Autoimmunità e ASD Recenti studi ipotizzano che alla base dell

Autoimmunità e ASD
Recenti studi ipotizzano che alla base dell’ASD può esserci un meccanismo di tipo autoimmunitario
innescato da un microrganismo patogeno, con molta probabilità un virus, tutto questo è confermato dal
rilevamento d anticorpi diretti contro le strutture nervose.
Si riscontra inoltre la presenza di anticorpi contro i virus incriminati nel liquor cefalorachidiano,
evidenziando così una correlazione tra anticorpi diretti contro le strutture nervose e la sierologia virale ed
elevati livelli di citochine pro-infiammatorie.
In diversi bambini affetti da ASD vi è la presenza di anticorpi diretti contro la proteina basica della mielina
(MBP) e questo è indice di autoimmunità, sono presenti anche anticorpi sviluppati contro il morbillo,
rosolia, e parotite sviluppatisi in seguito alla somministrazione del vaccino, che hanno la funzione di
marcatori virali.
Ci sono evidenze, come vedremo più avanti, che depongono per una possibile classificazione dei disturbi
dell’autismo come malattia autoimmune (Autoimmune Autistic Disorder - AAD), ad affermarlo negli anni
’80, fu Singh uno dei massimi esperti in neurologia, evidenziando che a innescare una risposta
autoimmunitaria a livello delle strutture cerebrali con conseguente danno alle strutture anatomiche,
potrebbe essere un virus.
In conseguenza del danno si ha l’alterazione della fisiologica trasmissione dell’impulso nervoso, ricordo che
il danno interessa principalmente la mielina, con conseguenze negative alle fibre nervose di connessione
con ripercussione sul diametro assonale, altri studi riportati in un altro capitolo oggi dimostrano quanto
avesse ragione Singh.
Tali conseguenze dannose esitano in disturbi delle funzioni cerebrali superiori, come il linguaggio,
l’interazione sociale e altri segni caratteristici riscontrabili nei bambini con ASD.
All’anamnesi famigliare dei bambini affetti da disturbi del neurosviluppo si rileva frequentemente la
presenza di malattie autoimmunitarie come l’artrite reumatoide, sclerosi multipla, diabete di tipo 2, io
aggiungerei le malattie autoimmunitarie della tiroide e la psoriasi per quest’ultima riferisco un dato
personale. Infatti quella che ho riscontrato di frequente nell’anamnesi famigliare dei piccoli pazienti è
proprio la psoriasi, supportata dalla presenza dell’aplotipo HLA-Cw6 e/o HLA-Cw7, ma essendo dati che
vengono estrapolati dai miei case reports, scientificamente sono attaccabili. Però esistono!
Con la permeabilità della barriera emato-encefalica, i Th1 vengono a contatto con la microglia ed astrociti,
dando il via alla neuro-infiammazione, attivando il processo autoimmunitario. I linfociti B attivati
partecipano al processo attraverso la produzione di anticorpi diretti contro le strutture self (mielina,
neuroni, oligodendrociti et.), così come i neutrofili che producendo acido ipocloroso arrecano danno al DNA
neuronale e gliale. Questi processi attivati portano ad un quadro di neuro-autoimmunità, con conseguenze
per lo sviluppo delle strutture del SNC.
Personalmente da quando uso il Bioexplorer riesco a determinare quali sono le aree danneggiate,
generalmente lo sono quasi tutte, ma in particolare le occipitali, temporali, prefrontali e frontali, è
interessante che il miglioramento clinico è accompagnato da una diminuzione del danno nell’area
corrispondente. Prendo ad esempio l’area o le areee temporale dx e/o sin, si nota che il miglioramento del
fenotipo clinico, cioè il bambino che migliora con il linguaggio, con la memoria e dal punto di vista
cognitivo è legato a una normalizzazione dei neuropeptidi sia attivatori, sia inibitori nelle aree
corrispondenti. Altro aspetto interessante da rilevare la lateralità della lesione, in genere interessa o la
parte destra o la sinistra difficilmente si rileva il danno bilateralmente; ricordo che la metodica è
nuovissima, sperimentale e si basa sulla fisica quantistica.
A innescare la risposta autoimmunitaria potrebbe essere un fattore ambientale, in particolare un virus, che
attiva le APCs (macrofagi o cellule dendritiche) che producono IL-12 e attiverebbero quindi i linfociti T. I
linfociti attivati dall’ interferone-γ (IFN-γ) sono in grado di incidere negativamente sulla barriera ematoencefalica alterandone la permeabilità; ricordo che L’IFN-γ induce l’espressione degli antigeni MHC di classe
I su questa struttura di protezione encefalica.
Ad avviare il meccanismo potrebbe essere il virus del morbillo o il vaccino MPR, lo dice SINGH, che non è
certo un pappagallo ammaestrato ne ammaestrabile, e lo riassume in pochi passaggi:
PatogenoDisregolazione immunitariaAutoimmunità nel SNC neuropatologia nell’autismo.
La reazione autoimmunitaria indotta dal virus interessa il cervello in via di sviluppo, in particolare è
interessata la guaina mielinica, si hanno così alterazioni a livello anatomico e delle sinapsi, con ripercussioni
negative sul network neuronale e quindi della trasmissione dell’impulso nervoso. Ovviamente tali lesioni a
carico della mielina in un cervello in via di formazione portano ad alterazioni permanenti delle funzioni
cerebrali superiori, come il linguaggio, l’interazione sociale e altre, tipiche del fenotipo clinico dell’autismo.
Se prendiamo il modello neuroautoimmunitario (NAI) proposto da Singh un antigene esterno, per esempio un
virus, è in grado scatenare una risposta autoimmune attivando le APCs come macrofagi o dendritiche che per
mezzo dell’IL-12 attivano i linfociti T, questi ultimi producono IFN- y che è in grado di rendere permeabile la
barriera emato encefalica.
Da quanto appena detto si evince che la risposta neuro-autoimmune è responsabile di un alterato sviluppo delle
strutture del SNC e della funzionalità dei circuiti neurali che si interrompono a causa delle lesioni a carico della
guaina mielinica.
I linofciti Th1 potrebbero interagire con gli astrociti e/o microglia e causare infiammazione con conseguenti
danni tissutali non specifici, l’espressione fenotipica del comportamento autistico sarebbe quindi la risultante di
questi cambiamenti a carico della guaina mielinica del SNC.
La mielina sembra avere un ruolo importante nella trasmissione degli impulsi elettrici, una funzione molto simile
alla trasmissione dell’impulso nervoso che sembrava una proprietà esclusiva dei neuroni,
In letteratura ci sono molti lavori riguardanti il sistema immunitario dei bambini autistici, che dimostra
l’esistenza della problematica autoimmunitaria, sebbene non si conoscano tutti i triggers ambientali capaci di
innescare il processo autoimmunitario nell’autismo.
Alla luce di quanto esposto si evince che anche un infezione da virus del morbillo, anche il vaccino che lo
contiene, potrebbe indurre l’organismo ospite a mettere in atto una risposta autoimmune; anche gli inquinanti
ambientali salgono sul podio alla pari con gli altri triggers. Anche se ad oggi ci sono pochissimi lavori che
dimostrano la capacità dei metalli pesanti a indurre una risposta di tipo autoimmunitario, sappiamo però che
hanno azione immunosoppressiva.
Per dimostrare che i virus hanno un ruolo nell’eziologia dell’ASD sono stati usati due tipi di approccio:
l’isolamento virale e la titolazione anticorpale, i risultati ad oggi sono abbastanza controversi per quanto
concerne l’isolamento virale, mentre per la sierologia virale il discorso è diverso perché è considerato un
approccio affidabile la risposta anticorpale nei confronti del patogeno.
In una ricerca sono stati misurati i livelli anticorpali sviluppati nei confronti di 6 tipi di virus: morbillo, parotite,
rosolia, CMV, HHV6 e EBV e i dati di laboratorio hanno evidenziato l’esistenza di una risposta iperimmune nei
confronti del virus del morbillo.
Riporto la mia esperienza personale, non è infrequente trovare un elevato titolo anticorpale nei confronti anche
del virus della parotite, della rosolia, della varicella e dell’ Herpes Simplex di tipo 1, sempre nella mia pratica
professionale ho introdotto anche la titolazione degli anticorpi contro il Parvovirus B19, Micoplasma, Borrelia
burgdorferi, HHV-6, olte al Titolo Anti Streptolisinico e successivamente se indicato Anitcorpi Anti DNASI B e
streptozyme.
È stata inoltre dimostrata l’associazione sierologica virus del morbillo e anticorpi anti MBP, in altre parole più è
alto il livello degli anticorpi contro il virus del morbillo maggiore è la possibilità di titolare gli auto anticorpi MBP,
con una correlazione statistica positiva di almeno il 90%, associazione non rilevabile per gli altri virus testati e
suddescritti. Singh ha fornito la prima prova evidente dell’associazione eziologica del virus del morbillo e
l’autoimmunità, ha inoltre studiato bene la risposta autoimmunitaria nei confronti dell’MPR, riuscendo a
determinare dal punto di vista immunochimico che la risposta anticorpale è diretta contro l’emoagglutinina A.
sembra esclusa una risposta anticorpale contro altre componenti del virus, nucleoproteine e proteine della
matrice. Sono stati titolati anche gli anticorpi nel liquor dei pazienti esaminati, nella totalità dei casi sono stati
rilevati anticorpi anti MBP nel plasma e nel liquor, per gli anti MPR solo tre nel liquor e 2 NAFP nel siero; vedi
tabella 1
Tabella 1 -Anti-MBP: myelin basic protein autoanticorpi; Anti-MMR: measles-mumps-rubella antibodies; Anti-NAFP:
neuron-axon filament protein antibodies; (Singh modificato)
Interessante rilevare che la presenza di anticorpi anti MPR nel plasma e nel liquor indica la localizzazione
cerebrale della reazione autoimmunitaria; non sono stati rilevati anticorpi anti albumina umana, usata come
stabilizzante nei vaccini.
Ecco cosa si rileva nei bambini affetti da autismo:
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Associazione con il virus del morbillo, rosolia e Citomegalovirus, altri studi non escludono la
responsabilità di altri tipi di patogeni nell’ASD e in altre malattie del sistema nervoso.
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Risposta anticorpale iperimmune nei confronti dell’emoagglutinina del virus del morbillo, ma
anche del vaccino MPR (measles-mumps-rubella) con conseguente risposta immunitaria anomala
per la produzione di autoanticorpi contro la proteina basica della mielina (MBP). Reazioni di tipo
autoimmunitario anche nei confronti di proteine specifiche del nucleo caudato. Autoanticorpi per
antigeni cerebrali quali i NAFP, recettori della serotonina e galatto-cerebrosidi, anche se sono stati
riscontrati nei bambini non autistici e quindi non hanno particolare specificità.
Presenza di particolari aplotipi HLA, esempio: C4B null allele, aplotipo B44-SC30-DR4 e HLAB1.31.
Alterazione dell’immunità umorale: deficit di IgA e elevazione dei livelli di IgG3, degli anticorpi
diretti contro il nucleo e degli immunocomplessi. Alterazione dell’immunità cellulare: diminuzione
del numero dei linfociti, dei T helper CD4+, dei Natural Killer e della loro funzionalità. L’attivazione
immunitaria è caratterizzata dalla presenza di citochine caratteristiche della risposta
autoimmunitaria.
Fattori di rischio legati alle differenze di genere, infatti sappiamo che l’incidenza è maggiore nel
sesso maschile, rapporto 1F/4M.
Familiarità per malattie autoimmunitarie, esempio artrite reumatoide, sclerosi multipla, diabete
mellito di tipo 2.
Coinvolgimento di fattori ormonali come secretina, β-endorfine, solo per citare i più importanti.
Infiammazione sistemica con presenza di fattori tipici della fase acuta come Proteina C Reattiva
(PCR) e proteina S100. (Da Singh, modificato)
Gli anticorpi che si rilevano nei bambini affetti da autismo, sono autoanticorpi organo-specifici cerebrali,
l'autoantigene più diffuso è l’anticorpo anti MBP (Myelin Basic Protein), a seguire l’anti CN (Caudate
Nucleus) vedi figura sotto.
Legenda: in rosso bambini autistici, in verde bambini normali.
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Ab anti MBP (Myelin Basic Protein)
Ab anti CNP (3-Cyclic Nucleotide Phosphohydrolase)
Ab anti GC
(GalactoCerebroside)
Ab anti NAFP (Neuron Axon Filament Protein)
Ab anti GFAP (Glial Filament Acidic Protein)
Ab anti CN (Caudate Nucleus)
Ab anti CC
(Cerebral Cortex)
Ab anti CE
(Cerebellum )
Ab anti BS
(Brain Stem)
Ab anti HP
(Hippocampus)
Ab anti S100 ( Proteina S100)
12. Ab anti AP40
( β- Amyloid protein )
Percentuale dei livelli sierici anticorpali
(da Singh modificato)
Sono stati eseguiti studi sulle citochine nei bambini autistici, sono risultate particolarmente elevate
la IL-2, L’IL-12 e l’IFN- γ, note per essere citochine infiammatorie, in particolare la presenza di
livelli elevati di IL-12 e IFN- γ induce a ipotizzare una risposta immunitaria di tipo Th1.
Già nel 1996 sul Journal of Neuroimmunology fu pubblicato un articolo che evidenziava un
processo autoimmunitario alla base dell’autismo per la presenza di elevati livelli plasmatici di IL-2
e TNF-α. Sappiamo che l’IL-2 prodotta dai macrofagi induce la produzione di IFN- γ nei linfociti
Th1 fa pensare a una stimolazione antigenica dei Th1 e quindi ad autoimmunità.
Anche gli elevati livelli di ossido nitrico che si riscontrano nei bambini autistici possono essere
correlati all’azione dell’ IFN- γ.
La presenza di elevati livelli di IL-2 nei bambini autistici indica che c’è una stimolazione antigenica
dei linfociti Th1 e quindi produzione di IFN- γ che induce autoimmunità, altra conferma che
siamo di fronte a una patologia autoimmunitaria, inoltre sono presenti valori elevati di PCR e
proteina S-100 anch’esse correlate all’autismo.
Nei bambini autistici si rileva infiammazione sistemica e a carico del cervello, in quest’ultima si
rilevano modificazioni anatomiche e morfologiche della sostanza bianca, il tutto confermato dalla
RMN.
Individuate le differenze funzionali del cervello autistico
Su Brain del marzo 2015 viene pubblicato un interessante studio che evidenzia attraverso nuove
tecniche di imaging, le differenze funzionali controllo in alcune aree cerebrali di soggetti autistici e
gruppi di controllo, in particolare le differenze esistenti nelle connessioni tra la corteccia visiva e il lobo
temporale.
Con una tecnica chiamata Wide Association Analysis (BWAS) e dalla comparazione di moltissime
scansioni di risonanza magnetica funzionale di soggetti autistici e non, e hanno valutato aree dove le
connessioni nei cervelli autistici erano più forti o più deboli rispetto ai non autistici.
Per esempio sono state rilevate differenze nelle connessioni tra alcune aree della corteccia visiva dei
soggetti autistici, come una riduzione della connettività tra la corteccia visiva del lobo temporale che
gioca un ruolo chiave nell'elaborazione della mimica facciale, e la corteccia prefrontale ventromediale,
implicata nelle emozioni e nella comunicazione sociale.
Molto di quello che conosciamo dei circuiti cerebrali proviene dall’imaging diagnostico, nel corso
degli ultimi 20 anni, la tecnica del neuroimaging è diventata predominante nell’ambito delle
neuroscienze, ed è prevedibile che avrà nei prossimi anni un ruolo chiave per comprendere i
principi funzionali del cervello. Questa branca della medicina stia assumendo un importanza
notevole, e lo dimostra il fatto che nascono riviste specializzate come Brain connectivity, perché c’è
una crescente esigenza di comprendere la connettività funzionale, la fisiosologia cerebrale e le
patologie del sistema nervoso.
CONNETTOMICA
Jeff Lichtman neuroscienziato dell’università di Harvard, è stato il primo a studiare i circuiti
cerebrali avvalendosi di uno strumento di sua invenzione (ALTUM) capace di generare
automaticamente immagini ad alta risoluzione del tessuto neurale, per merito va menzionato anche
Sebastian Seung pioniere della ricerca nel campo della connettomica.
La connettomica è la nuova frontiera delle neuroscienze, negli USA ha preso il via lo Human
Connectome Project, vi partecipano la Washington University di Saint Louis e l’Università del
Minnesota, lo scopo è studiare le strutture cerebrali attraverso le più avanzate metodologie di
Risonanza magnetica funzionale. L’Università di Harvard e la University of California di Los
Angeles, lavorano alla mappatura del network neuronale, ma per i risultati bisognerà attendere il
2017.
È importante questo studio perché ci farà vedere la funzione del cervello come network sistemico e
non più in maniera settoriale anatomico-molecolare, e come ognuno dei circa 100 miliardi di
neuroni nel cervello di un uomo è collegato agli altri miliardi attraverso miliardi di connessioni.
Il cervello funziona attraverso questi complessi e intricati collegamenti, ma è un acquisizione
recente possibile grazie alle tecniche di imaging, che grazie alla altissima risoluzione ci permettono
di vedere le sinapsi che collegano tra loro i vari neuroni.
Anche all’Università di Stanford si sta utilizzando una nuovissima tecnica chiamata Clarity che
aiuterà i neuroscienziati a scoprire i circuiti del nostro cervello, eliminando lo strato lipidico che
circonda le cellule cerebrali e le rende invisibili, senza però distruggerle e con marcatori molecolari
fluorescenti è possibile vedere al microscopio i neuroni e le connessioni con precisione che non ha
precedenti.
RISONANZA MAGNETICA
La risonanza magnetica per imaging (MRI) è una tecnica usata in diagnostica per elaborare
immagini ad alta definizione di parti dell’organismo umano, si basa sui principi della Risonanza
Magnetica Nucleare (NMR).
Dalle prime immagini tomografiche si è arrivati a tecnica di imaging con rappresentazione in 3-D di
qualsiasi parte anatomica, è oggi diventata uno strumento indispensabile nell’ambito delle
neuroscienze, perché ci permette di vedere le funzioni vitali, oltretutto è una tecnica non invasiva.
Nell’uso comune vengono quantificati gli atomi di idrogeno, come quelli contenuti nell’acqua e nel
grasso, poiché il cervello è costituito principalmente da grasso è evidente che questa tecnica si sposa
bene con lo studio di questa struttura.
L’atomo di idrogeno, che è formato da un solo protone, può trovarsi in due stati quando è immerso
in un campo magnetico: uno stato di alta energia e uno stato di bassa energia, quando si attiva il
senale, si mettono in condizione i protoni di assorbire energia e la frequenza alla quale l’assorbono
è chiamata frequenza di risonanza, da qui il nome.
Negli apparecchi usati nelle strutture sanitarie i campi magnetici variano da lato a lato del magnete,
per permettere l’assegnazione di un codice spaziale alle onde radio emesse dai protoni, per
permettere la differenziazione dei segnali ad alta e bassa frequenza e una volta orientato il gradiente
magnetico con le diverse angolazioni il software completerà il processo.
Va menzionata la spettroscopia protonica con risonanza magnetica (1HMRS), una tecnica non
invasiva usata per la quantificazione di metaboliti cerebrali, possibile per il loro caratteristico
spettro di risposta a sequenze di impulsi di risonanza magnetica, usata in particolare per la
quantificazione dei livelli cerebrali di glutammato.
Grazie a questa tecnica è possibile la valutazione dei livelli di alcuni metaboliti in specifiche aree
cerebrali e di conseguenza è possibile evidenziare eventuali alterazioni biochimiche sottostanti a
processi patologici, altrimenti non evidenziabili con le tecniche di imaging convenzionale.
La metodica permette il rilevamento di metaboliti come, il glutammato, la glutammina, il
mioinositolo e il GABA, per citare i più importanti, con un campo magnetico di 1.5 Tesla,
comunemente usato per la diagnostica convenzionale, le frequenze di risonanza del glutammato,
della glutammina e del GABA si sovrappongono, per questa ragione sono valutati come gruppo
unico denominato Glx.
La spettroscopia con tecnica di Risonanza Magnetica (MRS) è un esame non invasivo che permette
di avere informazioni metaboliche e istologiche ultrastrutturali dei tessuti esaminati; partendo dal
principio che una specie chimica ha diverse frequenze di risonanza in rapporto all’ambiente
molecolare, si ottengono così una serie di spettri che rappresentano i diversi metaboliti dell’area
cerebrale esaminata.
La spettroscopia all’idrogeno (1H-MRS) è la metodica maggiormente utilizzata, perché permet¬te
di ottenere spettri ad alta risoluzione e permette l’individuazione di molti metaboliti cerebrali
ognuno con il suo significato biochimico. È possibile rilevare l’ N-Acetil-Aspartato (NAA), la
colina (Cho), la creatina e la fosfocreatina (Cr), il lattato (Lac), il glutammato e la glutammina
(Glx), il mio-inositolo (Mi) e l’cacido gamma amino butirrico (GABA).
L’ N-Acetil-Aspartato è presente solo nei neuroni e non nelle cellule gliali adulte, pertanto è un
indice di funzionalità neuronale; una diminuzione dei livelli di questa sostanza si ha nell’Alzheimer,
nell’ictus a seguito della morte dei neuroni, mentre una diminuzione transitoria si ha nelle malattie
demielinizzanti.
La MRS oggi è considerata una sorta di biopsia, senza “ago” utilizzata maggiormente nella diagnosi
differenziale della patologia tumorale.
Grazie a questa tecnica è stato possibile nell’epilessia rilevare un aumento delle concentrazione
locale di glutammato, ricordo che è un neurotrasmettitore eccitatore, e di GABA neurotrasmettitore
inibitorio, aumento documentato in pazienti epilettici.
È stato documentato in pazienti epilettici un aumento del Glx in specifiche aree cerebrali, nello
stadio intercritico e partendo dal presupposto che l'Epilessia Generalizzata Idiopatica (IGE) si
caratterizza per le anormali oscillazioni talamocorticali è stato effettuato uno studio di MRS del
talamo di questi pazienti ed è stato confermato un aumento del Glx in questa area.
La spettroscopia protonica con risonanza magnetica può essere utile per la diagnosi dell’ADHD,
patologia alla quale sono state attribuite alterazioni nel tratto striato frontale, alcuni ricercatori
hanno usato la 1HMRS per mostrare che le risonanze glutammatergiche (Glx) erano alte nelle aree
frontali e striate del cervello di questi bambini.
Anche nel disturbo ossessivo compulsivo (OCD) la tecnica si è rivelata utile, in tale patologia è
stato osservato l'aumento relativo di glutammato e glutammina (Glx), con la MRS sono stati valutati
i livelli dei metaboliti nella testa del nucleo caudato e nella sostanza bianca bilateralmente in
pazienti adulti con disturbo ossessivo-compulsivo e nel gruppo di controllo.
È stato dimostrato un aumento dei livelli del Glx e NAA rispetto alla creatina
(Glx/Creatina e NAA/Creatina) nella sostanza bianca del lato destro e riduzione dei livelli di
mioinositolo/ creatina nel nucleo caudato bilateralmente. (Whiteside 2006 )
È stata usata la MRS per studiare gli effetti della paroxetina, inibitore selettivo del reuptake della
serotonina, per valutare gli effetti sui livelli del Glx nel nucleo caudato sinistro di bambini da OCD,
(Rosenberg 2000) si è avuta una riduzione del Glx fino a valori normali dopo la terapia, la riduzione del
Glx era accompagnata dalla riduzione della sintomatologia clinica.
Bambini trattati soltanto con terapia comportamentale cognitiva non hanno mostrato cambiamenti
della neurochimica del caudato. (Benazon 2003)
L’ HMRS (Proton magnetic resonance spectroscopic imaging ) è stata presa in considerazione per
valutare la disfunzione mitocondriale, ipotizzata, nei disturbi dello spettro autistico e nel ritardo
dello sviluppo. Non sono stati rilevati deficit mitocondriali che possano far pensare a una loro
compartecipazione nell’eziologia della patologia. Ci sono però evidenze che pongono l’accento sul
ruolo chiave dei mitocondri, bisogna concentrare l’attenzione in questo ambito di ricerca. L’ HMRS
ha reso possibile lo studio dei livelli di N-acetil-aspartato (NAA), colina (Cho), creatina (Cr), mioinositolo (mI), glutammina e glutammato (Glx) nella materia grigia e nella materia bianca, a 3-4 ,
6-7 e 9-10 anni di età, e le variazioni biochimiche legate a tali sostanze.
Si potuto dimostrare che la biochimica della sostanza grigia cambia tra i 3 e i 10 anni di età in
maniera diversa nei pazienti autistici e nei pazienti con disturbi dell’attenzione.
Le potenzialità della metodica ci consentono di cogliere gli aspetti biochimici delle
patologie del neurosviluppo e neurodegenerative, di comprenderne la fisiopatologia, e il
tutto si traduce nell’individuazione di nuove strategie terapeutiche. (Secondo Ross e Blum)
Le patologie oggetto di studio sono tante, tra le più importanti e che possono avere molto in
comune, e su cui bisognerebbe ampliare la portata degli studi, sono:
 Epilessia
Alla luce delle più avanzate conoscenze della biochimica si è osservato che la predisposizione alle
convulsioni croniche o le alterazioni del potenziale di membrana, inteso in termini di soglia di
scarica del neurone è caratterizzata da alterazioni biochimiche misurabili con le metodiche su citate.
Tali misurazioni riguardano un aumento della concentrazione (locale) di glutammato
accompagnato, o non, da una diminuzione dei livelli di GABA alla cui base si rileva o un rilascio
patologico di neurotrasmettitore o da uno squilibrio dell'acqua o dell’osmolarità del neurone.
In particolare sono stati rilevati elevati livelli di Glx nel talamo, nel lobo frontale, nel lobo
temporale e nel lobo occipitale; si è osservato che usando il filtro GABA “double quantum” per
isolare questo neurotrasmettitore, sono stati rilevati elevati livelli del rapporto Glx/NAA ( N – acetil
aspartato) nel lobo frontale senza però trovare specifiche alterazioni del GABA.
Alcuni dei metaboliti utili in spettroscopia protonica con risonanza magnetica sono
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
Colina, frequenza di risonanza primaria a 3.23 ppm (picco), precursore fondamentale
dell’acetilcolina, dei lipidi di membrana, di fosfatidilcolina e sfingomielina. Considerato un
potenziale biomarcatore dello stato del metabolismo dei fosfolipidi di membrana, un suo
elevato segnale indica un aumento del turnover di membrana che si evidenzia nelle
patologie neurodegenerative.
Mioinositolo, frequenza di risonanza primaria a 3.56 ppm (picco), zucchero coinvolto nel
controllo dell'osmolarità dei neuroni, presente maggiormente nelle cellule gliali che
potrebbero rappresentare un sito di deposito per mI.
Lattato, frequenza di risonanza doppio a 1,32 e 4,1 ppm (picco), non è presente nel cervello
umano, è un prodotto del metabolismo anaerobico, indica danno ischemico.
Glutammato, è il principale neurotrasmettitore nel cervello, il suo metabolismo è
strettamente correlato a quello della glutammina; il glutammato rilasciato dalle terminazioni
nervose glutammatergiche è inglobato dalle cellule gliali vicine e convertito in glutammina
dalla glutammina sintetasi che è un enzima di esclusiva pertinenza della cellula gliale. La
glutammina una volta esplicata la sua azione viene rilasciata dalle cellule gliali nella matrice
extracellulare, ricaptata dai neuroni e riconvertita in glutammato per azione della
glutamminasi.
Con la tecnica MSR si può studiare in particolare il gruppo di metaboliti costituito da glutammato,
glutammina, e GABA, conosciuto come gruppo Glx, ma non si esclude ad esempio l’ N-acetilaspartato (NAA) che è sintetizzato principalmente nei neuroni ed essendo coinvolto nella biosintesi
della mielina è considerato un indicatore di normale mielinizzazione.
Era impensabile fino a pochi anni fa questa evoluzione tecnologica, oggi riusciamo a “leggere
dentro il cervello”, cosa che sta avvenendo con le nuove tecniche di imaging; vale la pena per
completezza citare la tomografia a emissione di positroni (PET) e la risonanza magnetica funzionale
(fRMI) che ci consentono di rilevare e misurare i cambiamenti dell’attività cerebrale associata
all’esecuzione di determinati compiti.
Per la PET la procedura consiste nell’iniettare una soluzione radioattiva contenente sostanze cui
atomi sono in grado di emettere positroni, che interagendo con gli elettroni producono fotoni di
radiazione elettromagnetica, specifici sensori li rilevano.
Con tale metodica è possibile rilevare l’attività metabolica cerebrale, alcune tecniche sfruttano il
metabolismo neuronale del glucosio indicandone l’attività, quest’ultima si può controllare mentre il
paziente esegue uno o più compiti. La PET è un ottimo esame ma presenta il limite della risoluzione
3
spaziale che è di soli 5-10 mm e per ottenere una scansione sono necessari molti minuti.
La fRMI si basa sulla forma ossigenata dell’emoglobina, l’ossiemoglobina, che presenta una
risonanza diversa dalla deossiemoglobina e siccome le aree cerebrali più attive hanno bisogno di
più ossigeno la metodica è in grado di sfruttare la differenza tra ossiemoglobine e deossiemoglobina
che con software opportuno ci da preziose informazioni.
È questa la metodica più utilizzata per lo studio funzionale del cervello, ha buone caratteristiche
come la rapidità delle scansioni e la buona risoluzione.
Fino a non molti anni fa si riteneva che ogni area cerebrale avesse la propria funzione specifica,
attualmente si parla di integrazione funzionale tra le varie aree, la formazione delle aree
specializzate, la loro interconnessione e integrazione avviene in fase precoce di sviluppo.
Con innovative tecniche di neuroimaging, come la Functional connectivity MRI sono stati studiati i
bambini autistici e sono state evidenziate alterazioni funzionali delle aree deputate all'elaborazione
linguistica, visuo-spaziale, sociale e cognitiva.
È stato osservato, inoltre, che diverse aree nel cervello rispondono in maniera anomala nei soggetti
autistici, rispetto ai controlli e che ci sono incongruenze anche nelle risposte focali questo
conferma che le aree cerebrali sono funzionalmente interconnesse.
Già nel 2004 Justed evidenziò una ridotta funzionalità delle connessioni tra le diverse aree cerebrali
nei bambini autistici,confermato successivamente da tecniche di imaging.
Quindi siamo autorizzati a pensare all’autismo come disturbo del funzionamento delle reti neuronali
distribuite in base alla funzione cognitiva, e un modo per valutare l’integrazione funzionale tra le
diverse aree cerebrali è quello di studiare le interazioni neurali tra le diverse aree in base al tipo di
attività cerebrale.
Il concetto di connessione funzionale fornisce un indice della interazione tra le aree cerebrali per
portare a termine un compito cognitivo e questo approccio è utile per studiare i disturbi cerebrali, in
questi ultimi dieci anni hanno avuto un notevole impulso.
I maggiori problemi di connessone si rilevano soprattutto tra la corteccia prefrontale e le aree
cerebrali situate posteriormente a essa, con ripercussioni negative in ambito cognitivo e del
linguaggio; per la cognitività sociale un collegamento importante è quello tra la corteccia
prefrontale mediale e la giunzione temporo-parietale. Molti sono stati i ricercatori che hanno
studiato le diverse problematiche di connessione negli autistici, cito qualcuno per tracciare il
periodo storico per l’uso della tecnica di imaging:
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Just et al. nel 2004 indagò sulla ridotta funzionalità delle connessioni tra l’area frontale sin e la
regione temporale.
Koshino et al. nel 2005 indagò sulla ridotta funzionalità delle connessioni tra le aree frontali,
successivamente studiò anche la memoria di lavoro.
Kana et al. nel 2006 indagò sulla ridotta funzionalità delle connessioni tra le aree frontali e parietali.
Kleinhans nel 2008 studiò le connessioni tra il giro fusiforme e l'amigdala, il cingolo
posteriore e il cuneo.
Monk nel 2010 studiò le connessioni tra l’amigdala le regioni temporali e frontali
Agam nel 2010 studiò le connessioni tra il cingolo anteriore e le aree frontali
Lombardo nel 2010 quelle tra la corteccia prefrontale, la premotoria e la somatosensoriale
Ebisch nel 2011 studiò le connessioni tra l’insula e le aree cerebrali coinvolte nella
elaborazione emozionale e sensoriale
Di Martino nel 2011 indagò sull’aumento della funzionalità delle connessioni tra striato e ponte, e tra
ponte e insula.
Shen nel 2012 indagò sull’aumento della funzionalità delle connessioni tra il prefrontale,temporale e
la parte mediale del frontale bilateralmente.
Molte altre connessioni sono state studiate e in tutte è stato rilevato un problema questo stà a
significare che qualsiasi parte del cervello può essere interessata pertanto è difficile stabilire un
modello specifico di danno.
Negli ultimi anni molti autori hanno puntato l’attenzione sulle piccole alterazioni anatomiche, come
la crescita aberrante o l’integrità della sostanza bianca, nei bambini autistici queste anomalie a
carico degli assoni incidono negativamente sul trasferimento delle informazioni tra le diverse aree
cerebrali è siccome le funzioni cognitive, e non solo, si basano su un network neuronale coordinato
tali alterazioni spiegano il fenotipo clinico dell’autismo.
La spiegazione più semplice è che una volta innescata la risposta autoimmunitaria il danno può
estendersi in qualsiasi parte del cervello ed è da tener presente che anche gli organi
circumventricolari giocano un ruolo importante, perchè non è presente la barriera emato encefalica.
Se da un lato si rileva una ridotta funzionalità delle connessioni tra le diverse aree cerebrali,
dall’altro si rileva un aumento, come ad esempio nelle aree visive specializzate della corteccia
extrastriata, nel temporale, frontale, amigdala e nel giro paraippocampale, nella regione temporotalamica e nelle proiezioni talamo-corticali. Alla base di questa problematica sembra esserci una
riduzione delle celllule del Purkinje che avendo funzione inibitrice possono incidere negativamente
sull’equilibrio delle connessioni nel network neuronale.
Ad esempio per la soluzione dei problemi ( problem solving) sono coinvolte l’area dorsolaterale del
prefrontale e la regione inferiore del parietale regioni relativamente distanti, nei bambini autistici
sono interrotte, mentre le connessioni tra aree adiacenti potrebbero non essere interessate da questo
problema questo spiegherebbe i sintomi. Sappiamo che reazioni infiammatorie della glia a livello
del lobo frontale fanno si che aumenti la funzionalità delle connessioni mentre tra il frontale e altre
aree può essere ridotta o mal sincronizzata e quindi compromette il funzionamento.
Sono state rilevate a livello microscopico malformazioni del lobo frontale e del cervelletto,
presenza di astroglia attivata, nel cervelletto, l'attivazione gliale è associata a degenerazione dei
neuroni di Purkinje.
Concludendo in base a quanto su esposto, possiamo parlare di autismi perché il fenotipo clinico
dipende dall’area cerebrale interessata dal danno, che è di tipo autoimmunitario, o comunque c’è
una disreattività nella risposta immunitaria. L’organismo tende comunque a mettere in atto
meccanismi autoriparativi e quindi possiamo vedere dei miglioramenti spontanei, almeno è quello
che si osserva nei casi clinici; molto aiuta l’eliminazione dalla dieta di alimenti immunogenici. Un
grande aiuto è dato dal Bioexplorer, strumento utile a determinare il tipo di danno nelle diverse aree
cerebrali. Approntare una terapia che prevede il “ripristino” della normale fisiologia delle giunzioni
intestinali e quindi far regredire quanto più possibile la permeabilità intestinale, è importante
impostare una adeguata terapia probiotica, con le opportune sequenze, per esempio evitare il mix di
ceppi perché i Lattobacilli potrebbero inibire l’attecchimento dei Bifidi (Lozio). L’allontanamento di
cibi contenenti glutine, caseina, eccitotossine e glutammati è fondamentale e a mio avviso
costituisce il 70% circa del successo terapeutico. Garantire tutte le integrazioni, vitamine e
oligoelelmenti (Zn, Mg…) utili per il neurone, personalmente uso sempre Melatonina (non la
somministro per “far dormire”) vitamina D, A ed E. Anche la lattoferrina è importante specialmente
se abbiamo anche anemia. Attualmente la terapia che mi sta dando i migliori risultati è la SAT
terapia, alla quale si arriva dopo una adeguata preparazione. Chiacchiere di “piazza” individuano la
SAT come terapia per “ la cacchina del mio bambino”, garantisco che non è così, serve a tutt’altro e
agisce a livello recettoriale e in particolare sul sistema immunitario, non può essere improvvisata da
chi non la conosce a fondo. Anche qualche collega!
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