Un`antropologia impegnata in un mondo in crisi

Un’antropologia impegnata
in un mondo in crisi
Campus Luigi Einaudi
Lungo Dora Siena, 100 – Torino
Dipartimento Culture, Politica e Società
Università degli Studi di Torino
III Convegno ANUAC
Pagina 1
Organizzatori e promotori
Comitato Scientifico
Cristina Papa (Presidente ANUAC), Stefano Allovio, Anna Casella Paltrinieri, Adriano Favole,
Vanessa Maher, Barbara Sorgoni, Davide Torsello
Comitato organizzativo
Adriano Favole (coordinamento), Irene Capelli, Carlo Capello, Pietro Cingolani, Carlotta
Colombatto, Marianna Bertolino, Nora De Marchi, Andrea Freddi, Erika Grasso, Javier Gonzaléz
Diéz, Cecilia Pennacini, Lucia Portis, Ana Cristina Vargas, Lia Viola
Collaboratori
Albanese Nicole, Amorese Rossana, Borri Gilberto, Cargnino Miriam, Casetta Monica, Cerni Mauro,
Cetini Irene, Corallo Damiano, Cortese Laura, Frolloni Caterina, Gino Maria Sole, Gosso Elisa,
Grillo Carmen, Napoli Charlotte, Panetta Sara, Pasquarelli Camillo, Periti Giulia, Santangelo Lucia,
Squillace Martina, Ugetti Davide, Viotto Viviana, Cavaliere Claudia
Libro degli abstract a cura di:
Nora Demarchi e Carlotta Colombatto
III Convegno ANUAC
Pagina 2
In collaborazione con:
Università degli Studi di Torino
Con il sostegno di:
Fondazione A.
Fabretti
Associazione Frantz
Fanon
Società per la
cremazione di Torino
Con il patrocinio di:
Città di Torino
INMP
La serata “Congo” si svolgerà presso:
Museo Nazionale del
Cinema
Programme Overwiew
Giovedì 7 novembre
III Convegno ANUAC
Venerdì 8 novembre
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Sabato 9 novembre
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10.00
Saluto del Magnifico Rettore
Aula Magna
Relazione Magistrale
M. Segalen
Pour une réévaluation critique
des concepts analysant les
familles européennes
10.15
Main Hall del CLE
Inizio accoglienza
Aula Magna
Assemblea dei Soci
ANUAC
10.30
10.45
Sessioni parallele
11.00
11.15
11.30
11.45
12.00
C1: Ricomposizioni famigliari,
memoria, trasmissione di
saperi
D2:
Omosessualità,
omogenitorialità, omofobia
E2: Fare il genere
F1: Famiglia e vita quotidiana
F5: La famiglia di fronte alla
morte
12.15
12.30
12.45
13.00
Pranzo al CLE
13.15
13.30
13.45
Aula Magna
Saluti ufficiali
Direttore CPS, Presidente
ANUAC, Presidente INMP,
Assessore Comune di Torino
14.00
14.15
14.30
14.45
Aula Magna
Relazioni Magistrali
F. Remotti
Fare figli, con chi? Famiglia e
antropo-poiesi
15.00
Sessioni parallele
C1: La cura del corpo in
contesti famigliari
D2: Famiglie transnazionali
E2: Fare il genere
F1: Pratiche
e
strategie
economiche in contesti
famigliari
F5: Biografie e memorie
intergenerazionali
15.15
P.G. Solinas
15.30
Genealogia, genetica,
parentela. Tenere le distanze?
15.45
16.00
16.15
16.30
Coffee Break
Sessioni parallele
SL blu grande: Famiglia e vita
quotidiana. Antropologia
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17.00
17.15
Sessioni parallele
C1: Prendersi cura del corpo
D2: Famiglie transnazionali
E2: Problemi e risorse delle
seconde generazioni
F1: Pratiche e strategie
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Aula Magna
Tavola rotonda
Le associazioni di antropologia
in Europa. Quali politiche?
con F. Lafaye, A.M. Rivas, C.
Papa, P. Resta
Aula Magna
Restituzione panels e
discusione
sui temi del convegno
Aperitivo di saluto al CLE
Officine Corsare
Tavola Rotonda
Antropologo: la sfida della
professionalizzazione
a cura della rete nazionale
Antropologia Precaria
Officine Corsare
«Maldigo todo lo cierto»
Epiche della violenza e
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degli oggetti e della
memoria
SL blu piccola: Famiglia,
religioni, culture
SL rossa grande: Antropologia,
storia e morfologia della
famiglia
SL rossa piccola: Famiglia e
conflitti intergenerazionali
B2: Famiglie e violenza
17.30
17.45
economiche in contesti
famigliari
F5: La ridefinizione del genere
in contesti migratori
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La Vetreria
Cena
20.00
Cabiria Caffè
Mole Antonelliana
Cena
20.15
20.30
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21.00
21.15
21.30
Cinema Massimo
Proiezione di Viaggio in
Congo (1912)
Dibattito con C. Pennacini, S.
Allovio, D. Demolin, R.
Beneduce, L. Jourdan
21.45
22.00
Plenarie
Sessioni parallele
Pasti/coffee break
Pause/momenti liberi
Eventi collaterali
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poetiche della memoria in Cile.
Un dialogo tra antropologia,
letteratura e musica
con A. Melis, R. Beneduce, A.
Carreño-Calderon, F. Dei.
Canta L. Lorenzini.
Officine Corsare
Aperitivo
III Convegno ANUAC
Pagina 6
Libro degli abstract, elenco delle sessioni
parallele
Famiglia e vita quotidiana. Antropologia degli oggetti e
della memoria
III Convegno ANUAC
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Giovedì 7, ore 17-19.45
Sala lauree blu (grande)
Fabio Dei (Università di Pisa) e Matteo Aria (Università di Roma “La Sapienza”)
La densità degli oggetti: cultura materiale domestica e relazioni familiari
Questo intervento discute alcuni risultati di una ricerca sugli oggetti ordinari in abitazioni di
famiglie di ceto medio, condotta tra il 2010 e il 2012 in alcune città toscane tramite il metodo del
videotour. In particolare, intendiamo mettere a fuoco alcune categorie peculiari di oggetti che
presentano alti gradi di “densità”. Riprendiamo il concetto di densità dai lavori di Annette Weiner,
che lo utilizza come variante della nozione di “inalienabilità”. Oggetti inalienabili o densi sono
quelli che non circolano né come merci né come doni (o perlomeno mostrano una resistenza ad
entrare nei comuni circuiti di scambio): nella visione di Weiner o Godelier, essi rappresentano l’unità
e la profondità storica del gruppo sociale, possiedono un certo grado di sacralità e sono circondati da
miti di acquisizione e forme di custodia e trattamento rituale. Nelle famiglie contemporanee vi sono
diverse tipologie di oggetti che rispondono a queste caratteristiche – sia pure in assenza di uno statuto
esplicitamente assegnato dagli attori sociali. Si tratta da un lato di oggetti ereditati che segnalano le
relazioni di “lignaggio” della famiglia e la continuità tra passato, presente e futuro (soprattutto
mobili, quadri, gioielli e oggetti di un certo valore). Dall’altro lato, siamo di fronte a una varietà di
oggetti (non necessariamente, anzi raramente, di valore economico) utilizzati per costruire una
memoria culturale della famiglia. Si tratta di raccolte fotografiche, souvenir, oggetti d’affezione,
collezioni, giochi dell’infanzia. Laddove la teoria classica (J. Assman) presenta la famiglia come il
luogo più tipico della memoria genealogica o comunicativa, nel nostro caso ci troviamo invece di
fronte a complesse costruzioni di memoria culturale volte a consolidare e offrire continuità a
relazioni che appaiono invece sempre più fragili sul piano strettamente sociologico.
Riferimenti bibliografici:
F. Dei, S. Bernardi, P. Meloni, a cura di, La materia del quotidiano. Per un’antropologia degli oggetti
ordinari, Pisa, Pacini, 2011.
F. Dei, “Oggetti domestici e stili familiari”, Etnografia e ricerca qualitativa, 2, 2009, pp. 279-293
F. Dei, S. Bernardi, “Gruppo di famiglia in un interno. Le fotografie nella cultura materiale
domestica”, Studi culturali, 8 (2), 2011, pp. 255-73.
M. Aria, F. Dei, a cura di, Culture del dono, Roma, Meltemi, 2008
Lia Giancristofaro (Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara)
La mamma mi ha fatto la maglia col coccodrillo. Artefatti simbolici ed esperienza del dono in
famiglia
La cultura tradizional-popolare è in feconda relazione col mondo tecnologico e globale (Bausinger
2005). Il folklore, anziché venire distrutto dal progresso tecnologico, economico e sociale, si adegua
e si ricostituisce costantemente attorno al processo di modernizzazione. La modernità in effetti
consiste in un movimento di “espansione” degli orizzonti esistenziali, sul piano spaziale, temporale e
sociologico. Laddove il modello classico degli studi confina il folklore al villaggio, alla trasmissione
orale e ad un delimitato status sociale dei soggetti agenti, attraverso la modernizzazione questi
confini si dissolvono, ma resta operante il meccanismo della creazione culturale, che da questa
accresciuta disponibilità di risorse plasma mondi comunque “addomesticati” dal localismo, per cui
nel mondo globale la gente continua a vivere per lo più in mondi locali, in “patrie culturali” (De
Martino, 1977; Geertz 1999) che sottolineano l’autonomia del piano culturale e il ruolo cruciale delle
III Convegno ANUAC
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differenze, al contrario degli indirizzi che si focalizzano invece sulle dinamiche universaliste e
omologanti del sistema mercantile (despondency theories). La presente ricerca analizza sotto questo
vertice interpretativo una etnografia su alcune espressioni di bricolage che si manifestano nella vita
quotidiana, che sono riconducibili alla cura del corpo, che appartengono a costanti culturali
dell’alimentazione e dell’abbigliamento (conserve, erbe officinali, acque sorgive, recipienti, abiti,
ornamenti) e che infine vengono scambiate nell’ambito del circuito del dono. Le espressioni di
bricolage prese in esame sono state interpretate e documentate nel corso di una indagine non
espressamente condotta ma comunque condivisa presso comunità familiari italiane translocali nel
corso degli anni 1983-2013. Si ipotizza che nella famiglia intesa come quotidianità informale dei
rapporti viva l’esperienza più consistente della creatività culturale: in tal senso, la condivisione del
bricolage e del dono rappresenta un imponente spazio di libertà nella comunicazione interpersonale e
simbolica.
Riferimenti bibliografici:
Giancristofaro, L., Tomato Day. Il rituale della salsa di pomodoro, Milano, Franco Angeli, 2012.
Giancristofaro, L., Appunti “oltre il folkore”. Dalla oralità alla neo-oralità in network, in “Lares”,
LXXV (2010), 2, pp. 175-187.
Giancristofaro, L., Abitare al tempo della crisi: l’autoproduzione nei quartieri ATER di Lanciano,
“Journal of Social Hausing”, Biannual Review, II (2011), 2, pp. 35-56.
Franco Lai (Università di Sassari)
Retromania e technovintage: i media e gli oggetti del passato nella vita quotidiana
Numerose pratiche di consumo nella vita sociale contemporanea fanno pensare a forme di
“retromania” che si nutrono di oggetti, immagini e musiche del recente passato.
Nelle abitazioni e nei consumi è ormai evidente, insieme agli oggetti del passato contadino di origine
artigiana, anche la presenza di una serie di oggetti appartententi alla tipologia del “vintage” e del
“techno vintage”. Si tratta di oggetti delle tecnologie della comunicazione sia di acquisiti per via
ereditaria sia acquistati sul mercato dell’usato o in negozi o siti web specializzati.
Oggetti, immagini e musiche del recente passato che hanno avuto un ruolo nella vita quotidiana;
oggi, invece, hanno il compito di trasmettere la memoria (e la nostalgia) familiare e del passato.
L’innovazione tecnologica ha reso obsoleti numerosi strumenti della comunicazione tecnologica.
Tuttavia, questi vivono una loro nuova vita sociale come oggetti di memoria oppure da esposizione
per il loro pregio estetico e per il design. Non sono più strumenti tecnologici ma oggetti da esporre in
abitazioni, negozi, studi professionali.
Da un lato i media (cinema, TV, giornali, ecc.) creano e danno impulso a queste forme di consumo,
da un altro è nella stessa sensibilità contemporanea che si è sviluppata la nostalgia per il recente
passato, quello degli anni Cinquanta e Sessanta, e persino dei Settanta, come gli anni dell’infanzia (e
della nostalgia). Immagini, musiche e oggetti dell’industria culturale di massa diventano
testimonianze di un’epoca che non c’è più ma alla quale, spesso, si attribuisce il senso di una cesura
epocale (vedi la retorica sui “favolosi” anni Sessanta).
Si tratta quindi di pratiche di consumo culturale che si sviluppano all’intersezione di quelle che Ulf
Hannerz ha definito le “cornici” della vita sociale, in particolare del mercato, del movimento e della
“forma-di-vita”.
Carlotta Colombatto (Università degli Studi di Torino)
La “devoluzione” degli oggetti: da eredità a patrimonio
L’intervento proposto intende soffermarsi su alcune riflessioni emerse durante la
ricerca di campo condotta nell’ambito del dottorato in Scienze antropologiche. In
particolare, l’analisi dei musei etnografici piemontesi da me svolta finora ha
III Convegno ANUAC
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messo in luce la presenza di collezioni composte in misura preponderante da
oggetti riconducibili al mondo contadino locale, in passato trasmessi all’interno
delle famiglie.
Alcuni studi storici condotti in Italia (D. Owen Hughes, G. Delille), sottolineano
come le forme di ereditarietà della terra e dei beni in contesto familiare fossero
legati a un particolare sistema economico e a determinate forme di sfruttamento
del territorio. Le modifiche nell’apparato produttivo avrebbero quindi comportato
delle variazioni anche nella devoluzione di manufatti tra parenti. La ricerca di
campo da me svolta ha riscontrato la presenza di dinamiche analoghe nel
Piemonte della seconda metà del Novecento, quando il cosiddetto “boom”
economico ha determinato un rapido abbandono delle campagne e dello stile di
vita contadino. Allo stesso tempo, i manufatti strettamente connessi al mondo
rurale e ad alcune attività produttive considerate tradizionali, non vennero più
trasmessi agli eredi. Molti di questi oggetti sono confluiti nei musei etnografici
presenti oggi sul territorio, sebbene con modalità di acquisizione che sono
variate nel corso del tempo.
I manufatti riconducibili al mondo contadino sembrano aver sviluppato una
biografia culturale (I. Kopytoff) determinata dalle trasformazioni di significato
che essi hanno assunto per le persone con le quali sono entrati in contatto. Da
oggetto di uso quotidiano a rifiuto, essi si sono trasformati in beni inalienabili al
centro di pratiche di patrimonializzazione. La biografia di questi manufatti
sembra essere scandita dalla nozione di “trasmissione”, una modalità di
devoluzione attuata però da soggetti (e in momenti) diversi: all’interno della
famiglia in modo diacronico, all’interno del gruppo sociale per il tramite del
museo etnografico in modo sincronico. L’intervento proposto al convegno
vorrebbe quindi soffermarsi sulle tematiche illustrate, analizzando e
problematizzando, allo stesso tempo, le nozioni di “famiglia contadina
piemontese”, “oggetti d’uso rurale”, “trasmissibilità”.
Riferimenti bibliografici:
Appadurai A., “The social life of things. Commodities in cultural perspective”,
Cambridge University Press, Cambridge, 1986.
Bernardi S., Dei F., Meloni P., “La materia del quotidiano. Per un’antropologia
degli oggetti ordinari”, Pacini, Pisa, 2011.
Debary O., Turgeon L. (a cura di), “Objets & Mémoires”, éditions de la Maison des
sciences de l’homme, Parigi, 2007.
Delille G., “Famiglia e proprietà nel regno di Napoli”, Einaudi, Torino, 1988.
Malanima P., “Il lusso dei contadini. Consumi e industrie nelle campagne toscane
del Sei e Settecento”, Il Mulino, Bologna, 1990.
Solinas P.G., “Gli oggetti esemplari. I documenti di cultura materiale in
antropologia”, Editori del Grifo, Montepulciano, 1989.
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Venerdì 8, ore 10.45-12.45
Aula F1
Eugenio Imbriani (Università del Salento)
La vita privata delle cose. Un delitto d’onore
Nella letteratura filosofica e antropologica ricorrono le avvertenze a considerare le cose come nodi
relazionali, depositi di significato, che possono muovere affetti, ricordi. In questa sede desidero
considerare quegli oggetti destinati a una esistenza riservata e raccolta, in ambito domestico, e in
qualche modo tesaurizzati, negati all’uso, demercificati: il corredo intatto, per esempio, o il servizio
buono, vecchie fotografie, antichi merletti e monili richiamano e preservano legami con il passato,
con i familiari che non ci sono più, e dilatano il presente in modo che possa comprendere, attraverso
la narrazione, le storie accadute anche molti anni fa. Chi sceglie di ricordare e di raccontare seleziona
altresì le vicende e i protagonisti che ritiene più interessanti, educa e rivela il proprio gusto e le
proprie passioni, traccia i motivi di una vicinanza e di una appartenenza, sceglie e respinge i propri
antenati. Nel corso di una conversazione su questi temi, una signora, mostrandomi cose di famiglia a
lei care, mi ha raccontato la storia tremenda di un delitto d’onore, consumato da un suo parente, circa
un secolo fa, in un paese della Puglia meridionale, come in un romanzo, in piazza, nel bel mezzo
della festa patronale.
Caterina Di Pasquale (Università degli Studi di Firenze)
Ricette di famiglia: la trasmissione delle pratiche culinarie e la costruzione delle identità
familiari”
L'esperienza culinaria è parte integrante del processo culturale di “apprendistato” cui gli individui appartenenti a comunità affettive definite e circoscritte - sono soggetti fin dalla nascita. Guardare,
assaggiare, partecipare alla preparazione dei cibi, seppur con funzioni secondarie, significa
incorporare saperi e tecniche, gusti e valori, pratiche e abitudini. Infatti condividere la banalità di un
pasto, dall'approvvigionamento al consumo, nei tempi quotidiani e in quelli festivi, vuol dire
appropriarsi di memorie pronte a tradursi in narrazioni, ma anche in sensazioni e procedure, spesso
automatiche e inconsapevoli.
Attraverso l'analisi dei documenti etnografici, rilevati in Sardegna e in Toscana, durante ricerche
differenti, ma egualmente finalizzate alla interpretazione dei legami tra cibo, memoria autobiografica
e habitus; l'intervento offre una riflessione sul passaggio dalla 'cucina subita' alla 'cucina agita' e sulla
trasmissione generazionale dei saperi e delle pratiche culinarie. L'obiettivo è interpretare il ruolo del
cibo come “dispositivo identitario” e descrivere il modo in cui le ricette agiscono per garantire la
continuità simbolica del gruppo famiglia nel tempo e al di là dei cambiamenti negli stili di vita.
III Convegno ANUAC
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Sabina Giorgi, Alessandra Talamo e Barbara Mellini (Università di Roma “La Sapienza”)
Il valore degli oggetti nelle case degli anziani: allestimenti domestici per creare presenza
In case sempre più svuotate di presenze reali, come quelle dei partecipanti alla
ricerca di età superiore ai 66 anni coinvolti nello studio qui presentato, gli
oggetti – selezionati e assemblati a costituire allestimenti intimi negli spazi
domestici – vengono attivamente utilizzati per costruire presenza (Giorgi,
Bannon, Talamo, Mellini, in preparazione). Attraverso lo sguardo della
prospettiva etnografica e l’uso di specifici strumenti conoscitivi quali tour guidati
(e videoregistrati) delle abitazioni (Giorgi, Fasulo, 2008; Pontecorvo, Giorgi,
Monaco, 2009), lo studio intende mettere in luce i modi in cui i partecipanti alla
ricerca interagiscono con gli spazi domestici e gli oggetti, costruendo relazioni
con altri significativi che non condividono concretamente la loro quotidianità. In
una fase di vita dove l’esperienza dell’assenza è centrale, non solo la casa
diventa una mappa emozionale sensibile da ricostruire (Cristoforetti et al.,
2011), ma in essa gli allestimenti domestici e gli oggetti di cui sono composti
vengono utilizzati per “trasportare” e materializzare presenze. Ne costituiscono
un esempio significativo gli “altarini” domestici che, pur rispondendo ad una
condivisa “grammatica dell’esposizione memoriale” (Bernardi, Dei, 2011, p. 8),
raccontano di relazioni uniche. L’effetto è quello di potenziare l’esperienza
emozionale della casa e di rafforzare, allo stesso tempo, il proprio sentimento di
presenza, inteso come sentimento dell’esistenza dell’individuo all’interno di un
certo ambiente, come un “essere-nel-mondo” (Heidegger, 1976), ma
sottolineandone la dimensione interattiva che, nel caso specifico, coinvolge gli
oggetti al pari di altri significativi.
Riferimenti bibliografici:
Cristoforetti, A., Gennai, F., & Rodeschini, G. (2011). Home sweet home: The
emotional construction of places. Journal of Aging Studies, 25, 225-232.
Bernardi, S., & Dei, F. (2011). Gruppo di famiglia in un interno: le fotografie nella
cultura materiale domestica. Studi Culturali, VIII, 2, 1-19.
Giorgi, S., & Fasulo, A. (2008). I luoghi che raccontano/racconto dei luoghi: spazi
ed oggetti domestici tra biografia e cultura. AM. Antropologia Museale, 19,
37-47.
Giorgi, S., Bannon, L., Talamo, A., & Mellini, B. (in preparazione). Building
“Presences” in the Older People’s Homes: a Necessary Prelude for Appropriate
Design.
Heidegger, M. (1976). Essere e tempo. Milano: Longanesi & C. [ed. or. Sein und
Zeit, 1927].
Pontecorvo, C., Giorgi, S., & Monaco, C. (2009). Raccontare i luoghi familiari. In
L. Fruggeri (Ed.) Osservare le famiglie. Metodi e tecniche (pp. 139-169). Roma:
Carocci.
Rowles, G., & Chaudhury, H. (2005) (Eds.). Home and Identity in Later Life:
International Perspective. New York: Springer.
Pietro Meloni (Università degli Studi di Siena)
Piccoli patrimoni domestici
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Negli studi antropologici degli ultimi vent’anni, almeno per quanto riguarda
l’antropologia inglese e francese, gli oggetti ordinari della vita quotidiana hanno
assunto una particolare rilevanza dal punto di vista etnografico; e la casa, lo
spazio domestico vissuto nelle pratiche degli attori sociali, è divenuto un
fieldwork sempre più frequentato.
Il mio intervento propone una riflessione su una ricerca condotta nel senese
sulle pratiche di consumo, di domesticazione e di trasmissione degli oggetti
all’interno dei nuclei familiari. Nella mia indagine etnografica, utilizzando come
metodologia di ricerca lo shadowing, la frequentazione aperta e l’intervista
discorsiva, insieme ad alcuni spunti metodologici derivati dalla museografia,
dagli studi sul patrimonio e dalla semiotica, ho cercato di fornire un quadro di
quell’appaesamento che le persone operano per cercare di costruire coordinate
oggettuali domestiche e familiari nelle quali orientarsi; dando senso ai luoghi e
alle cose di cui si circondano, trasformandole in “piccoli patrimoni”, ossia in beni
inalienabili che possiedono una profondità “memoriale” tale da radicarli nella
storia delle generazioni familiari e trasformarli in contenitori simbolici, in
testimoni di storie di vita, in portatori di biografie culturali.
Riferimenti bibliografici:
Meloni P., I modi giusti. Cultura materiale e pratiche di consumo nella provincia
toscana contemporanea, Pisa, Pacini, 2011.
Bernardi S., Dei F., Meloni P., La materia del quotidiano. Per un’antropologia degli
oggetti ordinari, Pisa, Pacini, 2011.
III Convegno ANUAC
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Famiglia, religioni, culture
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Sala lauree blu (piccola)
Anna Casella Paltrinieri (Università Cattolica Milano)
Titolo: Famiglia tra appartenenza religiosa e modelli culturali
Numerosi studi e documenti stanno oggi mettendo in risalto i radicali mutamenti che interessano la
famiglia. Questi studi dimostrano come stiano emergendo modelli nuovi, inedite variazioni del
rapporto sentimentale e matrimoniale, sensibilità differenti in relazione alla costruzione del genere e
alla relazione tra i sessi (Puccini, 2009). Famiglie ricomposte, famiglie di fatto, famiglie
omoparentali, hanno visto un sostanziale aumento anche in Italia. Una mentalità nuova sta
emergendo anche in relazione alla maternità/paternità (Héritier, 2004).
L'antropologia culturale, da parte sua, ha da tempo avviato un processo di decostruzione di concetti
fondanti, mettendo in discussione quei modelli interpretativi che pensano la famiglia entro la cornice
dei bisogni fondamentali dell'uomo (come il funzionalismo) o entro lo schema della relazione sociale
(modello strutturalista). Il concetto stesso di “naturalità” della famiglia viene oggi ritenuto inadatto o,
addirittura, falso (Remotti, 2008), così come quello della naturalità del genere, inteso piuttosto come
un dato culturale ed espressivo (Butler, 1993)
Le trasformazioni della famiglia e del legame matrimoniale, le nuove sensibilità in relazione a temi
come l'omosessualità, la fecondità, riguardano in Italia, anche il mondo cattolico (Simeone, 2011).
Una buona parte della componente della popolazione italiana che si riferisce all'orizzonte valoriale
cattolico pare avere pratiche diverse da quelle che sono considerate coerenti con l'appartenenza
confessionale. D'altro canto, come già ricordato, le acquisizioni della scienza antropologica sembrano
sfidare apertamente il pensiero cattolico tradizionale nonché la sua filosofia di riferimento. La
comunicazione vorrebbe indagare il rapporto tra composizione della famiglia, comportamenti in
ordine alla relazione sentimentale e alla maternità/paternità e appartenenza religiosa cattolica,
cercando di cogliere gli eventuali mutamenti di mentalità sottintesi, nonché le “narrazioni” che, a tale
riguardo, vengono proposte.
Javier Gonzàlez Díez (Università degli Studi di Torino)
Parentele fittizie e movimenti religiosi: il caso del bwiti fang del Gabon
Il contributo intende esplorare il fenomeno denominato parentela fittizia – o, a seconda degli autori,
degli studi e dei casi, anche pseudo-parentela, parentela spirituale, simbolica o rituale – a partire dalle
mie ricerche storiche ed etnografiche sul culto bwiti dei fang del Gabon. Dallo studio dei sistemi di
parentela fittizia emergono numerosi interrogativi e problematiche di ordine generale che hanno
ricadute dirette sullo studio della parentela in generale, in quanto mettono in evidenza aspetti quali la
sua origine e funzione, il contenuto dei rapporti che la compongono e, infine, le problematiche legate
a una sua definizione.
La creazione di parenti al di là dei confini della parentela è un fenomeno riscontrato in molte culture
ma che è stato fino ad ora studiato dagli antropologi in maniera molto frammentaria. Esso può
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manifestarsi a diversi livelli, che vanno dall’inclusione di non-parenti in un determinato sistema di
lignaggio già esistente, alla creazione di sistemi che replicano la sua organizzazione e funzionamento,
distinguendosi però nettamente, se non addirittura opponendosi a essa.
Il caso del bwiti fang è esemplificativo. Nato fra gli tsogho del Gabon centrale, si diffonde dagli anni
Venti del XX secolo fra i fang del settentrione, diventando un movimento religioso di massa con
elementi cristiani e anti-stregoneschi e con una tendenza sovversiva rispetto al potere tradizionale dei
capi del lignaggio. Tuttavia, pur opponendosi al sistema di parentela, il bwiti ne assume la struttura:
attraverso un’analisi comparativa del sistema di lignaggio fang e del sistema bwitista, è possibile
evidenziare come le figure di autorità, le relazioni di potere e le modalità organizzative dell’uno si
replichino nell’altro. Un’ulteriore analisi dei rituali, in particolare legati all’iniziazione, denota il
bwiti come vero e proprio sistema di classificazione e organizzazione dei rapporti, allo stesso tempo
alternativo e speculare al sistema di lignaggio.
Francesca Sbardella (Università di Bologna)
Famiglia monastica: strategie aggregative di isolamento
Partendo da una esperienza partecipativa in due monasteri carmelitani francesi, intendo interrogarmi
sul ruolo dei modelli di autorità nella costruzione di gruppi che si presentano come autonomi e
discontinui rispetto alla realtà sociale circostante. L’introiezione dei modelli di autorità è uno dei
problemi centrali della totalizzazione del gruppo (D’Haenens). L’esperienza monastica è di solito
letta come una variante delle strategie aggregative e comunitarie, caratterizzata dall’isolamento e
dall’assenza di voce. Interessante notare che, se da una parte la famiglia, che possiamo riconoscere
come uno dei più forti modelli di autorità, è vista come una situazione sociale diversa dalla vita
monastica e ad essa alternativa, dall’altra – e ciononostante – è funzionale all’introiezione, da parte
dei religiosi stessi, del modello religioso alternativo che intendono riprodurre. Ci troviamo davanti ad
una situazione contraddittoria: se da una parte il modello di famiglia, seppur negata a livello di scelta
e seppur non realizzata a livello di coabitazione effettiva quotidiana, dall’altra rientra in gioco come
elemento simbolico essenziale per la costruzione della realtà monacale e soprattutto per il suo
mantenimento. Rende più accettabile e comprensibile la normativizzazione, basata a sua volta
sull’autorità, traducendola in stabilità affettiva e consuetudinaria e offrendo soprattutto un legame,
diversamente proibito, con la vita precedente e la famiglia di origine. Sulla base delle costituzioni, la
categoria di famiglia, nonostante la non rispondenza effettiva, è utilizzata come giustificativo o
enfatizzante di alcuni comportamenti. Funge da strumento interpretativo della coesione e della
solidità del gruppo stesso, che in quella categoria sembra rileggere, all’interno di un quadro
naturalizzante, e quindi legittimante, la propria forza sovversiva.
Luisa Faldini (Università di Genova)
Famiglie spirituali e questione di genere nel candomblé brasiliano
Nel candomblé, gli iniziati costituiscono una famiglia legata da vincoli spirituali (familia-de-santo),
che prevede soltanto il rapporto genitore-figli. Il/La sacerdote/essa è pater/mater mentre i figli (cioè
gli iniziati) si susseguono in generazioni che vengono contate una dopo l’altra in base alla
costituzione dei gruppi iniziatici. Non vi sono legami collaterali di parentela spirituale, tenuto conto
che eventuali unioni sessuali o matrimoniali all’interno della familia-de-santo vengono viste come
rapporti incestuosi.
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A questo tipo di famiglia soltanto verticale si sovrappone l’attribuzione di genere, che da un lato, ai
fini dei comportamenti attesi nei rituali, prende in considerazione il sesso fissato al momento della
nascita, ma che, al momento della determinazione dell’ingresso nella comunità attraverso
l’iniziazione, attribuisce simbolicamente il genere femminile – maschio o femmina che sia - a chi ha
accesso alla possessione e alla funzione sacerdotale (iyawò), e il genere maschile - maschio o
femmina che sia - a chi (ogãs e ekedes) non manifestila propensione verso questo stato alterato di
coscienza.
Questa struttura di genere non prende in considerazione le scelte sessuali degli individui, che
vengono attribuiti al genere maschile o femminile indipendentemente dal fatto che siano etero- o
omosessuali, nel senso che al genere femminile (leggi: chi ha la possessione) viene attribuito il potere
generativo – siano essi maschi, femmine, queers, singles o coniugati, mentre il genere maschile
(leggi: chi non ha la possessione) viene ritenuto sterile.
Tali attribuzioni si intrecciano fortemente con le possibilità di mobilità sociale derivante dalla
costruzione di famiglie spirituali, un fattore che porta un numero estremamente elevato di queers a
partecipare di questa religione.
Nell'intervento si cercherà di discutere alcuni di questi aspetti, in base ai dati di campo di una ricerca
attualmente iniziale, effettuata in una serie di terreiros brasiliani, portoghesi e italiani, mettendo in
luce come i singoli individui prendano coscienza di una attribuzione di genere non reale solo al loro
ingresso nella religione.
Riferimenti bibliografici:
Baccini O., 2006, Corpo, anima, identità. La figura dell’oga nel candombléketo. Genova, Ecig.
Birman P., 1995, Fazerestilocriandogêneros: Possessão e diferenças de gêneroemterreiros de
umbanda e candomblé no Rio de Janeiro, UERJ/RelumeDumará.
Cornwall A. and Lindisfarne N.,Eds., 1994, Dislocating masculinity. Comparative Ethnographies,
London, Routledge.
Faldini L.,2009, Biylù/È nato per la vita. Creazione dello spazio e della persona in un candomblé di
Juquitiba, Roma, Cisu.
Nanda S., 2000, Gender Diversity. Crosscultural variations, Long Grove (ill.), Waveland Press.
Laura Ferrero (Università degli Studi di Torino)
Partecipazione femminile in moschea: la duplice esperienza di una moschea torinese
Dalle origini della migrazione egiziana ad oggi, il pattern migratorio è rimasto invariato dal punto di
vista del genere: la migrazione egiziana rimane caratterizzata da un movimento di uomini,
eventualmente raggiunti in seguito da moglie e figli. Di conseguenza, nella letteratura sulla
migrazione egiziana le donne sono assenti o descritte come soggetti che si muovono a seguito della
famiglia, allʼinterno della quale si esaurirebbe il loro ruolo sociale in migrazione. Questa immagine
rispecchia in parte la realtà, ma lascia in ombra zone di azione che possono essere rilevanti sia in
chiave intergenerazionale che in chiave di genere.
Lʼintervento si concentrerà sullʼanalisi della partecipazione delle donne egiziane in una moschea
torinese, in cui la parte femminile è luogo di organizzazione di diverse attività, gestite da due gruppi
di donne e destinate sia ai bambini sia alle donne stesse. La letteratura ha già discusso il ruolo sociale
che i contesti religiosi possono rivestire per i migranti: le comunità religiose possono rappresentare
sia un elemento di continuità col paese di origine e di differenziazione rispetto al nuovo contesto
culturale, sia spazi per percorsi di integrazione e di visibilità nello spazio pubblico.
Partendo da questa premessa, mi propongo di indagare le attività femminili della moschea in
questione per mostrare come questo spazio non venga interpretato in modo omogeneo dalle persone
che lo frequentano. Descriverò lʼattività svolta dai due gruppi, sottolineandone i punti di contatti e le
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differenze: nonostante i due gruppi condividano spazi e parte dei membri, essi si pongono obiettivi,
modalità di azione e di relazione con lʼesterno diversi. Si concentrerà infine l ʼattenzione sulle due
attività come forme di agency e di partecipazione che non vanno lette allʼinterno della dicotomia
“moderno vs tradizionale”, ma interpretate in base allʼesperienza migratoria e alle pratiche religiose
precedenti la migrazione.
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Antropologia, storia e morfologia della famiglia
Giovedì 7, ore 17-19.45
Sala rossa (grande)
Pier Paolo Viazzo (Università degli Studi di Torino)
Le “nuove forme di famiglia” in Italia e nel Mediterraneo tra convergenze morfologiche e
persistenze culturali
A partire dalla metà del XX secolo la famiglia ha conosciuto in Italia, così come negli altri paesi
sud-europei, dapprima un evidente processo di “nuclearizzazione” (caratterizzato da un peso
decrescente della coresidenza tra parenti) e poi una serie di metamorfosi in buona parte legate alla
declinante centralità del matrimonio (Rosina, Fraboni 2004). Trasformazioni per più versi analoghe
iniziano ora a manifestarsi anche sulla sponda sud del Mediterraneo (Engelen, Puschmann 2011).
Queste tendenze sono state da alcuni interpretate come prova di una progressiva convergenza verso
modelli nord-europei, come previsto dalla teoria della modernizzazione e più recentemente dalla
teoria della seconda transizione demografica. Le risultanze di un buon numero di studi
principalmente sociologici, ma anche antropologici, condotti negli ultimi quindici anni suggeriscono
tuttavia che differenze considerevoli, e addirittura tendenze divergenti, sono individuabili quando si
considerino non solo e non tanto le “nuove forme” di famiglia, quanto piuttosto la forza dei legami di
parentela quale si esprime sia a livello di comportamenti (spesso misurabili: contatti, aiuti,
trasferimenti di risorse intergenerazionali) sia a livello di obblighi morali soggiacenti (Reher 1998;
Viazzo 2010, 2013). Questo intervento si propone di fare il punto sul dibattito tra sostenitori della
convergenza (e discontinuità) da una parte e di una persistente diversità dall’altra, e di indicare quali
apporti possano e debbano venire dall’indagine e dalla riflessione antropologica. Si esploreranno, in
prospettiva antropologica, sia questi due scenari alternativi sia altri scenari meno attesi fino a qualche
tempo fa, ma che si stanno ora delineando in considerazione dei prevedibili effetti combinati della
crisi economica, del massiccio processo di invecchiamento demografico e della contrazione del
welfare state non solo in Italia e nei paesi mediterranei ma anche nel nord Europa.
Riferimenti bibliografici
Engelen T., Puschmann P. (2011), “How unique is the Western European marriage pattern? A
comparison of nuptiality in historical Europe and the contemporary Arab world’, The History of the
Family, 16, pp. 387-400.
Reher D.S. (1998), “Family ties in Western Europe: persistent contrasts”. Population and
Development Review, 24, pp. 203-234.
Rosina A., Fraboni R. (2004), “Is marriage losing its centrality in Italy?”, Demographic Research, 11,
pp. 149-172.
Viazzo P.P. (2010), “Family, kinship and welfare provision in Europe, past and present:
commonalities and divergences”. Continuity and Change, 25, pp. 137-159.
Viazzo P.P. (2013), “Longevity, institutional context and family values in Southern Europe”, in
Ageing in the Mediterranean, a cura di J. Troisi e H.-J. von Kondratowitz, Bristol, Policy Press.
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Alberto Castaldini (Università di Bucarest)
Famiglia e geno-poiesi nel nazionalsocialismo
Il regime nazionalsocialista (1933-45) volle tutelare e promuovere attraverso la
creazione di nuovi nuclei famigliari la conservazione dell’eredità biologica della
nazione, allo scopo di preservare e raffinare ossessivamente l’identità e la
purezza della cosiddetta Blutsgemeinschaft, la “comunità di sangue” nella quale
identificare l’entità politica e culturale del Volk, uno dei tre pilastri della biocrazia
hitleriana.
La nuova famiglia tedesca, trasposizione di antiche strutture di parentela riviste
alla luce delle moderne conoscenze eugenetiche e demografiche, fu chiamata a
garantire la perpetuazione della Sippe (clan, o meglio: “comunità parentale”),
perché l’unione tra due membri del popolo “di sangue affine” (“artverwandtes
Blut”) avrebbe comportato la fusione di differenti Sippe, e conseguentemente
creato un nuovo Stamm (ceppo, tribù), simile per principio e modalità costitutiva
a quello di provenienza di ciascuno dei coniugi. Nella famiglia generatrice di
futuri legami di parentela sarebbero stati condivisi i cosiddetti Urahnen (avi
primordiali), eponimi del sangue, fondatori di questo e di altri innumerevoli
lignaggi, garanti del complesso intreccio di parentele alla base del neonato
“Stato razziale”.
In pieno XX secolo risultava così manipolato e svilito il valore della memoria
famigliare e il significato autentico della relazione tra le generazioni. Il nazismo,
che Francesco Remotti ha efficacemente definito una “antropologia in azione”,
oltre a “foggiare” un’umanità nuova (antropo-poiesi), ridefinì così i vincoli di
parentela (geno-poiesi). In tal modo il genos perdendo il suo “antico primato
simbolico” assumeva la natura di un “simbolo fittizio” (Carlo Tullio-Altan) al
servizio di un regime che in nome di un immaginario vitalismo ancestrale
perseguì una sistematica politica di morte.
Riferimenti bibliografici:
A. Castaldini, L’ipotesi mimetica. Contributo a una antropologia dell’ebraismo,
Firenze, Olschki, 2001.
M. Burleigh, W. Wippermann, Lo Stato razziale. Germania 1933-1945, Milano,
Rizzoli, 1992 (ed. orig. The Racial State, Germany 1933-1945, New York,
Cambridge University, 1991).
É. Conte, C. Essner, Culti di sangue. Antropologia del nazismo, Roma, Carocci,
2000 (ed. orig. La Quête de la race, une anthropologie du nazisme, Paris,
Hachette, 1995).
L. Pine, Nazi Family Policy, 1933-1945, New York, Berg, 1999
F. Remotti, Fare umanità. I drammi dell’antropo-poiesi, Roma-Bari, Laterza, 2013.
Elisabeth Tauber (Libera Università di Bolzano)
Quando "familia" non equivale a "famiglia".Una analisi critica retrospettiva di un progetto
giuridico-etnografico nel contesto delle istituzioni pubbliche
Nei rapporti con le istituzioni pubbliche i Sinti non mancano mai di sottolineare
l'importanza che attribuiscono alla "familia".
Eppure le loro argomentazioni rischiano perennemente di essere fraintese o non
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ascoltate. La struttura parentale della "familia" implica infatti dinamiche
politiche e culturali che poco hanno a che fare con la struttura della "famiglia"
italiana o della "Familie" tedesca.
L'esempio della legalizzazione della raccolta di rottami di ferro nella Provincia
autonoma di Bolzano illustra come la sopravvivenza normativa e strutturale di
tale attività sia stata fondata soprattutto su una contestualizzazione etnografica
del significato e dell'importanza del concetto di "familia".
Riferimenti bibliografici:
Durão Susana and Seabra Lopes Daniel 2011 Introduction: Institutions are us?
In: Social Anthropology/Anthropologie sociale Vol.19, Nr. 4. Special issue:
Rethinking Institutions, pp. 363-377.
Herzfeld, Michael 2005 Political Optics and the Occlusion of Intimate Knowledge
In: American Anthropologist Vol. 107, Issue 3, pp. 369 -376.
Tauber, Elisabeth 2006 Du wirst keinen Ehemann nehmen! Respekt, Bedeutung
der Toten und Fluchtheirat bei den Sinti Estraixaria. LIT Verlag: Münster.
Ferdinando Mirizzi (Università della Basilicata)
Storia e Antropologia negli studi sulla famiglia e i sistemi di parentela: a partire da una
recente ricerca di Gérard Delille
Gli studi sulla famiglia hanno rappresentato, specie in Italia e in particolare a
partire dalla seconda metà degli anni Settanta del ’900, uno dei più significativi
ambiti in cui si è cercato di raccordare e, in vario modo, intrecciare prospettive
teoriche e metodologiche di carattere tanto storico quanto antropologico. Tra gli
storici si è particolarmente distinto, nell’ultimo trentennio, Gérard Delille con una
serie di ricerche in cui egli ha cercato di rinnovare gli approcci storici tradizionali,
impiegando utilmente ed efficacemente i concetti e le tecniche della tradizione
antropologica, allo scopo di studiare la famiglia e le relazioni di parentela in
funzione della comprensione delle dinamiche sociali e politiche locali e globali in
età moderna. In particolare, nel suo ultimo libro, Famiglia e potere locale. Una
prospettiva mediterranea (2011), egli fornisce un modello di analisi che rivela
indubbi interessi anche in una dimensione antropologica attraverso il ricorso al
metodo dell’“accumulazione densa dei dati” e di un uso problematico delle fonti
che ricorda la nozione ricoeuriana di traccia. Il risultato è uno studio che tende a
comporre il quadro unitario e coerente del tema di ricerca affrontato, quello della
relazione tra strategie matrimoniali, costruzione delle alleanze ed esercizio del
potere politico, in cui strutture e congiunture sono compresenti e interagiscono,
e da cui si può partire per riflettere sulla storia dei rapporti tra storia e
antropologia e sulla possibilità di intensificare gli scambi tra i due ambiti
disciplinari nelle ricerche sulle strutture familiari e sui sistemi di parentela nelle
società occidentali in età moderna e contemporanea.
Riferimenti bibliografici
G. Delille, Classi sociali e scambi matrimoniali nel Salernitano, in «Quaderni
Storici», 1976, 33, pp. 983-997.
Id. Famiglia e proprietà nel Regno di Napoli, XV-XIX secolo, Torino, Einaudi, 1988
(ed. or.: 1985).
Id., Famiglia e potere locale. Una prospettiva mediterranea, Bari, Edipuglia, 2011
(ed. or.: 2003).
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Aa.Vv., A proposito di quattro libri recenti sulla storia della famiglia, in «Quaderni
Storici», XLVIII, 2013, n. 2, in corso di stampa.
Alexander Koensler (Queen’s University Belfast)
L’implosione dell’utopia? Uno sguardo etnografico sulle trasmutazioni del tentativo di
reinventare la famiglia nel movimento dei kibbutzim (Israele)
Tra gli anni Sessanta e Ottanta, l’utopia del socialismo del movimento dei
kibbutzim ha attirato considerevole attenzione da parte degli studiosi delle
scienze sociali interessati allo studio di nuove forme di socialità e di convivenza,
reinventando le relazioni familiari. Questo tentativo di socialismo comunitario di
superare fenomeni come la competizione su micro-scala, rimane uno degli
esperimenti più affascinanti dei movimenti socialisti e comunitari, che ha dato
luogo a molteplici sperimentazioni in Israele. A partire dalla fine degli anni
Ottanta, invece, le varie ondate di privatizzazioni e lo smantellamento
dell’assetto organizzativo collettivo a seguito delle riforme di stampo
neoliberalista hanno messo a dura prova queste nuove forme di convivenza,
portando a un’accelerata “implosione” delle strutture classiche del movimento
(Spiro 2004). Oggi la parte dominante sia degli studi che della popolazione
considera l’esperimento “fallito” (Ben-Rafael 2011).
Basandosi su testimonianze dirette e osservazioni di carattere etnografico tra
giovani abitanti ed ex-abitanti di kibbutzim nelle periferie del deserto del Negev,
l’intervento focalizza l’attenzione su nuove forme di mobilitazione sperimentali
(Koensler 2012), mostrando invece come quelle spinte critiche non si sono
esaurite e nuove forme di solidarietà umana e di famiglia vengono
costantemente riconcettualizzate, sia in seguito all’emergere dei movimenti
altermondialisti, sia in nuovi sperimenti di tipo comunitario e non settario
israelo-palestinese.
Riferimenti bibliografici:
Ben-Rafael, E. (2011). Kibbutz: Survival At Risk. Israel Studies, 16(2), 81-108.
Koensler, A. (2012). Per un'antropologia dei movimenti sociali: etnografia e
paradigmi dell’analisi di movimenti. In: Koensler, A. e Rossi, A. (a cura di),
Comprendere il dissenso. Etnografia e antropologia dei movimenti sociali (pp.
47-57). Perugia: Morlacchi Editore.
Spiro, M. E. (2004). Utopia and Its Discontents: The Kibbutz and Its Historical
Vicissitudes. American Anthropologist, 106(3), 556–568.
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Famiglia e conflitti intergenerazionali
Giovedì 7, ore 17-19.45
Sala rossa (piccola)
Luca Jourdan (Università di Bologna)
La diaspora eritrea fra Kampala e Bologna: conflitti e fratture intergenerazionali
Nelle classifiche delle Organizzazioni Internazionali, l’Eritrea è fra gli ultimi paesi al mondo per i
livelli di povertà e per il rispetto dei diritti umani. Dopo lunghi decenni di guerra, l’indipendenza
dall’Etiopia aveva suscitato fra la popolazione speranze di libertà e sviluppo che vennero ben presto
frustrate dalla dittatura di Isaias Afewerki, presidente del paese dal 1993. L’imposizione di un regime
di autarchia ha impedito ogni sviluppo economico e a questo si aggiunge un controllo paranoico e
violento che preclude ogni libertà di espressione e di dissenso politico. Inoltre, molti giovani eritrei
fuggono dal paese per evitare di essere arruolati nell’esercito dal momento che, secondo la legge
eritrea, il servizio di leva può protrarsi per un tempo indefinito.
Questo paper vuole analizzare il conflitto e le fratture che emergono all’interno della diaspora eritrea
fra nuove e vecchie generazioni a partire da un’analisi etnografica multisituata condotta fra Kampala
e Bologna. Nella capitale ugandese vi sono numerosissimi rifugiati eritrei che attendono un visto per
recarsi in Occidente (in particolare in Canada); mentre a Bologna, anche per via di un legame storico
fra la città e il movimento indipendentista eritreo, la comunità di rifugiati e migranti dall’Eritrea è
piuttosto consistente. In entrambi i contesti emerge un profondo conflitto intergenerazionale: i più
anziani tendono sostenere il regime di Afewerki poiché molti di loro hanno combattuto nelle file del
movimento di liberazione.; mentre i più giovani reclamano maggiori libertà e hanno dato vita a
movimenti di opposizione. L’analisi vuole dunque gettare luce su questo conflitto che lacera la
comunità diasporica eritrea esasperando il conflitto e le incomprensioni fra generazioni.
Maria Chiara Miduri (Università degli Studi di Torino)
Processi di risocializzazione intergenerazionale e interculturale tra madri e figli ad Aurora
(Torino)
Il presente contributo trae spunto dalla ricerca di campo che ho svolto nel quartiere Aurora di Torino,
all’interno del mio progetto dottorale e attualmente in fase conclusiva. Nell’ambito del tema del
convegno, vorrei proporre un’analisi dei processi di risocializzazione in contesto migratorio da una
duplice prospettiva, intergenerazionale e interculturale, all’interno dei rapporti tra madri e figli. In
particolare mi concentrerò su uno dei contesti di (ri)socializzazione nei quali ho condotto la mia
ricerca: il progetto Salone delle Mamme a cura dell’Associazione di Assistenza volontaria
socio-sanitaria Camminare Insieme, sita in borgata Borgo Dora – Valdocco. La famiglia `e il più
importante agente di socializzazione in cui la donna ha un ruolo cruciale. Nel contesto migratorio,
nell’intensa esperienza di risocializzazione nella comunità di arrivo, le madri – originarie agenti di
socializzazione per i propri figli – intraprendono un percorso di soddisfacimento del bisogno di
apprendere e di essere esposte a sistemi di norme e valori talora completamente opposti a quelli di
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provenienza. La ricerca etnografica condotta nel solco dell’etnografia multimodale ha messo in luce
come in questo percorso i figli divengano i migliori alleati e gli intermediari privilegiati nel discorso
interculturale, a vari livelli dell’esperienza, in quanto nuovi e riconosciuti depositari del sapere
“locale”. Il contributo si concentra sulle pratiche di mediazione linguistica-culturale interna alla
famiglia attuate dai figli nei contesti di vita quotidiana interculturale (scuola, ambito sanitario,
contesti ricreativi) comparando l’esperienza peruviana, maliana e marocchina. Attraverso l’analisi di
tali pratiche, si configura uno shift di ruolo tra generazioni a livello di trasmissione del sapere e del
saper-fare sociale (know-how), nei nuovi domini della quotidianità.
Riferimenti Bibliografici:
Bar-Yosef, R.W. (1968). Desocialization and Resocialization: The Adjustement Process of the Immigrants. International Migration Review, 2(3): 27-45.
Duranti, A., Ochs, E., Schieffelin, B.B. (Eds.). (2011). The Handbook of Language Socialization.
London: John Wiley & Sons.
Fein, M.L. (1988). Resocialization: A Neglected Paradigm. Clinical Sociology Review. No. 6:
88-100.
Kramsch, C. (2003). Language Acquisition and Language Socialization: Ecological Perspective.
London:
Continuum Intl. Publishing Group.
Schieffelin, B.B., Ochs, E. (1987). Language Socialization across Cultures. London: CUP.
Marta De Falco (Università degli Studi di Torino)
Famiglia, generazioni e fenomeni migratori nella società batak (Sumatra, Indonesia)
Il sistema di parentela batak, articolato in clan esogamici patrilineari connessi tramite alleanze
matrimoniali (Nainggolan 2006), occupa un’importanza primaria nella vita del singolo individuo e
nell’organizzazione della società locale nel suo complesso. Infatti, la struttura del sistema di
parentela, che si è storicamente originata attraverso vari flussi migratori (Andaya 2002), non ha
subito significative trasformazioni con i recenti processi di urbanizzazione. Benché nei nuovi centri
di insediamento siano frequenti le famiglie nucleari, le relazioni con consanguinei ed affini, nonché
con le zone rurali di provenienza, vengono costantemente coltivate dai batak migranti, compresi i
giovani, che affrontano l’esperienza migratoria come necessario rituale di passaggio all’età adulta. In
aggiunta, la struttura della famiglia estesa e dell’ “economia morale” che la caratterizza (Rodenburg
1997), riprodotti nelle associazioni claniche e nei gruppi di credito rotativo (Bruner 1972), sono
strategicamente impiegati come strumenti attraverso cui addomesticare e negoziare lo spazio urbano
multietnico e le logiche del capitalismo neo-liberale in esso presenti.
Grazie alla vitalità del sistema di parentela, flessibile e disponibile all’incorporazione dello straniero
mediante rituali di adozione, i batak sono dunque oggi rappresentabili come una “post-comunità”
insediata in diversi spazi transnazionali e translocali (Bruner 1999), connessi tramite le relazioni del
network familiare.
Riferimenti bibliografici:
ANDAYA L.
2002 “The trans-Sumatra trade and the ethnicization of the Batak”, in Bijdragen tot de Taal-, Landen Volkenkunde, 158 (3), pp. 367-409.
BRUNER E. M.
1972 “Batak Ethnic Associations in Three Indonesian Cities”, in Southwestern Journal of
Anthropology, 28 (3), pp. 207-229.
1999 “Return to Sumatra: 1957, 1997”, in American Ethnologist, 26 (2), pp. 461-477.
NAINGGOLAN T.
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2006 Batak Toba di Jakarta. Kontinuitas dan Perubahan Identitas, Medan, Penerbit Bina Media
Perintis.
RODENBURG J.
1997 In the Shadow of Migration: Rural Women and Their Households in North Tapanuli, Leiden,
KTLV Press.
Armando Cutolo (Università di Siena)
Generazioni, riproduzione sociale e situazione postcoloniale in Costa d’Avorio
Negli anni Sessanta e Settanta l’antropologia marxista francese s’interrogava sui nessi tra rapporti
intergenerazionali e la definizione delle classi sociali nelle società africane. In gran parte di esse,
infatti, la categoria dei “giovani” si mostrava come una “classe in sé”, produttrice di beni e risorse a
favore degli “anziani”. Essa non si costituiva, tuttavia, come una vera “classe per sé” di sfruttati: la
riproduzione sociale, promuovendo i suoi membri all’anzianità, li metteva in condizione
d’approfittare a loro turno del lavoro delle generazioni successive, ostacolando la coscienza di una
condizione codivisa. Ciò avrebbe garantito un ordine consono al sistema di produzione coloniale e, in
seguito, alla divisione internazionale postcoloniale del lavoro (Meillassoux, 1977).
Questo tipo di schemi analitici sono ripresi oggi da autori che, disconnettendoli dalla teoria marxista,
li utilizzano euristicamente per studiare le forme di soggettivazione politica e di mobilitazione
violenta dei “giovani” (ad esempio Chauveau e Richards, 2008). Il mio intervento muoverà da qui,
per trattare delle mutazioni dei rapporti tra generazioni avvenuti negli ultimi vent’anni in Costa
d’Avorio. Con la nascita del movimento dei “jeunes patriotes” e della ribellione armata, molti giovani
avoriani hanno infatti messo in discussione le forme di dipendenza e d’obbedienza (Cutolo, 2005,
2012) che li vincolavano nel contesto familiare e in quello pubblico-politico. Ciò è avvenuto quando
le riforme economiche hanno ristretto a pochi l’accesso ai mezzi (impieghi, credito, istruzione, ecc.)
necessari per raggiungere l’”anzianità sociale”. Un nazionalismo radicale e un nuovo
anticolonialismo sono allora sorti insieme ad un esplicito discorso generazionale, investendo l’ordine
domestico dei rapporti di parentela e, attraverso di esso, l’ordine (inter)nazionale delle
disuguaglianze (Cutolo, Banégas 2012).
Riferimenti bibliografici:
Chauveau J.-P., Richards P., 2008, “West African Insurgencies in Agrarian Perspective: Côte d’Ivoire
and Sierra Leone Compared”, Journal of Agrarian Change, Vol. 8 No. 4, pp. 515–552.
Cutolo A., 2005“Forme normali della dipendenza”, in P. G. Solinas, a cura di, La dipendenza.
Antropologia delle relazioni di dominio, Lecce, Argo, pp. 99-140.
Cutolo A., 2012, a cura di, Dell’obbedienza. Forme e pratiche del soggetto, Milano, FrancoAngeli.
Cutolo A., Banégas R., 2012, « Gouverner par la parole. Parlements de la rue, pratiques oratoires et
subjectivation politique en Côte d’Ivoire », Politique Africaine, n.127, pp. 21-48.
Meillassoux C., 1978, Donne, granai e capitali, Bologna, Zanichelli.
Alberto Caoci (Università di Cagliari)
Memorie, patrimoni e diritti di cittadinanza tra le nuove generazioni di coloured: il
DistrictSixMuseum di Cape Town
Il DistrictSixMuseum (D6M) fu aperto nel 1994 con l’obiettivo di mantenere viva la memoria del
quartiere del DistrictSix (D6) in rapporto alla deportazione, da parte del governo segregazionista
sudafricano, di oltre 60.000 persone identificate come gruppo razziale coloured e alla conseguente
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demolizione di un’area di circa 90 ettari, tra case, luoghi di lavoro e svago, in funzione di progetti di
residenzialità per soli bianchi.
Nonostante il D6M non si proponga come luogo che racconta una comunità, ma come una comunità
che si è fatta museo, l’analisi delle sue politiche di patrimonializzazione e di rivendicazione di diritti
di cittadinanza evidenziano la difficoltà da parte delle nuove generazioni di ex residenti ad accettare
acriticamente i suoi programmi educativi, nonché i progetti di ricostruzione del quartiere svolti dal
DistrictSixBeneficiary and Redevelopment Trust (braccio operativo della Fondazione del Museo
nella riqualificazione dell’area) che si concretizzano attraverso lunghi, e spesso opachi, procedimenti
di negoziazione con il City Council of Cape Town, il ProvincialGovernment, il National Rural
Development and Land Reforme il Regional Land ClaimsCommission.
In particolare il progetto del museo di adattare il passato alle esigenze del presente, trasmettendo alle
nuove generazioni una visione coesa ed estetizzata della comunità prima delle deportazioni, si
scontra con l’attuale delusione per non aver ancora avuto giustizia, con le diffidenze e i pregiudizi tra
coloured e neri, tra musulmani e cristiani, tra differenti fazioni politiche.
La conflittualità tra le nuove generazioni di ex residenti e i gruppi di potere che gestiscono le
iniziative di ricostruzione della memoria, della comunità e delle case ha portato negli ultimi tempi a
frequenti manifestazioni di protesta. Emblematica è stata, nel gennaio del 2013, l’occupazione
abusiva di alcune case da parte di giovani coppie di ricorrenti.
Riferimenti bibliografici:
Bennet B. et al. (2005), Reflections on the Conference: Hands on District Six. Landscapes of
post-colonial memorialisation (Cape Town, 25-28 May 2005), District Six Museum, Cape Town.
Bennett B., Julius C., Soudien C. (2008), a cura di, City, Site, Museum, Reviewing memory practices
at the District Six Museum, District Six Museum, Cape Town.
Beyers C. (2007), “Land Restituition’s ‘Rights Communities’: the District Six Case”, in Journal of
Southern African Studies, Vol.33, n.2, Routledge, London.
Jeppie S., Soudien C. (1990), a cura di, The struggle for District Six: past and present, Buchu Books,
Cape Town.
Rassol C. (2006), “Community museums, memory Politics, and social transformation in South
Africa: histories, possibilities, and limits”, in Karp I., Kratz C.A. et al. (2006), a cura di, Museum
Frictions. Public Cultures/Global Transformations, Duke University Press, Durham.
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Famiglie e violenza
Giovedì 7, ore 17-19.45
Sala B2
Roberto Beneduce e Simona Taliani (Università degli Studi di Torino) insieme a Grace Aigbeghian,
Bosede Lawani e Philomena Erhunmwunsee
Discronie nigeriane. La genitorialità delle madri immigrate fra burocratizzazione e violenza
epistemica
“Non sono ancora morta”, gridano le donne nigeriane in Tribunale al cospetto di operatrici italiane
intente a vagliare la loro qualità di madri: alcune di loro non vedranno più i loro figli, dati in
adozione e diventati magicamente prodotti dell’Italia, nuovi cittadini del nostro Bel Paese. Sono
numerose le donne nigeriane, arrivate in Italia e designate giuridicamente come vittime della tratta,
che si vedono allontanare i loro figli in virtù di valutazioni negative sulla loro qualità di madri. Come
ricorda Bailkin per il contesto inglese degli anni ’60 e ’70, le madri africane sono, tra le donne
immigrate, quelle più esposte a questo tipo di recisione del legame filiale. Sono donne che hanno
fallito nel compito di abbracciare il vangelo bolwbiano e, per questo, le istituzioni incaricate di
misurare le loro capacità genitoriali non le ritengono madri sufficientemente buone.
A partire da una ricerca etnografica condotta con 20 famiglie nigeriane e protrattasi per più di 10
anni, l’intervento vuole analizzare questi nuovi archivi postcoloniali e interrogare come le Istituzioni
producono un bambino adottabile. L’analisi di questi legami, sempre più spesso spossati e spossessati
(dispossessed kinships) dall’intervento istituzionale, rivela che cosa stia diventando oggi la maternità
africana in Europa. L’intrusione dello sguardo burocratico e assistenziale nei legami familiari
(espressione particolare del paradigma compassionevole?) mostra qui la sua magia socio-politica: una
magia mediata il più delle volte dall’uso di un lessico psichiatrico e coloniale (come testimoniato dal
ricorso alle figure della selvatichezza o quello che trasforma madri e figli in soggetti affetti da
disturbi psicopatologici o morali).
L’intervento vuole analizzare le forme di antropopoiesi del bambino nigeriano adottabile e i modi
attraverso i quali una tale costruzione giuridico-sociale produca fratture nelle relazioni tra le madri, i
loro figli e le famiglie d’origine rimaste in Nigeria. Inoltre, si tenterà di comprendere in che senso
possano essere interpretate le indicazioni della Regione Piemonte (2010) dove si fa esplicito
riferimento alla necessità di valutare le qualità del modello educativo antropologico culturale dei
genitori quando stranieri.
Riferimenti bibliografici
Roberto Beneduce e Simona Taliani, « Les archives introuvables. Technologie de la citoyenneté,
bureaucratie et migration », in Beatrice Hibou, La bureaucratisation neolibérale. Paris : Editions de la
Découverte, 2013.
Simona Taliani, «I prodotti dell’Italia: figli nigeriani tra tutela, diritto e amore materno (molesto?)»,
Minori&Giustizia, 2, 2012.
Jordanna Bailkin, The Afterlife of Empire. Berkeley: University of California Press, 2012.
Emmanuelle Saada, Les Enfants de la colonie : Les métis de l’Empire français entre sujétion et
citoyenneté. Paris: Editions de la Découverte, 2007.
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Ann Stoler, Race and the education of desire. Foucault’s History of Sexuality and the Colonial Order
of Things, Durham and London: Duke University Press, 1995.
Alessandro Jedlowski (Università di Napoli “L’Orientale”, Centro Studi sull’Africa Contemporanea
(CeSAC))
Famiglia, stregoneria e prostituzione nei video nigeriani sulla migrazione
Nel corso dell’ultimo ventennio, la produzione video nigeriana (comunemente conosciuta come
“Nollywood”) si è sviluppata in modo esponenziale, diventando comune denominatore di una cultura
popolare urbana su scala continentale (McCall, “The Pan-Africanism we have”, 2007). All’interno di
questa ricca produzione filmica, i temi della famiglia, della stregoneria e della prostituzione si sono
imposti come centrali e video la cui trama si basa sull’intreccio di queste tre tematiche costituiscono
oggi un genere a sé all’interno del canone nollywoodiano (Okome, “Nollywood, Lagos and the
good-time woman”, 2012).
In relazione a questo contesto, il mio intervento intende analizzare il modo in cui questi temi vengono
trattati all’interno della produzione video nigeriana, proponendo in primo luogo una panoramica
storica dei film che hanno definito le caratteristiche tipiche di questo genere (come ad esempio
Glamour Girls, Violated e Domitilla) ed, in secondo luogo, concentrandosi su alcuni esempi specifici
di video (come ad esempio Ebuwa e Street of Italy) che si riferiscono a questi temi in relazione
all’esperienza migratoria, ed in particolare in relazione all’Italia. È necessario infatti sottolineare
come, in numerosi video, i tre temi citati siano spesso direttamente connessi alla questione della
mobilità migratoria, sia essa locale (dalla campagna alla città) o transnazionale (dall’Africa verso
l’Europa o altre destinazioni), una mobilità spesso considerata come elemento scatenante delle
trasformazioni socio-culturali che interessano la famiglia in epoca contemporanea.
Riferimenti bibliografici:
Jedlowski, Alessandro.2012. “On the periphery of Nollywood: Nigerian video filmmaking in Italy
and the emergence of an intercultural aesthetics”. In Postcolonial Italy: Challenging National
Homogeneity, a cura di. Cristina Lombardi-Diop e Caterina Romeo. New York: Palgrave McMillan.
239 – 252.
Jedlowski, Alessandro (in via di pubblicazione). “Nigerian migrants, Nollywood videos and the
emergence of an ‘anti-humanitarian’ representation of migration in Italian cinema”. In Destination
Italy: Representing Migration in Contemporary Media and Narrative, a cura di Guido Bonsaver,
Oxford: Peter Lang.
Haynes, Jonathan. 2013. “The Nollywood Diaspora: A Nigerian video genre.” In Global Nollywood:
Transnational Dimensions of an African Video Film Industry, a cura di Matthias Krings e Onookome
Okome. Bloomington: Indiana University Press. 73 – 99.
Bryce, Jane. 2012. “Signs of femininity, symptoms of malaise: Contextualizing figurations of
‘woman’ in Nollywood”. Research in African Literatures 43(4): 71-87.
Okome, Onookome. 2012. “Nollywood, Lagos and the good-time woman”. Research in African
Literatures 43(4): 166-186.
Valeria Ribeiro Corossacz (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)
Intimità, dominio, disuguaglianza. L’intersezione di classe, genere e colore nei rapporti tra
giovani uomini bianchi e empregadas domésticas a Rio de Janeiro
In questa comunicazione presento dei dati di una ricerca condotta a Rio de Janeiro tra 21 uomini, di
un’età compresa tra i 43 e i 60 anni, che si auto-definiscono bianchi di classe medio-alta (Ribeiro
Corossacz 2012).
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Nelle interviste è emerso come nell’infanzia e nell’adolescenza i rapporti con empregadas domésticas
(lavoratrici domestiche) nella casa di famiglia sono stati costitutivi per la definizione dell’identità di
classe, genere e colore di questi uomini (Ribeiro Corossacz, 2015). In particolare sono state nominate
due tipologie di rapporti: la relazione affettiva e di intimità con la babá (tata) e la relazione definita di
“iniziazione sessuale” con l’empregada, descritta dagli intervistati stessi nei suoi aspetti di violenza.
Il colore di entrambe le figure è poco nominato, ma, una volta interrogati, è ricordato come nero o
comunque non-bianco.
Si tratta di due esperienze contrapposte inscritte entrambe nei rapporti di dominio che prendono
forma nella famiglia bianca di classe media nell’intersezione delle gerarchie di colore, classe e genere
tipica della società brasiliana. La presenza costante dell’empregada nella casa e nella vita delle
famiglie bianche urbane di classe medio-alta è descritta da diverse autrici come elemento centrale per
la formazione e la differenziazione di classe, così come per la formazione delle diseguaglianze di
colore (Goldestein 2003; Brites 2007). Poca attenzione è stata data a come questa presenza
contribuisca a definire la posizione di uomo bianco di classe media. L’analisi delle interviste permette
di comprendere dal punto di vista di chi si trova in una posizione strutturale di dominio nei rapporti
di classe, genere e colore, come nel rapporto tra patrão (padrone) e empregada possano esserci
relazioni sentite come affettive, intime, di dominio e violenza. Questa ricerca illustra come la
socializzazione a rapporti gerarchici di classe, colore e genere all’interno dello spazio affettivo della
famiglia contribuisca alla loro naturalizzazione e invisilibizzazione in quanto esperienze di
diseguaglianza. L’organizzazione del lavoro domestico e di cura all’interno della famiglia si presenta
come uno spazio di produzione delle diseguaglianze (Pinho e Silvia 2010), ma anche di intervento
per trasformare i rapporti gerarchici.
Riferimenti bibliografici:
Brites, Jurema. 2007. “Afeto e desigualdade: gênero, geração e classe entre empregadas domésticas e
seus empregadores”. Cadernos Pagu, n. 29, p. 91-109.
Goldestein, Donna. 2003. Laughter out of Place. Race, Class, Violence, and Sexuality in a Rio
Shantytown. Berkeley e Los Angeles: University of California Press.
Pinho, Patrícia de Santana, Silva, Eizabeth B. 2010. “Domestic Relations in Brazil. Legacies and
Horizons”. Latin American Research Review, vol. 45, n. 2, p. 90-113.
Ribeiro Corossacz, Valeria. 2012. “In bilico tra colore e classe. Esperienze di bianchezza tra uomini
bianchi di Rio de Janeiro”, in Incroci transatlantici: il Brasile negli studi dell’antropologia italiana, a
cura di Anna Casella, pp. 61-83, Aprilia, Novalogos.
Ribeiro Corossacz, Valeria. “Whiteness, Maleness and Power: a study in Rio de Janeiro”, in Latin
American & Caribbean Ethnic Studies, in corso di pubblicazione, 2015 march, vol. 10, n.1.
Barbara Ghiringhelli (Università IULM di Milano)
Il fenomeno delle streghe bambine a Bukavu - in Sud – Kivu (RDC). L’analisi dei casi di
accusa in ambito familiare
Lo studio del fenomeno, svoltosi nella città di Bukavu (Repubblica Democratica del Congo) nel mese
di maggio (2013), si è realizzato attraverso:
a) l’analisi dei dossier relativi alle situazioni delle bambine/i accusate di stregoneria inserite in quella
che è la principale casa di accoglienza del Sud-Kivu, il Foyer Ek’Abana a Bukavu. I dossier
consultati sono relativi ai casi registrati nel periodo dall’apertura del Foyer nel 2002, a maggio 2013,
periodo di presenza nella struttura per la ricerca. Più di 300 i casi analizzati, con lo scopo di
individuare i motivi dell’accusa e la composizione familiare dei bambini e delle bambine accusate;
b) l’analisi dei contenuti del programma radio “Programme de lutte et de prévention contre les
accusations de sorcellerie portées aux enfants et personnes vulnérables”, il cui obiettivo è quello di
sensibilizzare la popolazione locale con lo scopo di contrastare e prevenire le accuse di stregoneria;
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c) lo svolgimento di interviste a testimoni privilegiati: responsabili e collaboratori della casa di
accoglienza.
L’analisi delle ragioni a base dell’accusa e dei contesti familiari, ha evidenziato come spesso, in
particolare quando a incolpare il bambino di stregoneria è qualche componente della famiglia (gli
altri accusatori rilevati sono: il quartiere/comunità e le camere di preghiera), l’accusa sorge in
contesti di disoccupazione, povertà, ma anche divorzio, secondo matrimonio o regime matrimoniale
poligamico, evidenziandosi in queste ultime situazioni una non accettazione dei figli dell’unione
precedente. Sembra pertanto che oggi, in aggiunta alle motivazioni dettate da credenze, all’origine
dell’incremento dei casi vi siano ragioni legate alla profonda crisi che il Paese sta attraversando in
ordine alla situazione economica, ma anche sociale e familiare, e tale contesto sarebbe alle radici
della “strumentalizzazione” dell’accusa di stregoneria quale “giusta” (senza conseguenze sociali e
comunitarie) motivazione all’abbandono dei bambini e delle bambine.
Alessandra Gribaldo (Università di Trento e Università di Modena e Reggio Emilia)
Maltrattamenti in famiglia: la produzione del soggetto-vittima nelle aule dei tribunali
L’antropologia che ha individuato come tema emergente le forme di violenza ha avuto difficoltà ad
includere a pieno titolo la violenza degli uomini contro le donne nelle relazioni di intimità. Il
contributo che propongo riguarda l’area Famiglie e violenza. Microfisica del potere in contesti
famigliari e parentali e si basa sull’osservazione etnografica dei processi che riguardano i
maltrattamenti in famiglia, svolta a Bologna tra l’ottobre 2010 e il marzo 2011. Attraverso l’analisi
delle dinamiche in aula e delle interviste ad operatori sociali e della giustizia intendo fare emergere
l’economia discorsiva che è propria del giudizio penale e come questa si intrecci con discorsi
dominanti riguardo alla famiglia, alla maternità, all’ambito domestico. L’analisi etnografica dei
processi sulla violenza domestica permette di prendere in considerazione elementi inesplorati della
dinamica soggettivazione/assoggettamento, in cui emerge l’intreccio tra violenza, genere, affettività,
in quanto spazi per eccellenza del “vero sé”. L’ambito domestico si dà come ambito per eccellenza
che si presta ad una operazione di produzione di soggettività in una identificazione e individuazione
della vittima attraverso la sua testimonianza in aula: la vittima che testimonia deve confessare se
stessa nella relazione con suo marito (figura istituzionale), amante (figura relazionale) carnefice
(figura da comporre/scoprire/giudicare).
Queste dimensioni si intrecciano con tematiche specifiche che riguardano la concezione della
famiglia: emerge una cultura istituzionale che vede nelle donne che richiedono aiuto, anche nei
contesti di violenza domestica, primariamente delle madri/mogli, dove il valore della famiglia come
istituzione da salvaguardare riflette una visione normativa delle relazioni familiari e della maternità.
Riferimenti bibliografici:
Foucault, M. 1994 (1978) “La verità e le forme giuridiche”, Napoli, La citta del sole.
Gribaldo A. “Violenza, intimità, testimonianza. Un’etnografia delle dinamiche processuali” in
Creazzo G. (a cura di), Se le donne chiedono giustizia. Le risposte del sistema penale alle donne che
subiscono violenza nelle relazioni di intimità: ricerca e prospettive internazionali, Il Mulino,
Bologna, pp. 237-260 (in uscita, ottobre 2013).
Gribaldo A. “The incongruous subject: Intimate violence narratives on trial in Italy”, (submitted).
Hirsch, S. and Lazarus-Black M.1994 eds. Contested States: Law, Hegemony and Resistance (After
the Law), Routledge.
Lazarus-Black, M.2007 Everyday Harm: Domestic Violence, Court Rites, and Cultures of
Reconciliation, University of Illinois Press.
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La famiglia di fronte alla morte
Venerdì 8, ore 10.45-12.45
Aula F5
Claudia Mattalucci (Università di Milano-Bicocca)
Essere genitori e figli prima della nascita: tra desiderio, tecnologia e politica
Come emerge da una nutrita letteratura etnografica, in molti gruppi sociali la gravidanza trova piena
conferma soltanto alla nascita di un bambino vivo. La condizione dei nuovi nati non è data per
scontata: l’essere umano e la persona sono “fatti” attraverso un complesso insieme di attività
quotidiane, interazioni e rituali.
Formalmente, nella società nordamericana e in quelle europee, il riconoscimento sociale della
persona avviene alla nascita. Di fatto, tuttavia, questo processo è almeno in parte anticipato al tempo
della gestazione: i futuri genitori vengono a conoscenza del sesso e scelgono un nome per il bambino,
lo vedono attraverso l’ecografia, condividono le sue immagini con amici e parenti, ecc. Attraverso la
mediazione della medicina e della tecnologia, l’emergenza della persona, l’inizio della sua biografia,
la costruzione dei legami parentali e la trasformazione dello statuto della coppia sono spostati prima
della nascita.
Il mio contributo analizza le implicazioni di questo fare famiglia, immaginario e materiale, con
particolare riferimento all’Italia. Dopo aver evidenziato il ruolo del desiderio, della medicina e della
tecnologia nella fabbricazione dei vincoli parentali, mi concentrerò sulle situazioni limite in cui la
gravidanza s’interrompe lasciando in sospeso relazioni e identità che spesso sono vissute come reali,
pur essendo prive di riconoscimento sociale. Il significato culturalmente attribuito agli aborti
terapeutici, spontanei e alle morti perinatali e le pratiche messe in atto dai genitori per far fronte a
questi eventi sono state oggetto di analisi antropologica in altre società occidentali (Cecil 1996; Le
Grand-Sébille, Morel, Zonabend 1998; Layne 2002; Memmi 2011). Il mio contributo intende
descrivere questi significati e pratiche in relazione all’Italia, mettendo in luce la portata politica che
le richieste di riconoscimento che alcuni di questi genitori portano avanti rivestono in relazione al
dibattito pubblico sui diritti riproduttivi.
Riferimenti bibliografici:
Cecil, R. (a cura) 1996, The Anthropology of Pregnancy Loss. Comparative Studies in Miscarriage,
Stillbirth and Neonatal Death, Oxford: Berg.
Layne, L. 2002, Maternity Motherhood Lost: A Feminist Account of Pregnancy Loss in America,
New York: Routledge.
Le Grand-Sébille, C., Morel, M.-F., Zonabend, F. (a cura) 1998. Le fœtus, le nourrisson et la mort,
Paris: L’Harmattan.
Memmi, D. 2011, La seconde vie des bébés morts, Paris: Ed EHESS.
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Anna Paini (Università di Verona)
Di fronte alla morte perinatale: esperienze a confronto
I cambiamenti che nel corso del tempo hanno coinvolto l’evento della nascita e della morte nella
nostra società mostrano una differenza sostanziale: mentre il primo, seppur medicalizzato, resta
generalmente un momento rituale e festivo, la morte invece è messa ai margini della vita sociale.
Resta tuttavia il rituale della cerimonia funebre, anche se spesso svuotato della forza che aveva nel
passato: oggi spesso formale e poco conviviale. L’obbligo di dare una degna sepoltura invece non si
impone nel caso dei bambini e bambine nati morti o deceduti subito dopo la nascita. Questi spesso
vengono seppelliti senza lasciare traccia del loro passaggio. Quando nascita e morte sono (quasi)
concomitanti o l’ordine è capovolto, il lutto diventa più difficile, quasi impossibile da elaborare,
proprio perché si inverte il naturale corso degli eventi.
Nella situazione odierna in cui la morte tende a essere sempre più posticipata, la morte perinatale
risulta eccezionale e come tale, a differenza del passato quando veniva ammessa e accettata, viene
considerata ‘scandalosa e colpevolizzante’ (Le Grand-Sébille et al. 1998). Quali strumenti hanno
operatori e operatrici socio-sanitari per affrontare queste situazioni e gestire un evento che richiede
competenze e gesti che tengano conto anche della diversità culturale delle famiglie coinvolte? Quale
contributo può offrire l’antropologia?
Le considerazioni svolte prendono spunto da un invito dell’Azienda Ospedaliera Universitaria
Integrata di Verona al convegno “Il lutto perinatale. L’accompagnamento del neonato e della famiglia
al momento di fine vita” (ottobre 2012) destinato a operatori e operatrici socio-sanitari. Un’occasione
che ha generato nuove domande e mi ha permesso di avviare una riflessione mettendo a confronto
elementi della realtà italiana con aspetti del mondo kanak a cui sino ad allora avevo dato poco spazio
nei miei lavori.
Riferimenti bibliografici:
Delaisi de Parseval, Geneviève, 1998, « Requiem pour des mort-nés sans sépolture », in Le
Grand-Sébille et al. (a cura) Le fœtus, le nourrisson et la mort, l’Harmattan, Paris.
Duden, Barbara, 1994, Il corpo della donna come luogo pubblico, Bollati Boringhieri, Torino.
Flis-Trèves, Muriel, 2004, Le deuil de maternité, Calmann-Lévy, Paris.
Paini, Anna, 2007, Il filo e l’aquilone. I confini della differenza in una società kanak della Nuova
Caledonia, Le Nuove Muse, Torino.
Zonabend, Françoise, 1998, « La mort : le chagrin, le deuil », in Le Grand-Sébille et al., a cura, Le
fœtus, le nourrisson et la mort, l’Harmattan, Paris.
Roberta Altin (Università degli Studi di Trieste)
Morti migranti
Partendo da dati etnografici raccolti tra i senegalesi e ghanesi presenti nel Nord-Est italiano, questo
intervento si propone di analizzare pratiche e significati simbolici della morte nei contesti diasporici,
come scelta che coinvolge e risignifica i rapporti tra il migrante e le multiple comunità di
appartenenza. Morti e lutti in terra straniera sono riti di passaggio ed eventi collettivi che obbligano a
ripensare, confermare, modificare progetti di vita e rapporti sociali, reciprocità vicine e lontane.
La morte interrompe il progetto di fuga e/o riscatto per migliorare la vita e il corpo morto del
migrante si svuota di colpo della tensione prospettica verso il futuro che sorregge il progetto
migratorio. Se la morte è violenta e accidentale per i clandestini non lascia traccia; se avviene dopo
aver investito già parecchi anni di emigrazione si pone la difficile scelta se rimpatriare la salma
affinché ‘ritorni’ alla famiglia e luogo di origine o essere seppelliti nella nuova patria, vicino ai figli
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nati all’estero, posto che sia disponibile un cimitero o spazio compatibile con il proprio credo
religioso. La morte in terra straniera crea nuovi mercati per l’industria delle pompe funebri per i quali
si aprono mutui e collette fra le associazioni etnico-nazionali di espatriati; la scelta del luogo e i
rituali funebri rappresentano passaggi critici per mettere a fuoco identità e appartenenze.
Tema difficile e in parte tabuizzato dalla nostra società di eterni giovani, la morte dei migranti si pone
come problema pratico e simbolico con cui sempre più dovremo fare i conti. L’Italia deve
confrontarsi con richieste dei ‘nuovi cittadini’ che stanno invecchiando le risposte che il paese fornirà
saranno un segno tangibile di civiltà e di capacità di considerare l’immigrazione non solo come
merce umana deportabile in base alle fluttuazioni del mercato del lavoro.
Riferimenti bibliografici:
Altin R. , L’identità mediata, Forum, Udine 2004
Attias-Donfut C., Wolf F.C., Le lieu d’enterrement del persone nèes hors de la France, “Population”,
n.5, vol. 60, 2005, pp. 813-836.
Chaib Y., La morte nell’immigrazione. La sepoltura come riferimento migratorio, “aut aut” n. 341,
2009, 66-77.
Favole A., Resti di umanità. Vita sociale del corpo dopo la morte, Laterza, Milano 2003.
Hertz R., Sulla rappresentazione collettiva della morte con il saggio sulla preminenza della mano
destra, Savelli, Roma, 1978.
Sayad A., La doppia assenza. Dalle illusioni dell’emigrato alle sofferenze dell’immigrato, Cortina
Milano 2002.
Tessaro F., Network e redistribuzione fra le donne senegalesi, Tesi di dottorato di ricerca in “Culture
e strutture delle aree di frontiera”, ciclo XXIV, 2012-2013, Università degli Studi di Udine.
Ana Cristina Vargas (Università degli Studi di Torino)
La morte “innaturale”: il ruolo della famiglia di fronte al lutto
L’intervento proposto affronterà il ruolo della famiglia di fronte al lutto e le trasformazioni nei legami
familiari e nella rete relazionale dei superstiti che conseguono all’esperienza luttuosa. Il tema verrà
affrontato a partire dai risultati di due progetti di ricerca da me condotti, incentrati sul lutto nell’Italia
contemporanea (nello specifico “Il lutto oncologico. Una prospettiva sociale”, diretto dal Professor
Marco Marzano dell’Università di Bergamo, e “Il lutto. Una prospettiva antropologica e
storico-sociale”, coordinato dalla Fondazione A. Fabretti e diretto dalla dott.ssa Marina Sozzi.).
I cambiamenti nella struttura familiare che si sono verificate nell’ultimo cinquantennio, in
concomitanza con la prima e la seconda transizione demografica, hanno inciso profondamente sul
vissuto luttuoso. Il considerevole aumento dell’aspettativa di vita e la sensibile diminuzione del
numero di figli ha forti implicazioni per quanto concerne la rappresentazione della morte e il lutto. Ai
fenomeni di negazione della morte, più volte messi in luce dagli studiosi di tanatologia, si è
lentamente affiancata l’idea di un indefinito potenziale di allungamento della vita. La morte, propria e
dei propri parenti più prossimi, diventa pensabile e può essere definita “naturale” solo quando
avviene ben oltre la soglia della terza età, quando ormai i novant’anni o più sono superati e il declino
fisico è evidente. Al contrario la perdita di un congiunto, specialmente quando si tratta di un figlio o
quando sopraggiunge prima del tempo, è definita (al di là delle concrete cause del decesso) una
“morte innaturale”, ed è vissuta come un evento dirompente, che coglie il gruppo famigliare
totalmente impreparato e mette in crisi molte delle certezze su cui poggiava la quotidianità. Il
concetto di natura e di naturalità, come in altri fenomeni che coinvolgono la struttura familiare
contemporanea, è in questo caso una costruzione culturale dinamica, in trasformazione, che trova
radice in processi storici e sociali complessi. Le esperienze e le narrazioni delle persone intervistate
ci permetteranno di analizzare i processi di significazione, prestando particolare attenzione alle
risposte messe in atto dal gruppo familiare. Sarà inoltre possibile esplorare le aspettative, gli obblighi
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morali, i diritti, i doveri e il ruolo dei diversi membri della famiglia di fronte al lutto. Infine, si
proporrà una riflessione sui cambiamenti che si presentano come conseguenza del lutto nella struttura
della rete relazionale del dolente e le trasformazioni nei presupposti, criteri e valori che prima della
perdita orientavano le scelte della persona nel costruire dei legami affettivi e sociali.
Riferimenti bibliografici
Andolfi M., D’Elia A., La perdita e le risorse della famiglia, Raffaello Cortina Editore, 2007.
Michaud-Nérard F., Une révolution rituelle. Accompagner la crémation, Les éditions de l’Atelier,
Paris 2012.
Sozzi M., Reinventare la morte. Introduzione alla tanatologia, Laterza, Roma, 2009.
Solinas P. G., «L’acqua strangia». Il declino della parentela nella societàcomplessa, Franco Angeli,
Milano, 2004.
Viazzo P. P., Remotti F., “La famiglia: uno sguardo antropologico”, in Pier Paolo Viazzo et al., La
famiglia, Università Bocconi Editore, Milano, 2007, pp. 3-65.
III Convegno ANUAC
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Fare il genere
Venerdì 8, ore 10.45-12.45
Aula E2
Andrea Priori (Università degli Studi Roma Tre)
Mascolinità plurali: percorsi delle identità maschili tra i migranti bangladesi a Roma
Il contributo problematizza i processi di costruzione dell'identità maschile presso i migranti
bangladesi a partire da un'indagine etnografica realizzata nella periferia di Roma fra il 2012 e il 2013,
nel quadro del PRIN "Territori della trasformazione: migrazioni, genere ed esclusione nelle aree
periferiche".
Gli studi sulle identità di genere in Bangladesh e nei contesti di emigrazione hanno spesso affermato
un'immagine di mascolinità egemone e islamizzata che non sembra lasciare spazio a stili alternativi
né a forme di mediazione rispetto a un androcentrismo che si riflette negli spazi familiari come in
numerosi aspetti della società e della cultura bangladese.
Il contesto di nostro interesse, pur non ponendo radicalmente in discussione l'ideale culturale
dell'egemonia maschile né il prestigio della pietà islamica, mostra una realtà più complessa. Da un
lato l'identificazione dei migranti con un modello basato sull'ortodossia religiosa convive con stili che
si autodefiniscono "modernisti" e che, pur pagando sulla scena pubblica tributo all'ideale dominante,
reclamano autonomia rispetto a "tradizioni" percepite come inventate. Dall'altro, l'emigrazione
sembra poter aprire per gli uomini uno spazio liminare che, se per alcuni costituisce l'occasione di
sperimentare pratiche che esulano dall'ortodossia culturale, per altre persone può essere motivo di
una crisi dell'identità di genere causata dalle difficoltà del primo inserimento e dall'isolamento sociale
e sessuale che spesso ne deriva.
La mascolinità bangladese sembra così potersi declinare su una serie di mascolinità plurali, la cui
performazione segue delle logiche situazionali, legandosi alle dialettiche della gerarchia, e la cui
costruzione interagisce in maniera significativa con variabili quali l'orientamento religioso, la
provenienza geografica, lo jat (il rango sociale) della famiglia di origine, le ascendenze politiche e,
non ultime, la traiettorie sociali realizzate attraverso l'emigrazione.
Riferimenti bibliografici:
Priori, A., 2010, Vita segreta delle etnie: politica e stratificazione sociale a Banglatown, «Zapruder»,
n. 22, pp. 39-54.
Priori, A., 2012a, Romer probashira. Reti sociali e itinerari transnazionali bangladesi a Roma, Roma,
Meti Edizioni.
Priori, A., 2012b, "Murghi, patron e padroni. Speculazione, esclusione sociale e differenza culturale
fra i migranti bangladesi a Roma", in F. Pompeo, a cura, Paesaggi dell'esclusione. Politiche degli
spazi, re-indigenizzazione e altre malattie del territorio romano, Torino, UTET, pp. 45-56.
Mandelbaum, D. G., 1988, Women's seclusion and men's honor. Sex roles in North India, Bangladesh
and Pakistan, Tucson, University of Arizona Press.
Feldman, S., 1998, "(Re)presenting Islam. Manipulating gender, shifting state practice and class
frustrations in Bangladesh", in P. Jeffery, A. Basu, a cura, 1998, Appropriating Gender: Women’s
Activism and Politicized Religion in South Asia, London, Routledge, pp. 33-52.
III Convegno ANUAC
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Alessandro Lutri (Università di Catania)
Spazi di negoziazione della soggettività maschile e femminile in una comunità albanese
della Sicilia sud-orientale
La letteratura sulle relazioni di genere nella società albanese ha rappresentato queste sino a tempi
recenti come rigidamente sostenute da un modello etico e comportamentale della persona, libertà e
responsabilità di tipo gerarchico, fondato sul ruolo dominante del padre-marito e su quello subalterno
della madre-moglie, al servizio del primo e della famiglia.
Un archetipo che secondo gli studiosi avrebbe segnato sino a tempi recenti il destino di uomini e
donne di nazionalità albanese, attraverso l’assunzione non coercitiva di precisi doveri morali, come
quelli del mantenimento, dell’educazione, della protezione, della fedeltà, dell’onore, della lealtà e
della solidarietà.
Da un’indagine etnografica in corso tra i componenti una comunità migrante albanese insediatasi in
questi ultimi anni in un comune della provincia di Ragusa, Scicli, emerge quanto le relazioni di
genere siano caratterizzate da una certa negoziazione di questo modello archetipico etico e
comportamentale, che si manifesta, dalla parte maschile, con la sottolineatura dell’ottemperanza ai
doveri di mantenimento e protezione della moglie e della famiglia, assunti come un prolungamento
delle proprie prerogative sessuali (fecondatore, conquistatore e competitivo), che collocano il
padre-sposo dalla parte della domanda e proprietà (l’uomo sposato come pater e dominus); e dalla
parte femminile, con le spose-madri che nell’assumere su di sé i ruoli di nutrici, custodi e
dispensatrici d’amore materno nei confronti dei figli, esprimono allo stesso tempo il desiderio di una
maggiore indipendenza con il riconoscimento del loro diritto di accesso a un lavoro retribuito.
L’obbiettivo del contributo vuole essere quello di evidenziare quali siano i concreti motivi che
animano in maniera dinamica le reti della relazionalità di genere tra i migranti albanesi, che
all’apparenza possono apparire chiuse e estranee a dei cambiamenti e che in realtà evidenziano
quanto la soggettività femminile delle donne-madri è portatrice di concrete aspirazioni personali
verso una propria autorealizzazione, così come lo è quella di tante donne italiane.
Riferimenti bibliografici
Solinas, P.G., 2011, La famiglia. Un’antropologia delle relazioni primarie, Roma, Carocci
Cecilia Pennacini (Università degli Studi di Torino)
Donne e potere nel Buganda
La costruzione dei generi nel Buganda pre-coloniale si fondava su una marcata opposizione tra il
mondo della corte, dove il genere risultava essere espressione dello status e del potere politico, e
quello dei bakopi (la gente comune), dove di norma era il sesso biologico e più specificamente il
ruolo riproduttivo a determinare il genere della persona, seppur ammettendo significative eccezioni
(Nannyonga-Tamusuza 2009). All’interno della capitale, la sorellastra ufficiale del sovrano (lubuga)
e le principesse di sangue reale (bambejja) erano considerate uomini e trattate come tali; a queste
figure era impedito sposarsi e procreare, mentre potevano intrecciare relazioni con bakopi di sesso
maschile considerati donne. Il sopraggiungere del Cristianesimo, negli ultimi decenni del XIX secolo,
scardinò gran parte di questo sistema, consentendo alle principesse di sposarsi, abolendo la massiccia
poliginia d’élite praticata dal sovrano (Musisi 1991), e contrastando con forza i comportamenti
omosessuali presenti all’interno come all’esterno della corte (Médard 2000). Tuttavia, la nuova
concezione di genere imposta dai missionari non sradicò del tutto un’idea di genere prioritariamente
fondata sulla posizione sociale e politica occupata da ciascuno, che riemerge in alcuni contesti
III Convegno ANUAC
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politici e rituali dell’Uganda contemporanea. Nei santuari e nei luoghi di culto della religione del
Kubandwa, le medium possedute dagli spiriti rinunciano al loro potere riproduttivo conquistandosi un
potere mistico modellato su quello politico; analogamente le tombe reali sono conservate dalle
discendenti della lubuga del sovrano defunto (rinominata nalinya) e dalle mogli dello spirito. Tutte
queste figure rinunciano ad alcune prerogative tipicamente femminili (il ruolo tradizionale di moglie
e di madre) per esercitare un potere politico ed economico all’interno del clan e della comunità locare
e raggiungere, allo stesso tempo, un’indipendenza esistenziale che il matrimonio non consente.
Riferimenti bibliografici:
Médard Henri, 2000, “L’homosexualité au Buganda, une acculturation peut en cacher une autre”,
Hypothèse 1999, Travaux de l’Ecole Doctorale d’Histoire de l’Unversité de Paris I – Pantheon
Sorbonne, pp. 169-174.
Musisi Nyakanyke, 1991, “Elite polyginy and the Baganda State Formation: From earlier Times to
the Demise of the Kingdom in 1966”, Signs: Journal of Women in Culture and Society, n. 14, pp.
757-86.
Nannyonga-Tamusuza Sylvia, 2009, “Female-men, male-women, and others: constructing and
negotiatnf gender among the Baganda of Uganda”, Journal of Eastern African Studies, n.3(2), pp.
367-380.
Donato Martucci (Università del Salento)
Le vergini giurate nella tradizione giuridica Albanese
All’inizio del novecento un francescano, Padre Shtjefёn Kostantin Gjeçovi, dopo un lungo lavoro di
raccolta mette per iscritto, sembra per la prima volta, una serie di regole, fino ad allora tramandate
oralmente, che scandivano tutti gli aspetti della vita di una regione montuosa dell’Albania del nord, la
Mirdita. Questa raccolta è denominata Kanun di Lek Dukagjini. Queste norme descrivono una società
basata sui gruppi di discendenza patrilineare, in cui le donne venivano date in sposa per stringere
alleanze e avevano pochi diritti e molti doveri da cui difficilmente potevano affrancarsi. L'unico
modo per sfuggire allo status imposto loro dall'essere nate donna era quello di giurare davanti a dei
garanti e alla propria famiglia di rimanere per sempre vergini e quindi di rinunciare alla procreazione.
Questo giuramento comportava una serie di cambiamenti nella vita e nelle relazioni della donna che
da molti studiosi sono stati fraintesi, dipingendola di volta in volta o come un antesignana delle
rivendicazioni omosessuali o come una rappresentante di un terzo genere di marca albanese. Nella
relazione verrà contestualizzata questa figura, verranno spiegate le ragioni pratiche del perché della
scelta di alcune donne di rimanere vergini e si cercherà di rendere conto di come i montanari del nord
dell'Albania del secolo scorso considerassero queste donne.
Riferimenti bibliografici:
Martucci D., A je burrë? Elementi di una rappresentazione, in “Archivio di Etnografia”, n. 1, 2007,
pp. 43-55.
Il Kanun di Lek Dukagjini. Le basi morali e giuridiche della società albanese, a cura e con
un’introduzione di Donato Martucci, Besa Editrice, Nardò 2009.
Martucci D., I Kanun delle montagne albanesi. Fonti, fondamenti e mutazioni del diritto tradizionale
albanese, Edizioni di Pagina, Bari, 2010.
Martucci D., L'albero del latte. La donna nel diritto consuetudinario albanese, in “Quaderni Lupiensi
di Storia e Diritto”, n. 2, 2012, pp. 181-206.
Martucci D., Die Gewohnheitsrechte der albanischen Berge: Die Kanune. Mit einem unedierten
Manuskript über den Kanun der Mirdita, Verlag Dr. Kovač, Hamburg, 2013.
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Venerdì 8 ore 14.15-16.15
Aula E2
Maria Carolina Vesce (Università degli Studi di Messina)
Altri transiti. Modelli di genere, pratiche del corpo e rappresentazioni del sé di femminelle e
transessuali
Il termine femminiello (o femminella) si riferisce ad un soggetto sociale che, nell'universo simbolico
che caratterizza il contesto napoletano, sfugge alla definizione dicotomica dei sessi e assume la
valenza di una sorta di terzo genere, in cui i caratteri del maschile e del femminile si uniscono a
formare un'identità differente. Individuo biologicamente maschio che realizza la propria personalità
nell'assunzione di ruoli, comportamenti e atteggiamenti propri del genere opposto, la figura del
femminiello ha vissuto, a partire dalla seconda metà del XX secolo, un processo di lenta ed
inesorabile trasformazione.
L'introduzione delle chirurgie estetiche, la diffusione dei trattamenti ormonali, le battaglie per il
riconoscimento dell'identità transessuale, l’approvazione della legge 164/1982, che nel nostro paese
regola le “Norme in materia di rettificazione di attribuzione del sesso”, la creazione di associazioni e
movimenti per la difesa dei diritti delle persone transessuali e transgender hanno profondamente
inciso sulle pratiche, sulle rappresentazioni e sulla percezione del sé delle femminelle napoletane.
Non più costrette in un tragico corpo maschile che intrappola una sensibilità femminile, quelle che
–fino ancora a pochi anni fa- si sarebbero dette femminelle si identificano ,oggi, con esperienze di
tutt'altro genere.
Il percorso che propongo si interroga sulle dinamiche e sui processi che caratterizzavano la
performance di genere dei femminielli e, a partire dalle testimonianze etnografiche raccolte durante
la ricerca di campo, propone una comparazione con l'esperienza transessuale.
Se il modello sessuale eteronormativo, fondato sulla dicotomia attivo/passivo, trovava conferma nel
modello di sovversione del genere performato dal femminiello, l'orizzonte di senso in cui si colloca
l'esperienza trans non si limita a riproporre e riprodurre la norma eterosessuale, ma arriva a conferire
nuova legittimazione alla (bio)logica del sesso.
Riferimenti bibliografici:
ARFINI, E.A.G. Scrivere il sesso. Retoriche e narrative della transessualità, Roma, Meltemi, 2007.
DE BLASIO, A., Usi e costumi dei camorristi, Napoli, Forni, 2010 (ed. or., 1897).
MARCASCIANO P., Favolose narranti. Storie di transessuali, Roma, Manifestolibri, 2008.
VALERIO, P., ZITO, E., Corpi sull'uscio, identità possibili. Il fenomeno dei femminielli a Napoli,
Filema, Napoli, 2010.
VESCE, M.C., Corpi che cambiano. Una ricerca etnografica sulle femminelle napoletane, in GRILLI
S., Per-formare Corpi, Milano, Unicopli, in corso di strampa.
Flavia Cuturi (Università di Napoli "L'Orientale")
Matrifocalità, poliginia e machismo in Colombia: opinioni di donne e uomini afrodiscendenti
a confronto
Nella odierna vita associativa delle donne afrocolombiane, è comune che i discorsi riguardino la
famiglia, il comportamento degli uomini, mariti o compagni, dai quali emergono storie di soprusi e
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tradimenti, ma anche di riscatto e di lotta. Analogamente gli uomini ingaggiano schermaglie
discorsive tra loro e con le donne, rivelando una forte tensione con il mondo femminile. I contrasti di
vedute esistenziali tra donne e uomini sono molto profonde tanto più se messe a confronto con le
interpretazioni che la letteratura socio-antropologica (da Friedmann 1993, Arocha 1986, Restrepo
2005 a Camacho 2004 e Lozano 2008) ha dato dell'organizzazione sociale degli afrocolombiani. Lo
scopo di questo intervento (frutto di ricerche ancora in corso a Guapi, Tumaco, Palenque de S.
Basilio, Quibdó, Cali) è far emergere le posizioni delle donne, sia anticonvenzionali, sia conformiste,
verso i "modelli" che sostengono il potere maschile e ne giustificano i comportamenti che
contribuiscono a plasmare i nuclei familiari. Tale contrapposizione è andata maggiormente
manifestandosi dopo il varo della "Ley 70" che ha riconosciuto agli afrodescendenti gli stessi diritti
di autonomia degli amerindiani. Tale legge ha dato il via a numerosi progetti di cooperazione, molti
dei quali diretti a migliorare le condizioni di vita delle donne. I progetti hanno intercettato elementi
problematici dell'organizzazione sociale: matrifocalità, presenza instabile degli uomini nel nucleo
familiare, poliginia, violenza, assenza delle donne nell'agone politico. Dai discorsi delle donne
emergono forme di orgoglio femminile e acute riflessioni sulla mobilità maschile, la poliginia e
machismo, come anche giustificazioni di essi in termini identitari. Nei discorsi degli uomini questa
consapevolezza identitaria si traduce in un'esaltazione della mascolinità e della poliginia
"giustificata" in termini di "fedeltà" ai costumi "ancestrali". In base a queste contrapposizioni, come
si modificheranno le relazioni di genere e le forme di aggregazione familiare? La distanza tra i generi
si acuirà? Proverò a dare delle risposte a questi quesiti.
Riferimenti bibliografici:
Arocha Jaime, 1986, “Concheras, manglares y organización familiar en Tumaco”, Cuadernos de
Antropología (7), Universidad Nacional de Colombia, Bogotá.
Camacho Segura, Juana, 2004, “Silencios elocuentes, voces emergentes: reseña bibliográfica de los
estudios sobre la mujer afrocolombiana” en Pardo M., Mosquera C., Ramírez M.C. (eds.) Panorámica
afrocolombiana. Estudios sociales en el Pacífico, ICANH, Bogotá, p. 167-210
Friedman Nina, 1993, La saga del negro. Presencia africana en Colombia, Universidad Javeriana,
Bogotá.
Lozano Lerma, Betty R., 2008, “Mujeres negras (sirvientas, putas, matronas): una aproximación a la
mujer negra de Colombia”, Universidad del Pácifico, Buenaventura, pp. 1-19.
Restrepo Eduardo, 2005, Políticas de la teoría y dilemas en los estudios de las colombias negras,
Editorial Universidad del Cauca.
Irene Capelli (Università di Torino)
Economie morali e materiali della maternità extra-matrimoniale in Marocco. Immaginari di
genere e relazioni sociali in mutamento
In Marocco, la necessità di sostenere economicamente la propria famiglia dà luogo a forme diverse di
migrazione interna di giovani donne. Questi itinerari riconfigurano le relazioni famigliari e
generazionali, indipendentemente dallo statuto matrimoniale o da legami ‘informali’ con partner
maschili. Le aspettative sociali verso il lavoro e il supporto finanziario – realizzato, aspirato o
mancato – gettano luce sulle ambivalenze legate a queste forme di mobilità ‘autonoma’ di giovani
donne, che, insieme alla dimensione economica della loro lontananza, ne ridisegnano
simultaneamente i ‘confini morali’.
Nei casi che discuterò, partenze e migrazioni ‘multiple’ si sovrappongono alla maternità, che,
collocandosi al di fuori del matrimonio – l’unica cornice ad ammetterla formalmente – impone nuovi
‘accomodamenti’ sociali e famigliari. Non sempre questa condizione si traduce in ‘rotture’ definitive
delle relazioni famigliari, quanto in mutamenti, compromessi o ulteriori ‘investimenti’ sul lavoro
delle ragazze, che, a loro volta, vi basano la potenziale legittimità sociale di ‘madri nubili’. Le
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traiettorie di queste giovani donne rinviano a processi di costruzione di sé che, se si discostano dalle
norme sessuali, di genere e dai locali ‘paradigmi di maternità’ (Browner, Sargent, 1996), li mettono
anche apertamente in discussione, per poi – talvolta – riaffermarli alla luce di ideali di ‘rispettabilità’
precedentemente sovvertiti. Emblematiche, in questo senso, sono le ridefinizioni degli immaginari di
coppia, intimità, amore – in relazione ai ‘padri biologici’ dei loro figli o ad altri partner.
Questo contributo esplora, inoltre, le inedite modalità attraverso cui la stessa categoria – a sua volta
normativa – di ‘mère célibataire’, prodotta in campo non-governativo, viene allo stesso tempo fatta
propria nelle strategie di accesso ai diversi dispositivi di presa in carico e di assistenza socio-sanitaria
rivolti esplicitamente alle ‘ragazze madri’ e ai loro figli. Nell’analizzare criticamente misure che li
rappresentano – in quanto tali – come ‘vulnerabili’ o ‘a rischio’, ci si interroga, quindi, sulle poste in
gioco politiche della dell’emergere di ‘beneficiari’ temporanei, piuttosto che del riconoscimento
sociale di soggetti titolari di diritti.
Lia Viola (Università degli Studi di Torino)
Performatività di genere e comportamento sessuale tra gli uomini gay del Kenya
Analizzando i dati di una ricerca svolta in una piccola città del Sud Africa, Graeme Reid nota come le
coppie omosessuali maschili tendano a conformarsi secondo stereotipi di genere in cui uno dei due
soggetti della coppia svolge il ruolo maschile e l'altro quello femminile. La caratteristica
performativa del genere (Butler 2005) risulta, in questo caso, talmente pervasiva da far sì che anche
la società riconosca i due soggetti della coppia come di genere opposto (Reid 2007).
Similmente Nkunzi Zandile Nkabinde nota come tra gli uomini gay di Soweto vi sia lastessa
attribuzione di genere fondata sul comportamento sessuale. Anche qui l'uomo “mascolino” viene
comunemente considerato eterosessuale (Nkunzi Zandile Nkabinde 2008: 125, 126).
Durante la mia ricerca sul campo in Kenya ho riscontrato, tra gli uomini omosessuali, meccanismi di
costruzione del genere molto simili. I termini swahili usati per nominare la diversità di orientamento
sessuale sono già abbastanza esplicativi di questi meccanismi performativi: -shoga (ma-) indica
l'uomo sessualmente passivo con attitudini più femminili, -basha (-) indica il partner attivo e
mascolino.
I mashoga amano usare il termine mwanamke/wanawake (donna/donne) per descriversi e l'ossessione
per la performance sessuale permea tutti i discorsi quotidiani.
Un caro amico gay usava più volte la metafora sessuale per spiegarmi la sua identificazione di
genere: «sono molto maschile, non potrei permettere a nessuno di toccare il mio sedere» continuava a
dire, identificando così la sua appartenenza di genere a partire dal ruolo svolto nel rapporto sessuale.
Sembrerebbe dunque che tra gli uomini gay del Kenya si presentino meccanismi simili a quelli
riscontrati in Sud Africa: la costruzione del genere, bel lungi dall'essere un fatto biologico, risiede nel
comportamento sessuale.
Riferimenti bibliografici:
Blackwood Evelyn 2008: Transational Discourses and Circuits of Queer Knowledge in Indonesia in
GLQ: A Journal of Lesbian and Gay Studies, Vol. 14, Number 4, pp- 481 - 507
Butler Judith 2005: Scambi di genere. Identità, sesso e desiderio, Milano, Sansoni (1990:Gender
Trouble: Feminism and the Subversion of Identity, New York, Routledge).
Nkabine Nkunzi Zandile 2008: Black Bull, Ancestor and me. My life as a lesbian sangoma,
Auckland Park, South Africa, Jacana Media (Pty) Ltd.
Reid Graeme 2007: How to be a “real” gay. Emerging gay spaces in small-town South Africa, South
Africa, Famlteit der Maatschappj-en Gedragswetenschappen
Viola Lia 2013: Al di là del genere. Plasmare i corpi nel Sud Africa urbano, Milano-Udine, Mimesis
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Omosessualità, omogenitorialità, omofobia
Venerdì 8, ore 10.45-12.45
Aula D2
Cafuri Roberta
Afrocentrismo e omofobia: dall’oblio del passato alla discriminazione negli stati africani
L'intervento si interroga sulle resistenze interne al continente africano nei confronti delle unioni tra
persone dello stesso sesso. L'emergere più recente di nuovi soggetti sociali, con le loro rivendicazioni
anche del diritto a ridefinire la propria identità sessuale, ha spinto gli antropologi a rivedere le
strutture di pensiero proprie, che nel passato hanno informato le etnografie e che sono stati all'origine
di definizioni e pratiche discriminatorie. Dall'invisibilità degli omosessuali sino agli anni Settanta del
Novecento, quando gli antropologi sociali ‘riscoprono' le relazioni maschili, emergono silenzi e
censure sia nello sguardo dei ricercatori, sia nelle risposte o proclami degli Africani, come quello più
recente di Mugabe sull'estraneità dell'omosessualità al continente, poiché sarebbe stata importata
dagli stranieri. Riconsiderando le relazioni coloniali e le etnografie europee e statunitensi dagli anni
Venti agli anni Cinquanta, emergono elementi utili per comprendere incertezze e confusioni nell'uso
di categorie di omosessualità, bisessualità ed eterosessualità in Africa subsahariana. L'analisi
riflessiva ha il suo contrappunto nella critica di alcuni artisti e artiste africane/i contemporanei, come
Manuel Fosso, Bulelwa Madekurozwa e Zanele Muholi, che hanno fatto dell'omosessualità maschile
e femminile il nucleo centrale della loro arte, sfidando pregiudizi presenti sia nello sguardo
dell'osservatore sia all'interno delle correnti artistiche del continente.
Claudia Pandolfo (Università degli Studi di Milano Bicocca)
Il matrimonio tra donne in Africa sub sahariana
Sebbene spesso etichettato come fenomeno bizzarro in cui le donne prendono il posto in modo
“imperfetto” degli uomini, attraverso i casi etnografici di Nne Uko (McCall, 1996) e delle Sangoma
sudafricane (Morgan & Ried, 2003), vedremo come il matrimonio tra donne in Africa si configuri
come uno strumento culturale “ecologico” che permette la gestione di alcune forme di marginalità
legate alla riproduzione e alla sessualità e, sfidando i ruoli familiari e i modelli di riproduzione
biologica e culturale così come sono correntemente intesi, rende possibili modelli familiari e
genitoriali inusuali nelle società occidentali. Fondato su un meccanismo di posizionalità che consente
agli individui di occupare posizioni fisse sulla base della propria capacità di negoziarne e soddisfarne
i requisiti di accesso, il matrimonio tra donne permette di ripensare il rapporto tra antropopoiesi e
genere e di riconsiderare strumenti euristici e presupposti epistemologici spesso sentiti come naturali,
tra cui le dicotomie maschio-femmina e natura-cultura.
Riferimenti bibliografici:
Arnfred, S. (2004). Re-thinking Sexualities in Africa. (S. Arnfred, Ed.) Uppsala, Sweden: The Nordic
Africa Institute.
Greene, B. (1998). The Institution of Woman-Marriage in Africa: a Cross-Cultural Analysis.
Ethnology , 37 (4), 395-412.
III Convegno ANUAC
Pagina 40
McCall, J. C. (1996). Portrait of a Brave Woman. American Anthropologist , 98 (1), 127-136.
Morgan, R., & Reid, G. (2003). "I've got two men and one woman": ancestors, sexuality and identity
among same-sex identified women traditional healers in South Africa. Culture, Health & Sexuality ,
5 (5), 375-391.
Njambi, W. N., & O'Brien, W. E. (2000). Revisiting "Woman-Woman Marriage": Notes on Gikuyu
Women. NWSA Journal , 12 (1), 1-23.
Rosa Parisi (Università di Foggia)
Frontiere mobili del cambiamento. Famiglie omogenitoriali in Italia
La realtà contemporanea oltre alla pluralità dei modelli familiari si caratterizza per la velocità con cui
i principi ritenuti alla base della famiglia (residenza, filiazione, condivisione di sostanze comuni,
bi-genitorialità, principio eterosessuale) vengono trasformati, superati e messi in questione, in
un’incessante opera di spostamento della frontiera della pensabilità, desiderabilità, giuridicità e
riconoscibilità delle relazioni primarie in un modello coerente e coeso del “vivere assieme”.
L’intervento propone una riflessione sulle famiglie omogenitoriali in Italia a partire dai primi dati di
una ricerca iniziata nel 2011. In una prima parte verranno analizzati i temi più rilevanti emersi
dall’etnografia, in particolare quelli connessi alla costruzione della genitorialità omosessuale e alla
produzione delle relazioni parentali a partire da una coppia omosessuale. Mi soffermerò su ciò che
possiamo definire “narrazione delle origini”, la concettualizzazione della filiazione omoparentale,
che, come afferma Anne Cadoret (2008), trova lo spazio per la sua pensabilità e il suo riconoscimento
culturale e giuridico a partire dalla caduta della “finzione biologica” della filiazione e il suo
passaggio alla dimensione sociale.
Nella seconda parte approfondirò due aspetti teorici rilevanti nel dibattito nella parentela
omosessuale che attengono, il primo al principio eterosessuale, colto nel suo slittamento da principio
pratico entro cui si radica la procreazione a dispositivo culturale, etico, sociale e giuridico (almeno in
Italia) di costruzione della parentela, nonché espressione simbolica di una società gerarchizzata ed
eterosessista; il secondo aspetto è relativo all’intreccio fra il livello legale e il livello pratico, affettivo
ed emotivo nella costruzione e nel riconoscimento delle relazioni omoparentali.
Riferimenti bibliografici:
Cadoret A. (2008), Genitori come gli altri. Omosessualità e genitorialità, Feltrinelli, Milano.
Katz J. N. (1995), The invention of etherosexuality, Chicago University Press, Chicago.
Paris. R., (2013), Eterosessualità in briciole. Le famiglie omogenitoriali e la fabbrica della parentela,
in Corbisiero F. (a cura di), Comunità omosessuali. Le scienze sociali sulla popolazione LGBT,
Milano, Franco Angeli.
Simonetta Grilli (Università degli Studi di Siena)
Altre famiglie. Famiglie e parentele omogenitoriali in Italia
L'omogenitorialità, nonostante l'invisibilità istituzionale in cui è ancora relegata, soprattutto in Italia,
interpreta in modo paradigmatico alcune delle trasformazioni che investono nel loro complesso i
sistemi familiari e parentali delle società contemporanee. La si può assumere come un
“evidenziatore” di tendenze più ampie che richiamano il primato della dimensione affettiva e della
scelta individuale nella formazione delle famiglie e delle parentele, implicano l'affermarsi di nuove
modalità di “costruzione” del legame di filiazione, a partire dalla dissociazione fra sessualità e
procreazione, e quella fra riproduzione biologica e riproduzione sociale, dissociazione incentivata
dalle tecnologie della procreazione medicalmente assistita.
III Convegno ANUAC
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L'intervento presenta i risultati di una ricerca tuttora in corso di svolgimento con le famiglie
omogenitoriali italiane che fanno capo all'Associazione Famiglie Arcobaleno, che dal 2005 riunisce
genitori e aspiranti genitori omosessuali (gay e lesbiche) e che al momento conta circa 300 famiglie.
Partendo dall'analisi dei differenti percorsi che i genitori omosessuali (coppie o single gay o lesbiche)
hanno seguito per dare vita alla propria filiazione (da unione eterosessuale interrotta con successiva
ricomposizione in coppia omosessuale, da co-genitorialità, tramite il ricorso alle tecniche della
procreazione medicalmente assistita) si individuano in primo luogo le principali formule familiari
corrispondenti. Queste ci offrono l'opportunità per riflettere sul significato della filiazione nella
definizione dell'identità individuale e di coppia, sul rapporto fra orientameno sessuale, modelli di
genere e riproduzione, sull'impatto che le tecnologiche e i saperi medici hanno nella ridefinizione dei
legami di parentela, sulla riconsiderazione della complementarietà dei sessi e dei generi nella vita
familiare. Una particolare attenzione viene riservata da un lato alle pratiche della multigenitorialità,
sia nei contesti di di ricomposizione che di co-genitorialità, dall'altro alle relazioni con donatori,
donatrici, gestanti (nel caso di coppie che hanno fatto ricorso a inseminazioni e alla cosiddetta
gestazione per altri) che da attori anonimi della procreazione risultano via via investiti di un ruolo
(statuto) e di una visibilità più ampia come dimostra un recente dibattito che si è svolto dentro
l'Associazione Famiglie Arcobaleno.
III Convegno ANUAC
Pagina 42
Ricomposizioni famigliari, memoria, trasmissione di
saperi
Venerdì 8, ore 10.45-12.45
Aula C1
Claudia Guendalina Sias (Università degli Studi di Cagliari)
Famiglie dislocate e identità relazionali tra Sardegna rurale e Albania settentrionale
Obiettivo dell’intervento è analizzare il nodo che lega migrazione e ruralità nello specifico caso degli
itinerari dall’Albania alla Sardegna. I percorsi che sono stati individuati e che saranno presentati ne
privilegiano il carattere familiare, interpretando il migrante come la parte mobile di un nucleo
familiare dislocato.
Il considerare il nucleo familiare come specifico oggetto di attenzione ha consentito di prendere in
esame, con una metodologia di ricerca multisituata, l’insieme degli spostamenti e delle migrazioni
interne che lo hanno caratterizzato sino all’esito della partenza all’estero di uno o più dei suoi
membri.
Nel corso dell’intervento ci si concentrerà principalmente sul caso di due famiglie emigrate dal nord
dell’Albania ad una zona interna della Sardegna, il cui percorso è curiosamente segnato da
un’analogia tra il nome della regione di origine, Malësi e Madhe (Montagna Grande), e quello della
regione di approdo, Monte Acuto. I nomi di queste zone montane segnano una parabola di similarità,
ripresa anche nelle narrazioni di migranti e datori di lavoro sardi i quali, nella descrizione reciproca,
giocano con i registri della somiglianza e della differenza.
Si presenterà il contesto di emigrazione e quello del ritorno estivo, quando le due famiglie di origine,
residenti ora a Scutari, la città più grande dell’Albania settentrionale, vedono ricomporsi il nucleo
familiare. Nel mese di agosto i familiari lontani convergono nuovamente nelle case dei genitori
dando vita ad una straordinaria concentrazione di persone e attività sotto lo stesso tetto,
concentrazione che fa sì che i quartieri delle città e dei paesi albanesi si ripopolino e la vita sociale
presenti un’intensità assente nel resto dell’anno. Seguendo il ritorno dei componenti mobili del
nucleo familiare migrante, si esaminerà come i periodici incontri vadano a modificare
profondamente, sebbene per un lasso di tempo molto circoscritto, il tessuto sociale di origine.
Riferimenti bibliografici:
Fuga A., 2000, Identités périphériques en Albanie. La recomposition du milieu rural et les nouveaux
types de rationalité politique, Paris, L’Harmattan.
King R., Mai N., 2009, Out of Albania. From crisis migration to social inclusion in Italy, New York Oxford, Berghahn Books.
OIM, Melchionda U. (a cura di), 2003, Gli albanesi in Italia. Inserimento lavorativo e sociale,
Milano, Franco Angeli.
Sias C. G., “Altre variazioni stagionali. Immigrati dall’Albania nella Sardegna rurale”, in Bachis F.,
Pusceddu A. M. (a cura di), Storie di questo mondo: percorsi di etnografia delle migrazioni, CISU,
Roma, in corso di pubblicazione.
Sias C. G., 2008, “Dalla parte di chi aspetta. Famiglia dislocata e contesto di origine in un comune
ortodosso dell’Albania centrale”, Cooperazione Mediterranea - Minoranze nel Mediterraneo. Uno
studio multidisciplinare, n. 6 pp. 167-178.
III Convegno ANUAC
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Elena Giusti (Università degli Studi di Torino)
Storie di famiglia: la doppia migrazione italo-rumena
In Romania sono attualmente presenti alcune migliaia di rumeni di origine italiana. La ricerca,
avviata nell'estate del 2011, ha interessato in particolare la comunità italofona di Greci. Qui vivono
migranti nella quasi totalità provenienti da Friuli, Trentino, Veneto, giunti nella seconda metà dell'
800 quando la Romania acquisisce la regione costiera della Dobrugia. Si è trattato di una migrazione
dai numeri ridotti, per certi versi atipica, con un trasferimento da area povera ad altra non ricca, solo
per contingenza storica attraversata da un periodo di espansione economica; migrazione di braccia e
di saperi professionali. I nipoti e i pronipoti di quei migranti sono tornati in Italia e hanno scelto
quale approdo il Piemonte. Come quasi sempre avviene, il rischio di una perdita identitaria, fra chi
vive oggi in Romania, ha segnato anche in questo caso la nascita di un’ embrionale politica di
patrimonializzazione, allo stato attuale agita attraverso l'intensificarsi della presenza attiva entro
organizzazioni culturali (di discutibile segno politico) a sostegno degli emigrati italiani. Coloro che
vivono attualmente in Italia partecipano del transnazionalismo per quanto riguarda gli spostamenti
frequenti e temporanei fra i due paesi di parenti e congiunti, affidano le relazioni amicali all’uso del
web, ma non paiono soffrire di alcuna sindrome di “sradicamento”, velatamente presente nel racconto
dei loro genitori nati in Romania. Nel volgere di due generazioni l’autorappresentazione ci pone di
fronte a un atteggiamento cosmopolita (Hannerz 2001) che ha sostituito il senso di appartenenza a
due differenti realtà (Glick-Schiller et Al., 1995).
Riferimenti bibliografici
M. E. Giusti, S. Lelli, A. Pieroni, “Semo 'taliani, parlemo talian”. Emigrate italiane di terza
generazione in Romania, Antropologiche, Firenze (DVD), 2012
C. Iordachi, Citizenship, Nation and State-Building: The Integration of Northern Dobrogea into
Romania, 1878-1913, The Carl Beck Papers in Russian & East European Studies, 2002
A. Pieroni, Cassandra L. Quave, M.E.Giusti, N. Papp, “We are Italians!”. The Hibrid Etnobotany of a
Venetian Diaspora in Eastern Romania, Human Ecology (2012) 40: 435-451
G. Vignoli, Gli italiani dimenticati: minoranze italiane in Europa. Saggi e interventi, Milano, Giuffrè,
2000
Margherita Di Salvo (Università di Basilicata)
Migrazioni, famiglie, generazioni: la trasmissione della lingua in alcune comunità italiane
d’Inghilterra
Spazio di continuità o spazio di rottura, le famiglie migranti si configurano come il luogo decisivo in
cui si gioca la partita per il mantenimento e la trasmissione dei valori della società di partenza e
l’acquisizione di quelli proposti dalla società ospite (Mocciaro – Paternostro – Pinello 2012, Di Salvo
in stampa): il risultato di tale partita è spesso costituito da quelle tensioni intergenerazionali che la
bibliografia antropologica ha evidenziato (Luykx 2005). La frattura linguistica e culturale tra
migranti di generazioni diverse ha imponenti risvolti sul piano dell’identità e condiziona le dinamiche
di integrazione nel Paese di arrivo: dunque, se studiato a partire da singole realtà familiari, il processo
di cambio linguistico assume valenze identitarie che consentono di ricostruire i percorsi identitari dei
migranti e fornire una lettura alternativa alle dinamiche intergenerazionali.
In questo contributo, la nostra attenzione è rivolta alla trasmissione della lingua, considerata nella sua
duplice veste di strumento per la comunicazione intergenerazionale e come simbolo identitario.
III Convegno ANUAC
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Il contesto della ricerca è rappresentato dalle comunità italiane di Bedford, Cambridge e
Peterborough (Inghilterra), in la sottoscritta ha svolto prolungate osservazioni partecipanti e raccolto
oltre 120 interviste con migranti di I e II generazione (cfr. Di Salvo 2012).
Nel presente studio, sono stati analizzati i valori simboli associatici alle lingue che compongono il
repertorio linguistico dei migranti (italiano, dialetto e inglese), le loro ideologie linguistiche e
l’influenza di queste nelle dinamiche intra-familiari e intergenerazionali. Si mostrerà come, da un
lato, la mancata condivisione di una lingua comune è vissuta dai genitori come simbolo della perdita
del loro ruolo di agenti primari nella socializzazione e acculturazione dei figli e come, dall'altro,
questi ultimi finiscono con il percepire una rottura incolmabile rispetto ai genitori.
Riferimenti bibliografici:
Di Salvo M. (in stampa). Rotture e continuità in alcune famiglie italiane in Inghilterra, in
Multilinguismo in contesto migratorio. Metodologie e progetti di ricerca sulle dinamiche linguistiche
degli italiani all’estero, a cura di Rosanna Sornicola, Paola Moreno e Margherita Di Salvo, Aracne:
Roma, in stampa.
Di Salvo M. (2012). “Le mani parlavano inglese”: percorsi linguistici e culturali tra gli italiani
d’Inghilterra. Roma: Il Calamo.
Luykx A. (2005). Children as Socializing Agents: Family Language Policy in Situations of
Language. In Cohen J., McAlister K. T., Rolstad K., MacSwan J. (a cura di), Proceedings of the 4th
International Symposium on Bilingualism, Somerville, MA: Cascadilla Press, pp.1407-1414.
Mocciaro E., Paternostro G., Pinello V. (2012): Quale italiano per quali parlanti? Processi di
trasmissione linguistica familiare nella Sicilia contemporanea fra usi predicati e usi praticati. In
Telmon T., Raimondi G., Revelli L., a cura di, Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e postunitaria.
Atti del XLV Congresso internazionale della Società di Linguistica Italiana Aosta/Bard/Torino, 26-28
settembre 2011, pp. 579-592.
Cesare Pitto e Loredana Farina (Università della Calabria)
Famiglia, educazione e scuola in situazione di insularità: aspetto triadico di una antinomia
socio-culturale. Esperienze sul terreno
L’insularità è questione che implicitamente e in maniera dichiarata, come di recente è emerso in
diversi ambienti di ricerca, è diventata configurazione d’interesse precipuo della ricerca
etno-antropologica (Cfr. Gabriella Mondardini e Alessandro Simonicca).
In questi termini, infatti, le realtà isolane si propongono all’attenzione dell’elaborazione operativa,
come luoghi dove è possibile interpretare le dinamiche degli incontri fra identità che si situano nella
complessità socio-culturale, in collettività di piccola scala.
Il riferimento esplicito è alle ricerche che hanno investito sul piano della sua continuità l’itinerario
operativo nel paesaggio sociale delle realtà insulari, con particolare attenzione alle profonde e,
talvolta, devastanti trasformazioni del tessuto sociale, economico e culturale, secondo un archetipo
semiologico proprio dell’estesa produzione scientifica di Clifford Geertz (Oltre i fatti).
In questo contesto si propone l’interpretazione dell’emergere di specificità delle condizioni
socio-culturali, delle relazioni tra famiglia e scuola, come risultato emergente dei processi di
cambiamento determinati dalle metamorfosi del conteso socio-culturale, sottoposto alle spinte
disgregatrici dell’emigrazione e delle pratiche del turismo.
Nelle realtà di Stromboli e di Ustica, abbiamo osservato, infatti, che l’antinomia famiglia/scuola si è
andata regolarmente svincolandosi dal più vasto processo educativo, come emerge dagli scritti di
Luigi Salvatore d’Austria, per Stromboli, o dall’esperienza di Antonio Gramsci durante il confino ad
Ustica. L’educazione, con tutte le carenze registrabili, diventa la devastante testimonianza del declino
sociale e culturale di queste comunità, condannate a subire una “condizione” di dipendenza dalle
correnti economiche, che subordinano queste collettività.
III Convegno ANUAC
Pagina 45
Le fasi della ricerca insulare della cattedra di antropologia culturale dell’Università della Calabria si
sono sviluppate in un itinerario che va dalla preindagine conoscitiva alla ricerca di interesse
internazionale, con produzioni documentaristiche.
La comparazione con gli studi di settore che in questi anni hanno indagato le particolarità insulari, ha
permesso alla ricerca sul terreno condotta dalla cattedra di sviluppare uno specifico interesse su due
aspetti preminenti delle strutture educative: la famiglia, nei suoi aspetti di relazione con i più giovani,
e la scuola, tanto negli aspetti istituzionali quanto in quelli di proposta educativa.
Le interpretazioni dei dati raccolti negli anni, infatti, hanno fatto ritenere interessante l’ulteriore
sviluppo del progetto attraverso la verifica delle situazioni educative insulari: in una prima fase, si è
proceduto ad un intervento nella relazione, anche conflittuale, con l’istituzione scolastica; in una
seconda fase è stata promossa una convenzione con gli enti e le istituzioni educative territoriali
(Istituto Comprensivo Isole Salina, Consiglio di Delegazione di Stromboli, Comune di Ustica, ecc.);
nella terza, invece, in corso di svolgimento, si sta concretizzando un rapporto con le associazioni
educative locali, ad esempio, con “La scuola in mezzo al mare”, a Stromboli, per la realizzazione di
un laboratorio creativo permanente che operi fuori della scuola, ma in relazione con essa.
Da questo processo articolato di itinerario antropologico è scaturita l’indicazione operativa per un
handbook sulle esperienze maturate e sui risultati, in termini di concreta affermazione nelle
esperienze educative, come è stato registrato da Massimo Squillacciotti, con il Laboratorio di
Didattica e Antropologia dell’Università di Siena, per altre situazioni laboratoriali.
III Convegno ANUAC
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Dalla nascita alla morte. Prendersi cura del corpo in
contesti famigliari
Venerdì 8, ore 14.15-16.15
Aula C1
Miriam Castaldo (UOS di Salute Mentale dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle
popolazioni Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà (INMP), Roma).
Vincoli di latte e genitorialità migranti latinoamericane
L'allattamento durante i primi 6 mesi post-partum ha benefici nutrizionali,
immunologici e psicologici sul bambino e sulla relazione con la madre, tuttavia in
alcuni contesti è infrequente (Guerrero et al., 1999, Rapid ethnographic
assessment of breastfeeding practices in periurban Mexico City; Street et al.,
2013, The Influence of Culture on Breast-Feeding Decisions by African American
and White Women). Infatti, numerosi studi (Castaldo, 2004, Susto o espanto. En
torno a la complejidad del fenómeno; Lewando Hundt et al., 1993, Interfacing
anthropology and epidemiology: the Bedouin Arab infant feeding study; Mull,
Mother's milk and pseudoscientific breastmilk testing in Pakistan; Skeel et al.,
1988, Mexican cultural beliefs and breastfeeding:a model for assessment and
intervention) hanno dimostrato l'interruzione della pratica di allattamento
dovuta soprattutto a specifici fattori riconducibili al sistema socio-culturale e
storico di riferimento.
Intorno alla pratica dell'allattamento- avvenuto, interrotto o rifiutato -in alcuni
ambiti latinoamericani, come il Messico, si costruisce il corpo e la salute dei
bambini prima e degli adulti poi, poiché il latte materno, in determinate
condizioni, è suscettibile di essere considerato veicolo di specifiche malattie e
sofferenze psico-fisiche. L'eredità di tali sofferenze si manifesta sul corpo del
bambino fin dai primi mesi di vita e per evitare che tali circostanze si verifichino,
le madri smettono di allattare. Se il sistema eziologico-terapeutico di riferimento
è in grado di significare tali malattie e sofferenze infantili e un latte diventato
“cattivo” o “acquoso” a causa di un susto, della perdida de la sombra materna o
di sentimenti come la muina, l'enojo o il coraje, in Italia nell'ambito dei codici
dell'allopatia l'interruzione di tale pratica, e le sue conseguenze, non sono
riconoscibili, sono anzi snaturate attraverso la violenza epistemologica
(Beneduce, 2013, Illusioni e violenza della diagnosi) della “diagnosi di incuria”.
Francesco Zanotelli e Maria Antonietta Alessandri (Università di Messina)
La cura negoziata. Parenti, badanti e operatori del servizio pubblico nelle pratiche di
assistenza domiciliare agli anziani in un comune del Centro Italia
La specificità del 'dispositivo' di cura domiciliare all'anziano non autosufficiente
III Convegno ANUAC
Pagina 47
in Italia (composto prevalentemente da badanti straniere, parenti, assistenti
domiciliari del servizio pubblico) appare di particolare importanza nella
demografia e antropologia dell'età anziana, perché in queste specifiche pratiche
della cura si palesano contemporaneamente tre aspetti che in altre nazioni non
coincidono: l'accentuato invecchiamento della popolazione; la specifica
dimensione morale dell'obbligazione alla cura parentale intergenerazionale; un
modello politico di welfare-state 'mediterraneo' basato sulla sussidiarietà tra lo
stato e la parentela.
Alcune delle ricerche di antropologia delle migrazioni in Italia condotte negli
ultimi quindici anni hanno posto l'accento sulla funzione che le lavoratrici
straniere hanno nel garantire la forza e durata della triplice connessione che
abbiamo citato. Disponiamo così di una notevole mole di studi sulle 'badanti',
una parziale presenza di studi antropologici sulla parentela e l'assistenza, una
quasi totale assenza di ricerche etnografiche sulla prospettiva istituzionale alla
cura domiciliare. Riteniamo che sia perciò importante fare un passo ulteriore,
cercando di unificare le prospettive di analisi.
In quest'ottica, il nostro intervento vuole dare conto di un particolare aspetto –
quello dei discorsi e delle pratiche intorno alle transazioni economiche legate
all'assistenza– emerso durante una più ampia ricerca sulla cura domiciliare agli
anziani non-autosufficienti in un medio comune dell'Emilia Romagna. Applicate
all'ambito della cura domiciliare, le logiche economiche del mercato, della
redistribuzione e della reciprocità appaiono rimescolarsi producendo degli
interessanti corto-circuiti concettuali utili a comprendere i diversi punti di vista e
le diverse aspettative dei care-givers intorno al significato di 'cura'. Le
incomprensioni così come le potenziali sinergie mostrano come quello
dell'assistenza domiciliare sia un ambito di negoziazione denso e
multidimensionale, estremamente fertile in termini euristici così come in una
prospettiva applicativa e di impegno del ricercatore.
Riferimenti bibiografici
Grilli S., Zanotelli F. (a cura di) (2010). Scelte di famiglia. Tendenze della
parentela nell'Italia contemporanea. Pisa: ETS, p. 1-283, ISBN: 9788846729194.
AM. Rivista della Società Italiana di Antropologia Medica, numero monografico su
“Presenze internazionali. Prospettive etnografiche sulla dimensione fisico-politica
delle migrazioni in Italia”, a cura di G. Pizza e A.F. Ravenda, nn. 33-34, ottobre
2012.
Heady P., Grandits, H., Kohli M., Schweitzer P. (eds) (2010). Family, Kinship and
State in Contemporary Europe (3 Volumes). Frankfurt: Campus Verlag.
Joseph Troisi, Hans-Joachim von Kondratowitz (eds.) (2013). Ageing in the
Mediterranean, Bristol: Policy Press.
Hochschild R. A. (2006). Per amore o per denaro. La commercializzazione della
vita intima, Bologna: Il Mulino.
Vianello F. (2009). Migrando sole. Legami transnazionali tra Ucraina e Italia,
Milano: Franco Angeli.
Alessandro Gusman (Università degli Studi di Torino)
Le famiglie e la fatica del caregiving. Note da una ricerca etnografica in una struttura per le
cure palliative
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Pagina 48
Basato su una ricerca iniziata a settembre 2012 presso una struttura per le cure
palliative a Torino, questo paper riflette sul concetto di “cura” come emerso dai
colloqui con i familiari dei pazienti incontrati in hospice.
Le cure palliative, ancora relativamente poco diffuse e conosciute in Italia,
modificano infatti il modo di pensare l'assistenza al malato, e si propongono
come una risposta alla sofferenza del morente, ma anche dei familiari che
devono fronteggiare la fatica (esistenziale, emotiva, fisica) dell'assistenza al
malato in fase terminale.
A partire almeno dal noto lavoro di Norbert Elias (1985), la condizione di
“solitudine del morente” è stata analizzata dal punto di vista sia sociale, che
emozionale ed esistenziale. Meno numerosi sono gli studi che si sono
concentrati invece sulla condizione di solitudine che si trova a vivere la famiglia
durante gli ultimi mesi di vita della persona cara. Il “prendersi cura” è un'attività
che comporta difficoltà e sofferenza fisica ed emotiva per i familiari, e dilemmi
morali, come quello relativo a “dove far morire” il malato (Biehl 2012). E
tuttavia, come evidenziato da Arthur Kleinman (2007), essa si trova al cuore
stesso del nostro essere umani.
A partire dai discorsi dei familiari raccolti durante la ricerca in hospice, e dalla
riflessione teorica elaborata da Kleinman e Van der Geest (2009) sul significato
della “cura” in medicina, il paper mostra in che modo l'esperienza di assistere
un malato terminale modifichi le dinamiche familiari, e come nei rituali
quotidiani della medicazione vengano trasformati i modi di pensare la cura,
l'esperienza morale ad essa connessa, e la vita stessa.
Riferimenti bibliografici:
Biehl, Joao (2012), “Care and Disregard”, in Fassin, Didier (ed.), A Companion to
Moral Anthropology, John Wiley & Sons, Malden, MA: pp. 242-263
Elias, Norbert (1985), La solitudine del morente, Bologna, il Mulino
Kleinman, Arthur (2007), Today's biomedicine and caregiving: are they
incompatible at the point of divorcing?, Leiden, Universiteit Leiden
Kleinman, Arthur, and Van der Geest, Sijak (2009), “'Care' in health care:
Remaking the moral world of medicine”, Medische Anthropologie 21 (1): pp.
159-168
Venerdì 8, ore 16.45-18.45
Aula C1
Riccardo Putti (Università degli Studi di Siena)
Quattro passi nel Post Human
Questa relazione vuole osservare le relazioni familiari sotto l'aspetto della produzione di immaginario
nella contemporaneità. Questa particolare declinazione della tematica verrà focalizzata nello
specifico delle relazioni sempre più intense tra corpo e tecnologie e delle loro implicazioni nella
relazioni familiari e più in generale sociali. In particolare si assumerà come esplicativo il paradigma
del Post Human. Il temine Post Human fu impiegato in una mostra organizzata dal gallerista J. Deitch
nel 1992 (FAE Musée d’Art Contemporain di Pully-Losanna 1992), ma oggi ha assunto un senso più
III Convegno ANUAC
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generale e si delinea come denominazione di riferimento per un area di studi ( N. Katherine Hayles
How we became post human University of Chicago Press. ©1999; Nick Bostrom In defense of Post
Human dignity Bioethics Volume 19 Number 3 2005) Questo paradigma adotta un punto di vista
radicale che ipotizza un cambiamento qualitativo nelle modificazioni del corpo indotte attraverso le
applicazioni dalle due rivoluzioni scientifiche verificatesi alla metà del secolo scorso e dalle loro
implicazioni tecnologiche: la rivoluzione genetica e quella informatico/cibernetica. Dopo una rapida
definizione del post human la relazione si concentra in particolare su alcune opere d'arte e film
cercando di riconoscere quali implicazioni esse hanno nella tessitura dell'immaginario collettivo di un
prossimo futuro. L'analisi del film Gattaca (1997) del regista neozelandese Andrew M. Niccol e del
lavoro dell'artista Kac, in particolare della sua opera GFPBunny/Alba (2000), forniranno l'asse
principale di riferimento per esaminare, nella costruzione di un immaginario, la flessione operata
dalle trasformazioni genetiche nel rapporto parentale e più in generale nei rapporti sociali.
Pino Schirripa (Università di Roma “La Sapienza”)
Famiglie e gestione dei farmaci in un' epoca di incertezza. Strategie globali e tattiche
domestiche in Tigray
Dopo la guerra civile e la sconfitta del DERG (1991), il nuovo governo etiope ha
dato inizio a una politica di liberalizzazione economica. Questa ha coinvolto
anche il settore sanitario che ha visto la nascita di nuove imprese tanto nel
settore clinico che in quello della distribuzione e vendita di farmaci: oggi in
Etiopia nel settore farmaceutico coesistono strutture pubbliche e private.
Il presente contributo intende concentrarsi proprio sull'aspetto della
distribuzione e dell'uso dei farmaci. Il farmaco viene quindi visto come un
oggetto complesso che, ad un tempo, possiede un suo valore d'uso ed un suo
significato simbolico, ma è anche un oggetto di distinzione, bourdianamente
inteso, nel variegato mercato delle terapie (Fassin).
Dopo aver fornito un quadro dell’organizzazione della distribuzione dei farmaci
in Tigray attraverso l’analisi delle politiche dei grossisti pubblici e privati, si
illustrerà il mercato dei farmaci analizzando i differenti tipi di venditori (farmacie
pubbliche e private, drug-shop e rural drug-shop), le ONG, le organizzazioni
caritatevoli e il mercato informale della medicina tradizionale. I diversi attori qui
presentati svolgono ognuno un peculiare ruolo all'interno del sistema
distributivo, che a volte innesca degli effetti paradossali.
Infine, l'autore si concentrerà principalmente su come, a livello domestico, gli
attori si muovano in questo complesso sistema per far fronte ai propri bisogni di
salute. La dimensione domestica permetterà di meglio illustrare le pratiche
quotidiane di cura e prevenzione, fornendo allo stesso tempo un quadro di
come le famiglie si muovano in questo universo. Utilizzando i concetti di
strategia e tattica nell'accezione di De Certau, si mostrerà come l'utilizzo di
tattiche differenti permetta alle famiglie, soprattutto a quelle più svantaggiate,
di muoversi negli interstizi per utilizzare a proprio vantaggio forme e spazi
definiti dalle politiche nazionali e transnazionali e dagli attori privati.
Riferimenti bibliografici:
De Certeau M., 2001, L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma; ed. or.,
L’invention du quotidiane, Gallimard, Paris, 1980.
Fassin D., 1992, Pouvoir et maladie en Afrique. Anthropologie sociale dans la
banlieue de Dakar, P.U.F., Paris.
III Convegno ANUAC
Pagina 50
Keita M., 2007,
A political economy of health care in Senegal, Brill,
Leiden-Boston.
Schirripa P., 2009, «Postfazione. Delle ricette e di altri destini. L’antropologia del
farmaco tra prescrizione, uso e esistenze», in S. Fainzang, Farmaci e società. Il
paziente, il medico e la ricetta, Franco Angeli, Milano: 143-148.
Schirripa P. (ed.), 2010, Health system, sickness and social suffering in Mekelle
(Tigray-Ethiopia), Lit Verlag, Münster.
III Convegno ANUAC
Pagina 51
Pratiche e strategie economiche in contesti famigliari
Venerdì 8, ore 14.15-16.15
Aula F1
Davide Torsello (Università degli Studi di Bergamo)
L’etica della famiglia nelle pratiche del clientelismo: un approccio comparativo
Gli studi antropologici sul clientelismo, in diverse regioni del mondo, hanno più
volte sottolineato come la famiglia, le pratiche e le idee generalmente
conosciute come “familismo” siano alla base sia ideologica che retorica di
scambi illeciti ed illegali. Da una parte il concetto di famiglia viene applicato a
definire lo spazio dei legami sociali in cui traggono origine le pratiche di
clientela. Tale applicazione, in realtà, può essere reale ed effettiva quanto
immaginata ed evocativa. D’altronde, in una prospettiva antropologica non può
essere trascurato il peso dei valori inerenti allo scambio sociale tra famiglie, o
all’interno di esse e dei gruppi di parentela. In questo contributo si mettono in
relazione comparata i risultati di studi etnografici e indagini quantitative
condotte in tre paesi: Italia, Ungheria e Giappone. L’obiettivo primario della
ricerca è quello di analizzare le modalità in cui la famiglia e le idee di “bene della
famiglia” e “interesse della famiglia” sono inserite dagli attori sociali con
processi di significazione culturale nelle pratiche del clientelismo e della
corruzione, rendendo queste fenomeni persistenti e persino moralmente
accettabili.
Riferimenti bibliografici:
D. Torsello, The New Environmentalism? Civil society and corruption in the
enlarged EU, Ashgate 2012
D. Torsello, Potere, legittimazione e corruzione.Introduzione all'antropologia
politica. A. Mondadori, 2009
D.Torsello, Dono, scambio e favore. Fondamenti e sviluppi dell'antropologia
economica. Mondadori-Le Monnier 2007.
Carlo Capello (Università degli Studi di Torino)
Famiglia, capitale sociale e migrazione interna: il caso dei tramontini
La complessità della grande migrazione interna non può che continuare a
suscitare l’interesse dei ricercatori. Gli storici, in particolare, hanno in anni
recenti iniziato a elaborare nuove prospettive di indagine per mettere a fuoco
elementi che l’enfasi sull’inurbamento industriale aveva contribuito a
sottovalutare
(Arru
e
Ramella
2003).
Il
mio
saggio,
di
taglio
storico-antropologico, intende inserirsi in queste nuove linee di ricerca,
soffermandosi sull’emigrazione da Tramonti, un piccolo paese in provincia di
Salerno dove ho condotto indagini sulla famiglia e la parentela (Capello, 2010).
All’interno delle vicende della migrazione interna, l’esodo tramontino presenta,
III Convegno ANUAC
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infatti, caratteristiche molto interessanti: questo intenso flusso migratorio si
distingue per la forza delle catene migratorie e per non essersi diretto “verso la
fabbrica”, inserendosi per lo più nel lavoro autonomo all’interno del settore della
ristorazione, delle pizzerie in particolare.
Le riflessioni che vorrei proporre si legano a queste due caratteristiche. Si è
spesso affermato che il problema del Sud Italia consisterebbe nel “familismo
amorale” – secondo la nota definizione di Banfield; ma cosa distingue in realtà il
familismo meridionale da quel “capitale sociale” che rappresenterebbe la forza
motrice della cosiddetta Terza Italia? Il caso degli imprenditori emigrati
tramontini sembra dimostrare che la distinzione non è così netta e che la
famiglia e lo stesso “familismo” possono tradursi – a seconda del contesto
socioeconomico – in una risorsa utile, per quanto non priva di contraddizioni
(Ghezzi, 2007),
Riferimenti bibliografici:
Arru A. e F. Ramella, a cura di (2003), L’Italia delle migrazioni interne, Donzelli,
Roma.
Capello C. (2010), “Linee, nodi e cerchi. Forme di famiglia in un villaggio
campano”, in S. Grilli e F. Zanotelli, a cura di, Scelte di famiglia, ETS, Pisa.
Ghezzi S. (2007), Etnografia storica dell’imprenditorialità in Brianza, Franco
Angeli, Milano.
Simone Ghezzi (Università di Milano Bicocca)
Famiglia e impresa: un intreccio contraddittorio
Nel riflettere sul tema delle pratiche e strategie economiche in contesti
famigliari viene qui presentato un lavoro etnografico sull’impresa famigliare.
Questo tipo di impresa si distingue per il legame a doppio filo con l’istituzione
famigliare e tutto ciò che concerne la sfera sociale e culturale di questa. Vi è una
contiguità non solo finanziaria, ma anche morale, normativa e cognitiva che la
rendono particolarmente esposta a “interferenze” extraeconomiche. É evidente
che la famiglia e l’impresa esistono per ragioni differenti; i principi che regolano
le attività nel sistema famiglia sono diversi da quelli che governano le attività
imprenditoriali d’impresa. Perciò quando i principi economici e l’economia
morale della famiglia si confrontano tra loro l’imprenditore si trova a dover
gestire problematiche di natura particolare, provenienti non dal mercato, bensì
dalla propria famiglia. Tale confronto segna un punto di non ritorno, a partire dal
quale i nuclei familiari e l’impresa coinvolti non saranno più gli stessi di prima.
La morfologia della famiglia e della parentela coinvolte in un contesto
imprenditoriale può nel tempo alterare delicati equilibri e risultare incompatibile
con una organizzazione tipicamente da piccola impresa, la quale non riesce a
reggersi su strutture genealogiche polinucleari sia per linee discendenti dirette
sia per linee collaterali.
Riferimenti bibliografici:
Ghezzi Simone (2007) Etnografia Storica dell’imprenditorialità in Brianza.
Antropologia di un’economia regionale. Franco Angeli ISBN 9788846487377,
Milano.
Yanagisako, S. (2002). Producing Culture and Capital. Family Firms in Italy.
Princeton University Press, ISBN 0691095108, Princeton, NJ
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Famiglie transnazionali
Venerdì 8, ore 14.15-16.15
Aula D2
Paola Sacchi (Università degli Studi di Torino)
La “giusta vita” e l’onore: famiglie e moralità in migrazione
A partire da un caso estremo, il collasso dell’ordine morale in una famiglia pakistana immigrata in
Italia, sfociato nella violenza omicida di un padre nei confronti della propria figlia, intendo valermi di
suggestioni e riflessioni offerte da varie discipline e prospettive per concentrarmi sul tema più
generale delle concezioni e disposizioni morali e in particolare sul modo in cui si ridefiniscono e
trasformano le sensibilità morali, a livello individuale e collettivo, in relazione all’esperienza di
migrazione ma anche alle trasformazioni della società italiana. Raccogliendo stimoli etnografici che
provengono da contesti diversi e riguardano famiglie e comunità accomunate dall’idea ricorrente che
la rispettabilità sociale della famiglia – spesso espressa in termini di onore – sia affidata in special
modo ai comportamenti virtuosi delle proprie donne, mi propongo di mostrare come per indagare la
tensione morale intorno al giusto modo di vivere, che si manifesta nei conflitti intergenerazionali e
nelle relazioni tra i generi, soprattutto rispetto agli ideali di femminilità, sia necessario collegare
questa tensione ai processi storici, sociali e politici più ampi a cui è strettamente intrecciata, su scala
locale e globale.
La questione è complessa: da un lato la stigmatizzazione di comportamenti e valori da parte della
società più ampia, che legittima l’esclusione sociale, può generare una radicalizzazione identitaria
fondata proprio sugli stereotipi più negativi, come nel caso, per esempio, delle bande di giovani
turchi a Berlino. D’altro canto il sentimento dell’onore sembra in molti casi rimanere al centro della
scena, collegato a una riconfigurazione dei valori ma anche ai meccanismi del riconoscimento
sociale.
Francesco Vietti (Università di Genova)
La strada verso casa. Famiglie transnazionali tra l'Italia e l'Europa post-socialista
L’Albania e la Moldavia sono i due stati europei dove negli ultimi vent’anni
l’emigrazione è stata più significativa: oltre un milione di persone, circa il 25%
della popolazione residente, si è trasferita all’estero. Le ricerche etnografiche
compiute in entrambi i paesi ci mostrano come l’emigrazione di massa abbia
influito in modo molto significativo sulle strutture famigliari, sulle dinamiche di
genere e sui rapporti tra diverse generazioni.
Trasformazioni particolarmente evidenti nelle famiglie transnazionali, i cui
membri si trovano divisi tra diversi paesi: è questo il caso ad esempio delle tante
donne moldave che si trovano in Italia per lavorare come “badanti” e che
periodicamente tornano nei loro paesi d’origine dove continuano a vivere mariti,
figli e genitori anziani. Qui, mentre le case delle migranti vengono ristrutturate
III Convegno ANUAC
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grazie alle rimesse, anche le relazioni tra i famigliari vengono “ristrutturate”, in
un complesso alternarsi di tensioni, negoziazioni, compromessi e dinamiche di
emancipazione.
Anche nelle famiglie albanesi immigrate in Italia i processi legati all’esperienza
migratoria sono particolarmente evidenti: giunte in una fase più “matura” di
insediamento, queste famiglie vivono il delicato passaggio della trasmissione
culturale intergenerazionale. Il passaggio tra la prima e la seconda generazione
implica delicati percorsi di costruzione identitaria, sospesi tra forme di
“mimetismo sociale” e di rivendicazione di una “albanesità” che si esplicita in
occasione dei rientri estivi. Viaggi attraverso cui i giovani italo-albanesi partono
in cerca delle proprie “radici”, costruendo una memoria e un senso per le proprie
biografie famigliari.
Il presente paper, basato su una pluriennale attività di ricerca multisituata
condotta tra Torino, la Moldavia e l’Albania, intende indagare le trasformazioni
avvenute nelle famiglie che hanno vissuto le trasformazioni del periodo
post-socialista attraverso l’esperienza della migrazione in Italia.
Riferimenti bibliografici:
Vietti, F., Portis, L., Ferrero, L., Pavan, A., Il paese delle badanti, SEI, Torino, 2012
Vietti, F., Hotel Albania, Carocci, Roma, 2012
Cristina Bezzi (Università degli Studi di Siena)
Romanian migrating families and “transnational childhood”. Decostructing the moral
discourse about “children left behind”
In this paper the category of “children left behind” will be critically discussed through both the
literature on transnationalism, anthropology and sociology of childhood and the ethnographic
evidences I collected in two rural areas of Romania. I will argue that the official discourse about
children left behind is based on concept of childhood and family that are not universal but culturally
defined. There is a discrepancy between the assumptions embedded on the category and the
ethnographic evidences collected, based mostly on children's perspective.
Moreover, my paper will show that the discourse about children left behind in Romania, is a moral
discourse which blames mothers of children's abandonment to hide the responsibilities of the State
that in fact has left the families on their own. Using ethnographic evidence, I will present some case
studies highlighting how the situation of children with one or both parents leaving abroad varies.
Although the emotional struggle caused by the distance is not something which can be easily
alleviated, the intensity of this affliction depends often on their family background.
Moreover, the role of children within transnational families is not passive but active, not static but
dynamic and often children experience different positions and roles within the family, as well as
different locations in space, at home and in host countries. Observing the circulatory migration
patterns of the households of my analysis, I conclude, therefore, that it is perhaps more appropriate to
define those children transmigrants more than left behind and refer to their childhood as
transnational.
Nevertheless, the transnationalism of their lives, as well as their parents’ lives, it is not described here
as much as an opportunity rather as a necessity. To improve life conditions of these children, the
focus of the political agenda should therefore be based not only on children left behind, but also on
their families who are forced to migrate in order to survive.
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Venerdì 8, ore 16.45-18.45
Aula D2
Martina Giuffré (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)
La famiglia capoverdiana nella diaspora: matrifocalità transnazionale e nuove relazioni di
genere
Negli ultimi anni la crescente emigrazione femminile indipendente e l’adozione
di una prospettiva di genere negli studi migratori ha portato a focalizzare
l’attenzione sul ruolo della componente familiare dei flussi migratori, in
particolare, sulle cosiddette “famiglie transnazionali” e sui rapporti economici e
affettivi che si giocano tra individui dislocati territorialmente. Il caso di Santo
Antão, nell’arcipelago capoverdiano, dove ho svolto la mia ricerca di campo dal
2001 al 2003, è emblematico a questo riguardo. In quest’isola la migrazione
femminile indipendente ha assunto una sempre maggior importanza a partire
dal 1970 ribaltando il precedente modello di emigrazione maschile. Questo
cambiamento non ha tuttavia destrutturato il modello matrifocale presente
nell’isola ma lo ha rinforzato nello stesso tempo cambiando le sue
caratteristiche. Da una parte, infatti, l’emigrazione femminile ha rafforzato la
matrifocalità in quanto i figli delle donne migranti vengono affidati ad altre
donne della comunità, consolidando pratiche sociali matrifocali fortemente
radicate nella società capoverdiana. Sono queste donne che ricevono e
gestiscono le rimesse inviate dalle migranti e che assumono il ruolo di capi
famiglia locali. Dall’altra l’emigrazione femminile ha destabilizzato il potere
patriarcale portando a una crescente tensione nelle relazioni di genere e a una
loro rinegoziazione in quanto le donne, grazie al nuovo potere economico e
all’accesso alla mobilità, hanno acquisito un nuovo status sociale e sono
diventate capo-famiglia a distanza in tutti i sensi, creando così un “triangolo
transnazionale” femminile, in cui gli uomini vengono bypassati. Si assiste in
questo modo a uno slittamento da una matrifocalità caratterizzata da una forte
dominio maschile a una nuova matrifocalità transnazionale che si basa
sull’indipendenza della donna e che porta a una profonda rinegoziazione sia
delle relazioni di genere che di quelle intergenerazionali.
Riferimenti bibliografici:
Lisa Åkesson, Jørgen Carling, Heike Drotbohm (2012), “Mobility, Moralities and
Motherhood: Navigating the Contingencies of Cape Verdean Lives”, in Journal of
Ethnic and Migration Studies , 38 (2), pp 237-260.
Heike Drotbohm (2012), The promises of co-mothering and the perils of
detachment: a comparison of local and transnational Cape Verdean child
III Convegno ANUAC
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fostering, in Alber E., Martin J. and Notermans C. (eds), Child Fosterage in West
Africa: New Perspectives on Theories and Pratices, Brill.
Martina Giuffrè (2007), Mulheresqueficam e mulheresquemigram: dinâmicas
duma relaçãocomplexanailha de Santo Antão (Cabo Verde), in M. Grassi, I.Evora
(eds), Género e Migração, ICS.
Martina Giuffrè (2007), Donne di Capo Verde. Esperienze di antropologia
dialogica a Ponta do Sol, CISU.
Martina Giuffrè (2012), Cape Verdean Female Migration and the New
Transnational Matrifocal Families. “TlNetwork e-working papers” nº3/2012. July
2012. http://www.tlnetwork.ics.ul.pt/wpseries.
Sara Settepanella (Università degli Studi di Napoli "L’Orientale")
Famiglie in transito. Genere e rapporti familiari nelle relazioni sentimentali tra uomini italiani
e donne romene
I rapporti familiari frutto delle relazioni tra italiani e romene sono l'oggetto di questo studio, esito
dell'analisi preliminare dei risultati della ricerca di dottorato in corso sull'argomento. Questa scelta di
campo è dettata non solo dalla rilevanza quantitativa di unioni che anche a livello nazionale
avvengono per lo più tra donne straniere e uomini italiani, ma anche dalle posizioni occupate dalle
donne nelle geografie di potere internazionale che determinano accessi differenziati al mercato del
lavoro e al tessuto sociale di arrivo. La ricerca ha tentato di trattenere entrambi i luoghi attraversati
dalle coppie, considerando per l'Italia il caso della provincia di Pescara e Teramo e per la Romania le
regioni del Banato, Maramures e Moldavia. Si cercherà in primo luogo di delineare quali forme
assumono queste famiglie in una dimensione transnazionale. Si considereranno le dinamiche di cura,
di educazione dei figli e di circolazione di beni e risorse calandoli negli spazi geografici e sociali in
cui queste avvengono. Verranno analizzati i percorsi di residenzialità della nuova famiglia ma anche
di mobilità nello spazio transnazionale che si ipotizza essere continua o per meno iscritta in
rappresentazioni di possibilità o capitale sociale. Inoltre si verificherà quanto il percorso migratorio
della partner femminile influenza la struttura della coppia. Come si modificano i progetti migratori in
seguito allo stabilirsi della relazione. Come si organizzano i tempi del lavoro domestico ed
extra-domestico. Infine come i tempi stessi della relazione siano modellati sulla fragilità della
migrante nell’ottenere tutele legali e diritti. In ultimo si cercherà di delineare quanto queste nuove
famiglie siano espressione del mutamento nei rapporti tra i generi sia in Italia che nei paesi di
provenienza delle donne. Si considereranno per questa ragione sia le ragioni che emicamente i
soggetti pongono a spiegazione della scelta esogamica, sia le ridistribuzioni di compiti e pratiche
all’interno del ménage.
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Biografie e memorie intergenerazionali
Venerdì 8, ore 14.15-16.15
Aula F5
Alice Bellagamba (Università degli Studi Milano Bicocca)
Biografie familiari e memorie della schiavitù in Africa Occidentale: un campo d’indagine
aperto
Nella varietà delle sue forme e delle denominazioni antropologiche utilizzate per
descriverle, la famiglia è uno dei pilastri delle società africane del passato e del
presente e argomento centrale nella ricerca africanistica. Eppure lo studio delle
famiglie – nelle loro ramificazioni spaziali e temporali – rimane un ambito poco
esplorato, forse perché richiede di incrociare competenze storiche e
antropologiche, abbandonando le lenti etniche che continuano a dominare il
panorama degli studi, nonostante le riflessioni critiche degli ultimi vent’anni.
Con il ricorso a materiali d’archivio e fonti orali, questo contributo considera un
gruppo di famiglie, che traccia la propria origine da MacCarthy Island, una
piccola isola al centro del fiume Gambia (Africa Occidentale). Nei primi decenni
dell’Ottocento, MacCarthy Island divenne una base per l’espansione degli
interessi commerciali britannici verso l’interno della regione e rifugio per donne
e uomini in fuga dalla devastazione della guerra e del commercio in schiavi sulla
terraferma. Due domande guidano l’analisi: quali sono i vantaggi della biografia
familiare come strumento per ricostruire un passato altrimenti dimenticato di
schiavitù ed emancipazione? Le vicende di quest’isola e delle persone che vi si
rifugiarono sono espressione di più ampi processi all’epoca in corso in altre parti
dell’Africa occidentale?
Riferimenti bibliografici:
A. Bellagamba, S. Greene, M. Klein (eds.), African Voices on Slavery and the
Slave Trade. Vol 1: The Sources (Cambridge, 2013), A. Bellagamba, S. Greene, M.
Klein (eds.), The Bitter Legacy. African Slavery Past and Present (Princeton,
2013). Forthcoming: A. Bellagamba, S. Greene, M. Klein (eds.), African Voices on
Slavery and the Slave Trade. Vol 2: The Methodology (Cambridge, forthcoming);
A. Bellagamba, S. Greene, M. Klein (eds.), Looking for the Tracks. New
Perspectives on African Slavery, Slave Trade and Abolition (Africa World Press,
forthcoming).
Marinella Carosso (Università di Milano Bicocca)
La Memoria famigliare: riflessioni europee
La ricostituzione delle relazioni di parentela attraverso la ricerca sul campo costituisce un oggetto di
III Convegno ANUAC
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studio e un metodo di ricerca fra i più classici dell’antropologia.. Dopo essere stata a lungo, e
secondo certe scuole, un’esperienza inevitabile per un ricercatore, in questi ultimi decenni sembra
essere meno praticata. Il concetto di “genealogia”, ripreso un po’ troppo rapidamente dalle élites
europee, è stato applicato ad altri ambienti europei e ad altre società extra-europee con poche
riflessioni critiche. Ciò, sia da parte degli antropologi che degli storici.
Quando gli studi sulle terminologie della parentela sono riusciti a percorrere altre vie oltre a quella
del “genitivo sassone”, sono emerse le memorie dei famigliari e dei parenti. La parola-azione del
“parler famille”, il felice titolo di un articolo del 1970 di Tina Jolas, Yvonne Verdier e Françoise
Zonabend, segna, circa mezzo secolo dopo Rivers, un rinnovamento epistemologico. Tale articolo è
stato spesso ripreso passivamente ma poco discusso. In anticipo sui tempi, “parler famille” ha
associato la memoria delle generazioni con la memoria degli oggetti e ha dato luogo a un uso sociale
dell’antropologia le cui implicazioni restano da analizzare e da valorizzare.
La mia comunicazione si dà come obiettivo di avviare una riflessione epistemologico-comparativa su
tali questioni a partire principalmente da casi di studio europei. Prenderò in considerazione etnografie
in cui la memoria del “parler famille” è fluente – com’è il caso della Borgogna –, altre in cui tace –
la “généalogie muette” in Sardegna – o non interessa - Langhe -, altre in cui è diventata un hobby –
Irlanda.
Riferimenti bibliografici:
CAROSSO, M. 2006, La Généalogie muette. Résonances autour de la transmission en Sardaigne,
Paris, CNRS éditions et éditions Maison des Sciences de l’Homme.
Valeria Trupiano (Università degli Studi di Napoli " L’Orientale ")
L’uso politico della “parentela genetica” e il caso di Talana
Discuto il rapporto tra genetica e genealogia e il ruolo che questa fortunata combinazione sta
assumendo nell’ambito delle politiche identitarie. Dopo aver esposto i passaggi centrali del dibattito
disciplinare internazionale sul tema, presento la ricerca sul campo che ho svolto nel 2009 a Talana,
Ogliastra.
In diversi contesti culturali, la genetica viene utilizzata in misura crescente per ricostruire genealogie
che, dense di contenuti simbolici, vanno ad articolare con forza e autorità discorsi e pratiche
identitarie. Le diagnosi genomiche hanno iniziato a riconfigurare il passato, rafforzano o minacciano
le storie condivise da un gruppo in merito alla propria origine, riscrivendo in questo modo i parametri
contemporanei dell’azione sociale.
Il caso che presento mette in scena un peculiare utilizzo popolare dei metodi e dei risultati di una
ricerca genetica: la centralità assegnata agli alberi genealogici, prodotti dai genetisti in un paese
oggetto di studio genetico, nell’ambito di una politica identitaria basata su autoctonia e autenticità.
Gli alberi “veriticali” prodotti a partire dal 1996 dagli scienziati dell’Istituto di Genetica Molecolare
del CNR di Tramariglio (Alghero) vengono sviluppati a Talana in “orizzontale” ed esposti alla mostra
sulla cultura materiale talanese allestita in occasione dell’annuale sagra del prosciutto. Mediante
questa giustapposizione viene valorizzato il legame di sangue tra i talanesi di oggi e i talanesi di ieri,
che vivevano nelle “case tipiche” e nei veri valori evocati dagli oggetti esposti nella mostra. I valori
locali, intende comunicare questa complessa ideologia, sono nel DNA dei talanesi e si configurano
come risorse preziose nell’orizzonte omologante della globalizzazione.
La genetica, linguaggio apparentemente oggettivo e universale, sta divenendo lessico potente della
diversità entrando a pieno titolo nelle dinamiche di negoziazione e conflitto identitario.
Riferimenti bibliografici:
American Ethnologist, vol. 34, n. 2
Nash Catherine 2004, “Genetic kinship”, Cultural Studies, vol. 18, n. 1, pp. 1-33.
Pálsson Gísli 2007, Anthropology and the New Genetics, Cambridge, Cambridge University Press.
III Convegno ANUAC
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Trupiano Valeria 2009, Geni, popolazioni e culture. Le ricerche genetiche tra scienza e politica,
Roma, CISU.
Trupiano Valeria 2013, Gli usi della diversità genetica. Identità, “parentela genetica” e il caso di un
paese ogliastrino (Talana), Bologna, Il Mulino.
Francesco Bachis (Università di Cagliari)
Ester Cois (Università di Cagliari)
Jasmin Khair (Università di Cagliari)
Laura Tocco (Università di Cagliari)
Memorie familiari e memoria storica tra figli di profughi palestinesi in Sardegna
Dalla fine degli anni Settanta un numero consistente di profughi palestinesi si è trasferito in Europa
per motivi di studio e lavoro (Doraï, 2004). Una parte di questi, arrivata in Sardegna nei primi anni
Ottanta per frequentare le facoltà scientifiche dell'ateneo cagliaritano, ha costituito nel corso del
tempo dei nuclei familiari quasi esclusivamente con donne sarde, dando vita, nel contempo, ad un
dinamico tessuto associativo.
Nel 2011 l'Associazione Amicizia Sardegna Palestina ha promosso, all'interno del progetto Hawia l'identità, una indagine sulle forme di appartenenza dei figli dei profughi palestinesi nell'area vasta di
Cagliari, portata avanti da sardi d'origine e figli di palestinesi. Pur in una sostanziale 'integrazione'
economica dei profughi nella borghesia delle professioni, i primi risultati sembrano far emergere
qualche forma di «dissonant acculturation» (Portes – Rumbaut, 2001) tra genitori e figli a livello
linguistico e nelle forme di aggregazione: dissonanze che sembrano far emergere diverse modalità di
«imparare a essere palestinesi» (Mavroudi, 2007).
L'intervento presenterà parte dei risultati della ricerca, concentrandosi sul rapporto tra memoria
familiare delle due principali ondate di profughi (1948 e 1967) e storia della questione palestinese.
Nello specifico, sarà approfondito un nodo critico, emerso talvolta anche in maniera conflittuale
durante la ricerca, legato alla mancata trasmissione alle seconde generazioni delle memorie familiari
dell'espulsione, a fronte di una sovraesposizione della 'Storia' politica ed evenemenziale del conflitto.
Riferimenti bibliografici:
Doraï, M.K. 2004, Les réfugiés palestiniens en Europe. Complexité des parcours et des espaces
migratoires, «REMI», XX, 2: 169-186.
Mavroudi, E. 2007, Learning to be Palestinian in Athens: constructing national identities in diaspora,
«Global Networks» VII, 4 : 392-411.
Portes, A. - Rumbaut, R. , 2001, Legacies : the story of the immigrant second generation,University
of California Press.
Valentina Lusini (Università degli Studi di Siena)
Cotinuità familiari e discontinuità culturali nella riflessione dell’arte contemporanea
Se si frequentano le mostre d’arte contemporanea, o più comodamente si naviga in rete alla ricerca di
informazioni sulle pubblicazioni, gli artisti, i curatori e gli eventi espositivi del nostro tempo, si
noterà che i riferimenti al tema della migrazione sono numerosi. Sam Durrant e Catherine M. Lord
parlano a questo proposito di “estetica migratoria”, descrivendo il contesto dell’arte nell’epoca della
globalizzazione come luogo contrassegnato dal passaggio, dalla differenza culturale e
dall’eterogeneità delle storie e delle tradizioni dei migranti e dei popoli in diaspora.
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L’intervento intende presentare e commentare il lavoro di due artiste contemporanee che, partendo
dalla riflessione sul proprio percorso biografico, hanno legato il tema della migrazione a quello della
continuità familiare. Si parlerà dell’opera di Zineb Sedira, artista, curatrice e saggista di origini
algerine cresciuta in Francia e residente in Inghilterra, che esplora le incoerenze generazionali che la
propria storia di trasferimenti ha determinato nei rapporti tra la figlia e la madre, e di alcune sequenze
di May you live in interesting times, un film autobiografico girato tra il 1995 e il 1997 da Fiona Tan,
fotografa e regista oggi residente in Olanda, ma nata a Sumatra e cresciuta in Australia. Nel film,
Fiona Tan compie un lungo viaggio alla ricerca delle proprie origini, esplorando la tormentata storia
di migrazione dei parenti cinesi emigrati in Indonesia che, dopo il colpo di Stato che nel 1965
condusse al potere il generale Suharto, lasciarono l’Indonesia per l’Australia, l’Europa e altre zone
dell’Asia. Nel diario del suo viaggio intorno al mondo, che da Amsterdam la conduce a Brisbane, poi
a Melbourne, a Colonia, a Jakarta, a Hong Kong, a Pechino e a Quánzhōu, Fiona Tan compie un
pellegrinaggio attraverso universi lontani, e tuttavia vicinissimi, in una varietà emozionante di
persone, lingue, usanze, colori e forme sonore. “Family or culture: which determines my identity
more?”, si chiede l’artista all’inizio del suo viaggio, che si configura come itinerario
nell’immutabilità dei legami familiari che si compie nella mutevolezza dei percorsi biografici, dei
paesi, dei mestieri e delle pratiche rituali e culinarie.
Riferimenti bibliografici:
BECK Ulrich La società cosmopolita. Prospettive dell’epoca postnazionale, Il Mulino, Bologna,
2003.
BOURRIAUD Nicolas, Radicant. Pour une esthétique de la globalisation, Editions Denoël, Paris,
2009.
DURRANT Sam e LORD Catherine M. (a cura di), Essays in Migratory Aesthetics: Cultural
Practices Between Migration and Art-making, Rodopi, Amsterdam-New York, 2007.
LUSINI Valentina, Arte contemporanea e cultura dell’alterità, in «Studi Culturali», anno VIII, n. 1,
aprile 2011, pp. 93-105.
LUSINI Valentina, Destinazione mondo. Forme e politiche dell’alterità nell’arte contemporanea,
ombre corte, Verona, 2013 (in fase di stampa).
III Convegno ANUAC
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Problemi e risorse delle seconde generazioni
Venerdì 8, ore 16.45-18.45
Aula E2
Dorothy L. Zinn (Libera Università di Bolzano)
Le seconde generazioni nell’Alto Adige: Scuola e inculturazione civile
La relazione proposta esporrà una ricerca in corso sugli alunni di cittadinanza non italiana nelle
scuole dell’Alto Adige. Dopo una complessa vicenda storica, attraverso l’autonomia politica nella
provincia di Bolzano si è costituito un sistema di divisione istituzionale e sociale (in alcuni settori,
codificato, in altri, informale) che ha portato all’attuale, seppur fragile, equilibrio sociale tra i gruppi
etnolinguistici di lungo insediamento: i gruppi di lingua tedesca, di lingua italiana e di lingua ladina.
Negli ultimi vent’anni si è verificato in Alto Adige un consistente flusso di immigrati di varia
provenienza, e in questo contesto socioculturale, i migranti si trovano in qualche modo costretti ad
inserirsi nel tessuto socioculturale attraverso forme di incorporazione in uno dei gruppi storici. Con
un sistema scolastico suddiviso in tre sistemi linguistici paralleli e rigidamente separati, i figli dei
migranti, detti in modo ampio le “seconde generazioni”, rappresentano uno snodo critico di questi
processi: oggetti di contesa politica e di ambivalenze da parte dei gruppi storici, sono anche
protagonisti di strategie familiari di inserimento sociale. All’interno di gruppi della stessa
provenienza nazionale, ma anche all’interno delle stesse famiglie, le traiettorie di “inculturazione
civile” (Schiffauer et al. 2006) seguite dai figli dei migranti non sono scontati né omogenei. In
questo caso, che si configura come situazione particolare di “super-diversity” (Vertovec 2007), lo
sguardo antropologico è teso a riflettere sulla tensione tra “diversità” vecchie e nuove.
Riferimenti bibliografici:
E. Colombo, G. Semi, a cura di (2007) Multiculturalismo quotidiano. Le pratiche della differenza.
Milan: Franco Angeli
C. Gilligan, C., S. Ball (2011) “Introduction: Migration and Divided Societies”, Ethnopolitics, 10
(2): 153-170.
W. Schiffauer, W. et al. (2004) Civil Enculturation: Nation-State, Schools and Ethnic Difference in
Four European Countries. Oxford: Berghahn.
M. Suárez-Orozco, a cura di (2007) Learning in the Global Era: International Perspectives on
Globalization and Education. Berkeley: University of California Press.
S. Vertovec (2007) “Super-diversity and its implications”, Ethnic and Racial Studies 30 (6):
1024-1054.
Francesco Pompeo (Università Roma Tre)
La neo-autoctonia delle seconde generazioni della banglatown romana: crisi
dell’intercultura e Conflitti di cittadinanza
L’intervento, che si inserisce all’interno della ricerca PRIN 2009 “Territori della
trasformazione”, Unità B- Univ.Roma Tre, presenta l’analisi etnografica di una
situazione locale, ovvero di una specifica modalità di inclusione sociale dei
migranti nella Capitale. Parafrasando il lessico della pianificazione urbanistica
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possiamo definire come “modello orientale” ovvero propriamente asiatico, la
profonda trasformazione delle ex periferie storiche di Torpignattara e Centocelle
(Roma Est). Nelle
vecchie centralità periferiche, oggi sede di attività
commerciali gestite dai migranti, in meno di dieci anni, attraverso i
ricongiungimenti familiari si è infatti determinato un nuovo assetto
caratterizzato dalle seconde generazioni. La scelta di stanzialità, in continuità
con la più antica presenza asiatica e cinese dell’Esquilino, vicino alla stazione
Termini, ha quindi portato alla nascita di quella che, nell’autorappresentazione
dei neo residenti, è la prima Banglatown italiana (Pompeo 2011). Una realtà in
cui le seconde generazioni pongono domande inedite al territorio e al sistema
dei servizi che è possibile leggere in termini di neo-autoctonia, ossia di una
pratica del quotidiano che sfida il concetto restrittivo di cittadinanza dello jus
sanguinis. In questo quadro ci soffermeremo in particolare sul prodursi di crisi
educative, di cui la più nota è quella sorta intorno all’istituto comprensivo Carlo
Pisacane, per segnalare l’esistenza di un’offerta autonoma ed autogestita della
collettività bangladese che riprende i canoni dell’educazione nazionale e i toni
del patriottismo, scardinando implicitamente il conflitto autarchico
sulle
“politiche di integrazione” e, allo stesso tempo, superando il tradizionale
approccio solidaristico legato all’intercultura.
Riferimenti bibliografici:
Francesco Pompeo, a cura, Pigneto-Banglatown. Migrazioni e conflitti di
cittadinanza in una periferia storica romana, Roma Meti, 2011
Francesco Pompeo, a cura, Paesaggi dell’esclusione. . Politiche degli spazi,
re-indigenizzazione e altre malattie del territorio romano, Torino, UTET, 2012.
Alessandro Pisano (Scuola di specializzazione DEA, Università di Perugia)
“È come se fossi uno di loro”. Socializzazione e dinamiche culturali tra le seconde
generazioni di origine marocchina a Thiesi, Sardegna
Le storie di vita di Jawad Abdellah e di altri ragazzi come lui, arrivati dal Marocco
per ricongiungersi con la famiglia migrata a Thiesi, nel nord Sardegna,
permettono una riflessione su alcuni degli strumenti presenti nella cassetta degli
attrezzi dei migration studies.
In primo luogo su quella che, con Alejandro Portes, chiamerò ‘acculturazione
selettiva’, da intendere come processo, agito più o meno consapevolmente, di
creolizzazione culturale. La molteplicità delle sollecitazioni, sia inserite in flussi
globali che legate a localismi, a cui sono esposte le seconde generazioni rende
estremamente differenziati gli esiti nel campo culturale, sui quali proverò qui a
dare alcuni cenni, tenendo conto sia di ciò che Michael Herzfeld definisce
‘intimità culturale’ che delle frequenti tattiche di essenzializzazione.
Le esperienze personali raccolte rendono inoltre possibile un approccio critico al
concetto di ‘comunità’ e alla sua applicabilità all’analisi delle collettività
migranti. Come cercherò di mostrare a partire dal dato etnografico, la rete di
relazioni è molto più estesa rispetto ai confini socio-culturali sui quali una
comunità si dovrebbe fondare.
Riferimenti bibliografici:
Baumann, Gerd, 2003, L’enigma multiculturale. Stati, etnie, religioni, Bologna, Il
Mulino.
III Convegno ANUAC
Pagina 64
Baumann, Gerd, 1996, Contesting Cultures. Discourses of Identity in Multi-ethnic
London, Cambridge, Cambridge University Press.
Herzfeld, Michael, 2003, Intimità culturale. Antropologia e nazionalismo, Napoli,
L’Ancora del Mediterraneo.
Portes, Alejandro, Rumbaut, Rubén G., 2001, Legacies. The Story of the
Immigrant Second Generation, Berkley – New York, University of California Press
– Russell Sage Foundation.
Riccio, Bruno, 2008, Politiche, associazioni e interazioni urbane. Percorsi di
ricerca antropologica sulle migrazioni contemporanee, Rimini, Guaraldi.
Daniele Brigadoi Cologna (Università dell’Insubria)
La forza del lignaggio alla prova della seconda generazione. Genitori e figli nelle famiglie
transnazionali cinesi d'Italia.
Gli anni duemila hanno visto i migranti giovani (soprattutto adolescenti) protagonisti dell'impennata
dell'afflusso cinese verso l'Italia.
Oggi che i flussi cinesi verso il nostro paese sono in sensibile calo, è il momento di tirare le somme di
un'esperienza a un tempo collettiva e personalissima che sta trasformando in profondità le relazioni
intergenerazionali in seno alle famiglie degli immigrati cinesi in Italia. Famiglie più che mai
transnazionali, collegate alla madrepatria e ad altri paesi europei da vincoli parentali che la
migrazione stessa rende indispensabili e vitali per il progetto migratorio della prima generazione. Ma
anche nuclei domestici in cui, nella persona di figli e figlie nate e cresciute in paesi diversi, con gradi
diversi di capacità di interazione con il contesto d'emigrazione, si catalizzano sfide alla genitorialità
con cui spesso gli adulti immigrati di prima generazione faticano a rapportarsi. Portatori di una
visione antica e impervia al compromesso della famiglia, condizionata dagli imperativi della
preservazione e della gloria del lignaggio, i genitori si confrontano con figli cresciuti in una Cina
diversa, sempre meno ancorati all'universo di luoghi, legami e valori carichi di senso indispensabili
agli adulti per giustificare le scelte e i sacrifici della vita in emigrazione. D'altro canto, per molti
giovani cinesi - specie se sono cresciuti in Cina - la vita in Italia è una sfida che non comprendono e
che spesso rigettano in partenza.
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La ridefinizione del genere in contesti migratori
Venerdì 8, ore 16.45-18.45
Aula F5
Fiorella Giacalone (Università degli Studi di Perugia)
Sfide. Storie di adolescenti arabe alla ricerca di un’autonomia
I migranti involontari, adolescenti di seconda generazione (brutta definizione da cui non si può ormai
prescindere) sono giovani spesso fragili, inquieti, in cerca di un’identità ondivaga tra dinamiche
familiari e bisogni di riconoscimento generazionale In particolare le adolescenti di origini araba
devono spesso costruirsi un’appartenenza di genere che sia una possibile mediazione tra imposizioni
familiari e richieste di autonomia personale. Diventare autonome significa fare i conti con ruoli
ascrittivi limitanti e poteri paterni espliciti, per cui il matrimonio è la scelta obbligata della vita di una
donna. Studiare, fare l’università all’estero, non sposarsi, può comportare entrare in conflitto con il
padre, cercare possibili (ma non scontate) alleanze materne, rimettere in discussione ruoli codificati.
Per altre seguire l’inclusione religiosa può voler dire seguire un’ortodossia quale scelta di vita,
nell’ottica di un femminismo islamico radicale.
Le storie di alcune giovani donne arabe, sia cristiane che musulmane, sono la spia di una nuova
generazione di cittadine italiane che hanno scelto la strada della laicità o del radicalismo religioso,
dentro dinamiche familiari e ruoli di genere non lineari, tra hijab politici (veli islamici), moschee e
laicità dichiarate. Cleo, Danya, Sumaja, Talia, Aïcha, sono alcune delle protagoniste di scelte
opposte, a volte contraddittorie, del loro essere donne.
Chantal Arena (Università degli Studi di Catania)
Soggettività, genere e strategie di inclusione sociale: esperienze di emigrazione femminile
dalla Colombia
Il paper analizza lo sviluppo dei rapporti di genere e del dialogo
intergenerazionale all’interno di alcune famiglie emigrate dalla Colombia verso
l’Italia. In particolare vengono approfondite le esperienze e le rappresentazioni
dei ruoli coniugali maschili e femminili sia in relazione al contesto di
provenienza, che in riferimento alle nuove formazioni familiari radicatesi in Italia.
Il paper trae spunto da uno studio condotto sull’emigrazione femminile
colombiana, focalizzato su diverse pratiche di inserimento sociale e familiare nel
contesto italiano.
L’emigrazione di coppia, che spesso confluisce in Italia nei settori dell’economia
informale maggiormente legati al lavoro di caregiving,
presenta infatti
dinamiche diverse dalla migrazione individuale, connessa invece, a seconda dei
casi, alla formazione di famiglie miste e/o all’inserimento nei circuiti socialmente
marginali del lavoro sessuale. Nonostante le differenziazioni dovute, caso per
caso, alle condizioni di espatrio ed alle scelte specifiche poste in atto dalle
singole attrici etnografiche, il tema del ricongiungimento familiare risulta in gran
III Convegno ANUAC
Pagina 66
parte trasversale alla molteplicità delle esperienze riportate. In particolare è da
evidenziare la costituzione di catene migratorie che ricalcano i rapporti familiari
di solidarietà femminile costituiti nel contesto di origine, ma che, durante
l’esperienza di emigrazione hanno assunto nuove valenze, confrontandosi anche
con le tensioni poste dalla iniziale mancanza dei documenti regolari di
soggiorno.
I temi della soggettività e dell’agency non possono essere infatti separati da
quei processi di soggettivazione, presenti all’interno della società ospite,
connessi con le aspettative di acquisizione della cittadinanza, percepita dalle
donne come strumento privilegiato di inclusione sociale. Nel caso delle famiglie
miste i rapporti di genere giocano infatti un ruolo fondamentale nell’accesso alla
residenza e ai diritti che ne conseguono.
Ulderico Daniele (Università Roma Tre)
Diventare adulti in un campo nomadi: vergogna, controllo sociale e influenze urbane
Il paper, elaborato all’interno delle attività del Prin 2009 (Unità B - RomaTre),
intende analizzare antropologicamente i corsi di vita di alcuni giovani rom
rumeni che vivono in un campo-nomadi di Roma con l’obiettivo di individuare i
riferimenti culturali, le risorse e le limitazioni che definiscono il transito verso lo
status adulto.
Tale passaggio mette in tensione una serie di codici e aspettative culturalmente
determinate con le specificità relative al campo-nomadi in cui i percorsi
individuali si definiscono concretamente.
Nella letteratura sui gruppi rom l’assunzione del ruolo adulto viene fatta
coincidere con il matrimonio e la nascita di figli. In questo quadro le forme della
transizione all’adultità rimandano ad un modello di rapporti tra i generi che
prescrive il controllo familiare della componente femminile; la verginità delle
giovani viene considerata metro dell’onore e la fase di transizione ridotta in un
lasso di tempo assai breve (Okely 1975, Gay Y Blasco 1997, 1999).
Entro lo scenario del campo nomadi tale modello di transizione subisce una serie
di influenze divergenti. Nel campo nomadi si realizzano attività e progetti sociali
specificatamente destinati ai giovani che offrono opportunità di socializzazione
nei contesti formali e informali della società d’approdo (Daniele 2011). Alcuni dei
giovani, a seconda del genere e della condizione economica, possono così
sperimentare relazioni con i coetanei gagè ed entrare in contatto con pratiche e
stili di comportamento “generazionali”, come quelli legati al consumo, alla cura
del corpo e all’utilizzo dei mezzi di comunicazione informatici. Al contempo, lo
spazio separato ed esclusivo del campo nomadi è un luogo di intenso e diffuso
controllo sociale che, anche in reazione alle influenze provenienti dall’esterno,
tende a riaffermare nei confronti dei giovani i codici e le aspettative tradizionali
(Daniele 2013).
La ricostruzione etnografica di alcuni corsi di vita intende documentare le
modalità con cui si costruiscono i diversi percorsi individuali sintetizzando
queste diverse e contraddittorie influenze.
Riferimenti bibliografici :
Daniele, U., 2011, Sono del campo e vengo dall'India. Etnografia di una
collettività rom ridislocata, Roma, Meti Edizioni.
III Convegno ANUAC
Pagina 67
Daniele, U., 2013, Questo campo fa schifo. Un'etnografia dell'adolescenza rom
fra campo-nomadi, periferia urbana e scenari globali, Roma, Meti Edizioni.
Gay Y Blasco, P., 1999, Gypsies in Madrid: sex, gender and the performance of
identity, Oxford, Berg.
Okely, J., 1975, “Gypsy women. Models in conflict”, in S. Ardener, a cura,
Perceiving women, Londra, Mallaby, pp. 55-86; trad. it., 1995, “Donne zingare.
Modelli in conflitto”, in L. Piasere, a cura, Comunità girovaghe, comunità zingare,
Napoli, Liguori, pp. 251-293.
Tesar, C., 2012, Becoming rom (male), becoming roni (female) among Romanian
cortorari roma: on body and gender, «Romani Studies», vol. 22, n. 2, pp.
113-140.
Michela Fusachi e Valentina Vitale (Università Roma Tre)
Dissonanze generazionali e triplice assenza: migranti romene a Roma
Su scala globale la migrazione si caratterizza per una progressiva
femminilizzazione : la metà di chi emigra è donna ancorché l’accesso alla
mobilità non sia certo un fenomeno egualitario. Esso, infatti, dipende da
condizioni economico-sociali diverse: precarietà economica e non, dominazioni e
disuguaglianze. L'analisi del fenomeno attraverso un’ottica di genere consente
di decifrare dinamiche vecchie e nuove, e rinnovate dominazioni anche
all’interno dello stesso genere per comprendere la “triplice assenza”
sperimentata dalle migranti: quella da casa (non si è più madri o figlie), quella
vissuta nel paese di accoglienza (che arriva ad "annullare" età e vite familiari) e
quella relativa al binomio della “serva/padrona” (configurabile in un'assenza
nella relazione). Questo intervento si inserisce nel Prin 2009 (UnitàB RomaTre)
che si è concentrato sui flussi migratori a Roma e, in particolare, sulla collettività
romena la più numerosa (21,6%), e dove la componente femminile ha superato
quella maschile (Istat, 2012). L'analisi del protagonismo femminile evidenzia
contraddizioni e criticità sia con le famiglie di origine sia con quelle italiane. Da
un lato ci si è concentrate su donne sole, separate o divorziate (40-65 anni)
aventi un progetto, perlopiù, temporaneo dedicato all'accumulo di capitale e per
il quale esse sperimentano situazioni lavorative diversificate confrontandosi con
un mercato del lavoro stratificato e precario anche nel cosiddetto "badandato"
che si sottoporrà a disamina critica. Da un altro lato l'analisi si è focalizzata su
donne più giovani (20-30 anni), che sembrano avere maggiori aspirazioni di
crescita personale e professionale dimostrando più flessibilità e per le quali
l'inserimento nell'ambito della cura può configurarsi come un passaggio
"strumentale". Attraverso l'intervento si intendono tratteggiare i rapporti che
esistono tra queste due figure al femminile anche in relazione alle dissonanze
generazionali che esse ingenerano.
Riferimenti bibliografici:
Michela Fusaschi, 2013, Tempi e corpi incerti. Appunti per un’antropologia
dell’invecchiamento nella migrazione, in Id.– Corpo non si nasce, si diventa.
III Convegno ANUAC
Pagina 68
Antropologiche di genere nella globalizzazione, CISU, Roma, pp. 200.
Michela Fusaschi, 2011 – Quando il corpo è delle Altre. Retoriche della pietà e
umanitarismo-spettacolo, Bollati Boringhieri, Torino, pp.157.
Anna Simone, a cura, 2011, Sessismo democratico. L’uso strumentale delle
donne nel neo-liberismo, Milano, Mimesis.
III Convegno ANUAC
Pagina 69
Pratiche e strategie economiche in contesti famigliari
Venerdì 8, ore 16.45-18.45
Aula F1
Piero Vereni (Università di Roma Tor Vergata)
Famiglia, casa e vicinato. Il modello abitativo proposto a Roma dal Comitato popolare di
lotta per la casa
Roma capitale d’Italia ha sempre sofferto di una strutturale carenza abitativa. La
rapida crescita e la mancata pianificazione hanno costretto per tutto il
Novecento un numero elevato di nuclei familiari (soprattutto immigrati dal
Centro-Sud) a stanziarsi in abitazioni di fortuna ricavate negli interstizi della città
ufficiale. Negli anni Sessanta la politicizzazione della loro condizione ha dato vita
a comitati e coordinamenti che si sono assunti l’onere di risolvere l’emergenza
abitativa da un lato costituendosi come soggetti interlocutori con le istituzioni,
dall’altro mettendo in atto pratiche di occupazione di immobili (pubblici o privati)
disabitati. A partire dai tardi anni Novanta questi comitati hanno rivolto
un’attenzione particolare alla nuova immigrazione straniera, includendo nei
progetti di occupazione molte famiglie di cittadinanza non italiana.
Presentando uno squarcio etnografico sul lavoro del Comitato popolare di lotta
per la casa guidato da Pina Vitale, questo intervento intende porre in luce la
questione teorica del rapporto economico tra unità residenziali (households) e
spazio urbano. Mentre il modello normativo cittadino cerca di imporre un confine
sempre più netto tra spazio domestico (caratterizzato da relazioni affettive e
reciprocità generalizzata, “spazio del dono”) e spazio pubblico (con interazioni
anonime/lavorative e reciprocità equilibrata o negativa, “spazio della merce”), il
lavoro del Comitato è esplicitamente orientato a riprodurre dentro la città gli
spazi di vicinato tipici del “paese”, che spezzano la rigidità di questa dicotomia.
Raccontando dove nasce la sovradeterminazione dell’opposizione dono/merce,
lo scopo di questo intervento è quindi fornire argomenti per una critica al
modello urbano dell’abitare come antitesi non mediabile tra famiglia “privata” e
città “pubblica”.
Riferimenti bibliografici:
Mudu, P., in press. “Housing and Homelessness in Contemporary Rome”, in
(eds.) B. Thomassen and I. Clough Marinaro, Global Rome, Indiana University
Press.
Pavanello, M. 2008. “Dono e merce: riflessione su due categorie
sovradeterminate.” In Culture del dono, a cura di F. Dei e M. Aria. Roma,
Meltemi, 43-63.
Pompeo, F. a cura di, 2012. Paesaggi dell’esclusione. Politiche degli spazi,
re-indigenizzazione e altre malattie del territorio romano, Torino, Utet.
Viazzo, P.P. 2003. “What’s so special about the Mediterranean? Thirty years of
research on household and family in Italy”, Continuity and Change, 18,111-137.
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Pagina 70
Melinda Papp (ELTE University)
Il rituale come strumento per rafforzare l’identità famigliare nel Giappone contemporaneo
La famiglia giapponese ha negli ultimi cinquant’anni attraversato una fase
segnata da rapidi e profondi cambiamenti. Questi cambiamenti riguardano in
particolare la struttura della famiglia, i suoi valori, le modalità di interazione tra i
suoi membri e le visioni societarie della figura del bambino. In questo contributo
si analizza il caso di un rito di passaggio dell’infanzia che gode ancora oggi in
Giappone di grande e rinnovata popolarità, lo Shichigosan. Questo rito è stato,
da una parte, oggetto di un intenso e complesso processo di
commercializzazione, e dall’altra, è divenuto per le famiglie stesse strumento
efficace per rafforzare e attribuire significato all’unità della famiglia, e come
espressione delle visioni e dei valori dei suoi membri riguardo al bambino.
Basato su un lavoro storico ed etnografico, questo contributo delinea in maniera
critica i processi di costruzione dei significati di un rituale nell’ambito di una
continua e pervasiva interazione tra il settore commerciale, i media, e gli
osservanti del rito nei contesti famigliari del Giappone urbano.
Riferimenti bibliografici:
Papp, Melinda. 2012. ‘Conspicuous consumption in postwar Japan: The case of a
rite of passage’, Human Affairs 22, pp. 196-213
Papp, Melinda (2013): Molding of a Rite of Passage in Urban Japan. Historical and
Anthropological Perspectives. Urbanities, Vol.3, No.1, pp. 61–82.
Zaira T. Lofranco (Università di Bergamo)
Famiglie, credito al consumo e crisi del debito nella Sarajevo neoliberista
Sulla base di dati etnografici il paper cercherà di analizzare nella Sarajevo
neoliberale il valore culturale attribuito dalle famiglie alla domanda di
credito/debito legato al consumo e le sue conseguenze sul quotidiano esercizio
di manutenzione del sé e delle relazioni interpersonali.
Si tenterà di collegare la prospettiva globale della condizione di indebitamento
proposta dall'antropologo David Graeber, con la specificità del contesto bosniaco
locale in cui le strategie elaborate delle famiglie per finanziare le pratiche di
consumo rispondono ad una perdurante situazione di crisi dell'economia reale.
Confutando le teorie degli economisti della transizione, si metterà in evidenza
come il credito al consumo sia una costante nell'economia domestica delle
famiglie intervistate sin dai tempi del "socialismo di mercato"."Vivere al di sopra
delle proprie possibilità" descrive uno stile di consumo e di vita attraverso cui si
cerca di aggirare la funzione disciplinante del potere (socialista,
etno-nazionalista o delle corporazioni bancarie multinazionali) sulla definizione
dei bisogni e dei desideri.
Ancora il paper evidenzierà come la domanda di credito al consumo sia radicata
in dinamiche di distinzione sociale e riposizionamento spazio-temporale che
segue il conflitto caratterizzato dalla de-monetizzazione dell'economia
domestica e dal ritorno al baratto o al dono (umanitario o interpersonale).
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Pagina 71
Verrà infine analizzata la fase di ri-monetizzazione dell'economia avvenuta in un
contesto post-conflitto e neo-liberista in cui la possibilità di consumo sembrano
intrecciarsi alla possibilità di "ipotecare" proprio i rapporti familiari per
conformarsi ai requisiti di accesso al credito imposti dalla banche, non più
statali, ma private che richiedono la presenza di garanti.
Riferimenti bibliografici:
Graeber David (2012), Debito. I primi 5000 anni, Milano, Il Saggiatore
Mauss Marcel [1950] (2002), Saggio sul dono. Torino, Einaudi.
Bourdieu Pierre (2001), La distinzione. Critica sociale del gusto. Bologna, Il
Mulino.
Parry J., Bloch M. (1989), Money and the morality of exchange, Cambridge
University Press
Douglas M. and Isherwood B. (1984), Il modo delle cose. Oggetti, Valori,
Consumi. Bologna, Il Mulino
Humphrey and Hugh-Jones, Barter, Exchange and Value, Cambridge University
Press
Mandel Rurh and Humphrey Carolin (eds.), Markets and Moralities.
Ethnographies of Postsocialism, Oford-New York, Berg.
Verdery , The vanishing hectar,
Sneath (2012), The "age of the market" and the regime of debt: the role of credit
in the transformation of pastoral Mongolia in Social Anthropology. Special issue
on debt vol 20(4):458-473.
Jasarevic Larisa (2012), Grave Matters and the good life. On a finite economy in
Bosnia in Cambridge Anthropology 30(1), Spring 2012:25-39.
Sara Bonfanti (Università degli Studi di Bergamo)
Dan, daaj e ritorno. Il mercato matrimoniale tra le famiglie punjabi italiane: modelli
consolidati, resistenze e nuove aperture
Altamente dibattuti nella letteratura internazionale sono sia il “sistema dote” in Asia meridionale sia i
nuovi modelli di formazione dei nuclei familiari tra le minoranze indiane di lunga permanenza,
soprattutto nel contesto britannico. Scarsa attenzione è stata invece sinora rivolta a come le strategie
di contrattazione pre-matrimoniale prendano forma nella più recente immigrazione panjabi in Italia
(oggi la più popolosa diaspora indiana europea) e quanto una certa idea di famiglia e un certo codice
di relazioni coniugali, parentali, filiali si realizzino anche attraverso specifiche forme di dono,
scambio e favore. L’intervento esplora il “mercato matrimoniale” dei giovani panjabi italiani (a
cavallo tra prima e seconda generazione e spesso già cittadini italiani), interrogando sia le procedure
di scelta degli sposi sia le transazioni economiche che sanciscono la conclusione di un accordo
matrimoniale. Sulla base dei report di una ricerca etnografica tuttora in corso (nel quadrilatero rurale
lombardo tra le province di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova), narrazioni soggettive dissonanti
danno voce ai conflitti familiari e comunitari tra generi e generazioni nella creazione di nuovi gruppi
domestici, considerando la specificità del tessuto socio-culturale locale nel perdurare della crisi
economica. Attraverso un’osservazione intersezionale, che mette in luce l’eterogeneità nelle
comunità panjabi italiane (diverse e molteplici anche per classe, casta, fede), si cercherà di
comprendere quanto le categorie di differenza vengano ri-prodotte, contestate e trasformate in
occasione dell’evento nuziale, dove si assiste al primo scardinamento di una tradizionale logica di
endogamia temperata. Analizzando come i giovani indiani italiani ricorrono ai discorsi su
amore/convenienza, diritto/dovere, controllo/autonomia sarà possibile considerare se e quanto scelte
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personali riescano a navigare strutture gerarchiche quali patriarcalismo, disuguaglianze e sviluppo
capitalista.
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Sommario
ORGANIZZATORI E PROMOTORI.........................................................................................2
PROGRAMME OVERWIEW....................................................................................................4
LIBRO DEGLI ABSTRACT, ELENCO DELLE SESSIONI PARALLELE.............................20
FAMIGLIA E VITA QUOTIDIANA. ANTROPOLOGIA DEGLI OGGETTI E DELLA
MEMORIA..............................................................................................................................21
Fabio Dei (Università di Pisa) e Matteo Aria (Università di Roma “La Sapienza”)........................................................21
Lia Giancristofaro (Università “G. D’Annunzio” Chieti-Pescara)...................................................................................22
Franco Lai (Università di Sassari).....................................................................................................................................22
Carlotta Colombatto (Università degli Studi di Torino)....................................................................................................22
Eugenio Imbriani (Università del Salento).......................................................................................................................23
Caterina Di Pasquale (Università degli Studi di Firenze).................................................................................................23
Sabina Giorgi, Alessandra Talamo e Barbara Mellini (Università di Roma “La Sapienza”)...........................................24
Pietro Meloni (Università degli Studi di Siena)................................................................................................................24
FAMIGLIA, RELIGIONI, CULTURE.......................................................................................26
Anna Casella Paltrinieri (Università Cattolica Milano)....................................................................................................26
Javier Gonzàlez Díez (Università degli Studi di Torino)..................................................................................................26
Francesca Sbardella (Università di Bologna)....................................................................................................................26
Luisa Faldini (Università di Genova)................................................................................................................................26
Laura Ferrero (Università degli Studi di Torino)..............................................................................................................27
ANTROPOLOGIA, STORIA E MORFOLOGIA DELLA FAMIGLIA .....................................28
Pier Paolo Viazzo (Università degli Studi di Torino)........................................................................................................28
Alberto Castaldini (Università di Bucarest)......................................................................................................................28
Elisabeth Tauber (Libera Università di Bolzano)..............................................................................................................29
Ferdinando Mirizzi (Università della Basilicata)..............................................................................................................29
Alexander Koensler (Queen’s University Belfast)............................................................................................................30
FAMIGLIA E CONFLITTI INTERGENERAZIONALI ............................................................31
Luca Jourdan (Università di Bologna)..............................................................................................................................31
Maria Chiara Miduri (Università degli Studi di Torino)...................................................................................................31
Marta De Falco (Università degli Studi di Torino)...........................................................................................................31
Armando Cutolo (Università di Siena) ............................................................................................................................32
Alberto Caoci (Università di Cagliari)..............................................................................................................................32
FAMIGLIE E VIOLENZA .......................................................................................................34
Roberto Beneduce e Simona Taliani (Università degli Studi di Torino) insieme a Grace Aigbeghian, Bosede Lawani e
Philomena Erhunmwunsee................................................................................................................................................34
Alessandro Jedlowski (Università di Napoli “L’Orientale”, Centro Studi sull’Africa Contemporanea (CeSAC))..........34
Valeria Ribeiro Corossacz (Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia).............................................................35
Barbara Ghiringhelli (Università IULM di Milano).........................................................................................................35
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Alessandra Gribaldo (Università di Trento e Università di Modena e Reggio Emilia)....................................................35
LA FAMIGLIA DI FRONTE ALLA MORTE...........................................................................37
Claudia Mattalucci (Università di Milano-Bicocca).........................................................................................................37
Anna Paini (Università di Verona)....................................................................................................................................37
Roberta Altin (Università degli Studi di Trieste)..............................................................................................................38
Ana Cristina Vargas (Università degli Studi di Torino)....................................................................................................38
FARE IL GENERE.................................................................................................................40
Andrea Priori (Università degli Studi Roma Tre).............................................................................................................40
Alessandro Lutri (Università di Catania)..........................................................................................................................40
Cecilia Pennacini (Università degli Studi di Torino)........................................................................................................41
Donato Martucci (Università del Salento)........................................................................................................................41
Maria Carolina Vesce (Università degli Studi di Messina)...............................................................................................42
Flavia Cuturi (Università di Napoli "L'Orientale")...........................................................................................................42
Irene Capelli (Università di Torino)..................................................................................................................................43
Lia Viola (Università degli Studi di Torino).....................................................................................................................43
OMOSESSUALITÀ, OMOGENITORIALITÀ, OMOFOBIA...................................................44
Cafuri Roberta ..................................................................................................................................................................44
Claudia Pandolfo (Università degli Studi di Milano Bicocca)..........................................................................................44
Rosa Parisi (Università di Foggia)....................................................................................................................................44
Simonetta Grilli (Università degli Studi di Siena)............................................................................................................45
RICOMPOSIZIONI FAMIGLIARI, MEMORIA, TRASMISSIONE DI SAPERI.......................46
Claudia Guendalina Sias (Università degli Studi di Cagliari).........................................................................................46
Elena Giusti (Università degli Studi di Torino)................................................................................................................46
Margherita Di Salvo (Università di Basilicata).................................................................................................................47
Cesare Pitto e Loredana Farina (Università della Calabria)..............................................................................................47
DALLA NASCITA ALLA MORTE. PRENDERSI CURA DEL CORPO IN CONTESTI
FAMIGLIARI...........................................................................................................................49
Miriam Castaldo (UOS di Salute Mentale dell’Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni
Migranti e il contrasto delle malattie della Povertà (INMP), Roma)................................................................................49
Francesco Zanotelli e Maria Antonietta Alessandri (Università di Messina)...................................................................49
Alessandro Gusman (Università degli Studi di Torino)....................................................................................................50
Riccardo Putti (Università degli Studi di Siena)...............................................................................................................50
Pino Schirripa (Università di Roma “La Sapienza”).........................................................................................................50
PRATICHE E STRATEGIE ECONOMICHE IN CONTESTI FAMIGLIARI...........................52
Davide Torsello (Università degli Studi di Bergamo).......................................................................................................52
Carlo Capello (Università degli Studi di Torino)..............................................................................................................52
Simone Ghezzi (Università di Milano Bicocca)...............................................................................................................52
FAMIGLIE TRANSNAZIONALI.............................................................................................54
Paola Sacchi (Università degli Studi di Torino)...............................................................................................................54
Francesco Vietti (Università di Genova)...........................................................................................................................54
Cristina Bezzi (Università degli Studi di Siena)...............................................................................................................54
Martina Giuffré (Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”)....................................................................................55
Sara Settepanella (Università degli Studi di Napoli "L’Orientale")..................................................................................56
BIOGRAFIE E MEMORIE INTERGENERAZIONALI............................................................57
Alice Bellagamba (Università degli Studi Milano Bicocca).............................................................................................57
Marinella Carosso (Università di Milano Bicocca)..........................................................................................................57
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Valeria Trupiano (Università degli Studi di Napoli " L’Orientale ").................................................................................57
Valentina Lusini (Università degli Studi di Siena)............................................................................................................59
PROBLEMI E RISORSE DELLE SECONDE GENERAZIONI.............................................60
Dorothy L. Zinn (Libera Università di Bolzano)..............................................................................................................60
Francesco Pompeo (Università Roma Tre).......................................................................................................................60
Alessandro Pisano (Scuola di specializzazione DEA, Università di Perugia)..................................................................60
Daniele Brigadoi Cologna (Università dell’Insubria).......................................................................................................61
LA RIDEFINIZIONE DEL GENERE IN CONTESTI MIGRATORI.........................................62
Fiorella Giacalone (Università degli Studi di Perugia).....................................................................................................62
Chantal Arena (Università degli Studi di Catania)...........................................................................................................62
Ulderico Daniele (Università Roma Tre)..........................................................................................................................62
Michela Fusachi e Valentina Vitale (Università Roma Tre)..............................................................................................63
PRATICHE E STRATEGIE ECONOMICHE IN CONTESTI FAMIGLIARI............................64
Piero Vereni (Università di Roma Tor Vergata)................................................................................................................64
Melinda Papp (ELTE University).....................................................................................................................................64
Zaira T. Lofranco (Università di Bergamo).......................................................................................................................64
Sara Bonfanti (Università degli Studi di Bergamo)..........................................................................................................65
III Convegno ANUAC
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