I. GENERALITÀ SULLA PROPULSIONE AEROSPAZIALE
I.1 Il Principio della Propulsione a reazione
Le leggi della Dinamica ci dicono che :
1. Un corpo rigido (1° corpo) tende a rimanere nello stato in cui si trova finché non
interviene una causa esterna (una Forza generata da un 2° corpo) a modificarlo.
2. La Forza esterna generata dal 2° corpo provoca nel 1° corpo, di massa m, una
accelerazione pari a:
(I.1)
F  ma
3. A tale Forza corrisponde una Reazione uguale e contraria esercitata dal 1° corpo sul 2°
corpo che subirà una accelerazione dipendente dalla sua massa.
Un sistema propulsivo aerospaziale è un dispositivo capace di esercitare una Forza su un
fluido (2° corpo) provocandone l’accelerazione in una data direzione. A tale Forza
corrisponde una Reazione uguale ed opposta sul sistema propulsivo stesso. Pertanto tutto ciò
che è strettamente solidale con il sistema propulsivo (1° corpo) subirà la stessa Reazione. Se
la Forza generata dal sistema propulsivo è molto grande è possibile che la Reazione, ad essa
uguale, riesca ad imprimere a tutto il 1° corpo una accelerazione diversa da zero. Se tale
evento avrà luogo o meno dipenderà anche dall’ambiente in cui è posto il 1° corpo, cioè a
dire dipenderà anche dalle altre forze che ad esso sono applicate oltre che dal valore della
sua massa.
Esempio: In un aeromobile il motore (1° corpo) esercita una forza su un fluido (2° corpo)
che è l’aria che, prelevata dall’ambiente, attraversa il motore o parte di esso, viene
accelerata ed espulsa in una certa direzione. Per reazione il motore ed il velivolo ad esso
solidale subisce una accelerazione nel verso opposto. Se tale reazione è perfettamente
uguale alla Resistenza che l’aria circostante esercita sul velivolo e la Portanza eguaglia il
Peso, il velivolo non subirà alcuna accelerazione. Si dirà allora che esso si muove di moto
rettilineo uniforme. Minore è la Resistenza aerodinamica, minore sarà la Forza che il
sistema propulsivo deve generare per ottenere la Reazione necessaria al mantenimento del
moto rettilineo uniforme.
Se indichiamo con ma la quantità d’aria che attraversa il motore possiamo scrivere che la
Reazione (Spinta) generata sul velivolo è uguale ed opposta alla variazione di quantità di
moto che la ma subisce nell’attraversare il motore uguale, in prima approssimazione a:
S  F  ma
V
 m a V
t
(I.2)
nella quale V  V fin  Vin è la variazione di velocità dell’aria dall’ingresso all’uscita del
motore.
I.2 Generatori di Spinta nei Motori Aerospaziali
Da quanto detto si deduce, anche, che la stessa Forza, la si può ottenere con modalità
diverse, ad esempio imprimendo una grande accelerazione ad una piccola massa o viceversa
accelerando poco una grande massa.
5
Ecco che, in tal modo, giungiamo a individuare diversi tipi di sistemi propulsivi
caratterizzati da quello che possiamo chiamare il Generatore di Spinta.
Un sistema propulsivo può essere visto come un insieme di convertitori di energia. La Forza
o la variazione di quantità di moto, che il motore provoca nel fluido che lo attraversa, è il
risultato di una o più conversioni di energia il cui numero dipende dalla natura della sorgente
di energia primaria.
L’ultimo convertitore è detto Generatore di Spinta.
L’ugello è un Generatore di Spinta ed è un convertitore di Energia Termica in Energia
cinetica
L’elica è un Generatore di Spinta ed è un convertitore di Energia di tipo meccanico in
Energia cinetica.
Una griglia metallica caricata con un Potenziale negativo è un Generatore di Spinta se
attraversata da un fluido costituito da ioni positivi ed è un convertitore di Energia di tipo
elettrico in Energia cinetica.
Cosa può distinguere i diversi Generatori di Spinta fra di loro, a parte il tipo di
conversione?
Prima di tutto il concetto espresso in precedenza: l’elica, l’ugello, l’elettrodo negativo sono
Generatori di Spinta capaci di fornire la stessa Spinta fornendo, nell’ordine, una
accelerazione sempre più grande ad una massa sempre più piccola.
Ora osserviamo che l’energia cinetica fornita alla massa di fluido espulsa (propellente) è una
energia persa per il sistema in quanto il propellente lascia il sistema. Pertanto possiamo
affermare che, nell’ambito di sistemi propulsivi “respiranti” cioè che utilizzano come
propellente l’aria prelevata dall’ambiente, i Generatori di Spinta che accelerano poco una
grande massa d’aria sono più efficienti il che significa più economici.
La “perdita di Energia”, cioè la variazione di Energia cinetica subita dalla massa d’aria
nell’attraversare il motore, che resta nel propellente che abbandona il motore, può essere
espressa come:
Ec 1
1
2
 m a V fin
 Vin2  S V fin  Vin 
t
2
2


(I.3)
Per cui resta verificato che, a parità di Spinta, per dissipare la minor quantità di Energia
possibile si ha interesse ad accelerare debolmente una grande massa d’aria.
L’elica è quindi un Generatore di Spinta che offre un “Rendimento propulsivo” più elevato
rispetto ad un ugello (Fig. I.1). I Sistemi propulsivi che utilizzano l’elica sono quindi da
preferire a quelli che utilizzano l’ugello, quando non ci sono altre limitazioni.
Figura I.1
6
I.3 Classificazione dei Sistemi propulsivi aerospaziali
A tutti è noto che dato un elenco di oggetti è possibile stilare infinite classificazioni degli
stessi prendendo di volta in volta un parametro di riferimento diverso. Per i Sistemi
propulsivi aerospaziali abbiamo già fatto una distinzione in base al Generatore di Spinta che
adoperano. Ma alcuni parametri sono “estremamente caratterizzanti”, cioè a dire mettono in
evidenza in modo drastico addirittura la capacità di un Sistema propulsivo di effettuare o
meno una determinata missione.
Esempio: un propulsore che adopera l’aria come fluido propellente non può effettuare
missioni al di fuori dell’atmosfera. E’ questa una proprietà “estremamente caratterizzante”.
Inoltre, abbiamo anche detto che al propellente deve essere fornita dell’energia per variarne
la quantità di moto e che tale energia proviene da una sorgente primaria attraverso una serie
di conversioni. La sorgente di energia può essere interna al Sistema propulsivo o esterna.
Questa è un’altra caratteristica “estremamente caratterizzante” perché la presenza di una
sorgente esterna al propulsore offre la possibilità di avere delle prestazioni molto elevate
anche se con una penalizzazione nelle masse. Ma di questo parleremo diffusamente in
seguito.
Quindi assumendo come parametro caratterizzante il primo, cioè il fluido propellente,
faremo una distinzione fra:


motori respiranti o aeroreattori o air-breathing engines (con terminologia
anglosassone) che utilizzano l’aria prelevata all’ambiente
endoreattori o razzi o rockets (con terminologia anglosassone) che utilizzano un fluido
portato a bordo del veicolo ospitante il sistema propulsivo.
Assumendo, come parametro caratterizzante, il tipo di sorgente di energia, faremo una
distinzione fra:


motori convenzionali di tipo chimico che sfruttano come energia primaria l’energia di
tipo chimico degli stessi propellenti trasformata in energia termica attraverso reazioni
chimiche esotermiche in una camera di combustione. A tale categoria appartengono tutti
gli air-breathing engines e una parte degli endoreattori, quelli denominati “endoreattori
di tipo chimico”
motori non convenzionali o avanzati nei quali esiste una sorgente di energia (nucleare,
solare o chimica (celle a combustibile)) che fornisce energia in diversi modi al
propellente. A tale categoria appartengono alcune categorie di endoreattori detti appunto
non convenzionali.
Il modo in cui viene utilizzata l’energia fornita al propellente per generare la Spinta negli
aeroreattori o lo stato fisico iniziale dei propellenti negli endoreattori porteranno ad ulteriori
classificazioni dei Sistemi propulsivi aerospaziali che esamineremo più avanti, quando
avremo acquisito ulteriori nozioni.
I.4 Principali parametri propulsivi
Abbiamo detto che lo scopo di un sistema propulsivo è quello di generare una Spinta e
aggiungiamo: per un certo tempo. Diremo quindi che un parametro che definisce le
prestazioni di un motore è l’Impulso totale, cioè:
7
tf
I t   Sdt
(I.4)
0
Se riferiamo l’Impulso totale alla massa di propellente trasportata a bordo otteniamo
l’Impulso Specifico.
Isp 
It
Mp
(I.5)
Per ogni Kg di propellente portato a bordo, il valore dell’Impulso Specifico determina quindi
il tempo di funzionamento e quindi l’autonomia oraria di un motore che fornisce una data
Spinta.
Negli endoreattori il propellente portato a bordo coincide con tutto il propellente quindi in tal
caso, supponendo un valore della Spinta e una portata costante durante tutto il tempo di
funzionamento, si ha:
m p Vt
Isp 
 V
(I.6)
Mp
o, come è consuetudine:
Isp  V g 0
Ciò non vale negli aeroreattori nei quali la massa di propellente portata a bordo, è solo una
parte dell’intero propellente, il combustibile che, per di più, è presente in una percentuale
piccolissima (circa 1 parte su 90) rispetto all’altro propellente, l’aria.
Ne consegue che, a parità di Energia ceduta al propellente, l’Impulso specifico di un
aeroreattore è molto più elevato rispetto a quello ottenuto con un endoreattore. Questo spiega
perché l’autonomia di un aeroreattore è tanto più grande rispetto a quella di un endoreattore
(circa 15 ore rispetto a 10 minuti come ordini di grandezza).
Quando ci si riferisce ad un aeroreattore piuttosto che di Impulso specifico si parla di
Consumo Specifico che è esattamente l’inverso dell’Impulso specifico essendo definito
come:
TSFC 
m f
S
(I.7)
dove TSFC sta per Thrust Specific Fuel Consumption. Ciò perché tale parametro dà una più
immediata sensazione del valore di quello che è il parametro più importante e cioè il
consumo di combustibile, cioè del propellente portato a bordo.
E’ opportuno ora soffermarci un poco su quello che è il parametro propulsivo principale di
un motore: la Spinta. Abbiamo detto che è la reazione alla Forza esercitata dal motore sul
fluido propellente che lo attraversa e che è quindi uguale alla variazione di quantità di moto
che il propellente subisce in tale attraversamento.
Esaminiamo più da vicino la genesi di questa Forza.
Un sistema propulsivo provoca una variazione di quantità di moto nel fluido che lo
attraversa ma non porta nessuna variazione permanente sull’ambiente. La variazione la si ha
solo in corrispondenza della sezione di uscita del propulsore. Scegliamo pertanto un volume
di controllo che permetta di mettere in evidenza tale variazione (Fig. I.2).
8
Figura I.2
La Forza esercitata dal Propulsore sul fluido che lo circonda la si può esprimere nel modo
seguente, tenendo conto del fatto che le forze agenti su un corpo (il fluido in tal caso) sono di
due tipi: forze di massa e forze superficiali. Facendo l’ipotesi di moto unidimensionale,
l’equazione del bilancio della quantità di moto si riduce a:
F   V V  ndA   pu  ndA
A
(I.8)
A
Se è F = 0 vuol dire che le forze sono bilanciate e non c’è nessuna Spinta. Se viceversa c’è
uno sbilanciamento, se c’è una variazione nella quantità di moto, sulle superfici non
attraversate da flusso di massa normali alla direzione del moto si esercita una Spinta.
L’equazione (I.8) applicata al volume rappresentato in Fig. I.2 diventa, supponendo le
grandezze costanti lungo le superfici:
F    a VV0 A1   a VV0  A2  Au    u VVu Au  pa nA1  pa n A2  Au   pu nAu
(I.9)
Essendo la componente utile della Spinta quella in direzione assiale, si ottiene, proiettando
sull’asse x e, tenendo presente che A1=A2,
 u Vu  m
 a V0   pu  pa Au
S m
(I.10)
In Figura I.8 è rappresentato un motore sospeso ad un banco prova.
Nel caso degli endoreattori, non essendoci massa d’aria entrante nel motore la espressione
della Spinta si riduce alla seguente:
 uVu   pu  pa Au
S m
(I.11)
Il secondo termine, detto anche Spinta statica è presente solo negli ugelli sonici e supersonici
nei quali si può verificare, in alcune condizioni, una diversità fra la pressione di uscita e
quella ambiente.
Se introduciamo una velocità di efflusso equivalente c tale che risulti:
S  m u c
9
(I.12)
si ricava, tenendo presente la (I.11):
c  Vu 
 pu  pa Au
m u
(I.13)
Nel caso in cui la pressione all’uscita dell’ugello risulta uguale alla pressione ambiente
(ugello adattato, espansione corretta) risulta :
c  Vu
(I.14)
Riprendendo la (I.4), la (I.12) e la (I.5) si ha:
Isp  c
oppure come è consuetudine:
Isp 
c
g0
(I.15)
Prendendo come volume di controllo le superfici del motore e applicando ad esso il bilancio
della quantità di moto la Spinta è esprimibile anche come l’integrale delle forze di pressione
agenti sulle superfici non attraversate da flusso di massa del motore proiettato nella direzione
assiale.


(I.16)
S    ( p  p a )dA
A

x
I.5 Rendimenti
E’ importante distinguere due differenti tipi di Rendimento. Normalmente introduciamo
questo termine quando vogliamo utilizzare una legge, una equazione ricavata imponendo un
modello ideale, e dobbiamo correggere il risultato per tener conto delle differenze introdotte
dalla realtà del fenomeno fisico, delle perdite dovute alle fenomenologie presenti nel caso
reale, riscontrate nelle prove sperimentali. In tal caso il Rendimento è un “Coefficiente di
ignoranza” che denota la incapacità di modellare un fenomeno fisico e la necessità di
supportare la modellazione teorica e numerica con prove sperimentali. Comunque questo
tipo di rendimento, che possiamo definire “Rendimento adiabatico” misura lo scostamento
dal caso ideale e deve e può essere massimizzato cercando di ridurre in ogni modo le cause
di dissipazione di energia.
Ben diverso è il concetto di Rendimento di trasformazione di un convertitore di energia
Tale parametro misura la quantità di energia che il convertitore è in grado di trasformare in
condizioni ideali. Esso quindi dipende dalla tipologia del convertitore e dalle condizioni al
contorno.
Facciamo un esempio: l’ugello è un convertitore di energia termica in energia cinetica ma
dell’energia termica totale posseduta dal fluido propellente esso converte solo quella
“compresa” fra il livello di pressione all’ingresso e quello all’uscita dell’ugello stesso.
Quest’ultima (la pressione a valle), o è la pressione ambiente (a basse quote) oppure è la
pressione raggiunta nell’espansione all’uscita, dipendente dal rapporto fra area di uscita e
area di ingresso (per ugelli completamente subsonici o completamente supersonici) o di
gola dell’ugello (per ugelli convergenti-divergenti).
Ritorneremo sull’argomento ma teniamo presente che un ugello converte in genere la metà
dell’energia disponibile e che il superamento di questo valore consentirebbe prestazioni
10
migliori con le stesso motore in quanto si avrebbe un migliore “sfruttamento” dell’energia
fornita al propellente.
Ritorniamo ad un concetto di Rendimento a cui abbiamo già fatto cenno per “classificare” i
sistemi propulsivi: il Rendimento propulsivo che chiaramente rientra nella tipologia dei
Rendimenti di trasformazione.
Un propulsore che fornisce una Spinta pari alla (I.10) fornisce una Potenza propulsiva Pg
pari a SV0 :



Pg  V0  m uVu  m aV0   pu  p a Au 


(I.17)
Introduciamo un importante parametro: la “ricchezza” della miscela:
m f
f 
m a
(I.18)
che risulta l’inverso del rapporto di miscelamento r.
La (I.10) assume la espressione seguente:
 a 1  f Vu  V0    pu  pa Au
S m
(I.19)
e di conseguenza la (I.17), nel caso di ugello adattato (pu = pa) diventa:
Pg  m a 1  f Vu  V0 V0
(I.20)
1
m aV02
2
(I.21)
Se indichiamo con :
Pc 
la Potenza cinetica dell’aria all’ingresso del motore e con:
Pc' 
1
m a 1  f Vu2
2
(I.22)
la Potenza all’uscita del motore, possiamo definire il Rendimento propulsivo nel seguente
modo:
p 
P
'
c
Pg
 Pc 
(I.23)
Sostituendo nella (I.23) le (I.20), (I.21) e (I.22) e considerando, come già abbiamo detto, che
il valore di f è «1, si ha in definitiva:
p  2
V0 Vu
1  V0 Vu
11
(I.24)
Il rapporto tra le velocità deve ovviamente essere compreso tra:
0  V0 Vu  1
In tale intervallo, essendo:
d p
d V0 Vu 

2
1  V0
(I.25)
Vu 
(I.26)
2
e:
d 2 p
d V0 Vu 
 4
1  V0 Vu
1  V0
Vu 
4
(I.27)
la funzione sarà crescente con la concavità verso il basso (Fig. I.3) per cui raggiungerà il
massimo valore  p  1 per Vo/Vu = 1
Se sostituiamo nella (I.24) il valore di Vo/Vu ricavato dalla (I.10) nel caso di ugello adattato,
otteniamo:
1
(I.28)
p 
S
1
2m aV0
dalla quale si evince che per avere un rendimento pari ad 1 a parità di Spinta è necessario
avere una m a di valore infinito. Ritroviamo quindi il concetto, già espresso, che quei
propulsori che forniscono una determinata Spinta accelerando poco V0 Vu  1 una grande
massa d’aria hanno un Rendimento propulsivo migliore.
Figura I.3
Ma, a voler essere più precisi, non possiamo valutare la bontà di un sistema propulsivo solo
tenendo presente l’ultima trasformazione ma dobbiamo valutare il Rendimento globale dato
dal prodotto dei rendimenti di tutte le trasformazioni di energia fino all’ultima, quella
misurata dal Rendimento propulsivo.
12
Esempio: Se consideriamo un motore di tipo chimico, nel quale l’energia al propellente è
fornita da un processo di combustione si può definire un Rendimento termico:
b 
Pc'  Pc


m f QR
Vu2  V02
2 fQR
(I.29)
e quindi il Rendimento globale del motore, sempre nell’ipotesi di f « 1, diventa il prodotto:
   p b 
Pg
m f QR

Vu  V0 V0
fQR
(I.30)
Il rendimento è uguale a zero per V0=0 e per Vu=V0 per cui la funzione ha un massimo che
possiamo calcolare facendo la derivata rispetto a V0, e eguagliando a zero otteniamo il
Rendimento massimo per:
V0 
Vu
2
(I.31)
Ovviamente, maggiore è il numero dei convertitori di Energia, minore è il Rendimento
globale del Sistema Propulsivo. Questo è talvolta un criterio di scelta fra Sistemi propulsivi
che offrono le stesse prestazioni.
I.6 Il Ciclo termodinamico di un motore di tipo termico
Riprendendo quanto detto nel parag. I.1, un Sistema propulsivo genera Spinta fornendo
energia al propellente in una certa forma e, provocando, mediante una serie di conversioni,
una variazione della quantità di moto del propellente stesso.
Questo meccanismo per un motore di tipo termico può essere meglio descritto mediante la
rappresentazione su un diagramma T-s di quello che va sotto il nome di Ciclo
Termodinamico del motore (Fig.I.4a)
Come detto, è importante l’entità dell’energia fornita al propellente ma più importante
ancora è il grado di sfruttabilità di tale energia. Tale considerazione porta a comprendere il
fatto che in un motore di tipo termico per avere una elevata sfruttabilità cinetica dell’energia
termica fornita al propellente, è necessario fornire tale energia ad una pressione molto
elevata rispetto alla pressione all’uscita del Generatore di Spinta.
Pertanto si comprende anche che tutte i processi di trasformazioni di energia debbono
avvenire con la minima dissipazione di energia e la minima perdita di pressione di ristagno.
Il ciclo di Fig. I.4 è un ciclo ideale nel quale i processi di compressione (a-2-3) ed
espansione (4-5-7) sono isoentropici e il processo di adduzione di calore (3-4) è isobaro.
Nella realtà le dissipazioni esistono e il ciclo reale avrà un andamento del tipo di Fig. I.4b,
dove la pressione di ristagno nel punto 5 è molto minore rispetto a quella del corrispondente
punto nel ciclo ideale. Ciò porta ad una minore sfruttabilità dell’energia termica fornita al
propellente. Un bravo progettista deve cercare, da una parte, di rendere minime le
dissipazioni, dall’altra, di affinare i modelli di simulazione per prevedere il comportamento
reale dei vari trasformatori in tutte le condizioni operative.
13
(a)
(b)
Figura I.4
La fase centrale e caratterizzante di un motore termico di tipo convenzionale è senz’altro il
processo chimico esotermico che avviene nella cosiddetta camera di combustione. Nel caso
ideale questo processo può considerarsi isobaro (3 – 4). Tale processo porta la Entalpia totale
del propellente dal suo livello iniziale al livello finale limitato o dal processo chimico o dal
valore massimo di temperatura ammissibile dagli organi meccanici costituenti il motore.
Assegnata la pressione ambiente si intuisce che nel semplice caso qui esaminato la
sfruttabilità cinetica è rappresentata dal rapporto fra la pressione in camera di combustione e
la pressione ambiente. Se tale valore è piccolo è necessario elevare il valore a monte quando
non è possibile abbassare quello a valle (volo extra - atmosferico).
A seconda del tipo di motore i sistemi per elevare la pressione del propellente in camera di
combustione sono diversi. Se parliamo di motori respiranti prima di tutto si può recuperare
l’energia cinetica posseduta dall’aria, se c’è movimento relativo fra aria e velivolo. Questa
conversione è operata da una presa d’aria che in questa conversione fa aumentare la
pressione dell’aria facendone diminuire la velocità (1 – 2). Se tale aumento di pressione è
piccolo o nullo ( M0 = 0 oppure M0 « 1) si deve adoperare una macchina rotante: il
compressore. Quest’ultimo fornisce energia all’aria sotto forma di lavoro e quindi ne eleva
il contenuto energetico totale e la pressione di ristagno. Il compressore è costruito in modo
tale da non provocare variazioni di velocità fra ingresso e uscita per cui l’aumento di energia
provoca un aumento di temperatura e, cosa ben più importante, un aumento di pressione (2
– 3). L’energia fornita dal compressore all’aria è prelevata da un’ altra macchina rotante: la
turbina posta a valle della camera di combustione e che ha la capacità di trasformare parte
dell’energia termica dei gas combusti in energia meccanica (4 – 5). Anche in turbina la
14
trasformazione porta ad una variazione (in tal caso un abbassamento) dell’ Energia totale dei
gas e della pressione totale.
Se la pressione all’uscita della turbina fosse uguale a quella a monte del compressore
l’operazione descritta sarebbe inutile: avremmo lo stesso punto 5 inviando l’aria
direttamente in camera di combustione senza ricorrere al gruppo turbina – compressore. La
pressione nel punto 5 è (e deve essere) maggiore di quella nel punto 2, per cui l’operazione
è conveniente al fine di aumentare la sfruttabilità cinetica dell’energia termica del gas
propellente.
Il tratto 5 – 7 rappresenta l’energia disponibile per generare Spinta. A seconda del tipo di
Propulsore tale energia viene utilizzata in modi diversi, in convertitori diversi. Ma su questo
ritorneremo in seguito.
Nel caso di endoreattori il propellente è tutto a bordo per cui il tratto 1 – 3 è effettuato da un
sistema di alimentazione che comprenderà un sistema di pressurizzazione opportuno. Il resto
del ciclo è qualitativamente uguale.
Ho evidenziato il termine “qualitativamente” perché l’uso di un propellente diverso
dall’aria, portato a bordo, se da un lato riduce l’autonomia del motore per motori di tipo
convenzionale, dall’altro permette il raggiungimento in camera di combustione di più elevati
valori di pressione e, mancando la turbina, valori più elevati di temperatura: quindi maggiore
livello entalpico e maggiore sfruttabilità il che vuol dire, in ultima analisi, maggiore Spinta.
Il ciclo è chiuso ma l’isobara 7 – 1 non rappresenta una trasformazione, indica solo che le
condizioni all’ingresso e all’uscita in termini di pressione sono le stesse. Questo è valido
solo per gli aeroreattori. E’ importante notare che l’area sottesa alla curva 3 – 4 rappresenta
l’energia fornita al propellente. L’area sottesa all’isobara 1 – 7 rappresenta l’energia termica
che resta nel propellente. L’area all’interno del ciclo rappresenta l’energia utilizzata,
trasformata, rappresenta quindi il rendimento del ciclo.
Vale la pena di ricordare che lo stesso ciclo descrive anche quello che avviene in un motore
4 tempi a pistoni, come si può vedere in Fig. I.5, dove le 4 fasi avvengono nello stesso
ambiente (il cilindro).
Figura I.5
15