Lubrano, Terremoto orribile accaduto in Napoli nel 1688 Mortalità, che sogni? ove ti ascondi se puoi perire a un alito di fato? Dei miracoli tuoi il fasto andato or né men scopre inceneriti i fondi. Sozzo vapor da baratri profondi basta ad urtar con precipizio alato alpi di bronzo; e in polveroso fiato distrugge tutto il Tutto a regni, a mondi. Fontanella, Alla lucciola Mira incauto fanciul lucciola errante Di notte balenar tremola e bella, che di qua, che di là, lieve e rotante, somiglia in mezo al bosco aurea fiammella. Va tra le cupe ed intricate piante, stende la mano pargoletta e bella; e credendo involar rubino o stella va del preda sua ricco e festante. Ma poi che ‘l nostro orror l’alba disgombra, Di ciechi spirti un’invisibil guerra ne assedia sempre, e cova un vacuo ignoto a subitanee mine in ogni terra. quel che pria gli parea gemma fatale, di viltà, di stupor gli occhi l’ingombra. A’ troni ancora, a’ templi è base il loto: su le tombe si vive; e spesso atterra le nostre eternità breve tremoto. Così bella parea cosa mortale; ma vista poi che si dilegua l’ombra, altro al fine non è ch’un verme frale. Ciro di Pers, Miseria umana Marino, Onde dorate L’uom, che sì poche de la vita ha l’ore, e ne conta a fatica una gioconda, è di sospir, di pianto, un’aura, un’onda: piangendo nasce e sospirando mòre. Onde dorate, e l’onde eran capelli, navicella d’avorio un dì fendea; una man pur d’avorio la reggea per questi errori preziosi e quelli; Aura ch’avviva un inonesto ardore, onda che sprezza una discreta sponda; aura che scuote una caduca fronda, onda che irriga un momentaneo fiore. e mentre i flutti tremolanti e belli con drittissimo solco dividea, l’or de le rotte fila Amor cogliea, per formarne catene a’ suoi ribelli. E, benché aspiri a sempiterno vanto, per quelle vie che strepitose corse apena un lieve suon mormora alquanto. Per l’aureo mar, che rincrespando apria Il procelloso suo biondo tesoro, agitato il mio core a morte gìa. Mentre l’uomo formò, Prometeo forse Il duro fango distemprò col pianto, e co’ sospir lo spirito gli porse. Ricco naufragio, in cui sommerso io moro, poich’almen fur ne la tempesta mia di diamante lo scoglio e ‘l golfo d’oro. Marino, E’ strale, è stral E’ strale, è stral, non ago quel ch’opra in suo lavoro, nova Aracne d’amor, colei ch’adoro; onde, mentre il bel lino orna e trapunge, di mille punte il cor mi passa e punge. Misero! E quel sì vago sanguigno fil che tira, tronca, annoda, assottiglia, attorce e gira la bella man gradita, è il fil de la mia vita. Marino, Al sonno O del silenzio figlio e de la Notte, padre di vaghe imaginate forme, Sonno gentil, per le cui tacit’orme son l’alme al ciel d’Amor spesso condotte, or che ‘n grembo a le lievi ombre interrotte ogni cor, fuor che ‘l mio, riposa e dorme, l’Erebo oscuro, al mio pensier conforme, lascia, ti prego, e le cimmerie grotte. E vien col dolce tuo tranquillo oblio e col bel volto, in ch’io mirar mi appago, a consolar il vedovo desio. Che se ‘n te la sembianza, onde son vago, non m’è dato goder, godrò pur io de la morte, che bramo, almen l’imago. Marino, Lontananza Ove ch’io vada, ove ch’io stia, talora in ombrosa valletta o ‘n piaggia aprica, la sospirata mia dolce nemica sempre m’è innanzi, onde convien ch’io mora. Quel tenace pensier che m’innamora, per rinfrescar la mia ferita antica, l’appresenta a quest’occhi e par che dica: io da te lunge, e tu pur vivi ancora? Intanto verso ognor larghe e profonde vene di pianto e vò di passo in passo parlando ai fiori, al’erbe, agli antri, al’onde; poscia in me torno, e dico: ahi folle, ahi lasso; e chi m’ascolta qui? Chi mi risponde? Miser, che quello è un tronco, e questo è un sasso. Della Casa, O sonno O sonno, o della queta, umida, ombrosa notte placido figlio; o de’ mortali egri conforto, oblio dolce de’ mali sì gravi ond’è la vita aspra e noiosa; soccorri al core omai, che langue e posa non have, e queste membra stanche e frali solleva: a me ten vola, o sonno, e l’ali tue brune sovra me distendi e posa. Ov’è ‘l silenzio che ‘l dì fugge e ‘l lume? e i lievi sogni, che con non secure vestigia di seguirti han per costume? Lasso, che ‘nvan te chiamo, e queste oscure e gelide ombre invan lusingo. O piume d’asprezza colme! O notti acerbe e dure! Michelangelo Buonarroti, O notte O notte, o dolce tempo, benché nero, con pace ogn’opra sempr’al fin assalta. Ben ved’e ben intende chi t’esalta, e chi t’onor’ ha l’intellett’intero. Tu mozzi e tronchi ogni stanco pensiero, che l’umid’ombra et ogni quiet’appalta, e dall’infima parte alla più alta in sogno spesso porti ov’ire spero. O ombra del morir, per cui si ferma ogni miseria, a l’alma, al cor nemica, ultimo delli afflitti e buon rimedio, tu rendi sana nostra carn’inferma, rasciugh’i pianti e posi ogni fatica e furi a chi ben vive ogn’ir’e tedio. Tasso, Qual rugiada o qual pianto Qual rugiada o qual pianto quai lacrime eran quelle che sparger vidi dal notturno manto e dal candido volto de le stelle? E perché seminò la bianca luna di cristalline stelle un puro nembo a l’erba fresca in grembo? Perché ne l’aria bruna s’udian, quasi dolendo, intorno intorno gir l’aure insino al giorno? Fur segni forse della tua partita, vita de la mia vita? Tasso, Vecchio et alato dio Vecchio et alato dio, nato co’l sole ad un parto medesmo, e con le stelle, che distruggi le cose e rinnovelle, mentre per torte vie vole e rivole; il mio cor, che languendo egro si duole, e de le cure mie spinose e felle dopo mille argomenti una non svelle, non ha, se non sei tu, chi più ‘l console. Tu ne sterpa i pensieri, e di giocondo oblio spargi le piaghe: e tu disgombra la luce onde son pieni i regii chiostri. E tu la verità traggi dal fondo, dov’è sommersa: e senza velo od ombra, ignuda e bella a gli occhi altrui si mostri. Marino, Bella schiava Nera sì, ma se' bella, o di Natura fra le belle d'Amor leggiadro mostro. Fosca è l'alba appo te, perde e s'oscura presso l'ebeno tuo l'avorio e l'ostro. Or quando, or dove il mondo antico o il nostro vide sì viva mai, sentì sì pura, o luce uscir di tenebroso inchiostro, o di spento carbon nascere arsura? Servo di chi m'è serva, ecco ch'avolto porto di bruno laccio il core intorno, che per candida man non fia mai sciolto. Là 've più ardi, o sol, sol per tuo scorno un sole è nato, un sol che nel bel volto porta la notte, ed ha negli occhi il giorno.