, sui versanti delle diverse forme di astrazione
dall’immagine e di costruzione di nuove ipotesi formali. Le proposte di Lucio Fontana, dello Spazialismo e
dell’Arte Nucleare sono poste a confronto con le diverse rappresentazioni di una natura interiore delle cose,
nell’opera di autori come Afro, Giuseppe Santomaso, Renato Birolli, per passare, attraverso le soluzioni
proposte da Alberto Burri e da Emilio Vedova, al versante propriamente informale, terreno di incontro di
molte personalità che caratterizzano l’arte italiana degli anni Cinquanta. In modo parallelo, le elaborazioni
del Movimento Arte Concreta e di un’astrazione fondata nella volontà costruttiva, pur avendo valore in sé,
fungono da preludio per relazioni con il settore del design e del progetto.
Rispetto a queste direzioni, chiaramente delineate e delineabili nell’ambito dell’arte degli anni Cinquanta,
altri momenti del progetto espositivo sottolineano la molteplicità degli atteggiamenti che producono una
nuova visione dei caratteri e della funzione dell’arte negli anni Sessanta, dove l’attenzione per il racconto
e l’immagine costituiscono i punti di partenza per le esperienze assimilabili alla Pop Art, e d’altro canto le
sperimentazioni tecnologiche e le riflessioni sulle ragioni stesse del fare artistico portano a creare connessioni
fra autori come Piero Manzoni e Enrico Castellani, da una parte, e Toti Scialoja, Pietro Consagra, Giuseppe
Capogrossi dall’altra. La parola e il pensiero entrano nelle modalità creative delle tendenze affini all’Arte
Concettuale, con le quali la raccolta di Poesia Visiva delle collezioni presenta importanti confluenze, e alle
posizioni degli autori che si riconoscono nella seconda metà degli anni Sessanta all’interno dell’Arte Povera.
Le sale dedicate all’arte degli anni Sessanta e Settanta, per questo, introducono spunti di lettura allargati e
proposte di accostamenti che nascono dal carattere specifico delle opere.
Infine, per quanto riguarda le vicende dell’arte fra gli anni Settanta e Novanta, vengono enucleati alcuni temi,
come quello delle proposte che provengono da un rinnovato dialogo fra arte visiva e architettura, in grado
di far emergere una continuità di attenzione per una tradizione rappresentativa e di misurazione dello spazio
che ascende alle radici della cultura figurativa italiana, e alcuni temi e presenze che caratterizzano l’arte degli
ultimi decenni del Novecento.
La scelta di offrire una molteplicità di focali trova la sua conseguenza maggiore nella proposta di dedicare
due sale ad approfondimenti tematici particolari, che in occasione del primo piano espositivo sono riservate
una, intitolata Il colore come forma plastica. Percorso attraverso una forma di astrazione, a un tema che
attraversa l’arte dal Futurismo agli anni Novanta, quello di un’astrazione del colore che spinge la pittura a
essere una presenza fisica nello spazio, secondo una linea essenzialmente formale, che ha il suo fulcro
nell’opera di Piero Dorazio, Giulio Turcato e di altri autori del secondo dopoguerra; e l’altra a una delle
installazioni più significative elaborate nell’arte degli ultimi decenni, L’ora italiana di Emilio Isgrò, dedicata a
uno degli episodi della recente storia italiana, segno di una partecipazione dell’arte ai valori civili.
Questi due momenti del percorso espositivo, dotati di specifici materiali di complemento e di pubblicazioni
a essi riservate, assumono un importante carattere in sé e come spunto per ulteriori ipotesi di studio che
possono scaturire dai ricchi materiali presenti nelle collezioni.
La proposta espositiva si avvale di materiali di comunicazione e di approfondimento indirizzati a trasmettere
e sottolineare i contenuti che vengono presentati. In particolare, la soluzione di “impaginare” i materiali visivi
con l’accompagnamento di testi introduttivi e commenti a singole opere e la presentazione di materiali
multimediali offerti con strumentazioni aggiornate completano la più tradizionale presenza di un catalogo
che raccoglie immagini e valutazioni storico-critiche riguardanti il percorso espositivo, accompagnato da
due pubblicazioni specifiche sui due approfondimenti laterali - Il colore come forma plastica e Emilio Isgrò:
L’ora italiana -, e di audioguide in diverse lingue.
Complessivamente il filo conduttore di Cantiere del ’900 traccia un percorso nell’arte italiana dagli anni
Cinquanta agli anni Novanta, che evidenzia le correnti dell’astrazione, dell’informale, delle sperimentazioni
formali e tecnologiche, delle diverse configurazioni di nuove potenzialità espressive e di rappresentazione
dell’uomo e della società del proprio tempo, che si sono avvicendate in questo periodo. La proposta è però,
con attenzione per la nuova destinazione delle sale originariamente create per l’attività di uno dei centri del
sistema bancario italiano, di indicare la qualità e la particolarità del nuovo spazio espositivo, e occasione
per una prima presentazione delle opere appartenenti alle collezioni Intesa Sanpaolo, particolarmente ricche
e significative per il periodo considerato, che potranno fornire spunti per ulteriori occasioni di studio e
conoscenza delle sue peculiarità.
Le dodici sezioni
Ouverture 1
1. La memoria dell’immagine e la sua rimozione
2. Lucio Fontana, lo Spazialismo e il Movimento Nucleare
3. L’astrattismo “concreto” tra gli anni Quaranta e Cinquanta (il MAC - Movimento Arte Concreta)
4. La pittura oltre la pittura. Azioni, tracce, impronte
5. Forme dell’informale
6. Arte programmata e cinetica
Ouverture 2
7. Gli anni Sessanta: segni, parole, narrazioni
8. Gli anni Sessanta: le cose, le immagini
9. Attorno all’Arte Povera
10. Pratiche concettuali
11. Ipotesi costruttive
12. Prospettive di fine Novecento
I due approfondimenti monogafici
Monographia 1
Il colore come forma plastica
Percorso attraverso una forma di astrazione
Monographia 2
Emilio Isgrò, L’ora italiana
12 sezioni, 2 approfondimenti monografici, 16 sale
Ouverture 1
Il contributo degli artisti italiani alle riflessioni sulla scultura di questo periodo è di particolare importanza.
Arturo Martini nel 1945 scrive annotazioni nelle quali definisce la scultura una “lingua morta”, in particolare
quella monumentale. E proposte di una concezione “antimonumentale” della scultura si ritrovano nelle idee
e nelle opere di artisti che modificano il rapporto fra le loro realizzazioni e lo spazio, oppure ricorrono a
materiali sperimentali, oltre che a temi quotidiani. Le quattro sculture esposte in apertura del percorso sono
emblematiche dei caratteri di un periodo compreso tra gli anni Cinquanta e Ottanta.
Ettore Colla è tra i primi a costruire “assemblaggi” di materiali recuperati, piegando il ferro a costruzioni
che trovano assonanze anche con temi mitologici. Lucio Fontana usa materiali e forme scultoree in
diversi momenti della sua parabola del secondo dopoguerra, spingendosi oltre la fisicità della materia,
contemporaneamente all’epoca delle esplorazioni nello spazio. Alik Cavaliere propone, anche nel suo ruolo
di insegnante a Brera, una scultura narrativa, o “antiscultura”, in cui le forme della natura sono inserite
in rappresentazioni simboliche. Mauro Staccioli porta la scultura a dialogare con lo spazio e interpreta il
significato architettonico dei luoghi, producendo, con il movimento interno delle sue geometrie, uno scarto
che completa la razionalità delle strutture.
1. La memoria dell’immagine e la sua rimozione (Sala 1)
La contrapposizione fra realismo e astrattismo ha animato il dibattito critico in Italia alla fine degli anni
Quaranta. Una possibile posizione intermedia si riconosce nelle proposte di alcuni dei maggiori protagonisti
dell’arte del secondo dopoguerra, orientati a valorizzare i caratteri propriamente formali dell’opera. Il ricorso
all’immagine, alle forme della natura, al paesaggio, a una narrazione intima, lirica, viene progressivamente
assorbito nei percorsi della memoria. Partendo da ricordi personali, ma agendo con la forza impulsiva del
gesto pittorico e con il fascino di colori nati dalla combinazione di diverse materie, essi generano soluzioni
in cui la memoria dell’immagine viene oscurata o cancellata, per lasciare il posto alla qualità formale di una
pittura vicina all’arte informale. Le opere qui presentate, alcune delle quali esposte alla Biennale di Venezia
negli anni Cinquanta, indicano il carattere dei percorsi individuali degli autori. Ciascuno a suo modo interpreta
una nuova condizione, dove le immagini originarie - le “figure della realtà” - sono assorbite nella forma e nella
struttura del rapporto fra segni, materie e colore, fino a generare le parole di un nuovo vocabolario.
Ne sono autori artisti come Giuseppe Santomaso, Antonio Corpora, Afro e Renato Birolli, che insieme a
Mattia Moreni, Ennio Morlotti, Giulio Turcato ed Emilio Vedova costituiscono per un breve periodo il Gruppo
degli Otto, ma anche Bruno Cassinari, più orientato a una continuità di dialogo con la figurazione, o Alberto
Burri, che con Vedova e Fontana si libererà decisamente da essa per creare nuove forme, scaturite dalle
stesse tecniche adottate.
2. Lucio Fontana, lo Spazialismo e il Movimento Nucleare (Sale 2, 3, 4)
Lucio Fontana
Lucio Fontana accompagna e promuove negli anni Quaranta-Cinquanta le correnti più audaci dell’avanguardia
attiva a Milano, in rapporto con altri centri dell’arte italiana e internazionale. Nelle sue posizioni teoriche e
nelle sue opere egli pone al centro il tema dello spazio, non più sfondo o luogo della rappresentazione, ma
materia stessa dell’opera. Le superfici animate dai buchi e in seguito dai tagli, in relazione con una pittura
che si semplifica fino alla monocromia, sono punto di partenza di una spazialità che si spinge oltre l’opera.
In esse si rispecchia il fascino per la scienza e per le possibilità di scoperta dell’uomo di una nuova era, ma
anche il senso di spaesamento di fronte all’infinito e alla vertigine del vuoto.
Spazialismo e Movimento Nucleare
I temi e i miti del secondo dopoguerra sono efficacemente interpretati dalle sperimentazioni di un ampio
gruppo di giovani artisti. Tra Milano e Venezia nasce e si sviluppa il Movimento Spaziale, o Spazialismo, che
agisce in rapporto con le proposte di Fontana, in direzione di un superamento delle distinzioni tra pittura,
scultura, architettura, coinvolgendo lo spazio come materia plastica ed esplorando nuove potenzialità
pittoriche. Vicine alle ricerche degli spazialisti sono quelle del Movimento Nucleare, promosso a Milano da
Enrico Baj e Sergio Dangelo e caratterizzato dalle relazioni internazionali che essi vanno intrecciando, in
un ambito che recupera esempi surrealisti coniugati alle sperimentazioni informali. Diversi sono i punti di
incontro fra Spaziali e Nucleari, come dimostrano le opere di Gianni Dova o di Enrico Donati. Le esplorazioni
del Movimento Nucleare si allargano a includere l’attività di altri artisti, tra cui il vivace gruppo che si raccoglie
a Napoli nella seconda metà degli anni Cinquanta.
3. L’astrattismo “concreto” tra gli anni Quaranta e Cinquanta
(il MAC - Movimento Arte Concreta) (Sala 5)
Nell’immediato secondo dopoguerra si affermano forme di astrazione prive di qualsiasi riferimento alla
figura, dette “concrete”, perché rispondono ad un’autonoma ideazione e non a un distacco dalla natura. Le
iniziative dei singoli artisti, soprattutto in area milanese e romana, trovano nuova forza in aggregazioni nate
dalla necessità di creare un’area comune.
Un ruolo particolare riveste il MAC - Movimento Arte Concreta, sorto a Milano nel 1948 dall’azione di
alcuni protagonisti della breve stagione astratta degli anni Trenta, come Bruno Munari e Atanasio Soldati,
e dall’attività pittorica e teorica di autori come Gillo Dorfles e Gianni Monnet. Il MAC, sostenuto da un
“bollettino” e da molte iniziative espositive, coinvolge presto molti altri protagonisti dell’arte astratta, giovani
o già affermati, come Luigi Veronesi o Mauro Reggiani; promuove affiliazioni e gruppi nelle principali città
italiane e avvia relazioni dirette in ambito francese con il gruppo “Espace”. Le molteplici possibilità di
elaborazione delle varianti formali che sono al centro della ricerca del MAC sono indirizzate a produrre una
nuova “sintesi delle arti”. Gli sviluppi delle ipotesi plastiche proprie del linguaggio del MAC troveranno infatti
seguito anche nell’ambito della progettazione e del design.
4. La pittura oltre la pittura. Azioni, tracce, impronte (Sala 6)
La necessità di superare la pittura informale degli anni Cinquanta, considerata, alla fine del decennio,
eccessivamente ripiegata su se stessa, spinge alcuni autori a elaborare scelte che sembrano negare la
pittura, trasformando il quadro in una superficie da animare, modificare, riprogettare. Le soluzioni che
Piero Manzoni ed Enrico Castellani propongono sono indirizzate verso l’annullamento dell’immagine e
dell’espressione individuale. L’opera diviene momento di un processo fisico e operativo, dove la superficie
è luogo di “azioni” che registrano l’intervento diretto dell’autore, come nelle “impronte” di Toti Scialoja o di
Remo Bianco, e dove le “tracce” divengono segno, come nelle opere di Antonio Sanfilippo e nel motivo
tanto arcaico quanto moderno del “tridente”, proprio del linguaggio di Giuseppe Capogrossi. La pittura
diventa quasi scrittura, esprimendo l’esigenza del ritorno a una forma di comunicazione primaria. Anche
nella scultura la superficie diventa luogo di costruzione di nuove “tracce”, nella rigorosa frontalità delle opere
di Pietro Consagra. Le diverse formule qui rappresentate dimostrano la presenza di caratteri compositivi
che non si identificano in un gruppo o in una tendenza, ma suggeriscono nuovi principi formali.
5. Forme dell’informale (Sala 7)
L’informale è la condizione estetica predominante nell’arte degli anni Cinquanta. I suoi confini sono
necessariamente vaghi e al loro interno si possono individuare molteplici forme espressive. La varietà del
clima informale si può riconoscere nelle posizioni individuali e di gruppo che caratterizzano molti aspetti
dell’arte italiana del periodo. Rispetto a quanto osservato per autori come Lucio Fontana, Emilio Vedova
o Alberto Burri, qui si offre una esemplificazione delle numerose personalità attive in una delle aree più
approfonditamente rappresentate nelle collezioni Intesa Sanpaolo.
Rapporti con un “naturalismo” vissuto tramite un coinvolgimento immediato, fisico più che contemplativo, sono
presenti nell’opera di artisti attivi tra Bologna, Milano, Torino. Un certo individualismo, affine all’esistenzialismo
che pervade il modo di pensare e di sentire del tempo, costituisce un’altra fonte di soluzioni formali che vanno
oltre l’immagine senza negarla totalmente.
Altri aspetti dei linguaggi dell’informale riguardano il ricorso a materie extrapittoriche e il libero disporsi di
segni e colori all’interno dell’azione pittorica. Nelle sue varianti l’estetica informale interpreta i caratteri di
un’epoca in cui si incontrano e a volte si scontrano le spinte verso l’affermazione della libertà personale e la
tendenza all’omologazione imposta dal sistema economico e sociale.
6. Arte programmata e cinetica (Sala 10)
Le ricerche di arte programmata e cinetica si pongono l’obiettivo di attivare l’opera, mediante movimenti
reali o percettivi delle forme. La loro presentazione complessiva avviene nel 1962 in una mostra organizzata
nello spazio Olivetti in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, successivamente riproposta a Roma, Venezia
e Trieste. Le sperimentazioni sono condotte da due raggruppamenti: il Gruppo T a Milano, che riunisce
Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele De Vecchi e Grazia Varisco, e il Gruppo N
a Padova, nel quale si identificano Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi e Manfredo
Massironi. Oltre a loro svolgono ricerche in quest’ambito Enzo Mari, inserito da Bruno Munari nella mostra
milanese, e altri autori, tra cui Getulio Alviani e Dadamaino, aggiuntisi nelle mostre successive.
Le loro realizzazioni hanno come elemento qualificante i movimenti reali, prodotti da semplici motori
meccanici, o quelli percepibili attraverso la variabilità della grandezza e della direzione dei singoli elementi
che vanno a costituire l’unità visiva. Gli aspetti meccanici e i processi cinetici sottolineano la volontà di
trovare anche nella produzione meccanica e industriale una possibilità creativa originale, dove il caso entra
a far parte dell’opera, dando vita a soluzioni combinatorie in parte imprevedibili. Ciascuno degli autori di
quest’area ha maturato una specifica via di ricerca, che dal singolo pezzo si allarga a situazioni ambientali
o a progetti che trovano nell’ambito della produzione la loro destinazione.
Si inseriscono in questo raggruppamento, condividendone il clima e l’intenzione di modificare e animare la
superficie pittorica, i quadri “sagomati” di Agostino Bonalumi e Paolo Scheggi, esponenti di una tendenza
anch’essa in parte derivata dalle proposte di Lucio Fontana e dello Spazialismo.
Ouverture 2
Le sculture che introducono gli ambienti circostanti questo salone sollecitano ulteriori riflessioni sulla crisi
della monumentalità e sulla trasformazione della scultura tra gli anni Sessanta e Settanta.
Le opere di Mario Ceroli e di Pino Pascali facevano parte di complesse installazioni realizzate fra il 1967 e il
1968, di natura quasi “teatrale”, di cui il singolo elemento costituisce oggi una traccia e una memoria.
La struttura di Nicola Carrino introduce i caratteri di un nuovo “costruttivismo”, che affida all’elemento
geometrico più semplice la possibilità di invadere lo spazio, misurandolo.
La scultura di Giuseppe Maraniello genera invece un’immagine priva di peso, che pare frutto di un disegno
tracciato nello spazio, dove è accennata una forma di racconto.
Nelle loro diverse forme, queste opere interpretano la scultura come confronto con lo spazio reale, instaurando
relazioni di verticalità e orizzontalità di nuovo significato ed escludendo il carattere della presenza isolata,
assoluta e immobile, proprio della scultura di sapore e di carattere monumentale.
7. Gli anni Sessanta: segni, parole, narrazioni (Sala 11)
Negli anni Sessanta la crescente diffusione dei mass media e il loro forte impatto sulla società influenzano
l’arte visiva, che si trova al centro del dialogo fra le immagini e le parole, protagoniste della comunicazione.
Una forma di risposta a tale situazione è la trasformazione del quadro in racconto, attraverso la fusione della
pittura con immagini a stampa, sperimentata da Bepi Romagnoni in una serie di composizioni emblematiche
del nuovo clima, e in altre proposte di pittura “narrativa”.
La narrazione prende spesso forme frammentarie e accennate; diviene traccia delle suggestioni derivate
dall’esterno o scaturite da fantasie interiori, come nelle opere di Mino Ceretti e di Mario Raciti, fino a essere la
base del personale alfabeto di segni scaturiti da parole e immagini nelle elaborazioni di Achille Perilli e Gastone
Novelli. Proprio l’alfabeto, riduzione estrema e oggettiva della comunicazione a segnale visivo neutrale, è al
centro di una serie di elaborazioni enigmatiche di Jannis Kounellis. In altro modo, quasi opposto, le immagini
nelle composizioni di Gianfranco Baruchello diventano quasi parole.
Altre possibilità di racconto, attraverso figure essenziali, ispirano le liriche e aeree composizioni scultoree di
Fausto Melotti, che fra gli anni Sessanta e Ottanta giungono a gradi di invenzione che saranno universalmente
apprezzati.
8. Gli anni Sessanta: le cose, le immagini (Sala 12)
I modelli dell’Arte Pop sono da individuare negli oggetti della società dei consumi - le “cose” tendenti ad
avere valore esclusivo di “merce” - e nella loro riduzione a immagine, in una cultura prevalentemente visiva
o “iconica”. Il confronto con il realismo e con il “nuovo realismo”, che precede l’affermazione della Pop
Art internazionale, è utile a spiegare la specificità dell’Arte Pop italiana, che dal principale polo di Roma si
diffonde, con diverse caratteristiche, ad altri centri e autori.
Lo stesso Renato Guttuso, che rimane il principale esponente del realismo, si spinge oltre le formule
ideologiche dell’immediato dopoguerra, per risentire, negli anni Sessanta, di una più diretta espressione
dell’oggetto e dell’immagine, quasi a identificarsi con essa, come nel dipinto qui esposto. Le figure evocate
nelle opere di coloro che più sono in sintonia con il nuovo clima, come Giosetta Fioroni, Tano Festa, Mario
Schifano, affermano una linea italiana dell’icona pop, con riprese da Botticelli, Michelangelo, il Futurismo.
Questi e altri spunti sono filtrati dai mass media, o dalla “società dello spettacolo”, come suggerisce Mimmo
Rotella nella serie dei suoi strappi di manifesti affissi pubblicamente (décollage), direttamente ispirati al
mondo del cinema. Lo schermo, considerato da Fabio Mauri luogo e strumento esemplare della nuova
condizione, dimostra che ogni elemento della realtà può essere soggetto a uno spostamento dalla fisicità
concreta alla qualità di immagine. Questo avviene nella natura riletta in modo originale e artificiale da Mario
Schifano o da Pino Pascali, o ripresa dalle interpretazioni fornite dalla storia dell’arte, come nell’opera
di Aldo Mondino che rivisita in chiave pop la montagna che ha ispirato Cézanne. L’ingrandimento, altro
procedimento tipico del periodo, genera nuove immagini, come nella serie di Franco Angeli dedicata a una
delle “icone” più caratteristiche di un mondo unificato dall’economia e dalla politica: il dollaro americano.
Ricorrono, fra i temi del tempo, immagini di automobili o di altri status symbols, presenti o allusi nelle opere
di Valerio Adami, Gianni Bertini, Lucio Del Pezzo; ma, al di là dei temi, è sul piano del linguaggio visivo che
la pittura risente della semplificazione che caratterizza l’arte in un momento di confronto diretto con la realtà
delle immagini.
9. Attorno all’Arte Povera (Sala 13)
Il termine Arte Povera viene usato a partire dal 1967 per indicare un modo di agire e un nucleo di autori che
realizzano opere con materiali non convenzionali e che propongono un nuovo coinvolgimento fisico e mentale
dell’osservatore. La partecipazione degli artisti dell’Arte Povera alle principali manifestazioni internazionali della
fine degli anni Sessanta concorre a costituire una corrente chiaramente identificabile all’interno di un’avanguardia
che propone opere costituite da azioni temporanee, da forme di analisi del linguaggio artistico, da installazioni
che le espandono all’ambiente. Negli anni Settanta l’attività di gruppo lascia progressivamente spazio alle
posizioni individuali, che vanno a caratterizzare i singoli autori, presto affermatisi sulla scena mondiale. Le
opere qui raccolte presentano alcuni dei protagonisti dell’Arte Povera in diversi momenti della loro attività. Una
precoce definizione delle nuove ricerche è rappresentata dalla tela di Jannis Kounellis, dalla semplice struttura
oggettuale di Alighiero Boetti, dalla superficie specchiante - con un’immagine che produce un incontro fra
lo spazio fisico e quello virtuale - di Michelangelo Pistoletto, dal brano di natura “ricostruito” da Piero Gilardi.
La natura è protagonista anche dell’opera di Giuseppe Penone, che lascia traccia delle sue esplorazioni in
un’area boschiva circoscritta dove misurare il senso del tempo, e si ritrova nel dittico di Luciano Fabro, parte di
un’installazione sul tema del paesaggio realizzata nella Galleria Christian Stein di Torino. Una delle elaborazioni
compiute dallo stesso Fabro sulla sagoma dell’Italia gioca sull’inganno fra sembianza e realtà.
Il tema della rappresentazione è al centro delle opere di Giulio Paolini, qui esemplificate dallo scambio fra
visibile e invisibile nell’immagine di una statua che diventa specchio della memoria (Narciso) e da una delle
installazioni più essenziali da lui concepite, Dimostrazione, nella quale l’autore riflette in modo immediato sul
rapporto fra il “doppio” e l’“identico”. Spiaggia, di Gilberto Zorio, si può considerare proiezione o progetto
di un intervento da immaginarsi nello spazio reale.
10. Pratiche concettuali (Sala 14)
L’Arte Concettuale costituisce una forma di riflessione sugli strumenti dell’arte, al di là di qualsiasi modello
stilistico e pratico. Rielaborazione immateriale e finalizzata a produrre idee più che opere, essa ha strette
relazioni con le numerose esperienze di opere visive fondate sull’espressione verbale, e in molti casi si sofferma
a indagare i significati nascosti delle parole. Gli autori qui rappresentati si riconoscono solo in parte nell’Arte
Concettuale, in quanto procedimenti concettuali si ritrovano in opere realizzate nell’ambito del gruppo dell’Arte
Povera e di altre esperienze dell’avanguardia fra gli anni Sessanta e Settanta.
Possiamo considerare in quest’area alcune proposte concrete di riflessione sulle “pratiche concettuali” attuate
da artisti che operano attorno alla definizione del linguaggio, al rapporto tra fare e pensare, per l’affermazione di
un’identità personale che passa attraverso la misurazione del tempo o dello spazio, o sviluppano altri confronti
fra segno e significato. La parola scritta, variamente elaborata, l’annullamento del segno comunicante, la
definizione di un nuovo codice, lo scambio fra modelli di lettura (ad esempio fra musica e testo letterario) sono
alcuni dei meccanismi praticati da autori che spingono verso la concettualizzazione dell’operato artistico.
Parte delle opere esposte rientra nell’ampio e indefinibile universo delle ricerche “verbo-visive”, fondate sulla
combinazione di parole e immagini, di cui le collezione Intesa Sanpaolo custodiscono uno dei più importanti
fondi in Italia, per numero e qualità delle opere.
11. Ipotesi costruttive (Sala 15)
Negli anni Settanta si diffondono spinte a una semplificazione formale, introdotte in particolare dal minimalismo
americano. Tali istanze producono confronti con il costruttivismo della prima metà del Novecento, inteso
come elaborazione di progetti formali, spesso fondati sul rapporto fra scultura e architettura. Ne scaturiscono
strutture di affinità architettonica o progettuale, ma prive di funzione. Alle radici di tali posizioni, rappresentate
nell’arte italiana degli anni Settanta-Ottanta da autori come Mauro Staccioli e Nicola Carrino, già incontrati in
altri momenti del percorso, si può riconoscere l’esigenza di un rapporto con la storia dell’arte, nel ricorso alle
formule della prospettiva, a temi architettonici, al dialogo con uno spazio organico. Le opere di Giuseppe
Uncini, Rodolfo Aricò e Gianfranco Pardi efficacemente dimostrano tale dialogo tra il passato e il presente
della storia dell’arte; le soluzioni da loro proposte si protendono oltre il momento della loro concezione,
affermando la loro natura di opere aperte e coinvolgenti.
12. Prospettive di fine Novecento (Sala 16)
Il composito profilo dell’arte degli ultimi due decenni del Novecento è ben tracciato dalle opere delle collezioni
Intesa Sanpaolo. In questa sala sono esemplificate le direzioni della produzione artistica degli anni OttantaNovanta che più hanno contribuito a dare un’immagine del presente in cui sono proiettate.
La Transavanguardia è il raggruppamento più chiaramente identificabile nello spirito di un momento di svolta,
contribuendo al recupero in pittura di una dimensione espressiva, nella quale convergono diversi motivi propri
dell’arte di tutto il Novecento. Su un altro fronte, atteggiamenti più legati agli aspetti mentali della creazione si
possono riconoscere nelle realizzazioni di autori come Alberto Garutti e Remo Salvadori.
Il mezzo fotografico è diventato, a partire dagli anni Settanta, il luogo di altre sperimentazioni, fisiche e
mentali, qui rappresentate dalle opere di Franco Vaccari, Bruno Di Bello e Franco Vimercati. La concezione
apparentemente fredda e analitica della fotografia è il punto di partenza per l’ideazione di immagini che portano
verso soluzioni sofisticate, in cui si affiancano tecnica, magia e racconto, come si può cogliere nelle opere di
Silvio Wolf, Angelo Candiano, Marina Ballo Charmet, Grazia Toderi. Anche la pittura e la scultura, negli anni
Novanta, rileggono le ragioni di fondo del fare artistico usando libertà e ironia, in una visione che unisce il
cuore e la ragione, l’espressività e il concettualismo (da Davide Benati, Enzo Esposito, Luciano Bartolini, Luigi
Mainolfi, Paolo Iacchetti, a Stefano Arienti, Umberto Cavenago, Massimo Kaufmann). Ciascuno degli autori
qui raccolti - e altri presenti nella collezione potrebbero allargare questo orizzonte - contribuisce a uno sguardo
sulla fine del secolo ricco di attesa, ma anche di invenzione, che conduce alle prospettive del presente.
Approfondimenti monografici
Monographia 1
Il colore come forma plastica
Percorso attraverso una forma di astrazione (Sala 8)
Le opere selezionate costituiscono un percorso da intendersi con una certa autonomia, esemplificando uno
dei possibili itinerari che una collezione come quella di Intesa Sanpaolo può offrire. Le opere possono infatti
interpretare trame e intrecci che attraversano i caratteri del momento in cui sono state create, ma proiettano
i loro esiti sugli sviluppi successivi dell’arte, oltre ad avere relazioni con le fonti dalle quali traggono spunti.
La loro collocazione in una forma di allestimento o in un’altra permette infatti di leggere il loro legame con
una storia che può essere diversamente interpretata nella sua qualità dinamica.
Il colore come matrice espressiva e come mezzo compositivo è alla base di ricerche formali originali nell’arte
italiana del Novecento. Nell’esperienza futurista, e in particolare nelle ricerche di Giacomo Balla, si può già
riconoscere un’attenzione per il colore come “forma plastica”, sostanza luminosa e possibile nucleo originario
di motivi spaziali, anche tridimensionali, che spinge l’arte verso forme di astrazione. Tale proposta si fonda
su un equilibrio interno e sulla tradizione di una pittura di luce e colore dalle lontane radici, differenziandosi
da altre correnti europee della prima metà del secolo - Espressionismo, Cubismo orfico, Suprematismo e
Costruttivismo russi o Neoplasticismo olandese - dalle quali sono nate le prime elaborazioni riconoscibili di
astrazione.
Nel secondo dopoguerra gli sviluppi di un astrattismo del colore, che guardano tanto alle esplorazioni
cromatiche di Balla quanto alle sintesi formali delle correnti internazionali degli anni Trenta, di cui Alberto
Magnelli è un valido esponente, sono riprese nella ricerca di Piero Dorazio, impegnato in un’azione di
collegamento fra una via italiana e le spinte europee e americane verso l’astrazione. La sua opera va
inquadrata insieme a quella di autori come Giulio Turcato e Carla Accardi, che con lui danno vita nel 1947 al
gruppo “Forma 1” e aderiscono all’Art Club, attivo a Roma a sostegno delle tendenze astratte, e permette
di riconoscere una linea di ricerca che si estende ad altre ipotesi pittoriche, come il cromatismo di tradizione
veneta di Tancredi.
A queste esperienze si riallacciano in un certo senso le riflessioni della “pittura analitica”, che negli anni
Settanta-Ottanta dà vita a nuove soluzioni compositive in cui il colore, la linea, la traccia sulla superficie
sono le “parole” di un vocabolario diretto a rinnovare la “sintassi” del linguaggio pittorico. L’austerità delle
proposte di Mario Nigro, Giorgio Griffa ed Elio Marchegiani dialoga con le “forme di colore” di Claudio Olivieri
o Valentino Vago. All’espansione delle trame cromatiche di Piero Dorazio corrisponde la nuova formulazione
di trasparenze geometriche nelle opere di Vittorio Matino.
Fra gli anni Ottanta e Novanta, in un nuovo clima di rarefazione e concentrazione di ipotesi espressive che
si spingono oltre la pittura, il colore diventa presenza sensibile nelle opere di Ettore Spalletti, Domenico
Bianchi e Marco Tirelli, diverse tra loro nell’interpretare le tensioni a una “tangibilità” della forma.
Monographia 2
Emilio Isgrò, L’ora italiana (Sala 9)
Con questo approfondimento si intende prendere in esame un’opera o un nucleo di opere omogeneo
della collezione Intesa Sanpaolo, che richiede una lettura più approfondita rispetto al suo inserimento in un
percorso continuo.
L’allestimento di questa sala è dedicato a L’ora italiana di Emilio Isgrò.
Il processo della cancellatura costituisce il modello compositivo prioritario di Isgrò dagli anni Sessanta.
Dalla copertura della parola nascono ulteriori possibilità di produrre significati che hanno a che fare con
la negazione dell’immagine o con la rimozione della memoria, potendo assumere toni narrativi, elegiaci,
drammatici, fino a includere, come in questo caso, anche valori civici.
L’ora italiana si collega alle tragiche vicende che hanno colpito l’Italia fra la fine degli anni Sessanta e i primi
anni Ottanta, di cui la strage di Bologna del 2 agosto 1980 è il momento topico, immortalato all’esterno della
stazione da un orologio fermo a segnarne l’ora. Senza entrare nella diretta ed esplicita rappresentazione
di fatti e persone, Isgrò partecipa con un gesto artistico a una possibile rilettura della storia collettiva, che
passa attraverso i frammenti di ricordi e la loro associazione nel contesto che tende a negarli, distanziandoli
da noi e dal tempo che continua la sua inarrestabile corsa.
La grande installazione elaborata da Isgrò nel 1986 è composta da venti tondi, identici per il formato e per la
tecnica con cui sono stati realizzati. Ciascuno di essi si completa con un orologio, che attribuisce un ulteriore
significato ai lacerti di immagini visibili. Le figure di personaggi fantasmatici sono tratte da fotografie di
cronaca, che emergono e scompaiono nel colore bianco-calce usato dall’artista per generare la sensazione
di uno svuotamento della scena. Questi frammenti costituiscono accenni liberamente associabili a fatti
e situazioni immersi in un tempo quotidiano che scorre con apparente ripetitività, anche quando i fatti di
cronaca e i momenti drammatici che ne segnano gli episodi salienti vanno a interromperla, modificandone
la sostanza e la percezione.