DEL POPOLO ce vo /la .hr dit w.e ww musica & il pentagramma An no V 9 200 o i • n. 3 a 6 • Mercoledì, 25 febbr De Verbo, de Musica et de Sanremo di Patrizia Venucci Merdžo Gentili lettori, meno male che è arrivata la Quaresima perché tra il tormentone del prefestival-festival- dopofestival sanremese, “l’ebbrezza dionisiaca” degli zvončari, i fiumi di cortei mascherati e l’indigestione di decibel, non se ne poteva più, et hora, si fa ritorno, alla “sana et beata normalitude”. E tuttavia, mentre mi sto ancora scuotendo di dosso le manciate di coriandoli e già inizio a percepire l’odore di cenere et incensum che mi ricordano la vanità delle cose, non posso esimermi da qualche riflessione “d’obbligo”. Sanremus sta diventando sempre più una specie di spettacolo dai dislivelli qualitativi abbastanza evidenti nel quale, la competizione canora e la canzone occupano un posto “crescentemente diminutivo”, ed il presentatore-mattatore un ruolo crescentemente ingombrante, (specie dal punto di vista finanziario). Dalla salieriana “prima la musica e poi le parole” di partenza, siamo da un bel po’ di tempo arrivati alle “parole, parole, parole” di Mina, che intanto si è data alla lirica. (Il bello della vita sono i cambiamenti di rotta). Non che si voglia sminuire “la parola”, per carità, la quale, agli inizi del cammino umano (Babele esclusa) fu pregna di Senso, per divenire man mano, pallido riflesso del Senso, e quindi florilegio, vaniloquio, rabbiosità ideologizzata ed ora chiacchiera inflazionata, quando non soliloquio ( il turpiloquio è sottinteso); però, sta di fatto verificandosi una progressiva atrofia della Musica, un depauperamento della percezione musicale la quale, in certi generi ed a livelli commerciali e quindi largamente diffusi, assume contorni anche inquietanti. Nel numero scorso Fabio Vidali rielaborava , in tale contesto, in maniera intrigante degli spunti tratti da un suo saggio pubblicato negli Atti del XXXI Convegno sull’Educazione Musicale dalla “C.A. Seghizzi” di Gorizia, in collaborazione con il Dipartimento dell’Educa- zione dell’Università di Trieste e col Corso per operatori dei Beni Musicali dell’Università di Udine, sotto l’alto patrocinio del presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Sanremo 2009 – che in buona parte è stata una fiera di motivi “musicali” insipidi e più o meno amorfi quando non un tedioso e legnoso salmodiare – ha premiato la mediocrità; e, se sussistevano delle canzoni che davano adito ad una una certa speranza, queste sono state impietosamente ripudiate. Per cui davvero non si riesce a trovar ragione di tutto questo esagitato tam-tam intorno ad un festival di discutibile qualità, se non in motivi di pecunia, ovviamente. ( Ma poi, il Carta, che ci faceva tra i “big”?). Be, Bobby “il Solo”, direbbe che “le note sono sette ed il meglio è già stato pescato” (tesi solo parzialmente sostenibile, secondo me); a quanto pare il mare era ancora abbastanza pescoso ai suoi tempi. Se analizziamo “Una lacrima sul viso”, ci accorgiamo che nell’arco di due sole battute, la linea melodica copre, tramite un ampio arpeggio, partendo dal registro grave, non meno di un’ ottava e mezzo(!), e si continua con questo tenore. Il che praticamente esige da una voce umana capacità modulatorie di tipo strumentale. Infatti, il tema cantabile di questa canzone-simbolo (come altre sanremesi del genere melodico) pare scritta appositamente per violoncello e pianoforte; ed è un classico, come rilevato da Ljubomir Kuntarić in occasione del concerto abbaziano di Bobby. Non l’accordalità, ma la melodia, è Musica, come ampiamente e autorevolmente dimostrato. Solo che il nostro, non è il Suo tempo. Sconclusionatamente e sanremesamente Vostra 2 musica Mercoledì, 25 febbraio 2009 NEUROMUSICOLOGIA “Composizione”, “ritmo”, “vibrazione del colore”, terminolo Sinestesia, l’intrigante connessione tr di Helena Labus “[...] il colore è un mezzo che consente di esercitare un influsso diretto sull’anima. Il colore è il tasto, l’occhio il martelletto, l’anima il pianoforte dalle molte corde. L’artista è una mano che toccando questo o quel tasto mette in vibrazione l’anima umana.…”, sono le parole del grande artista russo Vasilij Kandinski (1866-1944), universalmente conosciuto come il fondatore dell’arte astratta, il quale si dedicò con passione all’esplorazione della relazione tra suono e colore. Il legame tra i due elementi base delle arti musicale e figurativa è da sempre molto forte e complesso, basti pensare alle numerose espressioni caratteristiche di una sfera artistica che vengono largamente impiegate nella descrizione di fenomeni appartenenti all’altra. Nel campo dell’arte figurativa, infatti, sembra quasi impossibile sviluppare un discorso senza dover fare uso di espressioni che tecnicamente appartengono alla musica. “Composizione”, “ritmo”, “vibrazione del Kandiski e il fenomeno della sinestesia Per Kandinski la musica era una sorta di ossessione: i colori venivano da lui avvertiti come un “coro” da fissare sulla tela. Il fenomeno è noto sotto il nome di sinestesia, mentre lo stretto legame che da sempre unisce musica e immagine viene chiamato sinestetico. Ne è la manifestazione più alta quella in cui i vari sensi concorrono a creare un unica immagine. “Il suono giallo”, ad esempio, esprime una mescolanza di colore, luce, danza e ritmo. Tra le sue opere troviamo, tra l’altro, un’interpretazione della Quinta sinfonia di Beethoven attraverso forme e linee. La pittura per Kandinski diventa sempre più una sorta di composizione musicale, una sinfonia di colori, come la definì in più occasioni. Ma il suo sogno-programma fu la sintesi delle arti, ossia un’opera d’arte totale. Per Kandinski le composizioni sceniche sono opere artistiche che si diffe- Aleksandr Skrjabin Nella storia della musica il compenetrarsi dell’arte musicale e di quella figurativa - “dipingere” la musica o trasmettere in musica un dipinto -, è un fenomeno molto diffuso Il termine sinestesia deriva dal greco sin = σµν (attraverso) ed estesia = αισθŋσίσ (percezione) e indica una contaminazione dei cinque sensi nella percezione del percepibile. Più semplicemente indica quelle situazioni in renziano dalla pittura solo perché esprimono il sentimento allo stato puro con mezzi diversi, ossia suoni, colori e movimenti, al fine di far vibrare l’anima dello spettatore, di chiamarlo a partecipare Presta le tue orecchie alla musica, apri i tuoi occhi alla pittura, e... smetti di pensare! (Vassilij Kandinski) colore”, “dinamica della composizione”... sono termini largamente usati per descrivere un’opera d’arte, mentre espressioni come “sfumatura”, “impressionismo” (termine inizialmente coniato nella sfera dell’arte figurativa), “colore musicale” servono a rendere più plastica l’idea su una certa opera musicale. Non a caso, Kandinski usò termini musicali per descrivere le sue opere, definendole “composizioni” e “improvvisazioni”. cui una stimolazione uditiva, olfattiva, tattile o visiva è percepita come due eventi sensoriali distinti ma conviventi. Nell’arte, l’interscambio fra le varie espressioni artistiche è praticamente costante. Nella storia della musica il compenetrarsi dell’arte musicale e di quella figurativa - “dipingere” la musica o trasmettere in musica un dipinto -, è un fenomeno molto diffuso. Nell’opera di Kandinski tali esempi sono numerosi: la sua opera del 1912, Romolo Venucci “Composizione musicale”, dettaglio Dipinto astratto di Kandinski musicalmente ritmato all’opera rappresentata. Nelle sue ricerche artistiche Kandinski sperimentò nella trasposizione del dipinto in musica, facendo uso anche del balletto nell’intento di creare la sintesi delle arti alla quale aspirava: il musicista sceglieva da una serie di acquerelli quello che, da un punto di vista musicale, gli sembrava essere il più eloquente. In assenza del ballerino suonava lo spirito, i contenuti dell’ acquerello scelto. Quindi all’arrivo del ballerino, gli si faceva ascoltare il brano musicale, ed egli lo trasponeva in danza, indovinando poi l’acquerello che aveva ballato. Un altro artista che ha “fatto uso” delle analogie ra musica e arte figurativa è stato il pittore olandese Piet Mondrian nel suo celeberrimo dipinto “Broadway Boogie-Woogie”, in cui mediante l’accostamento di un termine musicale e di uno stile pittorico specifico ha reso l’idea dell’energia di New York, la città “che non dorme mai”. Il “clavier a lumières” di Skrjabin Pure il compositore e pianista russo Aleksandr Skrjabin (1872-1915) studio, in maniera addirittura ossessiva, un possibile legame o una sintesi tra suono e colore. Egli espresse la sua personale sinestesia nella sinfonia del 1910, “Prometeo”, il poema del fuo- co per orchestra, piano, organo e coro, usando una tastiera muta, un “clavier a lumières“, che rifletteva delle luci colorate sotto forma di raggi, nuvole e altro, che si diffondevano nella sala da concerto e culminavano in una luce bianca talmente forte da risultare dolorosa per la vista. Nella realizzazione di questa opera innovativa, Skrjabin stilò una tabella delle corrispondenze Per Kandinski la musica era una sorta di ossessione: i colori venivano da lui avvertiti come un “coro” da fissare sulla tela. Il fenomeno è noto sotto il nome di sinestesia, mentre lo stretto legame che da sempre unisce musica e immagine viene chiamato sinestetico musica 3 Mercoledì, 25 febbraio 2009 gia comune per caratterizzare sia l’opera pittorica che la creazione musicale a la percezione del suono e del colore violetto, il Mi bemolle aveva dei riflessi metallici, il Si bemolle era di colore acciaio, mentre il Fa era rosso scuro. Si tratta di una scaletta molto personale e soggettiva che cambia da sinesteta a sinesteta, come è stato verificato dagli studi scien- Un’esempio divertente di correlazione tra la musica e le immagini è, per esempio, il cartone animato “Fantasia” di Walt Disney nel quale gli artisti hanno offerto una loro visione dei celeberrimi brani di musica classica: la Toccata e fuga La pittura per Kandinski diventa sempre più una sorta di composizione musicale, una sinfonia di colori, come la definì in più occasioni Kandinski “Il suono giallo” fra suoni e colori, così formulata: il Do corrispondeva al rosso, il Sol al colore arancione, il giallo al Re, il suono La era verde, il Mi-blu biancastro, il Si-blu biancastro, il Fa#-blu intenso, il Re bemolle-violetto, il La bemolle-porpora tifici incentrati su questo singolare fenomeno. Un esempio tipico della trasposizione delle immagini in musica è l’opera del compositore francese Claude Debussy, la cui musica venne classificata come “impressionismo” per le sue qualità eteree, ma anche per i titoli suggestivi che portano i suoi brani: la suite “Images” (immagini appunto), il sognante “Clair de lune”, la suite “La mer”... Come i pittori impressionisti, Debussy non usava un procedimento descrittivo nella sua arte, bensì la tecnica della trasposizione - la possibilità che una forma artistica riassuma in sé tutte le altre -, la sinestesia. in Re minore di J.S.Bach, la Sesta sinfonia di Beethoven (la Pastorale), “Lo Schiaccianoci” di Čajkovski, la “Sagra della primavera” di Stravinski... Risulta molto interessante il modo in cui è stata resa la “musica astratta” di Bach, quasi fosse un dipinto di Kandinski. Un rapporto moderno fra la musica e l’arte si nota negli ultimi decenni sulle copertine dei dischi (oggi cd), i quali hanno il compito di darci un idea sul tipo di musica che ci possiamo aspettare nel momento dell’ascolto. Un celeberrimo caso del genere, e uno dei primi, è la collaborazione tra il gruppo americano Piet Mondrian, “Broadway Boogie-Woogie” Velvet Underground e l’artista pop Andy Warhol. Da lì in poi, nel corso dei decenni, il contatto tra le due arti si infittisce e articola. Sempre rimanendo nell’ambito della pop art troviamo tracce del pittore Keith Harring su un album di Malcom McLaren... Il merito delle copertine, siano esse dipinti, fumetti, foto, è che ci offrono lo spunto per immaginare la “filosofia” che sta dietro ai fenomeni musicali del rock e del pop. La musica e la pittura moderna nel pensiero di Wolff L’influenza esercitata dalla musica sulla pittura degli ultimi cento anni è stata decisiva. Risale al 1850 circa la scoperta del valore pittorico di temi e titoli musicali, ma già prima si studiavano gli effetti immediati che i colori esercitano sull’animo umano e si instauravano rapporti tra colori, timbri e armonie timbriche. La combinazione di determinati colori venne confrontata con l’unione di diversi toni in accordi. Allo stesso modo l’accresciuto impiego di colori diversi nella pittura del XIX secolo si accompa- musicale si sviluppò in seguito realmente in forme notevolissime e questo vuole essere un tentativo di esposizione del suo sviluppo storico fino ai nostri giorni. Già i romantici tedeschi avevano vagheggiato una fusione di tutte le arti mettendo in luce l’esistenza di una reciprocità di rapporti tra musica, pittura, architettura e poesia. Era questo un tentativo di realizzare un’immediatezza di sollecitazioni psichiche che il razionalismo settecentesco aveva preferito lasciare in ombra. Analoghe esigenze tornano a farsi vive oggi che la razionalizzazione, stan- Proponiamo parte di un testo di Hellmuth Christian Wolff nel quale ci offre un quadro generale, corredato di puntuali riferimenti ed esemplificazioni, riguardo alla decisiva “influenza esercitata dalla musica sulla pittura negli ultimi cento anni”: la motivazione di fondo di tale influenza è indicata dall’autore nella “pura astrattezza dei processi formativi musicali” cui si è ispirata tanta parte della pittura moderna nel tentativo “di esprimere anziché l’esterno, il mondo fenomenico, l’interiorità, l’essenza delle cose” gnò, giovandosene, all’intensificarsi del colorismo timbrico nell’orchestra moderna, in Richard Wagner come in Claude Debussy, onde la ricerca nell’arte figurativa di vere e proprie “orchestrazioni di colori” come ad esempio nel caso di Signac e degli impressionisti francesi. Sul finire del XIX secolo Gauguin annunciava apertamente una “fase musicale” della pittura moderna. Codesta fase Paul Klee, “Fuga in rosso” della musica e in specie di quella antica, e cioè la sua pura e rigorosa struttura formale di cui si scoprì la fecondità anche per la pittura. Già nel 1904 Adolf Holzel sollecitava per la pittura quella teoria dell’armonia e del contrappunto che, fondata da Wassilij Kandinski, sarebbe stata sviluppata da Paul Klee. I tentativi di tradurre pittoricamente effetti musicali sono antichissimi: la possibilità di coordinare colori e suoni era ben nota alle antiche culture dell’Indardizzazione, e specializzazione della dia e della Cina. L’idea di un’armonia vita moderna soffocano con virulenza del mondo approdò nel barocco ad una maggiore i valori dell’interiorità. Così equiparazione dell’armonia dei colori la pittura e la musica contemporanee con quella delle sfere da parte di Keplefin dall’epoca del cubismo e dell’espres- ro e di Athanasius Kircher come anche sionismo sono alla ricerca delle origini di Newton che indagava su di una coindelle cose, di elementari esperienze ed cidenza dei sette colori dello spettro con gli intervalli di una scala musicale e coi interpretazioni del mondo. Parallelamente una parte ancor sette pianeti. In seguito, di contro ai ripiù importante ha l’altra particolarità sultati di Newton fondatisi sul calcolo di frequenze, Goethe volle un’armonia di colori visualmente evidenziabile e nella sua Dottrina dei colori ne mise in luce gli effetti fisico-spirituali. Già nel 1725 il gesuita e matematico francese Louis-Bertrand Castel suggerì di riprodurre brani musicali su tappeti in forme astratte giovandosi a questo fine anche di danze, strumenti musicali e scene operistiche (idea rimasta peraltro allora allo stadio di mero progetto). Celebre divenne invece nel 1738 il pianoforte a colori di Castel di cui il filosofo Moses Mendelssohn intendeva servirsi per ottenere, mediante l’impiego di spirali e serpentine, l’imitazione di “passioni umane”. Oggi assistiamo alla rinascita di tutti questi tentativi e proprio nella misura in cui gran parte della pittura moderna si richiama alla pura astrattezza dei processi formativi musicali s’impone necessariamente un esame dei rapporti e delle interferenze fra musica e pittura. 4 musica Mercoledì, 25 febbraio 2009 Mercoledì, 25 febbraio 2009 5 L’ANNIVERSARIO Due secoli fa moriva il grande musicista tedesco di origini ebraiche. Abbattuto in effige e radiato da Hitler dalla Storia Musicale tedesca Mendelssohn, compendio glorioso della musica europea dell’Ottocento di Fabio Vidali Ricorre quest’anno il bicentenario della nascita di Felix Mendelssohn-Bartholdy (Amburgo 3.21809), musicista sommo, che nemmeno la ricorrenza del centenario della morte (1847) e le relative ricordanze di rito (celebrate nel che la sua nascita sia stata allietata da sì sovrabbondante cornucopia di doni, come lo fu per Felix. Bello, di straordinaria intelligenza, dotatissimo per la Musica ma anche per il disegno e la pittura, di laboriosità e curiosità instancabili, d’animo mite, affettuoso e riflessivo, amante del bello e della natura, sognatore La trepida umiltà con la quale il Nostro sempre si accostò al “Mistero della Musica” ed il suo fermo rigetto all’enfasi, alle esplosioni, agli esibizionismi, insieme al culto sincero per le nostre “radici”, possono ancora indicare una sicura via 1947) sono riuscite a smuovere dalla posizione di “nicchia” nella quale è stato ingiustamente collocato subito dopo la sua scomparsa. E’ tuttora dominante per lui l’etichetta di “enigma della Storia della Musica” con la quale, in pieno Novecento, lo “liquidò” Alfredo Casella; etichetta che testimonia eloquentemente la difficoltà di collocarne esattamente la figura e l’opera a causa degli opposti frangenti in mezzo ai quali il destino lo portò a navigare in vita. Pochi, infatti, capirono (e tuttora capiscono) che Felix MendelssohnBartholdy rappresenta, in realtà, il momento che compendia e conclude la gloriosa storia dell’Ottocento musicale europeo in olimpica e completa pienezza, schiudendo consciamente l’uscio alle principali novità che caratterizzeranno il successivo Secolo. Tutto ciò senza quei “colpi di grancassa”, proprio d’un certo “romanticismo di maniera”, che, in breve tempo, avrebbero trasformato il “sentimento” in vuoto “gesto esteriore” alla moda, prodremo delle attuali e ben più perniciose “rincorse” verso l’alienazione e l’incomunicabilità. La trepida umiltà con la quale il Nostro sempre si accostò al “Mistero della Musica” ed il suo fermo rigetto all’enfasi, alle esplosioni, agli esibizionismi, insieme al culto sincero per le nostre “radici”, possono ancora indicare una sicura via. Toglierlo dalla “nicchia” degli “enigmi da baraccone” sarebbe soprattutto utile all’oggi. Speriamo che questo bicentenario riesca a compiere tale miracolo. Nato con la camicia Poche volte è dato riscontrare, nella biografia d’un personaggio, poetico, versatissimo nell’apprendimento delle lingue (vive e morte), rispettoso dei suoi “sacri Lari”, brillante organizzatore, generosissimo di se stesso fino al sacrificio. Accanto a tutto questo ben di Dio, suo padre, Abraham, era uno dei più facoltosi banchieri germanici e sua madre, Lea Salomon, proveniva anch’essa da ricca famiglia, era donna coltissima versata nella Musica e nelle Arti, poliglotta, di mentalità aperta ed illuminista. Tali genitori non lesinarono incoraggiamenti ed intelligenti aiuti per assecondare il talentuoso figlio che così potè crescere e sviluppare i suoi talenti in un ambiente di sogno, protetto ed affettuoso, ma, nel contempo, anche razionale e ricco di senso pratico. Papà Abraham, che ben conosceva il non velato antisemitismo della società prussiana, volle dotare ebreo. Persistendo in tale preoccupazione, Abraham spesso insistette con Felix affinché “eliminasse” del tutto dalle sue generalità il “pericoloso” cognome Mendelssohn sostituendolo col solo Bartholdy, cancellazione che, però, Felix mai consentì d’effettuare. Citiamo da una lettera di Abraham a Felix: “Non devi e non puoi portare il cognome Mendelssohn: un Mendelssoh rubini, ma subito lo riporta a Berlino perché desidera rimanga nella tradizione tedesca. Qui frequenta quella Università e si segnala come validissimo direttore d’orchestra. Conosce Weber e Goethe che gli diviene ammiratore e amico. Inizia, nel 1820, a dedicarsi alla composizione che rimarrà la sua principale via d’espressione. Da allora è tutto un vertiginoso susseguirsi di suoi ti- Autografo di Mendelssohn Conformismo, sufficienza e pigrizia, propri della critica musicale europea dal Novecento ad oggi, si sono cullati nel “luogo comune” secondo cui Felix non sia stato nulla di più di un “fanciullo prodigio” di precocità mozartiana europei. Nel 1835 gli muore l’amato padre e, a suo suffragio, compone lo splendido Oratorio “Paulus”, presentato a Dusseldorf con immenso successo di pubblico e di critica. Durante un breve soggiorno estivo a Francoforte sul Meno, incontra Cécil Jeanrenaud, figlia d’un pastore protestante ed in breve la sposa; è un matrimonio felice e perfetto, ma continua a comporre anche durante il breve viaggio di nozze sul Reno. E’ questo il periodo più bello della sua pur fortunata vita, di cui restano testimonianze in molte composizioni ed anche nell’epistolario con l’inseparabile sorella Fanny alla quale lo lega un’af- cristiano esiste quanto un Confucio ebreo. Se tu ti chiami Mendelssoh sei senz’altro un ebreo, mentre questo non è vero!”. Fà, oggi, tristemente sorridere questa “inutile precauzione” del buon Abraham. Felix, seppur battezzato ed “allungato” col Bartholdy, fu comunque, in effigie, la prima vittima della persecuzione nazista con l’abbattimento del suo monumento al Gewandhaus e la radiazione del suo nome dalla Storia della Musica tedesca. Ma, allora, Schumann gli riconobbe per primo “doti eccezionali” per le sue musiche “zampillanti nella mente e poeticamente sviluppate” giungendo a definire “un capolavoro d’ogni tempo” il suo Trio op. 49, all’”altezza di Beethoven e di Schubert” la sua famiglia d’una “assicurazione” in più, sì da permetterle un rango adeguato al suo censo ed ai suoi talenti. Si convertì, con moglie e figlia al Cristianesimo (Luterano Augustano) e aggiunse, all’originario cognome di Mendelssohn, quello (non semita) di Bartholdy, per “differenziarsi” dall’altro parentado (1829) nemmeno la trepida immaginazione di Abraham giungeva a prevedere l’Olocausto. In vita e in morte comunque, Felix scontò una negativa contropartita per la decisione paterna di cristianizzare la famiglia: l’ombra del “marranesimo” (delitto imperdonabile per gli ebrei ortodossi), anche dopo il secondo conflitto mondiale continua ad alitargli attorno, frenando la sua giusta collocazione fra i sommi della Musica europea. Di generazione in generazione, già da duecento anni. A passo di corsa Acquerello di Mendelssohn del 1838 (La chiesa di S. Tommaso di Lipsia) Felix inizia a studiare il pianoforte a quattro anni con la madre. A dieci anni entra nella Singakademie. A quattordici anni ha la sua “orchestra personale” che si riunisce in casa ogni domenica per fargli far pratica diretta dal vivo con lo strumentale. Studia anche il violino, divenendone un autentico virtuoso. Il pianoforte lo perfeziona con Ludwig Berger, già allievo di Field, Cramer e Clementi, assimilandone la formidabile tecnica. Segue anche gli insegnamenti letterari. A sedici anni il padre lo conduce a Parigi per farlo esaminare da Che- sorella Fanny (14.5.1847) gli dà il colpo di grazia. Riesce appena in tempo a terminare il suo ultimo Quartetto (in fa min. op. 80) e, pochi mesi dopo si spegne. Aveva appena trentotto anni. Il precursore Conformismo, sufficienza e pigrizia, propri della critica musicale europea dal Novecento ad oggi, si sono cullati nel “luogo comune” secondo cui Felix non sia stato nulla di più di un “fanciullo prodigio” di precocità mozartiana, con il “dono” di superare sorridendo ogni difficoltà tecnica interpretativa e strutturale della Musica che, crescendo nell’età, si sia indefinitamente “replicato” in una costante “eccellenza” vuota ed inespressiva, blandendo le mode care alla sua epoca ed alla società aristocratica e “benpensante”: un concentrato di abilità e di “buoni sentimenti” da galateo. Donde l’annoiato disinteresse con il quale si guardano le sue musiche. Nulla di più subdolo e di più errato. Nell’impossibilità materiale di condensare in quest’articolo ciò che richiederebbe gli spazi d’un intera ed ampia biblioteca, ci si deve limitare solo a pochi ma significativi accenni, tratti da testimonianze illustri quanto ineccepibili, iniziando con i contemporanei a lui e concludendo con Maestri a lui posteri. Schumann (che pur gli fu “concorrente”) fu il primo a riconoscergli definendola “il capolavoro del Romanticismo”, mentre altri, contemporaneamente negavano la compatibilità della musica di Mendelssohn con la nuova temperie romantica. Eppure Berlioz fu uno dei più “arrabbiati” romantici. Venendo al Novecento, Debussy minimizzò il ruolo di Felix a quello di “un elegante e distaccato notaio musicale”, distrattamente ignorando che già nell’Ouverture” “Meerestille und die Glucklige Fahrt” (1828, da Göthe) Mendelssohn aveva precorso quelle atmosfere armoniche impressionistiche che poi divennero il “logo” esclusivo del Debussy stesso. Degli imbarazzi di Alfredo Casella si è già riferito, mentre di grande significato appaiono gli apprezzamenti entusiastici e senza riserve per le musiche di Felix espresse da Ravel e da Stravinskij, due genii certo da non sottovalutare né da tacciare da “notai” né da “passatisti”. Un discorso a parte va fatto per “Ein Sommernachtstraum” (da Shakespeare) dove un Mendelssohn diciassettenne già appoggia le linee melodiche su nuove armonie con valori autonomi, antecipando un procedimento che sarà largamente praticato dalle generazioni successive. Tutto da riscoprire, poi, il particolare interesse di Felix per il “melos” popolare spontaneo di aree geografiche a lui lontane ed estranee. Nella “Sinfonia scozzese” (1842) Mendelssoh utilizza gli intervalli della “Scala celtica” e nella “Sinfonia italiana” (1833), fà largo ricorso a danze popolari italiche (come il Saltarello), prefigurando addirittura la metodica che presiedette alla nascita delle scuole musicali nazionali, donde la particolare attenzione che a questi suoi “suggerimenti” pratici riservarono Borodin, Dvorak, Smetana ed anche l’istriano Smareglia che, con la Ballata “Leonora” (dal Burger), esordì proprio in clima mendels- Di straordinaria intelligenza, dotatissimo per la Musica ma anche per il disegno e la pittura, d’animo mite, affettuoso e riflessivo, amante del bello e della natura, sognatore poetico, brillante organizzatore, generosissimo di se stesso fino al sacrificio toli di successo e di viaggi artistici. Ancora Berlino, Parigi, poi Londra e la Scozia dove trasse ispirazione per la splendida “Sinfonia Scozzese”, le isole Ebridi (Ouverture “La grotta di Fingal”). Segue il viaggio a Roma (“Sinfonia Italiana”), Milano, Monaco (“Concerto n. 1” per pianoforte e orchestra, eseguito al piano da lui stesso e replicato a Parigi nell’interpretazione di Liszt). Parigi, però, lo delude per l’ambiente teatrale che giudica “noioso e volgare”. Ritorna in Inghilterra dove trova accoglienze trionfali. Tappa a Dusseldorf, dove compone la sua prima Messa e diviene direttore artistico del Teatro di quella città. Membro dell’Accademia di Belle Arti di Berlino, Colonia gli affida il suo Festival di Musica. Rifiuta una Cattedra all’Università di Lipsia, ma accetta il posto di direttore del Gewandhaus. Grazie al suo talento, Lipsia assurge al ruolo di uno dei maggiori centri musicali finità quasi “gemellare” sin dall’infanzia. Nel 1841 Federico di Prussia gli affida l’incarico di Fondare il Conservatorio di Musica di Lipsia. Pur con brevi periodi di “pendolare” fra Lipsia e Berlino, la sua residenza d’elezione rimarrà, fino alla morte, Lipsia, dato che l’ambiente berlinese che giudica “vuoto, rozzo e dominato dalle presuntuose esibizioni teatrali di Liszt”, lo irrita profondamente. A Lipsia, invece, riesce a far erigere un monumento a J.S. Bach e a dar vita all’agognato Conservatorio per la cui inaugurazione convoca, come primi insegnanti, F. David, Ignaz Moscheles e Robert Schumann. Tutti questi impegni non gli impediscono di comporre un’altra lunga serie di capolavori (integrazione del “Sogno d’una notte di mezz’estate”, Laudi, Cantici, e l’Oratorio “Christus”). La sua pur forte fibra ne viene duramente provata. La notizia dell’improvvisa morte dell’adorata “doti eccezionali” per le sue musiche “zampillanti nella mente e poeticamente sviluppate” giungendo a definire “un capolavoro d’ogni tempo” il suo Trio op. 49, all’”altezza di Beethoven e di Schubert”. Wagner considerò l’Ouverture “Le Ebridi” come “una fra le più perfette composizioni di tutta la letteratura musicale”. Sempre Wagner addirittura usò, ne “L’oro del Reno”, il materiale iniziale de “La favola della bella Melusina” di Felix, definendolo “un paesaggista di primo ordine”. Quando, prima, il concetto di “paesaggismo” aveva fatto capolino nel sinfonismo? Dal qui alla constatazione che, con la sua originale nuova forma di Ouverture, Felix aveva “inventato” il “Poema sinfonico” prima dello stesso Liszt, la prelazione del precursore Felix è largamente dimostrata. Berlioz, dal canto suo, si dichiarò conquistato dalla Ballata di Felix “Die erste Walpurgisnacht” per soli, coro e orchestra (da Göthe) sohniano. Da non sottacere anche il ruolo fondamentale esercitato da Mendelssoh nella rinascita della musica corale tedesca (composizioni sacre e numerosissime profane) alla quale impresse una geniale forza rinnovatrice. Lieder senza e con parole A fronte d’una produzione musicale alluvionale, che abbraccia tutti i generi (7 opere teatrali, musiche di scena, Oratori, Sinfonie, Ouvertures, cameristica, organistica, vocali sacre e profane, Lieder con e senza parole, oltre a trascrizioni ed elaborazioni, Concerti per solisti e orchestra), nell’impossibilità di scendere ad ulteriori dettagli, ben più importanti è, forse, risalire all’”animus” di Felix MendelssohBarholdy, al suo formarsi nell’ambito di quella matrice culturale (ahinoi scomparsa) che si chiama Felix Mendelssohn Bartholdy Fanny Mendelssohn, l’amatissima sorella “Hausmusik”. In tale ambito nasce e cresce Felix, immerso nell’onda musicale domestica, sulle ali della melodìa del canto e del pianoforte (solo o d’accompagno) un po’ svago e un po’ rito. Un’esperienza che, fanciullo, chi scrive ricorda con dolce rimpianto; quando la signora o la signorina “di buona famiglia”, sparecchiata la tavola, si mettevano alla tastiera. Allora erano ancora in voga le raccolte dei “Lieder ohne Worte” proprio di Mendelssohn che rappresentarono per oltre un secolo anche un enorme successo editoriale. Ricordo che preferivo il solo pianoforte (senza il canto) dato che le voci ben educate già scarseggia- vano. Non certo per queste “carenze” vocali, è documentato che Felix fosse, però, dello stesso parere e che il suo rapporto con la parola, espressa attraverso la voce cantata, non fosse dei migliori, dato che considerava la parola “un di più” non sempre necessario e fedele al mistero della Musica. Così, paradossalmente c’è più “canto” nei “Lieder ohne Worte” che nei suoi tantissimi Lieder per canto e pianoforte, i cui testi, in gran maggioranza, erano “a posteriori” adattati alla musica ed anche intercambiabili. Tanto che li considerava per lo più “galanterie d’occasione” familiari ed amicali. Tutto diverso il discorso e l’impegno per i “Lieder ohne Worte” che dovranno rappresentare per Felix un impegno mai accantonato per tutta la vita ed un reperto importante della grande letteratura pianistica del suo tempo. Non stupisca, quindi che, in quasi tutte le sue composizioni di maggior respiro, faccia capolino almeno un “Canto senza parole” che magicamente risolve una situazione e porta un grato calore domestico. Sarà l’affetto delle ricordanze, il profondo rispetto che Felix nutrì per le sue “radici”. “Radici” non limitate all’ambi- to familiare ma riferite al suo credo estetico: la convinzione che “per essere artista, bisogna inchinarsi davanti alla grandezza di quanti ci precedettero e render loro omaggio riconoscente”. In ciò si inquadra la sua preziosa cura per la rivalutazione delle opere di J.S. Bach, allora cadute nell’oblio e la presentazione della Sinfonia in Do Maggiore di Schubert (appena scoperta da Schumann) di cui diresse a Vienna la prima esecuzione. In quest’ atteggiamento, come nelle sue musiche c’è il segno di una profonda spiritualità e di una convinta fede religiosa che professò con sincerità e fervore fin dal suo battesimo (1816). La sua adesione al cristianesimo non fu, come per suo padre Abraham, un puro “accomodamento” utilitaristico, né mai sospettò che per il padre lo fosse stata. Volle anzi onorarne la memoria componendo per lui non il solito Requiem ma rievocando e assimilando alla scelta paterna la conversione di S. Paolo sulla via di Damasco attraverso l’Oratorio omonimo, per soli, coro e orchestra (1836). Allora, Felix si riconciliò anche con la Parola. Quella con la “p” maiuscola. 6 musica Mercoledì, 25 febbraio 2009 Intervista a Matej Zec, chitarrista e produttore dei fiumani «Morso» «Suonare, per noi, è puro divertimento» di Ivana Precetti FIUME - Una volta si chiamavano “The B Inside” e suonavano il funky. Oggi li conosciamo come “Morso” e suonano il rock. Ma sono sempre loro, i fiumani Ivana Bartolović (vocalist), Stanislav Grdaković (vocalist), Matej Zec (chitarra), Darko Terlević (tastiere), Nikola Mesarek (basso), Ivan Bojčić (batterie) e Hrvoje Brzić (loop). Una band piuttosto numerosa che pian piano si sta ritagliando uno spazio importante nella scena musicale croata. I “magnifici sette”, dopo aver sfornato il singolo “Izlog” (“Vetrina”), sono reduci dall’uscita del loro omonimo album d’esordio, realizzato nell’ottobre scorso. Sempre ad ottobre, hanno tenuto il loro primo concerto solista al club fiumano “Stereo” dove hanno riscontrato un grande successo di pubblico. Poi li abbiamo visti a fianco di Gibonni e dei “Hladno pivo” al concerto di Capodanno in Corso. Inoltre, due settimane fa circa, sono stati ospiti gradevolissimi nella trasmissione musicale “Garaža”, andata in onda sull’emittente televisiva croata (HRT). Il loro genere si avvicina maggiormente al pop anni Ottanta, mescolato però con un energico groove rockettaro; per di più, dispongono di due vocalist, uomo e donna, le cui voci si fondono a meraviglia. Tutti questi elementi rappresentano i requisiti ideali per durare nel tempo. Ne abbiamo parlato con il chitarrista Matej Zec, che è anche produttore del loro primo album. Vi aspettavate un simile successo? Oppure è accaduto tutto in maniera spontanea e inaspettata? “Innanzitutto un saluto ai lettori de ‘La Voce del Popolo’. In quanto alla domanda, direi che un tantino ce lo aspettavamo, ma non so dire se si tratta di successo o soltanto di un normale susseguirsi di cose conseguenti alla pubblicazione del nostro album”. - Come procedono le vendite del cd? Quanto tempo vi è occorso per realizzarlo? “Non saprei dire l’esatto numero di copie vendute ma so per certo che nelle prime due-tre settimane dopo la sua uscita, il nostro album era tra i più venduti al Dallas Music Shop a Fiume. Per quanto riguarda il resto della Croazia non posso pronunciarmi, però suppongo che la tiratura del cd sia stata più contenuta rispetto a Fiume; ma questo d’altronde è normale. Comunque, per realizzarlo ci sono voluti circa due anni e mezzo”. - Come nascono le vostre canzoni? Chi ne è l’ideatore? Oppure partecipate tutti alla realizzazione dei brani? “Devo dire che nel nostro caso la paternità delle canzoni è molto variabile. Finora, ogni canzone è nata a modo suo; alcune da un accordo alla chitarra, altre sono frutto di un’ improvvisazione collettiva, di tutta la band. Non c’è un unico autore, anche se ci sono dei brani firmati soltanto da me, o in coppia con Darko, il tastierista; peraltro, il resto è creatività comune.. Questo per quanto riguarda l’arrangiamento musicale. In quanto alla scrittura dei testi, qui c’è Stane, il vocalist, che a volte scrive assieme a Ivana, anche lei cantante del gruppo”. - Dai The B Inside ai Morso. Come mai avete cambiato il nome del complesso se la formazione è la stessa? C’è un qualche motivo per cui vi sentite una band diversa rispetto a prima? “Dopo aver pubblicato il nostro album quando ancora ci chiamavamo The B Inside, abbiamo tenuto un paio di concerti e poi semplicemente ci siamo fermati. Per un certo periodo non abbiamo fatto nulla e nessuno di noi ne sa- I sette musicisti fiumani. Matej Zec è il primo da sinistra peva il motivo. È durata così per circa due anni finché un giorno non abbiamo sentito nuovamente la voglia di riunirci come gruppo ticamente anche la collaborazione con questa casa discografica, la maggiore nell’ex Jugoslavia. Nel frattempo, anch’essa si è La cantante dei Morso, Ivana Bartolović e di creare. Con una comolicità da“banda“ (in effetti un complesso, in un certo senso, è una banda). Però, dopo due anni di stasi, quello che ne esce ora è completamente diverso da ciò che facevamo prima, per cui ci è sembrato logico formare un complesso completamente nuovo e chiamarlo con un altro nome”. - Tu suoni anche nei Let 3. Come riesci a conciliare le due cose? Come intendi regolarti nel caso i Morso diventassero ancora più famosi e quindi più richiesti? “Per il momento riesco a dividermi senza problemi. Forse sono un tantino più teso, ma per ora ce la faccio.. Non mi preoccupo per il futuro e ci penserò quando arriverà il momento. Comunque sia, se anche succedesse, vorrebbe dire che i Morso stanno andando alla grande e non potrò che gioirne”. - Com’è nata la collaborazione con la Dallas Records e perché avete cambiato casa discografica? “Come The B Inside nel 2003 avevamo un contratto con la grande Suzy, ma quando ci siamo sciolti si è interrotta automa- spenta e noi, con i Morso, avendo tanto nuovo materiale dovevamo trovare una soluzione. La Dallas è stata la scelta più logica”. - Siete soddisfatti della promozione che vi fa la Dallas? “Per il momento sì, anche se ci sono ancora tantissime cose da fare, sia da parte nostra che da parte loro. Sarà il tempo a dimostrarlo. Almeno lo spero...”. - I Morso suonano un genere completamente diverso dai The B Inside, che erano più inclini al funky. Come mai? “È successo in maniera spontanea. Probabilmente siamo maturati. Devo dire che i The B Inside erano nati per puro divertimento e suonare il funky era stata una specie di ribellione nei confronti della scena musicale fiumana di allora. Nessuno di noi ha mai ascoltato il funky ma era divertente suonarlo. Oggi suoniamo ciò che ci piace, un genere che si avvicina molto di più a quello che ascoltiamo privatamente. Direi che oggi, con i Morso, siamo più fedeli a noi stessi”. - Sembra che i Morso, cioè il complesso rifondato, stiano ri- scuotendo più successo. È vero o è soltanto una mia impressione? “Spero sia così. I Morso, secondo me, sono più maturi e completi, hanno una testa e una coda, per cui è anche più logico l’ottenimento di un maggiore successo. La differenza essenziale è che oggi ci conoscono o almeno hanno sentito parlare di noi, un po’ in tutta la Croazia, ma anche nel resto dei paesi dell’ex Jugoslavia, mentre i TBI erano attivi soltanto a Fiume e in Istria”. - Dove vi esercitate? In un garage suppongo... “Sì, è un classico (risata). In vista di un concerto o una registrazione ci troviamo più spesso, ma generalmente facciamo due prove alla settimana. Cerchiamo di non saltarle e di esserci sempre, perché questo è anche un modo per rilassarci e divertirci. A volte ci ritroviamo a parlare senza alla fine provare nulla. È un’atmosfera sana, senza pressioni”. - Vi occupate soltanto di musica o avete anche un altro lavoro? Andate d’accordo o ci sono anche screzi tra voi? In quanto a musica, intendo. Uscite insieme anche privatamente? “Tutti abbiamo un altro lavoro ma soltanto il mio è legato alla musica siccome suono in due gruppi e inoltre mi occupo di registrazioni e produzioni discografiche nello studio G.I.S. a Castua. Uno dei vantaggi dei Morso è che siamo molto amici. Ci conosciamo da sempre e diciamo che la nostra band si basa principalmente sull’amicizia. Usciamo insieme e anche le nostre fidanzate sono molto amiche. Chissà, forse un giorno anche loro formeranno un gruppo...(risata)”. - Com’è stato suonare come complesso di supporto a Gibonni e agli Hladno pivo? Come si è giunti alla collaborazione con la Città di Fiume? “Dopo il concerto allo Stereo ci sentivamo veramente bene. È stato il nostro primo grande concerto per cui la voglia di andare avanti era forte. Suonare in Corso con due grandi nomi della musica croata è stata di certo un’esperienza importante, anche se noi siamo immersi in una realtà completamente diversa. La collaborazione con la Città di Fiume è arrivata in maniera molto spontanea e, direi, logica. Grazie a Dio la municipalità tiene molto alla scena musica- musica 7 Mercoledì, 25 febbraio 2009 L’alto profilo accademico e scientifico del Pontificio Istituto di Musica Sacra Musicalmente pontificando ROMA - Il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma è un’istituzione accademica e scientifica che insegna le discipline liturgico-musicali sotto il profilo pratico, teorico e storico nei vari aspetti e nelle diverse culture. Promuove la conoscenza e la diffusione del patrimonio tradizionale della musica sacra favorendo altresì le espressioni artistiche adeguate alle odierne culture. Il Pontificio Istituto di Musica Sacra è stato fondato da San Pio X nel 1910 con la denominazione di “Scuola Superiore di Musica Sacra”. La scuola fu aperta il 3 gennaio 1911 e confermata con il breve Expleverunt del 4 novembre dello stesso anno. Il 10 luglio del 1914, con un rescritto della Segreteria di Stato, la Scuola fu dichiarata Pontificia e le fu concessa la facoltà di conferire i gradi accademici. Benedetto XV assegnò come residenza della scuola il palazzo di Sant’Apollinare, trasferendola dalla sede di via del Mascherone (16 ottobre 1914). Pio XI, con il motu proprio Ad musicae sacrae restitutionem (22 novembre 1922) ne diede gli statuti, confermando l’immediata dipendenza dalla Sede Apostolica. Con la costituzione apostolica Deus scientiarum Dominus (24 maggio 1931), la Scuola - denominata Pontificio Istituto di Musica Sacra è stata inclusa tra le università e facoltà pontificie. Pio XII raccomandò vivamente la frequenza dei corsi attraverso una lettera della Segreteria di Stato all’episcopato di tutto il mondo (22 novembre 1953) e nell’enciclica Musicae sacrae disciplina (25 dicembre 1955). Nell’Istruzione sulla Musica Sacra e la Sacra Liturgia del 3 ottobre 1958, la Sacra Congregazione dei Riti ha rilevato la priorità dell’Istituto romano rispetto alle istituzioni similari. Giovanni XXIII, in occasione del 50° anno di fondazione, con la lettera apostolica Iocunda laudatio ne esaltava l’operato e istituiva una sezione di musica per le missioni (8 dicembre 1961). Paolo VI, con Codice della Biblioteca dell’Istituto Pontificio di musica sacra le di Fiume e tenta sempre di dare una spinta alle band fiumane. Suppongo che noi siamo stati la scelta giusta”. - Quali sono i vostri piani futuri? C’è in vista qualche concerto? Forse qualche collaborazione con altri musicisti? Tenterete di sfondare anche all’estero? Se sì, dove e quando. “Il nostro immediato futuro sarà all’insegna dei concerti, allo scopo di promuovere il disco. Le settimane a venire ci vedranno soprattutto in Istria. Inoltre, abbiamo in piano di esibirci alla prossima edizione del Festival ‘Hartera’. Nel frattempo, ci metteremo a lavorare sul nuovo album. Ma tutto questo, per noi, è puro divertimento e grande gioia. In quanto all’estero, per il momento ci stiamo già esibendo nei Paesi dell’ex Jugoslavia, ma più avanti speriamo di ‘conquistare’ anche l’Europa e l’America. In questo momento stiamo trattando per un concerto estivo in America ma saprete tutto per tempo”. - Cosa pensi dell’attuale scena musicale fiumana? Che cosa consiglieresti ai giovani gruppi? L’organo della Sala Accademica il chirografo Nobile subsidium liturgiae (22 novembre 1963) ha istituito la Consociatio Internationalis Musicae Sacrae, la cui segreteria ha sede nell’Istituto e il 10 maggio 1975 ha fondato la Scuola di semiologia gregoriana. Giovanni Paolo II nel 1983 ha assegnato all’Istituto l’intero immobile dell’abbazia di San Girolamo in Urbe, ove, dall’anno accademico 1984-1985, si svolge l’attività didattica e liturgica. Il Pontificio Istituto di Musica Sacra di Roma, in qualità di istituzione accademica e scientifica eretta dalla Sede Apostolica gode di propria personalità giuridica e si regge sulle norme del diritto canonico, su statuti pro“Secondo me Fiume sta vivendo una rinascita della scena musicale. Ci sono sempre più giovani band, i club lavorano, ogni settimana si suona, a volte non c’è che l’imbarazzo della scelta . Per quanto riguarda la qualità, ci sarebbe da discutere ma è importante che la scena si mantenga viva e si sviluppi nel tempo. Soprattutto bisogna tenere aperti i club nei quali si può suonare. La scena musicale fiumana sta dimostrando una nuova forza e la tendenza a diventare grande anche a livello nazionale. Ai complessi giovani consiglierei di non desistere e di darsi sempre da fare perché i risultati non si faranno attendere”. - Infine, qual è il vostro desiderio più grande come band? C’è qualcosa che vorreste ottenere, raggiungere, e che in questo momento vi sembra impossibile? “Vorremmo diventare una formazione importante, anche se per ora questa ci sembra un’utopia. D’altronde, se qualcuno ci avesse detto che un giorno avremmo dato un’intervista al vostro giornale gli avrei detto che la cosa è quanto meno strana. E invece, eccoci qua, a presentarci ai lettori della Voce...”. L’abbazia di San Girolamo, sede dell’Istituto Pontificio di Musica Sacra pri approvati dalla Santa Sede e sulle norme approvate dal Consiglio Accademico; per facoltà della Sede Apostolica, conferisce i gradi accademici di Baccalaureato, Licenza, Magistero e Dottorato. L’Istituto persegue le seguenti finalità: insegnare le discipline liturgico-musicali sotto il profilo pratico, teorico e storico; promuovere la conoscenza e la diffusione del patrimonio tradizionale della musica sacra e favorire espressioni artistiche adeguate alle odierne culture; rendere, per incarico della Chiesa madre di Roma, un servizio alle Chiese locali di tutto il mondo, in vista della formazione dei musicisti di chiesa e dei futuri insegnanti nell’ambito della musica sacra. L’Istituto adempie al suo mandato tramite l’insegnamento delle discipline curriculari, la ricerca e l’analisi storico-estetica, la pubblicazione di opere musicali e scientifiche, l’esecuzione in sede concertistica e liturgica di brani musicali, con l’intento di diffondere il repertorio del passato e del presente. Il Pontificio Istituto di Musica Sacra promuove inoltre lo sviluppo di centri di studio sulla musica sacra sia a livello accademico (Università, Scuole superiori) che pastorale (Scuole diocesane) e l’organizzazione di convegni di studio e corsi di specializzazione e perfezionamento (Master). I CONCERTI DEL PONTIFICIO ISTITUTO DI MUSICA SACRA Sabato 7 Febbraio 2009, ore 18:30 Sala Accademica Violoncello barocco, cembalo, DUO Barbati-Del Sordo Esecuzione integrale delle Sonates op. 50 di Boismortier Sabato 21 Febbraio 2009, ore 18:30 Sala Accademica Canto, pianoforte, DUO Carletti-Meloncelli Chansons e Lieder da Francia, Germania e Polonia Sabato 7 Marzo 2009, ore 18:30 Sala Accademica Organo, Theo Flury Buxtehude, Flury, Eben, Heiller e improvvisazioni dell’esecutore Sabato 14 Marzo 2009, ore 18:30 Sala Accademica CONFERENZA, Cesare Marinacci La musica pianistica di Gabriel Fauré Sabato 21 Marzo 2009, ore 18:30 Sant’Apollinare Coro Polifonico del PIMS Walter Marzilli direttore Opere dei docenti di composizione del PIMS Sabato 28 Marzo 2009, ore 18:30 Sala Accademica CONFERENZA, Mauro Pisini È ancora attuale il rapporto fra musica sacra e latino? 8 musica Mercoledì, 25 febbraio 2009 ANEDDOTI•NOTIZIE•CURIOSITÀ - DEDICATO A JOSEPH HAYDN Nasceva duecento anni fa Joseph Haydn (31 marzo 1732 – Vienna, 31 maggio 1809) da famiglia di modeste condizioni nel villaggio austriaco di Rohrau, vicino al confine ungherese. Suo padre, Mathias, era mastro carraio e per qualche tempo ricoprì l’incarico di Marktrichter (sindaco del villaggio), sua madre era cuoca nel castello dei Conti di Harrach. Mathias Haydn si dilettava a cantare ed a suonare (a orecchio) l’arpa; la famiglia - secondo i ricordi dello stesso Haydn - era “molto musicale”. Il fratello Michael (1737 - 1806) diverrà anche lui compositore di notevole qualità; meno rilevante il talento di un terzo fratello musicista: Johann Evangelist, che diver- che a difendere gli interessi economici dei colleghi. La caccia e la pesca erano i suoi passatempi preferiti. Cattolico fervente, usava vergare Laus Deo o espressioni simili alla fine dei manoscritti, e si dedicava alla preghiera quando le idee musicali stentavano a prendere forma sulla carta. I dipinti che lo ritraggono sono abbastanza discordi tra loro, e l’unica fonte affidabile per avere un’idea dei suoi tratti somatici è la maschera mortuaria in cera conservata nella sua casa-museo di Vienna. Le informazioni certe sul suo aspetto sono poche: basso di statura (probabilmente per la malnutrizione), divenne calvo in età adulta, e portava in viso i segni del vaiolo. Non bello, si Palazzo Esterhazy due violini con sordina, suonati da Haydn stesso e dal primo violino, Alois Luigi Tomasini[2]. Il soggiorno ad Eszterhaza fu infatti più lungo del previsto, e con questo finale il compositore indicava in maniera allusiva al principe il desiderio dei musicisti di ritornare a casa ad Eisenstadt, dov’erano rimaste molte delle loro famiglie. In numero di 126 Trii per baryton, viola e violoncello, vennero composti negli anni 1765/ 1778, ad uso del principe Esterázy, che si dilettava del baryton, uno strumento ad arco in parte simile alla viola da gamba, con doppia fila di corde. Meno impegnativi sul piano compositivo dei Klaviertrios, i trii con baryton vennero stampati, durante la vita di Haydn, solo in piccola parte. Rimangono ancora pochissimo conosciuti dal grande pubblico e poco frequentati nelle sale da concerto e nella discografia. Ritratto di Joseph Haydn rà cantante (tenore). Le capacità musicali di Joseph furono presto riconosciute, e nel 1738 gli venne data la possibilità di studiare a Hainburg an der Donau, presso Johann Matthias Franck, un parente maestro di coro. Così, dall’età di sei anni, Joseph Haydn lasciò per sempre la casa paterna. Joseph Haydn, secondo le testimonianze dei contemporanei, fu un uomo gioviale e ottimista: se ne può avere riscontro nel sense of humour che anima le sue opere e che spesso si esprime in scherzi e sorprese musicali. Alla corte degli Eszterházy era particolarmente rispettato, e creò un clima di lavoro estremamente disteso, contribuendo an- meravigliò molto del successo riscosso a Londra tra il pubblico femminile. La Sinfonia n. 45 in Fa diesis minore, nota anche come “Sinfonia degli addii”, è stata scritta dal compositore austriaco Franz Joseph Haydn nel 1772. È stata composta per il mecenate di Haydn, il principe Nikolaus Esterházy, quando la corte si trovava nella residenza estiva di Eszterhaza. Il primo movimento della Sinfonia n. 85 contiene dei riferimenti a questa’opera. È detta “sinfonia degli addii” perché nell’esecuzione dell’adagio finale i musicisti a turno smisero di suonare, spensero la candela del loro leggio e lasciarono la sala, e l’esecuzione venne portata a conclusione solo da Nel 1766, Haydn fu nominato maestro di cappella degli Esterházy nelle loro varie residenze. Tra le sue mansioni: scrivere nuo- ve composizioni, dirigere l’orchestra di corte, suonare musica da camera per e con i suoi protettori e allestire rappresentazioni liriche. In ogni caso, nonostante l’impegno notevole, Haydn si considerava fortunato, dato che i principi Paul Anton e Nikolaus I erano raf- venne smantellato, e Haydn messo in pensione. Il compositore, ormai non più giovane, si trovò così libero di accettare un’offerta economicamente vantaggiosa, fattagli dall’impresario Johann Peter Salomon: libero dagli impegni di corte, viaggiare in Inghilterra e dirigere sinfonie con una grande orchestra. La musica di Haydn era già conosciuta dal pubblico inglese: la capitale aveva una intensa vita musicale e un mercato editoriale aggiornato e dinamico, ma i due soggiorni inglesi del compositore(1791-1792 e 1794-1795) si tradussero in un successo superiore ad ogni aspettativa. Il pubblico accorreva entusiasta ai suoi concerti. Haydn poté ottenere introiti consistenti, ma anche numerose amicizie, conoscenze e occasioni di vita mondana. Nicola Esterhazy finati intenditori di musica, che apprezzavano il suo lavoro e gli mettevano a disposizione tutto ciò di cui aveva bisogno. Nel 1790, con la morte di Nikolaus I Esterházy, l’ensemble musicale della corte A questo periodo risalgono alcune fra le opere più note di Haydn, anzitutto il suo ultimo gruppo di sinfonie, dette “Londinesi”, dal n. 93 al 104, i sei quartetti op. 71 e 74, diverse sonate per pianoforte e un significativo gruppo di trii con pianoforte. GIRO GIRO TONDO QUANTO SUONA IL MONDO ROMA - Fa tappa a Roma, questa sera lo spettacolo ‘’Aida’’ con le musiche di Elton John e i testi di Tim Rice. Infatti, il tour, dopo essere passato per la Germania e l’Olanda, approda al teatro Italia della Capitale. Lo spettacolo è arricchito dalla partecipazione di un’orchestra dal vivo diretta dal maestro Massimo Modesti, e viene proposto con la traduzione integrale del testo in italiano curata da Susanna Tagliapietra, regista e coordinatrice artistica dello spettacolo. ROMA - La Vienna di Mozart, Haydn e Beethoven è stata nei giorni scorsi protagonista dei concerti nella Sala dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, all’Auditorium Parco della Musica di Roma. La prima parte del concerto, comprendeva due brani dalle tinte scure e dolorose come l’Adagio e Fuga K.546 di Mozart e la Sinfonia n.49 in la minore detta “la Passione” di Haydn, che si contrappongono al sereno, glorioso e luminoso “do maggiore” della Messa op.86 di Beethoven, anticipatrice di quel grande capolavoro che sarà la Missa Solemnis. A guidare l’Orchestra e il Coro dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, il maestro Fabio Luisi, genovese di nascita ma europeo per formazione e cultura, a capo di compagini come la Suisse Romande, i Wiener Symphoniker, Munchner Philharmoniker, Staatskapelle e StaatsOper di Dresda, dove dal 2007 è Direttore Stabile. TORINO - L’italiana in Algeri, dramma giocoso in due atti di Gioachino Rossini, va in scena il prossimo 4 marzo con un nuovo allestimento interamente realizzato dal Regio. Il primo direttore di scena del Teatro Vittorio Borrelli cura la regia di uno dei titoli più fortunati del teatro musicale buffo. Sul podio il Maestro Bruno Campanella, massimo interprete del belcanto e storico direttore dell’orchestra torinese. Le scene sono di Claudia Boasso, responsabile del settore realizzazione allestimenti del Teatro, mentre i costumi sono firmati da Santuzza Calì. Il Coro del Regio sarà diretto dal Maestro Claudio Fenoglio. Le luci sono di Andrea Anfossi. L’opera sarà trasmessa in diretta da Rai Radio3 il 4 marzo. Anno V / n. 36 del 25 febbraio 2009 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ Supplementi a cura di Errol Superina Progetto editoriale di Silvio Forza / Art director: Daria Vlahov Horvat edizione: MUSICA Redattore esecutivo: Patrizia Venucci Merdžo Impaginazione: Annamaria Picco Collaboratori: Helena Labus, Ivana Precetti e Fabio Vidali La scalinata di Palazzo Esterhazy La pubblicazione del presente supplemento viene supportata dall’Unione Italiana grazie alle risorse stanziate dal Governo italiano con la Legge 193/04, in esecuzione al Contratto N° 83 del 14 gennaio 2008, Convezione MAE-UI N° 2724 del 24 novembre 2004