Space Weather - Specola Solare Ticinese

Andrea Gazzi
Esame di Stato 2013/2014
Premio “Ezio Fioravanzo”
Space Weather
Indice:
1. Introduzione
Cos’è lo “Space Weather”?
2. Struttura del Sole
3. Aspetti connessi con lo Space Weather
4. Eventi studiati
Flare
CME
Vento solare e campo magnetico terrestre
4.1 Le tempeste solari
5. Previsioni
6. Conclusioni
7. Nota finale
8. Sitografia
IMMAGINE DI COPERTINA: le “Sentinelle del Sole”, la fitta rete di sonde e satelliti che
ci permette di monitorare in tempo reale lo Space Weather
1
1. Introduzione
Lo studio dei fenomeni che avvengono sul Sole e le loro possibili ripercussioni
sull’attività umana sulla Terra e nell’ambito delle missioni EVA (Extra-Vehicular
Activities) è oggetto dello Space Weather. E’ una scienza di recente origine il cui
nome anglosassone viene spesso tradotto, in modo letteralmente corretto ma
contestualmente impreciso, con “Meteorologia Spaziale”.
L’argomento in questione è molto vasto, ma soprattutto molto complesso, quindi
la mia trattazione non si dilungherà troppo nella spiegazione di concetti tecnici,
che richiederebbero uno studio più approfondito in materia e soprattutto molto
più tempo e spazio a disposizione di quanto non ne abbia in questo lavoro.
Come tutti sanno, il pianeta Terra fa parte di un contesto molto più grande, il
sistema solare che, come il nome suggerisce, ha come elemento centrale il Sole.
L’attività della nostra stella non è regolare: difatti segue una periodicità media di
circa undici anni, che è l’intervallo temporale chiamato ciclo delle macchie solari o
ciclo solare, anche se per essere veramente corretti con questo termine va inteso il
periodo della completa inversione dei poli magnetici del Sole, che è pari a due cicli
di macchie solari, quindi a 22 anni circa. Tale ciclo è a sua volta attraversato da
periodi di attività massima e minima che influenzano l’attività della stella. Ma
cerchiamo ora di capire meglio come funziona.
Figura 1
2
Il grafico di figura 1 delinea l’andamento dell’ultimo ciclo solare completo (23) e
della fase iniziale del 24, tuttora in corso, che ha presentato, e continua a farlo, un
andamento molto anomalo rispetto ai suoi predecessori. Verrà sicuramente
ricordato dai posteri come il “ciclo con un eccezionale minimo iniziale prolungato”.
In effetti questa fase è durata quasi tre anni in più del previsto. La numerazione
convenzionale dei cicli delle macchie solari è stata introdotta da R.Wolf, che ha posto
il 1755 come anno di inizio del ciclo n°1.
2. Struttura del Sole
Figura 2
La materia di cui è composto il Sole è il plasma, un fluido in cui le particelle che lo
compongono sono elettricamente cariche. Questo fluido è caratterizzato da tre
grandezze fondamentali: temperatura, densità e pressione. Queste variabili
dipendono essenzialmente dalla distanza e dal tempo che intercorrono dal nucleo
alla superficie, intendendo con questo termine la fotosfera, dove si osservano la
macchie solari. Non essendo allo stato solido né liquido il Sole non può avere una
reale “superficie” . La temperatura varia dai 15 milioni di kelvin nel nucleo, ai
5800 kelvin della fotosfera, fino ai 10000-80000 kelvin della cromosfera, per poi
subire un ulteriore aumento fino a 1-2 milioni di kelvin nella corona, lo strato più
esterno. La densità e la pressione sono elevatissime nel
3
nucleo, dove arrivano a essere 300 miliardi di volte più elevate di quelle
dell’atmosfera terrestre.
La parte che interessa maggiormente nello studio dello Space Weather è la corona:
questo strato di atmosfera della stella, differentemente dalla fotosfera , che è lo
strato opaco visibile anche a occhio nudo (con le dovute precauzioni, non
dimentichiamo mai che l’osservazione diretta del Sole è pericolosissima per la
vista), è costituito da plasma molto rarefatto, con una bassissima emissione in luce
bianca e pertanto invisibile senza l’ausilio di strumenti adeguati.
L’unico caso durante il quale si può apprezzare a occhio nudo un alone coronale
intorno al disco solare, è durante un’eclissi totale.
Figura 3
Gli studiosi si sono arrovellati per molti decenni per comprendere composizione e
struttura della corona. I risultati sono stati, in un primo momento, decisamente
ambigui, per non dire paradossali: per sfuggire alla forza attrattiva del Sole la
densità del plasma coronale avrebbe dovuto tendere all’infinito allontanandosi
progressivamente dal centro stesso. Allora, in seguito a teorie molto complesse, si
è giunti alla conclusione (E.N. Parker, 1958, Astronomical Phisical Journal *
128,664) che la corona non sia né statica, né isoterma, ma emetta in continuazione
ed in modo isotropo del plasma solare, perdendo massa al ritmo di circa 2X109
Kg/s, che anche se è un valore impressionante per noi, non lo è certo per il Sole,
4
essendo infatti pari a solo
4X10-14 masse solari all’anno. Nasce così quello che oggi tutti conosciamo con il
nome di “vento solare”, che tratterò nel dettaglio più avanti. Non è certo per colpa
del vento solare che il Sole perderà inevitabilmente massa nei prossimi 3-4
miliardi di anni. La fusione dell’idrogeno nel nucleo ne “consuma” molta di più.
3. Aspetti connessi con lo Space Weather
I fenomeni collegati alla corona solare sono parecchi, molti dei quali sono in fase di
studio. Tra questi, importanti da citare e analizzare sono i buchi coronali e le onde
di Alfvén.
Il Sole è come un enorme magnete le cui linee di campo seguono traiettorie a volte
chiuse, i loops, strutture magnetiche a forma di arco ancorate a due punti, che si
sviluppano dal corpo solare fino all’atmosfera, altre volte che sembrano invece
estendersi all’infinito senza mai chiudersi. Queste ultime strutture a “linee aperte”
(solo in apparenza, in quanto vanno a chiudersi a una distanza tale dal Sole da
sembrare aperte nelle sue vicinanze) sono associate a zone opache della corona
chiamate buchi coronali e sono responsabili dell’origine del vento solare detto
veloce (fast solar wind). Esistono buchi coronali polari che si trovano a ridosso dei
poli durante i minimi dei cicli solari, e buchi coronali transequatoriali che si
spostano a cavallo dell’equatore del Sole durante i massimi di attività.
In fisica, invece, col termine onda di Alfvén si intende una perturbazione
ondulatoria in un plasma che si propaga tramite oscillazioni trasversali di ioni
all'interno di un campo magnetico a sua volta oscillante. La scienza che si occupa
dello studio di questo tipo di onde, che per certi versi hanno un comportamento
molto simile alle onde elettromagnetiche nel vuoto è la magnetoidrodinamica.
Questi studi hanno come caposaldo il teorema di Alfvén, che afferma: “In un fluido
conduttore con resistività nulla (o molto piccola), le linee di campo magnetico
rimangono congelate in un dato volume del fluido (frozen in)”. Per parlare in
termini più semplicistici, il flusso di plasma che si origina dalla superficie solare
viaggia lungo le linee del campo magnetico prodotto dalla debole corrente
elettrica associata al moto degli ioni del vento solare (di cui tutto lo spazio è
permeato fino a distanze dal Sole di decine di Unità Astronomiche, cosa che
riprenderò in seguito), per questo detto Campo Magnetico Interplanetario (IMF o
Interplanetary Magnetic Field in inglese) e rimane inalterato; per questo motivo il
teorema di Alfvén è denominato anche teorema del flusso congelato. Secondo
questa tesi, le linee di campo sono forzate a seguire un percorso preciso, il che
spiega molti fenomeni legati allo Space
5
Weather. Qui appare chiara la netta differenza tra il magnetismo solare e quello
terrestre: sul nostro pianeta campo magnetico e materia sono disaccoppiati: se si
muove una massa atmosferica (per esempio quando c’è vento) il campo magnetico
terrestre (geomagnetico) non ne risente assolutamente; di contro, qualunque
ipotetica variazione del campo geomagnetico non potrebbe andare ad influenzare
la materia che compone il nostro pianeta. Sul Sole no, è tutto l’opposto: campo
magnetico e materia sono accoppiati: qualunque variazione di campo magnetico
trascina con sé della materia solare e, viceversa, qualunque movimento di materia,
come avviene nelle bolle di convezione che “risalgono” dalla zona convettiva verso
la fotosfera raffreddandosi, si porta dietro il campo magnetico, le cui linee,
erompendo dalla “superficie visibile” del Sole e raffreddandola localmente, danno
vita ai gruppi di macchie solari magneticamente bipolari. Il Teorema di Alfvén, in
ultima analisi, non fa che generalizzare questo discorso ad ogni evento magnetico
solare.
Figura 4
Il campo magnetico interplanetario si
comporta in un modo particolare: la
rotazione del Sole e la modulazione
dovuta al ciclo di attività della stella
distorcono la direzione ideale delle linee
di campo, invorticandole lungo una
spirale di Archimede, il cui equivalente
tridimensionale è detto Spirale di
Parker, che prende il nome dall’ideatore
di tale andamento, Eugene Parker.
Questo modello è anche detto anche
ballerina skirt model, o modello a gonna di ballerina perché sembra ricordare i
panneggi ondeggianti tipici di un tutù di danza classica.
La rotazione delle linee di campo
magnetico spiega come fenomeni che non
siano stati emessi in posizione
geoeffettiva, cioè di fatto lungo la
direzione ideale Sole-Terra, possano
comunque investire direttamente la Terra
e far risentire i loro effetti. Difatti l’ orbita
terrestre, com’è apprezzabile dalla figura
precedente, interseca ben due bracci della
spirale di Parker, veicoli lungo i quali un
fenomeno
Figura 5
6
potrebbe potenzialmente intercettarla. Questa possibilità si verifica solo per
quanto riguarda le emissioni di particelle cariche, ma non per la radiazione
elettromagnetica, che invece si propaga in modo rettilineo. Si ricordi inoltre che
tali flussi mantengono la stessa intensità in ogni punto delle pieghe del modello,
per il teorema del flusso congelato.
Per descrivere il campo magnetico interplanetario viene utilizzato
convenzionalmente il sistema di coordinate GSMCS (Geocentric Solar
Magnetospheric Coordinates System), una terna cartesiana ortogonale di vettori,
Bx, By e Bz, che sono le componenti del vettore campo totale B, quindi per questo
sistema di coordinate vale la nota relazione B = sqr (Bx2+By2+Bz2).
Figura 6
La componente Bx è posta in direzione TerraSole sul piano dell’eclittica con verso positivo
rivolto verso la Terra; By, posta sempre sul
piano dell’eclittica, punta verso l’Est terrestre,
invece Bz è perpendicolare al piano dell’eclittica
e rivolta positivamente verso il polo nord
terrestre. Vedremo in seguito come
l’orientazione di quest’ultima componente sia
determinante per l’intensità e il verificarsi di
eventi geomagnetici d’importanza rilevante.
4. Eventi studiati
In questa sezione mi occuperò degli eventi di origine solare, da me studiati
durante la mia attività presso l’Osservatorio Solare dell’Istituto (di cui dirò in
seguito) e delle loro ripercussioni sulla nostra vita e del nostro pianeta.
I primi eventi che intendo considerare sono i flare. Si tratta di fenomeni transitori
che comportano una improvvisa emissione di radiazione elettromagnetica,
accompagnata spesso da getti di particelle quasi relativistiche (il che vuol dire con
velocità paragonabile a quella della luce e con “tempi di viaggio” Sole-Terra molto
brevi, da qualche decina di minuti a qualche ora) prodotta principalmente nella
corona, che possono durare da pochi minuti a diverse ore. L’energia rilasciata da
un flare può raggiungere intensità spaventose, paragonabili alla potenza di decine
di milioni di bombe atomiche
7
terrestri. Un flare emette radiazioni che coprono l’intero spettro elettromagnetico,
dalle onde radio ai raggi X cosiddetti “duri”. Questo fenomeno è anche associato a
un aumento improvviso di luminosità di una parte del disco solare denominato
brillamento, che, ci tengo a precisare, non costituisce esattamente la traduzione
del termine flare (che di per sé è intraducibile), ma descrive solo l’evento a esso
complementare osservato nella porzione visibile dello spettro elettromagnetico.
Figura 7
A lato è possibile
osservare un flare di
enorme potenza emesso,
per nostra fortuna, non in
direzione geoeffettiva, nel
ciclo solare precedente a
quello attuale. Inutile dire
che se fossimo stati
investiti dai flussi di
particelle espulsi in quel
momento, le conseguenze
sulla Terra sarebbero
state, a dir poco,
catastrofiche.
Le informazioni che riguardano le cause della loro origine sono alquanto incerte e
in fase di studio: tuttavia per quanto ne sappiamo, sembra che alla base di tali
eventi ci sia un fenomeno chiamato “riconnessione magnetica”. La comparsa di
una nuova regione attiva accanto ad’un altra preesistente comporta lo scontro di
due campi magnetici di polarità opposta. Questo provoca la liberazione
dell’energia devastante prima descritta e all’espulsione di particelle cariche che
seguendo le linee del campo magnetico entranti, quando colpiscono la fotosfera,
generano l’aumento di luminosità che produce il brillamento o flare che dir si
voglia.
8
Un flare segue sempre un andamento scandito da tre fasi: fase precorritrice (o
precursore) dove l’emissione di particelle si limita ai raggi X cosiddetti “molli” e
all’ultravioletto estremo, una fase impulsiva dove lo spettro di radiazione è
interamente coperto, infine una fase estesa dove i livelli di radiazione sono via via
decrescenti.
Figura 8
PRECURSORE
F. IMP.
FASE ESTESA
I flare sono comunemente classificati secondo una scala logaritmica che si basa
sulla potenza emessa nella fase impulsiva dei raggi X duri, ed è divisa in ordine
crescente di potenza secondo le classi A, B, C, M e X. Esistono anche delle
sottoclassi, espresse con un indice da 1 a 9, che meglio descrivono l’intensità
d’irradiamento del flare. Solo l’ultima classe fa eccezione perché dopo la
classificazione X10 si prosegue linearmente: il flare più potente mai osservato è
stato di classe X28.2 ed è quello mostrato nella figura alla pagina precedente.
Quali sono tuttavia gli effetti reali che un flare fa risentire sulla Terra? Questi
effetti sono divisibili in due categorie: quelli in sostanza simultanei (avvengono
solo 8 minuti dopo l’evento) che comportano disturbi nelle trasmissioni radio e a
livello della ionosfera terrestre, e quelli differiti (da un’ora a 20-40 ore) che
comportano eventi magnetici come le aurore o fenomeni luminosi interplanetari
simili. Un flare può essere inoltre associato a un evento denominato onda di
Moreton: si tratta di una perturbazione sulla cromosfera solare generato da un’
onda d’urto proveniente “di rimbalzo” dalla corona, che assomiglia a un’onda
circolare originata da un maremoto in pieno oceano. Per questo le onde di
Moreton sono anche chiamate “gli tsunami del Sole”
I secondi eventi sui quali è doveroso soffermarsi un po’ di più sono le CME. Con
l’acronimo CME, dall’inglese Coronal Mass Ejection, s’intende una trasformazione
della struttura della corona solare correlata a una massiccia espulsione di
9
plasma solare, che prende la forma di una nube (coronal cloud). Osservabili solo
con un coronografo, strumento che riproduce la situazione di un eclissi solare,
sono divisibili in due tipi: full-halo CME se la stessa è espulsa vicino al piano
equatoriale o al meridiano centrale (chiamata così perché disegna un alone
intorno al disco occultatore), oppure partial-halo CME se viene emessa in
corrispondenza del bordo del disco o comunque in posizione non geoeffettiva.
Figura 9
La massa di plasma mediamente espulsa
da una CME è nell’ordine dei 1000
miliardi di kg che, per rendersi conto,
corrispondono al peso di circa 5 miliardi
e mezzo di Boeing 747. Se si parla di
energia totale emessa, si ha una media di
circa 1023 J che corrispondono alla
potenza esplosiva di circa 2 milioni di
bombe atomiche moderne.
Figura 10
Quando una CME lascia la corona
solare e inizia a viaggiare nel mezzo
interplanetario, prende il nome di
ICME (Interplanetary Counterpart of
CME), che è effettivamente la
responsabile per disturbi al campo
magnetico terrestre, a volte anche
rilevanti. Se l’ICME presenta una
velocità sufficientemente elevata,
può produrre davanti a se un’onda
d’urto chiamata bow-shock che
accelera le particelle che la compongono “sparandole” come proiettili a velocità
vicine a quelle della luce, il che provoca le cosiddette tempeste di radiazione sulla
Terra.
Giungiamo infine all’evento forse più studiato e sicuramente più noto: il vento
solare. Come ho in precedenza illustrato nella sezione riguardante la corona solare
(2. Struttura del Sole), è proprio ciò che spiega la natura della corona stessa.
10
Si tratta di plasma caldo che si espande dal disco in tutte le direzioni a una velocità
che si aggira, in condizioni nominali, intorno ai 300 km/sec fino a oltre 1000
km/sec, in condizioni di Sole molto attivo (storm), pertanto raggiunge la Terra
dopo circa 2-4 giorni. Il vento è principalmente composto quindi da particelle
cariche elettricamente. Si può suddividere in due tipi secondo la sua origine: il
vento solare veloce proveniente da buchi coronali (emesso con velocità prossime
agli 800 km/sec) e quello lento, proveniente invece da altre zone della corona,
come regioni attive o getti coronali (coronal streamers).
Si ricordi, oltretutto, che il flusso del vento fa sentire la sua influenza per molte
unità astronomiche oltre la corona. Tuttavia il suo moto non è infinito: difatti la
spinta che le particelle ricevono si esaurisce, anche se molto oltre i limiti del
sistema solare.
Figura 11
I suoi effetti non sono più percepibili a una distanza stimata di 75-90 UA dal Sole
(UA, o Unità Astronomica, è la distanza che intercorre tra Terra e Sole ed è pari a
circa 150 milioni di chilometri). La causa che poi, secondo studi tutt’oggi in grande
discussione, arresta del tutto il suo flusso in corrispondenza del bow-shock sono i
raggi cosmici provenienti dalle altre stelle (forse espulsi dopo la morte di alcune di
queste), la cui spinta equilibra quella del “nostro” vento e ne annulla lo
spostamento. Per saperne di più ci affidiamo ai dati raccolti da Voyager 1 e
Voyager 2, sonde inviate da diversi decenni che si spostano verso i limiti del
sistema solare, proprio sfruttando la spinta del vento solare.
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La domanda sorge spontanea: cosa succede alla Terra che viene investita da un
flusso così veloce, denso e caldo di particelle cariche? Perché noi uomini non
risentiamo direttamente dei suoi effetti?
La risposta sta in ciò che tutti noi abbiamo sopra le nostre teste. La Terra è avvolta
da un denso strato di gas, l’atmosfera, che la ricopre per 2000 km circa e da un
gigantesco “ombrello”, il campo magnetico, che protegge la vita di tutti noi. Lo
strato più interessante dell’atmosfera che riguarda direttamente lo studio dello
Space Weather, è lo strato più esterno, la ionosfera. Tale strato è composto
principalmente da ioni. Questa sua composizione è alla base di una delle sue
proprietà: è in grado di riflettere le onde radio. Mettiamoci nei panni di uno
scienziato italiano che voglia comunicare via radio le sue straordinarie scoperte ad
un collega statunitense: la trasmissione radio parte da un trasmettitore e
dovrebbe arrivare a un ricevitore, sennonché la trasmissione in linea retta è
impossibile a causa della curvatura della Terra.
Figura 12
Questa proprietà della ionosfera
diventa la soluzione al problema dello
scienziato italiano; infatti è
dimostrabile che le specie ioniche al
suo interno possono riflettere le onde
radio, ma solo se la loro frequenza è
minore di una frequenza di soglia detta
frequenza critica. La formula fc ≈ √N
mette in relazione questa frequenza
con la densità media dei portatori di
carica nel plasma ionosferico, indicata
con N. Per frequenze minori a fc la
riflessione è incondizionata, mentre se
questo valore di soglia viene
superato, la trasmissione dipende da angoli d’incidenza particolari o comunque da
frequenze non troppo elevate. Nel caso di un blackout radio che fa seguito ad un
flare di potenza medio-alta, con conseguente neutralizzazione degli strati dell’alta
ionosfera, potrebbe succedere che il povero scienziato italiano non potrà più
trasmettere le informazioni perché le condizioni di riflessione della ionosfera sono
state alterate, e le frequenze che prima utilizzava sono state “accecate”. Questi
fenomeni sono chiamati blackout radio.
12
Figura 13
Come accennato prima, la Terra possiede anche un proprio campo magnetico, il
quale ci protegge da gran parte dei flussi di particelle dannose provenienti dal
Sole. Questo campo magnetico si estende in uno spazio denominato magnetosfera,
che tuttavia non ha una forma costante.
Figura 14
Assume, a seconda delle condizioni del vento solare, una forma più o meno
allungata, che assomiglia a un polipo, la cui parte rivolta verso il Sole è schiacciata
e interessata dall’onda d’urto (bow shock) e la parte allungata che prende il nome
di magnetotail o coda magnetica.
13
Tuttavia, questa “copertura” non è abbastanza efficace per contrastare il flusso di
vento quando si attesta su livelli intensi. Quando questo accade, il vento solare
“buca” il campo magnetico e si riversa sulla Terra, con effetti che potrebbero
rivelarsi anche drammatici.
4.1 Le tempeste solari
Dopo tutta questa introduzione per comprendere bene come funziona e quali sono
le capacità della nostra stella, tratto ora gli effetti concreti e i rischi che questi
avvenimenti possono comportare alla nostra salute. Le tempeste solari possono
essere divise in tre tipologie, ognuna delle quali associate a cause e disturbi
conseguenti, differenti tra loro.
Le prime che intendo esaminare sono le tempeste geomagnetiche. Una tempesta
geomagnetica è un disturbo della magnetosfera terrestre, di carattere
temporaneo, causato dal vento solare. Tuttavia limitarsi ad accusare il vento a
essere l’unico responsabile è scorretto o quantomeno improprio, difatti non
possiede abbastanza forza da causare seri problemi al nostro campo magnetico.
Intervengono dunque delle concause, quattro ingredienti perché avvenga la
perfect storm che causerebbe stravolgimenti di ogni tipo:
1. Il vento solare deve essere di velocità elevata, quindi s’intende almeno
intorno ai 1000 km/sec.
2. E' ovvio che il suo flusso debba essere esattamente geoeffettivo (si
escludano quindi “impatti di striscio” o glancing blows, in inglese)
3. Le sue densità, temperatura e pressione devono essere elevate.
4. La componente dell’IMF Bz, citata nella sezione “3. Aspetti connessi con lo
Space Weather”, a proposito del sistema di coordinate GSMCS, deve avere
orientazione southward, cioè opporsi alle linee di campo magnetico
terrestre.
Solo la perfetta concatenazione di queste quattro condizioni porta al verificarsi di
una tempesta geomagnetica molto potente. E’ inutile specificare che, nel caso
anche solo una di queste venisse meno, la tempesta risultante sarebbe molto più
innocua. Anche la presenza di un’ICME di discreta potenza potrebbe aggravare la
situazione.
14
Ora, la ragione per cui il vento solare veloce genera tutti questi problemi è perché,
una volta entrato nella magnetosfera provoca la neutralizzazione degli strati
superficiali della ionosfera.
Esiste, in prossimità dell’equatore terrestre, un flusso di campo elettrico, chiamato
corrente ad anello, che interagisce fortemente con queste particelle cariche
provenienti dal Sole. Questa variazione del campo magnetico, come enunciato
dalla legge di Faraday-Neumann, induce una corrente elettrica, chiamata appunto,
corrente indotta. E’ questa corrente che sta alla base dei risvolti spettacolari
associati a una geomagnetic storm.
Figura 15
Le aurore sono senza
dubbio uno spettacolo
che, almeno una volta
nella vita, andrebbe
visto. Normalmente
sono visibili ad alte
latitudini, in vicinanza
dei poli, ma in presenza
di tempeste molto
intense, possono essere
osservate anche a
latitudini più basse.
Si pensi che nel 1859
l’astronomo Richard
Carrington (da cui
prende il nome la
numerazione delle
rotazioni solari)
osservò un gigantesco
brillamento in diretta
mentre stava
studiando il Sole col
suo telescopio. Tal
evento fu correlato ad
un’intensa tempesta
geomagnetica,
Figura 16
15
che poco tempo dopo provocò un grande stravolgimento della magnetosfera.
Alcuni scritti riportano che in quell’occasione le aurore furono osservate
addirittura ai tropici, quindi si tratta forse della tempesta geomagnetica più
intensa mai documentata.
Gli effetti invece più disastrosi che potrebbero essere provocati da un evento di
questo tipo sono disturbi sulle linee elettriche, da semplici interferenze, per
tempeste deboli, a completi collassi, per eventi più potenti. Inoltre sono
osservabili disturbi al volo migratorio degli uccelli e ai sistemi di navigazione
satellitare (GPS).
Le tempeste di questo tipo sono classificate secondo un indice chiamato Indice
Geomagnetico Interplanetario o Kp che è il risultato della media delle misurazioni
raccolte da tredici stazioni disseminate per il globo. Riporto di seguito una tabella
che spiega i valori dell’indice e la classificazione:
Tabella 1
Kp
Condizione
Grado
Descrittore
0
1 2 3
QUIET
4
UNSETTLED
5
6
G1
G2
Minor Moderate
* Legenda
Quiet: condizioni di attività solari minime
Unsettled: condizioni di attività solare agitate
Storm: condizione di attività solare massima
7
8
STORM
G3
G4
Strong Severe
9
G5
Extreme
Ogni descrittore relativo ai gradi
che classificano la tempesta in
base all’indice Kp è un ulteriore
dettaglio per descrivere la
portata dell’evento.
In secondo luogo ho deciso di trattare le cosiddette tempeste di radiazione. Tale
termine, radiazione, non è tuttavia da intendersi correlato a un’emissione
luminosa, ma a un vero e proprio flusso di particelle misurato in pfu, (particle flux
units). Per questo motivo l’acronimo più corretto per parlare di queste tempeste è
SEP, cioè Solar Energetic Particles, ed è a questo che in seguito farò riferimento. Il
corpo principale delle SEP è costituito da pacchetti di particelle, cariche,
principalmente protoni, cioè ioni H+, espulse da flare o spinte da ICME, fino a
raggiungere velocità quasi relativistiche (ossia approssimabili a quella della luce).
16
Gli effetti delle SEP possono essere molto più seri se paragonati a quelli delle
geomagnetiche. Tralasciando le conseguenze alla tecnologia satellitare, in casi più
gravi anche inibita completamente, e alle trasmissioni radio che possono essere
disturbate o subire blackout totali, ciò che preoccupa di più sono i potenziali rischi
biologici per chi viaggia ad alte quote, latitudini e per chi è impegnato in missioni
EVA fuori dall’atmosfera (Extra Vehicular Activities).
Figure 17 e 18
La classificazione delle SEP è simile a quella adottata per le tempeste geomagnetiche,
individuando gradi d’intensità da S1 a S5 correlati dagli stessi descrittori da minor a
extreme.
Tabella 2
Intensità
Descrittore
S1
Minor
S2
Moderate
S3
Strong
S4
Severe
S5
Extreme
* per i significati dei descrittori si veda la tabella relativa alla classificazione delle
tempeste geomagnetiche di pagina 15.
Infine analizzo il terzo e ultimo tipo di disturbo dello Space Weather, i Blackout
Radio. Come già ho spiegato in precedenza, il Sole emana radiazioni
elettromagnetiche nell’arco di tutto lo spettro elettromagnetico, dai raggi X duri
alle onde radio, e queste particelle raggiungono ad alta velocità la magnetosfera
terrestre. Lo sconvolgimento che tali particelle provocano, è tale da disturbare la
ionosfera costringendo variazioni nella frequenza critica illustrata in precedenza.
Questo provoca, alle trasmissioni radio, disturbi di diversa intensità e durata, in
base ai valori dei flussi di particelle espressi in Mev (un ev è l'energia acquistata da
un elettrone libero quando passa attraverso una differenza di potenziale elettrico
di 1 volt; un megaelettronvolt è pari a 106 elettronvolt).
17
Altri effetti che potrebbero essere potenzialmente più seri, sono quelli legati
all’attività dei satelliti in orbita attorno alla Terra: le mutazioni dello spessore e
della densità degli strati superficiali dell’atmosfera (ionosfera e plasmasfera)
possono disorientare a tal punto i sensori, tanto da far ricadere l’intero
macchinario sulla Terra, con conseguenze anche fin troppo facilmente
immaginabili.
Anche in questo caso la classificazione ricalca quelle precedentemente viste con
gradi che vanno da R1 a R5 e correlativi da minor a extreme.
Tabella 3
Intensità
Descrittore
R1
Minor
R2
Moderate
R3
Strong
R4
Severe
R5
Extreme
* per i significati dei descrittori si veda la tabella relativa alla classificazione delle
tempeste geomagnetiche di pagina 15.
Nella pagina successiva allego una tabella molto più dettagliata delle
classificazioni delle tempeste e dei loro effetti sull’attività umana:
18
19
5. Previsioni
Siamo finalmente giunti all’ultima sezione del nostro viaggio nello Space Weather,
nella quale mi occuperò di cercare di capire quale sia l’importanza sempre
maggiore dello studio in materia, al fine di comprendere come funzionano e se ci
siano possibilità di prevedere in anticipo gli eventi che, partendo dal Sole, possono
in qualche modo risultare dannosi per noi.
Senza dubbio la crescente fiducia nel progresso, ci ha portato a mettere le nostre
vite completamente nelle mani della tecnologia.
Figura 19
Sviluppo Tecnologico
14
12
10
8
Sviluppo Tecnologico
6
4
2
0
900 1000 1100 1700 1800 1900 1945 1990 2000 2014
Il grafico che ho elaborato presenta chiaramente come lo sviluppo tecnologico sia
incrementato notevolmente nell’ultimo ventennio della nostra storia. Tuttavia il
fiorire di tutti questi nuovi super macchinari all’avanguardia, ci rende sempre più
dipendenti dall’energia, soprattutto dall’elettricità, il che non è un bene. Sappiamo
ormai tutti che la fonte principale dalla quale si ricava l’elettricità è il petrolio.
Recenti studi affermano che quasi la totalità di questo combustibile finirà per
esaurirsi entro il 2040. Immaginate un mondo senza petrolio: niente carburante
per le nostre automobili per andare al lavoro, niente energia elettrica per
alimentare gli elettrodomestici e i così “indispensabili” telefoni cellulari, niente
telecomunicazioni (ormai fondamentali),
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niente alimentazione per i macchinari che tengono in vita migliaia di persone negli
ospedali. La lista potrebbe essere ancora molto lunga. Però tanto voi direte, ma
cosa vuoi che succeda, non abbiamo nulla di cui preoccuparci ... poi esistono le
energie rinnovabili... non sono mai successi eventi gravi …
L’eventualità che il mondo intero possa rimanere al buio non è poi così campata
per aria, purtroppo. Non tutti si rendono conto che il nostro vicino di casa, il Sole,
potrà essere in un futuro prossimo la causa della fine della nostra sopravvivenza.
Pensate al flare del 2003 e a tutti i flussi di particelle distruttivi che ho mostrato in
precedenza: se ci avessero investito direttamente, ho seri dubbi che saremmo qui
a raccontarci questa storia. I danni agli impianti elettrici e alle centrali sarebbero
stati così gravi da spegnere l’intero pianeta forse per mesi, forse per anni; tutto ciò
che ci garantisce il sostentamento sarebbe crollato come un castello di carte, con la
carta dell’energia elettrica alle fondamenta.
Una soluzione c’è!
Che cosa fanno tutti quando arriva un temporale per non rischiare di fulminare gli
elettrodomestici? Staccano la spina.
Ecco, se si sapesse in anticipo quando potrebbe arrivare la prossima
“supertempesta” solare, staccheremmo le spine. Peccato che avremmo solo 8
minuti, tempo di arrivo della radiazione elettromagnetica dal Sole, per rendercene
conto.
E’ assolutamente necessario che questi fenomeni siano compresi e previsti, al fine
di difenderci da ciò che potrebbe colpirci.
Queste conclusioni non vogliono creare nessun tipo di allarmismo, ma vogliono
mettere al corrente dei rischi che il Sole ci fa correre. Gli eventi come quelli del
1859 e del 2003 sono estremamente rari, chissà tra quante centinaia di anni
avverrà il prossimo, molte, mi auguro.
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6. Conclusioni
In conclusione, nonostante sia consapevole della difficoltà dell’argomento, spero
di essere stato chiaro e semplice nella mia trattazione. Come ho già detto
nell’introduzione, ho deciso di non appesantire troppo il lavoro con tecnicismi o
concetti troppo complessi, al fine di rendere la lettura un po’ più interessante e
scorrevole. L’obiettivo che mi sono preposto è stato quello di far luce su un
argomento non molto conosciuto; anche navigando su internet per reperire le
notizie, mi sono reso conto che esiste molta disinformazione in merito e che molti
articoli spesso tendono a gridare alla fine del mondo imminente, anche quando le
ragioni per creare allarmismi di questo tipo non esistono.
Di seguito ho deciso di riportare due aforismi di Susanna Tamaro e di Woodrow
Wilson:
“La filosofia e il sole si assomigliano, entrambi devono cacciare la notte – la notte fisica e la
notte della mente – quella che fa vivere l'uomo annegato in un oceano di superstizione.”
Susanna Tamaro
“Alcuni di noi lasciano morire i grandi sogni, ma altri li nutrono e li proteggono; abbiatene
cura nei giorni brutti affinché portino il sole e la luce che viene sempre a chi spera col cuore che i
propri sogni si avverino.”
Woodrow Wilson
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7. Nota finale
Durante questi ultimi tre anni di liceo scientifico, ho avuto l’occasione di fare
esperienza sullo studio del Sole, grazie al progetto “Astro.Net” promosso dalla
scuola. Si tratta di un progetto basato sullo studio delle macchie solari, delle
protuberanze visibili col filtro H-Alfa e sulla compilazione di un bollettino
giornaliero riguardante lo Space Weather. Il nostro istituto, dal 15 settembre
2010, è stato inserito nella lista degli Osservatori Solari ufficialmente collaboranti
con il Solar Influences Data Analysis Center (SIDC) di Bruxelles, al quale vengono
inviati i dati che sono utilizzati per il calcolo degli ISN (International Sunspot
Numbers). Il SIDC elabora giornalmente i dati provenienti da poco più di un
centinaio di Osservatori sparsi in tutto il mondo, e il nostro è uno di questi. Il
progetto mi ha permesso di conoscere queste nuove attività e in particolare mi
sono specializzato nello studio delle macchie solari e nell’analisi dello Space
Weather Questo mi ha permesso, ove possibile, di inviare le mie stesse
osservazioni al SIDC di Bruxelles, in quanto osservatore ufficialmente accreditato,
il che mi ha incentivato ad impegnarmi per svolgere il mio lavoro. Per questo
ringrazio il professor Mario Gatti, direttore del nostro Osservatorio Solare, per il
percorso che mi ha permesso di intraprendere e per la sua disponibilità, anche
nella fase di revisione del lavoro qui presentato e soprattutto per avermi fatto
appassionare all’argomento trattato ed alle questioni riguardanti il Sole in
generale.
Nelle pagine seguenti allego una delle mie osservazioni, concretizzata in un
disegno della fotosfera con i gruppi e le macchie conteggiati e da una serie di dati
ad essi relativi, riportati nella tabella di destra, che qui però sarebbe troppo lungo
e soprattutto fuori luogo illustrare in dettaglio; allego inoltre uno dei bollettini
giornalieri, da me compilati durante questo ultimo anno di studi, riguardanti lo
Space Weather e i bollettini originali del NOAA in inglese, fonti dalle quali ho
operato una traduzione in italiano e una sintesi dei dati.
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W
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8. Sitografia
Di seguito l’origine delle principali informazioni di cui mi sono servito:
Tutti i bollettini emessi dal NOAA/SPWC, il cui elenco completo si trova alla
pagina:
http://www.swpc.noaa.gov/alerts/AlertsTable.html
Il sito dei bollettini e dei report NOAA dedicati allo Space Weather:
http://www.swpc.noaa.gov/Data/index.html#reports
I dati relativi agli eventi energetici (flares):
http://www.swpc.noaa.gov/ftpmenu/indices/events.html
Le pagine dello SWPC:
http://www.swpc.noaa.gov/alerts/solar_indices.html
Il sito del SIDC, presso il quale sono stati sottoscritti diversi bollettini e reports:
http://sidc.be/index.php
Due siti di carattere generale, che offrono molti dati in tempo reale sul sole ed
anche sullo Space Weather sono:
http://www.solarcycle24.com/
http://www.spaceweather.com/
Dati in tempo reale sono disponibili anche su: http://www.solarspots.net
Di seguito riporto anche le fonti da cui ho tratto le figure e i grafici:
Copertina : www.nasa.gov
Figura 1: www.lunarplanner.com
Figura 2 : www.nasa.gov
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Figura 3 : www.astrosurf.com
Figura 4 : www.wikipedia.org
Figura 5 : www.wikipedia.org
Figura 6 : www.solarspots.net
Figura 7 : http://sohowww.nascom.nasa.gov//
Figura 8 : www.noaa.gov
Figura 9 : www.nasa.gov
Figura 10 : www.nasa.gov
Figura 11 : www.sciencemag.org
Figura 12 : www.canstockphoto.it
Figura 13 : www.peduto.it
Figura 14 : www.apolo11.com
Figura 15 : www.photography.nationalgeographic.com
Figura 16 : www.photography.nationalgeographic.com
Tabella 1 : Elaborazione dell’autore
Figura 17 : www.space.com
Figura 18 : www.reddit.com
Tabella 2 : Elaborazione dell’autore
Tabella 3 : Elaborazione dell’autore
Figura 19 : Elaborazione dell’autore
Aforismi pagina 22 sezione “6. Conclusioni” : www.aforismi.meglio.it
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