CORSO DI FISICA
1S1l1  2 S2 l2
Prof. Abbate
1. dinamica dei fluidi
Dividendo entrambi i membri per ∆t, il rapporto l/∆t diviene uguale alla
velocità con cui il fluido attraversa la sezione, ottenendo quindi:
Nello studio della prima parte della fluidodinamica, si considerano
liquidi ideali, ovvero che:
- siano incomprimibili: il loro volume non cambia nel fluire e nel
tempo, quindi anche la densità è costante
- siano privi di viscosità: non esiste attrito tra le moleocle del
fluido e quelle del conduttore. La principale conseguenza p che
nel fluire si abbia la conservazione dell’energia meccanica
quindi si lavora in un sistema conservativo.
La viscosità è una proprietà dei fluidi reali, che fa in modo che questi
varino il proprio modo di fluire nel tempo dissipando energia:
- gli effetti sono più rilevanti tanto più è piccola la sezione
attraversata dal fluido.
Si dice che un fluido è in moto stazionario se la velocità del fluido è
uguale per modulo, direzione e verso in ogni punto del fluido in moto.
La portata volumetrica è data dalla quantità di liquido che attraversa
una sezione nell’unità di tempo, espressa dal rapporto:
QV 
S1l1  S2 l2
V
t
S1v1  S2v 2
S1 v 2

S2 v1

Per cui si può ragionevolmente affermare che:
- la velocità è inversamente proporzionale alla sezione del
condotto

- maggiore è la sezione, minore è la velocità con cui è
attraversata da una certa massa di liquido
Inoltre il prodotto Sv è anche la portata del fluido, quindi si usa
chiamare questa legge anche legge della costanza della portata,
poiché Q1=Q2.
TEOREMA DI BERNOULLI.
In un condotto in cui scorre un fluido di moto stazionario,
incomprimibile e privo di viscosità si può affermare che la somma della
pressione cinetica, della pressione di gravità e della pressione
dinamica è costante.
In termini matematici, in un condotto vale la legge:
Il principio di continuità dei fluidi afferma che la massa che
attraversa una sezione del condotto in un intervallo di tempo è uguale
a quella che passa nello
 stesso intervallo di tempo in un’altra sezione
del condotto.
La stessa cosa, se si tratta di fluidi incomprimibili, si può affermare per
il volume, avendo così:
1
p  gh  v 2  costante
2

ATTRITO VISCOSO.
-
In un fluido reale, agisce un attrito tra le particelle del liquido, che
comporta una dissipazione di energia cinetica quando il fluido è in
movimento.
-
Si definisce attrito interno una forza che si sviluppa in un liquido reale
quando esso è posto in moto:
- dissipa energia (L<0)
- si oppone al verso del moto
Da un punto i vista quantitativo si possono fare solamente delle
approssimazioni:
- si deve considerare il fluido come una serie di piani che
scivolano uno sull’altro
- il moto che si sviluppa in questo modo è detto moto laminare.
- Scivolando l’una sull’altra, le lamine subiscono attrito tra loso
- La velocità è diversa nei vari piani, prossima a zero in quello
più esterno e massima in quello più interno.
La rapidità con cui la velocità varia nei vari piani si può esprimere con
una approssimazione, data dal rapporto ∆v/∆x:
- ∆v è la velocità della lamina
- ∆x è la distanza dal centro del condotto.
La forza dell’attrito interno è espressa dalla legge
Fai  
v
S
x
all’aumentare della temperatura, la viscosità diminuisce
sensibilmente
con il diminuire della temperatura la viscosità cresce fino a
diventare massima (stato solido)
Può darsi che si trovi espressa la viscosità in termini di viscosità
cinematica (quella di cui si è parlato è viscosità dinamica), che è
espressa dalla seguente legge
c 


che si trova espressa in m2/s.

LIQUIDI REALI E TEOREMA DI BERNOULLI. LA LEGGE DI
HAGEN-POISEUILLE.
Secondo la legge di Bernoulli, un liquido reale che si muove di moto
stazionario a velocità costante in un condotto orizzontale ha una
pressione costante, essendo v1=v2, quindi p1=p2.
Tuttavia, nei liquidi reali si assiste al fenomeno della perdita di carico:
- tutti i tubi piezometrici posti nel condotto dovrebbero salire alla
medesima altezza, ma non avviene
- i tubi verticali posti nel condotto vedono diminuire e proprie
altezze in una maniera costante
- minore è la sezione maggiore è la diminuzione delle altezze
in cui è detto coefficiente di attrito interno o di viscosità.
Questo fenomeno è da attribuire alla perdita di energia meccanica
causato dal lavoro della forza di attrito viscoso.
 fedeli all’equazione dimensionale, il coefficiente
Se si volesse rimanere
di viscosità sarebbe espresso in kg/ms2, tuttavia si preferisce
considerarla in Pa/s.
Intuitivamente si può affermare che in un condotto con sezione
sufficientemente piccola un liquido deve avere una differenza di
pressione per poter muoversi.
Il coefficiente di viscosità dipende pesantemente dalla temperatura:
La ∆p creerà una forza F = ∆p S, che si opporrà costantemente alla
forza di attrito viscoso.
-
proporzionale alla velocità con cui il corpo si muove
di verso contrario alla velocità
Il volume del liquido che attraversa una sezione nell’unità di tempo
dovrà essere:
- direttamente proporzionale alla ∆p e alla sezione S
- inversamente proporzionale alla viscosità del liquido
Se in corpo si muove con una velocità sufficientemente piccola, il
modulo della forza resistente è dato da:
Queste considerazioni sono accolte dalla legge di Hagen-Poiseuille,
che afferma che:
- in un intervallo di tempo t
- attraverso un tubo di raggio R e lunghezza l,
- agli estremi del quale vi è una differenza di pressione ∆p
- un volume di liquido V di viscosità  sarà pari a
in cui:
-
 pR 4 t
V
8 l
Si può, nota la viscosità di un liquido, determinare quella di un altro,
facendoli passare nel medesimo tubo nello stesso intervallo di tempo

t=t’, misurandone i volumi
V e V’, che saranno dati da:
 pR 4 t
 pR 4 t
V
e V '
8 l
8 ' l
Facendo il rapporto membro a membro di ottiene:

V '  
V'

Oppure che   '
V '
V
RESISTENZA VISCOSA E PROCESSO DI SEDIMENTAZIONE.


Se un corpo si muove in un fluido (che si suppone fermo), insieme alla
forza di gravità ed alla spinta di Archimede agisce anche la forza
resistente:
F  klv
l è una dimensione lineare caratteristica dell’oggetto
v è la velocitàcon cui l’oggetto si muove
 è il coefficiente di viscosità
k è un parametro detto coefficiente di forma dell’oggetto.
Questa forza è connessa alla viscosità del fluido ed ha un modulo
uguale a quello necessario per rompere le varie lamine de fluido che
presentano attrito, quindi è definita resistenza viscosa.
Nel caso di una sfera nell’equazione si sostituiscono:
- k = 6π
- l=R
e l’equazione sopra descritta prende la forma della legge di Stokes,
F  6Rv
Il processo di sedimentazione è un processo che permette la
separazione fisica di un solido da un liquido o di un liquido da un altro

liquido.
Supponendo che un corpuscolo di massa m e di densità ’ discenda
con velocità v sufficientemente piccola in un liquido di densità ’.
Se le condizioni sono di regime (in cui avviene moto uniforme), la
somma delle forze agenti è nulla:
- la spinta di archimede Fa
- la resistenza viscosa Fr
-
il peso P
P - Fa - Fr = 0.
Per valori di questo numero abbastanza piccoli si trova il moto
laminare, mentre per numeri molto più grandi si trova un moto che è
vorticoso.
In particolare è utile notare che Fr = P – Fa.
Sostituendo in questa formula le note equazioni P=mg, Fa = gV si
ottiene a velocità di sedimentazione nella seguente equazione,
v
V ( ' )g
kl
come si può osservare, la velocità di sedimentazione dipende da:
- forma e dimensioni del corpo che cade
della sostanza che lo costituisce
- dalla densità
- dalla viscosità del liquido in cui è immerso.
REGIME LAMINARE E REGIME VORTICOSO, IL NUMERO DI
REYNOLDS.
Per il valore di una sfera, si sostituisce l con r nell’equazione e si trova
che:
- per Nr < 0,2 il moto è laminare
- per Nr > 1000 il moto è sicuramente vorticoso
- nei numeri di Reynolds tra 0,2 e 1000 si hanno stati intermedi.
Si può anche determinare il tipo di moto di un liquido in un condotto di
sezione circolare, con una equazione leggermente modificata:
NR 
2v R

in cui si ha:
- R è il raggio della sezione del tubo
 media delle molecole
- v’ è la velocità
Si è visto che un corpo che in acqua si muove con velocità
sufficientemente piccola non provoca regime vorticoso, bensì mantiene
il moto laminare all’interno del fluido:
- non forma scia, quindi non forma regime vorticoso.
Per i numeri maggiori di 3000 il moto è sicuramente vorticoso, mentre
per i minori di 1000 è sicuramente laminare. Altrimenti si hanno stati
intermedi.
Per determinare il tipo di moto all’interno di un fluido, se sia laminare o
vorticoso si utilizza una grandezza che è detta numero di Reynolds,
definita dall’equazione generale:
LA RESISTENZA IDRAULICA.
NR 
vl

in cui:
- l è una lunghezza dimensionale del corpo
- v è la velocità con cui il corpo si muove
del liquido.
-  è la viscosità
Partendo dalla legge di Hagen-Poiseuille, si può definire un’altra
grandezza, che esprime la difficoltà di un liquido a fluire attraverso un
condotto cilindrico, la resistenza idraulica.
Per la legge di Hagen-Poiseuille si sa che:
Q

V  pR 4

t 8 l
Da questa si può ricavare una grandezza che esprime, in funzione
della portata, la difficoltà del liquido a fluire, con la debita caduta di
pressione.
Si definisce resistenza idraulica il rapporto tra la caduta di pressione
in un condotto cilindrico e la portata del fluido nel condotto stesso:
Se i due condotti hanno le medesime dimensioni, le cadute di
pressione sono identiche, e identica è quella totale: ∆p = ∆p1 = ∆p2.
Dividendo ogni portata per la propria caduta di pressione si ottengono i
reciproci delle singole resistenze:
Q Q1
Q

 2
p p1 p2
p 8l
Ridr 

Q R 4
Questa resistenza R si misura in Pa•s/m3.
 con cui si distribuisce in un condotto, in serie o in
A seconda del modo
parallelo, questa assume valori differenti, con una forte analogia con
quanto avviene nella resistenza elettrica.
Se due tubi sono collegati in serie, la portata sarà la medesima per
ogni tubo (Q) e vi saranno due differenti cadute di pressione a seconda
della natura del condotto (∆p1, ∆p2):
Ridr 
p p1  p2

Q
Q
Distribuendo il denominatore si ottengono le due singole resistenze e
si può ottenere il valore della resistenza totale:

Ridr 
p1 p2

 R1  R2
Q
Q
Si deve concludere che se due condotti sono collegati in serie, la loro
resistenza idraulica è uguale alla somma delle resistenze dei singoli

tubi.
Ovvero, si ottiene che il reciproco della resistenza totale di due tubi
connessi in parallelo è uguale alla somma dei reciproci delle singole
resistenze.

1 1
1
 
R R1 R2
Si deduce che la ramificazione, quindi, diminuisce la resistenza:
- questo principio è sfruttato dai vasi linfatici e dai vasi sanguigni

LA POTENZA DI UNA POMPA.
Si immagini di avere un condotto che ha differenti dimensioni nei suoi
punti.
La forza F necessaria per spingere attraverso una sezione S un fluido
è data da F = pS.
Il lavoro dunque sarà dato dal prodotto della forza per quello dello
spostamento: L = F ∆s = pS∆s.
Poiché S∆s eguaglia il volume del liquido che è stato trasportato con
tale lavoro, nell’unità di tempo si avrà
W
Se invece due condotti sono connessi in parallelo, la portata totale Q
sarà data dalla somma delle portate dei singoli condotti: Q = Q1 + Q2.

L pV

t t
che è la potenza espressa dalla forza che agisce sulla pompa.
Il numero di moli n è il numero di moli di gas prese in considerazione.
È utile notare, che il rapporto tra volume e l’unità di tempo eguaglia la
portata Q del fluido attraverso una sezione del condotto, quindi, la
potenza richiesta ad una pompa per ottenere una portata Q con una
pressione p è data dalla legge:
R è detta costante dei gas, ed ha un valore differente a seconda del
modo in cui si esprimono pressione e volume:
- se si esprime il volume in litri e la pressione in atmosfere
R=0,082 l•atm/k•mol
- se si esprime il volume in m3 e la pressione in Pa, R=8,31 J/K.
W
pV
 pQ
t
In un condotto con differenti sezioni, la potenza necessaria per
spingere il fluido sarà:

W  pQ
ovvero che la potenza necessaria per fare passare attraverso un tubo
con sezione variabile è data dal prodotto tra la portata e le variazioni di

pressione che si incontrano
lungo il cammino.
2. i gas
LA LEGGE DI STATO DEI GAS PERFETTI.
Ponendo in un’unica equazione, con le debite sostituzioni, la legge dei
gas perfetti, si può ottenere una legge che tiene insieme tutti e tre i
parametri che caratterizzano lo stato di un gas: p, V, T.
TEORIA CINETICA DEI GAS E DEFINIZIONE MICROSCOPICA.
Le molecole di un gas sono molto più libere di muoversi rispetto a
quelle di un fluido e si muovono in maniera del tutto casuale,
collidendo tra loro e con le pareti del recipiente che contiene il gas.
La definizione di gas perfetto si basa su tre assunti:
1) il volume delle particelle deve essere trascurabile rispetto a
quello del gas. Le particelle devono essere considerate
puntiformi
2) gli urti che avvengono tra le molecole e con le pareti del
recipiente che le contiene devono considerarsi totalmente
anelastici, ovvero che non vi sia dispersione di energia cinetica;
3) le interazioni tra le particelle sono nulle.
La pressione di un gas contro una superficie è data dai continui urti
che le particelle hanno con la parete del recipiente.
La pressione di un gas su una qualsiasi superficie è data dalla legge
1 _
p  v2
3
pV = nRT
Questa equazione permette, noti due dei tre parametri di stato del gas,
di trovare le dimensioni del terzo.
La temperatura deve essere espressa nella scala assoluta di Kelvin,
affinché l’equazione sia valida. La conversione è T = t + 273,15.
L’energia cinetica media delle particelle è data da


3
E k  kT
2
in cui k è la costante di Boltzman, definita come
k
R
1,38 1023[Jk]
Na
Si sa anche che l’energia cinetica delle particelle è data dalla classica
equazione

1
E  mv 2
2
Eguagliando le due equazioni si può ottenere una formula che
permette di avere la velocità quadratica media delle particelle:

1
3
mv 2  kT
2
2
3kT
v qm 
m
Questa è la velocità media delle particelle da un punto di vista
statistico, che dovrebbe avere la migliore approssimazione possibile
 temperatura.
ed è in funzione della
LA DILATAZIONE TERMICA.
dove ∆t è la variazione di temperatura e  è il coefficiente di dilatazione
termica.
3. termodinamica
IL CONCETTO DI QUANTITÅ DI CALORE, CALORE SPECIFICO E
CAPACITÀ TERMICA.
Ponendo a contatto due corpi differenti si può notare empiricamente
come, se il sistema è isolato, il corpo con temperatura maggiore
diminuisce di temperatura e il corpo con temperatura minore aumenta
di temperatura:
- ad un certo punto le temperature non variano più e si giunge ad
uno stato in cui i due oggetti hanno la medesima temperatura
- questo stato è detto di equilibrio termico.
In un caso come questo si dice che una quantità di calore (in termini
energetici) passa da un corpo all’altro:
- lo scambio delle quantità di calore è sempre nella direzione dal
corpo con maggiore calore (quindi con temperatura maggiore)
a quello con temperatura, quindi calore, minore
- talvolta può accadere che determinate quantità di calore non
producano solamente un aumento di temperatura, ma anche
un passaggio di stato
- durante i passaggi di stato la temperatura si mantiene costante,
poiché il calore, a quella data temperatura, viene utilizzato per
compiere il passaggio di stato.
Quando un corpo viene scaldato, come per le leggi di Boyle-mariotte e
di Gay-Lussac, anche se è solido subisce una dilatazione termica,
dovuta in termini microscopici, alla perdita di forza dei legami tra le
varie molecole
Si definisce come quantità di calore unitaria la caloria, che è la
quantità di calore necessaria, a pressione normale, per fare variare la
temperatura di 1 g di acqua da 14,5°C a 15,5°C.
La legge che regola la dilatazione termica è
Il rapporto tra la quantità di calore scambiata e la variazione (t2-t1) della
temperatura è definito capacità termica media del corpo nell’intervallo
medio:
l  l0 (1 t)

C
Q
t2  t1
La capacità termica di un corpo prende in considerazione la reale
capacità di un corpo determinato ad acquisire calore o a cederne in
una variazione di temperatura
∆t.

La cpacità termica dipende da:
- intervallo termico preso in considerazione
- massa
- natura della sostanza
-
-
la variazione di volume di un gas a pressione costante richiede
la trasformazione di parte del calore in lavoro di espansione del
gas
in un gas, si avrà sempre quindi cp > cv.
Per i gas si è soliti riferirsi ad un’altra grandezza che esprime le moli di
gas, il calore molare, definito come la quantità di calore che una mole
di gas scambia con una variazione unitaria di temperatura.
Il calore molare è quindi espresso dal prodotto della massa molare M
con il calore specifico del gas M•c
Cv  Mc v
C p  Mc p
Il calcolo e il confronto avvengono più facilmente se ci si riferisce ad
una massa unitaria di sostanza. Per fare ciò si divide la capacità
termica per la massa del corpo, ottenendo una nuova grandezza: il
calore specifico.
LA QUANTITA’ DI CALORE SCAMBIATA
C 1 Q
c 
m m t2  t1
Questa misura si esprime in [cal / g °C], ed è definita a partire
dall’acqua che ha dunque un calore specifico unitario.

Il calore specifico, si mantiene generalmente costante in tutti gli
intervalli in cui la massa della data sostanza si trova allo stato solido o
liquido, mentre varia nelle trasformazioni dei gas.
Nei gas, il calore specifico varia a seconda della trasformazione:
- se avviene a pressione costante il calore specifico verrà
indicato con cp.
- se avviene a volume costante, il calore specifico del gas verrà
indicato con cv.
La quantità di calore necessaria per avere una variazione di
temperatura ∆t in a pressione costante risulta molto maggiore a quella
necessaria per produrre una variazione di temperatura ∆t a volume
costante:

In relazione a quanto si è detto prima, la quantità di calore scambiata
in un corpo è legata imprescindibilmente alla temperatura.
In un intervallo ∆t = t2-t1, la quantità di calore scambiata in un corpo
sarà data da
Q  mct
Essa potrà essere positiva o negativa:
- è positiva se il calore viene assorbito dal sistema, ovvero si ha
di temperatura con t2 > t1.
una variazione
- È negativa qualora la variazione di temperatura sia negativa,
quindi t2 < t1.
ENERGIA INTERNA DI UN SISTEMA TERMODINAMICO.
In un corpo, solido, liquido o gassoso, si può osservare una certa
quantità di energia cinetica, associata all’agitazione termica e una
quantità di energia potenziale che è connessa all’interazione tra gli
atomi.
Si può considerare la somma U = Ek + Ep come energia interna del
corpo che si prende in considerazione, che è associata a grandezze
macroscopiche, direttamente osservabili.
Queste due differenti energie si ripartiscono in maniera differente nella
materia, a seconda dello stato fisico:
- nei solidi: si può considerare l’energia potenziale molto
maggiore dell’energia cinetica, poiché sono forti le interazioni
tra le particelle
- nel liquidi: le due energie si trovano in misura pressoché
identica
- nei gas: è molto maggiore l’energia cinetica, poiché le
interazioni tra le particelle sono molto ridotte
- nei gas perfetti: è presente solamente energia cinetica, poiché
è considerata nulla l’interazione molecolare.
Come si è già dimostrato, l’energia cinetica delle particelle è in
funzione solamente della temperatura, secondo la legge:
3
1
E K  nRT  mv 2
2
2
3
U  nRT (solo per i gas perfetti)
2
Il calore, che si scambia da un corpo all’altro, non è altro dunque che il
passaggio di energia cinetica (dipendente dalla temperatura) tra varie
molecole,che tendono ad uno stato di equilibrio.
Quindi, sia a livello microscopico che a livello macroscopico, si ha un
principio di conservazione dell’energia nei sistemi isolati:
- nei fenomeni naturali si osserva l’ammontare dell’energia, sia a
livello macroscopico (energia meccanica) che microscopico
(energia interna)
La termodinamica studia gli scambi di energia e le sue conversioni nel
passaggio da un sistema all’altro o da un sistema all’universo e vice
versa.
Tra i particolari scambi di energia che si prendono i considerazione
nello studio della termodinamica vi sono quelli a livello microscopico,
ovvero quelli che riguardano l’energia interna.
IL PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA.
Il primo principio della termodinamica è una relazione che descrive gli
scambi di energia termodinamica di un sistema con l’ambiente esterno.
Si è visto che le variazioni di energia interna ∆U possono essere
determinate da due tipi di interazioni con l’ambiente:
- energia termica: è propriamente il calore Q, che è positivo
quando è assorbito dal sistema e negativo quando è ceduto dal
sistema
- lavoro: è il lavoro di una forza compiuta dal sistema
sull’ambiente esterno. È negativo se è ceduto dal sistema,
positivo se viene compiuto sul sistema. In ogni caso è una
grandezza sempre – L.
Quindi la variazione dell’energia interna in un sistema può essere data
dall’equazione:
∆U = Q – L
che è una relazione che lega la variazione ∆U di energia interna con il
calore Q e il lavoro – L scambiati dal sistema con l’ambiente.
Qualora la grandezza ∆U > 0 l’energia interna del sistema aumenta,
quando si ha ∆U < 0 l’energia interna del sistema diminuisce.
Se ∆U = 0 l’energia del sistema si mantiene costante, quindi non si
hanno interazioni con l’ambiente esterno.
Questa legge esprime gli scambi di energia con l’esterno nella maniera
più generale possibile:
- in un qualsiasi scambio di energia con l’esterno da parte di un
sistema, l’energia ceduta dall’uno è sempre uguale a quella
assorbita dall’altro, ovvero si conserva sempre.
Queste grandezze sono sempre energetiche, quindi sono espresse o
in calorie o in Joule, secondo la relazione di interconversione
Una trasformazione muove da uno stato iniziale A ad uno stato finale
B, ma quando il processo può ritornare da B ad A passando per gli
stessi punti intermedi allora si dice che la trasformazione è reversibile.
Quando una delle variabili di stato del sistema rimane indeterminata
durante una trasformazione, ovvero che non è possibile tracciare sul
grafico (V, p) una linea continua, la trasformazione è ovviamente
irreversibile, poiché non è possibile ripercorrere il cammino in senso
inverso.
1 cal = 4,186 J
STATO DI EQUILIBRIO E TRASFORMAZIONI REVERSIBILI O
IRREVERSIBILI.
Affinché si possa descrivere un processo in cui l’energia interna ∆U di
un sistema vari, le grandezze ∆U, Q, L devono essere effettivamente
calcolabili, quindi è necessario che:
- vi sia uno stato iniziale e uno stato finale.
- Il processo sia ben definito.
Va precisato che nella realtà non esistono trasformazioni reversibili:
- il concetto di reversibilità è un concetto limite, che viene usato
per approssimare determinate trasformazioni.
- Si può pensare alcune trasformazioni come un continuo
susseguirsi di stati di equilibrio.
LAVORO TERMODINAMICO
Il lavoro termodinamico può essere dedotto da quello meccanico nel
seguente modo:
Quando un sistema è in uno stato di equilibrio, i parametri sopra citati
devono essere ben fissati, non devono variare.
L
Nel caso di un sistema gassoso, uno stato di equilibrio è determinato
da uno dei tre parametri che definiscono lo stato di un gas (p, V, T).
Quando le variabili vengono modificate (tutte o solamente alcune) si
dice che avviene una trasformazione termodinamica:
- affinché una trasformazione termodinamica sia ben definita
occorre che in ogni istante, tutte le variabili di stato abbiano
valori ben determinati
Nel caso dei gas, si usa rappresentare un grafico con le variabili (V, p),
così che ogni equilibrio intermedio di una trasformazione sia
rappresentato da un punto definito dalle variabili (V, p).
s
 Fs 
s

0
0
V2
pSs   pV
V1
Questo lavoro è espresso con le variabili termodinamiche pressione e
temperatura.

Si può cogliere nel grafico di stato dei gas che il lavoro compiuto per
una espansione di volume è pari all’area che soggiace alla curva che
va dallo stato A allo stato B.
Si trova, inoltre, che nel passaggio da uno stato iniziale A ad uno stato
finale B, la variazione ∆U di energia interna è la medesima,
indipendentemente dal cammino della trasformazione:
- l’energia interna è una funzione di stato, dipende cioè
solamente dagli stati iniziale e finale.
A differenza della variazione dell’energia interna, il lavoro non è una
funzione di stato:
- nel grafico (V, p) si può osservare benissimo che l’area
descritta da una curva AB e l’asse delle ascisse (V) dipende dal
percorso che la curva compie
- se l’energia interna ∆U è mantenuta costante durante una
trasformazione, si osserva dunque che anche il calore
scambiato non è una funzione di stato, per il primo principio
della termodinamica.
Si giunge dunque a poter affermare che mentre la variazione di
energia interna è una funzione di stato, i parametri che la
caratterizzano, lavoro e calore, non sono funzioni si stato.
Vi è un particolare caso in cui il lavoro possa essere determinato, ed è
quello in cui avviene una trasformazione a pressione costante, ovvero
una isobara:
- la pressione rimane costante, può essere portata fuori
dall’integrale
- si risolve trovando che L = p (V2 – V1).
immesso in una trasformazione a pressione costante va
impiegata nel lavoro di espansione del gas.
In una trasformazione con volume costante il lavoro è nullo (L = 0),
quindi tutto il calore immesso va ad incrementare l’energia interna,
quindi la temperatura (∆U = Q).
In un processo con pressione costante, invece, il volume si espande,
quindi il lavoro L non è nullo, si ha quindi:
- Q = ∆U + L, ovvero che solamente una parte del calore
assorbito dal sistema va ad incrementare l’energia interna
- Una parte del calore è trasformata in energia meccanica,
ovvero lavoro L con cui si espande il volume del gas.
- Se si vuole ottenere in una trasformazione isobara un’eguale
aumento di energia interna, occorre fornire più energia rispetto
a quella necessaria per una isocora.
È utile ribadire che la variazione ∆U di energia interna di un gas
perfetto nel corso di una trasformazione qualsiasi è la stessa che si
determinerebbe in un processo con volume costante:
U  Q L  nCvT
Nel grafico, infatti, si vede che per una espansione isobara la curva è
rappresentata da una retta p = kost.
RELAZIONE DI MAYER E CALORI MOLARI DEL GAS PERFETTO.
Per una mole di gas, si può determinare il calore molare di un gas,
confrontando l’equazione dell’energia interna in un gas e l’equazione
della variazionedi energia interna:
La relazione di Mayer lega i calori molari dei gas perfetti alla costante
dei gas R, ed è espressa dalla legge
3
U  nRT
2
3
U  nRT
2
Cp – Cv = R
Questa legge non è che la forma particolare del primo principio della
termodinamica per una trasformazione isobarica:
- si deduce che se Cp > Cv, allora anche cp > cv
- il fatto che il calore specifico a pressione costante sia più
elevato, è spiegato, come già osservato, che parte del calore
Da cui si deduce facilmente che se ∆U = nCv∆T, allora:

3
Cv  R
2

Per la relazione di Mayer si può dunque affermare che per un gas
monoatomico, il calore molare a pressione costante è
P = cost
L = p ∆V
3
5
C p  R  Cv  R  R  R
2
2
Per un gas monoatomico, questi valori non sono più validi, poiché
nell’energia interna non v’è solamente l’energia traslazionale delle
molecole, ma
esistendo maggiori gradi di libertà esistono altre due
rotazioni intorno agli assi ortogonali al legame dei due atomi.
Monoatomico
Biatomico
Cv
3/2 R
5/2 R
Cp
5/2 R
7/2 R
LE TRASFORMAZIONI PARTICOLARI
1) ISOCORA.
In una trasformazione isocora la variazione di volume è nulla, quindi
è nullo anche il lavoro del sistema:
∆V = 0 >>> L = 0
Il calore scambiato allora sarà uguale alla variazione di energia
interna, secondo le equazioni:
La variazione di energia interna, allora, dovrà tenere conto della
variazione di volume, e del lavoro di espansione (positivo perché
ceduto dal sistema) o di compressione (negativo se ricevuto dal
sistema):
Q = nCp∆T
∆U = Q – L = nCp∆T – p ∆V
3) ISOTERMA
Affinché si possa avere una trasformazione isoterma, ovvero una
trasformazione in cui la temperatura si mantiene costante, è
necessario che:
- il sistema sia a contatto con un termostato che sia in grado di
assorbire o cedere calore senza modificarne la temperatura
- il processo deve avvenire con una lentezza tale da poter
considerare le variazioni come una successione i punti di
equilibrio (trasformazioni quasistatiche).
Si sa che nei gas, l’energia interna è in funzione della temperatura,
quindi, poiché la temperatura si mantiene costante, si può affermare
che la variazione di energia interna sia nulla:
Q = ∆U = nCv∆T
2) ISOBARA
∆U = 0, quindi Q = L.
L’energia termica scambiata da un processo isotermico eguaglia in
modulo il lavoro compiuto, che è uguale a
In una trasformazione isobara ciò che rimane costante è la
pressione, quindi si ha del lavoro che spende parte del calore
scambiato.
Q  L  nRT ln

V2
V1
La quantità ln(V2/V1) assume valore positivo negativo se:
- Positivo: se V2 > V1, quindi il gas assorbe energia termica
(Q>0) e si espande
- Negativo: se V2 < V1, quindi il gas cede calore (Q < 0) e si
contrae.
Poiché pV= cost si può anche dedurre la formula
Q  L  nRT ln
p1
p2
4) ADIABATICA

Una compressione comporta un lavoro negativo ed un aumento di
energia interna e di temperatura.
Il lavoro si segnala in tal modo:
- negativo: se compiuto sul sistema da parte dell’ambiente
esterno
- positivo: se compiuto dal sistema sull’ambiente.
In definitiva, una trasformazione adiabatica comporta uno scambio di
lavoro (e non calore), con la integrale conversione in energia interna (o
vice versa).
CICLI TERMODINAMICI.
Una trasformazione adiabatica avviene in un sistema isolato
dall’ambiente esterno, ovvero quando non vi sono scambi di calore:
Q=0
∆U = – L.
Per determinare il lavoro di una tale trasformazione, è sufficiente
ricordare che la variazione di energia interna è in qualsiasi
trasformazione pari a quella che si verifica a volume costante per una
variazione ∆T di temperatura:
∆U = nCv∆T
Così che per si determina il lavoro come:
L = – nCv∆T
Una espansione, porta eventualmente lavoro positivo sul sistema,
quindi una variazione di energia interna negativa, per cui il gas si
raffredda.
Un processo ciclico è un processo che è descritto nel piano (V, p) da
una linea chiusa:
- è un processo costituito da una serie di trasformazioni ben
definite, tali da condurre il sistema in uno stato finale
coincidente con quello iniziale
In un ciclo termodinamico, la variazione di energia interna è nulla
(∆U = 0), quindi si ha:
L=Q
Ovvero che la somma dei calori scambiati eguaglia in modulo la
somma dei lavori che intervengono nelle varie trasformazioni.
In un grafico, il lavoro corrisponde all’area delimitata dalla linea chiusa
che rappresenta le trasformazioni che avvengono nel ciclo:
- deriva dall’integrazione delle variazioni di volume V1 e V2 del
prodotto ∫p ∂V.
PARAMETRI DI STATO NELLE TRASFORMAZIONI NOTEVOLI.
Nelle varie applicazioni ai gas dei principi della termodinamica, sono
ricavabili delle formule che descrivono il comportamento delle variabili
di stato.
4) ADIABATICA
Per una trasformazione adiabatica la situazione è più complessa,
poiché variano tutte e tre le variabili di stato.
Una trasformazione adiabatica è una trasformazione che avviene
senza scambi di calore con l’ambiente esterno >>> Q = 0.
1) ISOCORA
Il volume è costante >>> ∆V = 0.
p1 p2

T1 T2
Per conoscere le variabili di stato si utilizzano tre equazioni, dette
equazioni di Poisson, che sono in relazione ad una costante definita
come

facilmente ricavabile dalla legge dei gas perfetti, poiché la quantità
nR/V è costante.

Le tre equazioni di Poisson legano tra loro tutte le tre variabili di stato:
2) ISOTERMA

È costante la temperatura >>> ∆T = 0.

p1V1  p2V2
1
È costante la pressione
 >>> ∆p = 0.
V1 V2

T1 T2

1
T1 p1   T2 p2
3) ISOBARA
Dall’equazione di stato dei gas ideali si ottiene:
p1V1  p2V2
T1V1  T2V2
Per la legge di Boyle-Mariotte si può affermare che

Cp
Cv


L’energia termica usata nelle transizioni dirette (Q>0) viene restituita
nella transizioni inverse, ovvero quando si passa a stadi con minore
temperatura e maggiore energia potenziale molecolare.
CAMBIAMENTI DI STATO.
Ogn volta che si fornisce energia ad un corpo, si aumenta l’energia
interna che questo ha, con una conseguente variazione di
temperatura:
- fornendo energia, le particelle accumulano l’energia interna
sotto forma di energia cinetica, che aumenta sempre più a
scapito dell’energia potenziale.
- In un solido, quando l’energia cinetica è sufficiente a rompere
determinati legami, si ha un arresto della variazione della
temperatura, e un passaggio di fase.
Un passaggio di fase (liquido > areiforme o solido > liquido, ad
esempio) comporta un assorbimento o una cessione di calore
(energia):
- durante l’assorbimento o la cessione di calore in un passaggio
di fase, la temperatura si mantiene costante, finchè tutta la
materia non ha completato il passaggio
- la temperatura a cui avviene un passaggio di fase per una
qualsiasi quantità di materia è detta temperatura di
fusione/ebollizione, a seconda del passaggio di stato.
La pressione esercita un ruolo importante nel determinare le
temperature di fusione o di ebollizione.
Il calore necessario affinchè si abbia il passaggio di stato per l’intero
corpo considerato è proporzionale alla massa, secondo una costante
, detta calore latente di fusione o di evaporazione.
Il calore latente è dato dalla legge
Q=m
Il calore latente di fusione è una costante di proporzionalità che
dipende totalmente dalla sostanza in esame.
SECONDO PRONCIPIO DELLA TERMODINAMICA.
Il prim principio della termodinamica non pone alcuna limitazione alla
possibilità di trasformazione dell’energia:
- le conversioni dell’energia devono avvenire in quantità
equivalenti
Tuttavia, l’esperienza dimostra che:
- non è possibile far passare spontaneamente calore da un
corpo più freddo ad un corpo più caldo
- non è possibile convertire integralmente il calore in energia
meccanica.
Altri esempi dell’unidirezionalità dell’universo possono essere dati dagli
scambi di temperatura:
- se fosse possibile spontaneamente il passaggio di energia da
un corpo più freddo a un corpo più caldo si otterrebbe il
frigorifero perfetto
- un frigorifero perfetto sarebbe in grado di trasportare energia
(Q) da un corpo più freddo ad un corpo più caldo senza alcun
dispendio di lavoro o altre dissipazioni energetiche.
- Completato un ciclo, la medesima situazione si verificherebbe
nel ciclo successivo.
Una macchina perfetta è una macchina che è in grado di prelevare
calore da una sorgente e convertirlo integralmente in lavoro:
- se fosse possibile realizzarla, sarebbe possibile muovere le
navi prelevando calore dal mare.
Il secondo principio della termodinamica fornisce informazioni su quei
processi che, pur non in contrasto con il primo principio della
termodinamica, non sono effettivamente realizzabili.
Una delle enunciazioni date nella storia della fisica risale a Lord Kelvin,
ed afferma:
- è impossibile costruire una macchina che, lavorando
ciclicamente, trasformi in energia meccanica il calore
scambiato con un’unica sorgente
- è sempre necessario versare il calore non utilizzato in un
secondo ambiente (refrigerante)
Tuttavia, è necessario precisare che la conversione di lavoro
integralmente in energia meccanica è impossibile in un processo
ciclico:
- si pensi ad esempio al’espansione di un gas
- ∆U = 0, quindi Q = L.
- si ha conversione integrale di calore in lavoro.
Una macchina reale funziona nel seguente modo:
1) preleva calore Q1 da una sorgente a temperatura T1
2) converte parte del calore in lavoro L e cede il calore non
utilizzato Q2 ad una sorgente a temperatura minore T2 (T1<T2).
IL TEOREMA DI CARNOT
Poiché in un ciclo la variazione di energia interna è nulla (∆U = 0),
l’equazione che descrive il processo di una macchina reale sarà:
L  Q1  Q2
Poiché, per la convenzione dei segni, Q1 è positivo (calore entrante) e
Q2 è negativa (calore uscente) si può anche scrivere

L  Q1  Q2
Per una macchina termica è interessante osservarne il rendimento,
definito come il rapporto tra il lavoro prodotto e la quantità di calore

sottratta alla sorgente:
e
Q  Q2
Q
L
 1
1 2
Q1
Q1
Q1
In linea teorica, il rendimento è 0 ≤ e ≤ 1, tuttavia, un rendimento pari a
1 sarebbe impossibile, poiché si tratterebbe di una macchina perfetta,
quindi andrebbe
 contro il secondo principio della termidinamica
nell’enunciato di Lord Kelvin:
- infatti, per e = 1, si avrebbe L = Q1, quindi conversione integrale
di energia in lavoro
Si è visto come il rendimento deve sempre essere inferiore a 1 (e<1),
tuttavia non si sanno ancora quali siano i fattori che possono
determinare il massimo valore teorico.
Questo problema può essere affrontato dal punto di vista di macchine
che lavorano con cicli reversibili, ovvero di macchine termiche ideali
che conducono delle trasformazioni totalmente invertibili.
Lo studio di questo tipo di macchine è stato efettuato soprattutto da
Carnot, il quale afferma che il rendimento di macchine reversibili
dipende solamente dalle temperature estreme, e non dal fulido
utilizzato, né dalle trasformazioni effettuate.
Carnot afferma inoltre che il rendimento di una macchina termica non
può essere superiore a quello di altre macchine che lavorano tra le
medesime temperature.
Il teorema di Carnot è enunciato nel modo seguente:
- nessuna macchina termica può avere un rendimento superiore
a quello di una macchina reversibile che opera tra le medesime
temperature
- le macchine reversibili che lavorano tra le medesime
temperature hanno tutte il medesimo rendimento.
Il rendimento di una qualunque macchina reversibile sarà dunque:
e

T1  T2
T1
Il rendimento di una macchina di Carnot, per l’omonimo teorema, sarà
anche il massimo rendimento possibile tra tutte le macchine che
lavoreranno tra le medesime temperature.
Si definisce dunque una nuova grandezza, detta coefficiente di
effetto frigorifero, come il rapporto tra il calore scambiato e il lavoro
speso:
Poiché è impossibile sul piano reale compiere delle trasformazioni
reversibili, il rendimento di una macchina reale, sarà inferiore a quello
della macchina di Carnot che lavora tra le medesime temperature.
L’ENUNCIATO DI CLAUSIUS
Un altro enunciato del secondo principio della termodinamica si deve a
Clausius, il quale afferma:
- è impossibile costruire una macchina che, lavorando
ciclicamente, produca come unico risultato il trasferimento di
calore da una sorgente più fredda a una più calda
In sostanza, questo enunciato nega la possibilità che esista un
frigorifero perfetto.
Un frigorifero reale funziona secondo uno schema per cui, mediante un
lavoro L, si trasferisce una certa quantità di calore Q2 da una sorgente
più fredda T2 ad un’altra sorgente a temperatura maggiore T1 > T2.
Il calore prelevato dalla prima sorgente si somma così al lavoro, il
quale verrà convertito in calore, secondo una equazione:
Q1  Q2  L
Quindi il processo di una macchina frigorifera comporta il passaggio di
calore da una sorgente a temperatura minore ad un’altra sorgente a

temperatura maggiore:
- questo può essere compiuto solamente grazie ad un lavoro
- naturalmente minore è il lavoro utilizzato (generalmente è
energia elettrica) maggiore è la convenienza del frigorifero.

Q2
L
Naturalmente, minore è l’energia necessaria per il funzionamento del
frigorifero, maggiore è il suo coefficiente di effetto:
- tuttavia, non è 
possibile che sia L = 0, altrimenti si avrebbe il
frigorifero perfetto
ENTROPIA.
Così come nel primo principio esiste una funzione di stato, l’energia
interna, si può affermare che anche per il secondo principio della
termodinamica esiste una funzione di stato, l’entropia.
Se si eguagliano le due formule per il rendimento di una macchina
reversibile (quella in funzione del calore scambiato e quella con le
temperature dimostrata da Carnot) si ottiene, tenendo in
considerazione l’algebra dei calori, una equazione così descritta:
Q1 Q2

0
T1 T2
Occorre tenere presente che:
- Q1 è una grandezza positiva, poiché tratta il calore assorbito
dal sistema 
- Q2 è una grandezza negativa, poiché è il calore residuo che
viene ceduto all’ambiente esterno dal sistema.
Questa equazione ci consente di affermare che la somma del rapporto
tra le quantità di calore scambiate e le temperature assolute a cui gli
scambi si realizzano è, per una macchina reversibile nulla.
Si definisce entropia una grandezza (indicata con S) tale che la sua
variazione in un processo reversibile sia espressa dal rapporto tra la
quantità di calore scambiato e la temperatura assoluta alla quale
avviene lo scambio.
Ovviamente, una trasformazione adiabatica reversibile, poiché non
comporta scambi di calore, ha entropia che si mantiene costante, è
ovvero isoentropica.
ENTROPIA E PROCESSI REALI.
Si può anche dire che la variazione di entropia per una macchina che
opera reversibilmente sia uguale a zero.
Per essere rigorosi, sarebbe opportuno esprimere la variazione di
entropia come la sommatoria degli integrali di ∂Q/T, poiché ad ogni
cessione di infinitesimo di calore, corrisponde una variazione di
temperatura molto piccola.
Quindi, per un processo reversibile si può esprimere l’entropia come:

Q
T
L’entropia, come l’energia interna, è una funzione di stato:
- la sua variazione
 è nulla quando ad uno stato iniziale
corrisponde uno stato finale.
La variazione di entropia può assumere valori positivi, negativi o nulli:
- una compressione di un gas, nonostante richieda lavoro, ha
una variazione di entropia negativa
- una espansione, invece, comporta un aumento del disordine,
quindi una variazione di entropia positiva.
In una trasformazione isoterma, la temperatura non varia, quindi la
variazione di entropia può essere espressa come
S 

Q
V
 nRln 2
T
V1
Si è parlato finora di entropia legata a trasformazioni reversibili.
Tuttavia, nella realtà non esistono processi che siano reversibili.
L’equazione data dall’integrazione non è utilizzabile per i processi reali
di cui non si conosce l’andamento.
Tuttavia, come escamotage, è possibile valutare le variazioni di
entropia in quanto questa è una funzione di stato:
- si prendono i considerazione solamente gli stati iniziale A e
finale B di una trasformazione.
- Si deve scegliere una trasformazione reversibile che abbia i
medesimi stati iniziale e finale, quindi diventa possibile
calcolare a variazione di entropia.
In questo modo, si riesce a calcolare la variazione di entropia dei
processi spontanei, come quelli che si riscontrano in natura:
- espansione libera di un gas
- trasferimento di calore da un corpo più caldo ad uno più freddo.
- Ecc.
L’esperienza come dimostrazione, permette di affermare che tutti i
processi irreversibili comportano un aumento dell’entropia dell’universo
(sistema+ambiente).
Nei processi reversibili, invece la variazione di entropia è nulla.
Si può quindi riformulare il secondo principio della termodinamica
secondo l’entropia: ogni processo conduce ad una variazione positiva
o nulla di entropia, nulla solamente quando il processo è reversibile.
Quindi l’entropia dell’universo esprime una tendenza al disordine dei
sistemi termodinamici, in senso univoco.
4. l’elettricità.
Si definiscono conduttori le sostanze che permettono liberamente il
passaggio di carica da un punto all’altro.
INTRODUZIONE AI FENOMENI ELETTRICI
A livello degli atomi, vi sono forze che sono sia di natura repulsiva che
di natura attrattiva:
- la forza che mantiene costantemente legato un elettrone al
proprio nucleo è di tipo attrattivo
- la forza che rende incomprimibili alcuni materiali, dovuta alla
repulsione tra gli elettroni dei vari atomi, è di tipo repulsivo.
Conduttori sono ad esempio i metalli e le loro leghe, che possiedono
elettroni liberi di muoversi. L’elettrone è un portatore di carica unitaria,
molto piccolo.
L’elettricità ha struttura granulare, poiché ogni carica è multipla della
carica elementare, ovvero quella dell’elettrone: e = 1,6 10-19 C.
La proprietà che hanno elettroni e protoni di attrarsi o respingersi è
detta quantità di carica elettrica.
Nei liquidi, la carica è solitamente portata da ioni:
- il flusso però è sia di cariche positive che negative, che si
muovono in senso opposto
- il flusso degli elettroliti in soluzioni è bidirezionali.
In relazione alla repulsione o all’attrazione vi sono cariche di segno
differente:
- quelle del medesimo segno si respingono,
- quelle di segno differente si attraggono
CAMPO ELETTRICO
La carica, in un solido, viene portata dagli elettroni, che hanno per
convenzione carica negativa:
- in un metallo essi sono molto liberi di muoversi, quindi i metalli
sono conduttori.
- Le sostanze che non danno agli elettroni la possibilità di
muoversi negli strati superficiali li chiameremo isolanti.
PRINCIPIO DI OCNSERVAZIONE DELLA CARICA ELETTRICA E I
VARI TIPI DI CONDUTTORI.
Tutti i fenomeni collegati con le cariche elettriche rispettano il principio
di conservazione della carica, che affama che la carica elettrica non
può essere né creata né distrutta:
- la carica è già presente nella materia
- si manifesta quando in un corpo è distribuita in maniera non
omogenea, ma il bilancio è sempre in parità.
Quando un insieme di cariche localizzate con continuità su in corpo
esercitano una forza su una carica esterna al corpo, si dice che queste
cariche generano un campo elettrico.
Per verificare la presenza di campi elettrici si utilizza un carica,
convenzionalmente positiva, che può essere sollecitata da una forza
generata dal campo, detta carica di prova.
Si può sperimentare che la forza che il campo esplica dipende dalla
carica del corpuscolo di prova, quindi il campo viene definito come:
E=F/q
La forza che si esercita sulla carica unitaria positiva è in relazione al
vettore campo elettrico, che misura in modulo, direzione e verso la
possibile forza che si esplica su una carica unitaria.
Questa forza, sarà dunque data da
F = qE
LA LEGGE DI COULOMB.
FORZE ELETTROSTATICHE, POTENZIALE ELETTRICO E DDP.
Dopo numerose sperimentazioni con la bilancia di torsione sulle
cariche elettriche, Coulomb nel 1785 riesce a determinare la legge che
regola la forza esplicata su due cariche:
- in un mezzo isolante e omogeneo, la forza di attrazione o
repulsione tra due cariche puntiformi è direttamente
proporzionale al prodotto delle due cariche, inversamente
proporzionale al quadrato della loro distanza e diretta secondo
la congiungente alle due cariche.
Si deve considerare il campo elettrico generato da una forza come un
campo stazionario, in fatti la sua intensità in un punto si mantiene
inalterata nel tempo.
Matematicamente, il modulo della forza si esprime secondo la legge
F
1 Qq
40r r 2
Il fattore di proporzionalità dipende dalla natura del conduttore. Si
assume 0 come costante dielettrica del vuoto e r come costante
del mezzo, legate alla costante dielettrica assoluta
dielettrica relativa
del conduttore tramite la legge:
  0r
La costante dielettrica del vuoto ha un valore costante pari a:
0 = 8,86 10-12 C2/Nm2.
Il campo elettrico esercitato da una carica in un conduttore qualsiasi, è
dunque dato da:
F
1 Q
E 
q 40r r 2

Si parla perciò di campo elettrostatico, la cui intensità si mantiene
constante nel tempo.
La forza di interazione tra le cariche si dirige radicalmente, ovvero
lungo la direttrice che congiunge le due cariche. Si può dimostrare,
che per ogni forza esercitata da un campo (es. anche quello
gravitazionale) è conservativa.
Il lavoro compiuto da una forza non dipende dunque dalla traiettoria,
ma dai punti iniziale e finale.
Esiste quindi una energia potenziale, dimostrabile mediante
l’integrazione dal lavoro, pari a
Ep 
1 Qq
4 r
L’energia potenziale elettrostatica è l’energia che ha la carica q
solamente per il fatto di trovarsi nella posizione A, in un campo E
generato dalla carica
 Q.
Si può dunque definire il lavoro compiuto da una forza per spostare
una carica di prova puntiforme da A a B come
L = EA - Eb
Generalmente, nello studio dei fenomeni elettrici ci si riferisce
all’energia potenziale della carica unitaria (q = 1 C), definendo così il
potenziale elettrico
V = Ep / q
La differenza di potenziale ∆V = VA-VB tra due punti A e B del campo,
misura il lavoro necessario per spostare una carica unitaria dal punto A
al punto B, lungo un percorso qualsiasi.
Il lavoro compiuto dal campo elettrico per spostare una carica q da un
punto A a un punto B viene ad essere:
TEOREMA DI GAUSS.
Si consideri un dS come elemento di superficie comunque orientato e
appartenente ad una superfiche S tracciata in un campo elettrostatico.
Nel centro della superficie si conduca il vettore campo E, tangente alla
linea di flusso del campo e il vettore superficie, normale a S.
L = q (VA-VB).
L’espressione che determina il potenziale indica che in presenza di
una carica Q tutti i punti che si trovano a distanza r da questa carica
sono allo stesso potenziale.
Un lavoro positivo significa che la carica si muove spontaneamente,
mentre un lavoro negativo è fornito dall’esterno per il movimento di una
carica:
- si può affermare che le cariche positive si muovono dai
punti a potenziale elevato a quelli con potenziale più
basso, mentre quelle negative si muovono dai punti con
potenziale minore a quelli con potenziale maggiore
Per determinare il potenziale generato da più cariche puntiformi in un
solo punto, si somma algebricamente il contributo al potenziale di
ciascuna carica.
Si dice flusso di un vettore E attraverso una superficie dS la grandezza
scalare:
d(E)  E cos   dS
In cui  è l’angolo formato tra il vettore E e il vettore dS. L’integrazione
di questo flusso elementare per l’intera superficie da il flusso di forza

attraverso una superficie
S. Se la superficie è chiusa, si dice che (E)
è il flusso di forza elettrico uscente.
Il teorema di Gauss afferma che il flusso elettrico di forza uscente da
una superficie chiusa, tracciata per intero in un campo elettrostatico,
eguaglia il rapporto tra la somma algebrica delle cariche racchiuse
dalla superficiee la costante dielettrica del vuoto:
q
i
(E) 
È facilmente deducibile, che in un punto in cui il potenziale è V, e la
distanza dalla carica di prova è d, il campo sarà dato da:
E
V
d
Per quanto riguarda le unità di misura:
- il potenziale si misura in volt, [V]=[J/C]
- il campo si misura
 in [N/C] oppure in [V/m].
i
0
Ha una notevole importanza per quanto riguarda le leggi
dell’elettromagnetismo (Maxwell) e per la risoluzione di problemi
riguardanti particolari
 distribuzioni di cariche.
Permette, ad esempio, di affermare che un campo emanato da una
sfera conduttrice è identico al campo che si avrebbe se la carica fosse
concentrata in un punto solo, quindi di modulo
E

1 Q
40r r 2
CAPACITA’ ELETTRICA E CONDENSATORI.
Dal teorema di Gauss, si evince che la carica posta in un conduttore
genera un campo come se questa fosse distribuita in un sol punto.
È altrettanto chiaro che esiste un rapporto costante tra la carica posta
in un oggetto e il potenziale che si viene a creare:
C
q
V
Si definisce capacità elettrica il rapporto tra la carica che è posta in un
conduttore e la differenza di potenziale che questo mantiene.

Si chiama condensatore un sistema costituito da due lamine
(armature) separate da un dielettrico:
- se si connette una pila alle armature di un condensatore,
queste assumono carica opposta
- si stabilisce così una differenza di potenziale tra le due
armature.
Il fatto che si distribuiscano cariche di segno opposto sulle lamine di un
condensatore piano, implica che è presente un campo elettrico di
modulo:
E

0
In un condensatore piano, si può affermare anche che:

C
0 S
d
in cui S è la superficie delle armature e d la distanza tra le stesse. La
capacità di un condensatore dipende unicamente dalle caratteristiche
del mezzo interposto edalle caratteristiche geometriche.
L’unità di misura della capacità elettrica è il farad [F], ma si utilizzano
anche i prefissi di unità microscopiche (microfarad o picofarad).
Quando più condensatori sono messi in parallelo, la differenza di
potenziale (∆V) ai capi di ogni condensatore è la medesima, ed il loro
comportamento è tale a quello di un condensatore che ha una capacità
pari alla somma delle singole capacità:
C  C1  C2  C3  ...
Quando invece più condensatori sono posti in serie, ciò che è uguale
è la carica che li attraversa, quindi il condensatore equivalente è dato
da:

1 1
1
1
 

 ...
C C1 C2 C3
LA CORRENTE ELETTRICA E L’INTENSITA DI CORRENTE.
La corrente elettrica
è un flusso ordinato di cariche in un conduttore

metallico o elettrolitico.
Si definisce intensità di corrente la quantità di carica q che attraversa
una sezione nell’unità di tempo ∆t:
i
q
t
Quando l’intensità di corrente è:
- continua: si parla di correnti continue
- variabile: si parla
 di correnti variabili
- varia nel tempo con legge sinusoidale: si parla di corrente
alternata.
L’unità di misura dell’intensità di corrente è l’ampere [A], definito come
la quantità di carica di 1 coulomb che attraversa una sezione in un
secondo.
LE LEGGI DI OHM. RESISTENZA ELETTRICA E RESISTIVITA’.
RESISTENZA IN SERIE O IN PARALLELO
Quando agli estremi di un conduttore metallico viene posto un
generatore di corrente (una pila o un accumulatore) si nota che
l’intensità di corrente è tanto maggiore quanto lo è la differenza di
potenziale ai capi del generatore.
Quando due resistori (o resistenze) sono posti uno a fianco all’altro in
un circuito sono detti in serie. La resistenza risultante, dal momento
che l’intensità di corrente che li attraversa è la medesima per tutti i
resistori, sarà data da:
La prima legge di Ohm afferma che esiste un rapporto costante tra la
differenza di potenziale agli estremi del generatore e l’intensità di
corrente che fluisce in esso, purché le condizioni fisiche rimangano
inalterate.
Il rapporto R è chiamato resistenza elettrica del conduttore
considerato:
R  R1  R2  ...
Quando invece più resistenze sono messe in parallelo, è la differenza
di potenziale ad essere uguale ai capi delle varie resistenze, mentre la
somma delle intensità
 di corrente che attraversa le singole resistenze
da l’intensità di corrente che ne esce:
1 1
1
1
 

 ...
R R1 R2 R3
V
R
i
l’unità di misura della resistenza è misurata in ohm [].
La seconda legge di 
ohm afferma che la resistenza di un conduttore
è direttamente proporzionale alla lunghezza e inversamente
proporzionale alla sezione:
R
l
S
in cui il coefficiente di proporzionalità  è detto resistività e dipende
dalle caratteristiche del materiale e, seppur in minima parte, dalla

temperatura.
La resistenza in parallelo risulta dunque minore rispetto alle resistenze
in serie.

LA FORZA ELETTROMOTRICE.
In un generatore, che crea una differenza di potenziale, si deve
considerare anche la resistenza interna.
Si definisce forza elettromotrice (fem) la differenza di potenziale che
si può misurare in un generatore a circuito aperto.
In realtà, quando il circuito si chiude, inizia a fluire una corrente i, che è
generata da una differenza di potenziale che è minore alla fem, poiché:
V  fem iRint
La resistività (o resistenza specifica) ha come unità di misura ohm per
metro [m].
tuttavia, il contributo della resistenza interna risulta nella maggior parte
dei casi trascurabile, cosicché fem e ∆V vengono a coincidere.

ENERGIA TERMICA ED EFFETTO JOULE. POTENZA ASSORBITA.
Il lavoro necessario per caricare un condensatore è:
Poiché il lavoro compiuto da un generatore per fare circuitare una
carica è L = q∆V, per la definizione di intensità e per la prima legge di
Ohm si ottiene:
L  Ri 2 t
Se nel circuito è inserito solamente un semplice conduttore metallico,
allora il lavoro compiuto viene, per effetto Joule trasformato

integralmente in calore.
Se oltre ad un semplice conduttore metallico vi fosse un motore
elettrico alimentato dalla corrente fornita dal generatore si avrebbe una
energia elettrica (o lavoro del generatore) convertibile in lavoro
meccanico.
La potenza dissipata è data dal lavoro nell’unità di tempo, quindi:
P  Ri 2  Vi 
V2
R
L
Qualora nel circuito fosse presente una resistenza il condensatore non
si caricherebbe in maniera istantanea, ma avrebbe un processo di
carica differente 
in funzione del tempo:
t
Q(t)  Q0 (1 e )

t
V (t)  V0 (1 e  )
in cui = R•C.
 il processo di scarica non vede un rilascio
Nel medesimo modo,
istantaneo di energia da parte del condensatore, ma rallentato,
secondo le equazioni:
t
Q(t)  Q0e RC
che come ogni potenza si misura in Watt [W = J/s].
V (t)  V0e

ENERGIA DEL CAMPO ELETTRICO.
Si è già affermato che il lavoro con cui viene caricato un condensatore
viene immagazzinato tra le armature dello stesso sotto forma di
energia potenziale elettrica.
Il lavoro impiegato per caricare il condensatore da parte di un
generatore viene integralmente restituito, per il principio di
conservazione dell’energia, in fase di scarica.
1 q2 1
 CV 2
2C 2
t
RC
5. le onde
GENERALI.
CARATTERSTICHE
La caratteristica comune a tutti i fenomeni ondulatori è quella di essere
associati ad una vibrazione che si propaga in un mezzo:
- il fenomeno ondulatorio è un trasferimento di energia (la
vibrazione) che non comporta il trasferimento di materia
Le onde possono essere elastiche, meccaniche o elettromagnetiche, a
seconda della loro natura intrinseca.
Le onde sonore, sono associate allo spostamento di particelle che
sono messe in vibrazione e urtano quelle adiacenti.
Un’onda può essere associata ad un movimento sinusoidale, ovvero
essere un’onda armonica, legata ad una equazione del tipo:
x  A sin t

L’INTENSITA’ DEL SUONO.
Alla propagazione dell’onda elastica è accompagnata una
propagazione di energia.
2
T
in cui:
- A è l’ampiezza dell’oscillazione

- è detta pulsazione.
- T è il periodo di una oscillazione completa.
Si definisce frequenza il numero di oscillazioni compiute in un
secondo, ovvero il reciproco del periodo:

il valore della lunghezza d’onda, dipende dal mezzo in cu l’onda si
propaga, dal momento che:
- la frequenza rimane invariata
- la velocità varia da mezzo a mezzo.
L’intensità con cui un onda si propaga è la quantità di energia
trasmessa nell’unità di tempo attraverso l’unità di superficie del mezzo
in cui si propaga.
Quando una sorgente emette onde sonore (ma non solo) in maniera
radiale, man mano ci si allontana, l’intensità del suono diminuisce,
poiché aumenta il rapporto energia/superficie, quindi si giunge ad
affermare che:
1
T
R12
I2  I1 2
R2
La propagazione di un’onda meccanica è sempre associata ad una
vibrazione:
- onde longitudinali:
 la loro direzione di propagazione è parallela
al piano di vibrazione delle molecole
- onde trasversali: il piano di vibrazione delle molecole è
ortogonale alla direzione di propagazione dell’onda.
Il suono ha una tpica propagazione longitudinale, poiché è associato a
compressioni e rarefazioni dell’aria.
che equivale ad affermare che l’intensità di un’onda varia in maniera
inversamente proporzionale al quadrato della distanza dalla sorgente.

L’intensità sonora, è il rapporto tra la potenza e la superficie, quindi si
misura in W/m2.
È tuttavia più facile, in vista delle capacità uditive umane (da 10-12 a 1
W/m2) esprimere l’intensità in scala logaritmica, con unità di misura il
decibel [dB]:
Si definisce lunghezza d’onda la distanza che vi è tra due punti in
fase.
La velocità di propagazione di un’onda sarà allora data da:
V   
IdB  10log10

T


I
I0
Essendo I0 = 10-12 W/m2, la intensità di riferimento, poiché è la soglia
minima di udibilità.
L’intensità con cui il suono si propaga nei differenti materiali è data
dalla legge:
I  Iariael
EFFETTO DOPPLER.
Per l’effetto doppler, 
si intende una variazione della frequenza sonora
percepita da un ascoltatore quando o lui stesso o la sorgente sono in
moto:
- se l’ascoltatore si allontana e la sorgente è ferma, questo
percepisce una frequenza minore
- se l’ascoltatore si avvicina alla sorgente, percepisce una
frequenza maggiore
- se la sorgente si allontana dall’ascoltatore, costui percepirà una
frequenza più bassa
- se la sorgente si avvicina ad un ascoltatore, questi percepisce
una frequenza maggiore.
Questo fenomeno è dovuto alla differenza temporale con cui i fronti
d’onda vengono percepiti, a causa di uno spostamento di uno dei due
punti (ascoltatore o sorgente).