Ipsoa - Lavoro autonomo in ambito internazionale di Cardone

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Titolo del capitolo
Capitolo I
LA PRESTAZIONE DI LAVORO AUTONOMO:
GENERALITÀ1
È a cura di Piergiorgio Valente e Paola Salazar il paragrafo 1.1. I paragrafi 1.2 e 1.3 sono a cura di Paola Salazar e Caterina Alagna. I paragrafi da 1.4 a 1.7 sono a cura di Piergiorgio Valente e Raffaele Rizzardi.
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
I. LA PRESTAZIONE DI LAVORO AUTONOMO: GENERALITÀ
Sommario: 1.1 Premessa 1.2 Le caratteristiche del lavoro autonomo: profili civilistici 1.2.1 Il
contratto d’opera 1.2.2 La prestazione di lavoro autonomo 1.3 Il lavoro autonomo e parasubordinato: profili giuslavoristici 1.3.1 Autonomia, subordinazione e para-subordinazione nella giurisprudenza 1.4 Il lavoro autonomo svolto all’estero: profili fiscali 1.4.1 La residenza fiscale del lavoratore autonomo e il suo centro degli interessi vitali: cenni e rinvio 1.4.2 La base fissa
all’estero del lavoratore autonomo residente in Italia 1.4.3 La prestazione in Italia del lavoratore
autonomo residente all’estero 1.5 Abstract 1.6 Riferimenti 1.7 Appendice
1.1 PREMESSA
Il lavoratore autonomo è una figura prevista dal diritto civile italiano, definita
dall’art. 2222 c.c. come colui che si obbliga a compiere, verso un corrispettivo,
un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente1.
La figura identifica quindi l’attività dei cd. liberi professionisti e dei lavoratori
autonomi (i.e., artigiani, commercianti), con esclusione delle figure imprenditoriali2.
È possibile distinguere due categorie, corrispondenti, rispettivamente, alle prestazioni di tipo manuale e a quelle di carattere intellettuale. In quest’ultima categoria rientrano le libere professioni, mentre i lavoratori autonomi che effettuano prestazioni di
tipo manuale sono i commercianti, gli artigiani, gli agricoltori-allevatori e, in generale,
quelli comunemente definiti “piccoli imprenditori”.
Nel lavoro autonomo rientrano alcune forme di collaborazione cd. para-subordinata
o coordinata, inserita nell’organizzazione dell’imprenditore committente. Rientrava in
questa forma, il contratto di collaborazione a progetto3, il quale ha sostituito (in parte)
il contratto di collaborazione coordinata e continuativa (v. infra).
A differenza del lavoratore subordinato, il lavoratore autonomo assume
un’“obbligazione di risultato” e non di mezzi: egli, cioè, non si obbliga a mettere
direttamente a disposizione la propria forza lavoro per un determinato tempo in un
Il Titolo III del Libro V del codice civile è suddiviso in due capi, uno rubricato “disposizioni generali” contenente
l’assetto normativo del contratto d’opera (artt. 2222–2228), e l’altro “delle professioni intellettuali” (artt. 2229–2238).
2 L’inserimento di una particolare e specifica disciplina del lavoro autonomo nel corpus del codice civile si ricollega all’esigenza avvertita dal Legislatore di differenziare e contrapporre al lavoro nell’impresa (sia organizzativogestionale dell’imprenditore, che esecutivo-attuativo dei collaboratori subordinati) una fattispecie diversa di attività, svolta da soggetti in posizione di estraneità e terzietà rispetto alla normale struttura produttiva dell’impresa
stessa (cfr. Cottino G., “I cinquant’anni del codice civile: il libro del lavoro”, in GC, 1993, I; Cagnasso O.,
“Opera (contratto di)”, in Digesto comm., X, Torino, 1994, p. 326). L’obiettivo di fondo del codice è quello di
pervenire ad una complessiva regolamentazione del lavoro «in tutte le sue forme organizzative ed esecutive, intellettuali e
manuali»: in tale quadro, il lavoro autonomo rientra tra gli strumenti giuridici a disposizione dell’impresa per
compiere operazioni contrattuali di mercato esterne, funzionalmente integrabili nella sua attività (cfr. Perulli A.,
“Il diritto del lavoro tra crisi della subordinazione e rinascita del lavoro autonomo”, in LD, 1997, p. 176).
3 Il lavoro a progetto era disciplinato dagli artt. 61–69 D.Lgs. n. 276/2003, abrogati dall’art. 52 del D.Lgs. 15
giugno 2015, n. 81 il quale ne ha previsto, altresì, il graduale superamento. Il decreto, attuativo della L. n.
183/2014 (Jobs Act) ha infatti stabilito che tali norme “continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto” alla data di entrata in vigore del decreto, ossia in atto alla data del 25 giugno 2015.
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determinato luogo, ma garantisce al committente del lavoro il raggiungimento di determinati risultati entro una scadenza temporale stabilita contrattualmente.
Il lavoratore autonomo svolge, quindi, la propria attività con mezzi prevalentemente propri e non del committente, e con piena discrezionalità quanto a tempo, luogo e modalità della prestazione. Non ha dunque vincoli di subordinazione nei confronti del committente, il quale non dispone dei poteri direttivi, di controllo e disciplinari tipici del datore di lavoro. In ogni caso, il prestatore di lavoro autonomo è tenuto
al rispetto dei termini e delle condizioni previste nel contratto di collaborazione stipulato col committente.
Lo svolgimento all’estero di attività lavorativa, in assenza di vincoli di subordinazione nei confronti del committente, solleva alcune criticità sul piano fiscale, le quali
vanno affrontate tenendo in considerazione, da un lato, lo status personale del lavoratore autonomo, dall’altro, le modalità di svolgimento della prestazione.
1.2 LE CARATTERISTICHE DEL LAVORO AUTONOMO: PROFILI
CIVILISTICI
1.2.1 Il contratto d’opera
Diritti ed obblighi del lavoratore autonomo sono di norma disciplinati, nei rapporti con il committente, da un contratto d’opera manuale o intellettuale.
La figura del contratto d’opera di cui all’art. 2222 c.c. non include tutti i contratti
relativi alla prestazione di un’opus. Esso disciplina solo una forma di lavoro autonomo
(caratterizzata dall’indivisibilità dell’oggetto in ragione del tempo) che, pur presentando connessioni normative con altre tipologie di prestazioni d’opera di cui al Libro IV
c.c., ne rimane concettualmente e disciplinarmente distinta in ragione del profilo sociale che ne giustifica la collocazione nel Libro V4.
Ai sensi dell’art. 2222 c.c., gli elementi distintivi del contratto d’opera sono:
 l’obbligazione avente per oggetto il compimento di un’opera o un servizio5;
 la previsione di un corrispettivo;
 l’utilizzazione di lavoro prevalentemente od esclusivamente proprio quale fattore della prestazione;
Vi è anche chi ha sostenuto (cfr. Giacobbe G., “Lavoro autonomo”, in ED, XXIII, Milano, 1973, p. 423) che
allorché il lavoro autonomo assume la veste di un contratto regolato nel Libro IV c.c. sarebbe escluso
dall’applicabilità delle disposizioni generali del Libro V. Secondo altri autori, è possibile l’estensione in via integrativa della disciplina generale del contratto d’opera per colmare eventuali lacune normative, col duplice limite
della mancanza di norme specifiche e della compatibilità con la figura da regolare (cfr. Santoro Passarelli F.,
“Opera (contratto di)”, in NN.D.I, XI, Torino, 1965, p. 985).
5 Quanto alla definizione dei concetti di opera o servizio, costitutivi della fattispecie codicistica quale oggetto del
contratto, il primo designa il risultato di un’obbligazione di facere inteso come modificazione dello stato preesistente di una cosa al fine di creare una res nova (creazione, distruzione, assemblaggio, riparazione, ecc., con parziale deviazione rispetto al contratto d’opera intellettuale che non sempre si concretizza in un risultato). Il secondo appare più sfumato ed indefinito, implicando una non modificazione di stato (della materia) intesa in
senso dinamico, di attività collegata al soggetto e senza riguardo al risultato, diretta comunque ad arrecare utilità
economica e a soddisfare interessi durevoli (cfr. Pedrazzoli M., “Dal lavoro autonomo al lavoro subordinato”,
in AA.VV., Impresa e nuovi modi di organizzazione del lavoro, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Salerno
22-23.5.1998, Milano, 1999, p. 143).
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
 l’assenza di un vincolo di subordinazione;
 una certa episodicità ed estemporaneità del rapporto, che si sostanzia
nell’esecuzione del singolo incarico che soddisfa l’interesse del committente6.
Il contratto d’opera si caratterizza e si distingue da quello di lavoro subordinato
per lo svolgimento della prestazione per conto di altri e previo compenso senza che ricorra alcun vincolo di subordinazione ed in condizioni di assoluta indipendenza7. Esso
è contraddistinto dall’intuitus personae, avendo ad oggetto una prestazione infungibile nella quale il prestatore d’opera non può farsi sostituire da altri se non col consenso del committente8.
Siffatta connotazione non è messa in discussione dall’eventuale concorso
dell’apporto lavorativo di soggetti terzi, purché sia salvaguardato il dato della prevalenza, anche se non necessariamente dell’esclusività, della prestazione del soggetto
prescelto in ragione delle sue qualità personali di ordine tecnico, al quale compete la
direzione e la responsabilità dell’opera.
Anche il contratto d’appalto si caratterizza in ragione dell’obbligo dell’appaltatore
di compiere, dietro corrispettivo, un’opera o un servizio9, senza subordinazione nei
confronti del committente e con gestione del rischio da parte del primo. Le tipologie
contrattuali in commento, che il codice inquadra, in ragione delle caratteristiche fondamentali, nell’ambito del lavoro autonomo si distinguono a seconda che l’opera o il
servizio siano compiuti mediante l’organizzazione d’impresa (contratto d’appalto) oppure con il lavoro personale del prestatore d’opera (contratto d’opera)10.
Una persona giuridica o una società possono obbligarsi al compimento di
un’opera o di un servizio dietro corrispettivo, ma in tale circostanza, giacché il risultato dedotto in contratto sarà raggiunto dietro allestimento di un’organizzazione strutturata di beni e servizi, si ricade piuttosto nell’ambito di applicazione del contratto di
appalto11.
Quanto alle differenze tra le due tipologie contrattuali, si può rilevare:
 la non identità tra il disposto dell’art. 2224 c.c. e quello dell’art. 1662 c.c.
sull’esecuzione dell’opera: nel contratto d’opera il committente può fissare un
Cfr. Ferraro G., “Dal lavoro subordinato al lavoro autonomo”, in AA.VV., Impresa e nuovi modi di organizzazione
del lavoro, Atti delle giornate di studio di diritto del lavoro, Salerno 22-23.5.1998, Milano, 1999, p. 24.
7 Per approfondimenti sul trattamento del lavoro dipendente cfr. Valente P., Mattia S., Salazar P., Lavoratori
all’estero: disciplina fiscale, giuslavoristica e previdenziale, IPSOA, 2014, p. 127 ss..
8 L’art. 2222 c.c., facendo riferimento espressamente al lavoro personale (“proprio”) del prestatore, implica una
naturale coincidenza tra il soggetto che promette la prestazione e colui che deve eseguirla (cfr. Lega C., “Il contratto d’opera”, in Tratt. Borsi, Pergolesi, Padova, 1960, p. 501).
9 Cfr. Cagnasso O., “La somministrazione”, in Tratt. Rescigno, 9, III, Torino, 1984, p. 409; Rosapepe R.,
“L’appalto”, in AA.VV., Contratti d’impresa, Milano, 1993, p. 240.
10 Cfr. De Nova G., Il tipo contrattuale, Padova, 1974, p. 97; Rubino D., Iudica G., “Dell’appalto”, in Comm. Scialoja, Branca, sub art. 1655, Bologna-Roma, 1992, p. 29.
11 Secondo la giurisprudenza, lo spartiacque tra contratto d’opera e d’appalto risiede nella presenza, in un caso,
del lavoro del contraente (pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore secondo il modulo organizzativo della piccola impresa desumibile dall’art. 2083 c.c.); nell’altro, in una organizzazione
stabile d’impresa, nella quale l’appaltatore si avvale del lavoro subordinato altrui (Cass. n. 2115/2004; Cass. n.
7307/2001; Cass. n. 7606/1999; Cass. n. 5451/1999; Cass. n. 2916/1989).
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termine congruo per rispettare le condizioni pattuite, mentre nel contratto di
appalto il mancato rispetto provoca de iure la risoluzione per inadempimento;
 le diverse norme per la determinazione del corrispettivo: l’art. 2225 c.c. impegna il giudice a tenere in considerazione il valore dell’opera e del lavoro per la
sua realizzazione, mentre nulla prevede, a proposito dell’appalto, l’art. 1657
c.c.;
 la previsione di termini abbreviati per la denuncia di difformità o vizi
dell’opera.
Quanto all’analogia di disciplina, si rileva che l’art. 2226 c.c. rinvia all’art. 1668 c.c.
circa la regolamentazione dei diritti del committente in caso di difformità e vizi
dell’opera; vi è poi identità nella formulazione degli artt. 1671 c.c. e 2227 c.c., nonché
una corrispondenza di contenuti tra gli artt. 1672 c.c. e 2228 c.c. sull’impossibilità
dell’esecuzione dell’opera.
1.2.2 La prestazione di lavoro autonomo
Ogni attività umana economicamente rilevante può essere svolta in regime di autonomia o subordinazione; la qualificazione del rapporto dipende dalle concrete modalità della prestazione e non dal tipo di attività svolta.
Punto di partenza di qualsivoglia operazione qualificatoria ed applicativa è la sussistenza del cd. “vincolo di subordinazione”, in quanto la mancanza dello stesso consente
di individuare il lavoratore autonomo come colui che rende la prestazione secondo lo
schema del contratto d’opera di cui all’art. 2222 c.c.12.
Superata progressivamente la pretesa di tracciare una linea distintiva sulla base:
 della contrapposizione obbligazione di mezzi/di risultato13;
 della distinzione tra contratti a prestazione istantanea ovvero ad esecuzione
periodica14;
 dell’assenza/presenza dell’elemento del rischio15;
 della dichiarazione di volontà contrattuale dei contraenti16;
è opportuno concentrarsi sulle modalità attuative della prestazione, che nel lavoro autonomo non vengono strutturate e pianificate dalla controparte nel perseguimento del suo interesse primario, essendo invece il prestatore il soggetto che organizza il proprio programma di lavoro.
Cfr. Montuschi L., “Il contratto di lavoro tra pregiudizio ed orgoglio giuslavoristico”, in LD, 1993, p. 44.
Se è vero che il lavoratore subordinato espleta sempre un’obbligazione di mezzi, non è reciprocamente vero
che quello autonomo si obbliga sempre ad un risultato.
Per approfondimenti cfr. Valente P., Mattia S., Salazar P., Lavoratori all’estero: disciplina fiscale, giuslavoristica e previdenziale, IPSOA, 2014, p. 127 ss..
14 Cfr. Grandi M., “Rapporto di lavoro”, in ED, XXXVIII, Milano, 1987, p. 325.
15 Che è effetto naturale del contratto d’opera e che vale solo quale criterio orientativo esterno alla causa del
contratto, non offrendo dunque solidi parametri distintivi. Cfr. Corrado R., Trattato di diritto del lavoro, Torino,
1966.
16 La quale funge da fattore di supporto nelle situazioni di palese ambiguità, divenendo apprezzabile in sintonia
col reale atteggiarsi del rapporto. Cfr. Mazzotta O., “Autonomia individuale e sistema del diritto del lavoro”, in
GDLRI, 1991, p. 497.
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Partendo dal presupposto che oggetto dello scambio è sempre il compimento di
un’opera o di un servizio, ne discende che
ogni attività richiede elementi di autonomia esecutiva e di subordinazione a regole tecniche, ma solo la
subordinazione consente al committente una piena e costante facoltà di intervento sulle modalità organizzative interne della prestazione, per mezzo di un potere di direzione inerente allo svolgimento del rapporto di lavoro.
Nei casi in cui non sia possibile rinvenire una specifica etero-direzione della prestazione, finalizzata continuativamente alla realizzazione dell’interesse dell’impresa/committente, non si individua alcuna subordinazione.
Rileva altresì l’indagine rigorosa delle modalità effettive di esecuzione della
prestazione: non si deve considerare soltanto genericità e tipicità delle mansioni svolte,
ma è opportuno verificare la sussistenza o meno di un vincolo di soggezione al potere
direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che si concretizzi in ordini
specifici e nell’esercizio di un’assidua attività di vigilanza17.
Qualora le modalità di svolgimento del rapporto non dovessero consentire una
compiuta valutazione in ordine all’assoggettamento o meno al potere direttivo altrui,
occorre far riferimento a criteri ulteriori quali, collaborazione, continuità, orario, versamento dei contributi, pagamento periodico della retribuzione, che sebbene non autonomamente decisivi, possono essere utilizzati quali indizi della sussistenza della subordinazione.
Un rapporto di lavoro subordinato può trasformarsi in un rapporto di lavoro autonomo, ma l’effettività di siffatta novazione presuppone, oltre alla enunciazione ad
opera delle parti di un diverso nomen juris – a dimostrazione della concorde volontà di
trasformare il regime giuridico derivante dal preesistente accordo – anche un reale mutamento dello svolgimento delle prestazioni lavorative come conseguenza del venir
meno del vincolo di assoggettamento del lavoratore al datore di lavoro, ancorché rimanga sostanzialmente immutato l’oggetto della prestazione18.
L’accertamento in concreto dell’effettiva natura del rapporto di lavoro (come autonomo o subordinato) è questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito.
In tal modo, si dà rilievo alle modalità di esecuzione del rapporto, più che alle dichiarazioni contrattuali delle
parti dello stesso.
18 Sulla base di tali presupposti, è stata ritenuta di lavoro autonomo l’attività dei pony express in quanto non stabilmente inserita nel ciclo produttivo, avendo il lavoratore la possibilità di accettare o meno l’incarico (Cass. n.
811/1993). In favore dell’autonomia si sono anche espressi i giudici a proposito delle indossatrici di moda (Pretura di Milano, sentenza del 29.4.1988), del sanitario in visita periodica ai pazienti di un’azienda termale (Cass. n.
5389/1994), dell’insegnante di autoscuola avente piena libertà di svolgimento del servizio e impiego di energie
lavorative (Cass. n. 2042/1990), degli animatori turistici privi di qualunque vincolo di messa a disposizione continuativa (Pretura di Cagliari, sentenza del 28.2.1985), degli istruttori ginnici alle cui necessità la palestra si adeguava nel formulare i programmi e che potevano farsi sostituire qualora non disponibili e che lavoravano nel
contempo per altre palestre, rispondendo professionalmente della qualità del servizio (Cass. n. 11329/1996), del
venditore d’auto soggetto unicamente a direttive generiche da parte del datore di lavoro (Tribunale di Roma,
sentenza del 31.1.1990).
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Tavola 1 – Lavoro autonomo e attività imprenditoriale
La nozione di “impresa” di cui al codice civile italiano, nella forma della grande e della piccola impresa,
dovrebbe accomunare tutti i “produttori professionali” di attività, a prescindere dalle sue modalità di esercizio. In tal modo, verrebbe meno la distinzione tra lavoro autonomo e piccolo imprenditore, il quale può
parimenti auto-organizzarsi19.
Secondo altra tesi – a parte la sussistenza di due categorie di impresa tipologicamente distinte (la piccola
impresa, in cui l’attività del soggetto è componente essenziale del processo produttivo, e la medio-grande impresa, in cui l’attività si manifesta in termini puramente organizzativi del processo)20 – è proprio l’elemento
dell’organizzazione (come scelta, raccolta e combinazione dei fattori produttivi) a permanere quale fattore
di differenziazione tra impresa (inclusa la piccola impresa) e lavoro autonomo21.
Nella piccola impresa, accanto allo svolgimento professionale dell’attività si pone sempre il fattore organizzativo, che, seppur minimo, supera quello della produttività individuale tipica del lavoratore autonomo,
che si limita a svolgere l’attività con l’impiego dei mezzi necessari per l’applicazione delle competenze
tecnico-professionali possedute22.
La giurisprudenza, che si è occupata della questione con riferimento all’attività degli agenti, ha ricondotto
la prestazione nell’alveo del lavoro autonomo, quando l’attività consiste, nella realtà fattuale,
nell’espletamento di una prestazione con carattere prevalentemente personale. Qualora, invece, l’agente
abbia organizzato la propria attività assumendo la veste giuridica di struttura societaria, limitandosi a dirigere e coordinare i propri collaboratori, non si ha una prestazione di lavoro autonomo, dal momento che
una persona giuridica non può essere parte di un contratto d’opera (Cass. n. 2509/1997; Cass. n.
11945/1992)23.
1.3 IL LAVORO AUTONOMO E PARA-SUBORDINATO: PROFILI
GIUSLAVORISTICI
Sul piano giuslavoristico, risulta di grande rilevanza pratica ricostruire l’evoluzione
che la materia ha registrato negli ultimi anni, soprattutto per garantire il corretto inquadramento della prestazione del lavoratore autonomo e para-subordinato secondo
l’ordinamento interno attualmente vigente, alla luce delle rilevanti novità introdotte dal
Jobs Act (L. 10 dicembre 2014, n. 183) e dai suoi decreti attuativi tra i quali spicca significativamente il D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 ed in particolare le disposizioni degli artt.
2, 52 e 54.
Per fare ciò non si può che partire richiamando ancora una volta il già citato art.
2222 c.c. ma questa volta in contrapposizione all’art. 2094 c.c., il quale fornisce la definizione di lavoratore subordinato. L’art. 2094 c.c. qualifica infatti prestatore di lavoro
subordinato chi “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio
lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Cfr. Galgano F., Diritto commerciale, I, L’imprenditore, Bologna, 1991.
Cfr. Ferro Luzzi P., “L’impresa”, in AA.VV., L’impresa, Milano, 1985.
21 Cfr. Oppo G., Diritto d’impresa, scritti giuridici, Padova, 1992, p. 281.
22 Cfr. Franceschelli R., Impresa e imprenditori, Milano, 1972, p. 147.
23 Conforme a tale orientamento si è rivelata la pronuncia che ha rinvenuto il difetto del connotato della personalità della prestazione nell’attività dell’agente organizzato non come persona fisica, ma come società, anche se
di persone (Cass. n. 2509/1997; Cass. n. 11651/1991). Si ammette, però, in taluni casi, una coincidenza tra le
due figure ogniqualvolta il lavoratore autonomo impieghi fattori produttivi esterni ed ulteriori rispetto
all’apporto personale. Cfr. Sandulli P., “Lavoro autonomo e parasubordinazione”, in Tratt. Rescigno, 15, I, 2, Torino, 1986, p. 1421; Santoro Passarelli G., “Lavoro autonomo”, in EG, XVIII, Roma, 1990, p. 2.
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Pertanto, sulla base delle disposizioni codicistiche, l’elemento distintivo principale
caratterizzante le due diverse fattispecie “tradizionali”, così come definite dalla legge,
sarebbe costituito dal requisito della “subordinazione” come delineato dall’art. 2094 c.c. e
quale fattore di identificazione del rapporto di lavoro subordinato in senso stretto.
Sulla base di tale “cristallina” distinzione, sembrerebbe possibile ricavarne che nel nostro ordinamento giuridico non sarebbero ammesse “ipotesi intermedie”, come a
voler attribuire ai concetti di autonomia e subordinazione confini così chiari da non
poter dare luogo a equivoci di sorta quando sia necessario procedere alla qualificazione del rapporto di lavoro in termini di autonomia o in termini di subordinazione24. In
realtà, come ben sanno tutti gli studiosi e gli interpreti della materia, così non è25.
Nell’ordinamento giuridico è presente anche la para-subordinazione ovvero quella
forma di collaborazione autonoma in cui la prestazione personale del collaboratore è
resa con una certa continuità ed in stretto coordinamento con l’organizzazione del
committente.
Non solo, il Legislatore, negli ultimi anni, ha voluto anche distinguere, nell’ambito
della para-subordinazione, la posizione di coloro che non potevano ricondurre la loro prestazione lavorativa a vere e proprie attività professionali più o meno regolamentate (i collaboratori a progetto disciplinati dagli artt. 61–69 D.Lgs. n. 276/200326) da
coloro che, invece, erano chiamati a svolgere prestazioni di tipo para-subordinato
(quindi personali, continuative e in coordinamento con il committente) sulla base delle
disposizioni dell’art. 2222 c.c. – perché titolari di partita IVA – ma entro una cornice
di tipo regolamentare analoga a quella delle professioni intellettuali così come previste
24 Come affermato in dottrina: “la delicata funzione discriminatoria rispetto al lavoro autonomo è affidata ad un elemento – il
cd. vincolo di subordinazione – dai contorni sfuggenti ed imprecisati individuandosi – genericamente – il lavoro autonomo laddove
non sia rinvenibile una precisa situazione di subordinazione. È insomma il cd. «vincolo di subordinazione» che, nella variegata tipologia di fattispecie negoziali concorrenti al fine di procurare la disponibilità della prestazione di attività lavorativa altrui sarà in
grado di far risaltare (…) attività del lavoratore subordinato quella del prestatore d’opera di cui all’art. 2222 c.c.” (Perulli A., Il
lavoro autonomo, op. cit., p. 176).
25 In dottrina cfr. Perulli A., Il lavoro autonomo, Giuffrè, Milano, 1996; Carinci F., De Luca Tamajo R., Tosi P.,
Treu T., Il rapporto di lavoro subordinato, UTET, Torino, 1998; Ferraro G., “Il lavoro autonomo”, in Cinelli M.,
Ferraro G., Mazzotta O., a cura di, Il nuovo Mercato del Lavoro dalla riforma Fornero alla legge di stabilità, Giappichelli Editore, Torino, 2013; Santoro Passarelli G., “Il lavoro subordinato. L’identificazione della fattispecie”,
in Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, n 1/2014; Lepore A., “Gli indici giurisprudenziali di identificazione della fattispecie lavoro subordinato”, in Diritto e processo del lavoro e della previdenza sociale, n. 4/2006; Perulli
A., Il lavoro autonomo. Il contratto d’opera e il contratto d’opera intellettuale, Giuffrè, Milano, 2014.
26 L’impianto normativo delineato dal D.Lgs. n. 276/2003 in materia di collaborazioni coordinate e continuative
mirava a ricondurre tutte le forme di collaborazione di tipo para-subordinato al nuovo tipo legale del “lavoro a
progetto”, facendo salve alcune limitate eccezioni:

le collaborazioni occasionali (cd. mini co.co.co.) intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non
superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla
persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente
percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo committente, sia superiore a € 5000,00;

le collaborazioni rese nei confronti delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate ed agli Enti di promozione sportiva riconosciuti
dal CONI;

i rapporti di collaborazione instaurati con i componenti di organi di amministrazione e controllo di società;

l’attività svolta dai partecipanti a collegi e commissioni;

le collaborazioni svolte da coloro che percepiscono pensione di vecchiaia.
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dagli artt. 2229 e ss. c.c. (i collaboratori autonomi ex art. 69bis D.Lgs. n. 276/2003,
abrogato a decorrere dal 25 giugno 2015 dal D.Lgs. n. 81/2015, art. 52).
Il Legislatore, con l’approvazione della L. 10 dicembre 2014, n. 183 (Jobs Act) ha
previsto il graduale superamento di tutte le forme di collaborazione coordinata e continuativa non riconducibili all’esercizio di professioni intellettuali o regolamentate27.
Ciò è stato fatto secondo quel criterio di prevalenza del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato che caratterizza tutta la riforma del lavoro avviata alla fine
del 2014, così come affermato nell’art. 1 del D.Lgs. n. 81/2015 il quale stabilisce: “il
contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato costituisce la forma comune di rapporto di lavoro”28. Tale lavoro di riordino ha portato non solo all’abrogazione delle disposizioni in
materia di lavoro a progetto (artt. 61–69 D.Lgs. n. 276/2003) ma anche
all’abrogazione della disposizione introdotta dalla riforma Fornero (art. 69bis D.Lgs.
n. 276/2003) che aveva individuato un sistema di “verifica” con presunzione di “subordinazione” della prestazione in presenza di determinati requisiti determinando, in sostanza, un inasprimento dei criteri per la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative, riguardanti soggetti titolari di partita IVA29.
Si è così assistito nel tempo all’introduzione nel nostro ordinamento giuridico del
“tipo” lavoro a progetto – già disciplinato dagli artt. 61–69 D.Lgs. n. 276/2003 – ed alla sua successiva abrogazione ad opera dell’art. 52 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81 il
quale ne ha previsto, altresì, il graduale superamento. Il decreto attuativo della L. n.
183/2014 (Jobs Act) ha infatti stabilito che le norme di cui agli artt. da 61 a 69bis del
Per un primo commento sulle novità recate dalla riforma cfr. Santoro Passarelli G., I rapporti di collaborazione
organizzati dal committente e le collaborazioni continuate e continuative ex art. 409 c.p.c., in
http://www.pietroichino.it/wp-content/uploads/2015/11/Santoro-Passarelli.XI15.pdf; Rausei P., Tutto Jobs
Act, Ipsoa, 2016; Razzolini O., “La nuova disciplina delle collaborazioni organizzate dal Committente. Prime
considerazioni”, in Commentario breve alla riforma Jobs Act, Cedam, Padova, 2016.
28 In merito alle finalità generali della riforma sul piano della revisione delle tipologie contrattuali cfr. Zilio
Grandi G., “Uno sguardo d’insieme: quale subordinazione e quale autonomia nel Jobs Act?”, in Commentario breve alla riforma Jobs Act, Cedam, Padova, 2016.
29 L’art. 69bis del D.Lgs. n. 276/2003 prevedeva infatti:
“1. Le prestazioni lavorative rese da persona titolare di posizione fiscale ai fini dell’imposta sul valore aggiunto sono considerate,
salvo che sia fornita prova contraria da parte del committente, rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, qualora ricorrano almeno due dei seguenti presupposti:
a) che la collaborazione con il medesimo committente abbia una durata complessiva superiore a otto mesi annui per due anni consecutivi;
b) che il corrispettivo derivante da tale collaborazione, anche se fatturato a più soggetti riconducibili al medesimo centro
d’imputazione di interessi, costituisca più dell’80 per cento dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore
nell’arco di due anni solari consecutivi;
c) che il collaboratore disponga di una postazione fissa di lavoro presso una delle sedi del committente.
2. La presunzione di cui al comma 1 non opera qualora la prestazione lavorativa presenti i seguenti requisiti:
a) sia connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi, ovvero da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività;
b) sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai
fini del versamento dei contributi previdenziali di cui all’articolo 1, comma 3, della legge 2 agosto 1990, n. 233.
3. La presunzione di cui al comma 1 non opera altresì con riferimento alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi
professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni. Alla ricognizione delle predette attività si provvede con decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, da emanare, in fase di prima applicazione, entro tre mesi dalla data di entrata in vigore
della presente disposizione, sentite le parti sociali (…)”.
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
D.Lgs. n. 276/2003 sono abrogate ma “continuano ad applicarsi esclusivamente per la regolazione dei contratti già in atto” alla data di entrata in vigore del decreto, ossia in atto alla data del 25 giugno 2015. Nella pratica, tuttavia, la maggior parte degli operatori ha cercato di avviare la revisione – già entro la fine del 2015 – dei contratti di collaborazione a
progetto ancora in essere. Ciò, essenzialmente, per non incorrere nel rischio di riqualificazione del rapporto di lavoro a partire dal 1° gennaio 2016 stabilito dall’art. 2 del
D.Lgs. n. 81/2015.
Con il superamento del contratto di collaborazione a progetto operato dal Jobs
Act (D.Lgs. n. 81/2015, artt. 2 e 52), il Legislatore ha però confermato la disposizione
di cui all’art. 409 c.p.c. determinando una sorta di “reviviscenza” delle collaborazioni
coordinate e continuative – senza progetto – così come le si conoscevano prima
dell’introduzione – nel 2003 – del lavoro a progetto.
Tale “reviviscenza” dell’art. 409 c.p.c. incontra però limiti legati all’obiettivo sotteso
a tutta la riforma, ossia separare nettamente le collaborazioni autonome genuine da
quelle false. Tali limiti sono stati espressamente individuati dallo stesso art. 2 D.Lgs. n.
81/2015 il quale riconduce al lavoro subordinato, a partire dal 1° gennaio 2016, le collaborazioni che si caratterizzano – in modo sostanziale e non solo formale – in “prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate
dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” (cd. etero-organizzazione)30 con
l’eccezione, tra le altre, delle collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali (art. 2, comma
2, lett. b, D.Lgs. n. 81/2015)31.
Ne deriva che i nuovi limiti stabiliti dal Legislatore a partire dal 1° gennaio 2016
per le collaborazioni ex art. 409 c.p.c., presentando delle eccezioni proprio con riferimento all’esercizio delle professioni regolamentate, potrebbero assumere rilevanza con
riferimento a tutte le professioni regolamentate. Infatti, laddove il citato art. 2, comma
1 D.Lgs. n. 81/2015 stabilisce di voler “applicare” la disciplina del rapporto di lavoro
Sul concetto di etero-organizzazione cfr. anche la Circolare del Ministero del lavoro 1 febbraio 2016, n. 3:
“(…) ogniqualvolta il collaboratore operi all’interno di una organizzazione datoriale rispetto alla quale sia tenuto ad osservare determinati orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente, si
considerano avverate le condizioni di cui all’art. 2, comma 1 – ossia la riconduzione della prestazione al rapporto di lavoro subordinato – sempre che le prestazioni risultino continuative ed esclusivamente personali. In ordine alle citate condizioni, che devono ricorrere congiuntamente, si precisa che per «per prestazioni di lavoro esclusivamente personali» si intendono le prestazioni svolte personalmente dal titolare del rapporto, senza l’ausilio di altri soggetti: le stesse devono essere inoltre «continuative», ossia ripetersi in
un determinato arco temporale al fine di conseguire una reale utilità e, come già indicato, organizzate dal committente quantomeno
con riferimento «ai tempi e al luogo di lavoro»”. Cfr. anche Vallebona A., “Il lavoro parasubordinato organizzato dal
committente”, in Colloqui giuridici del lavoro, ottobre 2015.
31 Le eccezioni contenute nell’art. 2, comma 2 del D.Lgs. n. 81/2015 riguardano:
a) le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico
e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore;
b) le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali;
c) le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni;
d) le collaborazioni rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate
alle Federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciuti dal C.O.N.I., come individuati e disciplinati dall’art. 90 della Legge 27 dicembre 2002, n. 289.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
subordinato, a partire dal 1° gennaio 2016, alle collaborazioni che si caratterizzano – in
modo sostanziale e non solo formale – in “prestazioni esclusivamente personali, continuative
etero-organizzate”, individuando tra le eccezioni proprio le collaborazioni prestate
nell’esercizio delle professioni, pare voler riaffermare l’intento di tenere distinte e considerare “legittime” tutte quelle forme di collaborazione coordinata e continuativa coinvolgenti i liberi professionisti, ossia tutti coloro che decidono di rendere la loro prestazione anche in forza di un contratto di collaborazione coordinata e continuativa e non
solo sulla base di un contratto di prestazione d’opera ex art. 2222 c.c.. Vi è da ipotizzare che il riferimento voglia abbracciare anche i titolari di partita IVA le cui attività –
ancorché rese personalmente e anche con carattere di prevalenza a favore di uno o al
massimo due committenti – siano riconducibili in modo “genuino” ad una prestazione
di lavoro autonomo perché rese nell’ambito di una professione “regolamentata” ossia
entro la cornice di riferimento della categoria professionale di appartenenza.
Sulla materia era intervenuto – in attuazione della L. n. 92/2012 e delle disposizioni dell’art. 69bis D.Lgs. n. 276/2003 – anche il D.M. 20 dicembre 201232, travolto
dall’abrogazione del 2015 perché espressamente previsto dall’art. 69bis D.Lgs. n.
276/2003, ma la cui elencazione può ancora rivestire una certa rilevanza sul piano della identificazione delle figure di lavoratori autonomi la cui attività sia riconducibile ad
uno specifico albo di riferimento33. È da ipotizzare che l’identificazione delle figure
professionali indicate nel decreto rivesta ancora rilevanza con la riforma “a regime”
(quindi a partire dal 1° gennaio 2016) e sia di guida per interpreti ed operatori in questa delicata materia unitamente alle previsioni della L. n. 4/2013 sulle professioni non
regolamentate34, quale corretto parametro di riferimento per la costruzione di rapporti
contrattuali i quali, sia da un punto di vista formale sia da un punto di vista sostanziale
(e di gestione del rapporto di lavoro), supportino la scelta delle parti di voler regolare i
reciproci rapporti contrattuali con le modalità tipiche del rapporto di lavoro autonomo
“genuino”.
Se l’intento principale della riforma (già prefigurato dalla Riforma Fornero del
2012) era quello di eliminare forme di precariato non bisogna però trascurare il valore
che hanno acquisito in questi anni i rapporti di collaborazione – genuini – con le più
disparate figure di consulenti, anche grazie ai mutamenti del contesto economico e sociale nel quale tali professionisti operano (esperti nel settore IT; web designers; architetti
e designers; stilisti; grafici; biologici; chimici, ecc.).
D’altra parte bisogna anche considerare che in questa materia si stanno avviando
importanti rivoluzioni anche a livello internazionale: si pensi, infatti, da un lato al pro32 Il decreto riportava infatti, in applicazione delle disposizioni dell’art. 69bis del D.Lgs. 276/2003 una elencazione di ordini e collegi professionali per i quali non avrebbero dovuto trovare applicazione le presunzioni di riconduzione alla subordinazione previste dallo stesso art. 69bis. Sulla operatività delle novità introdotte dalla Riforma Fornero cfr. Santoro Passarelli G., “Lavoro a progetto e partite Iva nella riforma del lavoro 2012”, in
Lav. Giur. n. 10/2012; Salazar P, “Lavoro autonomo e parasubordinato”, in D&PL, n. 14/2014; Salazar P.,
“Co.co.co. e lavoro a progetto”, in D&PL, n. 15/2014.
33 Si pensi ad esempio all’albo degli Ingegneri, a quello dei Chimici, a quello degli Architetti, a quello dei Giornalisti, a quello dei Consulenti del lavoro, tutti citati dall’indicato decreto.
34 Cfr. in proposito anche quanto stabilito dal comma 3 dell’art. 55 D.Lgs. n. 81/2015: “sino all’emanazione dei decreti richiamati dalle disposizioni del presente decreto legislativo, trovano applicazione le regolamentazioni vigenti”.
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
gressivo recepimento, da parte dei Paesi comunitari delle disposizioni della Direttiva
2009/50/CE sulla Carta Blu35.
Si tratta di un provvedimento di grande rilevanza pratica poiché rende possibile
l’assunzione diretta e quindi al di fuori delle quote di ingresso (con importanti implicazioni a livello di mobilità internazionale, dopo un certo periodo di tempo nel Paese di
primo ingresso), di un cittadino di un Paese terzo che possa far valere specifici titoli
professionali oppure titoli di istruzione superiore riconosciuti o riconoscibili (attraverso un’apposita procedura) nel Paese di primo ingresso, il quale voglia svolgere attività
lavorativa, anche autonoma.
La Direttiva, infatti, limita il rilascio di questo speciale titolo di soggiorno ai
soggetti che possano far valere qualifiche professionali superiori, ossia qualifiche attestate da titoli di istruzione superiore ovvero attestate da esperienza professionale di livello paragonabile ai titoli di istruzione superiore, in collegamento con la professione o
il settore specificati nel contratto di lavoro o nell’offerta vincolante di lavoro (Dir.
2009/50/CE, art. 2)36.
Si pensi anche alla recente approvazione delle disposizioni relative alla “tessera professionale europea” (D.Lgs. 28 gennaio 2016, n. 15)37.
Pur in presenza di un contesto sociale che potrebbe teoricamente supportare le
scelte contrattuali orientate al rapporto di lavoro autonomo (o para-subordinato) di tipo genuino, l’attività ispettiva prosegue (e si ritiene che proseguirà) secondo i suoi
consolidati principi, anzi probabilmente si farà sempre più incisiva se, come si legge
nella Circolare del Ministero del Lavoro n. 3/2016:
“a fare data dal 1° gennaio 2016, qualora venga riscontrata la contestuale presenza delle suddette condizioni di eteroorganizzazione, sarà applicabile la «disciplina del rapporto di lavoro subordinato». (…)
In altri termini il legislatore ha inteso far derivare le medesime conseguenze legate ad una riqualificazione del rapporto, semplificando di fatto l’attività del personale ispettivo che, in tali ipotesi, potrà limitarsi ad accertare la sussistenza di una eteroorganizzazione.
Pertanto l’applicazione della disposizione comporterà altresì l’irrogazione delle sanzioni in materia di collocamento (comunicazioni di assunzione e dichiarazione di assunzione) i cui obblighi, del resto, attengono anch’essi alla disciplina del rapporto
di lavoro subordinato”.
Pur tenendo conto della bontà dell’intento, diretto a limitare gli abusi, i correttivi
introdotti nel 2012 e gli ulteriori correttivi voluti dal Legislatore del 2015 hanno di fatto limitato fortemente il ricorso non solo alle collaborazioni a progetto ma anche alle
collaborazioni coordinate e continuative con i titolari di partita IVA, con l’evidente
conseguenza che tali figure di prestatori di lavoro, che in molti casi avevano scelto liD.Lgs. 28 giugno 2012, n. 108 attuativo della Direttiva 2009/50/CE; D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 9ter e
27quater, Circolare Ministero dell’Interno 3 agosto 2012, n. 5209; Circolare Ministero dell’Interno 7 dicembre
2012, n. 7591; Circolare Ministero dell’Interno 17 marzo 2014, n. 1886; Circolare Ministero dell’Interno 5 maggio 2015, n. 5.
36 Per un esame delle implicazioni pratiche derivanti dall’uso di tale titolo di soggiorno cfr. Salazar P., Dal Bon
E., “Expatriates, Aspetti contrattuali e gestione amministrativa del rapporto”, in D&PL, n 5/2015.
37 Il D.Lgs. 28 gennaio 2016, n. 15 è attuativo della Direttiva 2005/36/CE, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali e del Regolamento (UE) n. 1024/2012, relativo alla cooperazione amministrativa attraverso
il sistema di informazione del mercato interno.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
beramente la prestazione di lavoro nella forma della para-subordinazione (ossia con
modalità organizzative caratterizzate da continuità della prestazione e coordinamento
con il committente), si sono trovate nella necessità non solo di ricollocarsi con modalità di lavoro subordinato, ma addirittura in alcuni casi nella necessità di ripensare integralmente la posizione contrattuale e professionale, molto spesso anche emigrando
all’estero. Ciò perché, seppure necessari per competenze e specializzazione, sono risultati di fatto inutilizzabili a causa delle limitazioni poste dalla legge e delle presunzioni
di subordinazione introdotte dal Legislatore.
Tenendo conto di tale nuovo scenario, si è venuto a delineare, nel mondo delle
professioni, un inquadramento sistematico della materia e delle fondamentali distinzioni tra rapporto di lavoro autonomo, subordinato e para-subordinato, che non può
prescindere da una breve analisi dell’evoluzione che ha avuto nell’interpretazione delle
norme la giurisprudenza e dal ruolo svolto da essa nella individuazione degli elementi
caratterizzanti il concetto di “etero-direzione”.
A questa, il Legislatore ha voluto ora affiancare anche un nuovo, più specifico e
forse più ampio concetto, quello della etero-organizzazione38 che, così formulato, ha
un forte potere di attrazione anche nei confronti di tutti gli altri elementi – sussidiari –
tradizionalmente rilevanti in materia e caratteristici delle prestazioni “organizzate dal
committente”.
Tale attrazione sembrerebbe rendere superflua ogni eventuale ulteriore indagine
su quegli “indici” della subordinazione che determinerebbero l’inserimento funzionale
del collaboratore nell’organizzazione del committente, perché comunque contenuti nel
più ampio concetto di “tempo” e di “luogo” così come voluti dal Legislatore39.
1.3.1 Autonomia, subordinazione e para-subordinazione nella
giurisprudenza
Nel dibattito in materia di identificazione degli elementi caratterizzanti il rapporto
di lavoro autonomo e il rapporto di lavoro subordinato, l’elemento centrale del processo di riqualificazione del rapporto di lavoro è sempre consistito, proprio grazie
all’intervento dei giudici, nella puntuale identificazione degli elementi di fatto propri
della subordinazione. In tema di qualificazione del rapporto di lavoro – come rapporto
di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. oppure come rapporto di lavoro subordinato ex
art. 2094 c.c. – l’orientamento prevalente attribuisce carattere determinante alla verifica in merito alle modalità di svolgimento della prestazione (cd. eterodirezione, alla quale il
Legislatore del 2015 ha affiancato il più ampio concetto di etero-organizzazione), e non
alla qualificazione del rapporto di lavoro operata dalle parti (nomen iuris).
Cfr. l’art. 2 del D.Lgs. n. 81/2015: “A far data dal 1° gennaio 2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui
modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro”.
39 Si pensi ad esempio al vincolo di esclusiva, alla previsione di postazioni fisse anche a rotazione, alla mera programmazione dei periodi di ferie solo per ragioni organizzative, ecc..
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
È noto, in materia, il principio per cui ogni attività umana può legittimamente costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato oppure autonomo40:
“un’attività lavorativa, (...) può essere svolta per i più diversi titoli giuridici: nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato, o autonomo, o associativo, o societario, o per causa gratuita etc.
Non esiste una materia ontologicamente devoluta alla subordinazione o all’autonomia, nel senso che molte attività, non tutte,
possono essere svolte o in regime di subordinazione o in regime di autonomia.
Ciò dipende dalla volontà delle parti e dalle condizioni oggettive”.
Nell’analisi delle situazioni patologiche originate dalla domanda di riqualificazione
del rapporto di lavoro, l’identificazione degli elementi dell’autonomia o della subordinazione dipende dall’accertamento in merito alle concrete modalità di svolgimento
della prestazione:
“ai fini della distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, l’elemento della subordinazione (ossia della sottoposizione al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro) costituisce una modalità d’essere del rapporto,
desumibile da un insieme di circostanze che devono essere complessivamente valutate da parte del giudice del merito e ciò in
particolare nei rapporti di lavoro aventi natura professionale o intellettuale ed indipendentemente da una iniziale pattuizione
scritta sulle modalità del rapporto; nella qualificazione del rapporto il giudice non può, pertanto, prescindere dal concreto riferimento alle modalità di espletamento dello stesso e in particolare da elementi sussidiari, che egli stesso deve individuare, quali
l’autonoma gestione del lavoro da parte del lavoratore, l’assoggettamento o meno a direttive programmatiche, l’accettazione del
rischio derivante dal mancato espletamento dell’attività lavorativa al fine di fruire di periodi di riposo”41.
In più occasioni la giurisprudenza ha ritenuto di esprimere tale principio ogniqualvolta sia stata chiamata a giudicare la scelta, eventualmente operata dalle parti, di
porre in essere un rapporto di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 2222 c.c. ovvero parasubordinato ai sensi dell’art. 409, n. 3 c.p.c. quando, per le concrete modalità di svolgimento del rapporto di lavoro, l’attività costituente l’oggetto della prestazione di lavoro avrebbe potuto, in astratto, integrare gli estremi di un rapporto di lavoro subordinato.
Chi intenda, in situazioni di questo tipo, rivendicare la sussistenza di un rapporto
di lavoro subordinato deve dedurre e provare fatti qualificanti – essenziali e sussidiari42
– che siano idonei ad allontanare, in concreto, il rapporto di lavoro dalla tipologia negoziale prescelta.
Poiché nel diritto del lavoro vige il principio della indisponibilità del tipo negoziale per la tradizionale maggiore “debolezza” della posizione giuridica di uno dei contraenti43, la volontà espressa dalle parti nel contratto non assume di solito rilevanza se
non è accompagnata da modalità di gestione tali da ricondurre l’oggetto del rapporto
al tipo negoziale prescelto.
Cfr. Cass. Sez. Lav., 2 giugno 1999, n. 5411 e anche Cass. Sez. Lav., 3 aprile 2000, n. 4036; Cass. Sez. Lav., 25
ottobre 2004, n. 20699; Cass. Sez. Lav., 30 novembre 2009, n. 25244; Cass. Sez. Lav., 10 marzo 2011, n. 5712.
41 Cfr. Cass. Sez. Lav., 26 agosto 2013, n. 19568; v. anche Cass. civ., 2 aprile 2014, n. 7675.
42 Cfr. sul punto Cass. Sez. Lav., 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. Sez. Lav., 10 marzo 2011, Cass. Sez. Lav., 12
aprile 2012, n. 5576; Cass. Sez. Lav., 30 novembre 2009, n. 25224; Cass. Sez. Lav., 12 aprile 2012, n. 5576; Cass.
Sez. Lav., 13 dicembre 2010, n. 25150.
43 Corte Cost., 31 marzo 1994, n. 115; Corte Cost., 29 marzo 1993, n. 121; Cass. Sez. Lav., 16 ottobre 2006, n.
22129.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Ciò significa che la generale fungibilità nella scelta del tipo contrattuale non trova
applicazione nei rapporti di lavoro e da sola non è ritenuta determinante se al nomen juris “lavoro autonomo” (o para-subordinato), eventualmente adoperato dalle parti, non
corrispondano comportamenti e modalità di gestione tali da far considerare il rapporto
di lavoro come “genuinamente autonomo”.
In questo senso, la giurisprudenza è venuta elaborando un concetto di “subordinazione forte” intesa come “vincolo di natura personale”44, che “assoggetta il prestatore d’opera al
potere direttivo (e, quindi, anche organizzativo e disciplinare) del datore di lavoro, con conseguente limitazione della libertà del primo”45, risultando “necessario che la prestazione d’opera sia regolata
nel suo svolgimento e che, quindi, il potere direttivo del datore di lavoro inerisca all’intrinseca esecuzione della prestazione medesima”46.
Tali principi hanno trovato applicazione da parte della giurisprudenza sia nella
ipotesi in cui la domanda di riqualificazione del rapporto di lavoro fosse scaturita da
un rapporto di lavoro autonomo, sia nei casi in cui la medesima domanda fosse scaturita da un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, n. 3 c.p.c.,
ossia da un rapporto di lavoro caratterizzato dalla “para-subordinazione”.
Fino alla riforma introdotta nel 2012, la quale ha voluto dare maggiore enfasi, in
chiave finalistica e di risultato, alla identificazione tra le parti di un “progetto”, nei rapporti di collaborazione a progetto la corretta costruzione e la rispondenza dello stesso
ad effettive necessità in termini di risultato, coerentemente con l’interesse delle parti,
assicuravano legittimità e correttezza al rapporto di lavoro di collaborazione. Ciò, soprattutto, se le corrette modalità di gestione del rapporto di lavoro si accompagnavano
al rispetto del requisito essenziale per la qualificazione di tale forma di contratto, ossia
al progetto, in ossequio agli ordinari criteri elaborati dalla giurisprudenza ai fini della
qualificazione di un rapporto di lavoro autonomo o para-subordinato (personalità della prestazione, autodeterminazione da parte del collaboratore, assenza di vincoli di
orario e/o di esclusiva, corrispettivo stimato in base a qualità e quantità del lavoro, assenza di postazioni fisse, assenza di vincoli gerarchici, ecc.).
Nel primo decennio di applicazione pratica della disciplina introdotta dal Legislatore in materia di collaborazioni a progetto, la giurisprudenza prevalente47 ha ritenuto
Cfr. sul punto Cass. Sez. Lav., 4 novembre 2000, n. 14414; Cass. Sez. Lav., 11 settembre 2000, n. 11936; Cass.
Sez. Lav., 11 giugno 1999, n. 5787; Cass. Sez. Lav., 3 aprile 2000, n. 4036; Cass., Sez. Lav., 17 aprile 1990 n.
3170, Cass. Sez. Lav., 3 aprile 1990, n. 2680.
45 Cass. Sez. Lav., 23 aprile 2001, n. 5989; Cass. Sez. Lav., 7 dicembre 2004, n. 22929; Cass. Sez. Lav., 8 febbraio
2010, n. 2728.
46 Cfr., in particolare, Cass. Sez. Lav., 22 novembre 1999, n. 12926; Cass., Sez. Lav., 8 settembre 1989, n. 3895;
Cass Sez. Lav., 20 settembre 1988, n. 3930 e, più di recente, Cass. Sez. Lav., 14 aprile 2008, n. 9812 e Cass. Sez.
Lav., 13 dicembre 2010, n. 25150.
47 Cfr. sul punto Tribunale di Torino, 5 aprile 2005; Tribunale di Milano 10 novembre 2005; Tribunale di Genova, 7 aprile 2006; Tribunale di Bologna, 6 febbraio 2007; Tribunale di Torino, 23 marzo 2007; Tribunale di
Pisa, 21 gennaio 2008; Tribunale di Milano, 18 luglio 2011.
In particolare, seppure orientamento minoritario, in merito alla rilevanza che hanno gli elementi di autonomia
del rapporto di lavoro cfr. anche Tribunale di Roma, 8 ottobre 2007 nel quale si è valutato, con riferimento ad
un’attività di collaborazione finalizzata al recupero crediti che:
1) l’attività in sé, caratterizzata dalla sottoscrizione, di volta in volta, di singole lettere di incarico e consistente
nell’espletamento di telefonate di sollecito a clienti, di società ed enti morosi nei pagamenti, era caratteriz44
(segue)
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
di riqualificare il rapporto di lavoro come rapporto di lavoro subordinato – con applicazione di una presunzione juris et de jure – solo nelle ipotesi di totale assenza del progetto48.
Per contro, la genericità del progetto oppure la pre-costituzione tra le parti di un
progetto finalizzato a realizzare il soddisfacimento di interessi non reali o fittizi – i
quali nulla avevano a che vedere con un genuino obiettivo di tipo finalistico proprio
dei rapporti di collaborazione autonoma con totale assenza di un sia pur minimo rischio in capo al collaboratore – erano idonei a compromettere la validità e la tenuta
dell’intero contratto perché il rapporto di lavoro para-subordinato perdeva i connotati
della genuinità per assenza oggettiva (più che formale) di un “risultato” (locatio operis) e
per la presenza, per contro, di un incisivo interesse del creditore a controllare le modalità di esecuzione della prestazione (locatio operarum). La conseguenza era che, in questi
casi, i tradizionali indici della subordinazione dovevano essere indagati volta per volta
perché non sostenuti da “valido progetto”.
In questo ambito, hanno quindi acquisito sempre maggiore rilevanza, sia durante
la fase ispettiva49 sia ai fini della prova in ipotesi di contezioso, i criteri essenziali e sussidiari che nel tempo sono stati elaborati dalla giurisprudenza per la riqualificazione,
come rapporto di lavoro subordinato, di un rapporto di lavoro autonomo.
A titolo esemplificativo:
- l’inserimento funzionale del prestatore di lavoro nell’organizzazione produttiva del committente;
zata da responsabilità di risultato, senza soggezione ad orario di lavoro, né obbligo di prestazione minima,
ovvero di giustificazione delle ragioni di una eventuale mancata prestazione;
2) il compenso era commisurato ai risultati raggiunti dal collaboratore e cioè, per parte in misura fissa, in ragione del numero di pratiche trattate e, per parte in misura variabile, per pratica gestita nonché in ragione
del numero di pratiche gestite oltre una certa soglia, ovvero in ragione del totale del credito recuperato;
3) le direttive eventualmente impartite al collaboratore erano di carattere generale, avevano l’obiettivo di assicurare il coordinamento dell’attività del collaboratore con le scadenze e gli obiettivi di recupero crediti del
cliente/committente;
4) l’inserimento in azienda e la continuità della collaborazione erano pienamente coerenti con il tipo di attività concordata e strettamente funzionali alle varie fasi del procedimento di recupero crediti;
5) l’orario di lavoro (9.00–18.00 e 18.00–21.00) era strettamente correlato agli obiettivi del recupero credito,
non era per nulla imposto ai collaboratori ma era direttamente funzionale a rendere più proficue le diverse
attività di recupero, tenendo conto delle fasce orarie di possibile reperibilità dei debitori (va ricordato a
questo proposito che, come affermato dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 1743 del 3 aprile 2006, alle
parti di un contratto a progetto non è recisamente preclusa la possibilità di accordarsi su una prestabilita
misura temporale della prestazione se questa è funzionale all’oggetto del rapporto e al risultato dedotto in
contratto);
6) le assenze venivano concordate tra i vari collaboratori in modo tale da assicurare il rispetto delle scadenze
che costituivano l’oggetto del contratto, senza alcuna imposizione, o addirittura predeterminazione delle
stesse da parte del Committente.
48 Si tratta del fronte più rigorista che ha riconosciuto in questi anni, nel disposto dell’art. 69, comma 1 D.Lgs. n.
276/2003, l’esistenza di una presunzione assoluta di subordinazione in caso di assenza di progetto, senza ammettere, quindi, la prova contraria in merito alla corretta gestione del rapporto di lavoro come rapporto di lavoro autonomo. Cfr. sul punto Tribunale di Milano, 2 e 5 febbraio 2007; Tribunale di Milano, 12 ottobre 2007;
Corte d’Appello di Brescia, 22 febbraio 2011; Corte d’Appello Firenze, 17 gennaio 2012; Corte d’Appello di
Brescia, 11 ottobre 2012; Tribunale di Milano, 13 dicembre 2012.
49 Cfr. la Circolare del Ministero del lavoro, 27 dicembre 2012, n. 32 e la Circolare INAIL, 20 marzo 2013, n.
15.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
- la totale assenza di autonomia nell’esecuzione della prestazione;
- la previsione di vincoli di orario e di presenza giornaliera, accompagnata dalla
timbratura di badge o dalla compilazione di rapportini;
- l’obbligo di segnalare e giustificare le assenze;
- la previsione di vincoli di esclusiva a favore del committente nell’esecuzione
della prestazione accompagnata dalla numerazione periodica delle fatture
sempre nei confronti del medesimo committente;
- il rispetto di vincoli gerarchici e di coordinamento puntuale dell’attività del
collaboratore;
- la determinazione del compenso in relazione alla disponibilità del tempo per
l’esecuzione della prestazione;
- la puntuale programmazione di periodi di riposo per ferie e festività;
- la previsione di una postazione fissa di lavoro e il conferimento di mezzi e
strumenti di lavoro da parte del committente ed in via esclusiva, quali pc, auto,
tablet, telefono cellulare, ecc.50.
Secondo una parte della giurisprudenza, la genuinità dell’incarico riconducibile ad
una specifica professionalità può costituire un utile parametro per la valutazione delle
modalità di gestione del rapporto di lavoro che, se corrispondenti alla tipologia contrattuale scelta dalle parti, possono anche ricondurre il rapporto ad un genuino rapporto di lavoro autonomo51.
Per contro,
“Quando la prestazione dedotta in contratto sia estremamente elementare, ripetitiva e predeterminata nelle sue modalità di
esecuzione, ed, al fine della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, il criterio rappresentato
dall’assoggettamento del prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare non risulti, in quel particolare
contesto, significativo, occorre, a detti fini, far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso, la regolamentazione dell’orario di lavoro, la presenza di una pur minima organizzazione imprenditoriale (anche con riferimento al soggetto tenuto alla fornitura degli strumenti occorrenti) e la sussistenza
di un effettivo potere di autorganizzazione in capo al prestatore, desunto anche dalla eventuale concomitanza di altri rapporti
di lavoro”52.
Trib. Milano, 16 gennaio 2012, in Guida al diritto, 2012, p. 13: “L’elemento che contraddistingue il rapporto di lavoro
subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo risiede nel vincolo di soggezione personale del lavoratore al potere organizzativo,
direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia e inserimento nell’organizzazione
aziendale. Tuttavia gli altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuità della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma
della retribuzione, pur avendo natura meramente sussidiaria e non decisiva, possono costituire indici rivelatori della subordinazione,
idonei anche a prevalere sull’eventuale volontà contraria manifestata dalle parti, ove incompatibili con l’assetto”. Vd. anche Cass.
Civ. Sez. Lav., 26 agosto 2013, n. 19568; Cass. Civ. Sez. Lav., 19 aprile 2010, n. 9252; Cass. Civ. Sez. Lav., 13 dicembre 2010, n. 25150; Cass. Civ. Sez. Lav., 30 novembre 2009, n. 25224.
51 Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav., 21 ottobre 2014, n. 22289 la quale afferma “non costituisce parametro valido per determinare la natura subordinata del rapporto la continuità per un certo periodo di tempo della prestazione lavorativa di progettista atteso
che la continuità della prestazione coordinata e prevalentemente personale riconducibile alla natura del rapporto è svincolata
dall’occasione in cui si manifesta la necessità dell’incarico professionale, assumendo rilevanza la causa dell’incarico stesso”.
52 Cass. Civ. Sez. Lav., 4 ottobre 2011, n. 20265, in D&G – Dir. e giust., 2011.
50
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
Tavola 2 – Lavoro autonomo e collaborazione coordinata e continuativa
La collaborazione coordinata e continuativa (o para-subordinazione), quale forma di prestazione di attività lavorativa, è emersa allorché si è preso atto della circostanza che l’obbligazione di risultato può concretizzarsi anche nell’assunzione di una serie di obblighi consecutivi e tra loro coordinati al perseguimento di
un interesse più ampio di quello connesso alla singola prestazione, distinguendosi per il dato della continuità e del costante coordinamento della prestazione d’opera.
Non è chiaro se essa possa rappresentare un tertium genus rispetto a subordinazione ed autonomia, ovvero
una forma giuridica a sé stante53.
Tale generale nozione di lavoro para-subordinato, sostanzialmente rimasta immutata per molti anni, ha
però subito alcuni correttivi dopo l’introduzione nell’ordinamento giuridico del lavoro a progetto (disciplina ormai abrogata dal decreto attuativo della L. n. 183/2014 – Jobs Act).
Il Legislatore del 200354 ha infatti voluto introdurre all’interno del nostro ordinamento giuridico una forma di collaborazione coordinata e continuativa che, seppure caratterizzata dai connotati tipici della parasubordinazione, era caratterizzata in misura esclusiva e prevalente dalla necessità di identificazione tra le
parti di un obiettivo specifico (il progetto, appunto) costituente non solo oggetto della prestazione da parte del collaboratore ma anche elemento essenziale e qualificante di tale tipologia contrattuale.
Non solo, il Legislatore ha anche voluto introdurre, altresì, per tali tipologie di rapporti una serie di garanzie formali e di condizioni giuridiche, contenute essenzialmente negli ormai abrogati artt. da 61 a 69
del D.Lgs. n. 276/2003, indirizzate ad assicurare al collaboratore, pur nel quadro di un rapporto di lavoro
“para-subordinato”, tutele più specifiche – in molti aspetti analoghe a quelle previste per il lavoro subordinato – rispetto a quelle conosciute ed applicate fino ad allora55.
Chi invoca il compenso per un’attività para-subordinata non può limitarsi a provare l’esistenza del rapporto, ma deve altresì dimostrare la sussistenza delle singole prestazioni che rappresentano i fatti costitutivi
del diritto al corrispettivo, ovvero l’espletamento effettivo di una serie di incarichi resi con attività personale non subordinata (Cass. n. 7185/1990).
La continuità del rapporto è stata intesa quale svolgimento continuato e di fatto della prestazione, con
l’obiettivo di soddisfare un’esigenza durevole del committente: anche un’unica prestazione d’opera
può soddisfare tale condizione qualora per la sua esecuzione sia stato impiegato un apprezzabile arco
temporale, non soltanto, quindi, l’esecuzione di più opere nel tempo, connesse ad un interesse del committente più ampio di quello relativo ad un unico adempimento56.
La sussistenza della coordinazione, senza intaccare l’autonomia del prestatore nell’organizzazione
dell’attività, va verificata nell’ottica del collegamento funzionale della prestazione con l’attività del committente: l’una concorre alla realizzazione delle finalità dell’altra senza che vi sia la necessaria identità tra i
due centri di interesse57.
La coordinazione è da intendersi come connessione funzionale con l’organizzazione del preponente per
il perseguimento delle finalità del medesimo (Cass. n. 3272/1992).
Cfr. Gregorio S., “La nozione di coordinamento della prestazione d’opera continuativa”, in ADL, 1995, 1, p.
182.
54 Per un esame della disciplina del lavoro a progetto prima della riforma del 2012, cfr. Di Leo N., Lavoro a progetto, Ipsoa, 2008, con ampia bibliografia a decorrere dal 2003.
55 La Circolare del Ministero del lavoro n. 1/2004 stabiliva infatti che l’art. 61, comma 1 D.Lgs. n. 276/2003
“non sostituisce e/o modifica l’art. 409, n. 3 c.p.c. bensì individua, per l’ambito di applicazione del decreto e – nello specifico della
medesima disposizione – le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro del collaboratore, utili ai fini della qualificazione della fattispecie nel senso dell’autonomia o della subordinazione”. Si tratta, appunto, del “progetto” identificato come
“un’attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa
direttamente con la sua prestazione”.
56 Cfr. Pedrazzoli M., “Opera”, in NN.D.I, app., V, Torino, 1984, p. 478. Ha carattere para-subordinato la prestazione dell’avvocato incaricato di un unico servizio, protrattasi per più mesi, e coordinato con l’obiettivo primario del cliente, pur con ingerenza dello stesso nell’esecuzione dell’incarico (Cass. n. 10382/1990), così come
quella di una cantante lirica nei confronti di una società discografica, avente ad oggetto la registrazione di più
opere per cinque anni (Cass. n. 3272/1992), o di un geometra al servizio di un comune per l’istruzione di specifiche pratiche (Cass. n. 2120/2001).
57 Cfr. Nogler L., “La doppia nozione giuslavoristica di parasubordinazione”, in MGL, 2000, 10, p. 1025.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Per ciò che riguarda, infine, la natura prevalentemente personale dell’opera, essa va intesa valorizzando il
processo auto-organizzativo dell’attività del collaboratore, che si esplica non solo sul piano – quantitativo
– della prevalenza rispetto alla prestazione resa da eventuali dipendenti, ma anche su quello qualitativo,
con riferimento al rilievo della prestazione nell’organizzazione della produzione.
Il collaboratore coordinato e continuativo assicura un apporto personale infungibile in ragione delle
sue cognizioni teoriche e della specifica preparazione, non essendo tale tratto incompatibile con
l’esercizio di un potere di direzione dell’altrui attività (Cass. n. 652/1992).
1.4 IL LAVORO AUTONOMO SVOLTO ALL’ESTERO: PROFILI
FISCALI
Lo svolgimento di attività lavorativa in uno Stato, da parte del lavoratore
autonomo il quale risiede ai fini fiscali in un altro Paese, solleva alcune criticità
connesse alla ripartizione della potestà impositiva sui redditi da esso prodotti, tra gli
Stati coinvolti (i.e., quello di residenza del lavoratore autonomo e quello in cui la
prestazione lavorativa viene effettuata).
A tal fine, rilevano le disposizioni di diritto internazionale convenzionale di cui
agli artt. 758 e 1459 del Modello OCSE, i quali sono stati accolti dalla stragrande
maggioranza dei trattati bilaterali contro le doppie imposizioni che compongono il
network mondiale.
Nonostante l’art. 14 del Modello OCSE sia stato abrogato nel 2000 – con
conseguente applicazione (alle libere professioni e alle altre attività indipendenti di
carattere analogo) del suindicato art. 7 dello stesso Modello60 – le sue disposizioni si
L’art. 7 del Modello OCSE prevede:
“1. Gli utili di un’impresa di uno Stato contraente sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che l’impresa non svolga la sua
attività nell’altro Stato contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata. Se l’impresa svolge in tal modo la sua attività, gli utili attribuiti alla stabile organizzazione in conformità alle disposizioni di cui al paragrafo 2 sono imponibili in detto altro
Stato.
2. Ai fini del presente Articolo e degli Articoli [23 A] [23B], gli utili attribuiti in ciascuno Stato contraente alla stabile organizzazione di cui al paragrafo 1 sono gli utili che questa potrebbe attendersi di conseguire, in particolare in transazioni con altre parti
dell’impresa, se fosse un’impresa distinta e separata che svolge attività identiche o analoghe in condizioni identiche o analoghe, tenendo in considerazione le funzioni svolte, gli assets utilizzati e i rischi assunti dall’impresa per il tramite della stabile organizzazione e
delle altre parti dell’impresa.
3. Laddove, in conformità al paragrafo 2, uno Stato contraente proceda ad un aggiustamento degli utili attribuiti alla stabile organizzazione di un’impresa di uno degli Stati contraenti e assoggetti conseguentemente a tassazione gli utili dell’impresa che sono già
stati tassati nell’altro Stato, l’altro Stato, nei limiti richiesti ai fini dell’eliminazione della doppia imposizione su detti utili, procederà ad effettuare un aggiustamento proporzionato all’ammontare dell’imposta applicata sugli utili.
Nel procedere a siffatto aggiustamento, le autorità competenti degli Stati contraenti, ove necessario, si consulteranno reciprocamente.
4. Qualora gli utili includano elementi di reddito disciplinati separatamente in altri Articoli della presente Convenzione, le disposizioni di tali Articoli non saranno pregiudicate dalle disposizioni del presente Articolo”.
59 L’abrogato art. 14 del Modello OCSE afferma:
“1. I redditi che un residente di uno Stato contraente ritrae dall’esercizio di una libera professione o da altre attività indipendenti di
carattere analogo sono imponibili soltanto in detto Stato, a meno che tale residente non disponga abitualmente nell’altro Stato contraente di una base fissa per l’esercizio delle sue attività.
Se egli dispone di una base fissa, i redditi sono imponibili nell’altro Stato ma solamente nella misura in cui sono imputabili a detta
base fissa.
2. L’espressione «libera professione» comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili”.
60 Per approfondimenti sui rapporti tra art. 14 e art. 7 del Modello OCSE cfr. il Cap. 5 del presente Volume.
Cfr. inoltre Valente P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016, Commento agli artt. 14 e
7.
58
20
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
rinvengono nella maggior parte delle convenzioni contro le doppie imposizioni ad
oggi in vigore, incluse quelle sottoscritte dall’Italia61. Pertanto, il trattamento fiscale del
lavoro autonomo svolto in ambito internazionale trova, di fatto, la sua principale fonte
di regolamentazione proprio nell’abrogato art. 14 del Modello OCSE. Sono escluse
dall’ambito di applicazione di quest’ultimo articolo le prestazioni di lavoro
indipendente le quali sono disciplinate da apposite disposizioni del Modello OCSE,
quali l’art. 17 (per i redditi di artisti e sportivi62) e l’art. 16 (per i compensi percepiti dai
membri dei Consigli di amministrazione63).
Inoltre, il Commentario OCSE all’art. 14 abrogato (paragrafo 3) precisa che – dal
momento che le disposizioni dell’art. 14 sono simili a quelle dell’art. 7 del Modello
OCSE, in quanto si basano sugli stessi principi – le disposizioni dell’art. 7 e il relativo
Commentario possono essere utilizzati per interpretare ed applicare l’art. 14.
Ciò premesso, secondo l’art. 14 del Modello OCSE, i redditi percepiti dal lavoratore autonomo per la prestazione svolta all’estero sono assoggettati ad imposizione
nello Stato di residenza del lavoratore medesimo, a meno che quest’ultimo non disponga abitualmente nello Stato in cui svolge la prestazione di una base fissa.
Conseguentemente, in via preliminare, è opportuno individuare in quale Stato il
lavoratore autonomo, persona fisica, è da considerarsi residente ai fini fiscali.
Per approfondimenti cfr. il Cap. 5 del presente Volume.
Per approfondimenti cfr. il Cap. 2 del presente Volume.
63 Per approfondimenti cfr. il Cap. 3 del presente Volume.
61
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Tavola 3 – L’accertamento della residenza fiscale
Accertamento della residenza fiscale da parte
dell’Amministrazione finanziaria
Disponibilità di una
casa
Acquisto di beni
Gestione di una
società
È da ritenersi fiscalmente residente in Italia il cittadino che qui conserva il proprio domicilio,
inteso come 1. sede principale di affari, 2. interessi economici e 3. relazioni personali,
pur essendo iscritto all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero.
Nonostante le risultanze anagrafiche, infatti, l’Amministrazione finanziaria può accertare lo
status di residente fiscale in base a precisi e puntuali elementi presuntivi, fra i quali:
L’acquisto di beni immobili
La gestione di affari in contesti societari
La disponibilità di almeno un’abitazione in cui trascorrere parte dell’anno
L’esistenza presso un istituto di credito con sede in Italia di conti correnti continuamente
movimentati.
22
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
1.4.1 La residenza fiscale del lavoratore autonomo e il suo centro degli
interessi vitali: cenni e rinvio
Ai fini della determinazione della residenza fiscale del lavoratore autonomo, persona fisica, rileva, nell’ambito dell’ordinamento italiano, quanto previsto dall’art. 2,
comma 2 del TUIR, secondo cui “si considerano residenti le persone che per la maggior parte del
periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello
Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”64.
Secondo la Corte di Cassazione nella sentenza del 04.04.2012, n. 5382, l’art. 2, secondo comma, del TUIR richiede, per la configurabilità della residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via alternativa; il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, e gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile, con la conseguenza che l’iscrizione del
cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in
Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli
affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali, non risultando determinante a tal fine il
carattere soggettivo ed elettivo della “scelta” dell’interessato, rilevante solo quanto alla libertà dell’effettuazione
della stessa ma non ai fini della verifica del risultato di quella scelta, dovendosi contemperare la volontà individuale con le esigenze di tutela dell’affidamento dei terzi. Il centro principale degli interessi vitali del soggetto va
individuato dando prevalenza al luogo in cui la gestione di detti interessi viene esercitata abitualmente in modo
riconoscibile dai terzi.
Con la sentenza del 13.05.2015, n. 9723, la Corte di Cassazione è tornata ad affrontare il tema
dell’individuazione dei requisiti, formali e sostanziali, necessari per affermare la sussistenza della residenza
all’estero da parte di un cittadino italiano.
La Cassazione ribadisce la prevalenza del criterio sostanziale rispetto a quello formale, stabilendo che prevale
comunque il centro concreto di interessi economico-sociali sulla formale iscrizione all’AIRE.
La Suprema Corte chiarisce che il trasferimento della residenza anagrafica del contribuente, nel caso di specie
nella Repubblica di San Marino, e la sua iscrizione all’AIRE non escludono l’assoggettabilità ad imposizione in
Italia, laddove venga dimostrata la sussistenza in Italia del domicilio, in senso civilistico, del contribuente.
Nel caso di specie, peraltro, l’onere della prova spettava all’Amministrazione finanziaria, poiché, per il periodo
di imposta oggetto di contestazione, ancora non era entrato in vigore il comma 2-bis dell’art. 2 del TUIR, che –
afferma la stessa Corte nella sentenza in commento – non essendo norma di natura processuale, non ha effetti
retroattivi. I giudici di legittimità hanno quindi confermato che l’iscrizione del cittadino italiano all’AIRE non
può ritenersi elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorquando lo stesso cittadino
conservi di fatto sul territorio italiano il proprio domicilio.
Nel caso di specie, la sussistenza del domicilio del contribuente era da individuare nel fatto che la sua famiglia
abitava e risiedeva in detto domicilio; in Italia i suoi figli avevano frequentato gli studi; in San Marino il contribuente non possedeva alcuna civile abitazione; in Italia il contribuente possedeva diverse proprietà immobiliari e
società, la sua casa di proprietà, a Fano, era stata assicurata come “dimora abituale”.
La Cassazione, del resto, ha già affermato che elementi presuntivi utili per individuare il domicilio sono
“l’acquisto di beni immobili, la gestione di affari in contesti societari, la disponibilità di almeno un’abitazione nella quale trascorrere diversi periodi dell’anno” (Cass. n. 29576/2011), ovvero “l’intestazione presso una banca avente sede in Italia di conti correnti continuamente implementati” (Cass. n. 12259/2010).
Secondo quanto ulteriormente chiarito dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 28.10.2015, n. 21970, ai fini delle imposte dirette, le persone iscritte nelle anagrafi della popolazione residente si considerano, in applicazione
del criterio formale di cui all’art. 2 comma 2 del TUIR, in ogni caso residenti in Italia e, quindi, assoggettate alle
imposte sui redditi italiane. Pertanto, anche ove esse si fossero trasferite all’estero, ma avessero, per mera dimenticanza, omesso di cancellarsi dall’Anagrafe Italiana, continuano a dover corrispondere le imposte sui redditi
in Italia.
Infatti, l’iscrizione anagrafica è preclusiva di ogni altro accertamento, sicché il trasferimento della residenza
all’estero non rileva fino a quando non risulti la cancellazione dell’anagrafe di un Comune italiano.
La suindicata pronuncia, che trova eco in altre simili sentenze della giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass.
677/2015 e 93193/2006), omette, tuttavia, di considerare le convenzioni contro le doppie imposizioni che prevedono l’applicazione delle tie breaker rules nelle ipotesi in cui un contribuente sia considerato residente in due
diversi Stati, in applicazione della disciplina interna di essi.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Le persone fisiche sono residenti in Italia se, per la maggior parte del periodo di
imposta:
1. risultano iscritte nelle anagrafi della popolazione residente nello Stato, anche
se hanno soggiornato per gran parte del periodo d’imposta all’estero;
2. non sono iscritte nelle anagrafi, ma hanno il domicilio nello Stato, cioè, hanno
stabilito la sede principale dei loro affari ed interessi, anche morali e sociali,
nello Stato (cfr. art. 43 c.c.);
3. non sono iscritte nelle anagrafi, ma hanno la residenza nello Stato. Hanno,
dunque, in Italia la loro dimora abituale, cioè il luogo nel quale normalmente si
trovano (art. 43 c.c.)65.
I predetti requisiti sono tra loro alternativi e non concorrenti; sarà, dunque, sufficiente il verificarsi di uno solo di essi affinché un soggetto sia considerato fiscalmente
residente in Italia.
Prassi e giurisprudenza concordano nel ritenere che la cancellazione dall’anagrafe
della popolazione residente e l’iscrizione nell’Anagrafe degli Italiani Residenti
all’Estero (AIRE) non costituiscono elementi determinanti per escludere il domicilio o
la residenza nello Stato, in quanto questi ultimi possono essere desunti con ogni mezzo di prova anche in contrasto con le risultanze dei registri anagrafici (cfr. C.M. 2 dicembre 1997 n. 304/E; Cass., 17 luglio 1967, n. 1812; 20 settembre 1979, n. 4829; 24
marzo 1983, n. 2070; 5 febbraio 1985, n. 791).
Ne consegue che l’aver stabilito il domicilio civilistico in Italia ovvero l’aver fissato la propria residenza nel territorio dello Stato sono, alternativamente, condizioni sufficienti per l’integrazione della fattispecie di residenza fiscale, indipendentemente
dall’iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente.
Si considera fiscalmente residente in Italia un soggetto che, pur avendo trasferito
la propria residenza all’estero ed ivi svolgendo la propria attività, mantenga il “centro dei
propri interessi familiari e sociali” in Italia (ad esempio, se la famiglia del soggetto ha la dimora in Italia – C.M. 26 gennaio 2001 n. 9/E).
Ai fini della determinazione del luogo di domicilio occorre che esista la volontà
della persona di stabilire in un dato luogo il centro delle proprie relazioni familiari, sociali ed economiche (Corte di Cassazione, 22 maggio 1963, n. 1342).
L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 351 del 7 agosto 2008, ha precisato
che deve essere considerato fiscalmente residente in Italia il soggetto che, pur avendo
trasferito la propria residenza all’estero per motivi di lavoro – come, ad esempio, nel
caso di un lavoratore autonomo il quale presta la propria attività indipendente
all’estero per un certo periodo di tempo – mantiene in Italia
 i propri legami familiari o
 il “centro dei propri interessi patrimoniali e sociali”66.
65 Cfr. Valente P., Vinciguerra L., Esterovestizione delle persone fisiche: centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale,
IPSOA, 2016, p. 65 ss.; Valente P., Esterovestizione e residenza, Ipsoa, 2013, p. 445 ss.; Valente P., “Il centro degli
interessi vitali. Note sulla disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche”, in Il fisco, n. 41/2009; Valente
P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016, Commento all’art. 4.
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
L’Amministrazione finanziaria può intraprendere un’attività di ricerca capillare di
elementi di prova, anche indiretti, necessari per contrastare le risultanze anagrafiche e
individuare l’effettivo “centro degli interessi vitali”67 del lavoratore autonomo68.
In particolare, può:
 reperire notizie certe sulla posizione storico-anagrafica risultante presso il
Comune dell’ultimo domicilio fiscale in Italia; presso ciascun Comune e presso il Ministero dell’Interno sono infatti tenuti schedari che raccolgono le schede individuali e le schede di famiglie cancellate dall’Anagrafe delle popolazioni
residenti in dipendenza del trasferimento all’estero delle persone cui si riferiscono;
 acquisire tutte le informazioni presenti nel sistema informativo dell’Anagrafe
tributaria;
 acquisire copia degli atti concernenti donazioni, compravendite, costituzione
di società di persona e/o di capitale anche a stretta base azionaria, conferimenti in società;
 valutare attentamente i rapporti intercorrenti con i soggetti cointeressati nei
suddetti atti;
 acquisire informazioni sulle movimentazioni di somme di danaro da e per
l’estero, sul luogo e data di emissione di assegni bancari, sugli investimenti in
titoli azionari e obbligazionari italiani.
Una volta individuato, alla luce dell’orientamento interpretativo giurisprudenziale
e di prassi sopra accennato, il “centro degli interessi vitali” (vale a dire il luogo di domicilio
o di residenza), lo stesso sarà determinante ai fini dell’individuazione del luogo di residenza fiscale del lavoratore autonomo.
La risoluzione ha, peraltro, chiarito che la verifica dello status di residente fiscale non può essere effettuata in
sede di interpello, ma solo in sede di eventuale accertamento in quanto implica l’esame delle possibili relazioni
personali e sociali con il territorio dello Stato.
Per approfondimenti sul trasferimento della residenza fiscale all’estero cfr. Valente P., Rizzardi R., Delocalizzazione, migrazione societaria e trasferimento sede, IPSOA, 2014, p. 67 ss.; Valente P., Vinciguerra L., Esterovestizione delle
persone fisiche: centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale, IPSOA, 2016, p. 209 ss..
67 Con l’espressione “centro degli interessi vitali” si definisce il luogo in cui le relazioni personali ed economiche sono più strette. Sotto il profilo delle relazioni personali vengono in considerazione le relazioni familiari e sociali,
l’occupazione, le attività politiche, culturali o di altro genere, mentre per il profilo economico delle relazioni assumono rilievo la sede degli affari e il luogo dal quale si amministra la proprietà.
A tal fine, il Commentario all’art. 4 del Modello OCSE afferma che gli elementi personali ed economici devono
essere valutati nel loro insieme, fermo restando che tale criterio opera sia in caso di assenza di un’abitazione
principale che nell’ipotesi in cui siano presenti abitazioni principali in entrambi i Paesi contraenti (cfr. infra).
68 Tale attività viene espletata dalle strutture investigative e di intelligence, istituite presso ciascuna Direzione regionale delle Entrate, con l’ausilio degli uffici operativi e della Guardia di Finanza, che possono altresì operare
autonomamente.
Le posizioni soggettive da sottoporre a controllo sono individuate da ciascuna struttura locale operativa sulla
base delle realtà territoriali e delle informazioni disponibili, nonché da specifiche segnalazioni nominative.
Per approfondimenti sulle verifiche fiscali in materia di residenza fiscale cfr. Valente P., Elusione Fiscale Internazionale, IPSOA, 2014, p. 827 ss.; Valente P., Cardone D.M., Esterovestizione: profili probatori e metodologie di difesa nelle
verifiche, IPSOA, 2015, p. 239 ss.; Valente P., Vinciguerra L., Esterovestizione delle persone fisiche: centro degli interessi
vitali e nomadismo fiscale, IPSOA, 2016, p. 301 ss..
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Il “centro degli interessi vitali” è fattore determinante della residenza fiscale della persona fisica anche allorquando lo Stato in cui il lavoratore autonomo presta la propria
attività lavorativa, a sua volta, ritenga quest’ultimo residente sul suo territorio.
La situazione di dual residence che, in tal caso, si verrebbe a determinare trova definizione nelle disposizioni di cui all’art. 4 del Modello OCSE, il quale individua disposizioni speciali (cd. tie-breaker rules) che attribuiscono prevalenza ai criteri di collegamento del contribuente ad uno Stato piuttosto che all’altro69.
L’art. 4, paragrafo 2, accorda preferenza allo Stato contraente in cui la persona fisica dispone di una abitazione permanente.
Tale criterio è nella maggior parte dei casi sufficiente per risolvere il conflitto risultante dal fatto che una persona dispone di una abitazione permanente in uno Stato
contraente, pur avendo soggiornato per un certo periodo di tempo nell’altro Stato
contraente.
Ne consegue che, secondo quanto contenuto nella lettera a) del paragrafo 2, si
considera che la residenza della persona fisica si trovi nel luogo ove la stessa possiede
o utilizza una abitazione; detta abitazione deve qualificarsi come permanente; il requisito della permanenza sussiste se la persona fisica ne ha disposto l’utilizzo in modo durevole, in contrasto con un soggiorno in uno specifico luogo in condizioni tali che appaia evidente che il soggiorno sia di breve durata70.
Qualora una persona fisica disponga di una abitazione permanente in entrambi
gli Stati contraenti, il paragrafo 2 dell’art. 4 accorda la preferenza allo Stato ove la persona ha stabilito le proprie relazioni personali ed economiche più strette. Tale è lo Stato nel quale si trova, appunto, il “centro degli interessi vitali” del lavoratore autonomo71. A
tal fine, vengono presi in considerazione le relazioni familiari e sociali della persona fi-
Secondo quanto precisato dal Commentario all’art. 4 del Modello OCSE (par. 10), il criterio di riferimento
deve essere di natura tale da essere soddisfatto in un solo Stato e allo stesso tempo deve riflettere un legame per
cui il diritto di assoggettare a tassazione sia naturalmente attribuito a quello specifico Stato.
Per approfondimenti cfr. Valente P., Vinciguerra L., Esterovestizione delle persone fisiche: centro degli interessi vitali e
nomadismo fiscale, IPSOA, 2016, p. 124 ss..
70 Precisa il Commentario all’art. 4 del Modello OCSE che (par. 13), con riferimento alla nozione di abitazione,
risulta opportuno osservare che qualsiasi forma di abitazione può essere presa in considerazione (casa o appartamento di proprietà o locato dalla persona fisica, stanza arredata presa in locazione). La permanenza nella abitazione risulta essenziale; ciò implica che la persona fisica abbia fatto quanto necessario per avere la dimora a
sua disposizione sempre e continuamente, e non in modo occasionale.
Il concetto di residenza convenzionale presenta quindi elementi di contatto e di divergenza con la nozione di residenza di cui all’art. 43 del codice civile: infatti, da un lato, il profilo soggettivo è comune sia alla nozione convenzionale che a quella di diritto interno, in quanto in entrambe viene sottolineato l’aspetto dell’intenzionalità di
dimorare stabilmente in un determinato luogo; dall’altro lato, la nozione convenzionale si allontana da quella civilistica, non condividendone l’aspetto della dimora effettiva e privilegiando il dato della disponibilità di
un’abitazione fissa.
Cfr. per approfondimenti Valente P., Elusione Fiscale Internazionale, Ipsoa, 2014, p. 930 ss.; Valente P.,
Vinciguerra L., Esterovestizione delle persone fisiche: centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale, IPSOA, 2016, p. 124 ss..
71 Per approfondimenti sul concetto di “centro degli interessi vitali” cfr. Valente P., “Il centro degli interessi vitali.
Note sulla disciplina della residenza fiscale delle persone fisiche”, in Il fisco, n. 41/2009; Valente P., “The Center
of Vital Interests: A Review of Italy’s Rules on Tax Residence”, in Tax Notes International, Vol. 63, No. 1/2011;
Valente P., Vinciguerra L., Esterovestizione delle persone fisiche: centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale, IPSOA,
2016, p. 65 ss..
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
sica, le sue attività politiche, culturali o di altro tipo, il luogo da dove amministra i propri beni, ecc..
Le circostanze devono essere valutate nel complesso e il comportamento personale dell’interessato deve essere considerato in modo particolare.
Se una persona, la quale possiede una abitazione in uno Stato, stabilisce una seconda abitazione nell’altro Stato conservando tuttavia la prima abitazione, la circostanza che egli conservi tale prima abitazione nell’ambiente ove egli ha sempre vissuto,
ove ha sempre lavorato, e ove egli ha la propria famiglia e i beni, può, unitamente ad
altri elementi, contribuire a dimostrare che egli ha conservato il “centro degli interessi vitali” nel primo Stato.
La lettera b) del paragrafo 2 stabilisce un criterio per:
a) il caso in cui la persona fisica disponga di una abitazione permanente in entrambi gli Stati contraenti e non sia possibile determinare in quale dei due Stati
abbia il “centro degli interessi vitali”;
b) il caso in cui la persona fisica non disponga di una abitazione permanente in
alcuno Stato contraente.
In siffatta ipotesi, la preferenza viene accordata allo Stato contraente ove la persona soggiorna abitualmente72. A tale riguardo, devono essere presi in considerazione
non solo i soggiorni che l’interessato effettua nella abitazione permanente nello Stato
considerato, ma anche i soggiorni in qualsiasi altro luogo nel medesimo Stato73.
Nel disporre che nelle due situazioni contemplate la preferenza è accordata allo
Stato contraente ove la persona fisica ha il proprio soggiorno abituale, la lettera b) non
precisa il periodo di tempo entro il quale è necessario effettuare il confronto.
Esso dovrebbe essere effettuato su un periodo di tempo sufficientemente lungo
da consentire di valutare se la residenza in ciascuno dei due Stati è abituale e di determinare al contempo la periodicità dei soggiorni74.
Cfr. Schwarz J., Residence, Domicile and UK Taxation, Tottel Publishing, 30 settembre 2014; Abadee S.R., Evans
C.C., Tax and the Private Residence, CCH Australia, 1 gennaio 1995; Hadnum L., Non-Resident and Offshore Tax
Planning: How to Cut Your Tax to Zero: 2015/2016, CreateSpace Independent Publishing Platform, 17 marzo
2015; Valente P., Vinciguerra L., Esterovestizione delle persone fisiche: centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale,
IPSOA, 2016, p. 124 ss.; Valente P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016, Commento
all’art. 4.
73 Altra ipotesi è quella di una persona fisica che non possiede una abitazione permanente in alcuno degli Stati
contraenti, in quanto, a titolo esemplificativo, soggiorna, spostandosi da un hotel ad un altro. Anche in tale caso
tutti i singoli soggiorni effettuati in uno Stato devono essere considerati, senza che risulti indispensabile accertarsi delle ragioni alla base di detti soggiorni (Commentario all’art. 4 del Modello OCSE, par. 18).
74 Diventa determinante definire in quale luogo il soggetto in questione soggiorni in modo più frequente: non
viene, tuttavia, chiarito quale arco temporale dia luogo all’integrazione della fattispecie della dimora abituale, ma
in ogni caso si dovrà procedere al computo dei soggiorni abituali che si sono verificati all’interno del medesimo
Stato al fine di raggiungere un periodo sufficientemente ampio da risultare idoneo a ritenere permanente il soggiorno in detto Stato.
Il Commentario al Modello OCSE ha inoltre specificato che, nell’ipotesi della presenza dell’abitazione permanente in entrambi gli Stati, per definire la dimora abituale si deve tener conto anche dei periodi trascorsi in passato dal soggetto in entrambi gli Stati, sebbene non siano collegati all’abitazione permanente; nell’ipotesi
dell’assenza in entrambi gli Stati di una abitazione permanente, si devono in ogni caso computare anche i periodi passati nello Stato a prescindere dai motivi del soggiorno.
Cfr. Valente P., Vinciguerra L., Esterovestizione delle persone fisiche: centro degli interessi vitali e nomadismo fiscale, IPSOA,
2016, p. 124 ss.. Cfr. inoltre van Raad K., Model Income Tax Treaties, Springer, 29 giugno 2013; Kamal S.,
72
(segue)
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Qualora, nelle due situazioni considerate nella lettera b), la persona fisica abbia il
proprio soggiorno abituale in entrambi gli Stati contraenti o non abbia il proprio soggiorno abituale in alcuno di detti Stati, la preferenza viene accordata allo Stato del quale essa possiede la nazionalità.
Se la persona fisica possiede la nazionalità di entrambi gli Stati contraenti o non
possiede la nazionalità di alcuno di essi, la lettera d) del paragrafo 2 dell’art. 4 del Modello OCSE attribuisce alle autorità competenti il dovere di determinarne la residenza
mediante ricorso alla procedura amichevole di cui all’art. 25 del Modello OCSE75.
Per approfondimenti sulle criticità connesse alla residenza fiscale del lavoratore
autonomo cfr. il Cap. 7 del presente Volume.
1.4.2 La base fissa all’estero del lavoratore autonomo residente in Italia
La regola generale della tassazione nello Stato di residenza del lavoratore
autonomo ammette un’eccezione nel caso in cui quest’ultimo disponga abitualmente
Individual Tax Residence: The Law and Practice Relating to the Residence of Individuals for the Purposes of UK Tax, with
Source Material and a Commentary on the UK-India Double Tax Treaty, Sweet & Maxwell, 2011; Lang M., Introduction to
the Law of Double Taxation Conventions, Linde Verlag GmbH, 20 giugno 2013; Pratt J., Kulsrud W., Individual
Taxation 2013, Cengage Learning, 9 maggio 2012; Valente P., “The Center of Vital Interests: A Review of Italy’s
Rules on Tax Residence”, in Tax Notes International, Vol. 63, No. 1/2011.
75 L’art. 25 del Modello OCSE prevede:
“1. Quando una persona ritiene che le misure adottate da uno o da entrambi gli Stati contraenti comportano o comporteranno per
essa un’imposizione non conforme alle disposizioni della presente Convenzione, essa può, indipendentemente dai ricorsi previsti dalla
legislazione nazionale di detti Stati, sottoporre il caso all’autorità competente dello Stato contraente di cui è residente oppure, se il
caso ricade nell’ambito dell’applicazione del paragrafo 1 dell’art. 24, a quello Stato contraente di cui possiede la nazionalità.
Il caso deve essere sottoposto entro tre anni dalla prima notifica della misura che comporta la tassazione non conforme alle disposizioni della Convenzione.
2. L’autorità competente, se il ricorso appare fondato e se essa non è in grado di giungere ad una soddisfacente soluzione, farà del
suo meglio per regolare il caso per via di amichevole composizione con l’autorità competente dell’altro Stato contraente, al fine di evitare una tassazione non conforme alla Convenzione.
Ogni accordo sarà applicato nonostante qualsiasi limitazione di tempo previsto dalle legislazioni nazionali degli Stati contraenti.
3. Le autorità competenti degli Stati contraenti faranno del loro meglio per risolvere per via di amichevole composizione le difficoltà o
i dubbi inerenti all’interpretazione o all’applicazione della Convenzione. Esse potranno altresì consultarsi al fine di eliminare la
doppia imposizione nei casi non previsti dalla Convenzione.
4. Le autorità competenti degli Stati contraenti potranno comunicare direttamente tra loro anche attraverso una Commissione congiunta formata dalle autorità stesse o da loro rappresentanti al fine di pervenire ad un accordo come indicato nei paragrafi precedenti.
5. Laddove,
a) ai sensi del paragrafo 1, una persona abbia sottoposto un caso all’autorità competente di uno Stato Contraente, sulla base del fatto che le azioni di uno o entrambi gli Stati Contraenti siano state poste in essere, per questa persona, non in conformità, dal punto
di vista fiscale, con questa Convenzione, e
b) le autorità competenti non siano in grado di raggiungere un accordo per la risoluzione del caso ai sensi del paragrafo 2 entro due
anni dalla presentazione del caso all’autorità competente dell’altro Stato Contraente, ogni questione irrisolta risultante dal caso sarà
sottoposta a procedura arbitrale se la persona lo richiede.
Tuttavia tali questioni irrisolte non saranno sottoposte a procedura arbitrale se una decisione sulle stesse è già stata emessa da un
organo giudiziario o amministrativo di uno dei due Stati. A meno che una persona direttamente interessata dal caso non accetti
l’accordo reciproco che attua la decisione arbitrale, tale decisione sarà vincolante per entrambi gli Stati Contraenti e sarà attuata a
prescindere dai limiti temporali previsti dalle legislazioni nazionali di questi Stati.
Le autorità competenti degli Stati contraenti regoleranno con un accordo reciproco le modalità di applicazione di questo paragrafo”.
Per approfondimenti sull’art. 25 del Modello OCSE cfr. Valente P., Alagna C., Mattia S., Controversie internazionali: procedure amichevoli e gestione delle relazioni, Ipsoa, 2014, p. 39 ss.; Valente P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016, Commento all’art. 25.
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
di una base fissa per l’esercizio delle sue attività76 nell’altro Stato (diverso da quello di
residenza), vale a dire un centro di attività di carattere fisso o permanente (“a centre of
activity of a fixed or a permanent character”).
Pertanto, qualora il lavoratore autonomo residente in Italia disponga, in un altro
Stato, di locali atti a costituire una base fissa, i redditi derivanti dalle attività svolte
all’estero sono assoggettati a tassazione nello Stato in cui si trova tale base fissa, “nella
misura in cui sono imputabili” ad essa. Se, invece, non è configurabile alcuna base fissa
all’estero, i redditi da attività indipendente svolta all’estero dal lavoratore autonomo, di
cui si accerti la residenza ai fini fiscali in Italia, sono assoggettati ad imposizione in
quest’ultimo Paese.
A questo punto, è opportuno effettuare alcune considerazioni in ordine al concetto di “base fissa”, al fine di cogliere differenze e punti di contatto con la nozione di
“stabile organizzazione”, anche alla luce degli studi che hanno portato all’abrogazione
dell’art. 14 del Modello OCSE e alla riconduzione della disciplina fiscale da esso prevista nell’ambito di applicazione dell’art. 7 del Modello OCSE.
L’art. 14 del Modello OCSE non fornisce una definizione dell’espressione “base
fissa”; il paragrafo 4 del Commentario OCSE si limita a precisare che essa definisce, ad
esempio, lo studio di un medico, di un architetto o di un avvocato. Il concetto di “stabile organizzazione”, invece, dovrebbe essere riservato alle attività commerciali ed industriali.
Le problematiche interpretative e applicative dell’art. 14 del Modello OCSE, in
rapporto alle analoghe disposizioni dell’art. 7, sono state esaminate nel corso degli anni ‘90 da un Gruppo di lavoro OCSE all’uopo istituito, il quale ha raccomandato
l’eliminazione dell’art. 14 sulla base delle seguenti considerazioni:
 l’art. 14 dà luogo a taluni problemi applicativi che possono determinare sovrapposizioni nell’imposizione;
 non esistono differenze sostanziali fra l’art. 14 e l’art. 7, e quelle esistenti non
sono tali da giustificare la coesistenza dei due articoli nel corpus del Modello
OCSE. In particolare, si è rilevato che:
o il concetto di “stabile organizzazione” richiamato nell’art. 7 non differisce significativamente da quello di “base fissa” menzionato dall’art. 14; eventuali
differenze, quale quella relativa alla nozione di “stabile organizzazione personale” (non prevista per la base fissa), non sono idonee a giustificare il mantenimento di entrambe le disposizioni;
o l’art. 14, così come l’art. 7, si applica a tutti i soggetti che producono redditi
attraverso una base fissa in uno Stato diverso da quello di residenza, anche
se l’attività non viene prestata direttamente da tali soggetti;
Afferma Vogel K. (in On Double Taxation Conventions, Deventer, 1997, p. 766): “independent personal services are
performed at the place where the person concerned is physically present while performing them. However, where activities are purely
mental, or complex ones combining mental and physical activities, the peculiarity of the activity concerned must be taken into
consideration. For instance, when painters, sculptors or writers are involved, the answer to the question of where their activities are
«performed» must be found by looking at where the really creative act, the effort to produce the work of art as such, took place. It is
immaterial where the creative act was prepared or where in such a case the work so created was sold”.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
o non vi è, di fatto, una differenza sostanziale fra il concetto di “utili” di cui
all’art. 7 e quello di “redditi” di cui all’art. 14, dal momento che, in entrambi
i casi, per la determinazione dell’imponibile, è ammessa la deducibilità dei
costi sostenuti per lo svolgimento dell’attività.
L’art. 14 è stato, quindi, eliminato dalla versione del Modello aggiornata nell’aprile
2000, con la conseguenza che i redditi che derivano dallo svolgimento all’estero di attività autonoma rientrano, ora, nell’ambito di applicazione dell’art. 7 del Modello OCSE. Contemporaneamente, sono state introdotte, nell’art. 3 del Modello OCSE, due
nuove definizioni:
 quella di “impresa”, da intendersi come “lo svolgimento di qualsiasi tipo di attività
economica (business)”;
 quella di “attività economica”, che include anche i “servizi professionali e ogni altra attività di carattere indipendente”.
Il paragrafo 4 del Commentario all’art. 3 del Modello OCSE precisa che, a prescindere da ogni interpretazione o definizione presenti nella legislazione interna, lo
svolgimento di attività economica di carattere indipendente è da intendersi quale esercizio di attività d’impresa77. Analoga precisazione viene effettuata con riferimento alla
prestazione di servizi professionali78.
L’art. 7 del Modello OCSE, che disciplina le modalità di ripartizione della potestà
impositiva degli Stati contraenti con riguardo al reddito (o utili) d’impresa, rappresenta
la continuazione dell’art. 5. Quest’ultimo definisce il concetto di “stabile organizzazione”
quale necessario presupposto territoriale di localizzazione del reddito d’impresa prodotto nell’esercizio di attività industriali o commerciali aventi carattere transnazionale.
A tal fine, il richiamato art. 7 non si limita semplicemente a fissare astrattamente i criteri idonei a risolvere i potenziali casi di doppia imposizione, ma indica altresì in concreto le modalità di determinazione del reddito d’impresa da assoggettare a tassazione.
Se, per effetto dell’abrogazione dell’art. 14 del Modello OCSE, è venuta meno, a
livello internazionale convenzionale, la distinzione tra “base fissa” e “stabile organizzazione”, lo stesso non può affermarsi con riguardo alla prassi italiana. In merito, l’Agenzia
delle Entrate, con risoluzione n. 154/E dell’11 giugno 2009, ha chiarito79:
77 “The question whether an activity is performed within an enterprise or is deemed to constitute in itself an enterprise has always
been interpreted according to the provisions of the domestic laws of the Contracting States. No exhaustive definition of the term «enterprise» has therefore been attempted in this Article. However, it is provided that the term «enterprise» applies to the carrying on of
any business. Since the term «business» is expressly defined to include the performance of professional services and of other activities
of an independent character, this clarifies that the performance of professional services or other activities of an independent character
must be considered to constitute an enterprise, regardless of the meaning of that term under domestic law. States which consider that
such clarification is unnecessary are free to omit the definition of the term «enterprise» from their bilateral conventions” (cfr. il par.
4 del Commentario all’art. 3 del Modello OCSE).
78 Per approfondimenti sulla riconduzione delle libere professioni all’ambito di applicazione dell’art. 7 del Modello OCSE cfr. il Cap. 5 del presente Volume. Cfr. inoltre Valente P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, IPSOA, 2016, Commento all’art. 7.
79 All’Agenzia delle Entrate era stato sottoposto il seguente quesito:
“La società di diritto inglese ALFA, impegnata nel campo dei servizi legali alle imprese e persone fisiche, ha intenzione di costituire nel territorio italiano una sede operativa, al fine di gestire le attività di consulenza e assistenza legale nell’interesse di clienti italiani e stranieri. Ciò premesso, la società istante ha chiesto di conoscere se i compensi professionali che saranno corrisposti alla costituenda base fissa da committenti/sostituti d’imposta debbano essere assoggettati a tassazione mediante ritenuta alla fonte ai sensi
dell’art. 25 del DPR 600/73”.
(segue)
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
“Il termine stabile organizzazione, tipizzato nel nostro ordinamento all’articolo 162 del Tuir, si riferisce esclusivamente ad
attività di natura imprenditoriale, mentre il termine base fissa indica un autonomo centro di imputazione di interessi giuridico-tributari per lo svolgimento di attività di lavoro autonomo.
A questo proposito è importante sottolineare che, se è vero che il modello OCSE, cui usualmente le convenzioni contro le
doppie imposizioni fanno riferimento, ha abrogato la distinzione tra stabile organizzazione (attività d’impresa) e base fissa
(lavoro autonomo) determinando una sostanziale equiparazione tra le due espressioni, è altrettanto vero e, significativo ai
fini dell’interpretazione della norma, che l’Italia ha formalmente espresso riserva per continuare ad includere nelle convenzioni un articolo specifico riguardante l’imposizione dei redditi che derivano dall’esercizio di professioni indipendenti.
La riserva conferma la volontà di continuare a distinguere l’attività commerciale da quella autonoma (riserva sull’art. 3 del
modello OCSE80)”.
Quindi, era stata prospettata la seguente soluzione interpretativa:
“A parere dell’istante, i compensi percepiti dalla base fissa dell’ente inglese per lo svolgimento dell’attività professionale sono esclusi
dall’ambito applicativo di cui all’art. 25 del DPR 600/73. In particolare, l’istante afferma che non è possibile applicare il primo
comma del citato articolo, in quanto l’obbligo della ritenuta del 20 per cento, a titolo di acconto, è previsto solo per i compensi erogati
a soggetti residenti. Nella fattispecie descritta sia la società inglese ALFA che la costituenda sede italiana non acquisterebbero la residenza fiscale italiana in quanto la società inglese continua ad essere qualificata come soggetto non residente mentre la sede italiana
è una proiezione meramente operativa della casa madre.
Inoltre, ai sensi del comma 2, ultima parte, del citato articolo l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per
cento nei confronti dei soggetti non residenti è esclusa qualora il compenso sia corrisposto ad una stabile organizzazione italiana. A
parere dell’istante, la costituenda sede italiana è assimilabile, ai fini fiscali, ad una stabile organizzazione e tale affermazione non
può essere disattesa dalla considerazione che con tale termine si intende esclusivamente un soggetto esercente attività d’impresa per le
seguenti motivazioni:
sia nella letteratura giuridica che nell’interpretazione fornita a livello internazionale l’espressione «base fissa», con cui, di solito, si intende l’attività di lavoro autonomo, non si differenzia dall’espressione «stabile organizzazione»;
se il termine stabile organizzazione si riferisse soltanto allo svolgimento di attività d’impresa non si capirebbe la ratio della
norma: nessuna stabile organizzazione percepisce compensi per attività di lavoro autonomo;
la distinzione tra «stabile organizzazione» e «base fissa», a seguito della cancellazione dell’articolo 14 del modello OCSE,
non ha più ragione di esistere”.
80 La riserva espressa dall’Italia è la seguente:
“14. Italy and Portugal reserve the right not to include the definitions in subparagraphs 1 c) and h) (“enterprise” and “business”)
because they reserve the right to include an article concerning the taxation of independent personal services”.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Tavola 4 – Lavoro autonomo svolto all’estero e potestà impositiva
Esercizio della
potestà impositiva italiana
Convenzioni contro le doppie
imposizioni stipulate dall’Italia
Le convenzioni, all’art. 14, in tema di professioni indipendenti, prevedono la tassazione esclusivamente
nello Stato di residenza del soggetto, a meno che questi non disponga di una base d’affari nel Paese estero,
fattispecie che NON è collegabile allo svolgimento di lavoro autonomo occasionale.
Esercizio della potestà impositiva italiana sui redditi da lavoro autonomo occasionale prodotti all’estero da
persone fiscalmente residenti in Italia
Applicazione della ritenuta
Lavoro autonomo occasionale svolto all’estero
per conto di società estere
L’art. 25, co. 1, D.P.R. 600/1973 prevede
l’applicazione sui compensi comunque denominati,
anche sotto forma di partecipazione agli utili, di
una ritenuta del 20% a titolo di acconto
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche.
I soggetti elencati tassativamente nell’articolo 23,
co. 1, D.P.R. 600/1973 sono sempre obbligati, per
l’ordinamento italiano, a effettuare la ritenuta a
titolo di acconto.
R.M. 08.07.1980,
n. 649,
ha chiarito:
32
“nel caso di enti che non sono tenuti alla presentazione della dichiarazione dei redditi nel
nostro Paese in quanto quivi non soggetti d’imposta, (…) nei confronti di tali enti
mancherebbero i presupposti per attribuire loro la funzione di sostituto d’imposta”
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
1.4.3 La prestazione in Italia del lavoratore autonomo residente
all’estero
Il trattamento fiscale da applicarsi alle prestazioni effettuate in Italia da lavoratori
autonomi non residenti, si rinviene, sostanzialmente, nei seguenti due articoli:
 l’art. 23, comma 1, lettera d), del TUIR, in base al quale i redditi di lavoro autonomo, tra i quali rientrano anche quelli derivanti da attività artistiche dei non
residenti, si considerano prodotti in Italia se le prestazioni da cui derivano sono realizzate81 nel territorio dello Stato;
 l’art. 25, comma 2, del D.P.R. n. 600/1973, che dispone che sui compensi da
lavoro autonomo, corrisposti a soggetti non residenti, deve essere operata una
ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30%.
I corrispettivi elargiti per le prestazioni di servizi effettuate in Italia dal lavoratore
autonomo non residente sono assoggettate a ritenuta ai sensi del secondo comma
dell’art. 25 del D.P.R. n. 600 del 1973. Tale norma disciplina “le ritenute sui redditi di lavoro autonomo e su altri redditi” e dispone, al comma 2, l’obbligo di effettuazione delle ritenute sui corrispettivi che spettano a soggetti non residenti, con particolare riferimento
alle prestazioni di lavoro autonomo, anche se effettuate nell’esercizio di imprese.
Le fattispecie regolate dal suindicato articolo devono essere accuratamente documentate dal sostituto d’imposta, al fine di contrastare eventuali pratiche evasive (cfr.
infra).
La ritenuta a titolo d’imposta si applica nella misura del 30% nei confronti dei
soggetti non residenti che effettuano prestazioni di lavoro autonomo, o prestazioni di
servizi nell’esercizio di imprese, verso sostituti d’imposta residenti in Italia.
Ai fini della nozione di “soggetto non residente”, si fa riferimento a quanto previsto
dall’art. 2, comma 2, del TUIR (dall’art. 73, comma 3, del TUIR per le persone giuridiche), nonché a quanto già ampiamente illustrato nei paragrafi che precedono in merito
all’individuazione della residenza fiscale del lavoratore autonomo.
Con riferimento ai redditi da lavoro autonomo, sono assoggettati a ritenuta, secondo quanto chiarito dalla risoluzione n. 69 dell’Agenzia delle Entrate del 21 marzo
2003, anche i rimborsi spese, i quali rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 53
del TUIR82. Se, al contrario, la prestazione di lavoro autonomo è effettuata fuori dal
81 Il comma 1 dell’art. 53 del D.P.R. n. 917/1986 prevede che “Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano
dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’articolo 5 [associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio
in forma associata di arti e professioni]”.
Il requisito della professionalità fa riferimento al fatto che il soggetto pone in essere un insieme di atti coordinati
e finalizzati unitariamente con regolarità, stabilità e sistematicità.
L’abitualità si contrappone all’occasionalità in quanto quest’ultima implica lo svolgimento di attività episodiche,
saltuarie e non programmate. È abituale l’attività che viene svolta costantemente nel tempo. Essa presuppone
una reiterazione di adempimenti. Affinché un lavoro diventi abituale, devono sussistere le seguenti condizioni:
1. la disponibilità del soggetto a svolgere una certa attività;
2. la richiesta “oggettiva” dall’esterno di quella determinata attività.
82 L’art 53 del TUIR prevede:
(segue)
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
territorio italiano, il compenso percepito per tale attività non è assoggettato a ritenuta,
indipendentemente dal fatto che i servizi resi siano utilizzati in Italia.
Sono esclusi da ritenuta i compensi corrisposti a soggetto non residente per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero.
Se il compenso viene corrisposto a una stabile organizzazione in Italia del soggetto non residente, esso non sarà assoggettato a ritenuta, poiché la sede fissa di affari
sconta l’imposizione nel territorio nazionale.
È importante osservare che quest’ultima previsione deve essere riferita esclusivamente alle prestazioni a carattere imprenditoriale. Ciò, in considerazione del fatto che
la nozione di “stabile organizzazione”, di cui all’art. 5 del Modello OCSE e all’art. 162 del
TUIR, si riferisce esclusivamente ad un’attività di impresa.
Nel caso, invece, di “base fissa”, a cui fa riferimento l’abrogato art. 14 del Modello
OCSE (come ampiamente osservato nei paragrafi che precedono) trova applicazione
l’ordinario obbligo di ritenuta previsto nei confronti dei lavoratori autonomi non residenti che svolgono attività in Italia.
Per “base fissa” si intende l’autonomo centro di imputazione di interessi giuridico-tributari, sito nel territorio nazionale e che svolge attività di lavoro autonomo.
Ciò, in considerazione del fatto che la norma di cui all’art. 25, comma 2, D.P.R. n.
600 del 1973 ripropone il disposto dell’art. 23, comma 1 lett. d) ed e), del TUIR, che
assoggetta a imposizione, specularmente, i redditi derivanti da attività esercitate nel
territorio dello Stato, e in particolare, con riferimento al reddito d’impresa, soltanto
quelli prodotti mediante stabili organizzazioni.
“1. Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni. Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo
VI, compreso l’esercizio in forma associata di cui alla lettera c) del comma 3 dell’articolo 5.
2. Sono inoltre redditi di lavoro autonomo:
[a)]
b) i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell’autore o inventore, di opere dell’ingegno, di brevetti industriali e di
processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti
nell’esercizio di imprese commerciali;
c) le partecipazioni agli utili di cui alla lettera del comma 1 dell’articolo 41 quando l’apporto è costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro;
d) le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata;
e) le indennità per la cessazione di rapporti di agenzia.
f) i redditi derivanti dall’attività di levata dei protesti esercitata dai segretari comunali ai sensi della legge 12 giugno 1973, n. 349.
3. Per i redditi derivanti dalle prestazioni sportive oggetto di contratto di lavoro autonomo, di cui alla legge 23 marzo 1981, n. 91,
si applicano le disposizioni relative ai redditi indicati alla lettera a) del comma 2”.
La formazione del reddito di lavoro autonomo è disciplinata dall’art. 54 del TUIR, e ha natura speciale rispetto a
quella che riguarda il reddito d’impresa:
“Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso
nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi (...)”.
Sono pertanto sanciti il principio dell’inerenza e il principio di cassa, oltre all’obbligo di tenere la contabilità. Il requisito dell’inerenza, che solleva alcune criticità nella pratica applicativa, può definirsi come quel processo logicofunzionale diretto ad individuare i beni e servizi che, sulla base della comune esperienza e della concreta realtà
professionale, il soggetto acquista nell’esercizio dell’attività imprenditoriale o professionale e non quale consumatore finale e/o per fini privati.
Cfr. Belotti R., Bertozzi L., Lavoro autonomo e professionale nell’IRAP e nelle imposte dirette, Giuffrè, 2013.
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
Con riferimento ad una associazione tra professionisti estera, operante in Italia
mediante una “base fissa”, l’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 154/E dell’11
giugno 2009, ha precisato che
“i redditi prodotti in Italia dalla base fissa di un’associazione tra professionisti estera (soggetta ad IRES, ai sensi
dell’articolo 73, comma 1, lett. d), del Tuir)) seguono le regole di determinazione proprie degli enti non commerciali non residenti con conseguente applicazione degli artt. 153 e 154 del Tuir. Ciò in quanto la predetta base fissa non svolge un’attività
commerciale.
In particolare, l’imposta si applica solo sui redditi prodotti in Italia, determinati secondo le disposizioni previste dal titolo I
del Tuir relative alle categorie nelle quali i singoli redditi rientrano. Pertanto, il reddito di lavoro autonomo seguirà le regole
di determinazione proprie di cui all’art. 53 e seguenti del Tuir (…).
In ordine alle modalità di tassazione del reddito professionale, (…) i compensi percepiti dall’associazione professionale operante nel territorio nazionale sono soggetti alla ritenuta d’acconto, nella misura del 20 per cento, ai sensi dell’articolo 25,
comma 1, del DPR 600/73.
Detta disposizione prevede che «i soggetti indicati nel primo comma dell’articolo 23, che corrispondono a soggetti residenti nel
territorio dello stato compensi comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili, per prestazioni di lavoro
autonomo, ancorché non esercitate abitualmente, (…), devono operare all’atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento a
titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa».
Il rinvio espresso al comma 1 dell’articolo 25 conferma la volontà di escludere, per i soggetti non residenti che rendono in Italia prestazioni di servizi per il tramite di una base fissa nello Stato, l’applicazione della ritenuta a titolo definitivo ex art.
25, comma 2, del citato DPR. Si rammenta che il predetto art. 25, comma 2, stabilisce che «se i compensi e le altre somme
sono corrisposte a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese».
Ciò in quanto, una volta accertata la sussistenza di un collegamento stabile tra l’esercizio dell’attività professionale e il territorio italiano, la modalità di tassazione dell’imponibile è demandata alla legislazione domestica.
Più precisamente, la presenza di una base fissa indica che l’operatore straniero ha raggiunto un livello di penetrazione economica nel territorio tale da renderlo equiparabile ad un professionista residente”.
Va da sé che, ove sia presente e trovi applicazione una convenzione contro le
doppie imposizioni, la quale prevede un trattamento più favorevole rispetto a quello
contemplato dall’art. 25 del D.P.R. n. 600/1973 (perché, ad esempio, sulla base del
Modello OCSE, non contempla l’imponibilità del reddito in Italia, escludendo quindi
l’obbligo di ritenuta, o perché prevede una ritenuta ad un’aliquota inferiore), tale ultimo trattamento sarà applicato dal sostituto d’imposta previa consegna, da parte del lavoratore autonomo, di un attestato dell’Autorità fiscale estera, idoneo a certificare
l’esistenza delle condizioni richieste ai fini dell’applicazione del regime convenzionale,
ovvero la residenza fiscale nello Stato estero (alla luce di quanto previsto dall’art. 4 del
Modello OCSE).
Il lavoratore autonomo è altresì tenuto a consegnare al sostituto d’imposta una
dichiarazione relativa al periodo di permanenza in Italia nell’anno solare, nonché la dichiarazione di non possedere in Italia una stabile organizzazione o base fissa.
Ove, al contrario, non sia presente una convenzione contro le doppie imposizioni
e il sostituto non ritenga di dover effettuare la ritenuta, secondo la risoluzione ministeriale del 3 febbraio 1977, n. 762, quest’ultimo “dovrà acquisire la necessaria documentazione
(certificato dell’autorità straniera attestante che il professionista è residente ai fini fiscali nello Stato
estero, dichiarazione del beneficiario di aver effettuato la prestazione a favore della impresa italiana
nello Stato estero) (…) per giustificare la mancata trattenuta sulle somme corrisposte (…) e non incorrere, quindi, nella responsabilità che la vigente legislazione addossa al sostituto d’imposta”.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Tavola 5 – Criteri di imputazione del reddito da lavoro autonomo
Modalità di tassazione
per il reddito da lavoro
autonomo
Criterio di
cassa
Il reddito da lavoro autonomo è soggetto a ritenuta alla fonte a
titolo di acconto del 20%.
Ex art. 25 D.P.R. 600/73
La ritenuta è a titolo di imposta nella misura del 30% se il
compenso viene corrisposto a soggetto non residente.
Compensi in natura e momento della loro percezione
Momento dell’effettiva disponibilità da
parte del percipiente.
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Prestazione di servizi: effettiva utilizzabilità.
Cessione di un bene: effettiva consegna del bene.
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
1.5 ABSTRACT
The independent worker (or self-employed worker and/or professional) is a role
regulated by Italian Civil Laws, as defined under Article 2222 of the Italian Civil Code
as the subject who engages in accomplishing, for good and valuable consideration,
work or service activities mainly with his/her own work and without being in any way
subordinate to the requesting party (i.e., client or buyer).
The above-mentioned role therefore identifies activities carried out by
professionals and self-employed workers (i.e., artisans, tradesmen/retailers), with the
exception of entrepreneurial roles.
There are two different categories which respectively correspond to manual and
intellectual services. Such latter category includes self-employed professionals, while
independent workers providing manual services are tradesmen/retailers, artisans, farm
and stock breeders and those generally referred to as “small entrepreneurs”.
Independent work also includes a number of cooperation forms known as the
so-called “para-subordinato” (i.e., so-called “para-subordinated” role comprised of some
subordinate and some “consulting” features) or coordinated cooperation, which is
inserted in the organization of the requesting enterprise (i.e., client). Under the above
we also find the project (or term) contract, which (partially) replaced the continuous
and coordinated collaboration agreement.
The independent worker/professional carries out his/her own activities through
his/her own means and not through those of the requesting party, within the times,
place and manner fully left at his/her own discretion as far as the service to be
provided is concerned.
As such, the same has no subordinate relationship whatsoever vis-à-vis the
requesting party, as the latter is not endowed with either steering, controlling or
procedural/disciplinary powers that are typical of employers.
The performance of working activities abroad, without the existence of any
subordinate link vis-à-vis the requesting party, gives rise to a series of critical tax
issues, which should be dealt with, on the one hand, by taking into consideration the
personal status of the independent worker while, on the other, the manner by means
of which such services are rendered.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
Table 6 – Independent Work Carried out Abroad and Taxing Sovereignty
Italy’s exercise of its
taxing rights
Treaties Against Double Taxation
entered into by Italy
Treaties, under Article 14, on the topic of self-employed/independent professionals, provide that taxation be
exclusively applied in the subject’s State of residence, unless the same avails him/herself of a business base in the
foreign Country.
Italy’s exercise of its taxing rights on income from occasional independent work realized abroad by
individuals which are tax-resident in Italy.
Application of withholding tax
Occasional independent work carried out
abroad on behalf of foreign companies
Article 25, paragraph 1 of Presidential Decree No.
700/1973 sets forth the application of a 20%
withholding on remunerations, however
denominated, even under the form of profitsharing, as advance tax payment on the income of
individuals.
Subjects categorically listed under Article 23,
paragraph 1 of Presidential Decree No. 600/1973
are always required – for the purposes of the
Italian system – to apply a withholding as advance
tax payment
Ministerial
Resolution No.
649 of 8.7.1980
clarifies that
38
“in case of entities that are not required to file a tax return in our Country, since not liable to
taxation herein, (…) the necessary assumptions vis-à-vis such entities would be lacking in
order to attribute the function of withholding tax agent to the same”.
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
1.6 RIFERIMENTI
LEGISLAZIONE
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
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Art. 2222 c.c.
Art. 2224 c.c.
Art. 1662 c.c.
Art. 2225 c.c.
Art. 1657 c.c.
Art. 43 c.c.
Art. 2, comma 2 del TUIR.
Art. 23, comma 1, lettera d) del TUIR.
Art. 25, comma 2 del D.P.R. n. 600/1973.
PRASSI
 C.M. 2 dicembre 1997 n. 304/E.
 C.M. 26 gennaio 2001 n. 9/E).
 Risoluzione n. 351 del 7 agosto 2008.
 Risoluzione n. 154/E dell’11 giugno 2009.
 Risoluzione n. 69 del 21 marzo 2003.
 Risoluzione ministeriale del 3 febbraio 1977, n.
762.
GIURISPRUDENZA
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Cass., sentenza n. 2509/1997.
Cass., sentenza n. 11945/1992.
Cass., sentenza n. 4152/1992.
Cass., sentenza n. 7185/1990.
Cass., sentenza n. 3272/1992.
Cass., sentenza n. 652/1992.
Cass., sentenza n. 29576/2011.
Cass., sentenza n. 12259/2010.
Cass., 4 aprile 2012, n. 5382.
Cass., 13 maggio 2015, n. 9723.
Cass., 28 ottobre 2015, n. 21970.
Cass., 17 luglio 1967, n. 1812.
Cass., 20 settembre 1979, n. 4829.
Cass., 24 marzo 1983, n. 2070.
Cass., 5 febbraio 1985, n. 791.
Cass. Civ. Sez. Lav., 26 agosto 2013, n. 19568.
Cass. Civ. Sez. Lav., 19 aprile 2010, n. 9252.
Cass. Civ. Sez. Lav., 13 dicembre 2010, n. 25150.
Cass. Civ. Sez. Lav., 30 novembre 2009, n.
25224.
 Cass. Civ. Sez. Lav., 21 ottobre 2014, n. 22289.
 Cass. Civ. Sez. Lav., 4 ottobre 2011, n. 20265.
 Tribunale di Roma, sentenza del 12.7.2002.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
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41
Lavoro autonomo in ambito internazionale
1.7 APPENDICE
Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 154/E dell’11 giugno 2009
OGGETTO: Istanza di interpello – art. 11, legge 27 luglio 2000 n. 212 –
trattamento fiscale dei compensi percepiti in Italia da base fissa di una
società professionale estera – art. 25 del D.P.R. 600/73 – Ulteriori
chiarimenti
Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art. 25
del D.P.R. 600 del 1973 è stato esposto il seguente
QUESITO
La società di diritto inglese ALFA, impegnata nel campo dei servizi legali alle imprese e persone fisiche, ha intenzione di costituire nel territorio italiano una sede operativa, al fine di gestire le attività di consulenza e assistenza legale nell’interesse di
clienti italiani e stranieri.
Ciò premesso, la società istante ha chiesto di conoscere se i compensi professionali che saranno corrisposti alla costituenda base fissa da committenti/sostituti
d’imposta debbano essere assoggettati a tassazione mediante ritenuta alla fonte ai sensi
dell’art. 25 del DPR 600/73.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL
CONTRIBUENTE
A parere dell’istante, i compensi percepiti dalla base fissa dell’ente inglese per lo
svolgimento dell’attività professionale sono esclusi dall’ambito applicativo di cui all’art.
25 del DPR 600/73.
In particolare, l’istante afferma che non è possibile applicare il primo comma del
citato articolo, in quanto l’obbligo della ritenuta del 20 per cento, a titolo di acconto, è
previsto solo per i compensi erogati a soggetti residenti. Nella fattispecie descritta sia
la società inglese ALFA che la costituenda sede italiana non acquisterebbero la residenza fiscale italiana in quanto la società inglese continua ad essere qualificata come
soggetto non residente mentre la sede italiana è una proiezione meramente operativa
della casa madre.
Inoltre, ai sensi del comma 2, ultima parte, del citato articolo l’applicazione della
ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento nei confronti dei soggetti non
residenti è esclusa qualora il compenso sia corrisposto ad una stabile organizzazione
italiana. A parere dell’istante, la costituenda sede italiana è assimilabile, ai fini fiscali, ad
una stabile organizzazione e tale affermazione non può essere disattesa dalla considerazione che con tale termine si intende esclusivamente un soggetto esercente attività
d’impresa per le seguenti motivazioni:
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I. La prestazione di lavoro autonomo: generalità
- sia nella letteratura giuridica che nell’interpretazione fornita a livello internazionale l’espressione “base fissa”, con cui, di solito, si intende l’attività di lavoro autonomo, non si differenzia dall’espressione “stabile organizzazione”;
- se il termine stabile organizzazione si riferisse soltanto allo svolgimento di attività d’impresa non si capirebbe la ratio della norma: nessuna stabile organizzazione percepisce compensi per attività di lavoro autonomo;
- la distinzione tra “stabile organizzazione” e “base fissa”, a seguito della cancellazione dell’articolo 14 del modello OCSE, non ha più ragione di esistere.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Con la risoluzione del 26 aprile 2007 n. 80, la scrivente ha chiarito che i redditi
prodotti in Italia dalla base fissa di un’associazione tra professionisti estera (soggetta
ad IRES, ai sensi dell’articolo 73, comma 1, lett. d), del Tuir)) seguono le regole di determinazione proprie degli enti non commerciali non residenti con conseguente applicazione degli artt. 153 e 154 del Tuir. Ciò in quanto la predetta base fissa non svolge
un’attività commerciale.
In particolare, l’imposta si applica solo sui redditi prodotti in Italia, determinati
secondo le disposizioni previste dal titolo I del Tuir relative alle categorie nelle quali i
singoli redditi rientrano. Pertanto, il reddito di lavoro autonomo seguirà le regole di
determinazione proprie di cui all’art. 53 e seguenti del Tuir e sarà indicato nel quadro
RE del Modello Unico – Enti non commerciali ed equiparati.
In ordine alle modalità di tassazione del reddito professionale, il documento di
prassi ha precisato, tra l’altro, in via incidentale, che i compensi percepiti
dall’associazione professionale operante nel territorio nazionale sono soggetti alla ritenuta d’acconto, nella misura del 20 per cento, ai sensi dell’articolo 25, comma 1, del
DPR 600/73. Detta disposizione prevede che “i soggetti indicati nel primo comma
dell’articolo 23, che corrispondono a soggetti residenti nel territorio dello stato compensi comunque denominati, anche sotto forma di partecipazione agli utili, per prestazioni di lavoro autonomo, ancorché
non esercitate abitualmente, (…), devono operare all’atto del pagamento una ritenuta del 20 per cento
a titolo di acconto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa”.
Il rinvio espresso al comma 1 dell’articolo 25 conferma la volontà di escludere,
per i soggetti non residenti che rendono in Italia prestazioni di servizi per il tramite di
una base fissa nello Stato, l’applicazione della ritenuta a titolo definitivo ex art. 25,
comma 2, del citato DPR. Si rammenta che il predetto art. 25, comma 2, stabilisce che
“se i compensi e le altre somme sono corrisposte a soggetti non residenti, deve essere operata una ritenuta a titolo d’imposta nella misura del 30 per cento, anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di
imprese”.
Ciò in quanto, una volta accertata la sussistenza di un collegamento stabile tra
l’esercizio dell’attività professionale e il territorio italiano, la modalità di tassazione
dell’imponibile è demandata alla legislazione domestica.
Più precisamente, la presenza di una base fissa indica che l’operatore straniero ha
raggiunto un livello di penetrazione economica nel territorio tale da renderlo equiparabile ad un professionista residente.
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Lavoro autonomo in ambito internazionale
D’altronde, la previsione della ritenuta a titolo di imposta e quindi definitiva ex
art. 25, comma 2 del DPR 600/73 deriva dall’esigenza di evitare che soggetti non residenti che operano nel territorio italiano possano sottrarsi alla potestà impositiva nazionale.
Tale finalità non ha ragion d’essere nei confronti delle società che operano in Italia con una sede operativa radicata nel territorio e soggetta agli adempimenti fiscali
previsti dalla normativa italiana.
Al riguardo, le istruzioni al modello unico Enti non commerciali/2009 prevedono
che l’associazione fra professionisti non residenti che svolge l’attività in Italia mediante
una base fissa deve indicare nel rigo RE24 l’ammontare delle ritenute eventualmente
subite sui compensi derivanti dall’attività professionale.
Nel confermare, pertanto, i chiarimenti già forniti con la risoluzione n. 80, la scrivente fa presente, per completezza, che al caso di specie non può essere applicato
l’ultimo periodo del comma 2 dell’articolo 25 del D.P.R. n. 600/1973 che esclude
l’applicazione della ritenuta a titolo d’imposta “sui compensi per prestazioni di lavoro autonomo effettuate all’estero e quelli corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti”.
Il termine stabile organizzazione, tipizzato nel nostro ordinamento all’articolo 162
del Tuir, si riferisce esclusivamente ad attività di natura imprenditoriale, mentre il termine base fissa indica un autonomo centro di imputazione di interessi giuridicotributari per lo svolgimento di attività di lavoro autonomo.
A questo proposito è importante sottolineare che, se è vero che il modello OCSE,
cui usualmente le convenzioni contro le doppie imposizioni fanno riferimento, ha
abrogato la distinzione tra stabile organizzazione (attività d’impresa) e base fissa (lavoro autonomo) determinando una sostanziale equiparazione tra le due espressioni, è altrettanto vero e, significativo ai fini dell’interpretazione della norma, che l’Italia ha
formalmente espresso riserva per continuare ad includere nelle convenzioni un articolo specifico riguardante l’imposizione dei redditi che derivano dall’esercizio di professioni indipendenti.
La riserva conferma la volontà di continuare a distinguere l’attività commerciale
da quella autonoma (riserva sull’art. 3 del modello OCSE).
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Le Direzioni Regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dagli uffici.
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