DEL POPOLO
ce
vo
/la
.hr
dit
w.e
ww
musica
& il pentagramma
An
no
V
9
200
o
i
• n. 3
a
6 • Mercoledì, 25 febbr
De Verbo, de Musica et de Sanremo
di Patrizia Venucci Merdžo
Gentili lettori,
meno male che è arrivata la Quaresima perché tra
il tormentone del prefestival-festival- dopofestival sanremese, “l’ebbrezza dionisiaca” degli zvončari, i fiumi
di cortei mascherati e l’indigestione di decibel, non se
ne poteva più, et hora, si fa ritorno, alla “sana et beata
normalitude”. E tuttavia, mentre mi sto ancora scuotendo di dosso le manciate di coriandoli e già inizio a
percepire l’odore di cenere et incensum che mi ricordano la vanità delle cose, non posso esimermi da qualche
riflessione “d’obbligo”.
Sanremus sta diventando sempre più una specie di
spettacolo dai dislivelli qualitativi abbastanza evidenti
nel quale, la competizione canora e la canzone occupano un posto “crescentemente diminutivo”, ed il presentatore-mattatore un ruolo crescentemente ingombrante,
(specie dal punto di vista finanziario). Dalla salieriana
“prima la musica e poi le parole” di partenza, siamo da
un bel po’ di tempo arrivati alle “parole, parole, parole”
di Mina, che intanto si è data alla lirica. (Il bello della
vita sono i cambiamenti di rotta).
Non che si voglia sminuire “la parola”, per carità,
la quale, agli inizi del cammino umano (Babele esclusa)
fu pregna di Senso, per divenire man mano, pallido riflesso del Senso, e quindi florilegio, vaniloquio, rabbiosità ideologizzata ed ora chiacchiera inflazionata, quando non soliloquio ( il turpiloquio è sottinteso); però, sta
di fatto verificandosi una progressiva atrofia della Musica, un depauperamento della percezione musicale la
quale, in certi generi ed a livelli commerciali e quindi
largamente diffusi, assume contorni anche inquietanti. Nel numero scorso Fabio Vidali rielaborava , in tale
contesto, in maniera intrigante degli spunti tratti da un
suo saggio pubblicato negli Atti del XXXI Convegno
sull’Educazione Musicale dalla “C.A. Seghizzi” di Gorizia, in collaborazione con il Dipartimento dell’Educa-
zione dell’Università di Trieste e col Corso per operatori
dei Beni Musicali dell’Università di Udine, sotto l’alto
patrocinio del presidente della Repubblica Carlo Azeglio
Ciampi.
Sanremo 2009 – che in buona parte è stata una fiera
di motivi “musicali” insipidi e più o meno amorfi quando non un tedioso e legnoso salmodiare – ha premiato
la mediocrità; e, se sussistevano delle canzoni che davano adito ad una una certa speranza, queste sono state
impietosamente ripudiate. Per cui davvero non si riesce
a trovar ragione di tutto questo esagitato tam-tam intorno ad un festival di discutibile qualità, se non in motivi
di pecunia, ovviamente. ( Ma poi, il Carta, che ci faceva
tra i “big”?).
Be, Bobby “il Solo”, direbbe che “le note sono sette
ed il meglio è già stato pescato” (tesi solo parzialmente
sostenibile, secondo me); a quanto pare il mare era ancora abbastanza pescoso ai suoi tempi. Se analizziamo
“Una lacrima sul viso”, ci accorgiamo che nell’arco di
due sole battute, la linea melodica copre, tramite un ampio arpeggio, partendo dal registro grave, non meno di
un’ ottava e mezzo(!), e si continua con questo tenore.
Il che praticamente esige da una voce umana capacità
modulatorie di tipo strumentale. Infatti, il tema cantabile di questa canzone-simbolo (come altre sanremesi
del genere melodico) pare scritta appositamente per violoncello e pianoforte; ed è un classico, come rilevato da
Ljubomir Kuntarić in occasione del concerto abbaziano
di Bobby. Non l’accordalità, ma la melodia, è Musica,
come ampiamente e autorevolmente dimostrato. Solo
che il nostro, non è il Suo tempo.
Sconclusionatamente e sanremesamente Vostra
2 musica
Mercoledì, 25 febbraio 2009
NEUROMUSICOLOGIA “Composizione”, “ritmo”, “vibrazione del colore”, terminolo
Sinestesia, l’intrigante connessione tr
di Helena Labus
“[...] il colore è un mezzo che
consente di esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è
il tasto, l’occhio il martelletto,
l’anima il pianoforte dalle molte corde. L’artista è una mano
che toccando questo o quel tasto mette in vibrazione l’anima
umana.…”, sono le parole del
grande artista russo Vasilij Kandinski (1866-1944), universalmente conosciuto come il fondatore dell’arte astratta, il quale
si dedicò con passione all’esplorazione della relazione tra suono
e colore.
Il legame tra i due elementi
base delle arti musicale e figurativa è da sempre molto forte
e complesso, basti pensare alle
numerose espressioni caratteristiche di una sfera artistica che
vengono largamente impiegate
nella descrizione di fenomeni appartenenti all’altra. Nel
campo dell’arte figurativa, infatti, sembra quasi impossibile sviluppare un discorso senza dover fare uso di espressioni
che tecnicamente appartengono alla musica. “Composizione”, “ritmo”, “vibrazione del
Kandiski
e il fenomeno
della sinestesia
Per Kandinski la musica era
una sorta di ossessione: i colori
venivano da lui avvertiti come un
“coro” da fissare sulla tela. Il fenomeno è noto sotto il nome di sinestesia, mentre lo stretto legame che
da sempre unisce musica e immagine viene chiamato sinestetico.
Ne è la manifestazione più alta
quella in cui i vari sensi concorrono a creare un unica immagine.
“Il suono giallo”, ad esempio,
esprime una mescolanza di colore, luce, danza e ritmo. Tra le
sue opere troviamo, tra l’altro,
un’interpretazione della Quinta
sinfonia di Beethoven attraverso
forme e linee. La pittura per Kandinski diventa sempre più una
sorta di composizione musicale,
una sinfonia di colori, come la
definì in più occasioni.
Ma il suo sogno-programma fu la sintesi delle arti, ossia
un’opera d’arte totale. Per Kandinski le composizioni sceniche
sono opere artistiche che si diffe-
Aleksandr Skrjabin
Nella storia della musica
il compenetrarsi dell’arte musicale
e di quella figurativa - “dipingere”
la musica o trasmettere in musica un
dipinto -, è un fenomeno molto diffuso
Il termine sinestesia deriva
dal greco sin = σµν (attraverso)
ed estesia = αισθŋσίσ (percezione) e indica una contaminazione
dei cinque sensi nella percezione del percepibile. Più semplicemente indica quelle situazioni in
renziano dalla pittura solo perché
esprimono il sentimento allo stato puro con mezzi diversi, ossia
suoni, colori e movimenti, al fine
di far vibrare l’anima dello spettatore, di chiamarlo a partecipare
Presta le tue orecchie
alla musica, apri i tuoi occhi
alla pittura, e... smetti
di pensare! (Vassilij Kandinski)
colore”, “dinamica della composizione”... sono termini largamente usati per descrivere
un’opera d’arte, mentre espressioni come “sfumatura”, “impressionismo” (termine inizialmente coniato nella sfera
dell’arte figurativa), “colore
musicale” servono a rendere
più plastica l’idea su una certa opera musicale. Non a caso,
Kandinski usò termini musicali per descrivere le sue opere,
definendole “composizioni” e
“improvvisazioni”.
cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita
come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nell’arte, l’interscambio fra le varie espressioni artistiche è praticamente costante.
Nella storia della musica il
compenetrarsi dell’arte musicale e di quella figurativa - “dipingere” la musica o trasmettere in
musica un dipinto -, è un fenomeno molto diffuso. Nell’opera
di Kandinski tali esempi sono
numerosi: la sua opera del 1912,
Romolo Venucci “Composizione musicale”, dettaglio
Dipinto astratto di Kandinski musicalmente ritmato
all’opera rappresentata. Nelle sue
ricerche artistiche Kandinski sperimentò nella trasposizione del
dipinto in musica, facendo uso
anche del balletto nell’intento
di creare la sintesi delle arti alla
quale aspirava: il musicista sceglieva da una serie di acquerelli
quello che, da un punto di vista
musicale, gli sembrava essere il
più eloquente. In assenza del ballerino suonava lo spirito, i contenuti dell’ acquerello scelto. Quindi all’arrivo del ballerino, gli si
faceva ascoltare il brano musicale, ed egli lo trasponeva in danza,
indovinando poi l’acquerello che
aveva ballato.
Un altro artista che ha “fatto uso” delle analogie ra musica
e arte figurativa è stato il pittore
olandese Piet Mondrian nel suo
celeberrimo dipinto “Broadway
Boogie-Woogie”, in cui mediante l’accostamento di un termine
musicale e di uno stile pittorico
specifico ha reso l’idea dell’energia di New York, la città “che non
dorme mai”.
Il “clavier a
lumières” di Skrjabin
Pure il compositore e pianista russo Aleksandr Skrjabin
(1872-1915) studio, in maniera
addirittura ossessiva, un possibile legame o una sintesi tra suono e colore.
Egli espresse la sua personale
sinestesia nella sinfonia del 1910,
“Prometeo”, il poema del fuo-
co per orchestra, piano, organo e
coro, usando una tastiera muta, un
“clavier a lumières“, che rifletteva delle luci colorate sotto forma
di raggi, nuvole e altro, che si diffondevano nella sala da concerto
e culminavano in una luce bianca
talmente forte da risultare dolorosa per la vista.
Nella realizzazione di questa
opera innovativa, Skrjabin stilò
una tabella delle corrispondenze
Per Kandinski la musica
era una sorta di ossessione:
i colori venivano da lui avvertiti
come un “coro” da fissare
sulla tela. Il fenomeno è noto
sotto il nome di sinestesia, mentre
lo stretto legame che da sempre
unisce musica e immagine viene
chiamato sinestetico
musica 3
Mercoledì, 25 febbraio 2009
gia comune per caratterizzare sia l’opera pittorica che la creazione musicale
a la percezione del suono e del colore
violetto, il Mi bemolle aveva dei
riflessi metallici, il Si bemolle era
di colore acciaio, mentre il Fa era
rosso scuro.
Si tratta di una scaletta molto
personale e soggettiva che cambia da sinesteta a sinesteta, come
è stato verificato dagli studi scien-
Un’esempio divertente di
correlazione tra la musica e
le immagini è, per esempio, il
cartone animato “Fantasia” di
Walt Disney nel quale gli artisti hanno offerto una loro visione dei celeberrimi brani di musica classica: la Toccata e fuga
La pittura per Kandinski
diventa sempre più una sorta
di composizione musicale,
una sinfonia di colori,
come la definì in più occasioni
Kandinski “Il suono giallo”
fra suoni e colori, così formulata:
il Do corrispondeva al rosso, il Sol
al colore arancione, il giallo al Re,
il suono La era verde, il Mi-blu
biancastro, il Si-blu biancastro,
il Fa#-blu intenso, il Re bemolle-violetto, il La bemolle-porpora
tifici incentrati su questo singolare
fenomeno.
Un esempio tipico della trasposizione delle immagini in musica
è l’opera del compositore francese Claude Debussy, la cui musica
venne classificata come “impressionismo” per le sue qualità eteree, ma anche per i titoli suggestivi che portano i suoi brani: la suite
“Images” (immagini appunto), il
sognante “Clair de lune”, la suite “La mer”... Come i pittori impressionisti, Debussy non usava
un procedimento descrittivo nella
sua arte, bensì la tecnica della trasposizione - la possibilità che una
forma artistica riassuma in sé tutte
le altre -, la sinestesia.
in Re minore di J.S.Bach, la Sesta sinfonia di Beethoven (la Pastorale), “Lo Schiaccianoci” di
Čajkovski, la “Sagra della primavera” di Stravinski... Risulta
molto interessante il modo in cui
è stata resa la “musica astratta”
di Bach, quasi fosse un dipinto
di Kandinski.
Un rapporto moderno fra la
musica e l’arte si nota negli ultimi decenni sulle copertine dei
dischi (oggi cd), i quali hanno il
compito di darci un idea sul tipo
di musica che ci possiamo aspettare nel momento dell’ascolto.
Un celeberrimo caso del genere, e uno dei primi, è la collaborazione tra il gruppo americano
Piet Mondrian, “Broadway Boogie-Woogie”
Velvet Underground e l’artista
pop Andy Warhol. Da lì in poi,
nel corso dei decenni, il contatto tra le due arti si infittisce e articola. Sempre rimanendo nell’ambito della pop art troviamo
tracce del pittore Keith Harring
su un album di Malcom McLaren... Il merito delle copertine,
siano esse dipinti, fumetti, foto,
è che ci offrono lo spunto per
immaginare la “filosofia” che
sta dietro ai fenomeni musicali
del rock e del pop.
La musica e la pittura moderna nel pensiero di Wolff
L’influenza esercitata dalla musica
sulla pittura degli ultimi cento anni è
stata decisiva. Risale al 1850 circa la scoperta del valore pittorico di temi e titoli musicali, ma già prima si studiavano
gli effetti immediati che i colori esercitano sull’animo umano e si instauravano rapporti tra colori, timbri e armonie
timbriche.
La combinazione di determinati colori venne confrontata con l’unione di
diversi toni in accordi. Allo stesso modo
l’accresciuto impiego di colori diversi
nella pittura del XIX secolo si accompa-
musicale si sviluppò in seguito realmente in forme notevolissime e questo vuole
essere un tentativo di esposizione del suo
sviluppo storico fino ai nostri giorni. Già
i romantici tedeschi avevano vagheggiato una fusione di tutte le arti mettendo
in luce l’esistenza di una reciprocità di
rapporti tra musica, pittura, architettura e poesia. Era questo un tentativo di
realizzare un’immediatezza di sollecitazioni psichiche che il razionalismo settecentesco aveva preferito lasciare in ombra. Analoghe esigenze tornano a farsi
vive oggi che la razionalizzazione, stan-
Proponiamo parte di un testo di Hellmuth
Christian Wolff nel quale ci offre un
quadro generale, corredato di puntuali
riferimenti ed esemplificazioni, riguardo
alla decisiva “influenza esercitata dalla
musica sulla pittura negli ultimi cento
anni”: la motivazione di fondo di tale
influenza è indicata dall’autore nella
“pura astrattezza dei processi formativi
musicali” cui si è ispirata tanta parte della
pittura moderna nel tentativo “di esprimere
anziché l’esterno, il mondo fenomenico,
l’interiorità, l’essenza delle cose”
gnò, giovandosene, all’intensificarsi del
colorismo timbrico nell’orchestra moderna, in Richard Wagner come in Claude Debussy, onde la ricerca nell’arte figurativa di vere e proprie “orchestrazioni di colori” come ad esempio nel caso
di Signac e degli impressionisti francesi. Sul finire del XIX secolo Gauguin annunciava apertamente una “fase musicale” della pittura moderna. Codesta fase
Paul Klee, “Fuga in rosso”
della musica e in specie di quella antica, e cioè la sua pura e rigorosa struttura formale di cui si scoprì la fecondità anche per la pittura. Già nel 1904
Adolf Holzel sollecitava per la pittura
quella teoria dell’armonia e del contrappunto che, fondata da Wassilij
Kandinski, sarebbe stata sviluppata
da Paul Klee.
I tentativi di tradurre pittoricamente effetti musicali sono antichissimi: la
possibilità di coordinare colori e suoni
era ben nota alle antiche culture dell’Indardizzazione, e specializzazione della dia e della Cina. L’idea di un’armonia
vita moderna soffocano con virulenza del mondo approdò nel barocco ad una
maggiore i valori dell’interiorità. Così equiparazione dell’armonia dei colori
la pittura e la musica contemporanee con quella delle sfere da parte di Keplefin dall’epoca del cubismo e dell’espres- ro e di Athanasius Kircher come anche
sionismo sono alla ricerca delle origini di Newton che indagava su di una coindelle cose, di elementari esperienze ed cidenza dei sette colori dello spettro con
gli intervalli di una scala musicale e coi
interpretazioni del mondo.
Parallelamente una parte ancor sette pianeti. In seguito, di contro ai ripiù importante ha l’altra particolarità sultati di Newton fondatisi sul calcolo di
frequenze, Goethe volle un’armonia di
colori visualmente evidenziabile e nella
sua Dottrina dei colori ne mise in luce gli
effetti fisico-spirituali. Già nel 1725 il gesuita e matematico francese Louis-Bertrand Castel suggerì di riprodurre brani musicali su tappeti in forme astratte
giovandosi a questo fine anche di danze,
strumenti musicali e scene operistiche
(idea rimasta peraltro allora allo stadio
di mero progetto). Celebre divenne invece nel 1738 il pianoforte a colori di Castel di cui il filosofo Moses Mendelssohn
intendeva servirsi per ottenere, mediante l’impiego di spirali e serpentine, l’imitazione di “passioni umane”.
Oggi assistiamo alla rinascita di tutti
questi tentativi e proprio nella misura in
cui gran parte della pittura moderna si
richiama alla pura astrattezza dei processi formativi musicali s’impone necessariamente un esame dei rapporti e delle
interferenze fra musica e pittura.
4
musica
Mercoledì, 25 febbraio 2009
Mercoledì, 25 febbraio 2009
5
L’ANNIVERSARIO Due secoli fa moriva il grande musicista tedesco di origini ebraiche. Abbattuto in effige e radiato da Hitler dalla Storia Musicale tedesca
Mendelssohn, compendio glorioso della musica europea dell’Ottocento
di Fabio Vidali
Ricorre quest’anno il bicentenario della nascita di Felix Mendelssohn-Bartholdy
(Amburgo
3.21809), musicista sommo, che
nemmeno la ricorrenza del centenario della morte (1847) e le relative ricordanze di rito (celebrate nel
che la sua nascita sia stata allietata
da sì sovrabbondante cornucopia di
doni, come lo fu per Felix. Bello, di
straordinaria intelligenza, dotatissimo per la Musica ma anche per
il disegno e la pittura, di laboriosità e curiosità instancabili, d’animo
mite, affettuoso e riflessivo, amante
del bello e della natura, sognatore
La trepida umiltà con la quale il
Nostro sempre si accostò al “Mistero
della Musica” ed il suo fermo rigetto
all’enfasi, alle esplosioni, agli
esibizionismi, insieme al culto sincero
per le nostre “radici”, possono
ancora indicare una sicura via
1947) sono riuscite a smuovere dalla posizione di “nicchia” nella quale
è stato ingiustamente collocato subito dopo la sua scomparsa. E’ tuttora dominante per lui l’etichetta di
“enigma della Storia della Musica”
con la quale, in pieno Novecento, lo
“liquidò” Alfredo Casella; etichetta
che testimonia eloquentemente la
difficoltà di collocarne esattamente
la figura e l’opera a causa degli opposti frangenti in mezzo ai quali il
destino lo portò a navigare in vita.
Pochi, infatti, capirono (e tuttora
capiscono) che Felix MendelssohnBartholdy rappresenta, in realtà, il
momento che compendia e conclude la gloriosa storia dell’Ottocento musicale europeo in olimpica
e completa pienezza, schiudendo
consciamente l’uscio alle principali novità che caratterizzeranno il
successivo Secolo. Tutto ciò senza
quei “colpi di grancassa”, proprio
d’un certo “romanticismo di maniera”, che, in breve tempo, avrebbero
trasformato il “sentimento” in vuoto “gesto esteriore” alla moda, prodremo delle attuali e ben più perniciose “rincorse” verso l’alienazione
e l’incomunicabilità.
La trepida umiltà con la quale il
Nostro sempre si accostò al “Mistero della Musica” ed il suo fermo rigetto all’enfasi, alle esplosioni, agli
esibizionismi, insieme al culto sincero per le nostre “radici”, possono
ancora indicare una sicura via. Toglierlo dalla “nicchia” degli “enigmi da baraccone” sarebbe soprattutto utile all’oggi. Speriamo che
questo bicentenario riesca a compiere tale miracolo.
Nato con la camicia
Poche volte è dato riscontrare,
nella biografia d’un personaggio,
poetico, versatissimo nell’apprendimento delle lingue (vive e morte), rispettoso dei suoi “sacri Lari”,
brillante organizzatore, generosissimo di se stesso fino al sacrificio.
Accanto a tutto questo ben di
Dio, suo padre, Abraham, era uno
dei più facoltosi banchieri germanici e sua madre, Lea Salomon, proveniva anch’essa da ricca famiglia,
era donna coltissima versata nella
Musica e nelle Arti, poliglotta, di
mentalità aperta ed illuminista. Tali
genitori non lesinarono incoraggiamenti ed intelligenti aiuti per assecondare il talentuoso figlio che così
potè crescere e sviluppare i suoi talenti in un ambiente di sogno, protetto ed affettuoso, ma, nel contempo, anche razionale e ricco di senso
pratico.
Papà Abraham, che ben conosceva il non velato antisemitismo
della società prussiana, volle dotare
ebreo. Persistendo in tale preoccupazione, Abraham spesso insistette
con Felix affinché “eliminasse” del
tutto dalle sue generalità il “pericoloso” cognome Mendelssohn sostituendolo col solo Bartholdy, cancellazione che, però, Felix mai consentì d’effettuare. Citiamo da una
lettera di Abraham a Felix: “Non
devi e non puoi portare il cognome Mendelssohn: un Mendelssoh
rubini, ma subito lo riporta a Berlino perché desidera rimanga nella
tradizione tedesca. Qui frequenta
quella Università e si segnala come
validissimo direttore d’orchestra.
Conosce Weber e Goethe che gli
diviene ammiratore e amico. Inizia,
nel 1820, a dedicarsi alla composizione che rimarrà la sua principale
via d’espressione. Da allora è tutto
un vertiginoso susseguirsi di suoi ti-
Autografo di Mendelssohn
Conformismo, sufficienza e pigrizia,
propri della critica musicale
europea dal Novecento ad oggi,
si sono cullati nel “luogo comune”
secondo cui Felix non sia stato
nulla di più di un “fanciullo
prodigio” di precocità mozartiana
europei. Nel 1835 gli muore l’amato padre e, a suo suffragio, compone lo splendido Oratorio “Paulus”,
presentato a Dusseldorf con immenso successo di pubblico e di
critica. Durante un breve soggiorno estivo a Francoforte sul Meno,
incontra Cécil Jeanrenaud, figlia
d’un pastore protestante ed in breve la sposa; è un matrimonio felice
e perfetto, ma continua a comporre anche durante il breve viaggio di
nozze sul Reno. E’ questo il periodo più bello della sua pur fortunata
vita, di cui restano testimonianze in
molte composizioni ed anche nell’epistolario con l’inseparabile sorella Fanny alla quale lo lega un’af-
cristiano esiste quanto un Confucio
ebreo. Se tu ti chiami Mendelssoh
sei senz’altro un ebreo, mentre questo non è vero!”.
Fà, oggi, tristemente sorridere questa “inutile precauzione” del
buon Abraham. Felix, seppur battezzato ed “allungato” col Bartholdy, fu comunque, in effigie, la prima vittima della persecuzione nazista con l’abbattimento del suo
monumento al Gewandhaus e la radiazione del suo nome dalla Storia
della Musica tedesca. Ma, allora,
Schumann gli riconobbe per
primo “doti eccezionali” per le sue
musiche “zampillanti nella mente e
poeticamente sviluppate” giungendo
a definire “un capolavoro d’ogni
tempo” il suo Trio op. 49, all’”altezza
di Beethoven e di Schubert”
la sua famiglia d’una “assicurazione” in più, sì da permetterle un rango adeguato al suo censo ed ai suoi
talenti. Si convertì, con moglie e figlia al Cristianesimo (Luterano Augustano) e aggiunse, all’originario
cognome di Mendelssohn, quello
(non semita) di Bartholdy, per “differenziarsi” dall’altro parentado
(1829) nemmeno la trepida immaginazione di Abraham giungeva a
prevedere l’Olocausto.
In vita e in morte comunque, Felix scontò una negativa contropartita per la decisione paterna di cristianizzare la famiglia: l’ombra del
“marranesimo” (delitto imperdonabile per gli ebrei ortodossi), anche
dopo il secondo conflitto mondiale continua ad alitargli attorno, frenando la sua giusta collocazione fra
i sommi della Musica europea. Di
generazione in generazione, già da
duecento anni.
A passo di corsa
Acquerello di Mendelssohn del 1838 (La chiesa di S. Tommaso di Lipsia)
Felix inizia a studiare il pianoforte a quattro anni con la madre.
A dieci anni entra nella Singakademie. A quattordici anni ha la sua
“orchestra personale” che si riunisce in casa ogni domenica per fargli far pratica diretta dal vivo con
lo strumentale. Studia anche il violino, divenendone un autentico virtuoso. Il pianoforte lo perfeziona
con Ludwig Berger, già allievo di
Field, Cramer e Clementi, assimilandone la formidabile tecnica. Segue anche gli insegnamenti letterari. A sedici anni il padre lo conduce
a Parigi per farlo esaminare da Che-
sorella Fanny (14.5.1847) gli dà il
colpo di grazia. Riesce appena in
tempo a terminare il suo ultimo
Quartetto (in fa min. op. 80) e, pochi mesi dopo si spegne. Aveva appena trentotto anni.
Il precursore
Conformismo, sufficienza e pigrizia, propri della critica musicale
europea dal Novecento ad oggi, si
sono cullati nel “luogo comune” secondo cui Felix non sia stato nulla
di più di un “fanciullo prodigio” di
precocità mozartiana, con il “dono”
di superare sorridendo ogni difficoltà tecnica interpretativa e strutturale della Musica che, crescendo nell’età, si sia indefinitamente “replicato” in una costante “eccellenza”
vuota ed inespressiva, blandendo le
mode care alla sua epoca ed alla società aristocratica e “benpensante”:
un concentrato di abilità e di “buoni sentimenti” da galateo. Donde
l’annoiato disinteresse con il quale
si guardano le sue musiche. Nulla
di più subdolo e di più errato.
Nell’impossibilità materiale di
condensare in quest’articolo ciò
che richiederebbe gli spazi d’un intera ed ampia biblioteca, ci si deve
limitare solo a pochi ma significativi accenni, tratti da testimonianze
illustri quanto ineccepibili, iniziando con i contemporanei a lui e concludendo con Maestri a lui posteri.
Schumann (che pur gli fu “concorrente”) fu il primo a riconoscergli
definendola “il capolavoro del Romanticismo”, mentre altri, contemporaneamente negavano la compatibilità della musica di Mendelssohn con la nuova temperie romantica. Eppure Berlioz fu uno dei più
“arrabbiati” romantici.
Venendo al Novecento, Debussy minimizzò il ruolo di Felix a
quello di “un elegante e distaccato notaio musicale”, distrattamente ignorando che già nell’Ouverture” “Meerestille und die Glucklige
Fahrt” (1828, da Göthe) Mendelssohn aveva precorso quelle atmosfere armoniche impressionistiche
che poi divennero il “logo” esclusivo del Debussy stesso. Degli imbarazzi di Alfredo Casella si è già
riferito, mentre di grande significato appaiono gli apprezzamenti entusiastici e senza riserve per le musiche di Felix espresse da Ravel e da
Stravinskij, due genii certo da non
sottovalutare né da tacciare da “notai” né da “passatisti”.
Un discorso a parte va fatto
per “Ein Sommernachtstraum” (da
Shakespeare) dove un Mendelssohn diciassettenne già appoggia
le linee melodiche su nuove armonie con valori autonomi, antecipando un procedimento che sarà largamente praticato dalle generazioni
successive.
Tutto da riscoprire, poi, il particolare interesse di Felix per il
“melos” popolare spontaneo di
aree geografiche a lui lontane ed
estranee. Nella “Sinfonia scozzese” (1842) Mendelssoh utilizza gli
intervalli della “Scala celtica” e
nella “Sinfonia italiana” (1833), fà
largo ricorso a danze popolari italiche (come il Saltarello), prefigurando addirittura la metodica che
presiedette alla nascita delle scuole
musicali nazionali, donde la particolare attenzione che a questi suoi
“suggerimenti” pratici riservarono
Borodin, Dvorak, Smetana ed anche l’istriano Smareglia che, con
la Ballata “Leonora” (dal Burger),
esordì proprio in clima mendels-
Di straordinaria intelligenza,
dotatissimo per la Musica ma anche
per il disegno e la pittura, d’animo
mite, affettuoso e riflessivo, amante del
bello e della natura, sognatore poetico,
brillante organizzatore, generosissimo
di se stesso fino al sacrificio
toli di successo e di viaggi artistici.
Ancora Berlino, Parigi, poi Londra
e la Scozia dove trasse ispirazione
per la splendida “Sinfonia Scozzese”, le isole Ebridi (Ouverture “La
grotta di Fingal”). Segue il viaggio
a Roma (“Sinfonia Italiana”), Milano, Monaco (“Concerto n. 1” per
pianoforte e orchestra, eseguito al
piano da lui stesso e replicato a Parigi nell’interpretazione di Liszt).
Parigi, però, lo delude per l’ambiente teatrale che giudica “noioso e volgare”. Ritorna in Inghilterra dove trova accoglienze trionfali.
Tappa a Dusseldorf, dove compone la sua prima Messa e diviene direttore artistico del Teatro di quella città. Membro dell’Accademia
di Belle Arti di Berlino, Colonia
gli affida il suo Festival di Musica.
Rifiuta una Cattedra all’Università
di Lipsia, ma accetta il posto di direttore del Gewandhaus. Grazie al
suo talento, Lipsia assurge al ruolo
di uno dei maggiori centri musicali
finità quasi “gemellare” sin dall’infanzia. Nel 1841 Federico di Prussia gli affida l’incarico di Fondare il
Conservatorio di Musica di Lipsia.
Pur con brevi periodi di “pendolare” fra Lipsia e Berlino, la sua residenza d’elezione rimarrà, fino alla
morte, Lipsia, dato che l’ambiente
berlinese che giudica “vuoto, rozzo
e dominato dalle presuntuose esibizioni teatrali di Liszt”, lo irrita
profondamente. A Lipsia, invece,
riesce a far erigere un monumento
a J.S. Bach e a dar vita all’agognato Conservatorio per la cui inaugurazione convoca, come primi insegnanti, F. David, Ignaz Moscheles
e Robert Schumann. Tutti questi
impegni non gli impediscono di
comporre un’altra lunga serie di
capolavori (integrazione del “Sogno d’una notte di mezz’estate”,
Laudi, Cantici, e l’Oratorio “Christus”). La sua pur forte fibra ne viene duramente provata. La notizia
dell’improvvisa morte dell’adorata
“doti eccezionali” per le sue musiche “zampillanti nella mente e poeticamente sviluppate” giungendo a
definire “un capolavoro d’ogni tempo” il suo Trio op. 49, all’”altezza
di Beethoven e di Schubert”. Wagner considerò l’Ouverture “Le
Ebridi” come “una fra le più perfette composizioni di tutta la letteratura musicale”. Sempre Wagner addirittura usò, ne “L’oro del Reno”,
il materiale iniziale de “La favola
della bella Melusina” di Felix, definendolo “un paesaggista di primo
ordine”. Quando, prima, il concetto di “paesaggismo” aveva fatto capolino nel sinfonismo? Dal qui alla
constatazione che, con la sua originale nuova forma di Ouverture,
Felix aveva “inventato” il “Poema
sinfonico” prima dello stesso Liszt,
la prelazione del precursore Felix è
largamente dimostrata.
Berlioz, dal canto suo, si dichiarò conquistato dalla Ballata di Felix “Die erste Walpurgisnacht” per
soli, coro e orchestra (da Göthe)
sohniano. Da non sottacere anche
il ruolo fondamentale esercitato da
Mendelssoh nella rinascita della
musica corale tedesca (composizioni sacre e numerosissime profane)
alla quale impresse una geniale forza rinnovatrice.
Lieder senza
e con parole
A fronte d’una produzione musicale alluvionale, che abbraccia
tutti i generi (7 opere teatrali, musiche di scena, Oratori, Sinfonie,
Ouvertures, cameristica, organistica, vocali sacre e profane, Lieder
con e senza parole, oltre a trascrizioni ed elaborazioni, Concerti per
solisti e orchestra), nell’impossibilità di scendere ad ulteriori dettagli,
ben più importanti è, forse, risalire
all’”animus” di Felix MendelssohBarholdy, al suo formarsi nell’ambito di quella matrice culturale
(ahinoi scomparsa) che si chiama
Felix Mendelssohn Bartholdy
Fanny Mendelssohn,
l’amatissima sorella
“Hausmusik”. In tale ambito nasce
e cresce Felix, immerso nell’onda
musicale domestica, sulle ali della
melodìa del canto e del pianoforte
(solo o d’accompagno) un po’ svago e un po’ rito. Un’esperienza che,
fanciullo, chi scrive ricorda con
dolce rimpianto; quando la signora
o la signorina “di buona famiglia”,
sparecchiata la tavola, si mettevano
alla tastiera. Allora erano ancora in
voga le raccolte dei “Lieder ohne
Worte” proprio di Mendelssohn che
rappresentarono per oltre un secolo anche un enorme successo editoriale. Ricordo che preferivo il solo
pianoforte (senza il canto) dato che
le voci ben educate già scarseggia-
vano. Non certo per queste “carenze” vocali, è documentato che Felix fosse, però, dello stesso parere
e che il suo rapporto con la parola,
espressa attraverso la voce cantata, non fosse dei migliori, dato che
considerava la parola “un di più”
non sempre necessario e fedele al
mistero della Musica. Così, paradossalmente c’è più “canto” nei
“Lieder ohne Worte” che nei suoi
tantissimi Lieder per canto e pianoforte, i cui testi, in gran maggioranza, erano “a posteriori” adattati alla
musica ed anche intercambiabili.
Tanto che li considerava per lo più
“galanterie d’occasione” familiari
ed amicali.
Tutto diverso il discorso e l’impegno per i “Lieder ohne Worte”
che dovranno rappresentare per Felix un impegno mai accantonato per
tutta la vita ed un reperto importante della grande letteratura pianistica del suo tempo. Non stupisca, quindi che, in quasi tutte le sue
composizioni di maggior respiro,
faccia capolino almeno un “Canto
senza parole” che magicamente risolve una situazione e porta un grato calore domestico. Sarà l’affetto
delle ricordanze, il profondo rispetto che Felix nutrì per le sue “radici”. “Radici” non limitate all’ambi-
to familiare ma riferite al suo credo
estetico: la convinzione che “per
essere artista, bisogna inchinarsi
davanti alla grandezza di quanti ci
precedettero e render loro omaggio
riconoscente”.
In ciò si inquadra la sua preziosa
cura per la rivalutazione delle opere di J.S. Bach, allora cadute nell’oblio e la presentazione della Sinfonia in Do Maggiore di Schubert
(appena scoperta da Schumann) di
cui diresse a Vienna la prima esecuzione.
In quest’ atteggiamento, come
nelle sue musiche c’è il segno di
una profonda spiritualità e di una
convinta fede religiosa che professò con sincerità e fervore fin dal suo
battesimo (1816). La sua adesione
al cristianesimo non fu, come per
suo padre Abraham, un puro “accomodamento” utilitaristico, né mai
sospettò che per il padre lo fosse
stata. Volle anzi onorarne la memoria componendo per lui non il solito
Requiem ma rievocando e assimilando alla scelta paterna la conversione di S. Paolo sulla via di Damasco attraverso l’Oratorio omonimo,
per soli, coro e orchestra (1836).
Allora, Felix si riconciliò anche con
la Parola. Quella con la “p” maiuscola.
6 musica
Mercoledì, 25 febbraio 2009
Intervista a Matej Zec, chitarrista e produttore dei fiumani «Morso»
«Suonare, per noi, è puro divertimento»
di Ivana Precetti
FIUME - Una volta si chiamavano “The B Inside” e suonavano il funky. Oggi li conosciamo come “Morso” e suonano il rock. Ma sono sempre
loro, i fiumani Ivana Bartolović
(vocalist), Stanislav Grdaković
(vocalist), Matej Zec (chitarra),
Darko Terlević (tastiere), Nikola Mesarek (basso), Ivan Bojčić
(batterie) e Hrvoje Brzić (loop).
Una band piuttosto numerosa
che pian piano si sta ritagliando
uno spazio importante nella scena musicale croata. I “magnifici
sette”, dopo aver sfornato il singolo “Izlog” (“Vetrina”), sono
reduci dall’uscita del loro omonimo album d’esordio, realizzato nell’ottobre scorso. Sempre
ad ottobre, hanno tenuto il loro
primo concerto solista al club
fiumano “Stereo” dove hanno riscontrato un grande successo di
pubblico. Poi li abbiamo visti a
fianco di Gibonni e dei “Hladno
pivo” al concerto di Capodanno
in Corso. Inoltre, due settimane
fa circa, sono stati ospiti gradevolissimi nella trasmissione musicale “Garaža”, andata in onda
sull’emittente televisiva croata
(HRT). Il loro genere si avvicina maggiormente al pop anni
Ottanta, mescolato però con un
energico groove rockettaro; per
di più, dispongono di due vocalist, uomo e donna, le cui voci
si fondono a meraviglia. Tutti questi elementi rappresentano i requisiti ideali per durare
nel tempo. Ne abbiamo parlato
con il chitarrista Matej Zec, che
è anche produttore del loro primo album.
Vi aspettavate un simile
successo? Oppure è accaduto
tutto in maniera spontanea e
inaspettata?
“Innanzitutto un saluto ai lettori de ‘La Voce del Popolo’. In
quanto alla domanda, direi che
un tantino ce lo aspettavamo,
ma non so dire se si tratta di successo o soltanto di un normale susseguirsi di cose conseguenti alla
pubblicazione del nostro album”.
- Come procedono le vendite del cd? Quanto tempo vi è occorso per realizzarlo?
“Non saprei dire l’esatto numero di copie vendute ma so per
certo che nelle prime due-tre settimane dopo la sua uscita, il nostro album era tra i più venduti
al Dallas Music Shop a Fiume.
Per quanto riguarda il resto della
Croazia non posso pronunciarmi,
però suppongo che la tiratura del
cd sia stata più contenuta rispetto a Fiume; ma questo d’altronde
è normale. Comunque, per realizzarlo ci sono voluti circa due anni
e mezzo”.
- Come nascono le vostre canzoni? Chi ne è l’ideatore? Oppure partecipate tutti alla realizzazione dei brani?
“Devo dire che nel nostro caso
la paternità delle canzoni è molto
variabile. Finora, ogni canzone
è nata a modo suo; alcune da un
accordo alla chitarra, altre sono
frutto di un’ improvvisazione collettiva, di tutta la band. Non c’è
un unico autore, anche se ci sono
dei brani firmati soltanto da me, o
in coppia con Darko, il tastierista;
peraltro, il resto è creatività comune.. Questo per quanto riguarda l’arrangiamento musicale. In
quanto alla scrittura dei testi, qui
c’è Stane, il vocalist, che a volte
scrive assieme a Ivana, anche lei
cantante del gruppo”.
- Dai The B Inside ai Morso. Come mai avete cambiato il
nome del complesso se la formazione è la stessa? C’è un qualche motivo per cui vi sentite una
band diversa rispetto a prima?
“Dopo aver pubblicato il nostro album quando ancora ci chiamavamo The B Inside, abbiamo
tenuto un paio di concerti e poi
semplicemente ci siamo fermati.
Per un certo periodo non abbiamo
fatto nulla e nessuno di noi ne sa-
I sette musicisti fiumani. Matej Zec è il primo da sinistra
peva il motivo. È durata così per
circa due anni finché un giorno
non abbiamo sentito nuovamente
la voglia di riunirci come gruppo
ticamente anche la collaborazione con questa casa discografica,
la maggiore nell’ex Jugoslavia.
Nel frattempo, anch’essa si è
La cantante dei Morso, Ivana Bartolović
e di creare. Con una comolicità
da“banda“ (in effetti un complesso, in un certo senso, è una banda).
Però, dopo due anni di stasi, quello
che ne esce ora è completamente
diverso da ciò che facevamo prima, per cui ci è sembrato logico
formare un complesso completamente nuovo e chiamarlo con un
altro nome”.
- Tu suoni anche nei Let 3.
Come riesci a conciliare le due
cose? Come intendi regolarti
nel caso i Morso diventassero
ancora più famosi e quindi più
richiesti?
“Per il momento riesco a dividermi senza problemi. Forse sono
un tantino più teso, ma per ora ce
la faccio.. Non mi preoccupo per il
futuro e ci penserò quando arriverà il momento. Comunque sia, se
anche succedesse, vorrebbe dire
che i Morso stanno andando alla
grande e non potrò che gioirne”.
- Com’è nata la collaborazione con la Dallas Records e perché avete cambiato casa discografica?
“Come The B Inside nel 2003
avevamo un contratto con la
grande Suzy, ma quando ci siamo sciolti si è interrotta automa-
spenta e noi, con i Morso, avendo tanto nuovo materiale dovevamo trovare una soluzione. La
Dallas è stata la scelta più logica”.
- Siete soddisfatti della promozione che vi fa la Dallas?
“Per il momento sì, anche se
ci sono ancora tantissime cose da
fare, sia da parte nostra che da parte loro. Sarà il tempo a dimostrarlo. Almeno lo spero...”.
- I Morso suonano un genere
completamente diverso dai The
B Inside, che erano più inclini al
funky. Come mai?
“È successo in maniera spontanea. Probabilmente siamo maturati. Devo dire che i The B Inside
erano nati per puro divertimento e
suonare il funky era stata una specie di ribellione nei confronti della
scena musicale fiumana di allora.
Nessuno di noi ha mai ascoltato
il funky ma era divertente suonarlo. Oggi suoniamo ciò che ci
piace, un genere che si avvicina
molto di più a quello che ascoltiamo privatamente. Direi che oggi,
con i Morso, siamo più fedeli a noi
stessi”.
- Sembra che i Morso, cioè il
complesso rifondato, stiano ri-
scuotendo più successo. È vero o
è soltanto una mia impressione?
“Spero sia così. I Morso, secondo me, sono più maturi e completi, hanno una testa e una coda,
per cui è anche più logico l’ottenimento di un maggiore successo.
La differenza essenziale è che oggi
ci conoscono o almeno hanno sentito parlare di noi, un po’ in tutta
la Croazia, ma anche nel resto dei
paesi dell’ex Jugoslavia, mentre i
TBI erano attivi soltanto a Fiume
e in Istria”.
- Dove vi esercitate? In un garage suppongo...
“Sì, è un classico (risata). In
vista di un concerto o una registrazione ci troviamo più spesso,
ma generalmente facciamo due
prove alla settimana. Cerchiamo
di non saltarle e di esserci sempre, perché questo è anche un
modo per rilassarci e divertirci.
A volte ci ritroviamo a parlare
senza alla fine provare nulla. È
un’atmosfera sana, senza pressioni”.
- Vi occupate soltanto di musica o avete anche un altro lavoro? Andate d’accordo o ci sono
anche screzi tra voi? In quanto a
musica, intendo. Uscite insieme
anche privatamente?
“Tutti abbiamo un altro lavoro ma soltanto il mio è legato
alla musica siccome suono in due
gruppi e inoltre mi occupo di registrazioni e produzioni discografiche nello studio G.I.S. a Castua.
Uno dei vantaggi dei Morso è che
siamo molto amici. Ci conosciamo da sempre e diciamo che la
nostra band si basa principalmente sull’amicizia. Usciamo insieme
e anche le nostre fidanzate sono
molto amiche. Chissà, forse un
giorno anche loro formeranno un
gruppo...(risata)”.
- Com’è stato suonare come
complesso di supporto a Gibonni e agli Hladno pivo? Come si è
giunti alla collaborazione con la
Città di Fiume?
“Dopo il concerto allo Stereo
ci sentivamo veramente bene. È
stato il nostro primo grande concerto per cui la voglia di andare
avanti era forte. Suonare in Corso
con due grandi nomi della musica
croata è stata di certo un’esperienza importante, anche se noi siamo
immersi in una realtà completamente diversa. La collaborazione
con la Città di Fiume è arrivata in
maniera molto spontanea e, direi,
logica. Grazie a Dio la municipalità tiene molto alla scena musica-
musica 7
Mercoledì, 25 febbraio 2009
L’alto profilo accademico e scientifico del Pontificio Istituto di Musica Sacra
Musicalmente pontificando
ROMA - Il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma
è un’istituzione accademica e
scientifica che insegna le discipline liturgico-musicali sotto il profilo pratico, teorico e
storico nei vari aspetti e nelle
diverse culture. Promuove la
conoscenza e la diffusione del
patrimonio tradizionale della
musica sacra favorendo altresì le espressioni artistiche adeguate alle odierne culture.
Il Pontificio Istituto di Musica Sacra è stato fondato da
San Pio X nel 1910 con la denominazione di “Scuola Superiore di Musica Sacra”. La
scuola fu aperta il 3 gennaio
1911 e confermata con il breve
Expleverunt del 4 novembre
dello stesso anno. Il 10 luglio
del 1914, con un rescritto della
Segreteria di Stato, la Scuola
fu dichiarata Pontificia e le fu
concessa la facoltà di conferire
i gradi accademici.
Benedetto XV assegnò
come residenza della scuola
il palazzo di Sant’Apollinare, trasferendola dalla sede di
via del Mascherone (16 ottobre 1914).
Pio XI, con il motu proprio
Ad musicae sacrae restitutionem (22 novembre 1922) ne
diede gli statuti, confermando
l’immediata dipendenza dalla
Sede Apostolica.
Con la costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus (24 maggio 1931), la
Scuola - denominata Pontificio Istituto di Musica Sacra è stata inclusa tra le università e facoltà pontificie. Pio XII
raccomandò vivamente la frequenza dei corsi attraverso
una lettera della Segreteria di
Stato all’episcopato di tutto il
mondo (22 novembre 1953) e
nell’enciclica Musicae sacrae
disciplina (25 dicembre 1955).
Nell’Istruzione sulla Musica
Sacra e la Sacra Liturgia del
3 ottobre 1958, la Sacra Congregazione dei Riti ha rilevato
la priorità dell’Istituto romano
rispetto alle istituzioni similari. Giovanni XXIII, in occasione del 50° anno di fondazione,
con la lettera apostolica Iocunda laudatio ne esaltava l’operato e istituiva una sezione di
musica per le missioni (8 dicembre 1961). Paolo VI, con
Codice della Biblioteca dell’Istituto Pontificio di musica sacra
le di Fiume e tenta sempre di dare
una spinta alle band fiumane. Suppongo che noi siamo stati la scelta giusta”.
- Quali sono i vostri piani futuri? C’è in vista qualche concerto? Forse qualche collaborazione con altri musicisti? Tenterete di sfondare anche all’estero? Se sì, dove e quando.
“Il nostro immediato futuro
sarà all’insegna dei concerti, allo
scopo di promuovere il disco. Le
settimane a venire ci vedranno soprattutto in Istria. Inoltre, abbiamo
in piano di esibirci alla prossima
edizione del Festival ‘Hartera’.
Nel frattempo, ci metteremo a lavorare sul nuovo album. Ma tutto
questo, per noi, è puro divertimento e grande gioia. In quanto all’estero, per il momento ci stiamo
già esibendo nei Paesi dell’ex Jugoslavia, ma più avanti speriamo
di ‘conquistare’ anche l’Europa
e l’America. In questo momento
stiamo trattando per un concerto
estivo in America ma saprete tutto
per tempo”.
- Cosa pensi dell’attuale scena musicale fiumana? Che cosa
consiglieresti ai giovani gruppi?
L’organo della Sala Accademica
il chirografo Nobile subsidium
liturgiae (22 novembre 1963)
ha istituito la Consociatio Internationalis Musicae Sacrae,
la cui segreteria ha sede nell’Istituto e il 10 maggio 1975
ha fondato la Scuola di semiologia gregoriana.
Giovanni Paolo II nel 1983
ha assegnato all’Istituto l’intero immobile dell’abbazia di San
Girolamo in Urbe, ove, dall’anno accademico 1984-1985, si
svolge l’attività didattica e liturgica.
Il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, in qualità di
istituzione accademica e scientifica eretta dalla Sede Apostolica
gode di propria personalità giuridica e si regge sulle norme del
diritto canonico, su statuti pro“Secondo me Fiume sta vivendo una rinascita della scena
musicale. Ci sono sempre più
giovani band, i club lavorano,
ogni settimana si suona, a volte non c’è che l’imbarazzo della scelta . Per quanto riguarda la
qualità, ci sarebbe da discutere
ma è importante che la scena si
mantenga viva e si sviluppi nel
tempo. Soprattutto bisogna tenere aperti i club nei quali si può
suonare. La scena musicale fiumana sta dimostrando una nuova
forza e la tendenza a diventare
grande anche a livello nazionale. Ai complessi giovani consiglierei di non desistere e di darsi
sempre da fare perché i risultati
non si faranno attendere”.
- Infine, qual è il vostro desiderio più grande come band?
C’è qualcosa che vorreste ottenere, raggiungere, e che in
questo momento vi sembra impossibile?
“Vorremmo diventare una
formazione importante, anche se per ora questa ci sembra un’utopia. D’altronde, se
qualcuno ci avesse detto che
un giorno avremmo dato un’intervista al vostro giornale gli
avrei detto che la cosa è quanto meno strana. E invece, eccoci
qua, a presentarci ai lettori della
Voce...”.
L’abbazia di San Girolamo, sede dell’Istituto
Pontificio di Musica Sacra
pri approvati dalla Santa Sede e
sulle norme approvate dal Consiglio Accademico; per facoltà
della Sede Apostolica, conferisce i gradi accademici di Baccalaureato, Licenza, Magistero
e Dottorato.
L’Istituto persegue le seguenti finalità: insegnare le
discipline
liturgico-musicali sotto il profilo pratico, teorico e storico; promuovere
la conoscenza e la diffusione
del patrimonio tradizionale
della musica sacra e favorire
espressioni artistiche adeguate alle odierne culture; rendere, per incarico della Chiesa madre di Roma, un servizio alle Chiese locali di tutto
il mondo, in vista della formazione dei musicisti di chiesa e
dei futuri insegnanti nell’ambito della musica sacra.
L’Istituto adempie al suo
mandato tramite l’insegnamento delle discipline curriculari, la
ricerca e l’analisi storico-estetica, la pubblicazione di opere
musicali e scientifiche, l’esecuzione in sede concertistica e liturgica di brani musicali, con
l’intento di diffondere il repertorio del passato e del presente.
Il Pontificio Istituto di Musica Sacra promuove inoltre lo
sviluppo di centri di studio sulla
musica sacra sia a livello accademico (Università, Scuole superiori) che pastorale (Scuole
diocesane) e l’organizzazione di
convegni di studio e corsi di specializzazione e perfezionamento
(Master).
I CONCERTI DEL PONTIFICIO
ISTITUTO DI MUSICA SACRA
Sabato 7 Febbraio 2009, ore 18:30
Sala Accademica
Violoncello barocco, cembalo, DUO Barbati-Del Sordo
Esecuzione integrale delle Sonates op. 50 di Boismortier
Sabato 21 Febbraio 2009, ore 18:30
Sala Accademica
Canto, pianoforte, DUO Carletti-Meloncelli
Chansons e Lieder da Francia, Germania e Polonia
Sabato 7 Marzo 2009, ore 18:30
Sala Accademica
Organo, Theo Flury
Buxtehude, Flury, Eben, Heiller e improvvisazioni dell’esecutore
Sabato 14 Marzo 2009, ore 18:30
Sala Accademica
CONFERENZA, Cesare Marinacci
La musica pianistica di Gabriel Fauré
Sabato 21 Marzo 2009, ore 18:30
Sant’Apollinare
Coro Polifonico del PIMS
Walter Marzilli direttore
Opere dei docenti di composizione del PIMS
Sabato 28 Marzo 2009, ore 18:30
Sala Accademica
CONFERENZA, Mauro Pisini
È ancora attuale il rapporto fra musica sacra e latino?
8 musica
Mercoledì, 25 febbraio 2009
ANEDDOTI•NOTIZIE•CURIOSITÀ - DEDICATO A JOSEPH HAYDN
Nasceva duecento anni fa Joseph Haydn (31 marzo 1732 – Vienna, 31 maggio 1809) da famiglia
di modeste condizioni nel villaggio austriaco di Rohrau, vicino
al confine ungherese. Suo padre,
Mathias, era mastro carraio e per
qualche tempo ricoprì l’incarico di
Marktrichter (sindaco del villaggio), sua madre era cuoca nel castello dei Conti di Harrach.
Mathias Haydn si dilettava a
cantare ed a suonare (a orecchio)
l’arpa; la famiglia - secondo i ricordi dello stesso Haydn - era
“molto musicale”. Il fratello Michael (1737 - 1806) diverrà anche lui compositore di notevole
qualità; meno rilevante il talento di un terzo fratello musicista:
Johann Evangelist, che diver-
che a difendere gli interessi economici dei colleghi. La caccia e
la pesca erano i suoi passatempi
preferiti. Cattolico fervente, usava vergare Laus Deo o espressioni simili alla fine dei manoscritti,
e si dedicava alla preghiera quando le idee musicali stentavano a
prendere forma sulla carta.
I dipinti che lo ritraggono
sono abbastanza discordi tra loro,
e l’unica fonte affidabile per avere un’idea dei suoi tratti somatici
è la maschera mortuaria in cera
conservata nella sua casa-museo
di Vienna. Le informazioni certe
sul suo aspetto sono poche: basso di statura (probabilmente per
la malnutrizione), divenne calvo
in età adulta, e portava in viso i
segni del vaiolo. Non bello, si
Palazzo Esterhazy
due violini con sordina, suonati
da Haydn stesso e dal primo violino, Alois Luigi Tomasini[2]. Il
soggiorno ad Eszterhaza fu infatti
più lungo del previsto, e con questo finale il compositore indicava
in maniera allusiva al principe il
desiderio dei musicisti di ritornare
a casa ad Eisenstadt, dov’erano rimaste molte delle loro famiglie.
In numero di 126 Trii per
baryton, viola e violoncello, vennero composti negli anni 1765/
1778, ad uso del principe Esterázy, che si dilettava del baryton,
uno strumento ad arco in parte simile alla viola da gamba, con doppia fila di corde. Meno impegnativi sul piano compositivo dei Klaviertrios, i trii con baryton vennero
stampati, durante la vita di Haydn,
solo in piccola parte. Rimangono
ancora pochissimo conosciuti dal
grande pubblico e poco frequentati nelle sale da concerto e nella
discografia.
Ritratto di Joseph Haydn
rà cantante (tenore). Le capacità
musicali di Joseph furono presto
riconosciute, e nel 1738 gli venne data la possibilità di studiare
a Hainburg an der Donau, presso
Johann Matthias Franck, un parente maestro di coro. Così, dall’età di sei anni, Joseph Haydn lasciò per sempre la casa paterna.
Joseph Haydn, secondo le testimonianze dei contemporanei,
fu un uomo gioviale e ottimista:
se ne può avere riscontro nel sense of humour che anima le sue
opere e che spesso si esprime in
scherzi e sorprese musicali.
Alla corte degli Eszterházy
era particolarmente rispettato, e
creò un clima di lavoro estremamente disteso, contribuendo an-
meravigliò molto del successo
riscosso a Londra tra il pubblico
femminile.
La Sinfonia n. 45 in Fa diesis
minore, nota anche come “Sinfonia degli addii”, è stata scritta
dal compositore austriaco Franz
Joseph Haydn nel 1772. È stata composta per il mecenate di
Haydn, il principe Nikolaus Esterházy, quando la corte si trovava
nella residenza estiva di Eszterhaza. Il primo movimento della
Sinfonia n. 85 contiene dei riferimenti a questa’opera.
È detta “sinfonia degli addii” perché nell’esecuzione dell’adagio finale i musicisti a turno
smisero di suonare, spensero la
candela del loro leggio e lasciarono la sala, e l’esecuzione venne portata a conclusione solo da
Nel 1766, Haydn fu nominato maestro di cappella degli Esterházy nelle loro varie residenze.
Tra le sue mansioni: scrivere nuo-
ve composizioni, dirigere l’orchestra di corte, suonare musica da
camera per e con i suoi protettori
e allestire rappresentazioni liriche.
In ogni caso, nonostante l’impegno notevole, Haydn si considerava fortunato, dato che i principi
Paul Anton e Nikolaus I erano raf-
venne smantellato, e Haydn messo in pensione. Il compositore, ormai non più giovane, si trovò così
libero di accettare un’offerta economicamente vantaggiosa, fattagli
dall’impresario Johann Peter Salomon: libero dagli impegni di corte,
viaggiare in Inghilterra e dirigere
sinfonie con una grande orchestra.
La musica di Haydn era già conosciuta dal pubblico inglese: la capitale aveva una intensa vita musicale e un mercato editoriale aggiornato e dinamico, ma i due soggiorni
inglesi del compositore(1791-1792
e 1794-1795) si tradussero in un
successo superiore ad ogni aspettativa. Il pubblico accorreva entusiasta ai suoi concerti. Haydn poté
ottenere introiti consistenti, ma anche numerose amicizie, conoscenze
e occasioni di vita mondana.
Nicola Esterhazy
finati intenditori di musica, che apprezzavano il suo lavoro e gli mettevano a disposizione tutto ciò di
cui aveva bisogno. Nel 1790, con
la morte di Nikolaus I Esterházy,
l’ensemble musicale della corte
A questo periodo risalgono alcune fra le opere più note
di Haydn, anzitutto il suo ultimo
gruppo di sinfonie, dette “Londinesi”, dal n. 93 al 104, i sei quartetti op. 71 e 74, diverse sonate per
pianoforte e un significativo gruppo di trii con pianoforte.
GIRO GIRO TONDO QUANTO SUONA IL MONDO
ROMA - Fa tappa a Roma,
questa sera lo spettacolo ‘’Aida’’
con le musiche di Elton John e i
testi di Tim Rice. Infatti, il tour,
dopo essere passato per la Germania e l’Olanda, approda al teatro Italia della Capitale.
Lo spettacolo è arricchito
dalla partecipazione di un’orchestra dal vivo diretta dal maestro
Massimo Modesti, e viene proposto con la traduzione integrale del testo in italiano curata da
Susanna Tagliapietra, regista e
coordinatrice artistica dello spettacolo.
ROMA - La Vienna di Mozart, Haydn e Beethoven è stata
nei giorni scorsi protagonista dei
concerti nella Sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia,
all’Auditorium Parco della Musica di Roma.
La prima parte del concerto,
comprendeva due brani dalle tinte scure e dolorose come l’Adagio e Fuga K.546 di Mozart e la
Sinfonia n.49 in la minore detta
“la Passione” di Haydn, che si
contrappongono al sereno, glorioso e luminoso “do maggiore”
della Messa op.86 di Beethoven,
anticipatrice di quel grande capolavoro che sarà la Missa Solemnis.
A guidare l’Orchestra e il
Coro dell’Accademia Nazionale
di Santa Cecilia, il maestro Fabio Luisi, genovese di nascita ma
europeo per formazione e cultura, a capo di compagini come la
Suisse Romande, i Wiener Symphoniker, Munchner Philharmoniker, Staatskapelle e StaatsOper
di Dresda, dove dal 2007 è Direttore Stabile.
TORINO - L’italiana in Algeri, dramma giocoso in due atti di
Gioachino Rossini, va in scena il
prossimo 4 marzo con un nuovo
allestimento interamente realizzato dal Regio. Il primo direttore
di scena del Teatro Vittorio Borrelli cura la regia di uno dei titoli
più fortunati del teatro musicale
buffo. Sul podio il Maestro Bruno Campanella, massimo interprete del belcanto e storico direttore dell’orchestra torinese. Le
scene sono di Claudia Boasso,
responsabile del settore realizzazione allestimenti del Teatro,
mentre i costumi sono firmati da
Santuzza Calì. Il Coro del Regio
sarà diretto dal Maestro Claudio
Fenoglio. Le luci sono di Andrea
Anfossi. L’opera sarà trasmessa in diretta da Rai Radio3 il 4
marzo.
Anno V / n. 36 del 25 febbraio 2009
“LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina
IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina
Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat
edizione: MUSICA
Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo
Impaginazione: Annamaria Picco
Collaboratori: Helena Labus, Ivana Precetti e Fabio Vidali
La scalinata di Palazzo Esterhazy
La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano
con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004