L`uomo è nato libero, e dappertutto è in catene. Jean

L'uomo è nato libero, e dappertutto è in catene.
Jean Jacques Rousseau
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Indice
Introduzione
U.Foscolo: “Poeta- soldato della libertà”
L. A. Seneca : “Il suicidio, atto estremo di libertà”
Euripide: “Libertà in Elena”
Fichte- Schelling- Hegel: “Libertà dello Spirito”
La Resistenza: “Le lotte dei partigiani per la liberazione dell’Italia”
A.Tennyson: “Ulysses, a free hero”
Le stelle: “Corpi celesti in libertà”
Riflessioni conclusive
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Introduzione
Diverse persone sostengono che la vera libertà non esista, in quanto non abbiamo scelto dove né
quando nascere, chi sarebbero stati i nostri genitori né il corpo in cui vivere.
In effetti, per tutto il corso della nostra esistenza, veniamo continuamente influenzati dall’ambiente
che ci circonda, inconsciamente o meno. Gli stessi limiti dell’essere uomini influenzano i nostri
pensieri ed i nostri sogni, basti pensare al desiderio di volare, di poter andare ovunque e in
qualunque momento senza che qualcuno ci possa fermare.“Fossi un uccello/ alto nel cielo /potrei
volare/senza aver padroni /se fossi un fiume /potrei andare /rompendo gli argini nelle mie
alluvioni”,canta Guccini.
Talvolta anche noi stessi ci imponiamo dei limiti senza rendercene conto: le paure. I giudizi degli
altri spesso pesano come condanne e ci murano gli occhi, lasciandoci la certezza di essere anche ciò
che non siamo e quindi facendoci diventare l’opposto di ciò che vorremmo. Quando poi abbiamo
paura dell’opinione che gli altri potrebbero avere di noi ci conformiamo alla massa, col timore di
non essere apprezzati, anche solo per un’idea, un modo di essere. Ci si nasconde dietro una
maschera, si rimane incatenati ad un determinato pensiero che gli altri hanno fatto su di noi e si
teme di rischiare, anche soltanto per provare. Probabilmente abbiamo troppa paura di noi stessi per
scoprirci veramente, evitiamo il silenzio e le discussioni, saltiamo a piè pari qualsiasi cosa richieda
un’opinione precisa e soprattutto argomentata. “Perché la gente sa e la gente lo sa che sai suonare,
suonare ti tocca per tutta la vita”, cantava il suonatore Jones di De Andrè: così si teme di cambiare,
di scoprirsi condizionati dagli altri. Invece forse è proprio la curiosità la chiave per la vera libertà,
perché spinge a cercare nel mondo noi stessi e il nostro posto.“Viaggiare per capire che non c’è
niente da scoprire se non dentro di noi”, come la ricerca del Marco Polo di Calvino, che in ogni
città che visitava vedeva ciò che la sua non era e non sarebbe mai stata, così ognuno cerca negli altri
ciò che da essi lo differisce e lo accomuna, per farci conoscere ciò che veramente siamo, anche con
le nostre idee e i nostri sogni più latenti. Molte volte li lasciamo nel cassetto, perché cadere dalle
nuvole può far male, ci accontentiamo di sopravvivere giorno dopo giorno, senza far caso ai nostri
desideri. Invece bisognerebbe fare sempre sogni grandiosi per sentirci liberi di volare davvero;
progettare e iniziare a costruire veramente il mondo in cui vorremmo vivere. “Sii il cambiamento
che vorresti vedere nel mondo” sosteneva Gandhi, perché non può esistere la libertà senza speranza
e senza questa i sogni non si possono realizzare.
“Ciascuno di noi è, in verità, un'immagine del grande gabbiano,
un'infinita idea di libertà, senza limiti”
Richard Bach – “Gabbiano Jonathan Livingston”
U. FOSCOLO
“Poeta- soldato della libertà”
Ugo Foscolo politicamente era entusiasta dei principi della Rivoluzione francese ed assunse
posizioni fortemente libertarie ed egualitarie, pieno di quel sentimento d'amore, di gloria e di libertà
che lo portò ad arruolarsi nelle truppe della Repubblica Cispadana e a pubblicare un’ode A
Buonaparte liberatore, in cui esaltava il generale francese come portatore di libertà.
Il Foscolo è il primo carattere romantico che appare nella storia della letteratura italiana,
appassionato, impetuoso, “ricco di vizi e di virtù”, come egli stesso si definisce.
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Due sono gli elementi che spiccano nella sua personalità: il primo è un immediato abbandono agli
impulsi del sentimento e delle passioni, che agitarono ininterrottamente la sua vita; il secondo, in
contrasto col primo, è l’esigenza di un ordine, di una disciplina, di un’armonia interiore.
Nell’abbandono agli impulsi del sentimento e delle passioni si avverte il segno della nuova
sensibilità del romanticismo; nell’esigenza dell’equilibrio e dell’armonia interiore si avverte
l’influenza del classicismo.
Tuttavia soltanto nella poesia egli riuscì a rappresentare l’armonia interiore, alla quale aspirava;
nella vita pratica, da autentico romantico, si lasciò sempre trasportare dalle passioni. Per questo è
ravvisabile in lui un motivo di pessimismo e di disperazione.
Il pessimismo del Foscolo deriva dal fatto che egli vede nella vita annullati gli ideali di libertà e di
giustizia, e secondo la visione materialistica e meccanicistica della realtà considera l’uomo come
prigioniero della materia, il quale, dopo aver compiuto il suo ciclo vitale, piomba con la morte nel
nulla eterno, come un qualsiasi animale, dopo una lunga catena di sofferenze senza senso.
La ragione quindi, esaltata dagli illuministi come fumatrice di tenebre e indagatrice di verità, per il
Foscolo non è affatto uno strumento di liberazione e di felicità ma un dono malefico della natura.
È questo il momento più acuto del pessimismo foscoliano, rappresentato idealmente dal suicidio di
Jacopo Ortis, un suicidio che è insieme una liberazione e una protesta: una liberazione dal dolore e
una protesta contro la natura, che ha destinato l’uomo all’infelicità.
Il romanzo Ultime lettere di Jacopo Ortis costituisce la prima importante opera di Foscolo, nel
quale affronta la questione della difficile condizione di un giovane intellettuale in conflitto con un
contesto sociale in cui non può inserirsi. Jacopo è un giovane patriota che, dopo la cessione di
Venezia all’Austria col trattato di Campoformio, cade in preda alla disperazione, che lo spinge ad
un pellegrinaggio per l’Italia e poi al suicidio.
La disperazione nasce dalla delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite tutte le speranze patriottiche
e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide, dal rendersi conto che lo strumento
rivoluzionario è ormai impraticabile. Non essendovi alternative possibili sul piano della storia,
l’unica via che si offre ad Ortis per uscire da una situazione negativa, al tempo stesso insostenibile e
immodificabile, è la morte, intesa in termini materialistici e nichilistici, come distruzione totale e
“nulla eterno”.
Foscolo stesso dirà “È meglio dunque non nascere, e, una volta nati, è meglio troncare la vita col
suicidio”.
L’opera ha infine per sottotitolo i versi danteschi: Libertà va cercando, ch’è sì cara,/ come sa chi
per lei vita rifiuta (Purg., vv. 71-72)
Questi versi ci rivelano la natura vera del suicidio di Jacopo Ortis. Esso non è negazione della vita,
ma è affermazione e bisogno di libertà, denuncia di oppressione e protesta contro la società e i
destino.
Foscolo dunque non soccombe al pessimismo e alla disperazione, ma reagisce vigorosamente,
creandosi una nuova fede in valori universali, che danno un fine e un significato alla vita dell’uomo.
Questi valori sono la libertà, la patria, la virtù, l’eroismo, la poesia, l’arte, la gloria, tutti sentimenti
che i filosofi materialisti e scettici chiamano illusioni ma che sono verità validissime per il poeta,
che le considera necessarie a sé e agli altri, perché hanno l’ufficio di legare l’uomo alla vita e di
dare uno scopo all’esistenza.
Tenendo presente la sua fede nelle “illusioni” ci spieghiamo molte delle vicende biografiche del
Foscolo, come il suo attivismo politico, militare, giornalistico, l’impegno di poeta civile, la scelta
coraggiosa dell’esilio, per fierezza e coerenza di carattere.
In questo senso, Foscolo può esser a buon diritto definito “poeta-soldato” della libertà.
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L. A. SENECA :
“Il suicidio, atto estremo di libertà”
Nel contesto culturale del mondo latino uno spunto di riflessione ci è offerto dal filosofo di matrice
stoica Lucio Anneo Seneca in una delle Epistulae ad Lucilium, la 70, dell’ottavo libro.
L’occasione di questa epistola è offerta da una visita fatta da Seneca a Pompei, che avendo
richiamato alla mente del filosofo i ricordi della giovinezza, gli ricorda al tempo stesso quanto per
lui sia vicina la morte. La riflessione sulla morte scivola lentamente sulla questione del suicidio e
sull’opportunità, per il saggio e per l’uomo in generale, di ricorrervi quando è schiacciato dalla
fortuna.
In Seneca il tema del suicidio assume una rilevanza del tutto nuova e una centralità che non ha
paralleli negli stoici suoi predecessori. Egli esalta il suicidio come atto supremo di libertà:
“campione” della libertà stoica è Catone Uticense, che di fronte al soccombere della repubblica si
diede la morte, rivendicando così, proprio attraverso il suicidio, l’ideale supremo della libertà.
La meta della ricerca individuale è la libertà: il termine perde ogni connotazione politica e viene a
significare la libertà interiore, che può esser ottenuta da tutti. Per raggiungerla è necessario liberarsi
dalle passioni che offuscano la ragione, dominano i nostri comportamenti e le nostre reazioni e ci
rendono schiavi degli istinti e dei desideri. Tra queste, la più terribile e dannosa è l’ira, che non è
mai giustificabile, neppure quando si configura come una reazione di sdegno o una manifestazione
di coraggio. Ugualmente fondamentale è liberarsi dall’ansia del potere o delle ricchezze, come pure
dai condizionamenti affettivi.
Questo non significa dover vivere da asceti, ma essere consapevoli che tutto ciò che abbiamo è solo
“un prestito”, del quale possiamo esser privati in ogni momento, e che niente ci appartiene, se non
la nostra anima. Da qui deriva l’autosufficienza del saggio, che è interessato ai beni veramente
duraturi, che non si fa sconvolgere dalle vicende esterne e che di conseguenza non teme la morte.
La liberazione dalla paura della morte era fra i temi fondamentali della meditazione epicurea e
stoica, che la concepivano come una delle acquisizioni su cui si basava la serenità del saggio; essa
era tanto più avvertita come necessaria all’epoca di Seneca, quando le delazione e le calunnie,
sommate alla tirannia degli imperatori, avevano reso l’esistenza assai precaria.
In Seneca, però, la teorizzazione del suicidio non si limita ad esaltare l’esempio (estremo) di
Catone: la vita umana è costrizione, il corpo è il “carcere” dell’anima e ogni uomo, se la vita lo
opprime, può, anzi deve, uccidersi per sottrarsi al dominio della fortuna:
“…Huius unius rei usum qui exigat dies veniet. Non est quod existimes magni tantum viris hoc
robur fuisse quo servitutis humanae claustra perrumperent; non est quod iudices hoc fieri nisi a
Catone non posse(…): vilissime sortir homines ingenti impetu in tutum evaserunt, cumque e
commodo mori non licuisset nec ad arbitrium suum instrumenta mortis eligere, obvia quaeque
rapuerunt et quae natura non erant noxia vi sua tela fecerunt.”
“…di questa sola virtù verrà il giorno che richieda la messa in pratica. Non devi credere che
soltanto uomini grandi abbiano avuto la forza di infrangere le catene della schiavitù umana; non
devi credere che sia capace soltanto Catone (…): uomini di umilissima condizione con uno slancio
pieno di ardimento si misero al sicuro, e non avendo potuto morire a loro piacimento né scegliere
secondo il loro desiderio gli strumenti della morte, afferrarono tutto ciò che loro capitava fra le
man, e oggetti che per natura erano inoffensivi,li trasformarono in armi con la loro forza.”
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EURIPIDE:
“Libertà in Elena”
Vv 56-67
“…E allora perché resto ancora in vita? Perché sentii la parola del dio
Ermes che ancora avrei abitato la gloriosa piana
di Sparta con il mio sposo, visto che lui sa che a Troia
non sono mai andata, per non unirmi in matrimonio ad alcuno.
Finché Proteo visse
rimasi libera dalle nozze; ma da quando è morto
Teoclimeno fa di tutto per sposarmi. Ma io, che onoro l’antico mio sposo,
mi prostro supplichevole davanti a questa tomba di Proteo
affinché conservi puro il mio talamo per il mio sposo
onde, se anche la mia fama è cattiva nell’Ellade,
il mio corpo non subisca qui un disonore…”
Questa prima parte del prologo, appartenente alla tragedia euripidea “Elena”, costituisce il
monologo della protagonista che ha la funzione di presentare la fabula agli spettatori nella forma
ideata dall’autore.
Elena spiega che la vicenda si svolge a Faro, in Egitto, davanti al palazzo di Proteo, il re al quale
Hermes ha chiesto amichevole ospitalità per lei, dopo averla rapita a sua insaputa, salvandola dalle
mire matrimoniali di Paride. Nel frattempo, a Troia si combatteva una lunga guerra, che, da eroica
ed estenuante, viene qui presentata, al contrario, come vana e inutile contesa per la rivendicazione
di un éidolon, ovvero un simulacro, un fantasma, che Paride aveva condotto con sé ad Ilio: si tratta
cioè, di un’immagine fasulla della regina di Sparta; immagine che, della vera Elena, conservava
solo il nome e l’aspetto esteriore. Tuttavia, dopo la morte del giusto e ospitale sovrano egiziano, la
stessa Elena, in nome di una già dichiarata fedeltà a Menelao, deve mettersi al riparo dalle insidie
del figlio di Proteo e suo successore al trono, Teoclimeno, il quale la insegue pervicacemente per
farla sua sposa. La donna per la quale si combatté la guerra di Troia appare dunque, ai nostri occhi,
già diversa da quella che si conosceva. In Euripide infatti, il coefficiente di libertà interpretativa
risulta molto elevato rispetto ai suoi predecessori.
In tal senso è possibile parlare di una “nuova” Elena proprio per la novità di un personaggio
rivisitato e riproposto in una dimensione totalmente opposta rispetto a quella tradizionale.
Ella è una creatura virtuosa e profondamente legata al marito, un’eroina capace di resistere alle
insidie di Teoclimeno ribadendo, in questo modo, la propria tenace fedeltà a Menelao e soprattutto
affermando la propria libertà di scelta: continuare ad onorare il suo matrimonio anche a costo di
procurarsi una cattiva fama nell’Ellade.
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“Libertà dello Spirito”
FICHTE
Filosofo dell’infinità dell’Io, della sua assoluta attività e spontaneità, quindi della sua assoluta
libertà.
Per Io infinito o puro Fichte intende un Io libero, ossia uno spirito vittorioso sui propri ostacoli e
quindi privo e scevro di limiti, assolutamente incondizionato. Situazione che per l’uomo rappresenta
un semplice ideale. Di conseguenza, dire che l’Io infinito è la natura e la missione dell’Io finito
significa dire che l’uomo è uno sforzo infinito verso la libertà, ovvero una lotta inesauribile contro il
limite, e quindi contro la natura esterna(le cose) e interna(gli istinti irrazionali e l’egoismo).
Lo sforzo, Streben, che Fichte definisce un “concetto importantissimo per la parte pratica della
dottrina della scienza” coincide con l’essenza stessa dell’uomo, inteso come compito infinito di
autoliberazione dell’Io dai propri ostacoli. “L’Io è infinito, ma solo per il suo sforzo; esso si sforza
di essere infinito. Ma nel concetto stesso dello sforzo è già compresa la finità.”
In altri termini, sotto le rigide formule della Dottrina della scienza si cela un messaggio tipico della
modernità: il compito proprio dell’uomo è la umanizzazione del mondo, ossia il tentativo
incessante, da parte nostra, di spiritualizzare le cose e noi stessi, dando origine, da un lato, ad una
natura plasmata secondo i nostri scopi, dall’altro, ad una natura di esseri liberi e razionali.
“frein sein ist nichts, frei werden ist der Himmel”
“ essere libero è niente, divenirlo è cosa celeste”
Si noti come Fichte, con questo basilare principio, non faccia che portare alla sua massima
espressione metafisica la visione rinascimentale e moderna dell’uomo come “libero e sovrano
artefice di se stesso”, ovvero come essere che costruisce o inventa se medesimo tramite la propria
libertà.
L’Io è dunque attività autocreatrice, libera, assoluta e infinita.
La difesa dell’autonomia e incondizionatezza dell’Io fa sì che l’idealismo si configuri come una
dottrina della libertà.
SCHELLING
Per Assoluto Schelling intende il principio infinito e creatore della realtà, cioè Dio stesso. Tale
principio non è riducibile né al soggetto (lo spirito) né all’oggetto (la natura). Infatti, essendo il
fondamento di entrambi, è un’unità o identità dei medesimi, ossia spirito e natura, soggetto e
oggetto, consapevolezza e inconsapevolezza, libertà e necessità, idealità e realtà. Del resto,
argomenta Schelling, un Assoluto puramente soggettivo non riuscirebbe a spiegare la natura, mentre
un Assoluto puramente oggettivo non potrebbe spiegare lo spirito. Di conseguenza, la filosofia
dell’Assoluto si dividerà in quei due grandi tronchi che sono la filosofia della natura e la filosofia
trascendentale o dello spirito, cercando in entrambe di cogliere quell’identità fra soggetto e oggetto
che costituisce l’Assoluto stesso.
HEGEL
La filosofia dello spirito, che Hegel definisce “la conoscenza più alta e difficile”, è lo studio
dell’idea che, dopo essersi estraniata da sé, sparisce come natura, cioè come esteriorità e spazialità,
per farsi soggettività e libertà, ovvero auto-creazione e auto-produzione. Lo sviluppo dello spirito
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avviene attraverso tre momenti principali: lo spirito soggettivo, lo spirito oggettivo e lo spirito
assoluto.
Anche lo spirito, osserva Hegel, precede per gradi, ma diversamente da quanto accade nella natura,
nella quale i gradi sussistono l’uno accanto all’altro, nello spirito ciascun grado è compreso e risolto
nel grado superiore, il quale, a sua volta, è già presente nel grado inferiore.
Lo spirito soggettivo è lo spirito individuale, considerato nel suo lento emergere dalla natura e nel
suo progressivo porsi come libertà. Lo spirito soggettivo si articola in anima (oggetto
dell’antropologia), conoscenza (oggetto della fenomenologia) e in spirito in senso stretto (oggetto
della psicologia, che studia l’uomo come conoscenza, azione e libertà).
Lo spirito oggettivo è lo spirito fattosi ”mondo” a livello sociale, ossia in quell’insieme di
determinazioni sovra-individuali che Hegel raccoglie sotto il concetto di diritto in senso lato.
Lo spirito assoluto è il momento in cui l’idea giunge alla piena conoscenza della propria infinità o
assolutezza (cioè del fatto che tutto è Spirito e non vi è nulla al di fuori della Spirito). Tale autosapersi assoluto dell’Assoluto avviene attraverso l’arte, la religione e la filosofia.
La libertà è “l’essenza dello spirito”, in quanto essere indipendente e auto-producentesi: “Lo
spirito…è proprio questo avere il suo centro in se stesso…la materia ha la sua sostanza fuori di sé;
lo spirito invece è l’esser presso di sé, e ciò appunto è la libertà…”, “ L’occupazione dello spirito è
quella di prodursi, di farsi oggetto di sé, di sapere di sé; così esso è per se stesso. Le cose della
natura non sono per se stesse; perciò esse non sono libere. Lo spirito produce, realizza se stesso in
conformità del suo sapere di sé: esso fa sì che ciò che esso sa di sé, anche si realizzi”. Ovviamente,
dire che lo Spirito è la libertà significa anche dire che esso è sforzo di auto-liberazione, ossia lotta
contro gli ostacoli che ne limitano l’attività.
“Le lotte dei partigiani per la liberazione dell’Italia”
La Resistenza è il termine che designa il complesso della lotta nazionale contro il fascismo e il
nazismo.
La Resistenza italiana, già annunziatasi nel marzo 1943 coi massicci scioperi operai nelle città
industriali del Nord, ebbe il suo preludio militare con la difesa di Roma da parte di alcuni reparti
dell’esercito che, sostenuti dalla popolazione civile, contrastarono l’ingresso dei tedeschi a Porta
San Paolo. Importanti anche le quattro giornate di Napoli del settembre 1943, durante le quali la
popolazione reagì alle violenze dei tedeschi finché gli occupanti non si piegarono ad abbandonare la
città. Nella parte d’Italia controllata dai fascisti e dai tedeschi, che avevano instaurato un regime
poliziesco ed erano comandati dal feldmaresciallo Albert Kesserling ( al quale era stata affidata la
repressione antipartigiana), la Resistenza ebbe origini spontanee e si manifestò in forme diverse:
cominciò con lo sbandamento dei reparti del vecchio esercito, col rifiuto della leva militare ordinata
dal governo di Mussolini, con l’aiuto ai prigionieri alleati e agli Ebrei, con la propaganda e la
controinformazione, con le prime iniziative di lotta armata: colpi di mano, attacchi a presidi nazisti
e fascisti. Ben presto di formarono le prime bande, poi le brigate, così la guerra partigiana divenne
l’aspetto caratterizzante della Resistenza. Alle azioni isolate di guerriglia seguirono vere e proprie
operazioni militari che si conclusero con l’occupazione di ampie aree e la costituzione di effimere
repubbliche partigiane, come quella in Val d’Ossola.
Si è calcolato che tra il ’43 e il ’45 gli uomini che parteciparono alla Resistenza siano stati oltre
230000, dei quali almeno la metà impegnati in modo continuativo nelle operazioni di guerra.
I partigiani provenivano da tutte le classi sociali, forte era la presenza degli operai e dei ceti medi.
La maggior parte delle formazioni partigiane erano strettamente legate ai partiti: le brigate
“Garibaldi” erano espressione del Partito comunista, le brigate “Matteotti” di quello socialista, le
brigate “gielliste” del Partito d’Azione. Nelle grandi città operavano gruppi speciali, quali GAP
(Gruppo di Azione Partigiana) e SAP ( Squadre di Azione Patriottica), che fiancheggiavano il
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movimento partigiano con attentati, sabotaggi, scioperi e propaganda. Il coordinamento e la guida
del movimento partigiano vennero assunti dai CLN (Comitati di Liberazione Nazionale), formati
dai rappresentanti dei risorti partiti antifascisti e che nei territori occupati dai Tedeschi si raccolsero
in CLNAI (Comitati di Liberazione Nazionale Alta Italia).
I CLN, secondo quanto auspicavano i partiti di sinistra, non dovevano assolvere solo ad una
funzione di coordinamento e direzione della lotta militare, ma porsi come organi che, al momento
della cacciata dei Tedeschi, avrebbero assunto la direzione della cosa pubblica. Si proponevano,
insomma, come veri e propri organi di autogoverno rivoluzionario che qualcuno paragonava ai
soviet russi.
La Resistenza dunque ebbe un carattere militare e uno politico; il primo consistette nella guerra di
liberazione contro lo straniero, il secondo nell’intento di instaurare un nuovo ordine costituzionale,
sociale e politico. In questo senso si è parlato della Resistenza come “secondo Risorgimento”, anche
perché coinvolse le classi sociali assenti nel primo, ponendosi come avanguardia di un movimento
che voleva trasformare radicalmente e strutture del vecchio Stato italiano quale si era configurato
nell’Ottocento.
“…su queste strade se vorrai tornare
ai nostri posti ci ritroverai
morti e vivi collo stesso impegno
popolo serrato intorno al monumento
che si chiama
ora e sempre
Resistenza”
A.TENNYSON:
“Ulysses, a free hero”
The myth of Ulysses has its origins in Homer’s Odyssey and has survived throughout the ages.
After Homer many other writers have chosen Ulysses as the protagonist of their works and
reinterpreted the hero in their own way, without destroying the archetypal figure.
In Tennyson’s monologue Ulysses is an old king who is bored with the commonplace life he leads
on Ithaca where he is surrounded by an “aged” wife, a conformist son and a “savage race”. His
dissatisfaction with his present life, his regret for his adventurous past and his thirst for knowledge,
drive him to sail “out into the West”. He is still a brilliant speaker as he persuades his aged crew to
join him.
It’s a highly Romantic view of hero, symbolic of the individual who constantly strives after new
and noble goals; he longs to return to a heroic life where man is ready “to strive, to seek, to find,
and not to yield”.
The poem is in the form of dramatic monologue, but Ulysses emotions and attitudes are actually
Tennyson’s own: the poet identifies with his hero’s yearning after adventures and new experiences
while approving also of the wise Telemachus whose personal qualities and social commitment were
so much in tune with the liberal reformism of the Victorian age.
“…For always roaming with a hungry heart
Much have I seen and known; cities of men
And manners, climates, councils, governments,
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Myself not least, but honour'd of them all;
And drunk delight of battle with my peers,
Far on the ringing plains of windy Troy.
I am a part of all that I have met…”
“…Per sempre vagando con un cuore affamato
Ho visto e conosciuto molto; città di uomini
E costumi, climi, consigli, governi,
E non meno me stesso, ma onorato da tutti loro;
Ed ho bevuto (vissuto) la gioia della battaglia con i miei pari,
Lontano sulle risonanti pianure della ventosa Troia.
Io sono una parte di tutto ciò che ho incontrato…”
Ulysses is also an overreacher who follows knowledge, at any cost, beyond the pillars of Hercules
into dangerous waters:
“…And this gray spirit yearning in desire
To follow knowledge like a sinking star,
Beyond the utmost bound of human thought…”
“…E questo spirito grigio che anela con il desiderio
Di seguire il sapere come una stella cadente,
Oltre il massimo limite del pensiero umano…”
For these several reasons Ulysses really can be considered a free hero.
LE STELLE:
“Corpi celesti in libertà”
Da sempre l'uomo guarda il cielo…forse per la sua grandiosità, forse per perdersi in quel mare di
pennellate blu e bianche, forse per vedere fino a dove si può arrivare con lo sguardo guardando
attentamente quei flussi volteggianti di uccelli. Da sempre l'uomo guarda il cielo di notte... forse
perché il cielo di notte è troppo strano per non essere guardato, forse perché quelle piccole luci
nascondono tante piccole realtà, forse perché riescono a comunicarci un profondo senso di libertà,
forse perché lo sono davvero…lì, in quella stupefacente immensità…
Le stelle di formano per collasso gravitazionale all’interno delle nebulose. In queste nubi, per eventi
casuali, possono formarsi zone più dense, che appaiono scure e di forma globulare.
Una stella nasce quando in un globulo, a causa di movimenti turbolenti, si forma un “grumo” più
denso che comincia ad attirare polveri e gas, accrescendo così la sua massa. La nube quindi collassa
per effetto della forza gravitazionale e al centro si forma una protostella, un corpo denso, di
dimensioni variabili, che lentamente si contrae. La contrazione gravitazionale produce calore e per
questo la temperatura all’interno cresce lentamente, non abbastanza però da permettere lo
svolgimento di reazioni termonucleari. Tuttavia con il procedere della contrazione, temperatura e
pressione aumentano in modo considerevole, per cui iniziano le reazioni di fusione termonucleare e
la protostella diventa una vera e propria stella. In una stella appena formata, gli strati più esterni si
comportano come un gas in massima parte ionizzato mentre nel nòcciolo, dove la temperatura
raggiunge i 15 milioni di Kelvin, la materia si trova allo stato di plasma: gli elettroni si separano dai
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nuclei atomici con cui si mescolano liberamente. Qui avvengono le reazioni termonucleari che
trasformano l’idrogeno in elio e una piccola parte della massa viene trasformata in raggi gamma.
Una stella che si trovi in questa fase è stabile, cioè non si espande e non si contrae, perché si
stabilisce un equilibrio tra la pressione generata dalla forza di gravità e la pressione di radiazione.
Sul diagramma H- R, le stelle di questo tipo si trovano sulla sequenza principale e la posizione che
occupano dipende dalla massa.
Tale fase di stabilità è destinata a terminare, perché la stella può utilizzare per le razioni nucleari
solo l’idrogeno del nòcciolo e questo con il passare del tempo si esaurisce. Negli strati esterni
l’idrogeno è presente abbondantemente ma non esistono le condizioni di pressione e temperatura
necessarie per la fusione. Il tempo necessario alla stella per consumare l’idrogeno del nocciolo varia
con la massa: le stelle di massa maggiore, per poter contrastare efficacemente la contrazione
gravitazionale, devono consumare l’idrogeno molto più velocemente rispetto alle stelle di piccola
massa e la loro permanenza nella sequenza principale è più breve.
Il loro destino a questo punto è ancora condizionato dalla massa.
Se la stella ha massa inferiore a 0,5 masse solari, la contrazione riscalda il nucleo senza raggiungere
i valori necessari per innescare nuove reazioni termonucleari così la stella entra nella fase finale
della sua vita, si trasforma direttamente in nana bianca che, in un arco di tempo lunghissimo, si
raffredda fino a diventare una nana nera, un corpo denso e oscuro, non più visibile.
Se la stella ha massa superiore a 0,5 masse solari si trasforma in una gigante rossa, la cui successiva
evoluzione è ancora una volta condizionata dalla massa:
- se ha una massa inferiore a 2 masse solari entra nella fase finale della sua vita;
- se ha una massa superiore a 2 masse solari diventa una supergigante rossa.
Le giganti rosse con massa inferiore a 8 masse solari si trasformano in nane bianche mentre quelle
con massa superiore a 8 masse solari muoiono in modo catastrofico diventando supernovae. La
supernova è una stella che esplode violentemente aumentando anche di 1 miliardo di volte la sua
luminosità e tale esplosione provoca l’espulsione nello spazio di una parte consistente della materia
della stella, che si espande a velocità elevatissima. Al termine dell’esplosione, al posto della
supernova resta il nocciolo, estremamente caldo e denso, che, a seconda della massa, dà origine ad
una stella a neutroni o a un buco nero.
Riflessioni conclusive
L’uomo moderno è libero da un punto di vista burocratico perché libero di scegliere, professare la
propria religione, esporre la propria opinione e poter scegliere ciò che ritiene meglio per sé,
ovunque e in ogni modo, nella stragrande maggioranza degli stati civilizzati.
Tuttavia egli è anche schiavo, anche se sostanzialmente è una dolce schiavitù: la schiavitù delle
comodità e dei beni strettamente materiali, dai quali sembra incapace di prescindere. Così, avendo
la pretesa di agire unicamente in base ai propri desideri non curandosi di aver rispetto dell’altro,
confonde il concetto di libertà con quello di libero arbitrio, che nulla ha a che vedere con esso.
Diventa dunque schiavo della libertà stessa.
Ma quello della libertà è stato un cammino accidentato, faticoso, durante il quale sono morti
migliaia di uomini, dunque è nostro compito difenderla.
Perché la libertà è la qualità fondamentale e specifica dell’uomo, che lo costituisce come persona,
e che consiste nel non essere assoggettato ad un ordine chiuso e precostituito, ma nell’avere una
natura aperta, che, pur nei limiti derivanti dalla sua caratteristica di esser finito, gli consente di
autoprogettarsi e autorealizzarsi in base alle scelte che compie. È una condizione esistenziale
dell’uomo per la quale è pronto a superare, con un profondo impegno morale e intellettuale, gli
ostacoli che ne impediscono la sua piena realizzazione. È la sua vera e preziosa fonte di vita.
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“Su i quaderni di scolaro
Su i miei banchi e gli alberi
Su la sabbia su la neve
Scrivo il tuo nome
Su ogni pagina che ho letto
Su ogni pagina che è bianca
Sasso sangue carta o cenere
Scrivo il tuo nome
Su le immagini dorate
Su le armi dei guerrieri
Su la corona dei re
Scrivo il tuo nome […]
E in virtù d'una parola
Ricomincio la mia vita
Sono nato per conoscerti
Per chiamarti
Libertà”
P. ELUARD, Liberté, 1942
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