Prete, perché? Ogni sacerdote si è sentito rivolgere questa domanda, tante volte nella vita. La risposta? È come chiedere perché il mistero, perché il sacerdote è lui stesso mistero a se stesso. A un prete non chiedete tanto chi sei, ma se sei contento di esserlo, anzi, guardate voi stessi se è contento, non tanto nelle sue parole quanto nella sua vita, capirete meglio di ogni spiegazione chi è il sacerdote. Poi domandategli come sei diventato sacerdote, vi capiterà di ascoltare tante storie quanti sono i preti. Domanderete, e tu come sei diventato sacerdote? Mi fa piacere raccontarvelo, sia per un atto di gratitudine a quanti, e sono tanti, hanno contribuito alla realizzazione del mio ideale di vita, sia per elevare l’inno di lode e di ringraziamento, con parole povere e inadeguate, all’amore gratuito di Dio che passando per Maria si è fatto materno. In ogni storia c’è un inizio e un contesto, si sa quando comincia, dove comincia. Non so quando è cominciata la mia, perché Dio è entrato nella mia storia in maniera quasi impercettibile, non in maniera violenta. Il luogo? Forse il seno di mia madre, tanto è stato tutto naturale. Naturale, non facile. Anche le difficoltà, non poche e non lievi, hanno fatto parte del naturale processo di avvicinamento alla meta che da Ideale è andato assumendo fattezze, lineamenti e volto umani: Gesù Cristo, nella sua Chiesa. Tutto accadde in un preciso contesto storico e geografico: nacqui a Giungano, piccolo paese ai confini del Cilento, il 23 ottobre 1932 ( di domenica mentre suonava la messa cantata, mi raccontava mia madre), primo di tre fratelli, mentre imperversavano per l’Europa le ideologie che tinsero di sangue il mondo. Dieci anni dopo, il rumore della guerra si fece più vicino e sulle nostre teste correvano le rotte dei bombardieri alleati con destinazione Napoli e dintorni. In un paesino come il mio e come tanti, non erano tempi facili per ragazzi che avevano voglia di studio, costava troppo. Il desiderio di andare in Seminario diventava un sogno destinato a infrangersi sul nascere per l’impossibilità di far fronte alle spese di libri, retta e altre esigenze. E se non possiamo pagare? Era la preoccupazione dei miei genitori (quando la dignità, l’onestà e il Santo Timore di Dio orientavano le scelte della vita). I miei maestri incoraggiavano i miei genitori perché continuassi a studiare. Un incontro di mio padre con il parroco fece cadere le ultime preoccupazioni e prevalse la fiducia nella Provvidenza e nello spirito di sacrificio. Dopo la quinta elementare rimanevano due mesi per gli esami di ammissione, necessari per entrare in Seminario. Agropoli, dove sostenni gli esami, vive nel ricordo come un fatto accaduto ieri e lontano come un sogno. Quella esperienza è rimasta sempre legata a Mimì Guarino, il maestro che mi mise in condizione di affrontare con successo gli esami e con il quale rimasi amico per il resto della vita e rimane ancora presente nella mente. Preparare il corredo, richiesto dal Regolamento del Seminario, fu più difficile che preparare, in un paio di mesi, gli esami di ammissione: come procurare due paia di scarpe, quanto uno costava già notevoli sacrifici? Una coperta leggera e una pesante? etc. Le scarpe, da usare nei giorni festivi, si adattarono ai miei piedi quelle di mio padre, una coperta la recuperammo dai soldati americani, accampati vicino al paese dopo lo sbarco e intorno ai quali giravamo in quei giorni con la speranza di portare a casa qualunque cosa potesse essere utile. La coperta pesante, mia madre la ricavò accorciando la sua imbottita, fu possibile confezionare il materasso svuotando alquanto quello del letto matrimoniale dei miei genitori. Come valigia, una cassetta di munizioni militari, la tappezzai di immaginette di santi e in questa maniera le cambiai la destinazione d’uso e la personalizzai. Arrivò il giorno della partenza, lungamente atteso, l’asino non oppose resistenza, si lasciò caricare le poche masserizie e in compagnia di mio padre affrontammo la salita della montagna per prendere la coincidenza, a Trentinara, con il traìno di Ciccio Guglielmotti (detto cammaracanna). Tra sobbalzi, scossoni e polveroni, per una strada, quali erano le strade del nostro Cilento nell’immediato dopoguerra, la piccola carovana fece il suo ingresso a Vallo. Ma iniziamo daccapo. La mia famiglia Quante, troppe, discussioni, dibattiti e conferenze intorno alla famiglia e ai modelli che sociologi, antropologi e studiosi di costume propongono per una società, dicono, evoluta. La mia non è stata una famiglia di intellettuali, né dell’alta o della media borghesia, ma della più pura e nobile società contadina. Paolo e Giuseppina, i miei genitori, dopo il loro matrimonio andarono ad abitare in una casa offerta in uso gratuito da zia Sciarella (Rosaria), sorella di mamma, lì siamo nati e vissuti tre fratelli, per circa sei anni. Sono legati a questa casa e a questo periodo i primi ricordi, quelli che si portano dentro e che non è facile raccontare, tanto sono leggeri e sfumati nell’anima: i primi Natali, i colpi d’ascia di mio padre che nell’orto preparava la legna, di ulivo, per friggere i dolci di Natale. È di questo periodo il ricordo della campana che annunziava la Benedizione Eucaristica della sera, mentre eravamo a cena. Ci raccoglievamo in silenzio, fino all’ultimo rintocco, per ricevere anche noi la benedizione del Signore. Ho avuto il dono di una famiglia naturaliter cristiana, nella quale la presenza di Dio era colta nella semplicità degli avvenimenti della vita quotidiana, come nello splendore dei giorni di festa, nel miracolo della spiga dorata, come nel candore del giglio e del cespuglio di fiori spontanei, cresciuti in campagna, vicino al pozzo. Una famiglia dove Dio quando arrivava non doveva bussare, perché la porta era sempre aperta e se decideva di deporre un seme di vocazione in quel campo, era accolto come un dono. Nel suono della campana che annunziava il giorno di festa o la partenza di un’ anima per l’eternità ascoltavamo la voce di Dio che chiamava alla preghiera. Non ho imparato molte preghiere in famiglia, ma ho respirato Dio, imparai che ho una mamma in cielo e una su questa terra, che quando una persona muore va da Gesù. Ho imparato dalla teologia familiare, prima ancora che dai trattati di filosofia e di teologia che Dio ha creato il mondo che abitiamo, con i fiori, i frutti, gli uccelli, le farfalle, gli animali e le stelle …, che è nostro Padre e si dispiace quando siamo cattivi e che bisogna fare la sua volontà. Una teologia semplice da imparare, facile da insegnare. Se Dio vuole, come Dio vuole, quando Dio vuole, con l’aiuto di Dio: è fede incarnata, fede inculturata, come si direbbe oggi. Questo vocabolario teologico essenziale ognuno lo aveva sempre a portata di mano, anzi, di lingua. Tutto era naturale eccetto per mio fratello, per il quale non era naturale che il fratello se ne andasse di casa, sia pure per andare in Seminario. A distanza di più di cinquant’ anni ricorda ancora la mia partenza da casa: mi racconta che mamma più che salutare me che partivo fu impegnata a trattenere lui per impedirgli di mettersi di traverso sull’uscio di casa o di gettarsi davanti all’asino per impedirci di partire. Questi aneddoti, per dire che la mia vocazione non è stata un colpo di fulmine, una chiamata rumorosa che cambia in un colpo la vita. Il Signore mi ha preso per mano, con la naturalezza e la delicatezza con la quale mia madre e mio padre mi accompagnavano nella vita. Certo, la mano di mio padre e di mia madre erano nelle mani di Dio il quale ci conduceva insieme nella direzione da Lui voluta. La Parrocchia La mia non è stata mai una parrocchia dove gruppi, associazioni e movimenti hanno dovuto sgomitare per ritagliarsi un proprio spazio. Lo Spirito Santo ha fatto quasi tutto da solo! L’unica Scuola Materna che ho frequentato è stata quella … fondata e gestita direttamente da mia madre. La parrocchia l’ho frequentata per il catechismo, per servire la messa, rigorosamente in latino, e per tutto quanto, tutti i ragazzini fanno in chiesa: litigare per chi deve fare il fuoco(portare l’incensiere), chi deve fare l’acqua, fare il vino etc. (porgere l’acqua e il vino al sacerdote), vocabolario ancora in uso presso i loro discendenti. Un appuntamento che non mancavo mai era la Benedizione Eucaristica serale. Mamma e papà non ostacolavano questa mia abitudine come hanno sempre assecondato le tendenze dei miei fratelli: sono stati due grandi educatori. Non ci hanno mai ostacolato, nemmeno quando, anziani, hanno avuto bisogno di noi. Noi, ognuno secondo le proprie possibilità, non li abbiamo trascurati. Tutto della chiesa mi affascinava, i giorni festivi in particolare: dalle feste della Madonna alle grandi solennità liturgiche con il clima emotivo che creavano in chiesa, in famiglia e per le strade del paese. Il Signore mi ha condotto con il ritmo della vita ordinaria verso le scelte che Lui andava preparando e che a me apparivano come normali e uniche. I parroci li ricordo con affetto e gratitudine, in modo particolare colui che mi accompagnò in Seminario: don Salvatore Bergantino. La parrocchia, in questo senso, è stata il mio preseminario, lì si è sviluppato quel seme di vocazione che il Signore aveva messo nella mia anima e che nella famiglia aveva trovato il clima favorevole per venire alla luce. Ringrazio ancora Dio per avermi dato quel tipo di famiglia, che senza determinare nessuna mia scelta, si è sentita onorata per la predilezione del Signore e ha risposto al suo amore con l’impegno e il sacrificio per accompagnarmi all’altare. Anche quando la tempesta dell’adolescenza rese meno spedito il mio cammino, mia madre fu presente con trepidazione e fortezza, senza forzature. Tutto doveva svilupparsi secondo la legge della porta stretta. Il Seminario Il Seminario rappresentò la concretizzazione dell’Ideale. Come sempre, l’Ideale è in alto, lontano, il cammino per raggiungerlo, lungo e faticoso. Avevo ancora negli occhi le immagini dello sbarco alleato sulla spiaggia di Paestum e quanto accadde nei mesi che seguirono. Tredicenne, percepivo lo stato di incertezza e di preoccupazione di quei giorni. Ai tedeschi per le vie del paese e per le campagne, subentrarono inglesi e americani. La guerra, anche se ci sfiorò soltanto, lasciò nella mia generazione l’esigenza di doversi arrangiare, la necessità di lottare contro tutte le precarietà che sempre accompagnano la guerra e il dopoguerra. Avevamo conosciuto la violenza, avevamo imparato a distinguere il rombo cupo e sinistro dei bombardieri e la fuga nei rifugi di fortuna, alla ricerca di un riparo che, a conti fatti, non garantiva niente. Importante era fuggire! Da questo ambiente partì un ragazzino di tredici anni, con i calzoni corti, di colore giallo, ricavati dal telo di un camion militare, per andare in Seminario, perché voleva farsi sacerdote. Era già la conquista di una meta. Il traguardo appariva ancora tanto lontano. Aveva inizio quella guerra personale contro gli ostacoli e le difficoltà di ogni genere alla quale, tuttavia, le circostanze ci avevano allenati: la lontananza da casa (si partiva on le prime piogge di autunno e si ritornava alla mietitura del grano), la retta da pagare in chilogrammi di fagioli, ceci e lenticchie, il piatto mai pieno, al contrario dell’orario scolastico sempre pieno, anzi prolungato. Rosa, rosae … Gallia divisa est in partes tres … cantami o diva del Pelide Achille … etc. come entrare in questo nuovo mondo? Questo periodo non fu privo di sacrifici e di ostacoli per me e per la mia famiglia, ma ero consapevole che per arrivare al traguardo bisognava superare anche queste difficoltà. Cuore di questi anni di rodaggio non era solo l’aula scolastica e lo studio: la Cappella, con la meditazione e la messa quotidiana, la visita al Santissimo Sacramento, il Santo Rosario, il mese di maggio, la vita di pietà, con il suo ritmo settimanale, erano la sorgente alla quale attingevo la dose di energia spirituale necessaria per andare avanti. Sono ancora grato a quanti in quegli anni, professori e superiori, contribuirono alla mia formazione, lo sono in modo particolare ai due padri spirituali: don Celso, fratello del vescovo, Mons. Raffaele De Giuli, e don Domenico Trappolieri i quali seppero guidarmi con delicatezza e sapienza sacerdotale. Segnarono i miei primi anni. Una grande tristezza provavo quando qualche compagno lasciava, nello stesso tempo si faceva più chiara in me la chiamata del Signore. Volli vestire, con un anno di anticipo, l’abito talare. Un secolo e mezzo prima altri tre Orlotti: Giovanni, Luca e Matteo, chiesero e ottennero di vestire lo stesso abito come inizio di un cammino che avrebbe portato anche loro al sacerdozio. Gli anni del Seminario Minore, con le difficoltà e i sacrifici che i tempi imponevano, costituirono il fondamento della formazione successiva. Niente fu inutile, tutto faceva parte di un piano provvidenziale. Il Seminario regionale Pio XI di Salerno Ricordo ancora quel primo viaggio: con l’autobus giungemmo a Piazza della Ferrovia, tirammo giù dal tetto dell’automezzo il bagaglio: materasso, un po’ di libri e quanto era necessario per le esigenze personali. Caricammo il tutto su un carrettino tirato da un uomo di mezza età, un po’ curvo, forse per il lavoro che faceva. Per raggiungere il Seminario bisognò fare il viaggio quasi tutto in salita, uno a tirare e due a spingere. A distanza di più di cinquanta anni quel periodo è ancora vivo nella memoria e carico di ricordi. Quattro anni intensi, sul piano spirituale e culturale, una vita ricca di iniziative formative rendeva la vita di Seminario di circa quattrocento giovani un laboratorio aperto alla creatività nei vari settori dove abitualmente si esprime lo spirito giovanile: dalle attività sportive alle teatrali, alle musicali. Non c’era tempo per la noia, non era possibile l’appiattimento. Una Schola Cantorum di oltre cento elementi solennizzava i tempi forti dell’anno liturgico e le varie circostanze della vita comunitaria. Mi porto ancora dentro il gusto e l’amore per il mondo classico, filosofico e letterario al quale aprirono la nostra mente maestri illuminati e non più dimenticati. Ho ripercorso, in questi giorni, quegli anni, attraverso i vari appunti di esercizi spirituali e ritiri affidati a qualche agendina. Vi colgo il fervore, la passione l’entusiasmo e le … esagerazioni giovanili. Sono, tuttavia, la testimonianza di anni vissuti ad alta tensione spirituale che segnarono positivamente la mia e la vita di centinaia di giovani. Come dimenticare tanti compagni, tutti protesi verso l’ideale che ci accomunava e ci rendeva solidali? Come vorrei raccontare la nostra giovinezza che non conosceva la tristezza, le mollezze e la superficialità e pur tra limitazioni, rinunzie e sacrifici eravamo felici. Ci bastava una partita di pallone, la preparazione di un melodramma o di una commedia, da offrire alla Comunità, un Coro nei momenti liberi dalla scuola e dallo studio, per rendere la vita varia e vivace. Rendo grazie al Signore anche di questo periodo della mia vita. La Cappella! Centro e cuore della vita spirituale e formativa per centinaia di giovani… E qui la penna non è strumento adeguato per narrare quanto è destinato a rimanere nel profondo. Una lunga schiera di sacerdoti degni e dotti hanno lasciato una traccia indelebile nella nostra formazione giovanile. Seminario Interregionale Campano – Facoltà Teologica “San Luigi” – Napoli Rimane l’ultima tappa, quella che avrebbe segnato la mia futura vita sacerdotale: Posillipo e la Facoltà Teologica “San Luigi”. L’orizzonte aperto, senza confini, fu non solo la visione che si offrì ai miei occhi dalla finestra che si apriva sull’intero golfo di Napoli, l’anima stessa si dilatava su un mondo spirituale senza confini. Quei quattro anni portano l’impronta di autentici maestri di spirito e luminari delle scienze teologiche: i cari padri Gesuiti. Ne ricordo uno per tutti: l’indimenticabile Padre Armando Gargiulo nostro Rettore. Gli appunti di questi ultimi quattro anni, raccolti in occasione di esercizi e ritiri spirituali, evidenziano una sorta di impaziente tensione in prossimità del traguardo, cadenzata dagli appuntamenti dei vari ordini sacri. In questi giorni risfoglio per l’ennesima volta le foto di gruppo dei carissimi compagni di corso. Bastano queste immagini per andare a ricordi cari, per ripercorrere la lunga strada ormai alle nostre spalle, i vuoti lasciati da chi ci guarda da lassù. La mia è la generazione cresciuta nell’amore e la devozione per la Chiesa che di lì a poco sarebbe stata investita dal vento dello Spirito con il Concilio Vaticano II. La Scuola che avevamo frequentato ci aveva saldamente ancorato alla Roccia per cui non avevamo timore di salire sulla Barca verso rotte inesplorate aperte dal Concilio. A momenti a volo radente, a volte ad alta quota, ho sorvolato un tratto di strada, cronologicamente non lunga, ma straordinariamente affollata di persone e avvenimenti che entrano nella storia della mia vocazione sacerdotale. Sabato 28 giugno 1959 – Vico Equense – stanza numero 55. Esercizi spirituali in preparazione all’ordinazione sacerdotale. Fra tredici giorni sarò tuo sacerdote, o Gesù … ti chiedo tanta fede per capire quello che stai per operare in me … dammi una volontà forte, una fede semplice, umile, serena che non si affievolisca a contatto col mondo … Sono alcuni pensieri che la penna fissò sul mio taccuino la sera del 28 giugno 1959. Il dodici luglio 1959, alle ore otto, nella cattedrale di Vallo, Mons. Biagio D’Agostino, assistito dai canonici, dava inizio alla celebrazione dell’ordinazione sacerdotale: eravamo in due, il sottoscritto e il caro compagno di Seminario don Salvatore Merola il quale, sono certo, intercede per gli amici ancora in viaggio. Il sedici luglio tornai nel mio paese per la celebrazione della prima messa. Sono ancora grato al parroco don Angelo Giulio, alle autorità del tempo e ai miei concittadini che accolsero il loro sacerdote, all’ingresso del paese con grande solennità e in processione ci recammo in chiesa per la prima messa. Riguardando le poche fotografie scopro tanti vuoti e anche tanti bambini, oggi adulti e anziani come me. È per me motivo di particolare gioia sapere che il mio paese mi ha sempre considerato presente nella Comunità, dalla quale spiritualmente non mi sono mai separato. Come potrei? Lì ha avuto inizio la mia storia umana e la mia storia sacerdotale . Un sentimento di particolare gratitudine va ai miei parenti, cugini e nipoti, i quali hanno sempre manifestato affetto e stima per il “loro” sacerdote. Chi prenderà il posto che io, prima o poi, lascerò vuoto? Seguiranno i primi quindici meravigliosi anni di sacerdozio a servizio della nostra Diocesi, nei posti dove i Vescovi mi hanno chiamato: Ospedale, Seminario, assistenza spirituale agli Istituti Femminili di Vallo, Assistente Diocesano del Movimento Maestri di Azione Cattolica. Ognuno di questi capitoli ha riempito la mia vita di giovane sacerdote. Sono grato ai miei Vescovi e ai confratelli con i quali ho condiviso, con entusiasmo giovanile, le gioie e le difficoltà di quegli anni. Il Signore è stato generoso con me, mi ha dato sempre più di quanto ho chiesto. Non tardò la prima vera prova, correva tutto fin troppo facile. Mamma si ammalò, fu la svolta, tutti i progetti furono azzerati. Avevo tanto desiderato continuare gli studi, ero riuscito a ottenere dal vescovo il permesso per l’iscrizione alla Facoltà di Filosofia all’Università di Napoli. Tutto da abbandonare. Dovetti dedicarmi alla salute di mamma che trascinò nello sconforto anche mio padre. Non era la fine, era solo la prova. Il Signore volle solo far capire che i nostri progetti è Lui che li approva. Quella prova diede un senso diverso a tutto ciò che accadde dopo. Furono anni difficili anche per la vita del Seminario, dove conclusi come Padre Spirituale. Parrocchia S. Maria a Mare 1975. Il nuovo Vescovo, Mons. Giuseppe Casale, ad un anno dal suo insediamento mi propose la parrocchia di S. Maria a Mare, a S. Maria di Castellabate. Fu la vera svolta della mia vita. La Parrocchia completa la formazione di un sacerdote e lo rende in senso pieno strumento della Misericordia di Dio e pastore del suo popolo, era l’esperienza che mi mancava. La coerenza con la mia coscienza e l’ubbidienza promessa al Vescovo il giorno dell’ordinazione mi obbligavano ad accettare. Dopo un breve periodo di riflessione, accettai. L’ubbidienza mi imponeva alcune rinunzie, una non mi costò molto: la rinunzia al Canonicato, l’altra mi costò molto: la rinunzia agli studi universitari, ormai quasi alla fine. Sono 34 anni e ringrazio la Provvidenza per i doni di grazia e di salute che mi ha concesso. Raccontare questi anni richiederebbe non un capitolo, diversi capitoli, cioè un libro. Se il Signore mi concederà il tempo necessario, ci proverò. Il bilancio di questi anni lo faranno altri, mi limito a manifestare qualche sentimento che mi ha accompagnato in questi anni. Non è mai venuta meno in me la consapevolezza della missione sacerdotale che la chiesa mi ha affidato nella Comunità. In questa luce vorrei che venissero lette e interpretate tutte le iniziative intraprese, dall’attività sportiva, all’attività culturale, dalla vita liturgica alla pietà popolare. Indirizzare, incoraggiare, correggere, guidare, e sempre con equilibrio, sapendo che è lo Spirito Santo che fa nascere la vita anche nel deserto, non è stato agevole. Questo orientamento pastorale è stato spesso motivo di resistenze e incomprensioni, o perché le iniziative andavano a turbare la quiete e i interessi di parte o perché una pregiudiziale e falsa concezione di parrocchia e di chiesa, ritenevano non pertinenti con l’attività della parrocchia certe iniziative (vedi scuola materna). Ciò solo dopo che l’assistenza all’infanzia era diventata attività renumerata. Prima, poteva anche farla la parrocchia. Far entrare nella vita della Comunità la triplice dimensione dell’Annunzio, della Celebrazione e della Testimonianza, come note distintive della sua identità, ha comportato un lavoro paziente, sofferto, spesso fallimentare, dal quale, tuttavia, mai mi sono allontanato. Sarei ingrato verso il Signore, se non riconoscessi che il riferimento costante alla dottrina della Chiesa, il rapporto rispettoso e cordiale con i miei Vescovi, il ricorso permanente all’Eucarestia e alla Madonna, mi sono sempre state fonte di serenità e di pace interiore. La certezza che i tempi di Dio non sono i nostri tempi, che le vie di Dio non sono le nostre vie, che chi feconda e fa crescere ciò che seminiamo è solo Dio, mi ha consentito di riprendere fiducia e coraggio, di continuare a sperare e a lottare anche negli umani fallimenti. Oltre la grazia di Dio, mio collaboratore fedele è stato sempre il tempo, il quale chiarisce domani ciò che è oscuro oggi, rende possibile domani ciò che non è possibile oggi. Mai ho mendicato il consenso per quieto vivere, mai ho cercato il compromesso dove la verità e la giustizia, cristianamente illuminate, mi apparivano chiare. Cara comunità di S. Maria a Mare, lo sai quanto ti sono spiritualmente grato, soprattutto per essere stato sempre esigente. Non dimentico il tuo affetto nei momenti difficili (la morte dei miei genitori nella nostra Comunità e in qualche momento di difficoltà per la mia salute), grazie per la tua generosità. Mi accorgo che sto entrando troppo nella cronaca che tutti conoscono, volevo solo manifestare ciò che era “storia” non conosciuta. Conclusioni Ho voluto raccontare con il cuore un po’ della mia vita e della mia vocazione sacerdotale, a cinquant’anni dall’inizio di quella che ancora oggi è per me una meravigliosa avventura. Voglio ringraziare quanti non ho mai conosciuto o che ho dimenticato ma hanno pregato perché diventassi sacerdote. A voi genitori vorrei dire di non programmare la vita dei vostri figli ma di preoccuparvi di scoprire, con l’aiuto dello Spirito Santo, il progetto di Dio su di loro e poi chiedere il coraggio di accompagnarli per la strada che Dio indica loro, anche quando non è quella da voi sognata. La via da non indicare mai è quella dell’arricchimento con poco sacrificio, o di far dipendere la felicità dal successo umano a buon mercato, ne fareste dei falliti e dei frustrati. A voi ragazzi, permettetemi un consiglio: non abbiate paura del Silenzio, guardatevi dentro non come vi vedono o come vi vogliono gli altri, ma come Dio vi vede e vi vuole, lasciatevi illuminare da Lui per vedere chiaro nella vostra vita, vi chiederà sempre cose grandi che a volte vi spaventeranno, non abbiate paura, se ve le chiede sarà anche accanto a voi per aiutarvi a realizzarle. Abbiate il coraggio di sottrarvi alle mode e al conformismo: così fan tutti! Sarebbe una dichiarazione di incapacità di pensare con la propria testa e la consegna della vostra fantasia, dei vostri sentimenti nelle mani di padroni senza scrupoli. Mi piace chiudere questo sfogo del cuore, con voi. In questi giorni, cinquant’anni fa stavo facendo a Vico Equense gli esercizi spirituali in preparazione alla mia ordinazione sacerdotale. Per me si realizzava il sogno della vita. Mi piace mettere il mio sogno realizzato accanto ai vostri sogni giovanili, forse appena iniziati. Metto ancora il mio e i vostri sogni nelle mani della Madonna. Pregate perché renda serena la mia sera e luminoso il vostro mattino, perché come ha condotto me conduca voi nell’avventura della vostra vocazione. Insieme a me ringraziate il Signore e per me invocate la Misericordia di Dio. S. Maria di Castellabate, 12 luglio 2009 don Luigi