compositori armeni nella musica classica ottomana - Arca

Ensemble Bîrûn
Kudsi Erguner
flauto ney, direzione musicale
ney (obliquely held rim-blown flute), musical director
COMPOSITORI ARMENI
NELLA MUSICA CLASSICA
OTTOMANA
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foto Ivan Battain
foto Ivan Battain
Giovanni De Zorzi.
foto Ivan Battain
Kudsi Erguner.
L’Ensemble Bîrûn 2013 in performance: da sinistra Miguel Hiroshi Garcia, Panagiotis Poulos,
Giovanni De Zorzi, Caner Can, Michalis Cholevas, Kudsi Erguner, Nevin Şahin-Malkoç, Deniz
Seltuğ, Michalis Kouloumis, Tristan Driessens, Issa Nessim Golitzen Farajaje.
The ensemble Bîrûn 2013 in performance: from the left Miguel Hiroshi Garcia, Panagiotis
Poulos, Giovanni De Zorzi, Caner Can, Michalis Cholevas, Kudsi Erguner, Nevin ŞahinMalkoç, Deniz Seltuğ, Michalis Kouloumis, Tristan Driessens, Issa Nessim Golitzen Farajaje.
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INDICE / CONTENTS
Il Bîrûn veneziano di Giovanni De Zorzi e Giovanni Giuriati
������
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Compositori armeni nella musica ottomana di Kudsi Erguner����� 11
La musica armena 11 La musica liturgica armena 11 Musiche
armene rurali e regionali 
12 Musiche rurali dell’Anatolia
orientale e del Caucaso 12 Le musiche della “Piccola Arme­
nia” 13 Le musiche armene di Isfahan, “nuova Julfa”  13 Le musiche
europee e polifoniche 14 Le musiche classiche del mondo otto­
mano 14 Le fasıl classiche 18
I singoli brani: generi e compositori di Kudsi Erguner����������� 20
Ensemble Bîrûn 2013����������������������������������� 50
The Venetian Bîrûn by Giovanni De Zorzi and Giovanni Giuriati���� 6
Armenian Composers of Ottoman Music by Kudsi Erguner������� 31
Armenian music 31 Armenian liturgical music 31 Rural and
regional Armenian music 32 Rural music of Eastern Anatolia and
the Caucasus 32 The music of “Lesser Armenia” 33 Armenian
music of Isfahan, “New Julfa” 33 European and polyphonic
music 34 The classical music of the Ottoman world 34 Classical
fasıl 38
Individual Pieces: Genres and Composers by Kudsi Erguner
�����
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Ensemble Bîrûn 2013 ����������������������������������� 52
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IL BÎRÛN VENEZIANO
Questo CD presenta all’ascoltatore i risultati della seconda edizione di Bîrûn, il
seminario annuale di alta formazione in musica classica ottomana diretto dal maestro Kudsi Erguner. Il seminario tenutosi nell’aprile 2013 ha affrontato il tema dei
“Compositori armeni nella musica classica ottomana”. Il CD appare nella collana
Intersezioni Musicali che l’Istituto Interculturale di Studi Musicali Comparati (IISMC) della Fondazione Giorgio Cini promuove in collaborazione con le edizioni
Nota. Scopo di questa collana è di far conoscere a un pubblico più vasto di coloro
che partecipano direttamente alle iniziative organizzate dall’IISMC all’isola di San
Giorgio alcune delle attività e dei progetti più significativi dell’Istituto. Più in generale, la collana, fin dalla sua denominazione, si propone di presentare studi e ricerche sulle musiche di diverse parti del mondo in un panorama culturale e musicale
sempre più interconnesso e variegato dove le definizioni di popolare, colto, tradizionale, etnico perdono sempre più di significato. La denominazione Intersezioni musicali fa anche riferimento ad un’altra caratteristica della collana: quella di prevedere
supporti diversi a seconda del tipo di progetto CD, dunque, come in questo caso, ma
anche CD-book, libri, DVD, prodotti multimediali.
In particolare, Bîrûn è un progetto dell’IISMC iniziato nel 2012 che si articola in
cinque fasi: un bando internazionale (affollatissimo: tra le quaranta e le settanta candidature ricevute ogni anno) per sei borse di studio; una giornata di studi a cura di
Giovanni De Zorzi che si tiene al Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali (DFBC)
dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e mette in rilievo le connessioni tra la cultura
e la musica del tema prescelto; una settimana di lavoro in residence dei borsisti sotto
la guida del Maestro Kudsi Erguner; un concerto pubblico che presenta i risultati del
lavoro seminariale; la registrazione del concerto e, infine, la pubblicazione di un CD
pubblicato da Nota Edizioni, com’è stato per quello precedente: Ensemble Bîrûn (dir.
Kudsi Erguner), Compositori alla corte ottomana. Composers at the Ottoman Court.
Per il nome dell’Ensemble e del progetto ci si è ispirati al passato: il Palazzo (Seray), residenza dei sultani, ospitava una parte interna, intima, che, con termine persiano, veniva detta Enderûn e che ospitava la scuola per l’educazione musicale nella
quale si formarono molti dei musicisti e dei compositori del mondo ottomano detta
Enderûn-i Hümâyûn. Il termine Bîrûn, invece, designava la parte “esterna” del Pa4
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lazzo. Questa articolazione interno/esterno si estendeva anche alla capitale, così che
Bîrûn indicava anche la “periferia” dell’impero: in questo senso richiamarsi oggi al
Bîrûn piuttosto che all’Enderûn ha un chiaro significato programmatico. Secondo
Erguner, infatti: “L’arte vive con i suoi artisti e fiorisce dove trova uomini sensibili e
appassionati. Sino al XIX secolo l’arte classica ottomana si è sviluppata nell’Enderûn
e tra l’élite ottomana mentre oggi non esiste più né una élite né un palazzo e si trova
a dover migrare verso il Bîrûn, dove essa ritrova i suoi appassionati. In questo senso
Venezia è il luogo ideale dove la storia del passato può diventare storia del presente”.
E sembra significativo come una simile periferia sia proprio Venezia, da millenni in
costante dialogo con Bisanzio/Costantinopoli/Istanbul.
L’intenzione del progetto Bîrûn è quella di esplorare vari aspetti della musica
classica del mondo ottomano-turco detta maqâm, sviluppatasi a partire dalla seconda metà del XIV secolo e giunta sino agli inizi del XX. Senza ripetere annotazioni già
esposte nell’ampio libretto contenuto nel CD precedente, una simile musica è: modale, microtonale, monofonica, eterofonica e composta su complessi cicli ritmici. Un
tratto particolare della storia della musica classica ottomana sono, infine, i numerosi
sistemi di scrittura musicale sviluppatisi e, quindi, le numerose composizioni musicali giunteci dal passato. Quelle presenti in questo particolare CD, selezionate da
Kudsi Erguner, riguardano il contributo dei musicisti armeni alla musica ottomana,
in un periodo che spazia dal XVIII al XX secolo. Le composizioni sono proposte,
come da tradizione, in forma di suite ( fasıl) con interludi improvvisati (taqsîm). Va
notato come, per venire incontro alle esigenze dei cantanti, si sia suonato in registro
di kız, nel quale la nota rast equivale al “La” eurocolto.
La maturità dei giovani solisti, così come il numero e la qualità delle molte candidature ricevute, sembrano voler testimoniare come questa sia una musica ancora
ben viva e amata, e non, come viene spesso considerata, un repertorio unicamente
storico e museale. In questo senso, di là da un progetto scientifico ed artistico, le
composizioni qui raccolte sono intese anche come una nuova fonte di piacere musicale per tutti noi, ascoltatori e suonatori.
Giovanni De Zorzi, Giovanni Giuriati
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THE VENETIAN BÎRÛN
This CD presents the results of the second edition of Bîrûn, the annual advanced workshop in Ottoman classical music directed by maestro Kudsi Erguner.
The theme of the workshop for 2013 was: Armenian composers in Ottoman classical music.
The CD appears in Intersezioni Musicali, a new series of publications that the
Intercultural Institute for Comparative Music Studies (IISMC) of the Fondazione
Giorgio Cini promotes in cooperation with the publisher Nota. Aim of the series is
to make available to a wide audience, larger than those who directly participate in
the activities organized by the IISMC at the Isola di San Giorgio in Venice, some
of the most relevant projects of the Institute. More in general, the series intends
to present studies and research on the music of various areas of the world taking
into account a cultural and musical landscape increasingly interconnected where
the definition of folk, popular, art, traditional, ethnic loose what was their original
meaning. The denomination Intersezioni musicali refers also to another aspect
of the series: the use of different products according to the project: CD, as in this
instance, but also CD-books, books, DVD, multimedia.
Bîrûn is an IISMC project that began in 2012 and articulates in five phases: an
international call (very crowded: between forty and seventy applications received
each year) for six scholarships; a study day organized by Giovanni De Zorzi at the
Department of Philosophy and Cultural Heritage (DFBC) of the Venice “Ca’ Foscari” University that explores the connections between the culture and music of
the specific theme; a week of seminar in residence under the direction of maestro
Kudsi Erguner; a public concert that presents the results of the work in residence
and, finally, the publication of a CD by Nota Edizioni, in the IISMC series Intersezioni musicali, as it was for the preceding Ensemble Bîrûn (dir. Kudsi Erguner),
Compositori alla corte ottomana. Composers at the Ottoman Court.
The inspiration for the name of the ensemble and the project – Bîrûn –
came from the past: the sultans’ palace (seray) had an inner part called, with a
Persian term, Enderûn. This part of the building hosted a music school, called
Enderûn-i Hümâyûn, in which many Ottoman musicians and composers trained.
The term Bîrûn alluded to the external part of the palace and, more in general,
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to the “outside” or “periphery”. In this sense appealing to the Bîrûn rather than
the Enderûn has a clear programmatic meaning. As Kudsi Erguner explains: “Art
lives through its artists and flowers where it finds sensitive, passionate people.
Until the 19th century Ottoman classical art had developed in the Enderûn and
among the Ottoman elite. Today there is no longer an elite nor a palace, and the
art of music has migrated to the Bîrûn, where once more it has found devotees.
In this sense, Venice is an ideal place for the history of the past to become the
history of the present.” And in this context Venice would significantly appear as
an ideal peripheral city on the grounds of its thousand-year relations with Byzantium/Constantinople/Istanbul.
The aim of the Bîrûn project is to explore various aspects of the Ottoman classical music called maqâm that developed between the second half of 14th century
and the first half of 19th century. Without repeating extended remarks exposed in
the booklet of the previous CD, such music is: modal, microtonal, monophonic,
eterophonic, and based on complex rhythmic cycles. A peculiar trait in the history of Ottoman classical music is the abundance of musical notation systems and,
therefore, a large number of compositions transmitted from the past.
The compositions presented in this CD, selected by Kudsi Erguner, artistic director of the project, enlighten the peculiar contribute of Armenian musicians
to Ottoman music in a period between 18th and 20th centuries. According to the
tradition, the compositions are proposed in a suite ( fasıl) form with improvised
interludes (taqsîm). In order to facilitate the singers, musicians played in kız register, in which the note rast is equivalent to the Western “A”.
Far from the historical and museum approach to the repertoire, elsewhere so
current nowadays, the maturity of the young soloists, as well as the number and
the quality of the applications received, seems to testify how this music is still alive
and beloved. In this sense, apart from the scientific and artistic project, the compositions here proposed can be intended simply as a new form of musical pleasure
for all of us, listeners and musicians.
Giovanni De Zorzi, Giovanni Giuriati
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  1) Kurdî Peşrev (30/8) (Murad Çelebî, XVII secolo)
  2) Bayati Araban Taksîm (Michalis Kouloumis, violino; Tristan Driessens, ’ûd)
  3) Bayati Araban Beste (120/4) (musica Hampartzum Limonciyan, 1768-1839; testo attribuito allo stesso compositore)
  4) Beyatî Taksîm (Giovanni De Zorzi, flauto ney)
  5) Beyatî Peşrev (8/8) (Artiki Candan Terziyan, 1885-1948)
  6) Beyatî Saz Semâîsi (10/8) (Neyzen Oskiyan, 1780-1870)
  7) Hicaz Evsat Şarkı (26/4) (Nikoğos Ağa Melkoyan, 1830-1890; testo Karaoğlan, 16061679)
  8) Hicaz Evsat Şarkı (26/4) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943; testo Avram
Naum, 1878-1947)
  9) Hicaz Aksak Şarkı (9/8) (composizione e testo di Udî Hırant Kenkulian, o Kenkiloğlu,
1901-1978)
10) Hicaz Curcuna Şarkı (10/16) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943; testo Orhan
Seyfi Orhon, 1890-1972)
11) H
icaz Sengin Semâî (6/4) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943; testo Süleyman
Nazif, 1870- 1927)
12) Hisar Buselik Taksîm (Kudsi Erguner, flauto ney; Michalis Cholevas viella yayli tanbûr)
13) Hisar Buselik Beste (32/4) (Hampartzum Limonciyan, 1768-1839; testo Enderunlu Osman
Vasif 1824)
14) N
ihavend Taksîm (Issa Nessim Golitzen Farajaje, liuto tanbûr; Panagiotis Poulos, liuto
lavta)
15) N
ihavend Curcuna Şarkı (10/16) (Kemani Serkis Sucuyan Efendi, 1885-1944; testo attribuito al compositore stesso)
16) N
ihavend Aksak Şarkı (9/8) (Artiki Candan Terziyan 1885-1948; testo Mustafa Nafiz Irmak 1904-1975)
17) K
urdili Hicazkâr Taksîm (Caner Can, cetra su tavola pizzicata qanûn)
18) K
urdili Hicazkâr Ağir Aksak Şarkı (9/4) (Tatyos Enkserciyan Efendi 1858-1913; testo
attribuito al compositore stesso)
19) Kurdili Hicazkâr Curcuna Şarkı (10/16) (Asdik Ağa, Asadur Hamamciyan, 1846-1912;
testo di Nigdeli Hikmet bey (1848-1916)
20) Kurdili Hicazkâr Sofyan Şarkı (4/4) (Manok Ağa Manokyan 1850-1902; testo attribuito
al compositore stesso)
21) K
urdili Hicazkâr Saz Semâîsi (10/8) (Tatyos Enkserciyan Efendi, 1858-1913)
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  1) Kurdî Peşrev (30/8) (Murad Çelebî, 17th century)
  2) Bayati Araban Taksîm (Michalis Kouloumis, violino; Tristan Driessens, ’ûd)
  3) Bayati Araban Beste (120/4) (music by Hampartzum Limonciyan, 1768-1839; the text is
attributed to the composer)
  4) Beyatî Taksîm (Giovanni De Zorzi, ney)
  5) Beyatî Peşrev (8/8) (Artiki Candan Terziyan, 1885-1948)
  6) Beyatî Saz Semâîsi (10/8) (Neyzen Oskiyan, 1780-1870)
  7) Hicaz Evsat Şarkı (26/4) (Nikoğos Ağa Melkoyan, 1830-1890; text by Karaoğlan, 1606-1679)
  8) Hicaz Evsat Şarkı (26/4) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943; text by Avram
Naum, 1878-1947)
  9) Hicaz Aksak Şarkı (9/8) (composition and text by Udî Hırant Kenkulian, or Kenkiloğlu,
1901-1978)
10) Hicaz Curcuna Şarkı (10/16) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943; text by
Orhan Seyfi Orhon, 1890-1972)
11) H
icaz Sengin Semâî (6/4) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943; text by Süleyman Nazif, 1870- 1927)
12) Hisar Buselik Taksîm (Kudsi Erguner, ney; Michalis Cholevas yayli tanbûr – bowed longnecked lute)
13) Hisar Buselik Beste (32/4) (Hampartzum Limonciyan, 1768-1839; text by Enderunlu
Osman Vasif 1824)
14) N
ihavend Taksîm (Issa Nessim Golitzen Farajaje, liuto tanbûr; Panagiotis Poulos, lavta
– lute)
15) N
ihavend Curcuna Şarkı (10/16) (Kemani Serkis Sucuyan Efendi, 1885-1944; text attributed to the composer)
16) N
ihavend Aksak Şarkı (9/8) (Artiki Candan Terziyan 1885-1948; text by Mustafa Nafiz
Irmak 1904-1975)
17) K
urdili Hicazkâr Taksîm (Caner Can, qanûn)
18) K
urdili Hicazkâr Ağir Aksak Şarkı (9/4) (Tatyos Enkserciyan Efendi 1858-1913; text attributed to the composer)
19) Kurdili Hicazkâr Curcuna Şarkı (10/16) (Asdik Ağa, Asadur Hamamciyan, 1846-1912;
text by Nigdeli Hikmet bey (1848-1916)
20) Kurdili Hicazkâr Sofyan Şarkı (4/4) (Manok Ağa Manokyan 1850-1902; text attributed
to the composer)
21) K
urdili Hicazkâr Saz Semâîsi (10/8) (Tatyos Enkserciyan Efendi, 1858-1913)
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COMPOSITORI ARMENI NELLA MUSICA OTTOMANA
La musica armena
La musica del popolo armeno, così come quella d’altri popoli, si è sviluppata in stretta relazione con le diverse civiltà con le quali ha condiviso una storia. L’Armenia, in particolare, per la sua posizione geografica
incuneata tra il nord della Mesopotamia e il sud del Caucaso, fu sempre
ambita dagli imperi che la circondavano: dai Bizantini, dai Sassanidi, dagli
Omayyadi, dai grandi Selgiuchidi, dai Selgiuchidi d’Anatolia, dai Mongoli,
dai Mamlûk, dagli Ottomani, dai Safavidi e, infine, dalla Russia e dall’Unione Sovietica che governarono questa regione sino agli anni 1990.
Il progetto Bîrûn, che ho avuto l’onore di creare con il sostegno della
Fondazione Giorgio Cini e di Giovanni De Zorzi, ha come tema quello
di esplorare i repertori che fanno parte dell’eredità ottomana: in questo
progetto si colloca l’edizione di Bîrûn che si tenne nell’aprile 2013, interamente dedicata ai compositori armeni della musica classica ottomana.
Per comprendere la diversità delle musiche considerate armene, sembra
necessaria una ricognizione di carattere generale sul vasto panorama di
queste musiche.
La musica liturgica armena
Anak, principe dei Parti in fuga dai Sassanidi, si rifugiò alla corte del
re armeno Tiridate II, ma, per un motivo che non conosciamo, assassinò
il re. Questi, prima di morire, riuscì a condannare a morte Anak e tutta la
sua famiglia. Solo il figlio Gregorio (Kirkor) riuscì a sfuggire alla condanna
rifugiandosi in Cappadocia, dove si convertì al cristianesimo. Più tardi,
Kirkor ritornò a corte da Tiridate III, ossia il figlio di colui che suo padre
aveva assassinato. Riconosciuto, egli fu immediatamente gettato in priBâbâ Hampartzum Limonciyan (1768-1839)
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gione dove languì per decine d’anni. Tempo dopo il re s’ammalò e i saggi
di corte, incapaci di curarlo, gli consigliarono allora di graziare Kirkor: in
virtù di questa grazia, ecco che il re guarì miracolosamente. Per questo nel
301 il re Tiridate III e tutto il suo popolo si convertirono al cristianesimo,
e l’Armenia divenne così il primo stato di fede cristiana, confessando un
particolare tipo di cristianesimo detto Apostolico, distinto da quello Ortodosso e Cattolico.
Benché la musica liturgica armena, come altre che risuonano nell’area,
si basi sul sistema modale, essa si distingue dalla musica liturgica di altri
cristiani dell’oriente ortodosso, o siriaco. Nel corso della storia si sviluppò
infatti un vasto repertorio di melodie che si aggiunsero al canto recitativo
dei salmi, melodie basate su otto modi musicali che vennero detti sharagan. A partire dal IX secolo d.C. una scrittura musicale di tipo neumatico
detta khaz permise poi di fissare il repertorio orale, ed è importante rilevare come quasi tutti i compositori armeni si formarono nella musica
liturgica prima d’interessarsi alla musica secolare ottomana.
Musiche armene rurali e regionali
Si tratta di musiche regionali popolari che, come si vedrà, possono essere distinte secondo le diverse regioni abitate dagli armeni.
Musiche rurali dell’Anatolia orientale e del Caucaso
Le musiche della regione detta “Grande Armenia” (Armenia Maior) interagiscono con quelle di altre genti che vivono nella regione, ossia con le
musiche popolari dell’Anatolia orientale, dell’Azerbaijan, della Georgia e
dell’Iran. Gli strumenti musicali utilizzati sono gli stessi, come la cetra su
tavola pizzicata qanûn, la cetra su tavola percossa santûr, la viella kemençe,
i liuti a manico lungo târ e saz, il liuto a manico corto ’ûd, gli oboi zurna
e duduk (detto balaban in Turchia e in Azerbaijan). Sin dall’indipendenza
dell’Armenia dall’ex URSS, un simile ricco repertorio è considerato come
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musica nazionale folklorica armena. Spesso, però, circolano nell’area melodie comuni con testi in lingue differenti, che hanno dato vita a dispute di
carattere nazionalistico. È, ad esempio, il caso del canto di nozze detto in
turco e in azerî Sari Gelin (“La sposa bionda”), che in armeno diviene Sari
Aghjik e che ha portato a reciproche accuse di plagio.
Le musiche della “Piccola Armenia”
In seguito all’invasione dei Selgiuchidi dopo la vittoria della battaglia
di Malazgirt (o Menzikert) nel 1071, e la conseguente disfatta dell’impero
bizantino, gli armeni fuggirono verso la Cilicia dove diedero vita ad un reame detto “Piccola Armenia” (Armenia Minor) che durò sino all’invasione
dei Mamlûk del 1375. Come nel caso delle tradizioni musicali sud-anatoliche, anche la musica armena di Cilicia è influenzata dalla tradizione araba, in particolare da quella siriana e palestinese. La regione dei monti del
Tauro, poi, è spesso popolata da musulmani sciiti detti ’alevi. I trovatori
armeni detti ashugh composero non solo in lingua armena ma anche in
turco, in kurdo, in persiano accompagnandosi sul liuto saz, proprio come
dei cantori ’alevi.
Le musiche armene di Isfahan, “nuova Julfa”
Nel 1604, durante la guerra che oppose gli imperi Ottomano e Safavide, Shah Abbas fece incendiare le città armene d’Anatolia - in particolare
la città di Jolf - in modo da lasciare terra bruciata in mano al nemico. Dopo
di che egli portò con sé decine di migliaia di armeni ad Isfahan, capitale
della dinastia Safavide, i quali si installarono in un quartiere che ribattezzarono “nuova Julfa”: ebbene, questa città divenne un grande centro
nel quale gli armeni condivisero con i persiani la stessa cultura musicale
e letteraria.
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Le musiche europee e polifoniche
I primi influssi occidentali risalgono all’inizio del XVI secolo, con l’attività dei missionari Gesuiti che miravano alla conversione degli armeni al
cattolicesimo. Nonostante le proteste presso la Sublime Porta del patriarcato greco ortodosso e di quello armeno, e nonostante gli avvertimenti
dati dallo stesso gran vizir del sultano all’ambasciatore francese, sin dal
XVII secolo molti armeni si convertirono progressivamente al cattolicesimo e si posero sotto l’autorità spirituale del Papa cattolico. Conversioni
simili non erano solo di tipo religioso, ma segnavano anche un radicale cambiamento civile e musicale verso un modello di evoluzione e progresso considerato necessario. Nel momento stesso in cui si accelerava il
declino dell’impero Ottomano, molte élites orientali iniziavano a riporre
nell’Europa del XVIII la speranza di una nuova civiltà. Un movimento di
modernizzazione nacque dalla trascrizione e dall’arrangiamento del repertorio musicale rurale – ora detto “folklorico” – in chiave occidentale.
Ad Istanbul, così come nell’Armenia sovietica, apparvero dunque compositori quali Alexandre Isfendiyaryan (1871-1928) (allievo di Rimski Korsakov), Komitas (1869-1935), Edgard Ohanesyan (m. 1930 ), Tigran Çuhaciyan (1837-1898), Aram Haçaturyan (1903-1978) che offrirono i migliori
esempi di questa riscrittura del patrimonio popolare e composero opere
originali di musica classica occidentale. Un simile repertorio è considerato oggi come musica nazionale d’Armenia.
Le musiche classiche del mondo ottomano
Sia turchi che armeni incontrarono la civiltà islamica nell’VIII secolo
d.C. con l’invasione degli Omayyadi. Diverse tribù turche si convertirono
poi all’Islam e diedero vita a potenti dinastie che giunsero ad amministrare imperi vastissimi, i quali comprendevano sia genti islamiche che di altre fedi. Gli Ottomani, in particolare, si avvicendarono ai Selgiuchidi e dal
XIII sino al XIX secolo ripresero e vivificarono la civiltà islamica. Dopo
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la conquista di Costantinopoli nel 1453, il sultano ottomano Mehmet II
Fatih (“il conquistatore”) volle popolare la nuova capitale con abitanti provenienti da tutte le regioni dell’impero, spesso di diverse fedi religiose.
Egli sollecitò quindi non solo musulmani ma anche ebrei, greci ortodossi
e armeni a installarsi in città proclamandosi protettore di tutti i popoli e
delle loro diverse religioni, creando il patriarcato ortodosso e, nel 1461, il
patriarcato Apostolico armeno d’Istanbul. Sino alla fine dell’impero ottomano, il patriarcato armeno rappresentò non soltanto la sua comunità ma
anche quelle delle chiese Monofisita, Copta, Siriaca ed Etiope.
Com’è nel destino di tutti gli imperi, così anche il declino di quello
ottomano fu doloroso: a ben vedere, già all’inizio del XVII secolo le sue
disfatte militari e i suoi debiti economici denunciavano una situazione
di crisi. Di fronte a questa irrimediabile decadenza, tre correnti politiche sperarono di apportare una soluzione che guarisse quello che già nel
XVIII secolo lo Zar di Russia chiamava: “l’uomo malato”. Vediamole più
da vicino:
• Il nazionalismo ottomano sperava di riunire tutti i popoli dell’impero
senza distinzioni di etnia o di religione. Si doveva esser fieri d’essere
sudditi del Sultano o, più semplicemente, d’essere ottomani (osmanlı).
Secondo questa corrente, però, il sultano doveva accettare una costituzione secondo il modello inglese.
• Secondo il panislamismo, il Sultano, oltre ad essere a capo dell’impero,
era soprattutto il Califfo e l’Emiro di tutti i musulmani. Questa corrente mirava ad un’unificazione di tutti i musulmani sulle terre ottomane.
Un simile ideale fu particolarmente influente durante il regno del sultano Abdülhamid (1876-1909).
• Per il panturchismo la dinastia ottomana era innanzitutto e soprattutto turca. Si noti come l’Europa stessa, dal canto suo, chiamasse tutti i
musulmani “i turchi” e come per lungo tempo gli occidentali abbiano
immaginato che l’impero ottomano fosse composto in gran parte da
turchi. Come molti altri movimenti sciovinisti, tutto ciò che era positi15
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vo era turco mentre tutto ciò che era negativo era da attribuire agli altri
o alle loro nefaste influenze.
Tutte le soluzioni proposte da queste correnti erano illusorie: non c’era
niente che poteva tenere unite le diverse genti dell’impero.
Incoraggiati da diverse nazioni europee, alcuni movimenti nazionalisti e indipendentisti diedero vita a violenti conflitti interni: la “Sublime
Porta” veniva superata da questi conflitti, orchestrati ad arte dagli inglesi
o dai francesi, e non riusciva più a gestire i vasti territori dell’impero. Il
movimento Ittihad ve Terakki (“Unione e Progresso”) affidò infine il paese
nelle mani dei tedeschi, e fu al loro fianco che l’impero entrò in guerra.
Dalle ceneri dell’impero sorsero una cinquantina di stati nazione tra i
quali la stessa moderna Repubblica di Turchia. Nessuno di questi paesi, ivi
compresa la stessa Turchia, rivendicò l’eredità dell’impero: al contrario, si
preferiva dimenticare, negare o maledire quel passato prossimo.
La questione delle origini nazionali è parte dei molti problemi irrisolti della moderna Turchia che si dice “fiera d’essere uno Stato Nazione”,
mentre i suoi territori furono caratterizzati da sempre dalla multietnicità.
Le musiche delle quali ci occupiamo in questo nostro progetto Bîrûn
sono musiche colte d’ambiente urbano sviluppatesi sui territori dell’impero ottomano. Esse erano l’espressione dei ceti letterati, colti, raffinati delle
grandi città e, in particolare, della capitale, Istanbul. Sfortunatamente,
però, sin dalla nascita della moderna Turchia una simile eredità musicale
si disgregò, perché venne considerata come non nazionale, visto che vi
avevano contribuito degli armeni, dei greci, degli arabi, dei persiani oppure dei rumeni e degli ungheresi oltre a dei “turchi”. Per motivi esattamente
opposti, tutte le genti appena nominate abbandonarono questa musica
classica considerandola come “turca”.
Essendo impossibile cancellare una simile ed immensa eredità musicale, negli anni 1940 si fu costretti ad immettere questa musica nelle
istituzioni culturali, come, ad esempio, quelle della radio nazionale o dei
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conservatori di musica. Essa, però, venne fatta rientrare nel sistema di
valori nazionali puramente turchi e la si battezzò: Turk Sanat Musikisi
(“Musica d’arte turca”). Che fare di tutti i capolavori composti da dei nonmusulmani e da dei non-turchi? La soluzione fu di considerare tutte queste come delle minoranze che avevano “servito” la musica turca.
Pure, nonostante tutto ciò, un’espressione artistica appartiene alla civiltà entro la quale essa evolve e non ad una specifica etnia: è riduttivo
considerare le opere di compositori di musica classica ottomana come
opere “turche”, “armene”, “greche” in virtù dell’etnia di appartenenza del
loro autore. L’arte della musica deve moltissimo agli armeni non solo per
il magnifico repertorio ma anche per la capacità di trasmissione orale e
scritta delle opere; e non erano solo grandi compositori ed interpreti ma
anche liutai e costruttori di strumenti senza rivali.
Se si considerano gli avvenimenti storici degli inizi del XVIII secolo, si
può notare come in quel periodo l’impero ottomano fosse in guerra con
Venezia, la Russia, l’Austria, la Francia, la Persia: nonostante ciò, la capitale viveva una stagione di fioritura artistica detta Lale Devri (“L’epoca
del tulipano”) che terminò con una rivolta popolare nel 1730. Fu solo con
il sultano Selim III (1761-1808), celebre compositore, suonatore di flauto
ney e di liuto tanbûr, che l’arte della musica riprese un nuovo slancio ma
purtroppo fu anch’egli vittima d’una rivolta popolare.
Fin dagli inizi del XVIII secolo la storia ci trasmette nomi di compositori armeni e di capolavori da loro composti nel condiviso linguaggio
musicale ottomano, soprattutto nella forma dello şarkı. In quanto genere formale poetico lo şarkı esisteva sin dal XV secolo (per influenza del
türkü, genere tipico della poesia popolare anatolica) ma è solo a partire
dagli inizi del XIX secolo che questa forma poetica “leggera” viene adottata dalla musica classica ottomana, sostituendo le quartine dette murabbâ.
In questo stesso periodo, il violino eurocolto entra a far parte degli ensembles di musica classica e la musica della corte ottomana cessa di essere una
musica estremamente sofisticata, riservata ai pochi eletti in grado di ap17
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prezzarla, per divenire piuttosto una raffinata “musica popolare urbana”,
ricca delle sottigliezze tipiche della tradizione del maqâm e degna d’una
metropoli come Istanbul.
Con il declino dell’impero ottomano, e il nuovo gusto estetico tutto in
favore della cultura europea, l’élite e la corte iniziarono a disinteressarsi
della musica classica e va notato come questo fenomeno avvenne proprio
mentre essa era al suo apogeo.
Per i ricercatori occidentali d’oggi è spesso difficile riconoscere come,
in diverse città del mondo, popolazioni diverse abbiano condiviso una
stessa cultura e identiche forme artistiche, che vanno considerate come
“musica classica” e non “etnica” o “folklorica”. Il nostro intento, qui, non è
di fare dell’ ”etnomusicologia” quanto piuttosto di riportare alla luce delle
opere preziose che fanno parte dell’eredità immateriale non solo d’un popolo ma dell’umanità intera.
Le fasıl classiche
La prassi di un concerto a corte era quella di accomunare forme compositive diverse fra loro in un unico modo musicale (maqâm) e di dar vita
così ad una suite di brani che veniva detta fasıl.
Una fasıl inizia con un taksîm (improvvisazione strumentale non misurata) che introduce ed esplora il modo musicale della suite fasıl che
evolve poi come segue:
- peşrev (“preludio”);
- kâr (“opera, lavoro”) genere vocale e strumentale nel quale i versi erano
sempre composti in lingua persiana, lingua letteraria dell’area;
- kârçe (“piccolo kâr”) più breve e di forma ridotta;
- murabbâ (“quartine”). Questa forma dal XVIII secolo fu detta beste
(“legamento, attaccamento”) e consistette nella fissazione d’una melodia o di una composizione ad un particolare ciclo ritmico (soprattutto
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cicli quali leng fahte 10/4, fahte 20/4, çenber 24/4, devr-i kebir 28/4 hafif
32/4 e muhammes 32/4).
Si concludeva qui la prima sezione della suite fasıl composta di opere
incardinate su ampi e complessi cicli ritmici. Dopo una pausa con un canto non misurato e improvvisato detto gazel iniziava la seconda parte della
suite fasıl, che riuniva tra loro diverse forme di semâî composte su cicli
ritmici costituiti da elementi binari e ternari.
- aksak semâî (“semâî zoppo”) su ciclo ritmico in 10/8 che nella sua versione più lenta, in 10/4, veniva detto ağir aksak semâî (lett. “lento semâî
zoppo”)
- sengin semâî (“semâî della pietra”) in 6/2;
- yürük semâî (“semâî degli yürük”) in 6/4 o in 6/8;
- saz semâisi (“semâî strumentale”) brano, appunto, esclusivamente
strumentale con una parte in 10/8 seguita da una sezione in 6/8 o in
10/16.
Su questo ritmo movimentato il semâî strumentale terminava la suite
fasıl.
A questo modello complessivo ci si è ispirati per il programma del nostro concerto e, di conseguenza, di questo CD.
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I SINGOLI BRANI: GENERI E COMPOSITORI
1) KURDÎ PEŞREV (30/8) (Murad Çelebî, XVII secolo)
Allo stato attuale delle nostre conoscenze questo preludio strumentale
composto in maqam (“modo”) kurdî è la composizione più antica attribuita ad un armeno. Tra i secoli XVI e XVII, infatti, i notabili armeni venivano detti Çelebî, il che ci fa ipotizzare che questo peşrev (“preludio”) sia
stato composto da un armeno vissuto in quell’epoca. In particolare, questa composizione ci giunge dal principe Dimitrie Cantemir (1673-1723)
che la trascrisse e la inserì nel suo trattato Kitab-i ilmü’l mûsikî alâ vech’il
hurufât (“Libro sulla scienza della musica secondo la notazione alfabetica”) composto presumibilmente intorno al 1700.
2) BAYATI ARABAN TAKSÎM (Michalis Kouloumis, violino; Tristan Driessens,
’ûd)
3) BAYATI ARABAN BESTE (120/4) (musica Hampartzum Limonciyan, 17681839; testo attribuito allo stesso compositore)
Si può considerare il violinista Hampartzum Limonciyan come il patriarca dei compositori armeni, giustamente noto anche come Bâba (“padre”) Hampartzum. Egli si formò nella tradizione della musica liturgica
con Kirkor Kabaskalyan (1736-1808) ma frequentò anche diversi tekke, ossia i centri dei dervisci mevlevî, più noti in Occidente come “dervisci rotanti”, e fu allievo del celebre compositore mevlevî İsmail Dede Efendi (17781846). In seguito divenne baş mugannî (“cantore principale”) della chiesa di
Meryem Ana. Egli soprattutto perfezionò e popolarizzò una scrittura musicale di tipo neumatico che era già utilizzata dagli armeni, e sino a tempi
molto recenti tutti i musicisti classici utilizzarono questo tipo di scrittura
che porta il suo nome, l’Hampartzum notası. Va rilevato come una gran
parte della musica ottomana ci sia giunta proprio grazie alle trascrizioni
fatte da Hampartzum e da coloro che ne usarono il sistema di scrittura.
Sfortunatamente, però, i sei leggendari quaderni di musica trascritti dalle
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sue stesse mani sono scomparsi. Qui abbiamo interpretato quest’opera maestosa come vuole la tradizione, ossia sul grande ciclo ritmico detto zencir
in 120/4.1 Il testo, attribuito allo stesso Hampartzum, recita:
Dilâ nihâl-i emel sanma râyegân açılır
Hezâr nâle eder, gonceler nihân açılır
Açılsa düğme-i zerrin, görünse sine-i yâr
Güruh-u ehl-i dile san der-i cihan açılır
Quell’ansimo estremo, mio cuore, non dirlo un gratùito sbocciare,
Fra mille travagli, è la rosa che schiva si schiude, nell’ansia,
Se un bottone dorato si slaccia, e rivela l’argento del petto d’amico,
È del mondo che s’apre una breccia, diresti, per l’orda dei cuori turbati.
4) BEYATÎ TAKSÎM (Giovanni De Zorzi, flauto ney)
5) BEYATÎ PEŞREV (8/8) (Artiki Candan Terziyan, 1885-1948)
Nato a Tessaloniki, dopo aver compiuto i suoi studi si stabilì a Istanbul
dove si unì all’ensemble guidato da Tatyos Eksercyan. Le sue composizioni
furono tutte dei successi popolari. Questo peşrev (“preludio”) è una delle
sue ultime opere e non ebbe occasione d’ascoltarlo, ma sembra significativo che i suoi amici musicisti lo suonassero durante la sua inumazione.
6) BEYATÎ SAZ SEMÂÎSI (10/8) (Neyzen Oskiyan, 1780-1870)
Un contemporaneo di Hampartzum fu Oskiyan Vaskiyan: suonatore di
flauto ney e di liuto tanbûr, egli fu allievo di Zeki Mehmet Ağa (1776-1846)
e di Tanbûrî Isak Fresco Monaro (m. 1814), il quale fu maestro dello stesso
sultano Selim III. Dopo un simile apprendistato, Oskiyan fu solista di ney
e di tanbûr alla corte di Mahmud II ed ebbe diversi allievi importanti: tra
tutti, i suonatori di ney Salim Bey e Bâba Raşid, punti di riferimento per
la tradizione successiva. Un suo importante allievo fu anche il maestro
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Il lettore/ascoltatore non trasecoli: nella tradizione musicale ottomana i cicli ritmici conobbero una fioritura rigogliosa
sin dai primi tempi, quando si iniziò a sommare tra loro cicli diversi arrivando a crearne di nuovi, così che attualmente essi
vanno da un minimo di 2 sino a 120 tempi e oltre, grazie a varie somme. (N.d.T.)
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della confraternita sufi rifâ’i Abdulhalim Efendi (1824-1897) che trasmise
l’insegnamento a due figure che ebbero un ruolo decisivo durante il periodo di transizione che portò alla repubblica: Suphi Ezgi (1869-1962) e
Mesut Cemil (1902-1963). Oskiyan Vaskiyan propose alla chiesa armena
di sostituire l’organo con il flauto ney, proposta che venne però rifiutata
dal Patriarcato. Sfortunatamente l’unica opera da lui composta sfuggita
all’oblio è questo saz semâîsi in maqâm beyatî.
Suite in maqâm Hicaz
7) HICAZ EVSAT ŞARKI (26/4) (Nikoğos Ağa Melkoyan, 1830-1890; testo
Karaoğlan, 1606-1679). 2
Formatosi inizialmente nell’ambito della musica liturgica armena, egli
fu poi allievo di İsmail Dede Efendi (1778-1846) e del suo primo allievo,
Dellalzâde İsmail (1797-1869). Secondo gli archivi, fu tra i cantori del tekke
mevlevî di Yenikapı. Fu anche uno dei maestri che suonavano alla corte del
sultano Abdülmecid. Sovvenzionato dal genero del sultano stesso, Damad
Ethem Paşa, trascrisse in notazione Hampartzum molte delle opere che
gli erano state insegnate da İsmail Dede e da Dellalzâde İsmail. Tra i suoi
allievi il più noto fu Ahmed Celaleddin Dede (1853-1946), che fu maestro
(sheykh) del tekke mevlevî di Pera. Sfortunatamente gran parte delle sue
opere è andata perduta. Il testo della composizione canta:
Niçin a sevdiğim niçin
Seni sevdim budur suçum
Turrelenmiş sırma saçın
Çözen benden beter olsun
Yeter olsun yeter olsun
Çok ağlattın yeter olsun
L’autore adotta la consuetudine “alla turca” che di un brano musicale segnala sin dal titolo: 1) modo; 2) ciclo ritmico nel
quale esso è composto; 3) forma; 4) espressione numerica del ciclo stesso. Nel caso particolare Hicaz (modo) Evsat (ciclo
ritmico) Şarkı (genere formale musicale, in questo specifico caso anche poetico) 26/4 (espressione del ciclo ritmico). (N.d.T)
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Ma perché, tu che amo: vuoi dirmi a che mai tanta pena
M’infliggi? È la pura passione di te questa colpa mia grave!
Chi sciogliere voglia l’intrigo di ricci sui fili di treccia dorata,
Tortura lo affligga, e un dolore più acuto lo colga del mio!
Ora basta, e ti basti il sollievo di crudo tormento a tal segno,
Tutto il pianto di me tu distilli, ora stilla di lacrima basta!
8) HICAZ EVSAT ŞARKI (26/4) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943;
testo Avram Naum, 1878-1947).
Nacque a Bursa in una famiglia di musicisti, e la bellezza della sua
voce venne riconosciuta sin dalla sua più tenera infanzia: quando venne
presentato ad Haci Arif Bey (1831-1885), noto compositore di şarkı, aveva
solo undici anni. Superata l’audizione si trasferì ad Istanbul dove fu allievo dello stesso Haci Arif Bey, di Tanbûrî Cemil Bey (1873-1916), Aziz
Dede (1840-1905) e Sevki Bey (1860-1891), divenendo presto famoso per
la bellezza della sua voce. Ognuno dei più di cento şarkı che egli compose
fu un successo al punto che è impossibile dissociare il suo nome da questo
genere poetico-musicale. Il testo di Avram Naum canta:
firkatin aldı bütün nevşe-i tâbım bu gece,
ağlamaktan yine zehroldu şarâbım bu gece.
taştı peymâne-i gâm kalmadı şekvâya mecâl,
mihverimde dolaşır leşker-i enduh-i melâl,
hep senin aşkın ile böyle harâbım bu gece.
Ogni umore di estro mi strappa, stanotte, il distacco da te,
Stanotte, alla feccia di lacrima amara è tossico il vino.
Tracima la coppa di pena, non resta più goccia di vena di lagno,
Volgo in perno a quel giro di ronda, è pattuglia di fiacca mestizia,
È sfacelo, e perenne sarà la malora fumante nel cuore, stanotte.
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9) HICAZ AKSAK ŞARKI (9/8) (composizione e testo di Udî Hırant Kenkulian, o
Kenkiloğlu, 1901-1978).
Avendo perso la vista all’età di quattro anni, il liuto ’ûd divenne il suo
compagno di vita. Dopo aver vissuto a Konya, si trasferì presto ad Istanbul
dove divenne famoso per le sue composizioni e per il suo stile sull’ ’ûd. Le
sue fortunate incisioni discografiche a 78 giri, così come i molti concerti
nella diaspora armena degli Stati Uniti, della Russia, del Libano e della
Grecia accrebbero la sua fama. Il testo da lui composto recita:
Hastayım yaşıyorum görünmez hayâliyle
Belki bir gün bir gün diye beklerim ümid ile
Çürüyor zavallı rûhum aşkının hasretiyle
Belki bir gün bir gün diye beklerim ümid ile
Son malato che vive nell’ombra di spettro che amo, fra smanie,
Forse un giorno, vaneggio, quel giorno magari... e in quell’ansia è speranza
Nel rimpianto, lo condanni a marcire d’affetto, questo misero cuore
Forse un giorno, vaneggio, quel giorno magari... e in quell’ansia è speranza.
10) HICAZ CURCUNA ŞARKI (10/16) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 18731943; testo Orhan Seyfi Orhon, 1890-1972).
Acaba şen misin kederin var mı
Ne kadar dertliyim haberin var mı
Koynunda bana da bir yerin var mı
Ne kadar yalnızım haberin var mı
Silen yok gözümden sızan yaşımı
Yollarda kaybettim can yoldaşımı
Uyusam göğsüne koyup başımı
Ne kadar yorgunum haberin var mı
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Sei felice, di grazia, oppure sei triste?
Della pena che provo per te, un sentore, ce l’hai?
Te lo tieni, per me, nell’abbraccio sul cuore, quel posto?
E un’idea che son qui, desolato, solingo, ti sfiora mai, vaga?
Nessuno che venga ed asciughi quel pianto che sgorga dirotto!
Il compagno di strada di vita sulle strade del mondo ho smarrito!
Ah, dormire potessi, sognare, la testa posata al tuo petto...
Ma tu, poi, quanto sono sfinito, alla fine, lo sai?
11) HICAZ SENGIN SEMÂÎ (6/4) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943;
testo Süleyman Nazif, 1870- 1927)
Ağyâr ile sen geşt-ü güzâr eyle çemende
Ben ağlayayım hasret ile günc-i mihende
Ey her gülüşü âleme bir gülşen-i hande
Bir gün gelecek ağlayacaksın bana sen de
Va’ pure con l’altro, svagata, tra le siepi nei prati a passeggio,
Lascia pur che io pianga da solo, nell’angolo triste, con la voglia di te che
mi strazia,
A te dico, lo sai, a te, sì, dal sorriso che è riso al roseto del mondo ridente
Anche tu, così un giorno verrà, lo vedrai, che per me piangerai.
12) HISAR BUSELIK TAKSÎM (Kudsi Erguner, flauto ney; Michalis Cholevas
viella yayli tanbûr)
13) HISAR BUSELIK BESTE (32/4) (Hampartzum Limonciyan, 1768-1839; testo
Enderunlu Osman Vasif 1824)
Kim olur zor ile maksuduna reh-yâb-ı zafer
Gelir elbette zuhûra ne ise hükm-i kader
Hakk’a tevfiz-i umûr et ne elem çek ne keder
Kıl sözüm ârif isen gûş-i kabul ile güher
Mihneti zevk etmektedir âlemde hüner
Gam-ı şâdi-i felek böyle gelir böyle gider
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Chi stravince e stravolge arrogante la meta che insegue,
Capirà che l’editto di sorte crudele lo fulmina, infine,
Un sollievo è affidarsi leggeri a Giustizia celeste,
Del mio dir fa tesoro: accogli la perla di savia parola.
Gran virtù, quella pena piegarla, degustarne il piacere, e si gira
E ritorna, quella volta gibbosa del cielo, ora greve, ora lieve
Suite in maqâm Nihavend
14) NIHAVEND TAKSÎM (Issa Nessim Golitzen Farajaje, liuto tanbûr; Panagiotis
Poulos, liuto lavta)
15) NIHAVEND CURCUNA ŞARKI (10/16) (Kemani Serkis Sucuyan Efendi,
1885-1944; testo attribuito al compositore stesso)
Nato ad Istanbul in una famiglia di musicisti, il padre fu un suonatore
di viella kemençe. Dopo essersi trasferito ad Atene nel 1930, si spostò successivamente in Francia dove lasciò questo mondo a Parigi. Un centinaio
di sue composizioni sono rimaste assai popolari. Il testo, che gli viene attribuito, canta:
Kimseye etmem şikayet ağlarım ben halime
Titrerim mücrim gibi baktıkça istikbâlime
Perde-i zûlmet çekilmiş, korkarım ikbâlime
Titrerim mücrim gibi baktıkça istikbâlime
Con nessuno mi effondo, pure piango davanti al mio stato,
Ma tremo, avvilito da colpa, quando guardo davanti,
Davanti all’oscura cortina che pende sospesa, ho paura,
Ma tremo, avvilito da colpa, quando guardo davanti.
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16) NIHAVEND AKSAK ŞARKI (9/8) (Artiki Candan Terziyan 1885-1948; testo
Mustafa Nafiz Irmak 1904-1975)
Koklasam saçlarını bu gece tâ fecre kadar
Acı duysam gözünün rengine dalsam da senin
Kanatır rûhumu mâzîde kalan hâtırâlar
Doyamam ömrüme ben kalbini çalsam da senin.
Se dalla notte all’alba respiro i crini tuoi,
Se affogo immerso a fondo nell’iride ai tuoi occhi,
Mi graffia a sangue il petto, la ruga del ricordo,
Di vita mai satollo, rubarti il cuor non basta.
Suite in maqâm Kurdili Hicazkâr
17) KURDILI HICAZKÂR TAKSÎM (Caner Can, cetra su tavola pizzicata
qanûn)
18) KURDILI HICAZKÂR AĞIR AKSAK ŞARKI (9/4) (Tatyos Enkserciyan
Efendi 1858-1913; testo attribuito al compositore stesso)
Figlio d’un cantore della chiesa armena di Ortaköy, un quartiere sul
Bosforo, egli divenne suonatore di cetra qanûn e di violino (kemân). Fu allievo di Asdik Ağa e del celebre violinista Sebuh. A sua volta, anch’egli formò diversi allievi che divennero famosi e che furono celebri compositori
dei loro tempi. Le sue composizioni strumentali (peşrev e semâî) e vocali
(soprattutto nella forma dello şarkı) vengono tutte considerate come dei
capolavori nel genere della suite fasıl. Essendo anche un poeta, egli creò
molto spesso anche i testi delle sue composizioni.
Ehli aşkın neşvegâhı kûşe-i meyhanedir
Sâkiyâ uşşâkı dilşad eyleyen peymânedir
Güft-ü guy-i âleme aldanma hep efsânedir
Sâkiyâ uşşâkı dil-şâd eyleyen peymânedir
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Il cantuccio di bettola oscura è festino radioso agli amanti,
Delibare la bolla di coppa, è un’intima gioia a chi ama, coppiere,
Sono ciance, non cascare anche tu nelle balle di effimero mondo,
Delibare la bolla di coppa, è un’intima gioia a chi ama, coppiere
19) KURDILI HICAZKÂR CURCUNA ŞARKI (10/16) (Asdik Ağa, Asadur
Hamamciyan, 1846-1912; testo di Nigdeli Hikmet bey (1848-1916)
Compositore di grande talento, nacque ad Ortaköy e apprese il canto
liturgico con Aristakes Hovhannesyan. Venne apprezzato per la bellezza
sua voce: leggenda vuole che conoscesse a memoria migliaia di brani musicali.
Hançer-i ebrûsu saplandı dile
Gamze-i fettanı verdi velvele
Bilmiyor ah halimi ölsem bile
Söyle artık gönlünü alsın ele
Mi conficca nel cuore il pugnale di ciglia,
L’occhiata assassina è stupore di torva sommossa,
Potrei morire, ahimè, ma quello come sto non lo saprebbe,
Ben venga allora, e me lo strappi, e in pugno me lo sciupi, questo cuore.
20) KURDILI HICAZKÂR SOFYAN ŞARKI (4/4) (Manok Ağa Manokyan 18501902; testo attribuito al compositore stesso)
Ben poche informazioni ci sono giunte su questo cantore: solo quattro
sue composizioni sono giunte ai giorni nostri. Tra esse questa che qui suoniamo. Va notato che il poema cantato, attribuito allo stesso Manok Ağa,
corrisponde più alle forme della poesia popolare anatolica che a quelle
della lirica di corte, così che i versi che seguono potrebbero anche rientrare nel genere detto türkü.
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Bağa girdim kamışa
Su ne yapsın yanmışa
Mevlâm sabırlar versin
Yârinden ayrılmışa
Se vagolo nei campi, sull’orma di una canna da soffiare,
Ben vana è l’acqua, ahimè, se brucio al rogo di passione,
Forza e fermezza conceder voglia il mio Signore Iddio
A chi stroncato resti, reciso e dall’amico distaccato.
21) KURDILI HICAZKÂR SAZ SEMÂÎSI (10/8) (Tatyos Enkserciyan Efendi,
1858-1913)
Essendomi ispirato alla fasıl per la scelta e la disposizione del repertorio, ho scelto di terminare il concerto - così come questa piccola suite in
maqâm Kurdili Hicazkâr - con il celeberrimo Saz Semâîsi composto da
questo famoso compositore di genio.
Kudsi Erguner
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ARMENIAN COMPOSERS OF OTTOMAN MUSIC
Armenian music
The music of the Armenian people, like that of other peoples, developed in close relationship to various different cultures with a common history. Because of its geographical position, wedged between North Mesopotamia and the South
Caucasus, Armenia was particularly coveted by the neighbouring empires: Byzantines, Sassanids, Umayyads, Great
Seljuqs, Anatolian Seljuqs, Mongols, Mamluks, Ottomans,
Safavids and, lastly, Russia and the Soviet Union, which governed the region until the 1990s.
The Bîrûn project, which I have had the honour of creating with the support of the Fondazione Giorgio Cini and
Giovanni De Zorzi, focuses on exploring the repertoires in
the Ottoman musical heritage. This is the background to the
edition of Bîrûn held in April 2013 and completely devoted to
Armenian composers of Ottoman classical music. To comprehend fully the varieties of music described as Armenian,
however, we require an historical overview.
Armenian liturgical music
In the 3rd century AD, Anak, Prince of the Parthians was
forced to flee from the Sassanids. After seeking refuge at the
court of the King of Armenia Tiridates II, for some unknown
reason he assassinated the king. Before dying, Tiridates condemned Anak and his whole family to death. Only Anak’s
son Gregory (Kirkor) managed to escape this sentence and
Tatyos Enkserciyan Efendi (1858-1913)
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found shelter in Cappadocia, where he converted to Christianity. Later,
Gregory returned to Armenia, now ruled by Tiridates III, i.e. the son of the
man whom his father had murdered. On being recognised, Gregory was
immediately thrown into prison, where he languished for tens of years.
In the meantime, however, the king fell ill and the wise men of the court,
unable to cure him, suggested that he pardon Gregory. Thanks to this pardon, the king miraculously recovered. In 301 King Tiridates III and his
whole people consequently converted to Christianity. Armenia became
the first Christian state, practising a kind of Christianity called Apostolic,
to distinguish it from the Orthodox and Catholic faiths.
Armenian liturgical music is based on the modal system, as is the music of other liturgies in the region. But it is clearly differentiated from the
liturgical music of other Eastern Orthodox or Syriac Christians. In fact
over the centuries Armenian liturgical music developed a vast repertoire
of melodies as well as recitative singing psalms, based on eight musical
modes called sharagan. From the 19th century on, a neumatic-type musical notation called khaz made it possible to write down the oral repertoire.
Significantly, almost all the Armenian composers trained in liturgical
music before also taking an interest in secular Ottoman music.
Rural and regional Armenian music
Rural and regional Armenian music was folk music and, as we will see,
may be distinguished according to the various regions inhabited by the
Armenians.
Rural music of Eastern Anatolia and the Caucasus
The music of the region called Greater Armenia (Armenia Maior)
gradually crossed over with the music of other peoples living in the area,
i.e. the folk music of Eastern Anatolia, Azerbaijan, Georgia and Persia.
They all used the same musical instruments, such as the qanûn (plucked
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box zither), the santûr (hammered box zither), the kemençe (bowed boxshaped lute), the târ and saz (long-necked lutes) ’ûd (short-necked lute),
and zurna and duduk (reed woodwind instruments; also called balaban
in Turkey and Azerbaijan). Since Armenian independence from the Soviet
Union, this rich heritage has been considered as Armenian national folk
music. Often, however, the same melodies circulate with texts in different
languages, which has led to nationalistic-type disputes. This is the case,
for example, with the wedding song called Sari Gelin (“The Fair Bride”) in
Turkish and Azeri, and Sari Aghjik (“Mountain Girl”) in Armenian, giving
rise to mutual accusations of plagiarism.
The music of “Lesser Armenia”
After the Seljuq invasions, following the victory at the Battle of Menzikert (now Malazgirt) in 1071, and the consequent collapse of the Byzantine Empire, the Armenians fled to Cilicia, where they set up the kingdom
called Lesser Armenia (Armenia Minor), which lasted until the Mamluk
invasion of 1375. As in the case of Southern Anatolian traditional music,
the Armenian music of Cilicia was also influenced by the Arab tradition,
and especially Syrian and Palestinian music. The region of the Taurus
Mountains was often inhabited by Shi’ite Muslims called ’Alevi. The Armenian troubadours, or Ashugh, composed not only in Armenian but also
in Turkish, Kurdish and Persian and accompanied themselves on the saz,
just like the ’Alevi cantors.
Armenian music of Isfahan, “New Julfa”
In 1604, during the war between the Ottoman and the Safavid empires,
Shah Abbas, the Safavid ruler, razed the Armenian cities of Anatolia –
and notably Jolfa (or Julfa) – so as to leave only burnt ground in enemy
hands. After this, he took tens of thousands of Armenians to Isfahan, the
capital of the Safavid dynasty. The Armenians settled in a quarter re-bap33
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tised “New Julfa”. This settlement eventually became a large city in which
the Armenians shared the musical and literary culture with the Persians.
European and polyphonic music
The first Western influences date back to the early 16th century and the
activities of Jesuit missionaries who were bent on converting the Armenians to Catholicism. Despite the protests made by the Greek Orthodox
and Armenian patriarchs to the Sublime Porte, and despite warnings by
the Sultan’s Grand Vizier to the French ambassador, from the 17th century
on many Armenians gradually began to convert to Catholicism and place
themselves under the spiritual leadership of the catholic pope. These conversions were not only religious in nature, but marked a radical civil and
musical change towards a model of development and progress deemed
to be inevitable. At a time when the Ottoman Empire was declining fast,
many Eastern elites began to place their hopes for a new civilisation in
18th century Europe. In music a movement of modernisation arose from
the transcription and arrangement of the rural repertoire – now called
“folk” music – in a Western style. Thus both in Istanbul and Soviet Armenia we find composers like Alexandre Isfendiyaryan (1871-1928; a student
of Rimsky-Korsakov), Komitas (1869-1935), Edgard Ohanesyan (d. 1930 ),
Tigran Çuhaciyan (1837-1898) and Aram Haçaturyan (1903-1978). They
provide the best examples of this kind of rewriting of the popular heritage
and they also composed original works of Western classical music. This
repertoire is now considered to be the national music of Armenia.
The classical music of the Ottoman world
Both Turks and Armenians encountered the Islamic civilisation in the
8th century, with the Umayyad invasion. Several Turkish tribes converted
to Islam and gave rise to powerful dynasties, which eventually administered vast empires, embracing people of Islamic and other faiths. The
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Ottomans, in particular, took over from the Seljuqs and from the 13th to
the 19th-century revived and developed Islamic culture. After the fall of
Constantinople in 1453, the Ottoman Sultan Mehmet II Fatih (the “Conqueror”) wished to people his new capital with inhabitants from all the
regions of the empire, often of different religious faiths. He encouraged
not only Muslims but also Jews, Orthodox Greeks and Armenians to settle in the city as he proclaimed himself the protector of all peoples and all
the different religions. He thus create the Orthodox Patriarchate and, in
1461, the Armenian Apostolic Patriarchate in Istanbul. Until the end of
the Ottoman Empire, the Armenian Patriarchate represented not only its
own community but also the Monophysite, Coptic, Syriac and Ethiopian
Churches.
As is the destiny of all empires, the Ottoman Empire declined in a
painful agony. On closer examination, already in the early 17th century
its military defeats and economic debts pointed to a situation of crisis.
Faced with inevitable decline, three political movements hoped to offer a
solution that would cure what a Russian tsar described as “the sick man”
as early as the 18th century. Let’s briefly look at these movements and what
they proposed:
• Ottoman nationalists hoped to reunite all the peoples of the empire
with no distinctions between ethnic groups or religions. The only requisite was pride in being subjects of the Sultan, or more simply, Ottomans (osmanlı). According to this movement, however, the sultan
should accept a constitution along the lines of the British model.
• Pan-Islamists saw the sultan not only as the head of the empire but primarily as the caliph and emir of all Muslims. This movement aimed to
unite all Muslims in Ottoman territories. The Pan-Islamist ideal was
particularly influential during the reign of Sultan Abdul Hamid (18761909).
• For the Pan-Turkish movement, on the other hand, the Ottoman dynasty was above all Turkish. Significantly, at that time in Europe all
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Muslims were called “Turks” and the West imagined that the Ottoman
Empire was mainly made up of Turks. Like others forms of chauvinism, this movement believed everything positive was Turkish, while
everything negative was attributed to others and their evil influence.
All the solutions put forward by these movements were actually
i­llusory. Nothing could hold together the very different peoples in the
­empire.
Encouraged by various European nations, some nationalist and separatist movements gave rise to violent domestic conflicts: the Sublime Porte
was by-passed in these conflicts, artfully orchestrated by the British and
the French, and it lost control over the vast territories of the empire. The
Ittihad ve Terakki (“Union and Progress”) movement eventually placed
the country in German hands, and it was at their side that the empire
entered the First World War.
From the ashes of the empire around fifty nation states arose, including
the modern Republic of Turkey. None of these countries, not even Turkey
itself, claimed the imperial heritage. On the contrary, they preferred to
forget, deny or curse the recent past.
The question of national origins is bound up with most of the unresolved
issues in modern Turkey, which claims to be “proud to be a nation state”,
while its territories have always been characterised by multi-ethnicity.
The music in our Bîrûn project is art music from an urban environment
that developed in the territories of the Ottoman Empire. It was an expression of the refined educated, literary classes in large cities and especially
the capital Istanbul. Unfortunately, with the creation of modern Turkey
this kind of musical heritage was dispersed, because it was not considered
the new national music, given that there had been contributions to it from
Armenians, Greeks, Arabs, Persian or even Romanians and Hungarians as
well as Turks. For exactly the opposite reasons, all of these peoples abandoned Ottoman classical music because they considered it to be Turkish.
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Since it would have been a crime to lose such an immense musical
heritage, in the 1940s compositions began to be preserved by cultural institutions, such as the national radio or the music conservatories. It was
included, however, in the system of purely Turkish national values and
baptised: Turk Sanat Musikisi (“Turkish Art Music”). But what was to
be done with all the masterpieces composed by non-Muslims and nonTurks? The solution was to consider them as minorities who had in some
way “served” Turkish music.
But, despite all this, an art form belongs to the civilisation in which it
has evolved and not to a specific ethnic group. It is reductive to consider the works by Ottoman classical composers as Turkish, Armenian, or
Greek according to the ethnic group of the composer. The art of music
owes a great deal to the Armenians because of their magnificent repertoire and also for their capacity to transmit their works in oral and written
form. Moreover, they were not only great composers and performers but
also unrivalled instrument makers.
In the early 18th century the Ottoman Empire was at war with Venice, Russia, Austria, France and Persia. Nonetheless, the capital enjoyed
a flourishing artistic season called the Lâle Devri (“Tulip Period”), which
ended with a popular uprising in 1730. It was only under Sultan Selim III
(1761-1808), a celebrated composer who played the ney (obliquely held rim
blown flute) and tanbûr (long-necked lute), that the art of music was given
a new lease of life. But this revival also eventually ended as the victim of
a popular uprising.
From the early 18th century on, the names of Armenian composers
and masterpieces composed in the common Ottoman musical language,
especially in the form of the şarkı, have come down to us. As a poetic
genre, the şarkı had existed since the 15th century (through the influence
of the türkü, a typical genre of Anatolian popular poetry). But it was only
in the 19th century that this “light” poetic form was adopted by Ottoman
classical music, to replace the quatrain called the murabbâ. At the same
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time the Western classical violin became part of Ottoman classical music
ensembles, and court music ceased to be an extremely sophisticated music, reserved for an elite of connoisseurs. Now it became a refined “urban
popular music”, full of the typical subtleties of the maqâm tradition and
worthy of a metropolis like Istanbul.
With the decline of the Ottoman Empire and the advent of a new aesthetic taste that looked to European culture, the elite and the court began
to lose interest in Ottoman classical music and paradoxically this happened when the phenomenon was at its apogee.
Today for Western researchers it is difficult to recognise how in various
world cities different populations shared the same culture and identical
artistic forms, which should be considered “classical” music and not “ethnic” or “folk” music. Our aim here is not to engage in ethnomusicology but
rather to bring back to light precious works that are part of the intangible
heritage not only of one people but of the whole of humanity.
Classical fasıl
In court concerts the practice was to bring together different compositional forms in a single musical mode (maqâm) and so give rise to the suite
of pieces called the fasıl.
A fasıl begins with a taksîm (unmeasured instrumental improvisation)
to introduce and explore its musical mode, which is developed as follows:
- peşrev (“prelude”);
- kâr (“work”) a vocal and instrumental genre in which the lines of verse
are always composed in Persian, the literary language of the area;
- kârçe (“short kâr”) a shorter or reduced form;
- murabbâ (“quatrain”). Since the 18th century this form has been known
as the beste (“tie, attachment”) and consists in establishing a melody or
composition with a specific rhythmic cycle (especially cycles such as
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leng fahte 10/4, fahte 20/4, çenber 24/4, devr-i kebir 28/4 hafif 32/4 and
muhammes 32/4).
This piece ends the first section of the fasıl, which is made up of works
grounded in long, complex rhythmic cycles. After a pause with an unmeasured improvised song called the gazel, the second section of the fasıl
begins. It brings together various forms of semâî composed in rhythmic
cycles made up of binary and tertiary elements:
- aksak semâî (“lame” semâî ) in a rhythmic cycle in 10/8, which in its
slower version in 10/4 is called ağir aksak semâî (“slow lame” semâî );
- sengin semâî (“stone” semâî ) in 6/2;
- yürük semâî (semâî “of the Yuruks”) in 6/4 or 6/8;
- saz semâisi (“instrumental”semâî) an instrumental piece with a part in
10/8 followed by section in 6/8 or 10/16.
The fasıl ends with this fast-rhythm instrumental semâî.
We based the programme of our concert, and therefore also the CD, on
this overall model.
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INDIVIDUAL PIECES: GENRES AND COMPOSERS
1) KURDÎ PEŞREV (30/8) (Murad Çelebî, 17th century)
In the current state of knowledge, this instrumental prelude composed
in maqâm kurdî ( “Kurd mode”) is the earliest composition attributed to
an Armenian. Between the 16th and 17th centuries, the Armenian notables were called Çelebî, which suggests that this peşrev (“prelude”) was
composed by an Armenian living at that time. This composition came
down to us thanks to Prince Dimitrie Cantemir (1673-1723), who transcribed it and included it in his treatise Kitab-i ilmü’l mûsikî alâ vech’il
hurufât (“Book of the Science of Music According to Alphabetic Notation”) thought to have been written around 1700.
2) BAYATI ARABAN TAKSÎM (Michalis Kouloumis, violin; Tristan Driessens, ’ûd)
3) BAYATI ARABAN BESTE (120/4) (music by Hampartzum Limonciyan, 17681839; the text is attributed to the composer)
We can consider the violinist Hampartzum Limonciyan as the founding father among Armenian composers, significantly also known as Bâba
(“Father”) Hampartzum. He trained in the liturgical music tradition with
Kirkor Kabaskalyan (1736-1808) but also attended various tekke, that is the
centres of the Mevlevî Dervishes, better known in the West as the “Whirling Dervishes”; he was also a student of the celebrated Mevlevî composer
İsmail Dede Efendi (1778-1846). He subsequently became a baş mugannî (“principal cantor”) in the church of Meryem Ana. He was famed for
having perfected and made popular a neumatic-type musical notation that
was already being used by the Armenians. Until very recently all classical musicians adopted this kind of notation, which bears his name: the
Hampartzum notası. A good deal of Ottoman music has come down to
us thanks to transcriptions made by Hampartzum and others who used
this system of writing. Unfortunately, however, six legendary notebooks of
music transcribed by his own hand have been lost. Here we played this ma40
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jestic work in the traditional way, that is with a long rhythmic cycle called
zencir in 120/4 time. Attributed to Hampartzum, the text goes as follows:
1
Dilâ nihâl-i emel sanma râyegân açılır
Hezâr nâle eder, gonceler nihân açılır
Açılsa düğme-i zerrin, görünse sine-i yâr
Güruh-u ehl-i dile san der-i cihan açılır
That last gasp, my heart, do not call it a gratuitous flowering,
Among a thousand torments, the rose modestly blooms, anxious,
If a gilded bottom is undone to reveal the silver of my friend’s breast,
A breach opens in the world, you’d say, for the horde of distraught hearts.
4) BEYATÎ TAKSÎM (Giovanni De Zorzi, ney)
5) BEYATÎ PEŞREV (8/8) (Artiki Candan Terziyan, 1885-1948)
Born in Thessaloniki, Artiki Candan Terziyan completed his studies
and settled in Istanbul, where he joined the ensemble led by Tatyos Eksercyan. His compositions were all very popular. This peşrev (“prelude”)
is one of his last works. He never heard it, but significantly his musician
friends performed it at his funeral.
6) BEYATÎ SAZ SEMÂÎSI (10/8) (Neyzen Oskiyan, 1780-1870)
A contemporary of Hampartzum, Oskiyan Vaskiyan played the ney
and tanbûr. He was a student of Zeki Mehmet Ağa (1776-1846) and Tanbûrî Isak Fresco Monaro (d. 1814), who was also the master of Sultan
Selim III. After training, Oskiyan was a soloist on the ney and tanbûr at
the court of Mahmud II. He was a master to various important students,
such as ney players Salim Bey and Bâba Raşid, who set the standard for the
subsequent tradition. Another important student of his was the master of
the Rifâ’i Sufi confraternity Abdulhalim Efendi (1824-1897), who in turn
taught two musicians who played an important role during the period of
1
The reader/listener should not be overawed: in the Ottoman music tradition rhythmic cycles proliferated from the earliest
times, when various cycles were summed to create new ones; at present they range from a minimum of 2 to over
120 times, through various sums. (N.d.T.)
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transition that led up to the creation of the Turkish republic: Suphi Ezgi
(1869-1962) and Mesut Cemil (1902-1963). Oskiyan Vaskiyan suggested
that the Armenian church should replace the organ with the ney, but this
idea was rejected by the patriarchate. Unfortunately, the only work by him
that has not been lost is this saz semâîsi in maqâm beyatî.
Suite in Maqâm Hicaz
7) HICAZ EVSAT ŞARKI (26/4) (Nikoğos Ağa Melkoyan, 1830-1890; text by
Karaoğlan, 1606-1679). 2
Having initially trained in Armenian liturgical music circles, Nikoğos
Ağa Melkoyan became a student of İsmail Dede Efendi (1778-1846) and of
the latter’s first student, Dellalzâde İsmail (1797-1869). According to archive sources, he was one of the cantors in the Mevlevî Tekke at Yenikapı.
He was also one of the masters who played at the court of Sultan Abdülmecid. Sponsored by the Sultan’s son-in-law, Damad Ethem Paşa, he
transcribed into Hampartzum notation many of the works that he had
learned from İsmail Dede and Dellalzâde İsmail. His most celebrated student was Ahmed Celaleddin Dede (1853-1946), who was master (sheykh)
of the Mevlevî Tekke at Pera (Beyoğlu). Unfortunately most of his works
have been lost. The text of the composition is as follows:
Niçin a sevdiğim niçin
Seni sevdim budur suçum
Turrelenmiş sırma saçın
Çözen benden beter olsun
Yeter olsun yeter olsun
Çok ağlattın yeter olsun
2
The composer adopts the Turkish-style convention whereby the title already mentions: 1) the mode; 2) rhythmic cycle in
which it is composed; 3) the form; and 4) the numerical expression of the cycle time. In this particular case: Hicaz (mode)
Evsat (rhythmic cycle) Şarkı (formal musical genre, here also a poetic genre) 26/4 (time of the rhythmic cycle).
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O why, you whom I love: will you tell me why you afflict me
with so much suffering? My only great fault is pure love for you!
May anyone wishing to disentangle the curls on your golden tress’s threads
be afflicted by torture and suffering more acute than that which I feel!
But enough, and the relief from crude torment at that sign is enough for
you,
You distil all my weeping, now enough of those beading tears!
8) HICAZ EVSAT ŞARKI (26/4) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943;
text by Avram Naum, 1878-1947).
Born into a family of musicians at Bursa, Bimen Sen had a beautiful
voice that was noticed when was very young. At the age of only eleven, he
was presented to Haci Arif Bey (1831-1885), a well-known composer of
şarkı. Having passed the audition, he moved to Istanbul, where he studied
with several teachers – Haci Arif Bey, Tanbûrî Cemil Bey (1873-1916), Aziz
Dede (1840-1905) and Sevki Bey (1860-1891) – and he was soon renowned
because of his marvellous voice. Each of the over one hundred şarkı that
he composed was so popular that his name became indelibly associated
with this poetic-musical genre. Avram Naum’s text goes as follows:
firkatin aldı bütün nevşe-i tâbım bu gece,
ağlamaktan yine zehroldu şarâbım bu gece.
taştı peymâne-i gâm kalmadı şekvâya mecâl,
mihverimde dolaşır leşker-i enduh-i melâl,
hep senin aşkın ile böyle harâbım bu gece.
Leaving you has ripped away all feelings of inspiration tonight,
Wine is poison to the dregs of bitter tears tonight,
Suffering’s cup overflows, no drops of lament’s vein are left,
I pivot round doing the rounds, a patrol of feeble pettiness,
Everything falls apart, and the smoking ruin in my heart perennial,
tonight.
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9) HICAZ AKSAK ŞARKI (9/8) (composition and text by Udî Hırant Kenkulian, or
Kenkiloğlu, 1901-1978).
Having lost his sight at the age of four, Udî Hırant Kenkulian made
the‘ûd (short-necked lute) his life companion. After living in Konya, he
move to Istanbul, where he became renowned for his compositions and
his style on the‘ûd. His fame grew considerably thanks to his very popular
recordings on LPs and his concerts for members of the Armenian Diaspora in the United States, Russia, Lebanon and Greece. The text that he
wrote runs as follows:
Hastayım yaşıyorum görünmez hayâliyle
Belki bir gün bir gün diye beklerim ümid ile
Çürüyor zavallı rûhum aşkının hasretiyle
Belki bir gün bir gün diye beklerim ümid ile
I’m sick as I live in the shadow of the spectre that I love, in yearnings,
Perhaps one day, I rave, that day maybe… and in that eagerness is hope,
In regretting, you condemn this wretched heart to rot in affection,
Perhaps one day, I rave, that day maybe… and in that eagerness is hope.
10) HICAZ CURCUNA ŞARKI (10/16) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 18731943; text by Orhan Seyfi Orhon, 1890-1972).
Acaba şen misin kederin var mı
Ne kadar dertliyim haberin var mı
Koynunda bana da bir yerin var mı
Ne kadar yalnızım haberin var mı
Silen yok gözümden sızan yaşımı
Yollarda kaybettim can yoldaşımı
Uyusam göğsüne koyup başımı
Ne kadar yorgunum haberin var mı
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Are you happy, through grace, or are you sad?
Have you an inkling of the suffering I feel for you?
Do you keep that place for me in the heart’s embrace?
And does the idea that I’m here, desolate, lonely, ever occur to you, you tramp?
No one comes to dry the tears of that fit of uncontrollable weeping!
I’ve lost my companion on the road of life on the roads of the world!
O that could I sleep, dream, with my head resting on your breast…
But you, then, do you realise in the end just how exhausted I am?
11) HICAZ SENGIN SEMÂÎ (6/4) (Bimen Sen “Bimen Der Gazaryan”, 1873-1943;
text by Süleyman Nazif, 1870- 1927)
Ağyâr ile sen geşt-ü güzâr eyle çemende
Ben ağlayayım hasret ile günc-i mihende
Ey her gülüşü âleme bir gülşen-i hande
Bir gün gelecek ağlayacaksın bana sen de
Go walk with the other if you like, day-dreamer, among the hedges on the lawns,
Let me weep alone in this desolate corner, overwrought by my desire for you.
I say it to you, you with your smile, your laugh at the smiling world’s rose garden
For you, too, the day will come when, you will see, you will weep for me.
12) HISAR BUSELIK TAKSÎM (Kudsi Erguner, ney; Michalis Cholevas, yayli
tanbûr – bowed long-necked lute)
13) HISAR BUSELIK BESTE (32/4) (Hampartzum Limonciyan, 1768-1839; text
by Enderunlu Osman Vasif 1824)
Kim olur zor ile maksuduna reh-yâb-ı zafer
Gelir elbette zuhûra ne ise hükm-i kader
Hakk’a tevfiz-i umûr et ne elem çek ne keder
Kıl sözüm ârif isen gûş-i kabul ile güher
Mihneti zevk etmektedir âlemde hüner
Gam-ı şâdi-i felek böyle gelir böyle gider
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He who arrogantly overwhelms and crushes his prey,
Will see that cruel fate’s edict will ultimately strike him down.
It is a relief to place trust willingly in celestial Justice,
Treasure my discourse and gather the pearls of wise words.
Great virtue, bend that suffering, savour the pleasure and the sky’s
Humpback vault turns round and returns, now heavy, now light.
Suite in Maqâm Nihavend
14) NIHAVEND TAKSÎM ( Issa Nessim Golitzen Farajaje, tanbûr; Panagiotis
Poulos, lavta – lute)
15) NIHAVEND CURCUNA ŞARKI (10/16) (Kemani Serkis Sucuyan Efendi,
1885-1944; text attributed to the composer).
Kemani Serkis Sucuyan Efendi was born into a family of musicians in
Istanbul; his father played the kemençe (bowed box-shaped lute). After
moving to Athens in 1930, he then settled in France and eventually died
in Paris. Around a hundred of his compositions have survived and are still
very popular. Attributed to the composer, the text runs as follows:
Kimseye etmem şikayet ağlarım ben halime
Titrerim mücrim gibi baktıkça istikbâlime
Perde-i zûlmet çekilmiş, korkarım ikbâlime
Titrerim mücrim gibi baktıkça istikbâlime
I pour out my heart to no one, I weep at my own state,
But I tremble, guilt-ridden, when I look ahead,
Before the hanging dark curtain, I am afraid,
But I tremble, guilt-ridden, when I look ahead.
16) NIHAVEND AKSAK ŞARKI (9/8) (Artiki Candan Terziyan 1885-1948; text by
Mustafa Nafiz Irmak 1904-1975)
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Koklasam saçlarını bu gece tâ fecre kadar
Acı duysam gözünün rengine dalsam da senin
Kanatır rûhumu mâzîde kalan hâtırâlar
Doyamam ömrüme ben kalbini çalsam da senin.
If I breathe your flowing locks from dusk to dawn,
If I drown immersed in the depths of your eyes’ irises,
The wrinkle of memory scratches blood from my chest,
Stealing your heart is not enough for this insatiable life.
Suite in Maqâm Kurdili Hicazkâr
17) KURDILI HICAZKÂR TAKSÎM (Caner Can, qanûn)
18) KURDILI HICAZKÂR AĞIR AKSAK ŞARKI (9/4) (Tatyos Enkserciyan
Efendi 1858-1913; text attributed to the composer).
The son of a cantor in the Armenian church of Ortaköy, a quarter on
the Bosporus, Tatyos Enkserciyan Efendi played the qanûn (plucked box
zither) and the kemân (violin). He was a student of Asdik Ağa and the celebrated violinist Sebuh. He in turn taught several students, who became
celebrated composers of the next generation. His instrumental compositions (peşrev and semâî) and vocal works (mainly in the şarkı form) are all
considered masterpieces in the genre of the fasıl. Since was also a poet, he
often wrote the texts for his own compositions.
Ehli aşkın neşvegâhı kûşe-i meyhanedir
Sâkiyâ uşşâkı dilşad eyleyen peymânedir
Güft-ü guy-i âleme aldanma hep efsânedir
Sâkiyâ uşşâkı dil-şâd eyleyen peymânedir
The dim corner in the squalid tavern is a splendid feast for those in love,
Savouring the cup’s bubbles is an intimate joy for lovers, cupbearer,
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It’s all drivel, don’t you too fall for the nonsense of the ephemeral world,
Savouring the cup’s bubbles is an intimate joy for lovers, cupbearer.
19) KURDILI HICAZKÂR CURCUNA ŞARKI (10/16) (Asdik Ağa, Asadur
Hamamciyan, 1846-1912; text by Nigdeli Hikmet bey (1848-1916)
This very talented composer was born at Ortaköy and learned liturgical
singing from Aristakes Hovhannesyan. He was greatly acclaimed for the
beauty of his voice. He is said to have known thousands of pieces of music
off by heart.
Hançer-i ebrûsu saplandı dile
Gamze-i fettanı verdi velvele
Bilmiyor ah halimi ölsem bile
Söyle artık gönlünü alsın ele
He plunges his cherry dagger deep into my heart,
His murderous glance shows wonder of glaring rebellion,
I could die, alas, but what I am now he would never know,
So much the better, let him tear it out, and crush to pulp, this heart.
20) KURDILI HICAZKÂR SOFYAN ŞARKI (4/4) (Manok Ağa Manokyan 18501902; text attributed to the composer).
Very little information has come down to us about this cantor and only
four of his compositions have survived to the present day. They include the
one we play here. The poem set to music, also attributed to Manok Ağa,
is nearer to forms of Anatolian popular poetry than to court lyrical verse.
These lines could thus be classed in the genre called türkü.
Bağa girdim kamışa
Su ne yapsın yanmışa
Mevlâm sabırlar versin
Yârinden ayrılmışa
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If I wander through fields, in search of a reed to blow into,
Water will be utterly useless, alas, if I burn at the stake of passion,
O that my Lord God grant great strength and resoluteness
to one who is struck down, cut off and separated from his friend.
21) KURDILI HICAZKÂR SAZ SEMÂÎSI (10/8) (Tatyos Enkserciyan Efendi,
1858-1913).
Since I was inspired by the fasıl in choosing and arranging this selection, I wished to end the concert – and also this little suite in maqâm
Kurdili Hicazkâr – with the very famous saz semâîsi written by this celebrated, ingenious composer.
Kudsi Erguner
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ENSEMBLE BÎRÛN 2013
Kudsi Erguner (1952) flauto ney e direzione musicale, proviene da una
famiglia di celebri solisti di questo strumento, quali il nonno Süleyman
(1902-1953) e il padre Ulvi (1924-1974). Nelle oltre centodieci registrazioni pubblicate in quarant’anni di carriera, Erguner ha esplorato vari aspetti
della tradizione musicale ottomano-turca, alternandoli a progetti inediti
che lo hanno portato ad addentrarsi in nuovi territori musicali, a dialogare
con solisti di altre culture musicali, oppure a collaborare con esponenti di altre arti quali Peter Brook, Bob Wilson, Carolyn Carlson, Maurice
Béjart, Marco Ferreri. Solista e compositore musicale di fama mondiale,
è anche autore di diversi scritti di carattere musicologico, autobiografico
e filosofico.
Caner Can (1992) ha iniziato a suonare il kanûn nel 2002, a dieci anni, nel
contesto e con il supporto della sua famiglia. Ha poi studiato ad İstanbul
all’İTU Turkish Music State Conservatory. Svolge un’intensa vita performativa che lo porta a suonare concerti secolari e cerimonie mevlevî in
diverse parti del mondo: Algeria, India, Svizzera, Macedonia, Turchia e…
Italia.
Michalis Cholevas (1977) viella yayli tanbûr. Michalis è un musicista
greco che suona il flauto ney e la viella yayli tanbûr. Ha studiato musica
ottomana con Kudsi Erguner e Ömer Erdoğdular. È attualmente direttore
del Dipartimento di Musica Anatolica e Ottomana del Conservatorio del
Codarts di Rotterdam.
Giovanni De Zorzi (1964). Suona il flauto ney, strumento che ha studiato
principalmente con Kudsi Erguner. Alla ricerca di informazioni sul ney
e sul suo mondo ha iniziato un percorso di studio nell’etnomusicologia
che lo ha portato a conseguire laurea, DÉA e dottorato di ricerca (PhD)
in questa disciplina. Dal dicembre 2011 è ricercatore di etnomusicologia
all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia. È autore di numerose pubblicazioni musicologiche su temi di area ottomana, persiana e centroasiatica.
Organizza diversi eventi culturali. Svolge attività musicale come solista o
con l’Ensemble Marâghî.
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Tristan Driessens (1982) ha studiato liuto ’ûd ad Istanbul sotto la direzione
di Necati Celik. Ha conseguito un master in Musicologia e uno in liuto ’ûd
della tradizione turca. Nel 2011 ha fondato il Lâmekân Ensemble interamente dedicato alle tradizioni musicali basate su sistema del maqâm ottomano.
Miguel Hiroshi Garcia (1984) è uno spagnolo poli percussionista. Ha studiato diverse tradizioni del mondo mediterraneo, americano ed asiatico.
Diplomato in percussioni al Conservatorio del Codarts di Rotterdam, Miguel fa parte di diversi gruppi di World Music, come l’Ensemble Lingua
Franca, Merope e Mujer-Klorica.
Issa Nessim Golitzen Farajaje (1995). Sin dai cinque anni di età è stato
immerso nella musica sufi e ottomana: i genitori lo hanno introdotto all’ascolto di artisti quali Kani Karaca, Necdet Yaşar, Kudsi Erguner e Nusrat
Fateh Ali Khan. Ha formalmente iniziato lo studio della musica a dieci
anni, e studia attualmente il liuto a manico lungo tanbûr sotto la guida del
maestro Özer Özel ad Istanbul.
Michalis Kouloumis (1984) è un rinomato violinista greco specializzato
nelle musiche tradizionali e classiche del Mediterraneo orientale. Ha conseguito un diploma in “Violin Performance in Ottoman Art music” presso
il Conservatorio del Codarts di Rotterdam. Attualmente vive a Londra.
Panagiotis Poulos (1977) suona il liuto a manico corto lavta e il liuto a
manico lungo saz. È docente al Department of Turkish and Modern Asian
Studies dell’Università di Atene Athens e le sue ricerche vertono sulla storia della musica e delle arti del mondo ottomano/turco.
Deniz Seltuğ (1988) sta studiando al Turkish Music Department Master
Programme della Facoltà di Scienze Sociali dell’Università di Haliç. I suoi
studi musicali sono iniziati nel 2002 e da allora ha partecipato a vari concerti come solista accompagnata da diversi ensembles.
Nevin Şahin-Malko (1985) ha iniziato ad occuparsi di musica tradizionale ottomano turca all’inizio dei suoi studi universitari e sta attualmente
scrivendo la sua tesi di dottorato (PhD) in Sociologia della musica. Suona
percussioni tradizionali in diversi ensembles di musica ottomano-turca,
medievale e popolare delle regioni anatoliche e balcaniche.
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ENSEMBLE BÎRÛN 2013
Kudsi Erguner (1952), ney and musical director, comes from a family of
celebrated ney soloists, including his grandfather Süleyman (1902-1953)
and his father Ulvi (1924-1974). In over 110 recordings made in his forty-year career, Erguner has explored various aspects of traditional Ottoman Turkish music and at the same time has pursued innovative projects.
They have led him to work in new musical territories and dialogue with
soloists from other musical cultures or collaborate with stage directors
and choreographers, such as Peter Brook, Bob Wilson, Carolyn Carlson,
Maurice Béjart and Marco Ferreri. An internationally renowned soloist
composer, he is also the author of various musicological, philosophical
and autobiographical writings.
Caner Can (1992) began playing the kanûn in 2002, at the age of ten in
a supportive family setting. He then studied at İTU Turkish Music State
Conservatory, İstanbul. He has busy career as a performer playing in secular concerts and Mevlevî ceremonies in various parts of the world: Algeria, India, Switzerland, Macedonia, Turkey and… Italy.
Michalis Cholevas (1977) yayli tanbûr (bowed long-necked lute). Michalis is a Greek musician who plays the ney and yayli tanbûr. He has studied
Ottoman music with Kudsi Erguner and Ömer Erdoğdular. He is currently director of the Department of Anatolia and Ottoman Music at Codarts,
Rotterdam.
Giovanni De Zorzi (1964) plays the ney, which he has mainly studied with
Kudsi Erguner. The search for information about the ney and its world
induced him to study ethnomusicology, which has led to a degree, DÉA
and Ph.D. in the subject. Since December 2011 he has been a ethnomusicology researcher at Ca’ Foscari University, Venice. He is the author of
numerous musicological publications on themes in the Ottoman, Persian
and Central Asian areas. As a musician, he performs as a soloist or with
the Ensemble Marâghî.
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Tristan Driessens (1982) studied the ’ûd in Istanbul under the direction
of Necati Celik. He has master’s degrees in musicology and the ’ûd in the
Turkish tradition. In 2011 he founded the Lâmekân Ensemble, which is
entirely devoted to musical traditions based on the Ottoman maqâm.
Miguel Hiroshi Garcia (1984) is a Spanish multi-percussionist. He has
studied various traditions in the Mediterranean, America and Asia. A
graduate in percussion from Codarts, Rotterdam, he is a member of various World Music groups, such as Ensemble Lingua Franca, Merope and
Mujer-Klorica.
Issa Nessim Golitzen Farajaje (1995). From the age of five he has been
immersed in Sufi and Ottoman music: his parents encouraged him to listen to performances by artists such as Kani Karaca, Necdet Yaşar, Kudsi
Erguner and Nusrat Fateh Ali Khan. He began formal music studies at the
age of ten and currently studies the tanbûr under the guidance of Özer
Özel in Istanbul.
Michalis Kouloumis (1984) is a renowned Greek violinist, specialised in
traditional and classical music of the Eastern Mediterranean. He has a
diploma in “Violin Performance in Ottoman Art Music” from Codarts,
Rotterdam and currently lives in London.
Panagiotis Poulos (1977) plays both the lavta and the saz. He is a lecturer in the Department of Turkish and Modern Asian Studies at the University of Athens, and his research interests include the history of music and
arts in the Ottoman/Turkish world.
Deniz Seltuğ (1988) is currently doing the Turkish Music Department
Masters Programme in the Faculty of Social Sciences at the University of
Haliç. He began music studies in 2002 and since then has performed in
several concerts as a soloist accompanied by various ensembles.
Nevin Şahin-Malko (1985) began taking an interest in traditional Ottoman Turkish music at the beginning of his university studies and is currently writing a Ph.D. thesis on the sociology of music. He plays traditional percussion in various ensembles of Ottoman-Turkish, Mediaeval and
Popular music from the Anatolian and Balkan regions.
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COMPOSITORI ARMENI NELLA MUSICA CLASSICA OTTOMANA
ARMENIAN COMPOSERS OF CLASSIC OTTOMAN MUSIC
Ensemble Bîrûn
Kudsi Erguner flauto ney, direzione musicale ney (obliquely held rim-blown flute), musical director
Caner Can
cetra su tavola pizzicata kanûn kanûn (plucked box zither)
Michalis Cholevas
viella yayli tanbûr yayli tanbûr (bowed long-necked lute)
Giovanni De Zorzi
flauto ney ney (obliquely held rim-blown flute)
Tristan Driessens
liuto a manico corto ’ûd ’ûd (short-necked lute)
Miguel Hiroshi Garcia
percussioni percussions
Issa Nessim Golitzen Farajaje
liuto a manico lungo tanbûr tanbûr (long-necked lute)
Michalis Kouloumis
violino kemân kemân (violin)
Panagiotis Poulos
liuto lavta lavta (lute)
Deniz Seltuğ
voce voice
Nevin Şahin-Malkoç
voce, percussioni voice, percussions
Registrazioni e master audio / Recording and audio mastering Davide Bonsi (Fondazione Scuola
di San Giorgio)
Traduzione italiana / Italian translation Giovanni De Zorzi
Traduzione inglese / English translation David Kerr
Traduzione dei versi dall’ottomano turco / Ottoman-Turkish translation Giampiero Bellingeri
Grafica e impaginazione roberto grillo
Stampa Primeoffset. Udine
ISBN 978-886163120-5
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CD BN 490
Serie diretta da Valter Colle
© ℗ 2014
P.O. BOX 187
33100 UDINE
tel. +39 0432 582001
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intersezioni MUSICALI CD IM 02
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