Il babelino di PB
Letteratura per divertimento
Chopin e musica
chopin e la musica
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Chopin e la sua musica
di Artiro
Di Chopin A. Capri scrisse che “cantò i più chimerici e fantastici erramenti
dell’anima”.
Non di rado, infatti, nella sua produzione pianistica si trovano gli elementi delicati, ardenti, talvolta torbidi e morbosi delle sue passioni, della sua malinconia.
Con Chopin il pianoforte giunge ad un fondamentale punto di svolta, dal momento che egli ne fa il suo maggior confidente, il compagno di vita.
Nell’approfondire lo studio del pianoforte, Chopin impone una svolta decisiva
al superamento dei problemi stilistici e formali che avevano fino a quel momento costretto la musica romantica.
I suoi 21 Notturni, composti tra il 1827 e il 1846, assieme ai 26 Preludi (18361839), per la loro immediatezze ed essenzialità della forma, rappresentano
uno degli apici del Romanticismo europeo.
Le sue modulazioni tenere ed impreviste aprono nuovi orizzonti verso l’avvenire, preannunciando Wagner e lo sviluppo dell’armonia moderna, sino all’impressionismo di Debussy e Ravel.
Tutto questo fa parte di uno studio attento, quasi amoroso della più limpida
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chopin e la musica
classicità (Bach e Mozart furono l’ideale di questo straordinario musicista)
sensibilissimo fino alle estreme conseguenze.
La produzione chopiniana non si ferma solo ai preludi e ai notturni.
Figurano anche composizioni classiche come i concerti e le sonate, composizioni dal respiro ampio e dalla struttura più libera come gli scherzi e le ballate.
E’ la sua terra d’origine, la Polonia , che riveste un ruolo particolare nella sua
produzione.
Se le mazurche sembrano essere piccole e intime rievocazioni del folklore
musicale polacco, altre composizioni più strutturate come le polacche, o la
fantasia su arie polacche sono l’ambiente ideale dove il compositore può con
più personalità rielaborare idee o ricordi della lontana patria, che posso essere
ritmi, incisi melodici, o altro.
Accanto a questa, gli studi per pianoforte rappresentano un caposaldo della
musica in quanto Chopin trasforma lo studio da genere essenzialmente didattico in vera e propria composizione artistica (v. gli studi per pianoforte op.10
e op. 25).
Essi sono la trasfigurazione lirica di altrettanti problemi tecnici. Il risultato è
una penetrazione armonica straordinaria, una trasmutazione in poesia che
offre buoni motivi per un costante paragone fra Chopin e Leopardi.
Vengono così superate le analogie che legano i due, dove il contenuto umano
dolente, pessimistico, sconfitto si fa cosmo in Leopardi, risonanza universale.
In Chopin il dolore rimane legato alla sua persona, e l’artista si fa portavoce
della sua universalità.
La musica di Chopin è particolare. Essa lega le note fra loro in modo da accenderne il significato che solo un animo sensibile può cogliere.
I Preludi, composizioni brevi e con esposizioni essenziali, condensano in
poche battute (v. quello in la magg., o quello in do magg.) sensazioni, atmosfere. Tecnicamente sono costruiti sul circolo delle quinte, alternando il modo
maggiore a quello minore.
Il contenuto umano della musica di Chopin risente indubbiamente del respiro
del secolo del Romanticismo. La sostituzione dell’arte alla vita, l’inettitudine
a vivere, quel desiderio insoddisfatto di sogni, chimere, fanno di Chopin un
uomo permeabilissimo ai mali del secolo.
Ecco i Notturni, allora, tutti interiorità, introspezione, psicologia. Il trepido lirismo cede il passo ad una visione quasi dostoevskiana della vita: un’attra- 4 -
zione dal mondo esterno per calarsi con morbosa curiosità, cupa immediatezza nei più intimi recessi dell’animo umano.
Su quelle note, sui tasti del pianoforte, si fissano ineluttabilmente le ombre
dell’esistenza.
Leo Ferrero definì quella di Chopin “ poesia dell’adolescenza”: la vita nelle
sue manifestazioni più nobili, spensierate, vissute nel sogno, ha dentro di sé la
dolorosa consapevolezza di una irrealtà fortemente pervasiva.
In un’intervista rilasciata ad un quotidiano, il grande pianista Maurizio Pollini, vincitore a soli 18anni del premio Chopin a Varsavia, disse:” Chopin ha
creato la scrittura pianistica più seducente mai trovata da un compositore.
Usando le possibilità del pedale e la disposizione degli accompagnamenti,
scritti in modo da far cantare meglio la melodia attraverso il fenomeno degli
armonici. E’ l’arte di cantare: eludere l’idea di pianoforte come strumento percussivo, farlo diventare uno strumento cantante. …Diceva Rubinstein:” posso
suonare una Sonata pirotecnica come fosse niente, devo pensare ogni nota di
Chopin per poterlo suonare”.
La fantastica semplicità di Chopin, la sua rapsodicità vanno intese come indicazioni di ordine psicologica, non già estetico o stilistico.
L’artista, morto a soli 39 anni, rimane al di qua della vita, lasciandoci un testamento musicale di vaste proporzioni; comunque un compositore attento al più
intimo dettaglio.
Massimo Mila a tal proposito ha scritto” in Chopin come in Baudelaire, abbiamo il caso, tipicamente romantico e moderno, di un mondo sentimentale
che anche se languido, morboso, sfatto, non si manifesta per mezzo di forme
in sfacelo, di anarchia, di dissoluzione, ma si redime nell’arte attraverso un
classico senso della forma e della trasfigurazione estetica. Chopin è il caso limite del decadimento morale, che non si fa decadenza artistica”.
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Poesia
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Il cuore di Chopin
di Arturo
È come se fossi qui e in un certo modo ci sei. La tua voce sovrasta senza fatica
lo sferragliare del treno che attraversa il buio fitto di una notte autunnale, in questa Europa che non sarà mai più la stessa, senza di te. Immagino i tuoi occhi che
ridono in quel modo strano. Occhi da cane bastonato, in cima a quel naso
adunco, ereditato da nostro padre, e quella bocca piccola e carnosa, da ragazzina,
che faceva a pugni con tutto il resto. Forse sono l'unica a capire il tuo strano
umorismo. Quasi tremila persone fuori da La Madeleine, a piangere il più grande
genio di tutti i tempi, sulle note di Mozart, e solo io ti immaginavo sorridere,
divertito da quel tendone di velluto steso sul coro femminile. Tante polemiche,
ma alla fine si è fatto come volevi tu. Un coro femminile a La Madeleine... solo
tu potevi riuscirci! E la marcia funebre al Père Lachaise, arrangiata da Reber?
Semplicemente stupenda! La gente impazzisce per te. Semplicemente impazzisce. I giornali non fanno che parlare di artisti e politici che spergiurano di essere
stati presenti al tuo capezzale. Tu, che con la morte ci hai sempre convissuto,
hai organizzato tutta questa baracconata. E ridi. Anche di me, sballottata su questo treno, con il tuo cuore in valigia, in un barattolo pieno di brandy. L'urna del
grande maestro, il cui cuore riposa molto più che simbolicamente, sigillato nella
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chiesa della sua infanzia. Ancora una volta, alla fine si è fatto come volevi tu.
Immagino il tuo volto, il volto di un grande genio della musica, che smette infine
di ridere, si asciuga furtivamente gli occhi con le nocche. Torna l'uomo serio e
carismatico di sempre. L'uomo che ha conquistato il mondo con la sua musica,
ma pur sempre un uomo, tormentato dalla tubercolosi dall'adolescenza, tormentato dalla morte che sembrava sempre imminente e da quella paura irrazionale
di essere sepolto vivo. È come se fossi qui e in un certo modo ci sei. Mi guardi
con quegli occhi dolcissimi e la tua voce sovrasta senza fatica lo sferragliare del
treno. <<Grazie Ludwika, sorella mia.>>
Before the funeral, pursuant to Chopin's dying wish (which stemmed from a
fear of being buried alive), his heart was removed and preserved in alcohol (perhaps brandy) to be returned to his homeland, as he had requested. His sister later
took it in an urn to Warsaw, where it was sealed within a pillar of the Holy Cross
Church on Krakowskie Przedmieście, beneath an inscription from Matthew "For
where your treasure is, there will your heart be also."
(fonte: wikipedia)
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Il rumore delle emozioni
di Rinaldo
Chopin sapeva come trasformare le emozioni in musica. Tutta la sua carriera,
tutto il suo genio, passava dai suoi occhi alle sue mani. Il dolore, l'amore, la passione, codificate negli spartiti, sono in qualche modo il rumore della vita. Chissà
come l'avrebbe descritto quest'eco, nell'aria immobile dell'ultimo pomeriggio di
maggio. L'eco di quel blocco di bronzo, tributo alla sua vita, che si accartoccia
al suolo.
Nel 1907, Wacław Szymanowski aveva scolpito le sue sembianze, immaginandolo pensoso sotto un salice battuto dal vento. Si avvicinavano i cent'anni dalla
sua nascita e aveva pianificato di inaugurare la statua più grande e maestosa che
fosse mai stata dedicata al musicista più importante di tutta la Polonia, il primo
marzo 1910. La grande guerra lo costrinse a tenerla in magazzino fino al 1926.
Solo quattordici anni dopo, la Gestapo e il Commissariato del Popolo degli Affari Interni, cercarono di cancellare dalla memoria del mondo, l'effige del musicista.
Noi, col fiato sospeso, non sentivamo la musica. Non sentivamo la morte imminente per tanti, troppi di noi. Non sentivamo il dolore. Solo un suono disarticolato. Brutto, nella sua ruvida realtà. Solo materia soggetta alla volgarità
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dell'attrazione gravitazionale. Forze applicate, cedimenti strutturali, deformazione, orrore. La memoria era la sola cosa che ci teneva in piedi, attoniti spettatori della storia che marciava sulle strade della nostra infanzia. Tutti, ci
giurerei, ci stavamo chiedendo come avrebbe fatto lui, Chopin, a trasformare in
musica tutta questa bruttezza. O forse il suo cuore sarebbe rimasto in silenzio,
come il nostro. Quel cuore che qualcuno aveva rubato dalla chiesa della Santa
Croce. Nascosto. Avvolto negli stracci in qualche remoto scantinato, per tenerlo
in salvo da tutta questa follia.
Anche la morte, merita lunghe e travolgenti messe da requiem. La morte che
nella sua immobilità, nei suoi odori, nel suo lento cominciare a marcire, tornare
materia senza forma né anima, consegna i geni alla storia.
Certe emozioni, non fanno rumore.
On 31 May 1940, during the German occupation of Poland in World War II, the
statue was destroyed by the Nazis. It was reconstructed after the war, in 1958.
Since 1959, free piano recitals of On 31 May 1940, during the German occupation of Poland in World War II, the statue was destroyed by the Nazis. It was reconstructed after the war, in 1958. Since 1959, free piano recitals of Chopin's
compositions have been performed at the statue's base on summer Sunday afternoons.
(fonte: wikipedia)
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L’alfabeto di Chopin
di tizio
Assenza di esibizionismo:
«L’assenza di qualsiasi tipo di esibizionismo, la sonorità estremamente ridotta
e la totale rinuncia alla seduzione timbrica ci obbligano a una profonda revisione
dell’immagine sonora che abbiamo della sua produzione.» (Luca Chiantore)
Ballata :
«Tanto per la sua cura e l’intenso melodismo come per la ricchezza armonica
della scrittura, la collezione delle quattro ballate di Chopin conforma uno dei
cicli più rotondi, interessanti e ricchi di tutto il pianismo romantico. Per molti
melomani rappresenta inoltre la più bella e più originale delle sue creazioni.»
(Justo Romero)
Cratere nell’Oceano:
«L’opera di Chopin è profonda e violenta come un cratere nell’oceano. Con la
sua musica ha abbellito e nobilitato tutto. Nelle interiora della terra polacca ha
scoperto pietre preziose con le quali ci ha costruito un tesoro. » (Jan Paderewski)
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Do maggiore:
«Lo studio in Do maggiore è uno dei più difficili e virtuosistici della collezione.
(…) Mai prima d’allora erano stati eseguiti sulla tastiera arpeggi tanto aperti
come quelli che appaiono in questi pentagrammi. D’altra parte, la grande apertura della mano e i suoi conseguenti movimenti laterali obbligavano – e obbligano – ad abbandonare la posizione convenzionale della mano sulla tastiera…
» (Justo Romero)
Eleganza quasi sospettosa:
«Era un uomo minuto, di un’eleganza quasi sospettosa, statura poco più di un
metro e mezzo e circa 45 Kg di peso, che spendeva più in vestiti, guanti e cocchiere che in libri o musica…Tuttavia, dietro questa apparenza equanime si nascondeva uno dei maggiori rivoluzionari della storia della musica.» (Jeremy
Siepmann)
Fantasia:
«Quando appaio in scena davanti alle signore del pubblico e suono la mia Fantasia su temi polacchi, mi sento perfettamente, l’orchestra mi intende e il pubblico ci comprende entrambi.» (Chopin)
Genio e Impegno:
«Chopin potrebbe pubblicare qualsiasi cosa senza firmarla; le sue opere si riconoscono sempre. Questa osservazione include tanti elogi quanti rimproveri: gli
uni per il suo genio, gli altri per l’impegno. (…) E sebbene la sua fama sia sufficiente immortalare il suo nome nella storia moderna dell’arte, la sua opera
resta limitata allo stretto ambito della musica per pianoforte, quando, con le sue
qualità potrebbe arrivare ad una altezza più elevata, e da lì esercitare un’immensa
influenza nel progresso generale della nostra arte.» (Robert Schumann)
Ingiusto:
«…di spirito chiuso, indifferente alla letteratura e alle altre arti, si interessa solo
alla musica, all’interno della quale si mostra appassionatamente ingiusto. Non
si sforza di capire agli stranieri, malgrado siano suoi amici e ammiratori, come
Schumann e Berlioz. Odiando i prussiani e non potendo sopportare gli inglesi,
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non comprende la metà del mondo e non fa niente per comprenderla.» (Romain
Rolland)
Linguaggio personale:
«Chopin esplora e sviluppa le risorse del piano – del nuovo piano romantico –
fino ai sottili mondi espressivi che richiamano la naturalezza artistica e il suo
virtuosismo. Questa confluenza, alimentata dal successo e dal riconoscimento,
sarà la base di un linguaggio personale e assolutamente innovatore, che spianerà
il cammino al grande splendore che tanto nelle sale dei concerti quanto nelle tavole di lavoro dei più illustri compositori, sperimenterà il pianoforte. » (Justo
Romero)
Mazurca:
«Per comprendere quello che Chopin ha saputo dare alla mazurca con la sua tastiera iridata, è necessario aver visto ballare la mazurca in Polonia; solo lì si può
cogliere quello che questa danza racchiude di altezzoso, tenero, provocante.»
(Ferenc Liszt)
«…le mazurche di Chopin sono il vero passaporto della sua anima in un mondo
sociopolitico di sogni movimentati» (Wilhelm von Lenz)
Notturni:
«Il carattere libero, meditativo e incline alla fantasia del notturno si convertì
così nel veicolo ideale dell’espressione più interiorizzata e suggestiva del compositore polacco.» (Justo Romero)
Opera musicale:
«Chopin non scrisse veri e propri concerti, alla stregua di Mozart, e ancor meno
alla stregua di Beethoven. I suoi concerti sono opere per pianoforte con accompagnamento orchestrale. Le parti soliste erano scritte da un genio che maturava
rapidamente, mentre le parti orchestrali erano frutto di uno studente avvantaggiato.» (Ronald Crichton)
Purezza:
«Chopin è uno dei compositori più puri, di buon gusto che siano mai esistiti. La
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più rotonda negazione della volgarità.» (Jesús Bal y Gay)
Qualcosa di più:
«Chopin aveva già smesso di interessarsi, negli anni in cui viveva ancora a Varsavia, alla scuola pianistica di quel tempo; aspirava a qualcosa di più e si sarebbe
distinto dagli altri pianisti.» (Julian Fontana)
Rispetto:
«Nel mio appartamento troverete molte partiture, più o meno degne di me. Ripartite i manoscritti finiti tra i miei amici. I pezzi inconclusi, in nome dell’amore
che mi portate, per favore, bruciateli tutti (…), senza eccezione, perché ho troppo
rispetto del mio pubblico e non voglio che tutte le opere incomplete e che non
siano degne di lui circolino per colpa mia e sotto il mio nome.» (Fryderyk Chopin)
Sonata:
«Suono. Scrivo. Della mia Sonata per violoncello e piano gioisco e mi struggo.
La butto via in un angolo, poi la prendo di nuovo.» (Fryderyk Chopin)
Tarantella:
«La tarantella rappresenta una delle poche incursioni di Chopin nella musica
estranea al folklore polacco. (…) Nella Parigi di quei tempi imperava la moda
dell’ “italiano”…(…), il ritmo agile, appiccicoso e leggero della danza popolare
del sud Italia attirava particolare simpatia.» (Justo Romero)
Unico:
«Cura i suoi piani in modo tale che non ha mai bisogno di usare un forte violento
per produrre i contrasti desiderati. Non si sente, grazie a questo, l’assenza degli
effetti dell’orchestra che esige la scuola tedesca di piano, ma ci si lascia trascinare da lui, come se fosse un cantante poco preoccupato dall’accompagnamento
e che si abbandona ai suoi propri sentimenti. In definitiva, è unico al mondo tra
i pianisti.» (Ignaz Moscheles)
Valzer:
«I valzer di Chopin hanno, al di là del carattere tradizionale del valzer, quel mar- 14 -
chio inconfondibile che si può trovare solo nelle sue composizioni. È come se
con il suo sguardo di grande artista comtemplasse i ballerini per pensare ad altro.
Sono opere che sembrano improvvisate in piena sala da ballo.» (Robert Schumann)
Zenit:
«Il pubblico è stato sottomesso dall’ammirazione e dall’estasi; Chopin ha raggiunto il suo zenit.» (Léon Escudier)
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La solita musica
di ubaldo
Domani ho l’ultima interrogazione di musica e non ho ancora letto un rigo. Fisso
il libro chiuso davanti a me, mentre sento la tempesta che si sta preparando dentro casa.
Se fosse musica sarebbe un rullo di tamburi.
La sento cominciare dal nulla, nella voce buia di mio padre che dice: io vado.
E’ un colpo di gong che spacca il cuore.
Pausa. Anch’essa un segnale. Un segnale di guerra.
Torni tardi?
Questa è mia madre, il suo filo di voce è un lamento di flauto che piagnucola.
Forse, non so.
Una nota stonata gli fa tremare in bocca le parole, si trattiene, poi continua:
Credo…tardi, sì.
Cerca la giacca, lui non si ricorda mai dove l’ha messa quando ha fretta di andar
via. Ma mia madre non lo molla, dalla cucina gli va dietro. Come il tuono segue
il lampo. I suoi passi sono piatti che tintinnano in crescendo, tacchi come bacchette che picchiano sempre più forte. Sembra un film del terrore e aspetto il finale col fiato sospeso. Eccolo. Tre parole di lama tagliente che s’infilano nel
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corridoio:
Vai da lei?
Questo è il dolore di una corda di violino scorticata.
Vai da lei anche oggi?
Riconosco l’improvviso silenzio, è tutto un accordar di strumenti, poi inizia la
musica dal vivo. E’ musica da camera, da camera mia. L’ unica colonna sonora
che non obbedisce al tasto ON/OFF.
Non puoi trattarmi così!
Che cosa vuoi che faccia?
Ascoltami, almeno! E guardami, abbi almeno il coraggio di guardarmi negli
occhi quando ti parlo!
Sono impegni di lavoro!
Non trattarmi così, ho detto, basta!
E cosa dovrei fare?
Il ritornello invade ogni stanza, non c’è un angolo muto, dove taccia l’orchestra.
Allora sbatto la porta, è il mio avvertimento, lasciatemi-in- pace-voi- due, ma
ancora risuona invisibile la loro presenza alle mie spalle.
Non si può andare avanti così!
Che cosa vuoi da me?
Lo sai che cosa voglio da te!
Tu non mi hai mai amato! Io…
E’ colpa tua, tu, tu hai rovinato tutto!
Non si può andare avanti così!
In questo coro di note interscambiabili, canticchio il mio motivetto preferito: se
lei ama me, e lui ama me, e io li amo entrambi, è tanto difficile amarsi tra di
loro?
Si vede che nella matematica degli affetti non vale la proprietà transitiva. Non
vale per due musicisti diventati sordi a loro stessi, che nemmeno si accorgono
del male che fanno a me, semplicemente con le parole. Non si chiedono dove
sia il mio spazio, in questo spartito che è un duetto tra loro fatto a colpi di pistola.
Io lo so, è in mezzo a loro. Ormai conosco la canzone a memoria e ho imparato
a schivare i proiettili. Perciò adesso apro il libro, come fossi sorda anch’io, e mi
metto a studiare questo…Sciopen, con l’acca: uno che, alla mia età, suonava il
pianoforte da dio, pare.
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Secondo me era orfano.
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il pianoforte
di Marco
Come se una strana forza, energia nemmeno a lui del tutto chiara, ne tirasse giù i tasti facendoli suonare. Lui si trovava con le dita nel posto
giusto ed al momento giusto.
Difficile spiegare tutto ciò, questa grande magia della musica. Avrebbe
voluto raccogliere con le mani quei suoni che sfuggivano, che svanivano
nell’aria rendendola migliore.
Uno come lui, così amante delle raffinatezze non sopportava i “brutti
suoni” e le maniere grossolane.
A volte aveva l’impressione che quel pianoforte si spostasse per seguirlo.
Voltandosi di scatto più di una volta aveva percepito ciò. Nel guardarlo
sussurrava –il potere della musica…- e ridacchiava allontanandosi, pensando e ripensando alle sue composizioni, spesso costruite senza osservare regole troppo meticolose.
Dopo quei pochi passi eccolo tornare subito sui suoi per pretendere sempre di più da quel pianoforte. A volte, nelle pause, si interrogava sul futuro
della sua musica… chiudendo gli occhi immaginava suoni ovunque e
per tutti. Gente per le strade con piccoli e potenti generatori di suoni, i
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suoi suoni!
In questo futuro mentale lui non avrà presenza fisica, ma la sua essenza
(la parte più nobile e migliore) accompagnerà le persone durante le giornate, le serate, le notti insonni.
La magia non avrà fine.
Il pianoforte che ha di fronte, percependo questi concetti, si rattrista facendosi da parte. Il giovane Chopin deve indirizzare altrove le sue idee
sul futuro della musica, così facendo il pianoforte si tranquillizza e torna
quell’intesa che ha reso grande chi meritava tal grandezza.
Chopin sa bene che è facile fantasticare, le astrazioni sono alla portata
di tutti. Altra faccenda è concretizzare ciò che naviga nel grande cosmo
della nostra testa. Lui ci sta riuscendo ed il suo futuro sarà un crescendo.
Lavoro, tanto lavoro ed al bando gli inutili interrogativi sulla vita che fanno
perdere tempo all’esercizio quotidiano.
Altre volte si domanda come potrebbe manifestare la sua musica se
fosse un essere vivente privo di dita.
-Come potrei esprimermi? Di sicuro troverei il modo… se fossi un
polpo?L’assurdità di questi interrogativi fanno nuovamente preoccupare il pianoforte che, sobbalzando, lo richiama all’ordine.
Un futuro senza dita escluderebbe il povero pianoforte, relegato in un
angolo buio e polveroso.
Creature senza dita, nell’osservarlo, si domanderebbero a cosa serviva.
Il pianoforte di un Grande relegato in un museo nella sezione “Grandi
misteri”.
Esseri senza dita lo osservano raccogliendo dall’aria, grazie a lunghi filamenti, la musica di Chopin.
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Musica e letteratura
di Paola
Perché alcuni testi che sembrano poco musicali ma dopo averli ascoltati
e riascoltati diventano improvvisamente molto musicali, anzi orecchiabili?
E’ un problema politico o scientifico, cioè dipende dal nostro rifiuto preconcetto dall’accettare una musicalità nuova o dal fatto che il nostro cervello deve abituarsi ad una nuova musicalità?
Maryanne Wolf nel testo “Proust e il calamaro. Storia e scienza del cervello che legge.”,2009 Milano casa editrice “Vita e Pensiero” sostiene
che non esiste nel cervello umano alcun centro della lettura ma che il
cervello riepiloga nei pochi anni dell’infanzia il lavoro compiuto dall’umanità in millenni fino a pervenire alla lettura fluida attivando specifiche
aree cerebrali che sono diverse a seconda del tipo di lingua e quindi del
tipo di alfabeto usato.
Nello sforzo di leggere, il cervello impara ad usare determinati percorsi
neurali che si specializzano per ogni tipo di lingua.
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chopin e la musica
La velocità del riconoscimento morfologico e lessicale consente al cervello quelle pause che gli permettono di comprendere e di prevedere
quello che sta leggendo e ciò che andrà a leggere rendendo ancora più
veloce la lettura.
Alcune strutture tipiche della nostra lingua vengono riconosciute al volo
e noi abbiamo più tempo per il testo. Nello spazio temporale che si crea
si colloca il tempo necessario per valutare non solo il senso ma anche
la musicalità di un testo, la sua piacevolezza all’orecchio, la facilità con
cui le parole si accordano gradevolmente al senso delle frasi.
Da bambina sono stata folgorata dai versi di Foscolo:
“………………Celeste è questa
corrispondenza d'amorosi sensi,….”
Che suonavano e suonano ancora al mio orecchio musicali ed ariosi supremamente adatti ai cimiteri inglesi evocati nei “Sepolcri”
Molto dipende dall’ispirazione dell’artista, da ciò che Croce chiama “Poesia e non poesia”. In componimenti lunghi, molto rigidi metricamente,
l’autore raggiunge vertici di fluidità: esempio“…quali colombe dal disìo
chiamate…”(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno,Canto V) ma
altre parti sono meno musicali anche se ritmate dal verso.
Per completezza di informazione noto che la teoria e la prassi strutturalista posteriore a Croce considera l'opera presa in esame (testo letterario, creazione pittorica o filmica) come un insieme organico scomponibile
in elementi e unità, il cui valore funzionale è determinato dall'insieme dei
rapporti fra ogni singolo livello dell'opera e tutti gli altri e respinge come
parziale e fuorviante una lettura dicotomica del testo letterario.
La struttura metrica dei versi tradizionali, che lungi dal raggiungere una
forma musicale, vuol forzare le parole e i concetti in un letto di Procuste,
spesso mi suona forzata e ridicola.
Certamente la metrica non era stata codificata per rendere musicale il
verso ma per ritmarlo in modo che fosse possibile leggerlo scandendo
le parole con la lira.
“Tu ne quaesieris (scire nefas) quem mihi, quem tibi finem di dederint,
Leuconoe, ..” (Orazio, Odi I, II : Carpe diem)
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Non so se conoscete la lettura metrica ma nulla ha a che vedere (a mio
giudizio) con la tristezza accorata della caducità della vita che esprime
questo testo.
Il suono dì//dederìnt… è una allegra cascatella.
La musicalità del testo è qualcosa di diverso, di più sottile, soggetto a
mutamenti di gusto, difficile da apprezzare se ne siamo impediti od ostacolati da pregiudizi che ci impediscano di sentire davvero.
Pensiamo all’insuccesso clamoroso del “Barbiere di Siviglia”:
“Il barbiere di Siviglia” è un'opera di Gioachino Rossini su libretto di Cesare Sterbini tratto dalla commedia omonima di Beaumarchais. Prima di
lui, Giovanni Paisiello aveva messo in scena il suo Barbiere di Siviglia
nel 1782.
La prima rappresentazione ebbe luogo il 20 febbraio 1816 al Teatro Argentina a Roma e terminò fra i fischi. A provocarli, secondo i pettegolezzi
dell'epoca, sarebbero stati gli impresari di un teatro concorrente, il Teatro
Valle; secondo altri, la colpa fu di alcuni seguaci di Paisiello e della sua
versione dell'opera. Il solo annuncio che Rossini stava preparando una
nuova versione del Barbiere di Siviglia aveva suscitato non poche polemiche, anche in considerazione del fatto che all'epoca Paisiello era ancora vivo.
Il fiasco della prima fu però riscattato immediatamente dal successo delle
repliche e l'opera di Rossini finì presto per oscurare la precedente versione di Paisiello.
In questo caso un’opera letteraria ispirò il componimento musicale. Molti
sono gli esempi in tal senso anche in epoca recente. Molte composizioni
musicali sono state ispirate dalla lettura di testi e molti testi traggono
ispirazione dalla musica.
Sommamente musicale al mio orecchio è “Il grande Gatsby” che lessi
per la prima volta nella traduzione di Fernanda Pivano. Le atmosfere, la
tristezza, la solitudine e la suprema eleganza di quel mondo sono rese
dalla traduttrice in un modo che tocca il mio cuore. Dico traduttrice e non
dico Francis Scott Fitzgerald perché non so quanto quella meravigliosa
prosa sia di Fernanda Pivano e quanto sia dello scrittore americano. Non
ho una conoscenza così approfondita dell’inglese che mi consenta, men- 25 -
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tre leggo, di valutare la qualità musicale del testo, poiché riesco solo a
compitare, a coglierne il senso. L’intreccio, i personaggi, gli sviluppi del
romanzo contribuiscono alla partitura, a rafforzare l’impressione di massima fluidità ed armonia.
Gatsby è un delinquente elegante e solitario perso nel suo sogno. Davvero affascinante. E la musica è fascino.
Scrive Proust:
“…le théme musical est une véritable idée qu’exprime le compositeur et
il permet l’accés à un universe eternel, inaccessible à l’intelligence mais
bien réel : celui de l’art qui dure, contrairemente à l’amour.... » (il tema
musicale è una idea vera che esprime il compositore e che permette l’accesso a un universo eterno, inaccessibile all’intelligenza ma assolutamente reale : quello dell’arte che dura, contrariamente all’amore.)
“La piccola frase” di Vinteuil che Swann ha udito in casa della signora
Verdurin ha rivelato a Swann stesso la profondità del suo amore per
Odette. Quando gli capiterà di risentirla , dopo anni, la piccola frase gli
riconsegnerà intatto al suo cuore quell’amore vituperato e finito, cui egli
mai più attingerà. L’unico istante della sua vita in cui si era sentito vivo.
Anche nella “Sonata a Kreutzer” di Tolstoj la musica è galeotta d’amore.
Il pezzo romantico e struggente diventa per il protagonista l’occasione
della corruzione della moglie che cede alle lusinghe dell’amore romantico
proprio a causa dell’esposizione alla musica. Tolstoj scrive un racconto
noir alla Dostoevskij.
A propos: mi ha riferito una signora russa che la scrittura di Tolstoj è
molto musicale al loro orecchio mentre quella di Dostoevskij è aspra,
poco musicale, difficile come i suoi temi.
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Emozioni in scatola
di Mm
Una mano sottile e nervosa suona il campanello. Passa del tempo e la
stessa mano insiste. Ancora niente. Poi la porta si apre di scatto e un
fascio di luce esce dall'interno e illumina il prato zittendo il frinire delle
cicale.
-Sei arrivato finalmente, Davide- rimbomba allora la voce stridula di un
uomo basso e magro. -Ormai non ci credevo più: è quasi l'alba!- Eh, ancora non ci sono aerei diretti tra Tokyo e Vicarello- risponde il
proprietario della mano il cui aspetto è simile a quello dell'altro, ma più
robusto. -Dopo aver fatto più di diecimila chilometri di aereo, abbiamo
dovuto pure farci tre ore in macchina...-Non te l’ha ordinato il dottore di andare a vivere laggiù-.
L'uomo da dentro la casa sorride, soddisfatto della sua stessa battuta
e della reazione che prevede arriverà. In effetti il volto di Davide viene
attraversato da un'ombra di rabbia, di ribellione: ma è un attimo. È
notte, l'odore dei campi tagliati da poco invade le narici, pacifica i
cuori.
-Mi sarei aspettato piuttosto un “ciao, da quanto tempo” ma lasciamo
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chopin e la musica
perdere- riprende Davide, scostandosi e mostrando con un gesto una
donna che era rimasta finora nascosta dietro a lui. -Piuttosto, questa è
Satoko-.
L'uomo da dentro la casa sembra in difficoltà: stringe gli occhi, stira le
labbra, con la mano si gratta la testa. E tace. La sua figura gracile assume qualcosa di grottesco. Davide lo guarda sorpreso, sempre più irritato. I grilli riprendono a frinire.
-Satoko è mia moglie, lo sai questo?-Ah sì, è vero, ti eri sposato- risponde sollevato l'uomo. -In effetti parlavi di qualcosa del genere in una delle ultime cartoline che ci hai mandato, un cinque anni fa…
- Beh, lei è proprio mia moglie, Paolino-.
Il sorriso falsamente cordiale che si stava dispiegando sul viso dell'uomo si blocca: deglutisce e guarda Davide. Le narici fremono ma la
bocca non lascia uscire niente. Poi l'uomo si rivolge a Satoko.
-Piacere, Paolo- spiega con voce ferma. -Paolo-.
-Satoko, hajimemashite-.
-Davide! Ma questa non parla neanche l’italiano!-Visto che è giapponese. Siamo venuti da Tokyo, te lo ricordi? E comunque capisce tutto quello che diciamo: ti ha detto: piacere, Satoko-.
-Ma te ne potevi scegliere una che parlasse almeno l’italiano…- Parli proprio come l’ingegnere. Piuttosto, visto che siamo qui, possiamo entrare? Siamo un po’ stanchi del viaggio- Certo, entrate pure. E benvenuta in Italia, Lalako.
-Paolo, dove hai la testa? Satoko, si chiama Satoko. E spostati, altrimenti non riusciremo mai a entrare!-.
-Satoko, Lalako, Papako: insomma siamo lì!Davide dà una spinta al fratello che non si decide di spostarsi e entra
nella casa portando una grossa valigia. Satoko lo segue trascinandosi
uno zaino pieno fino a scoppiare: ha i capelli neri e lunghi, non sembra
stanca per il viaggio. Paolo rimane immobile a osservare questa coppia che sembra essere spuntata dal nulla. Dalla porta aperta entra
l'aria fresca della notte. Davide e Satoko ammassano i bagagli nell'angolo dell'ingresso accanto all'acquario: un posto vale l'altro, la stanza è
pulita in modo asettico e completamente vuota. Ora che hanno finito le
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cose pratiche Davide dice qualcosa a Satoko e poi si rivolge nuovamente al fratello.
-Paolo, dov’è Mamma?-In soggiorno-.
Davide non aggiunge altro, accarezza brevemente la mano di Satoko
e esce dall'ingresso per andare in soggiorno, come gli ha detto il fratello. Paolo chiude la porta lasciando fuori la campagna e i suoi rumori;
poi si mette a osservare Satoko. La donna si è accucciata davanti all'acquario e si è messa a giocare con i pesci: batte sul vetro e gli animali accorrono, sperando di poter mangiare qualcosa. Una volta che si
sono tutti riuniti in un punto, lei li osserva per qualche secondo e poi
batte altrove per ricominciare da capo. Paolo osserva da lontano,
senza partecipare, chiuso nel suo mondo e immobile.
Nel silenzio echeggia un urlo di rabbia. Satoko non capisce e guarda
Paolo che, invece, sembra sapere esattamente cosa è successo e
cosa succederà. Davide ritorna nell'ingresso e si avventa sul fratello,
prendendolo per il colletto della camicia.
-Chi è stato? È stata una tua idea, vero?-Davide, calmati- cerca di dire Paolo anche se la voce gli esce mezzo
soffocata. -Calmati-.
-Dimmi perché- interroga Davide, allentando la stretta. -Perché avete
messo le ceneri di mamma in una scatola di caramelle?- Era l'unica scatola abbastanza capiente che abbiamo trovato in questa casa-.
-Come avete potuto pensare di mettere le ceneri di mamma in una
scatola per caramelle!-urla Davide lasciando la presa e spingendolo
contro il muro. -Neanche da morta sapete rispettarla…- Lei ha chiesto di essere bruciata- riprende Paolo, massaggiandosi il
collo. -E ha disposto che le sue ceneri fossero disperse nel lago qui vicino. Non ha mica chiesto un bel vaso per le ceneri. E poi non c’era
altro in casa-.
-Cosa dici! Tu e l’ingegnere non potevate neanche sprecarvi a comprare qualcosa di meglio?-Non avevamo tempo per queste cose- spiega Paolo, pazientemente. Avevamo da lavorare, noi.- 29 -
chopin e la musica
-Non avevate tempo per cercare un vaso decente per le ceneri di
mamma a causa del lavoro! Ma siete delle bestie tu e l’ingegnere!- Perché insisti a chiamarlo ingegnere?- lo attacca a sua volta Paolo. È nostro padre, è tuo padre: non dimenticarlo!Davide non dice niente, ma ha una faccia strana. Intanto Satoko si
alza e dall'acquario si avvicina a lui, gli tocca una spalla, gli mormora
qualcosa all'orecchio.
-Ho capito- riprende allora Davide. -Lasciamo perdere e grazie per la
calorosa accoglienza, tua e dell’inge... di papà-.
Paolo fa spallucce, si sposta dalla porta, prende lo zaino di Satoko e la
valigia di Davide. Guarda i due e gli fa un cenno con la testa. Poi si
gira e li precede nel soggiorno. Davide e Satoko lo seguono silenziosi.
Il soggiorno è una stanza enorme divisa in due spazi, con televisione e
divano da una parte e un gigantesco tavolo dall'altra. Le finestre sono
chiuse, come se nessuno venisse più da tanto tempo e l'aria puzza di
stantio. La luce è un neon che mette ancora più in risalto la nudità dell'ambiente, pulitissimo e privo di ogni abbellimento. Ci sono dodici
sedie attorno al tavolo e su questo non c'è niente se non una grande
scatola di latta color fucsia con dei soldatini stampati sopra. Paolo
porta i bagagli vicino al tavolo, poi scosta due sedie e fa segno di sedersi.
-Sedetevi, vi porto subito qualcosa da mangiare - parla con un tono sostenuto. -Avrete fame, immagino-.
-Grazie, abbiamo già mangiato- risponde Davide senza sedersi mentre
Satoko sbadiglia. -Credo che sia meglio che io e Satoko andiamo a
dormire: siamo stanchi del viaggio e il fuso orario si fa sentire-.
-Almeno prendete qualcosa da bere- propone allora Paolo. -Facciamo
un brindisi di benvenuto: dopotutto sono anni che non ci vediamo-.
La donna si siede sulla sedia offerta, sbadiglia ancora e poggia la testa
sul tavolo, con gli occhi verso la scatola: la sua mano si allunga e
sfiora la scatola, l'accarezza. Il volto di Davide si avvampa, le mani si
stringono a pugno, con forza. Guarda fisso Paolo che china la testa,
preso da una leggere vergogna. Tra i due fratelli passa un silenzio carico di tensione.
-Immagino che oggi l’ingegnere abbia avuto troppo da fare per venire
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ad accoglierci- commenta infine Davide, osservando il soggiorno
vuoto. -Almeno domani verrà?-Sai bene che Papà non sopporta di perdere tempo per queste cose-.
-Vuoi dire che non verrà-.
-Lui ha ben altro da fare- insiste Paolo. -E poi erano anche divorziati,
non ti ricordi? Lui non ha mai sopportato le stupidaggini da artista
svampita di mamma . L’ha lasciata per questo e certo non le deve più
niente ora-.
-Veramente è stata lei a lasciarlo, visto che lui viveva solo per la fabbrica- lo corregge Davide. -Comunque, il fatto che fossero divorziati
non significa che non le si debba più niente: è stato con lei per più di
venti anni e nel frattempo hanno anche avuto due figli: tutto questo
dovrà pur contare qualcosa, no?Paolo non dice niente, poi si volta e da un armadietto estrae una bottiglia di amaro con tre bicchierini: poggia questi ultimi sul tavolo e li
riempie. Ne prende uno e lo accosta alla mano di Satoko che intanto
continua a fissare la scatola. Poi offre un bicchierino a Davide mentre
con l'altra tiene quello per sé. Il fratello dà una botta alla mano di Paolo
e il bicchierino cade per terra, rompendosi e riversando il suo contenuto sull'immacolato pavimento di cotto.
-Per chi ragiona come te e l’ingegnere- insiste Davide, con voce tremante. -Avere figli e convivere per venti anni sono dettagli insignificanti, vero?-Non lo sono affatto- ribatte Paolo. -Infatti io sono qui e papà ha fatto
ripulire questa casa, casa che mamma aveva ridotto in uno stato pietoso. E inoltre papà si è anche dato da fare per organizzare questa cerimonia alternativa e fasulla-.
-Ma che dici, come ti permetti di offendere...- Davide non riesce a continuare, può solo indicare nella direzione della scatola.
-Fasulla come tutto in quella donna- insiste Paolo, continuando a fissare il fratello. -Diciamocelo pure: nostra madre era una fasulla e combinaguai. È stata lei a spingerti ad andartene. Tu dovevi essere l’erede
e invece no, hai lasciato tutto per partire per il Giappone. Ma cosa speravi? Che scomparendo tutto si sarebbe risolto? Sei fuggito: hai lasciato me a prendere il tuo posto! E che strazio sentirmi dire ogni
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chopin e la musica
giorno “Se ci fosse stato Davide” “Davide di qua” “Davide di là”. Mi hai
costretto a sostituirti, e per colpa di chi? Di quella! È lei che ti ha fatto
scappare da noi, che ti ha fatto abbandonare la tua famiglia! Per cosa,
poi? Per inseguire dei sogni da adolescente, qualche fanfaluca idiota,
degna di mamma!-Lascia stare mamma, non c’entra in tutto questo- sbotta Davide quasi
gridando. –è stata colpa di papà, lui, l’ingegnere, con la sua etica sballata che mi ha reso impossibile continuare a convivere con lui-.
-Etica sballata? Senso di responsabilità vorrai dire. Quello che voi due
non avete mai avuto!- Paolo indica la scatola di caramelle e poi Davide. -Ma guardati, ti sei degnato di ritornare solo perché mamma è
morta-.
-Guarda che se continui così, forse mi viene da pensare che avrei fatto
meglio a starmene dove ero anche questa volta. Le recriminazioni a
questo punto non servono a niente. È vero, sono venuto qui solo per il
funerale di mamma: parliamo di quello-.
Paolo distoglie lo sguardo dal fratello e si porta alle labbra il bicchiere.
Rimane in silenzio più del necessario, come a seguire pensieri, ricordi.
Sorseggia un poco di amaro.
- Va bene, come vuoi- dice senza staccare il bicchiere dalle labbra. -Allora parliamo del funerale di mamma. Lei voleva che le sue ceneri fossero sparse nel lago: visto che sei tornato apposta lo farai tu. Dovrai
essere veloce e non dovrai dare nell'occhio: questo è un lago speciale,
se ti ricordi-.
-Certo, basta che mi dai una mappa e mi presti la macchina e io e Satoko...-Lasciami finire- lo interrompe Paolo che poggia il suo bicchiere sul tavolo. -Dovrai far presto anche perché in tarda mattinata io ho un appuntamento d’affari molto importante: quindi passerò a prendervi la
mattina presto e così finiremo tutto subito-.
-Vorresti dire che ci accompagnerai, allora?-Certo- sorride sornione Paolo. -Voglio proprio vedere come va a finire.
- Ma come? Pensavo che non avessi intenzione di venire. Non erano
solo baggianate quelle di mamma? Non dovevo essere io a fare tutto?- 32 -
Davide si accorge che qualcosa nella maschera di Paolo si è incrinato,
coglie una debolezza, un'emozione. E attacca.
-Paolino mio, non è necessario che tu sprechi per mamma il tuo tempo
prezioso. Credo che io e Satoko saremo in grado di spargere le ceneri
da soli. O pensi sia troppo difficile? Basterà che mi presti la macchina.
O magari possiamo prendere un taxi-.
-Da solo? Ma che cosa vuoi combinare da solo?-Ma non sono solo. Ti ho già detto che ci sarà Satoko con me-.
-Ah, sì? Ma come vuoi che ti aiuti? Finora non ha detto mezza parola
comprensibile: solo moine e sorrisi. Massì portala con te, tanto sarà
come se non esistesse-.
Satoko si alza, scossa dal tono irato dei due. Si mette dietro Davide,
poggia le sue mani sulla spalle dell'uomo. Le sue scarpe schiacciano i
frammenti del bicchiere caduto sul pavimento poco prima.
-Beh, esiste- riprende Davide. -E voglio che mia moglie, la mia donna,
mi sia vicina-.
-In ogni caso non se ne parla che andiate voi e basta: anch’io sono figlio di quella- indica la scatola. -E quindi ho il diritto di esserci. Anche
se non ero d’accordo con mamma e le sue idee strampalate-.
Davide e Satoko non si muovono, non rispondono. Paolo guarda i due,
controlla l'orologio. Improvvisamente energico, si china a raccogliere i
cocci che poi appoggia sul tavolo, accanto alla scatola. Prende quest'ultima e tenendola ben stretta va all’ingresso. Spalanca la porta e lascia entrare il fresco e la penombra della notte che sta per finire.
-Signori, si è fatta l'alba- annuncia. -Andiamo subito al lago e finiamo
al più presto questa manfrina. E così, visto che sei venuto solo per
questo, caro il mio fratellone, dopo sarai libero di scomparirtene di
nuovo!-Ma noi- prova a opporsi il fratello. -Noi vorremmo riposare. Inoltre
queste cose hanno bisogno di...-Di cosa hanno bisogno? Di niente! Su su andiamo che presto spunta
il sole-.
Paolo si avvia fuori e scompare. Satoko mormora qualcosa all'orecchio
di Davide, gli stringe la mano e i due escono insieme alla volta del fratello. Davanti alla casa c'è un fuoristrada nero con rifiniture cromate.
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chopin e la musica
Sul cofano è appoggiato Paolo. Nell'attesa ha estratto dalla tasca un
mazzo di chiavi e gioca a lanciarlo in aria con consumata abilità. La
scatola è appoggiata sul cofano: le prime luci dell'alba ne ingentiliscono il fucsia, attenuano le forme dei soldatini. Quando i due sono vicino alla macchina Paolo smette il suo gioco e si mette al volante,
sistemando la scatola accanto a sé. Davide e Satoko si siedono dietro
e la macchina parte subito appena la portiera si chiude. Nessuno dice
niente. Ai bordi della strada scorrono via i campi mezzi bruciati dalla
calura, gli alberi pieni di foglie.
La macchina corre veloce nelle strade vuote: salita, discesa, si vede il
lago. Paolo invece di andare dritto sul lungolago svolta a sinistra, procede dritto per un cento metri, all'altezza di un rudere gira a destra. Si
ritrovano in una strada secondaria, a destra campi e serre, a sinistra
porticcioli e spiagge private. La macchina si ferma davanti a un cancello sulla sinistra. Paolo esce, prende delle chiavi dalla tasca e apre il
cancello. Si volta verso gli altri due ancora in macchina.
-Forza, venite. È qui che dobbiamo spargere le ceneri- urla frenetico,
la mano stretta sulla chiave. -Si sta facendo giorno, dobbiamo sbrigarci-.
-Calmati, ormai non c'è fretta- risponde Davide che subito raggiunge il
fratello.
Come al solito quando ci sei tu non si può fare a meno di perdere
tempo, a quanto pare- esplode Paolo, aggressivo. -Prima lo facciamo
e meglio è, questa storia mi ha già stufato abbastanza. Mi sono sforzato in tutti i modi di capire te e mamma: proprio non ci riesco, è come
sbattere contro un muro. Sono sempre io a rimanere coinvolto: prima
nelle beghe tra mamma e papà, poi tra quelle tra te e papà... Non dire
niente, anche dopo che sei partito ho dovuto fare tutto da solo e
adesso pure questa storia delle ceneri di mamma. Mai nessuno che si
sia sognato di chiedere a me cosa volevo fare o almeno di lasciarmi in
pace. E adesso si fa come dico io, per una volta: sbrighiamoci!-Paolo- comincia Davide, spiazzato dallo sfogo del fratello. -Mi dispiace, veramente, ma devi capire che non sei l’unico, che ognuno è il
solo responsabili di sé stesso. Prova, per una volta soltanto, a pensare
che non ti sono per forza tutti contro, o vogliono sfruttarti...- 34 -
Intanto che i due parlano Satoko scende dalla macchina e prende la
scatola con le ceneri. Con passo tranquillo raggiunge i due e li supera,
andando verso il lago. Quello è lì, alla fine di un tappeto d’erba ben curato tagliato in due da un sentiero. Sulla destra e sulla sinistra ci sono
file compatte di barche a vela per due o tre persone, gusci di legno in
attesa di essere usati. Satoko fa pochi passi seguendo il sentiero, poi
si ferma e si gira verso i due, tendendo loro la scatola. Davide se ne
accorge, smette di parlare al fratello che tanto non lo ascolta e raggiunge la donna. Paolo tentenna un attimo, poi fa lo stesso. I tre si riuniscono e la donna dà la scatola a Davide che subito si avvia verso il
lago. Gli altri lo seguono leggermente distanziati, in fila. Alla fine del
prato si apre una piccola spiaggia da cui parte un pontile in legno, dall'aspetto pericolante. Davide si ferma sulla riva, si ferma, si volta per
vedere dove sono gli altri due.
-Ti va bene qui?- gli chiede aspro Paolo appena lo raggiunge. -Dai cominciamo!-Mah, non so… Adesso che sono qui, io…-Adesso che sono qui cosa?- Niente, niente-.
Davide si inginocchia a pelo dell’acqua, la fissa distratto, in mano tiene
la scatola senza accorgersi che è ancora chiusa. Satoko gli si accosta
e, sorridendo, toglie il coperchio di latta. Davide la guarda, risponde al
sorriso e poi osserva la cenere. Quasi indeciso vi infila la mano, la ritrae vuota. Intanto dalle loro spalle si alza un vento leggero, l'acqua
del lago si increspa leggermente. Quella poca cenere che si era attaccata alle dita di Davide vola via verso l'acqua, si appoggia sulla superficie del lago, affonda.
-Forza, mi sembra che abbiamo aspettato abbastanza- lo incalza
Paolo, impaziente. -Non devo mica dirtelo io cosa devi fare, no?-Mi dai due minuti? Non ce la faccio così-.
-Lo sapevo, dovevo immaginarlo, cosa mai sei stato capace di fare tu,
eh?- lo attacca, strappandogli dalle mani la scatola e facendo cadere
un po' di cenere sulla spiaggia. -Ero sicuro, sicuro, che sarebbe andata a finire così con te! Mi tocca anche spargere le ceneri adesso!A grandi passi Paolo sale sul pontile portandosi qualche metro dentro il
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chopin e la musica
lago. Satoko prende per mano Davide, ancora scosso, e lo accompagna a qualche passo dal fratello. Poi, mentre Paolo comincia a infilare
la mano con rabbia, a estrarre dei pugni di cenere e a gettarla nell'acqua, la donna comincia a cantare.
Hi to
koo wa
ka na shi ki
Il sole è ormai alto, alcuni uccelli giocano sopra il lago, lontani. Paolo si
interrompe, guarda Satoko, poi si volta e ricomincia.
Motono Narayama ni motohori kitsutsu taenga kariki Il verde degli alberi si specchia sull'acqua, come il pontile: acqua limpida, appena sporcata dalla cenere. Paolo smette di gettare la cenere
nell'acqua, smette di muovere il suo braccio, smette.
Inishie mo tsuma ni koitsutsu koeshi too-.
Ricomincia a soffiare leggero il vento, l'acqua si increspa. Davide sta
osservando la scena ammutolito, per un attimo sembra non rendersi
conto di cosa stia succedendo, poi capisce e va accanto a Paolo. Le
mani dei fratelli si incontrano nella scatola e insieme raccolgono la cenere rimasta.
Nara yama no michi ni
namida toto shinu -.
L'aria è frizzante, delle nuvole si specchiano nel lago. I due fratelli riprendono insieme a buttare la cenere, Satoko tace per un attimo e poi
riprende a cantare dall’inizio.
Hi to
koo wa
ka na shi ki
Inishie mo tsuma ni koitsutsu koeshi too
Motono Narayama ni motohori kitsutsu taenga kariki
Nara yama no michi ni namida toto shinu
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Intervista a Giovanna Marini
di m.m.
D) Il suo nome è legato dagli anni ’70 in poi alla riscoperta delle tradizioni
della musica popolare italiana in questo ha fatto molti ruoli ed è stata riconosciuta ed è stata nominata commendatore grazie a questo e ha ricoperto più ruoli, è stata interprete, musicista, compositrice appunto,
etnomusicologa, professoressa. Ma chi è Giovanna Marini?
M) Io mi sento musicista proprio. Musicista che ha scoperto che nel canto
contadino di tradizioni orali c’è una verità profonda, una cultura di secoli
e quindi per me è importante.
D) Domanda banale: la musica popolare è viva?
M) Si, si ,si. È una panzana quella di dire stà morendo: non muore niente.
Si trasforma bisogna anche registrare le trasformazioni.
D) Per cui anche se queste trasformazioni possono essere un tradimento
poi non lo sono perché la musica popolare evolve?
M) Non esiste il tradimento, qui il termine tradimento non si adegua. Non
è una questione di tradimento, è una questione di cambio di vita. Questi
pezzi sono nati secoli fa in una vita di tipo agreste, pastorale prima e
contadina dopo. Adesso queste due vite sono molto ridotte. Sono la porzione del 10% di quello che prima era la totalità d’Italia. E quindi il canto
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chopin e la musica
che di per di sé proveniva da quella qualità di vita si è trasformato, poi si
è accelerato, hanno tolto gli adattamenti. Hanno, hanno portato delle
modifiche che vanno registrate e allo stesso tempo per noi il piacere è
di cantare bene all’antica perché è più simile a quella antica, perché ha
più incisi di diversità culturale rispetto alla nostra cultura classica e di
consumo.
D) Lei adesso ha detto piacere, che poi è una parola, ad esempio spesso
anche lei parlava di godere che poi nella musica come una cosa di importante.
M) Si. Ma la musica è un complemento molto importante, anzi direi che
certe volte non è neanche un complemento è proprio una ragione di vita,
perchè riempie la vita, riempie la giornata. Ecco vediamo un po’, riempie
la giornata, la vita è fatta di giornate e trasforma queste giornate perché
io mi occupo di musica dalla mattina alla sera e ne sono felice e quindi
mi sembra di entrare in un mondo più bello.
D) ma una cosa che mi aveva colpito della musica popolare è che
spesso c’è come l’impressione che sia fatta più per chi la fa che per chi
la vede, per esempio anche nel cantare.
M) Parecchio, è molto così, si, si. I cantori, soprattutto se noi guardiamo
i cantori delle confraternite, i cantori che hanno un’abilità nel cantare,
una preparazione notevole e il piacere è cantare fra di loro, cantare. Se
poi qualcuno sta a sentire è meglio, ma il piacere è nel cantare. Anche
io, con i miei allievi: quando stiamo insieme e facciamo dei concerti con
tutto il gruppo ogni tanto sento che il gruppo prova piacere per il suo
stesso cantare e non pensa più al pubblico proprio perché ci stiamo divertendo. E quello è il momento più alto, se si può dire una parola così
importante. È una materia che a me pare molto importante però potrebbe
anche sembrare una materia insomma, non occorrono molti soldi per
questa materia. Sembra una materia di poca importanza in un mondo
come quello di oggi, dove il valore economico è tutto.
D) La musica popolare spesso è vista come una cosa anarchica, cioè
che è molto, come dire, molto spontanea eccetera. Questo però è di solito perche è di tradizioni orali. Le tradizioni orali sono quelle più rigide,
sono quelle che si tramandano e quindi, ma è così anche per la musica
popolare contadina?
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chopin e la musica
M) Certamente ci sono, guarda uno si stupisce di quante regole trova
nella musica popolare. Regole musicali che poi sono state assorbite
anche dalla musica classica. Quante regole e, come dicevi, rigide. È vero
non c’è niente di spontaneo nella musica, se non l’invenzione del cantore. Cioè il cantore, ci sono degli schemi e delle strutture di canto. Il
cantore su quelle strutture si muove e osservandole bene le rende reali
e inventa i testi, di solito quelli più riusciti vengono tramandati di bocca
in bocca e rimangono e poi diventano canti.
D) Forse poi vanno bene anche senza volerlo?
M) Senza volerlo, si! Ed è quindi molto osservante delle regole perché,
se non è osservante delle regole, primo questo canto spesso è rituale e
quindi la persona che lo ha chiesto ha paura che non compia le sue funzioni.
D) Il canto è un’arte, spesso si dice che un’arte non può essere insegnata, è qualcosa che nasce da dentro.
M) Certo, c’è una quinta marcia che viene innestata solo se uno ha talento. Qesto è sicuro.
D) Però
M) Come in tutte le arti. Tutti possono disegnare e dipingere, però un
quadro che si lascia guardare non si sa perché ha un quid che quell’altro
non ha.
D) Vorrei chiederle una cosa. Negli anni ’70 lei ha frequentato Pasolini.
Come lo ricorda?
M) Pasolini era una persona culturalmente indiscutibile perché quando
parlava era, era un’espressione di cultura straordinaria. Fine, intelligente
e sempre, sempre capace di interessare, non diceva, non buttava mai
le parole, non diceva mai cose a vento, era sempre concentrato, non
perdeva il senso anchedell’attenzione dei ragazzi perché era un buon
insegnante, era un buonissimo insegnante, e ancora sui muri della casa
Miniuta di Udine ci stanno gli scritti di Pasolini, scritti apposta per i ragazzi, lui li incitava. È stato un grandissimo insegnante, poi è stato un
grandissimo poeta, poi è stato un grandissimo cineasta, è stato un uomo
di cultura completo. E un profondo, come posso dire, abbattitore di luoghi
comuni. Lui ogni cosa la rovesciava da tutte le parti. Riusciva in qualsiasi
frase insomma, anche nell’espressione, nella sintassi. Non si lasciava
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mai andare al conforme era sempre in giro qui al Testaccio. Quindi uno,
in presenza sua, sentiva di dover riflettere quando parlava. di non dover
dire ……………….. quella frase ……….. non ce l’avrebbe fatta
D) Quello che ha rimproverato, aspramente.
M) Si, certo. Era una persona con cui non puoi parlare adesso …………
…………… era un tipo trendy ……………. non so è una parola che si
sente dire adesso. Ci sono dei …..…………
…………………. Quella
che ……………….
Non voglio fare la purista, per carità, mi accanisco contro gli slogan non
si può parlare di solo comprensivo. perchè noi in questo momento stiamo
in uno stato di depressione civile e sociale come mai ne abbiamo avute,
di più basso, di più bassa lega, per noi dovuto proprio agli slogan che ci
hanno passato per trenta anni di televisione non fatta, dove nessuno
parla bene ma tutti si adeguano ad andare sempre più giù, a fare sempre
più quello che si pensa che possa far vendere di più e questa.è una pessima linea da seguire.
D) Infatti vorrei chiederle cosa pensa che penserebbe se Pasolini vivesse oggi?
M) Oh, Pasolini non avrebbe, si sarebbe ucciso molto prima ma credo
che quando lui è andato via, essendo molto geniale aveva già previsto
quello che sarebbe successo. Lui si è ………… non ha badato più di
tanto alla sua intimità perché non ce la faceva più, era veramente …..,
lui già allora combatteva contro questi slogan, questa perversione, perché poi la televisione può essere usata benissimo, ma la televisione
come ce l’abbiamo adesso, in mano a un dittatore di tutte le reti, di tutti
i mass media, dove veramente l’unico obiettivo è pensare solo a come
vendere, la parola non ha più, è strano sono riusciti a privare la parola
dal proprio contenuto, la parola non dice più niente. La parola può essere
contraddetta l’indomani, non esiste. La parola serve solo per abbindolare
ma non deve servire ad altri, è terribile, è terribile, Ci ha tolto la parola.
D) Come la neolingua del 1984?
M) Eh, si!
D) Ultima domanda che le volevo fare è se uno volesse cominciare
adesso questo cammino per la musica popolare, per la musica in generale oggi. Lei che messaggio vorrebbe dargli, vista la sua esperienza.
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Per esempio c’è lei che fa il coro piccolo a Testaccio, fatto studiato musica. Consigli, che ne so?
M) Perché devo dare consigli?
D) No, cosa, a cosa dare importanza in questo cammino musicale?
M) Ecco, bisogna sempre dare importanza all’attinenza. Dicevo che ci
hanno tolto le parole. La parola è una bella cosa, tu ti avvicini ad un tavolo e indichi un tavolo, adesso uno dice una cosa e non indica più
niente. È terribile, indica un insieme, un groviglio di cose che ognuno
può adattare a modo suo. Si è fatta una rivoluzione nell’uso della parola
che ci penalizza tutti quanti, quindi di riportarci tutti a un’attinenza totale
con quello che si fa. Se vogliono cantare, benissimo, che cantino e che
sappiano perché cantano in quel modo. Che sappiano perché Orlando
Di Lasso ha scritto quel poema, perché l’ha messo in musica, perché
Palestrina ha scritto in quel modo. Che vadano ad esaminare gli accordi,
come sono fatti, che non si lascino, non bevano le cose, come si dice,
come un bambino che ………………….., che indaghino su quello che
fanno, proprio che esigano che venga detto quello che si fa e che quello
che si fa abbia un senso, perché purtroppo oggi se non si visgila molto
si fanno cose completamente senza senso, si vivono cose senza senso.
) Dire altro, usare la parola altro in questo senso insomma, di tutte, ne
fanno di tutti i colori, non si tratta la vita, non si può arginare il disastro,
che poi è solo la sete di denaro che provoca un disastro spaventoso.
Non c’è altro valore ormai allora è certo si massacra a destra e a sinistra.
Quindi non bisogna lasciarsi massacrare dal dio denaro, saperlo usare.
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poesia
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La musica del mare
di Cinzia Baldini
È l’alba di un gelido mattino invernale, con il fiato che si condensa in
bianche nuvole e infagottata in un caldo giaccone impermeabile arrivo
alla stazione. Sono ferma da qualche minuto sulla banchina in attesa
del treno che mi porterà al lavoro quando all’improvviso il suono di una
musica malinconica e struggente mi risuona nelle orecchie. Mi guardo
attorno incuriosita ricercando la provenienza di quelle note. Con stupore mi accorgo che gli altoparlanti per le comunicazioni di servizio del
personale ferroviario tacciono e a quell’ora antidiluviana e con quel
freddo che si insinua infidamente nelle ossa non c’è alcun suonatore
ambulante. Né, tra i pendolari che, come me, attendono insonnoliti, ce
n’è alcuno che abbia una radio portatile. Sorrido pensando che quella
inconsueta melodia sia nata dalla mia immaginazione. Poi mentre i fari
rotondi del treno in arrivo mi occhieggiano in lontananza, la musica riprende con un ritmo serrato. Questa volta però, essa è più languida,
quasi sensuale e un desiderio improvviso si fa strada nella mia mente.
Volto le spalle alle persone ormai in procinto di salire sul treno ed ai
loro sguardi incuriositi. Con andatura decisa imbocco l’uscita, il mare
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mi sta lanciando il suo richiamo…
Folate gelide di tramontana accompagnano i miei passi, quasi volessero farmi desistere da quell’insolita passeggiata mattutina.
Ma più mi avvicino al lido e più il richiamo delle onde frustate implacabilmente dal vento mi affascina e mi attira verso la spiaggia deserta. In
silenzio assisto al risveglio del mare in una fredda alba invernale mentre penso stregata, “Ecco… anch’io, come Ulisse, sto obbedendo al richiamo delle dolci note del canto delle sirene”.
Mi siedo e, incurante degli spruzzi salmastri e della sabbia umida, lascio che il vento si insinui tra i capelli. Respiro l’odore aspro e voluttuoso, inebriante e seducente mentre, di nuovo, si innalza, puro, quel
suono ancestrale.
La musica si fa sempre più intensa. È un crescendo di note dolci e serene che di colpo si abbassano divenendo amare e dolenti… Quindi riprendono allegre e lentamente si levano squillanti ed argentine verso il
cielo striato di rosa, oro ed arancio. Infine, flautate, ridiscendono a lambire quell’umore liquido, ribollente di vita.
È un’armonia che dai gorghi impetuosi tracima nell’anima e intangibile
ma chiara e potente vibra sulla pelle ed echeggia nelle mie orecchie.
Sono le note della musica del mare, composte dalla sua essenza selvaggia. E mentre la mente è cullata da quella cadenza infinita, quel
concentrato naturale di forza e passione mi sommerge con ondate
spumose e gorgoglianti. Essa mi avvinghia, trascinandomi al ritmo festoso della marea, nell’intenso azzurro di remote profondità.
Incredula mi ritrovo a condividere la mia anima con lo spirito di quella
sconfinata distesa sempre più travolgente e dilagante e con profonda
emozione raccolgo i suoi pensieri nei miei. Sento il mare sospirare e in
un bisbiglio emozionato narrarmi la sua vita immortale.
Mi parla di quando, come limpida rugiada tra l’odore di muschio e di
funghi, scivolava su dolci fronde silvestri. O di come, trasformato in
pioggia battente, nel cupo frastuono di un temporale estivo, aveva dissetato l’arsura della terra e si era innamorato di un fulgido raggio di
sole. Da quel lontano amore, ne era scaturito un vivido arcobaleno che
a volte tornava a specchiarsi sulla sua superficie.
Ricorda di essere stato, in una notte di luna argentata, l’umido calore
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di un bacio sfuggito, tra gemiti e sospiri, dalle labbra appassionate di
due furtivi amanti. E quando, da occhi ingenui, timida lacrima lucente,
era scivolata sulle gote rosee e paffute del volto di un bimbo che, piangente, cercava il nettare dolcissimo del seno materno.
Ed io abbracciata alle sue onde altalenanti sono divenuta rivo, fiume,
lago e oceano scambiando con lui la mia essenza mortale di quando
ero il pescatore affannato a raccogliere le reti gettate in acque avare e
impietose mentre i flutti ribollenti e schiumanti bagnavano il mio corpo
e piegavano le mie spalle.
O mentre ero il marinaio che intrigato dai fulvi bagliori di un tramonto
sul mare, fissando l’orizzonte lontano, cercavo di affogarvi la struggente nostalgia.
Oppure di quando, guardiano del faro, accendevo l’amico fascio di
luce, indicatore della via per quei viandanti che spersi in meandri paludosi e immobili, cercavano la speranza in una notte senza luna.
Il sole è ormai alto sull’orizzonte quando il vento, esaurita la sua furia,
cala all’istante trasformando in stanchi refoli le sue rabbiose sferzate.
Tutto si cheta, solo nell’aria rimane sospeso l’eco di una musica carica
di travolgente malia…
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Dalla storia della musica popolare
di Peter Patti
Molti forse già sono a conoscenza del fatto che David Jones mutò il
suo nome in „David Bowie“ per non essere confuso con il David Jones
dei Monkees. O che Andy Warhol, dopo essere stato quasi ucciso
dalla comparsa di uno dei suoi film, utilizzava un sosia per le sue „apparizioni“ in pubblico. Ma quanti sapevano che Stalin odiava ogni
forma di musica afroamericana e si dilettava con il folk più gretto e disimpegnato? O che il vero nome di John Denver era John Deutschendorf? Oppure, ancora, che in certe situazioni Iggy Pop si spalmava il
corpo con burro di arachidi? E che cosa c’entra Leadbelly con Kafka e
Hitler?
Il libro di Erwin Einzinger (è lo stesso autore a chiamarlo „romanzo“)
contiene queste e numerose altre informazioni. E‘ una serie di aneddoti sul pop, sul jazz e sul mondo in generale. Ispirato forse vagamente da prodotti consimili di marca anglosassone (vedi Nick Hornby),
Einzinger riempie le sue 527 pagine con notizie, ritagli di giornali e
considerazioni personali („Ma perché i pensieri devono passare attraverso canali di controllo che sono provvisti di numerosi tentacoli e
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sporgenze?“). Il tutto riporta in mente i collages che tappezzano le pareti dell’appartamento di Friederike Mayröcker, austriaca sua connazionale, autrice di Viaggio attraverso la notte, Fogli magici e Della vita le
zampe.
L’esperimento è interessante, anche se non nuovo: si tratta di „spegnere“ i centri di controllo e lasciare fluire liberamente tutte le possibili
associazioni e immagini, basandoci su un caotico archivio che altrimenti non riusciremmo mai a svuotare. Il risultato: oltre 500 pagine di
gossip e notizie „musicali“ che il lettore apprezzerà solo man mano che
si inoltra nella selva.
(Quando il nonsense viene più volte ripetuto, esso acquista significato.)
No, questo libro un romanzo non lo è (non secondo l‘accezione enunciata da Thomas Mann, almeno); è un processo di scrittura che ricalca
il medesimo principio seguito dai surrealisti in poesia e nella pittura:
concatenare elementi apparentemente slegati e incompatibili tra di
loro. Esempio: a un certo punto Einzinger comincia a parlare del padre
dell‘aeronautica sovietica Tupolew, da lì passa a raccontare di un congresso „sul dado Knorr“ tenutosi in Portogallo, vira in modo naturale
sul Fado e – grazie alla parola-chiave „malinconia“ – a una fossa stradale sporca di rifiuti e di escrementi; il cammino prosegue quindi attraverso la Cina, ci vengono mostrati poi i festeggiamenti del Capodanno
2000, ci sentiamo raccontare qualcosa circa le videocamere giapponesi e apprendiamo di seguito come la pensa lo scrittore a proposito
dei soprabiti troppo leggeri.
E la musica?
Beh, abbiamo già accennato del Fado... e qualcos’altro lo troverete
nelle numerose note a piè di pagina!
Aus der Geschichte der Unterhaltungsmusik segna il ritorno di Erwin
Einzinger dopo un silenzio di circa dieci anni, e il significato di questa
sua operazione letteraria viene in parte spiegata da una frase che
sembra buttata lì in un paragrafo poco appariscente: "Così tanta vita,
così tante combinazioni in uno spazio così troppo ristretto!"
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Il libro è senz’altro divertente, addirittura istruttivo (in senso lato); ma
non è assolutamente un romanzo.
In fondo al volume c’è un utile Registro dei Nomi e, consultandolo,
scopriamo che Van Morrison è il musicista che l‘autore cita più spesso
dopo Elvis Presley.
In Austria, Germania e Svizzera sono scoppiate infuocate discussioni
se catalogare questo output („un capolavoro!“ gridano in tanti) alla
voce „Postmodernismo“, „Tradizione moderna“ o „Letteratura pop“.
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La musica e il nulla
di Claudio Zago
Viaggi sporchi questi erano i nuovi modi di viaggiare dentro lo spazio
cerebrale dello spazio, Milioni di piccole, e nello stesso tempo grandi
astronavi erano partite l’anno era il 1955 il 13 di ottobre Hitler aveva
vinto la sua guerra il Mondo come lo conosciamo noi era scomparso
da un pezzo.
Non solo barbarie ma un ritorno alle origini si era sviluppato dopo la
caduta dell’Inghilterra con tutti gli alleati. Americani in testa.
L’Europa era un’immensa e sterile pianura radioattiva, la forza della
pazzia aveva fatto il suo corso.
Le barbari civiltà avevano fatto presa nella popolazione.
Sotto le montagne americane le ricerche verso l’ultimo viaggio si erano
accelerate.
Piccoli siluri di grigio metallo erano stati lanciati verso il nulla pochi
eletti avevano preso parte alle selezioni, uno di questi stava fumando.
La sua barba da tagliare oramai da diversi giorni diceva che era depresso. Aveva gli occhi rossi come fosse l’interprete disperato di un
vecchio film. Uno di quelli che ogni tanto vedeva nel video inserito
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nella parete autorigenerante.
Era solo, maledettamente solo.
Fino a pochi giorni prima, aveva vissuto assieme agli altri. Vicini a lui
una bottiglia di alcolico duplicato di un duplicato, di un duplicato… terrestre un whisky tal Jack Daniel’s.
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Era ottimo, come tutti i duplicati che si ottenevano. Avevano lavorato
bene quelli della sezione chimica, peccato, che non ci fossero più.
Loro erano stati i primi a morire dopo circa sette anni dall’ultimo risveglio, quello definitivo. Di quel viaggio negli Universi alla ricerca disperata di un qualche cosa che avesse dato un senso alla vita
dell’umanità, rimaneva ben poco. Praticamente si era già chiuso un
giorno lontanissimo, quando partirono. Quel giorno che veniva ricordato da loro, l’ultimo equipaggio quando si raccontavano le leggende
della Terra che si stava esaurendo soffocata dai suoi gas.
Era stata l’ultima missione voluta e possibile da tutti gli scienziati. Trovare il senso dell’esistenza.
Per questo partirono…per questo si svegliarono, e del senso dell’esistenza che non c’era, in quella zona di ricerca dell’universo non trovarono nulla.
Bill pensò che era quello che ci meritavamo, quello che avrebbe portato l’astronave del tempo “Metropolis” esattamente a quello che gli
scienziati terrestri oramai morti e sepolti assieme alla loro civiltà, avevano predetto.
Quello che dovevano trovare era una zona , l’ultima zona dell’universo
che avevano chiamato “la città delle anime” Ma di tutto questo non
gliene sbatteva proprio più nulla .
Era solamente solo a migliaia o forse milioni di anni luce dalla Terra,
stava bevendo un altro whisky il bicchiere era ancora vuoto, stava
ascoltando la musica di un vecchio complesso che migliaia, decine di
migliaia d’anni prima di adesso aveva suonato sulla Terra, i mitici Pink
Floyd, un brano stava riempendo la sala dell’astronave Metropolis, e
Bill l’ultimo umano aveva deciso che non esisteva l’anima…non l’avevano trovata neanche nella zona dove doveva esserci.
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Dentro se stesso.
Si alzò si fece una doccia, si rase la barba, adesso gli era chiaro cosa
fare.
Si avviò verso l’uscita, entrò nella camera di decompressione disattivò
i controlli spinse senza rimpianti la leva termica che apriva verso lo
Spazio esterno nero come il nulla.
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Mori in meno di un istante…le porte aperte davano un fascio di luce
gelata verso lo Spazio scuro… soltanto una musica e delle voci melodiche uscivano dalla porta a pressione stagna. Peccato si era un peccato. Nessuno più avrebbe sentito i Pink Floyd che stavano suonando
come sempre magnificamente, il brano Time.
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Musica e neorealismo: il caso di
Alessandro Cicognini
di Carlo Santulli
Roma 1951: Ferdinando Esposito, insieme col suo socio Amilcare, fintosi guida autorizzata del Foro Romano, truffa un turista americano,
Mister Locuzzo, vendendogli una moneta falsa del tempo di Claudio
Imperatore, una patacca insomma. Locuzzo lo riconosce ad una distribuzione di pacchi dono al Teatro Quirino: Esposito scappa e Locuzzo,
approfittando della presenza sul palco del brigadiere Lorenzo Bottoni,
parte al suo inseguimento. Esposito salta su un taxi e si fa portare fino
all'Acqua Acetosa per sfuggire all'inseguimento dell'americano e della
guardia.
Così inizia, ma sono sicuro che l'avete riconosciuto, “Guardie e ladri”
un film di Steno e Mario Monicelli, con Totò (Ferdinando Esposito),
Aldo Fabrizi (Lorenzo Bottoni), William Tubbs (Mister Locuzzo), Mario
Castellani (il tassista) e...fermiamoci qui, perché questi quattro attori
sono i protagonisti dell'inseguimento, che si svolge nella campagna a
Nord di Roma. Non sono assolutamente sicuro che sia stato girato veramente all'Acqua Acetosa, perché la ferrovia a doppio binario che si
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vede sullo sfondo farebbe piuttosto pensare all'Acquedotto Claudio, a
Sud di Roma, mentre la ferrovia della Roma Nord che passa all'Acqua
Acetosa era fino al '58 a binario unico, ed in ogni modo non aveva i
tralicci pieni che si vedono nella ferrovia inquadrata nel film.
Dettagli scenici a parte, la scena dell'inseguimento è resa molto efficace drammaticamente dall'accompagnamento musicale che intreccia
molto abilmente un motivo concitato ascendente con una larga armonia discendente. Qui, sono sicuro che pochi si ricorderanno il nome del
compositore, per quanto si tratti invece di un musicista classico ed orchestratore estremamente preparato e molto attivo nel cinema tra il
1935 ed il 1962, allievo di Pietro Mascagni (!). Nel suo curriculum, ci
sono tantissime colonne sonore, tra cui vare per i maggiori film del nostro dopoguerra: molti di Vittorio De Sica, tra cui “Sciuscià”, “Miracolo a
Milano”, “Umberto D”, Ladri di biciclette”, “Stazione Termini”, “L'oro di
Napoli; “Don Camillo“ ed alcuni altri del ciclo guareschiano.
Il nome è Alessandro Cicognini ed è un nome che appartiene di diritto
alla storia del nostro cinema ed incidentalmente della nostra letteratura
(per esempio, “L'oro di Napoli” viene dai racconti di Giuseppe Marotta,
come ovviamente la saga di Don Camillo viene dai racconti di “Mondo
piccolo” di Giovanni Guareschi, e dietro De Sica ci sono le sceneggiature, ed i romanzi, di Cesare Zavattini).
Inoltre, Cicognini aveva già firmato colonne sonore di film importanti
negli ultimi anni della dittatura lo splendido “Quattro passi tra le nuvole”
di Alessandro Blasetti (1942), con Gino Cervi ed Adriana Benetti (ricorderete forse la storia: un viaggiatore di commercio sposato incontra
una ragazza, sedotta ed abbandonata, e questa gli chiede di fingersi
suo marito, di fronte ai suoi genitori, per qualche giorno: la finzione
però non regge, ma la ragazza viene perdonata dai genitori, grazie all'intercessione del generoso viaggiatore), l'imitatissimo “Grandi magazzini” di Mario Camerini (1939), con Vittorio De Sica ed una delle più
affascinanti dive del ventennio (anche se ovviamente si accettano discussioni), Assia Noris, e “Una romantica avventura”, sempre di Ca- -56
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merini, da un racconto di Thomas Hardy, “The loves of Margery”, con
la coppia Assia Noris-Gino Cervi.
Un altro film di Totò che deve il successo in parte all'efficace colonna
sonora di Cicognini è “La banda degli onesti”: ricorderete forse l'accompagnamento preoccupato ed un po' sommesso di Totò che va alla
tabaccheria per spendere la prima banconota da diecimila falsificata
(che poi, si verrà a sapere, non aveva in realtà osato dare al negoziante).
Ecco, a parte le colonne sonore, della vita di Alessandro Cicognini non
si sa molto: pescarese, nato nel 1906, studiò al conservatorio di Pesaro (vedi il riferimento a Mascagni) e morì quasi novantenne nel
1995. Però è citato anche nella Treccani, il che per un autore di colonne sonore dell'era pre-Morricone è abbastanza, direi.
Franco Mannino, compositore e scrittore palermitano (www.francomannino.com), autore tra l'altro di un'opera moderna di notevole successo, “Vivì” (1957), ebbe a dire di Cicognini, a confermare che il suo
ruolo nel neorealismo fu tutt'altro che marginale: “Il caso di Cicognini è
interessante, perché si crea uno iato fra il suo fluente melodismo e il
carattere disadorno dei film di De Sica e Zavattini, c'è da chiedersi
quanto la non-corrispondenza sia voluta, certo non può essere del
tutto inconsapevole, per cui la facile vena musicale viene utilizzata per
addolcire, o meglio, per rendere più rotonde le immagini”.
Questo ricorda in piccolo il parallelismo Nino Rota-Federico Fellini, o
Sergio Leone-Ennio Morricone, e giustifica in certo senso questo breve
ricordo della figura, finora molto in ombra, del “fluente melodista” Cicognini.
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Il bacio di Kate Chopin
di Tania Ianni
Era ancora abbastanza chiaro all’esterno, ma dentro con le tende tirate ed il fuoco che covando sotto la cenere inviava un bagliore fioco
ed indistinto, la stanza era piena di ombre profonde.
Brantain sedeva in una di queste ombre; lo aveva superato e a lui ciò
non importava. L’oscurità gli prestava il coraggio di tenere gli occhi
puntati tanto ardentemente come piaceva a lui sulla ragazza che era
seduta alla luce del fuoco.
Lei era molto bella, con un certo colorito fine e ricco che appartiene al
tipo bruno in salute.
Lei era abbastanza composta, mentre lei pigramente accarezzava la
pelliccia satinata del gatto che giaceva arricciato nel suo grembo, e occasionalmente lei inviava una lenta occhiata all’ombra in cui sedeva il
suo compagno. Stavano parlando a bassa voce, di cose indifferenti
che chiaramente non erano le cose che occupavano i loro pensieri. Lei
sapeva che lui la amava- un tipo franco che protestava senza abbastanza astuzia per nascondere i suoi sentimenti, e alcun desiderio di
farlo. Per le due settimane precedenti lui aveva cercato la sua compa- -59
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gnia ansiosamente e continuamente. Lei stava con sicurezza aspettando che lui si dichiarasse e lei intendeva accettarlo.
Il piuttosto insignificante e non attraente Brantain era enormemente
ricco; a lei piaceva e richiedeva all’entourage quale ricchezza potesse
darle.
Durante una delle pause tra la loro conversazione dell’ ultimo te, e la
successiva accoglienza la porta si aprì e entrò un giovane uomo che
Brantain conosceva abbastanza bene. La ragazza voltò il viso verso di
lui. Una falcata o due lo condussero al fianco di lei, e curvandosi sulla
sua sedia- - prima che lei potesse sospettare la sua intenzione, perché
lei non capì che lui non aveva visto il suo
visitatore—lui le premette un bacio ardente, persistente sulle labbra.
Brantain lentamente emerse; altrettanto fece la ragazza, ma rapidamente, ed il nuovo arrivato era ritto tra di loro, un poco di divertimento
e qualche sfida che lottavano con la confusione sul suo volto.
“ Credo”, balbettò Brantain, “ Vedo che sono rimasto troppo a lungo. Io
–Io non avevo idea- cioè, devo augurarvi arrivederci”. Stava stringendo
il suo cappello con entrambe le mani, e probabilmente non percepiva
che lei stava tendendo la mano verso di lui, la sua presenza di spirito
non la aveva completamente abbandonata; ,ma lei non poté aver fiducia in se stessa per parlare.
“ Appendetemi se lo vedessi seduto lì, Nattie! So che è molto difficile
per voi. Ma spero che mi perdonerete questa—questa vera prima
pausa. Perché, quale è il problema?”
“ Non toccatemi; non venite vicino a me” ricambiò arrabbiata “ Cosa significa entrare in casa senza suonare?”
“ Sono entrato con vostro fratello, come faccio spesso”, rispose freddamente, come auto giustificazione “ Siamo entrati dalla porta laterale.
Lui è salito di sopra ed io sono entrato qui sperando di trovarvi .La
spiegazione è abbastanza semplice e dovrebbe soddisfarvi che la disavventura era inevitabile. Ma di che mi perdonate, Nathalie”, egli implorò, ammorbidendosi.
“ Perdonarvi! Non sapete di cosa state parlando. Fatemi passare. Dipende da – un affare se mai vi perdonerò.”
In quel successivo ricevimento in cui lei e Brantain stavano parlando
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lei si avvicinò al giovane con una franchezza di modi quando lo vide lì.
“ Mi permettete di parlarvi un momento o due, Mr Brantain?” chiese lei
con un sorriso accattivante ma inquieto. Lui sembrava estremamente
infelice; ma quando lei prese il suo braccio e camminò via con lui, cercando un angolo appartato, un raggio di speranza si mischiò con la miseria quasi comica della sua espressione. Lei era apparentemente
molto franca.
“ Forse non avrei dovuto cercare questo incontro, Mr Brantain; ma—
ma, oh, sono stata molto a disagio, quasi infelice dal quel piccolo incontro l’altro pomeriggio. Quando ho pensato a come avreste potuto
interpretarlo male, e creduto cose—la speranza stava chiaramente
guadagnando ascendenza sulla miseria sul viso tondo e senza astuzia
di Brantain-- “ Naturalmente, so che è nulla per voi, ma per il mio bene
voglio che capiate che Mr. Harvy è un intimo amico di lunga data. Perché siamo sempre stati come cugini—come fratello e sorella, potrei
dire. E’ il più intimo socio di mio fratello e spesso ha voglia di essere
intitolato agli stessi privilegi della famiglia.Oh, so che è assurdo, fuori
luogo, dirvi ciò; indegno persino; “ stava quasi piangendo”ma fa così
tanta differenza per me quello che ne pensate- di me. “ La sua voce
era diventata molto bassa e agitata. La miseria era totalmente scomparsa dal viso di Brantain.
“ Allora davvero ha importanza per voi quello che penso, Miss Nathalie? Posso chiamarvi Miss Nathalie?”. Voltarono in un lungo buio corridoio su ogni lato del quale vi erano file di alte e
aggraziate piante. Camminarono lentamente fino alla fine di esso.
Quando si voltarono per ritornare sui loro passi il viso di Brantain era
raggiante ed il suo era trionfante.
***
Harvy era tra gli ospiti al matrimonio; e lui la andò a cercare in un raro
momento in cui era da sola .
“Vostro marito”, disse, sorridendo, “ mi ha mandato a baciarvi.”
Un rapido rossore tinse il suo viso e attorno all’impeccabile gola.” Suppongo sia naturale per un uomo sentire ed agire generosamente in un
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occasione di questo tipo. Lui mi dice che non vuole che il suo matrimonio interrompa totalmente quella piacevole intimità che è esistita tra
me e voi. Non so cosa voi gli abbiate detto “ con un sorriso
insolente”ma mi ha inviato qui a baciarvi”.
Lei si sentiva come un giocatore di scacchi che con l’ingegnoso maneggiare dei propri pezzi, veda il gioco prendere il corso desiderato. I
suoi occhi erano vivaci e teneri con un sorriso quando guardarono i
suoi; e le sue labbra sembravano affamate per il bacio cui invitavano.
“ Ma , sapete”, continuò tranquillamente, “ Non gli ho detto ciò, sarebbe sembrato ingrato, ma posso dirvi, che ho smesso di baciare le
donne; è pericoloso.”
Bene, aveva Brantain e il suo milione partì. Una persona non può
avere tutto al mondo; ed era un po’ eccessivo per lei aspettarselo.
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Indice
Chopin e la sua musica ................3
Poesia................................6
Il cuore di Chopin....................7
Il rumore delle emozioni..............9
L’alfabeto di Chopin.................11
Poesia...............................16
La solita musica.....................17
poesia...............................20
Il pianoforte........................21
Musica e letteratura.................23
Emozioni in scatola..................27
Intervista a Giovanna Marini.........37
poesia...............................42
La musica del mare...................43
poesia...............................46
dalla storia della musica popolare...47
poesia...............................50
La musica e il nulla ................51
poesia...............................54
Musica e neorealismo:
il caso di Alessandro Cicognini......55
poesia...............................56
Il bacio di Kate Chopin..............59