A
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Fausto Intilla
L’Esperimento di Afshar
Verso un nuovo approccio
al principio di complementarità
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via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
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I edizione: maggio 
“Si può trovare la verità con la logica,
soltanto se la si è già trovata senza di essa”
G.K. Chesterton
“Per poter tracciare un limite al pensiero,
dovremmo trovare concepibili entrambi
i versanti di quel limite; dovremmo essere in grado
di pensare quel che non è pensabile”
L. Wittgenstein
Indice

Prefazione
di Luigi Maxmilian Caligiuri

Introduzione

Capitolo I
Il mondo dei quanti
.. L’interferometro di Mach-Zehnder,  – .. Il principio d’indiscernibilità,  – .. Principi di fisica quantistica,  – .. Which-way detector, 
– .. Which-way entangler,  – .. Which–way entangler con atomi,  –
.. Entanglement,  – .. Quantum eraser,  – .. Una curiosità. . . , 
– .. Shahriar Afshar, .

Capitolo II
L’esperimento di Afshar

Capitolo III
Molte menti, molte tesi
.. Ruth Kastner,  – .. Eduardo Flores ed Ernst Knoesel,  – .. Daniel Reitzner,  – .. W.G. Unruh,  – .. Luboš Motl,  – .. Aurelien Drezet,  – .. John G. Cramer,  – .. Ole Steuernagel, .

Appendice

Pensieri

Bibliografia

Prefazione
di L M C
Il grande Richard P. Feynman, scherzando, era solito dire: “Se credete
di aver capito la teoria dei quanti, vuol dire che non l’avete capita”,
mentre Erwin Schrödinger, uno dei suoi padri fondatori, affermava:
“Non mi piace, e mi spiace di averci avuto a che fare”.
Tali affermazioni, al di là dell’evidente umorismo, celano un reale
e profondo senso di disagio e di difficoltà agli stessi fisici che l’hanno
elaborata partendo dai modelli della fisica quantistica, la quale, oltre a
fornire previsioni spesso sconcertanti e lontanissime dal senso comune
e dall’intuizione, rimane ad oggi, sostanzialmente, oscura nei suoi
aspetti più fondamentali e nei suoi postulati.
Tuttavia, in maniera direttamente proporzionale alla difficoltà di
una sua univoca interpretazione, essa è stata ed è in grado di fornire
una descrizione della realtà atomica e subatomica incredibilmente
attendibile, rendendo conto di una miriade di fenomeni, altrimenti
inspiegabili nell’ambito della fisica pre–quantistica (a tal punto che,
quasi sicuramente, non sarebbe stata presa assolutamente in seria considerazione, se i risultati sperimentali non avessero lasciato altra scelta).
La fisica quantistica, fornisce infatti una visione della realtà completamente diversa da quella offerta dalla fisica classica e nonostante essa
venga usata costantemente per costruire teorie, interpretare risultati
e fornire previsioni, non siamo assolutamente sicuri di cosa essa sia
veramente.
La meccanica quantistica ha rappresentato e rappresenta un poderoso “strumento di calcolo” (emblematica è, a tal proposito, la frase
erroneamente attribuita a Feynman, coniata da David Mermin: “zitto
e calcola!”), utilizzato in maniera sostanzialmente pragmatica, relegando spesso in secondo piano o ignorando (adottando dunque quella
che secondo Sean Carroll, è semplicemente “la vecchia strategia della
rimozione”), il problema di fondo del suo reale significato.


Prefazione
Diversamente dalla fisica classica, la cui “interpretazione” risulta
del tutto univoca, la meccanica quantistica è caratterizzata, oggi, da
diverse possibili interpretazioni inerenti ai suoi presupposti, metodi e
risultati. Il problema centrale alla base di tale molteplicità di chiavi interpretative, risiede fondamentalmente nel cosiddetto “problema della
misurazione”. Questo attiene alla constatazione che (diversamente
dalla fisica classica, nella quale è possibile misurare con una precisione
virtualmente grande a piacere, il valore di qualsiasi grandezza fisica),
la fisica quantistica pone un limite intrinseco (indipendente dalla tecnica di misurazione e dal tipo di apparato sperimentale utilizzato), alla
possibilità di misurare con precisione una data grandezza fisica senza
interferire, in maniera distruttiva, con il sistema fisico stesso.
Una delle conseguenze più importanti del problema della misurazione, riguarda le caratteristiche di irreversibilità che la meccanica
quantistica sembra associare al processo di misurazione stesso; apparendo quindi in contrasto con il carattere reversibile di tutte le leggi
fondamentali della fisica oggi note. In questo senso, esso risulta indissolubilmente legato ad un altro problema fondamentale della fisica:
quello della “freccia del tempo” .
Il problema della misurazione, è stato magistralmente descritto
da Erwin Schrödinger per mezzo del famoso paradosso del “gatto di
Schrödinger”. In estrema sintesi, la questione riguarda la differenza
fondamentale che la meccanica quantistica pone, tra ciò che potremmo definire come “conoscenza incompleta” di un sistema fisico (legata
alla nostra ignoranza o limite di misurazione sul sistema considerato)
e la “indeterminazione quantistica intrinseca” (legata alle limitazioni
quantistiche connesse alla conoscenza del sistema).
Ciò è dovuto al modo in cui, in fisica quantistica, viene definito
lo stato di un sistema fisico, o più correttamente, il suo spazio degli
stati, attraverso un oggetto matematico chiamato funzione d’onda;
che non fornisce, diversamente dalla fisica classica, la posizione dei
componenti del sistema, ma la probabilità che questi occupino, in un
dato istante, una certa posizione nello spazio. Se un sistema quantistico
può trovarsi in più stati differenti, esso si trova, in generale, in un
istante generico, in nessuno dei suoi stati.
. L.M. Caligiuri, Il tempo: realtà o illusione?, Scienza e Conoscenza. n. , febbraio ,
pp. –.
Prefazione

In questo senso non è definibile un “luogo” ben preciso in cui un
sistema si trovi ad esistere, poiché esso infatti può ritrovarsi, con probabilità non nulla, in qualsiasi punto dello spazio in un istante definito: esso
cioè si trova, in uno stato che è caratterizzato da una sovrapposizione di
tutti i suoi stati quantistici possibili. Ciò che sappiamo con certezza, è
solo che il sistema è descritto da una sua precisa funzione d’onda che,
d’altra parte, non possiamo né vedere e neppure misurare, in quanto
essa non ci fornisce il valore di una grandezza fisica associata al sistema,
ma soltanto un’informazione probabilistica relativa a tale grandezza.
È come dire, riferendoci alle posizioni occupate da un sistema quantistico all’interno di una stanza, che ciò che possiamo conoscere, al
variare del tempo, non è la posizione del sistema in ogni punto della
stanza, ma la probabilità che esso si trovi nei diversi punti della stanza,
data dal modulo al quadrato dell’ampiezza della funzione d’onda complessa. In questo senso la funzione d’onda si comporta effettivamente
come un’onda (che assume valori e si “propaga” in ogni punto dello
spazio e del tempo e che è soggetta ai fenomeni tipici delle onde), che
tuttavia non trasporta energia o materia, ma pura informazione.
Ma quale ruolo ha, allora, il processo di misurazione sul comportamento della funzione d’onda? Ebbene è proprio qui che la meccanica
quantistica manifesta, in tutta la sua forza, la sua sostanziale differenza
rispetto alla fisica classica. Il ruolo essenziale è svolto infatti dall’osservatore (o meglio, dell’osservazione) sull’evoluzione del sistema. Semplicisticamente parlando, se un sistema fisico quantistico può evolversi
secondo due alternative esclusive, esse sono in generale equiprobabili
finché non interviene l’osservazione di quali delle due possibilità il
sistema ha effettivamente sperimentato. Un sistema quantistico, che si
evolve dunque senza essere “osservato”, manifesta una distribuzione
casuale rispetto all’occorrenza dell’una o dell’altra delle alternative
possibili; mentre in un sistema “osservato”, il risultato finale cambia
drasticamente. Ciò che accade è dovuto al fenomeno dell’interferenza
tra le funzioni d’onda quantistiche dei due stati possibili che, come
onde, si sovrappongono dando origine alle tipiche figure di interferenza proprie delle onde classiche. Ciò determina, in funzione del
tipo di osservazione, la possibilità di differenti risultati completamente
differenti dal caso “imperturbato”; da ciò è possibile dedurre che, se
un sistema non viene osservato, esso si comporta in modo completamente diverso rispetto al caso in cui esso venga osservato. Ma cosa

Prefazione
significa “osservare”? Questo è il punto centrale del problema della
misurazione e dalla sua risoluzione, dipende la comprensione di cosa
sia realmente la fisica quantistica; ma è proprio a questo punto che le
sue diverse possibili interpretazioni si differenziano (talune divergendo
sostanzialmente tra loro).
L’interpretazione di Copenaghen, che ha dominato fino al passato
recente il panorama della scienza “ufficiale” ed “ortodossa”, spiega il
risultato della misurazione in termini di collasso della funzione d’onda
(che rappresenta uno degli aspetti maggiormente problematici di tutta
la fisica quantistica). Nel processo di collasso, la funzione d’onda si
trasforma ex abrupto e discontinuamente, in seguito alla misurazione,
in una funzione d’onda completamente differente, corrispondente al
 % di probabilità dell’esito effettivamente riscontrato (annullando la probabilità di qualsiasi altro risultato). Ecco così “spiegato”, in
modo piuttosto semplice, un punto assai misterioso; ovvero l’assenza
d’interferenza, in seguito all’osservazione. Purtroppo, al di là dell’apparente semplicità, tale “interpretazione”, implica diverse e profonde
problematiche ancora irrisolte. Infatti, se per un verso questa interpretazione della realtà, spiega bene i dati sperimentali (assegnando
la giusta probabilità ai risultati della misurazione della grandezza in
esame), dall’altro non fornisce alcuna spiegazione sull’origine del collasso stesso e di cosa sia in realtà una “osservazione”. L’osservazione
presuppone necessariamente la presenza di un soggetto cosciente?
E cosa è la coscienza? È forse essa stessa assimilabile al collasso di
una funzione d’onda ed ha un ruolo cruciale nelle leggi fondamentali
della fisica? Il collasso avviene “istantaneamente” o in maniera graduale? Sono tutte domande fondamentali alle quali l’interpretazione
di Copenaghen non è in grado di rispondere.
Ma uno degli aspetti più critici di tale interpretazione è senza dubbio l’irreversibilità a cui esso sottintende. Le regole che “gestiscono”
il collasso sono infatti fondamentalmente due:
a) Se non si eseguono osservazioni, la funzione d’onda di un sistema evolve in maniera continua e deterministica, secondo
l’equazione di Schrödinger (analoga all’equazione di Newton
per i sistemi classici). L’informazione sul sistema si conserva nel tempo e l’evoluzione del sistema stesso, risulta essere
reversibile.
Prefazione

b) L’osservazione determina il collasso della funzione d’onda in
una nuova e diversa funzione, in maniera imprevedibile. In
tale processo l’informazione non viene conservata e l’evoluzione del sistema risulta essere irreversibile (non c’è corrispondenza biunivoca tra la funzione d’onda post–collasso e quella
ante–collasso).
Il processo di misurazione introduce quindi un elemento di natura
casuale, oseremo dire “soggettivo”, nell’evoluzione di un sistema fisico (che si traduce in una “impredicibilità deterministica” dell’esito
della misurazione), che a sua volta ne determina il carattere irreversibile. Lungo una simile evoluzione, si fissa una ben precisa freccia del
tempo, che tuttavia pone anch’essa un ulteriore problema interpretativo (dal momento che questa non sembra associata alle leggi fisiche
fondamentali, quanto piuttosto alle caratteristiche evolutive statistiche
dei sistemi complessi) .
La maggior parte dei fisici accetta passivamente tale situazione,
senza preoccuparsi dei profondi risvolti che tale concezione determina
sull’interpretazione della realtà; mentre una minoranza “illuminata”,
fortunatamente, interrogandosi sui fondamenti della meccanica quantistica, considera tale approccio insufficiente (seppur assolutamente
“utile” a fini sperimentali).
Uno dei punti più controversi dell’interpretazione di Copenaghen,
è rappresentato dalla netta distinzione tra un sistema quantistico e un
osservatore fondamentalmente classico che interagisce con il sistema,
determinando il collasso della funzione d’onda.
Tale dualismo tra sistema quantistico osservato ed osservatore classico, ha il suo contraltare sperimentale nel fondamentale ontologico
dualismo introdotto dalla meccanica quantistica, tra comportamento
ondulatorio e comportamento corpuscolare della materia, evidenziato negli esperimenti di diffrazione (il cui prototipo è rappresentato
dall’esperimento della doppia fenditura, nelle sue diverse varianti realizzative). Ma è proprio così? Esiste qualche evidenza sperimentale del
contrario? L’esperimento di Afshar, oggetto dell’omonimo saggio di
Fausto Intilla, rappresenta un elemento di rottura nello scenario d’in. L.M. Caligiuri, La freccia del tempo, http://www.scienzaeconoscenza.it/articolo/
la-freccia-del-tempo-prima-parte.php.

Prefazione
terpretazione ortodosso di Copenaghen, proponendo la possibilità che
gli aspetti di natura ondulatoria e corpuscolare dei sistemi quantistici,
lungi dall’escludersi a vicenda (principio di complementarità), manifestandosi in maniera esclusiva nei risultati degli esperimenti a seconda
di come questi vengono condotti, potrebbero essere rivelati contemporaneamente nel medesimo esperimento. La possibilità di intervenire
nella misurazione, senza alterare lo stato di “superposizione coerente”
(anche in presenza di informazione precisa sullo stato quantistico del
sistema, ovvero di informazione di tipo “which-way”), rappresenterebbe la dimostrazione sperimentale della negazione del collasso della
funzione d’onda; mettendo così in profonda crisi l’impostazione della
meccanica quantistica della scuola di Bohr.
È forse superfluo sottolineare che l’esperimento in questione, condotto per la prima volta nel  dal fisico iraniano–americano Shahriar
Afshar presso l’IRIMS di Boston, suscitò fin da subito reazioni contrastanti, dividendo la comunità scientifica in detrattori e sostenitori
dell’interpretazione dei risultati sperimentali dell’esperimento; i quali,
con motivazioni più o meno valide (egregiamente sintetizzate nel
saggio di Intilla), intendevano fornire rispettivamente elementi critici
o a supporto dei risultati di Afshar. Per la verità i detrattori, in molti
casi spinti più dal timore della messa in discussione del proprio status
quo accademico che da un autentico spirito di ricerca di comprensione e verità, bollarono sostanzialmente l’esperimento come un “flop”,
dichiarandone false le conclusioni, mentre numerosi emeriti scienziati, aperti al confronto e alla messa in discussione di un’ortodossia
palesemente problematica e necessitante di ulteriore comprensione
ed approfondimento, trovarono molto interessante quanto sostenuto dal fisico iraniano, utilizzando i suoi risultati come spunto per lo
svolgimento di ulteriori ricerche.
Del resto, segni importanti dell’insufficienza dell’interpretazione
di Copenaghen si erano già manifestati con largo anticipo molti anni
prima dell’esperimento di Afshar, costituendo i presupposti delle interpretazioni alternative a quella di Bohr. Interpretazioni principalmente
riassunte nella cosiddetta (. . . tra l’altro interessantissima) “Teoria a
Molti Mondi” (MWI) della meccanica quantistica (che nega il collasso
della funzione d’onda, inglobando la funzione d’onda dell’osservatore
in un’unica funzione d’onda che comprende osservato ed osservatore).
Oppure, per citarne solo un’altra tra le più famose, nell’altrettanto affa-
Prefazione

scinante “Interpretazione Transazionale della Meccanica Quantistica”
(TIQM), espressa in termini di sovrapposizione di onde di probabilità
ritardate (provenienti dal passato) ed anticipate (provenienti dal futuro!). Interpretazioni entrambe foriere di profonde implicazioni, non
solo in riferimento alla ricerca della tanto agognata “Teoria del Tutto”,
ma anche, ad esempio, ad uno dei misteri più intriganti ed affascinanti
di tutti i tempi: quello rappresentato dall’eventuale (. . . nonché reale)
possibilità di “viaggiare” nel tempo!
Senza rivelare qui ulteriori dettagli sul tema del saggio che segue,
evitando così di privare il lettore del piacere di acquisirli dalla lettura
dell’ottimo saggio di Intilla (che, con costante rigore scientifico ma con
linguaggio al contempo accessibile, ne spiega i presupposti, i metodi
ed i risultati), mi limiterò ad osservare che (a prescindere dal verdetto
finale sul risultato dell’esperimento, a tutt’oggi ancora dubbio), grande
merito del volume è indubbiamente da rintracciarsi nella riproposizione urgente e forte (attraverso un argomento originale, interessante
e forse a molti poco noto), del tema dell’insufficienza dell’interpretazione ortodossa della meccanica quantistica e della necessità dunque
di rivederne profondamente i presupposti (possibilmente alla luce
di teorie più ampie, all’interno delle quali potranno essere chiariti
definitivamente i punti oscuri che oggi la caratterizzano). Un saggio
dunque altamente stimolante ed interessante che ripropone all’attenzione della comunità scientifica, ma anche del comune lettore curioso
e smaliziato, una riflessione profonda e necessaria sui fondamenti della
fisica contemporanea.
Luigi Maxmilian Caligiuri
Wessex Institute of Technology