Numero 56 - Ricreatorio San Michele

ALTA UOTA
Anno 13 Numero 56 edizione Dicembre 2016 – Febbraio 2017
Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005
Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro
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Tonso, Vanni Veronesi, Giulia Bonifacio, Francesco Perusin, Federica Ermacora, Francesco Pavoni, Carolina Stabile, Luca Maggio Zanon, Paolo Bearzot, Luca Visentin, Carlo Catalano.
Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa
Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 – 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org
SARÀ LA MUSICA CHE GIRA INTORNO
UN GIRO INTORNO ALLA MUSICA
RICREATORIO p. 11
zianti ed interminabili cantilene delle tribù sudamericane ai
canti gregoriani cristiani, fino ai gong ed alle voci gutturali del monaci buddhisti arroccati tra le montagne del Tibet.
Il fascino che la musica ha esercitato sull’uomo è dovuto anche al suo carattere dicotomico, alla sua facoltà di isolare ed
insieme congiungere, di porre l’individuo davanti a se stesso,
ma anche di unirlo agli altri, di creare condivisione e partecipazione, accordando le persone su una medesima frequenza e permettendo loro di esprimere un medesimo sentire.
È proprio questo antico rapporto tra uomo e musica che vogliamo indagare: l’atavica fascinazione che essa esercita su di
noi, come influisce sui nostri stati d’animo e sulle nostre azioni, come è capace di farci stare bene, il tutto immerso nella
quotidianità e nella routine. In occasione del restauro della
vecchia scuola di via Roma una parte del giornale sarà dedicata a ricordi, aneddoti e testimonianze incentrati sull’edificio delle ex elementari e su Borgo Salomon, di modo da far rivivere attraverso il racconto dei suoi abitanti una parte tanto
cara e importante di Cervignano.
◆◆ FILIPPO MEDEOT
LA NOSTRA SCUOLA p. 9
UN TUFFO NEL PASSATO p. 8
ano un vortice in cui naufragare, con cui accordarsi e fondersi, in cui perdersi e ritrovarsi, quasi a costituire una catarsi, tanto che sempre Cioran in Lacrime e santi (1937) afferma:
«Dopo aver letto tutti i filosofi più profondi sentiamo il bisogno di ricominciare da zero. Soltanto la musica ci dà risposte definitive.» Sulla musica ed il potere che esercita su di noi
si è scritta una bibliografia sterminata, inclusi studi neurologici, psichiatrici, psicologici e antropologici. Del resto è una
cosa che abbiamo esperito tutti: ascoltare un bel disco dopo
una giornata difficile e finalmente riuscire a liberare il cervello dalle preoccupazioni, assaporando un momento di tanta agognata pace. Ed è questo forse la qualità più straordinaria, il riuscire a trascendere il tempo e lo spazio creano uno
spazio altro ed un tempo altro, come una bolla in cui ci troviamo sospesi, a faccia a faccia con il proprio Io. Ascoltare
musica aiuta l’elaborazione del lutto, così come facilita la meditazione. La cadenza ritmica diventa ipnotica ed induce in
trance, quasi fosse un ponte con il divino e con l’inconscio.
Da qui il valore sacrale della musica: dalle percussioni frenetiche dell’Africa, ai dervisci rotanti dell’Anatolia, dalle stra-
DORO GJAT p. 4
EDOARDO LOVROVICH p. 2
«Sarà la musica che gira intorno / quella che non ha futuro /
sarà la musica che gira intorno / saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro». Così canta Ivano Fossati nel suo
singolo del 1983, “Sarà la musica che gira intorno”, contenuto
nell’album “Le città di frontiera”. Esprime tutta la sua esasperazione per un’ umanità che si chiude in se stessa, spaventata
da ciò che non conosce e ingabbiata in preconcetti e pregiudizi, incapace di accettare, accogliere, comprendere una cultura differente. Ed in un tempo in cui queste parole suonano più
attuali che mai, abbiamo invece deciso di parlare della musica che unisce, che scavalca i confini, le barriere, il filo spinato, che avvicina le persone e le mette in contatto. Abbiamo deciso di parlare della musica che speriamo abbia futuro.
Nella sua sconsolazione e nel suo scetticismo assoluto Emil
Cioran, il grande pensatore romeno del XX secolo, trovava
nella musica l’unico conforto all’asprezza della vita: «c’è in
me una nostalgia di qualcosa che non esiste nella vita e nemmeno nella morte, un desiderio che su questa terra niente appaga, fuorché, in certi momenti, la musica, quando evoca le
lacerazioni di un altro mondo.» Ritmo melodia armonia cre-
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LA MUSICA ATTRAVERSO LE PERSONE
LA MUSICA MI PORTA ALTROVE
EDOARDO LOVROVICH, giovane musicista cervignanese classe ’95, con già molta esperienza nella scena musicale
della bassa friulana, fondatore di numerose band quali:
The Big Brown Bag, Kick out the Elephant e The Rapsody.
Ci troviamo a parlare di musica in modo semplice ma non
banale.
–Com’è
–
nata la passione per quest’arte?
«Sono sempre stato attratto dalla musica, dalle sue sonorità, dal ritmo; ho avuto la fortuna di avere dei genitori
con dei buonissimi gusti musicali, perciò fin da piccolo
mi hanno fatto ascoltare i grandi gruppi e musicisti che
segnarono la storia della musica: Beatles, Doors, Queen
e via dicendo. All’età di dodici anni ho cominciato a studiare chitarra elettrica ed è stato un colpo di fulmine,
rimane tutt’oggi il mio strumento preferito, con il quale
riesco ad esprimere al meglio la mia musica. Mi sono anche interessato, da autodidatta, ad altri strumenti come
al pianoforte e, sull’onda delle nuove tecnologie, di cui
la mia generazione fa parte, alla musica elettronica e alla
sua composizione attraverso i vari software».
in
uotattualità
–Come
–
sono cambiati i tuoi gusti musicali da quando hai cominciato ad adesso?
«Diciamo che non sono propriamente cambiati, ascolto
ancora con una certa riverenza i classici che ho nominato
prima, perché rappresentano una sorta di cultura di base
a cui tutti si ispirano e senza la quale è quasi moralmente
scorretto fare musica. Ci sono band, cantanti e compositori che hanno dato alla musica un impatto rivoluzionario, dai suoni, al ritmo e ai testi delle loro canzoni, arrivando spesso a sfociare nello ’scandaloso’, per i loro tempi.
Ovviamente allo stesso tempo non ci si può focalizzare
solo su questi ma si deve avere una mentalità aperta che
abbracci ogni sfumatura della musica perché è un mondo
talmente variegato che non si ferma mai, è una macchina in continuo movimento, in evoluzione, mi piace per
questo sperimentare nuove sonorità provenienti da generi
diversi e integrarli al mio modo di fare musica. Ultimamente seguo il britpop e l’indie, mi piace la musica inglese,
ha un ritmo che si incastra bene tra gli accordi, in italiano
è più difficile, la nostra è una lingua più complessa».
–So
– che scrivi anche canzoni: come arriva nel tuo caso l’ispirazione?
«Arriva senza preavviso come un fiume in piena, è una
sorta di epifania, so di dovere scrivere qualcosa ma è molto difficile tradurre un’emozione in una canzone, bisogna
far incastrare diverse cose: accordi, parole, melodie e sopratutto bisogna trasmettere la sensazione di quel momento, l’emozione senza la quale la musica non è niente.
L’ispirazione può derivare, nel mio caso, da uno stato d’animo o da una esperienza personale, non so esattamente
come nasca questa sensazione di dover dire qualcosa, forse ci vuole una certa sensibilità, poi è molto importante il
padroneggiare la tecnica musicale per riuscire a tradurre i
propri sentimenti in suoni. Ci deve essere un determinato
rapporto tra capacità ’poetiche’, per la struttura del testo e
le specifiche parole, e l’abilità nel saper suonare uno strumento, tant’è che non sempre un eccellente musicista è
anche un bravo compositore e viceversa».
–Puoi
–
raccontarci qualcosa delle tue canzoni? Sono dedicate a
qualcuno in particolare?
«Con i Kick Out The Elephant abbiamo registrato due canzoni, scritte tra il 2011 e il 2013 e prodotte negli ultimi due
anni. La prima è Smoking Girl: ci troviamo in una sorta di
sogno nel quale al protagonista, la voce narrante, appaiono delle immagini, come dei lampi, di una donna provocante e aggressiva. Questa donna rimane però immersa in
una nebbia di fumo non si capisce se sia reale o sia frutto
solamente dell’immaginazione del narratore. Il ritornello
invece è il punto di massimo slancio della canzone in cui
l’amore per la donna sembra concretizzarsi, tant’è che il
protagonista è convinto che ’the night’ (’la notte’) possa
realmente calare su di loro, ma rimane comunque vago se
sia una notte romantica o una notte eterna. La seconda invece The boy with no name racconta di un ragazzo, molto
tormento che vaga in cerca della sua anima, l’anima stessa
è il suo amore, idilliaco ed evanescente, frutto della libertà
del suo sognare e chiave della sua esistenza. Questo oggetto di desiderio potrebbe renderlo immune ad ogni sofferenza e gli permetterebbe di stare al di sopra del mondo,
se solo fosse raggiungibile».
–Sono
–
canzoni con un testo molto tormentato...
–Concludiamo
–
con una domanda apparentemente banale ma forse è tutt’altro, cosa cerchi nella musica?
«Prima di tutto cerco evasione, in una vita frenetica come
quella che tutti noi abbiamo, tra i mille impegni spesso
sento il bisogno di staccare la spina. Quando ascolto musica o suono vado altrove, spazio con la mente e al tempo
stesso mi rilasso, poi quando una canzone mi fa muovere
anche solo un dito significa che mi ha preso, che mi ha
emozionato».
◆◆ FRANCESCO PERUSIN
UNA CHITARRA E DUE AMICI
Da sempre appassionato di musica in tutte le sue forme
e sfumature, NICOLA GUELI, originario di Agrigento, ci
racconta la sua ‘carriera’ da autodidatta, in cui predominano la curiosità e le sperimentazioni. Suona infatti molti
strumenti che nel corso degli anni ha acquistato nei suoi
viaggi e non, possiede anche un’invidiabile collezione di
vinili e cd di ogni sorta. Mi sento in dovere di citare un
aforisma di Albert Einstein che riassume, a mio avviso,
perfettamente il carattere da autodidatta di Nicola Gueli,
recita così: “Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso”.
–Cosa
–
cerchi nella musica? Questa tua ricerca è cambiata nel
corso degli anni?
«Quando ascolto musica mi rilasso, cerco la pace dei sensi
estraniandomi in un certo senso dalla realtà, vado altrove e mi lascio trasportare dalle note. Suonare invece per
me è diverso, lì ci si diverte. Da giovane era esattamente
come ora, la gioia e il divertimento nel suonare sono rimasti sempre quelli, forse mi manca un po’ prendere su
la chitarra, due amici ed andare a suonare e cantare le
canzoni di Battisti in Viale della Vittoria ad Agrigento
o in spiaggia attorno ad un fuoco, bastava una chitarra
e magari un mandolino ed il gioco era fatto. La musica è
nutrimento per la mente e l’anima».
–Da
– quanto tempo ha iniziato a suonare uno strumento?
«Visto l’argomento che trattiamo preferirei che ci dessimo del “tu” in quanto, a mio avviso, la musica abbatte
ogni differenza di età, di etnia e tutto quanto possa costituire una barriera tra più persone».
–Schopenhauer
–
(filosofo tedesco del XIX secolo) riteneva la musica l’arte per eccellenza, l’unica che va oltre la materia, incarnando l’essenza del pensiero e dell’esistenza, hai mai sentito o
vissuto questa universalità della musica?
–A
– seguito di questa sua richiesta riformulo la domanda: da
quanto tempo hai iniziato a suonare uno strumento?
ALTA UOTA
«Sì è vero, c’è una certa angoscia e tensione in entrambe le canzoni, la continua ricerca anche asfissiante di un
obbiettivo, di un risultato forse irraggiungibile, ma vi è
anche la prospettiva del successo, come si suol dire: “la
speranza è l’ultima a morire!”».
«Il primo strumento è stato l’armonica a bocca con la
quale ho cominciato a “giocare” all’età di 10-11 anni. È
uno strumento che suono al contrario: i bassi a destra e
gli acuti alla mia sinistra; infatti, come ben saprai, tutti gli
strumenti sono strutturati in maniera tale da avere i bassi
a sinistra e gli acuti a destra, quindi al contrario. All’epoca avevo visto un film western dove appunto si vedeva un
cowboy che suonava l’armonica e avevo focalizzato che
quando suonava le note acute, la bocca dell’interprete andava alla mia sinistra, mentre per le note basse, la bocca si
spostava alla mia destra. In tutto ciò non ho tenuto conto
dell’immagine speculare dello schermo e quindi ho imparato a suonare l’armonica al contrario. Fin da ragazzino
mi sono sempre interessato alla musica, era qualcosa che
mi affascinava; un mio zio aveva uno zufolo che suonava con grande maestria e mi perdevo nell’ascoltarlo, ero
perdutamente innamorato di quello strumento, amore
che poi scoprii essere esteso per ogni tipo di strumento
tant’è che ancora oggi ne sono attratto, tanto da portarmi
a possedere una discreta collezione di ‘giocattoli’, mi piace
chiamarli così. Compiuto 14 anni, essendo stato promosso con ottimi voti ed avendo vinto una borsa di studio,
chiesi a mio padre di regalarmi un motorino, ma gli fu
facile impresa convincermi a barattare il motorino con
una chitarra; lui aveva già capito tutto, e da li cominciai
a strimpellare con gli amici ovunque ci capitasse. Strimpello, (precisa sorridendo) non ho mai studiato musica,
mi piace dire che strimpello, per lo più ad orecchio, seguo
in un certo senso l’istinto che ho coltivato negli anni da
autodidatta in una sorta di ricerca empirica».
–Che
–
musica ascolti e come sono cambiati i tuoi gusti musicali
nel tempo?
«Io sono un grande nostalgico, da ragazzo ascoltavo i
grandi cantautori ma apprezzavo molto anche i Beatles,
i Rolling Stones, iBee Gees e tutta quella generazione di
rocchettari, ma allo stesso tempo rimanevo legato alla
mia terra non stancandomi mai delle canzoni popolari siciliane. Con il passare degli anni scoprii la passione per la
musica classica ma sopratutto per il jazz, ho avuto anche la
straordinaria fortuna di conoscere grandi musicisti come
Francesco Buzzurro, Francesco Cafiso, Pietro Adragna e
molti altri, anzi colgo l’occasione per invitarvi ad ascoltare le loro esecuzioni, reperibili su YouTube, e che riescono
a trasmettere delle emozioni e sensazioni uniche».
«Sì, certo, la musica ha qualcosa, a dir poco, di magico,
riesce a toccare forse più di ogni altra arte le ’corde’ dell’anima. Vorrei però espandere questo ragionamento anche
al mondo della natura e ai suoi suoni e perché no, melodie.
Mi spiego con un esempio. Da ragazzo abitavo vicino ad
un giardino nel quale c’era un bellissimo albero di nespole
che fungeva da ritrovo per un gran numero di uccellini e
la mattina questi cantavano tutti assieme in un gran vociare che per alcuni era solamente un infernale frastuono
mentre per me era una stupenda melodia. Mi perdevo e
cullavo immerso in questi suoni pieni di vita».
–Una
–
volta, mi raccontavano i miei nonni, si cantava di più: in
casa, in giardino, in macchina, in bicicletta e la radio era sempre
accesa... Secondo te perché si è persa questa abitudine?
«Sì è vero, dal mio punto di vista c’erano meno elementi
distrattivi, la musica era spontanea e forse più legata alla
tradizione rispetto ad oggi in cui le varie tecnologie permettono di ascoltare qualsiasi cosa in qualsiasi momento.
La musica era veramente fine a se stessa ed era compartecipazione, condivisione e gioia, non dico che al giorno d’oggi
questa spontaneità sia andata persa, ma semplicemente ha
cambiato modo di manifestarsi. È diventata un qualcosa di
più personale che si fa fatica a condividere apertamente».
◆◆ FRANCESCO PERUSIN
LA MUSICA ATTRAVERSO LE PERSONE
NUOVE FRONTIERE DELLA MUSICA
Intervista a Nicola Cossar
MANFREDI PLETTI, giovane musicista cervignanese, da
qualche anno suona come DJ, ma ha alle spalle una grande cultura classica e rock avendo frequentato il conservatorio e suonato in numerose band. Padroneggia numerosi
strumenti, un talento naturale.
–Da
– quanto tempo suoni?
«Suono da quando ho sei anni, i miei genitori mi hanno
mandato a lezioni private di pianoforte a Ruda, poi all’età
di quattordici anni ho iniziato il conservatorio di Udine
dove suonavo quasi solamente musica classica che costituisce un po’ il mio background. Ovviamente mi sono fin
da subito appassionato a qualsiasi strumento, tant’è che
da autodidatta ho imparato a suonare la chitarra, il basso
e la batteria».
–Che
–
genere di musica ascolti?
–Parlaci
–
un po’ di questa tua attività.
–Come
–
funziona il mercato discografico al giorno d’oggi?
«Io in prima persona non l’ho vissuto in maniera così
–Spesso
–
la musica elettronica è vista con dei pregiudizi: facile
da fare e un po’ finta…
«Sì, si sente dire questo, ma è una visione che hanno principalmente le persone di una certa età, che sono cresciute
con un certo tipo di musica e ora che la musica elettronica
con i suoi suoni ritmi e armonie ha avuto un massiccio impiego in ogni genere non riescono a riconoscere la qualità,
la difficoltà e l’innovazione nelle sonorità di questo genere.
Con l’arte contemporanea succede un po’ la stessa cosa,
si esprimono emozioni tramite un linguaggio nuovo al di
fuori delle solite convenzioni che siano grafiche o sonore».
◆◆ FRANCESCO PERUSIN
LA MUSICA DEVE ESSERE EMOZIONE
ALBERT MINNEY, classe 1954, è stato per anni il proprietario del negozio di dischi A.M. Music di Cervignano.
Attualmente suona per la band “Orchestra Novanta” e per
il progetto “Cinzia canta Mina”.
–Qual
–
è il tuo curriculum musicale?
Negli anni ’60, quando ero ragazzo, c’è stato un boom in
moltissimi ambiti, tra cui quello musicale. Tutti i giovani
volevano creare un gruppo per suonare ciò che più amavano. Io sono originario di Villa Vicentina e qui c’era un
maestro che ha insegnato a me e ai miei compagni le basi
per poter apprendere al meglio ed essere capaci di suonare uno strumento . A quel punto io ed i miei coetanei
abbiamo deciso di organizzare un gruppo: un modo per
divertirsi, ma soprattutto per stare in compagnia e condividere un’ulteriore esperienza assieme. Io suono il basso
elettrico, attualmente mi diletto in un gruppo chiamato
“Orchestra Novanta” e per un progetto chiamato “Cinzia
canta Mina”.
–Ascolti
–
qualsiasi tipo di musica? Che genere preferisci?
Avendo venduto dischi per una trentina d’anni, ho ascoltato quasi tutti i generi musicali e posso affermare di
amarli tutti.
–Che
–
significato ha per te la musica?
–Per
–
quanto riguarda quei “fenomeni”, tracce
che rimangono
impresse
per
qualche mese,
cosa ne pensi?
Beh, avendo
studiato economia, posso affermare che le cose più mediocri sono quelle che hanno più valore. La domanda è
qualitativamente piuttosto scarsa, quindi alle persone
non interessa un’offerta particolarmente raffinata. Nessuno oggi investe soldi per produrre musica vera o una
tipologia particolare di disco, anche perché ormai non
c’è più il mercato della musica che esisteva una volta, il
quale, anche se era contradditorio a causa dei personaggi
che lo detenevano, comunque era un elemento di traino.
–Secondo
–
te come cambierà la musica con il passare degli anni?
Io non sono ottimista. La musica comunque è legata
a tutto il resto, va calata nel contesto della vita di ogni
giorno. Per quanto riguarda gli anni che ho vissuto in
prima persona posso dire che si sono ripetuti dei cicli
fino agli anni ottanta, ma a partire dagli anni novanta,
con l’avvento delle nuove tecnologie, c’è stato un enorme
cambiamento. Perciò secondo me ci sarà una continua
perdita, ma non solo nella musica, anche nella qualità di
tutto il resto. Gli ultimi che sanno veramente qualcosa di
musica sono gli attuali quarantenni che hanno avuto un’
“educazione” in questo ambito.
–Cosa
–
pensi della musica oggi?
–Secondo
–
te c’è qualche genere che in Italia non è stato e non è
sfruttato come meriterebbe?
Secondo me oggi la musica non c’è più. Il modo di vivere
frenetico che tutti seguono ha portato ad un livellamento
in senso negativo. Il modo di poter usufruirne sta portando ad un decadimento: c’è troppa offerta e non si trova più alcun filtro, come potevo essere io quando avevo il
negozio di dischi. Oggi veniamo bombardati da numero-
Sicuramente la musica classica. L’Italia avrebbe un grandissimo patrimonio, che però non è mai stato posto allo
scoperto. Pochissime persone sono a conoscenza della
qualità della musica classica italiana, in quanto non c’è
mai stata un’adeguata educazione musicale.
◆◆ PAOLO BEARZOT
«Citando un caro amico, il brillante don Gilberto Pressacco,
“Sediamo su un baule contenente un tesoro, la nostra cultura”. Riferendoci in modo più specifico all’ambito della musica, le radici del nostro patrimonio scavano nelle profondità
del terreno culturale del Friuli. Per analizzare il loro sviluppo è però necessario creare una dicotomia tra tradizione religiosa e tradizione popolare, tra sacro e profano».
–– Quali sono le principali componenti del primo?
«Anche se oggigiorno possediamo un’esigua documentazione in merito poiché la maggior parte delle attestazioni venne
bruciata in passato, l’origine del canto sacro nella nostra regione è sicuramente collegata all’area d’influenza della Chiesa di Aquileia e in particolar modo a Cividale. San Girolamo,
soggiornando presso una comunità aquileiese di religiosi tra
il 370 e il 373 d.C., ne descrisse il coro definendolo “quasi
chorus beatorum”, “come un coro di beati”. Nell’VIII secolo il monaco cividalese Paolo Diacono compose l’“Ut queant
laxis”, inno recitato in occasione dei Vespri del 24 giugno,
ricorrenza della natività di San Giovanni Battista. Quest’opera, inizialmente conosciuta solamente in ambito liturgico,
venne resa nota nell’XI secolo da Guido d’Arezzo, che ricavò
dalla prima sillaba di ciascun verso della strofa d’apertura i
nomi delle note musicali dal Do al La. Sempre nell’VIII secolo Paolino d’Aquileia, patriarca della Chiesa aquileiese dal
787 d.C., scrisse uno degli inni tutt’oggi più conosciuti in ambito cattolico, l’“Ubi caritas”. Ad Aquileia ebbe origine anche
una primitiva forma di polifonia, il discanto. Si tratta di una
tipologia di canto a due voci: la voce grave o vox principalis,
denominata cantus firmus o tenor, e la parte acuta o vox organalis, il discantus o cantus propriamente detto. Appare di notevole rilievo agli occhi dei musicologi anche il Processionale
di Cividale, un libro del XV secolo d.C. che contiene canti
di accompagnamento per le processioni religiose. Costituisce
una raccolta d’interesse internazionale perché al suo interno
sono contenute delle composizioni drammatiche che rappresentano una delle prime manifestazioni, dopo quelle ritrovate
in Francia, del teatro in musica. La più famosa tra queste è
intitolata “Planctus Mariae”».
–Per
– quanto riguarda la musica popolare invece?
«Innanzitutto desidero sottolineare che la musica popolare rappresenta un genere diverso da quello sacro, ma non
una tipologia in contrasto con quest’ultimo; la musica scende dall’altare e si unisce ai canti e alle danze del popolo. In
quest’ambito è sicuramente degno di nota il nome di Giorgio Mainerio, nato a Parma ma vissuto a Udine nel corso
del XVI secolo: alla sua mano è attribuita la composizione
del famoso brano “Schiarazule Marazule”. Altre figure di rilievo sono personificate poi da Lazaro Valvasensi, musicista
di epoca barocca, e Arturo Zardini, artista del XIX secolo,
padre di “Stelutis Alpinis”».
–Secondo
–
Lei attualmente ci sono personaggi di rilievo all’interno
della scena musicale della nostra regione?
«Certamente! Dai cantautori che compongono in friulano,
come Lino Straulino, Aldo Giavitto, Serena Finatti, Giulia
Daici e gli FLK, gruppo di etno-rock friulano, a persone
come Davide Liani, educatore che ha ideato il gioco dell’oca
musicale per insegnare le note ai bambini. La scena musicale
in Friuli è poi coronata dal Concorso Internazionale di Canto
Corale Seghizzi che si tiene annualmente a Gorizia, dall’eccellenza del Coro Polifonico di Ruda, che nel 2008 ha vinto
le Olimpiadi dei Cori nelle categorie ‘musica sacra’, ‘folklore’, ‘cori maschili’, e dalla sorprendente bravura del Piccolo
Coro Artemia di Torviscosa, curato da Denis Monte».
◆◆ FEDERICA ERMACORA
ALTA UOTA
Da una parte è stato ed è il mio lavoro, perciò lo considero anche un elemento di compagnia. Avendo avuto un
negozio di dischi, quasi sempre avevo in sottofondo qualche melodia che mi aiutava a trascorrere più felicemente le giornate. Oggi, con l’avvento della tecnologia, per
sfruttare questa capacità della musica utilizzo strumenti
quali YouTube quando ho qualche interesse per un brano
in particolare, però essenzialmente preferisco ascoltare
musica dal vivo: è più suggestiva e mi coinvolge maggiormente. Per me la musica deve essere principalmente
emozione, deve suscitare qualcosa nell’animo. È l’unica
cosa in grado di farlo al meglio, in quanto tocca le corde
più interiori delle persone ed aiuta ad allietare la vita ed a
renderla meno stressante.
sissime offerte
che passano
senza lasciare
il segno, a cui
non
facciamo nemmeno
caso.
–Quanto
–
sono profonde
le radici della tradizione
musicale in Friuli?
uotattualità
«Sì, mi sono messo in proprio, se così si può dire, da quando mi sono trasferito a Milano per gli studi universitari.
Mi si sono aperte numerose porte tramite amicizie, conoscenze e via dicendo e sono riuscito a trovare uno spazio
per la musica producendo un paio di canzoni. È stata una
emozione unica ascoltare quest’estate una propria canzone, intitolata The Crown per una emittente radiofonica
nazionale. Ovviamente non riesco ancora a vivere di questo lavoro, è ancora una passione ma il mio sogno sarebbe
proprio quello di vivere di musica in ogni senso!».
completa, ma me ne sono fatto un idea tramite degli amici
che sono all’interno. Rispetto ad anni fa non si vendono
più tante copie fisiche ma si lavora più di tutto con gli Mp3.
Con le tecnologie odierne il fare musica è alla portata di
tutti, per cui il mercato è saturo e bisogna avere qualcosa
di diverso rispetto a tutta la concorrenza per differenziarsi
e spiccare tra la massa. Le case discografiche più che avere
un artista o un gruppo ‘sotto contratto’, come magari accadeva anni fa, preferiscono avere i diritti su singole tracce
che fanno un gran numero di visualizzazioni sui social
network, ma sono quasi sempre destinate, nel giro di pochi
mesi se non addirittura settimane, a scomparire completamente, come una sorta di moda passeggera. Ovviamente
questo discorso non è estendibile a tutte le case discografiche perché c’è ancora chi produce musica di alta qualità».
NICOLA COSSAR, originario di Perteole, si è approcciato
al giornalismo a metà degli anni ’70, quando ha iniziato a
scrivere per la sede cervignanese di Voce Isontina. Membro
dell’Ordine dei Giornalisti dal 1980, ha trascorso gran parte
della sua carriera lavorativa all’interno della redazione del
Messaggero Veneto. Data la passione che lo lega al mondo della musica da quando
ha iniziato a suonare
il pianoforte all’età di
8 anni, attualmente si
dedica alla conduzione della trasmissione
radiofonica Ispettore
Rock per l’emittente
Radio Spazio e dirige www.folkbulletin.
com, nota rivista sul
folk italiano.
in
«Sono dell’idea che non vi siano dei generi migliori degli
altri, per cui ascolto un po’ di tutto per trovare dei suoni
nuovi, che mi piacciono, in modo da poterli poi rielaborare con lo sguardo ad una futura mia produzione. Come
dicevo prima, ho ascoltato e suonato veramente tanta
musica classica, poi ho cominciato ad appassionarmi al
rock e infine alla musica elettronica che ora come ora
ascolto e suono più di ogni altra. Mi sono infatti buttato
nel mondo della produzione musicale oltre che a suonare
come dee-jay in vari club e discoteche».
LA MUSICA HA
ORIGINI FRIULANE
3
4
IL GATTO DEL NORD-EST
IL RAP MADE IN FRIULI
Nati a Tolmezzo, tra i monti della Carnia, “figli della roccia”, DORO GJAT, DEK ILL CEESA e DJ DEO, uniti dalla
passione per la musica e dall’amore per la propria terra,
decidono di formare un trio hip hop in lingua friulana: i
CARNICATS. Nel 2007 esce il loro primo album omonimo
per l’etichetta ReddArmy, insieme al loro primo mixtape “Gatti da nordest”, e fin da subito riscuotono grande
successo in tutta la regione. Divengono ben presto uno dei
punti di riferimento musicali per i giovani del territorio.
Dopo l’EP del 2009 insieme al duo californiano Zion I e
il secondo mixtape dei Carnicats “Nel frattempo”, Doro
decide di intraprendere la carriera da solista e a novembre 2015 pubblica sempre con la ReddArmy “Vai Fradi”. Il
disco ottiene ottimi riscontri sia di critica che di pubblico,
suscitando anche l’interesse dei media nazionali.
in
uotattualità
–Cominciamo
–
dall’inizio: com’è iniziata la passione per la musica? Hai imparato a suonare qualche strumento da autodidatta o
hai frequentato una scuola di musica?
Il mio legame con la musica si è da sempre stemperato
sul piano emotivo più che su quello tecnico. Ho sempre
ascoltato tanta musica, godendo di quel brividino che
ti percorre la spina dorsale quando senti un pezzo che
ti emoziona veramente, ma non ho mai studiato teoria
musicale né ho mai suonato uno strumento (se non con
risultati disastrosi).
–Per
–
quanto riguarda le influenze musicali, cosa ascoltavi da
ragazzino? E ora? Insomma, come sono cambiati i tuoi gusti musicali? Il rap italiano è pesantemente influenzato da quello d’oltreoceano: che rapporto hai con la musica americana?
Da ragazzino ascoltavo le cassette pirata che mio papà
comprava dagli ambulanti e mi portava a casa. Un po’ di
tutto, dal cantautorato italiano al rock’n’roll d’oltreoceano. Col tempo poi mi sono innamorato del rap, in modo
spontaneo e incondizionato. È un amore che continua
tuttora e, nonostante mi piaccia spaziare i miei ascolti il
più possibile, finisce sempre che torno ad ascoltare un disco rap e me ne innamoro. Nel 2016, per dire, ho divorato
“Malibu” di Anderson .Paak, un disco delicato e molto
curato. Per quanto riguarda invece il mio rapporto con
la musica americana, è sempre stato parte integrante dei
miei ascolti. Negli ultimi anni poi ho approfondito il mio
rapporto con il rap europeo, in particolare quello inglese,
e ne ho tratto grandi soddisfazioni. “Made in the Manor”
di Kano è stato in heavy rotation nelle mie playlist per
tutto l’anno scorso
–Arriviamo
–
ai gjats: come sono nati i Carnicats e perché la scelta
di fare rap? È un genere musicale che permette di dare sfogo
a qualcosa che si ha dentro e che si vuole esternare, spesso di
esprimere una situazione di disagio, che sia la vita nei quartieri
popolari (il “ghetto) o una giovinezza complicata. Voi cosa sentivate di dover dire?
I Carnicats sono nati perché un gruppo di ragazzini carnici aveva voglia di raccontare la propria realtà attraverso la musica. Dici bene quando fai notare che una delle
più grandi doti della musica rap sta proprio nell’essere la
voce di chi voce non ne ha, un mezzo potentissimo per
far uscire quello che si ha dentro. Sentivamo il bisogno
di esternare la nostra realtà pura e semplice, così come
la vivevamo: la monotonia delle serate, i pomeriggi al
campetto, guardare il sole tramontare dietro le montagne mentre le prime stelle fanno capolino in cielo... Non
abbiamo mai finto di essere qualcosa di diverso da quello
che siamo, abbiamo raccontato quello che vedevamo con
stile e buongusto. Tutto qui.
ALTA UOTA
–Non
–
avete mai avuto uno stile tradizionale. Innanzitutto il friulano. È stata una scelta naturale o ci avete pensato? Non avete
avuto paura di essere etichettati come “provinciali” o di non essere compresi dai più giovani, tra i quali il friulano non è più così
diffuso?
L’uso del friulano nei nostri testi è stata una scelta naturale fin dall’inizio, vuoi per ragioni goliardiche (ci veniva
spontaneo ricantare in friulano i testi dei nostri rapper
americani preferiti) o per ragioni artistiche. Il rischio di
essere condannati
per sempre al provincialismo sapearteottica.pdf 1 08/04/2016 13.09.56
vamo di correrlo fin dall’inizio ma non ci abbiamo mai
dato troppo peso: per noi era più importante fare la musica che ci piaceva e che avremmo voluto ascoltare piuttosto che fare quello che la scena nazionale richiedeva. Per
quanto riguarda i giovani invece ti devo contraddire: la
nostra esperienza dimostra che ogni due giovani che rinnegano l’uso della lingua nella musica che ascoltano, ce
n’è altri due che lo apprezzano e lo promuovono incondizionatamente. Se non fosse stato per il friulano nei testi,
adesso non avremmo il seguito che ci siamo costruiti, te
lo assicuro. Certo il nostro pubblico adesso è più sensibile
ai testi in italiano rispetto al passato, ma ciò non toglie
che è stato il friulano quello che ha dirottato maggiormente l’attenzione del pubblico su di noi.
–Avete
–
sempre marginalizzato gli stilemi dell’hip hop, a partire
dal bragging, il ribadire quanto si è fighi, duri, “gangsta”, con
quante ragazze si va a letto o quante droghe si assuma, o l’ansia di dover imporre una propria street cred. Sebbene alcune di
queste caratteristiche siano comunque presenti nei vostri testi,
avete sempre preferito parlare di temi vostri, più intimi, più personali. Perché? Credi che c’entri l’essere nati tra le montagne
carniche e non nei quartieri periferici di Milano?
Sicuramente. Sono cresciuto nell’ombra del keep it real,
il dogma della cultura hip-hop che impone in qualche
modo di essere fedeli al proprio ambiente, alla propria
realtà di provenienza. Per me è sempre stato fondamentale raccontare la verità nei miei testi e limitare i voli pindarici e gli egotrip.
–A
– tale proposito, nelle vostre canzoni c’è sempre questo contrasto tra il desiderio di fuggire dal piccolo paesino montano in
cerca di migliori opportunità e l’attaccamento alle proprie radici
e alla propria terra. Come lo spieghi?
incontro al mondo che c’è là fuori, attraversare i confini e
farsi una vita in un posto diverso da quello nel quale si è
nati e cresciuti. È una scelta, tutto qui. E non va biasimata,
né in un senso né nell’altro. Quello che va biasimato è la
passività: vuoi cambiare la tua vita? Fallo. Se le cose non
ti vanno bene così come sono, sta a te cambiarle a tuo piacimento. Lamentarsi per come sono senza fare nulla per
migliorarle è l’errore più grosso che si possa fare.
–Secondo
–
te che rapporto c’è tra friulani e musica? E tra i friulani
e la propria terra? Com’è lo stato della scena musicale in Friuli
ora come ora?
La musica nella nostra regione ha sempre rivestito un’importanza secondaria. Siamo gente pratica e lavoratrice;
spesso la musica, o l’arte in generale, vengono viste come
perdite di tempo, passioni adolescenziali che è giusto
abbandonare non appena ci si avventura nell’età adulta. Ciò nonostante la nostra regione ha una tradizione
musicale fortemente radicata, grazie soprattutto a realtà
come Radio Onde Furlane e al conseguente movimento
della “Gnove Musiche Furlane” che negli anni ha sfornato prodotti di qualità indiscutibile. Negli ultimi anni le
cose stanno un po’ appassendo, trascinate nel vortice del
conformismo generato dai social network. Quelli che fanno musica, soprattutto i giovani, tendono a confermarsi a tendenze globali e a scimmiottare gli americani (o i
milanesi). Io rimango comunque fiducioso: ci sono nomi
ancora poco conosciuti ma incredibilmente validi, come
Invisibile, un rapper di Pordenone con doti di scrittura
sorprendenti.
–Hai
– mai suonato fuori dai confini nazionali? Com’è percepita la
musica in lingua minoritaria all’estero?
Ho suonato all’estero solo in un’occasione: un festival in
Questa tendenza alla fuga dalla propria realtà è un punto lingua minoritaria tenutosi in Svezia nel 2009 al quale
fermo della vita di qualsiasi provinciale. Spesso ci si sente partecipai con i Carnicats. Paradossalmente la musica in
schiacciati dalla monotonia delle serate in provincia, dalla lingua minoritaria viene accolta oltre i confini nazionali
mancanza di opportunità, dall’impossibilità di riuscire a con quasi più interesse di quella in italiano. Negli ultimi
vivere di quello che si sa (e che si vuole) fare veramente. anni però si sta aprendo un nuovo mercato all’estero: le
Io stesso ho attraversato questa fase attorno ai 20 anni, isole di italiani nelle grandi capitali europee sono sempre
un po’ come tutti i miei coetanei. Poi crescendo capisci più consistenti, conseguentemente alcuni artisti cominche a volte quello che cerchi è sotto i tuoi occhi e che sta a ciano ad abbozzare delle date oltre confine. È notizia di
te afferrarlo con forza e renderlo quello che vuoi che sia. ’sti giorni che Salmo farà un tour europeo nei prossimi
Accettare la propria condizione richiede coraggio, tanto mesi; mi auguro sia l’inizio di qualcosa di nuovo, una
quanto ne richiede avere la forza di fare le valigie e lasciar- nuova opportunità per far crescere la scena nazionale ansi alle spalle la casa, gli affetti e le consuetudini
per andare che a livello europeo.
comelli.pdf 15/02/2010 13.46.30
IL GATTO DEL NORD-EST
–Come
–
è evoluto il vostro stile negli anni? Vi aspettavate questo successo? Quando avete iniziato ad
accorgervi che il vostro progetto sarebbe potuto effettivamente diventare qualcosa di “grande”? E come
va oltre i confini regionali?
L’evoluzione della nostra musica è stata un processo assolutamente naturale, non ragionato,
dovuto più alla spinta creativa che ad altro. Il successo di cui parli è stato un procedimento
altrettanto naturale, molto graduale, che negli anni ci ha portato ad espanderci ancora di
più. Non ancora abbastanza oltre i confini della regione, se devo essere onesto. È mia intenzione fare in modo che questo accada nel corso dell’anno, nella speranza di riuscire a toccare
gli animi anche di chi con il Friuli Venezia-Giulia ha ben poco a che vedere.
–Veniamo
–
al tuo disco da solista. Com’è nata l’esigenza di “staccarti” in parte dalla crew e di pubblicare
un disco a tuo nome. Che poi il distacco è stato solo parziale, Dek Ill Ceesa è presente in più di un brano,
la realtà dei Carnicats è ancora forte e viva? Anche Dj Deo ha collaborato alla realizzazione dell’album?
L’esigenza di affrontare un mio personale percorso c’è sempre stata. Vai Fradi è nato nel
momento in cui ho deciso di dare sfogo a tale esigenza una volta per tutte, lasciandomi alle
spalle le esperienze passate e cominciando a lavorare a musica nuova. Il distacco dal gruppo
non è stato del tutto indolore, lo confesso. Ma è stato necessario. Sia Deo che Dek hanno
collaborato alla realizzazione in veste di collaboratori, appunto, di consulenti esterni. Per
rispondere alla tua domanda poi, il gruppo è ancora solido e ha risentito piacevolmente
della mia avventura solista: portiamo molti dei miei brani dal vivo anche nei concerti dei
Carnicats e l’hype derivante dal mio disco ha fatto bene a tutto il collettivo.
–“Vai
–
Fradi” è un album anomalo per il rap. Innanzitutto si sentono davvero molte contaminazioni musicali. Dalle sfumature reggae della title track “Vai Fradi” all’assolo di chitarra metal anni ’80 in Anche
se, alla musica elettronica (mi viene in mente “Fame Lirica”, con quegli inserti un po’ drum’n’bass). Si
avverte che c’è stata una grande ricerca per quanto riguarda gli arrangiamenti: spesso invece di beat e
sample, si sente una partitura complessa, fatta di violini, pianoforte e altri strumenti “tradizionali”, non
campionati.
–Il
– disco è trilingue. È quasi tutto in italiano, il friulano è ovviamente presente ma in maniera molto minore rispetto alle vecchie canzoni dei “Gatti”. Invece compare l’inglese nei ritornelli. Come mai? C’è la
volontà di dargli un respiro più globale, più internazionale, mantenendo sempre un ponte con le origini?
–Anche
–
qui, come detto prima, vengono meno gli stilemi rap più tradizionali. Il darsi arie, l’imporre il
proprio ego, il dissing, lo “sfottere” l’altro. C’è una sensibilità del tutto diversa, più intima, forse più
profonda. “Resti viva” è un pezzo molto dolce, quasi una ninna nanna, così come “Ferragosto”. Nella
title track dici esplicitamente “che ti aspettavi? I rapper coi tattoo e invece c’hai i montanari”. E c’è una
forte dose di autoironia, basta ascoltare L’Impasto. Insomma, non è un disco fatto per la “scena”. Come
ti inserisci nel panorama rap nazionale, il quale si può dire stia vivendo ora un momento d’oro come non
mai? Quanto è importante il non prendersi sul serio? Del resto l’ironia era una componente fondamentale
anche dei Carnicats, penso a “Soj cjok”.
Non mi sono mai sentito parte della scena rap nazionale, vuoi per un fatto territoriale, vuoi
per scelte stilistiche. Sono dell’idea che l’hip-hop viva la sua natura più pura nelle sue forme
più street, più profondamente legate alla strada e alle sue dinamiche. Il fatto che ultimamente
l’hip-hop stia tornando in strada, slegandosi da tematiche e da ambienti più intellettuali che
ne hanno caratterizzato la nascita e la diffusione nel nostro paese, non può che essere una
cosa positiva. Chiaramente non riesco a identificarmi in certe tematiche come soldi/droga/
–È
– giusto dire che, nonostante sia un disco dall’innegabile attitudine rap, c’è una componente “cantautorale”? Il racconto della provincia è tipico del cantautore, è possibile che questo
abbia influito? Sul canale YouTube dei Carnicats l’ultimo video caricato è un tuo freestyle
(King Kong Freestyle), molto rap classico, mentre qualche video più in là c’è un suggestivo
live acustico di Zenit sul monte Matajur con la Carnicats Live Band, che è più una cosa da
Vinicio Capossela che Marracash. Credo sia chiara la tua volontà di fuggire da qualsiasi
etichetta o gabbia classificatoria, in nome di una libertà di fare semplicemente quello che ti
pare, di essere te stesso.
Ci hai preso al 100%, fidati. Il mio intento è di fare esattamente quello che mi
piace, senza dover rispondere a esigenze di mercato di alcun tipo. Sfuggo dalle
etichette il più possibile anche se mi rendo conto che ogni tanto sono necessarie. Mettiamola così: sono un rapper con ambizioni cantautorali ma con un forte
background hip-hop, che ogni tanto fa capolino nella mia musica (vedi King Kong
Freestyle, appunto).
–Negli
–
ultimi anni sono usciti molti dischi rap con componenti “cantautorali”, penso a Murubutu, Coez, Ghemon, in parte Dargen D’Amico. Pensi sia un’inclinazione tutta italiana dovuta
alla sua forte tradizione di musica d’autore? O c’è un bisogno da parte del rap di esprimere
un discorso più intimista, da sempre deputato invece alla chitarra-e-voce?
Spero la prima. Quello che ancora manca all’hip-hop italiano è proprio un legame netto e spontaneo con la nostra tradizione musicale; fino a pochi anni fa era
una cosa impensabile ma ora, grazie ad artisti di livello come quelli che hai citato,
c’è la possibilità di creare questo link. Io mi auguro che la cosa si verifichi in fretta, per poter dare a questa forma d’arte una sua dimensione che prescinda dalle
tematiche street di cui parlavamo sopra (e, conseguentemente, anche dalla mera
emulazione del suono e delle tematiche del rap americano).
–Un’altra
–
cosa che colpisce subito scorrendo la “tracklist” è il consistente numero di collaborazioni e di musicisti che hanno concorso alla realizzazione delle varie tracce.
Il mio intento era proprio quello di dare al mio disco un sapore particolare, che
prescindesse dal genere musicale di provenienza e spaziasse il più possibile. Per
questo ho coinvolto un sacco di musicisti con background diversi dal mio e la
cosa, secondo me, ha funzionato alla grande. Continuerò a farlo anche in futuro
per poter rendere questa cosa il mio marchio di fabbrica.
–Nel
– disco tre pezzi (“Fame Lirica”, “Nightcalls”, “Ferragosto”) compongono la trilogia del
“Notturno”. Me la spieghi?
La notte è stata una delle principali ispirazioni durante la realizzazione del mio
disco. Ai tempi lavoravo al cinema a Tolmezzo e, una volta finito il turno, tornavo
a casa e mi immergevo nella scrittura fino alle prime luci dell’alba. È così che sono
nati i brani che compongono la trilogia dei notturni. Quei tre più un quarto che
ho scartato per non rendere la cosa troppo ridondante... L’ho riascoltato pochi
giorni fa e devo ammettere che era un ottimo brano anche quello. Chissà, magari
lo riproporrò in futuro!
–Che
–
impressione ti ha fatto il mercato discografico? Hai trovato resistenze o pregiudizi?
Per quel poco che ho potuto sperimentare, devo dire che il mercato discografico
è un grande carrozzone che segue mosse prestabilite ed è soggetto a leggi scritte molto chiare: l’Italia è un “mercato di coda” quindi copia quello che succede
all’estero e lo ripropone in Italiano. Se lo fai anche tu, con la giusta spinta promozionale alle spalle, in 9 casi su 10 avrai successo. Se invece vuoi fare l’artista e
inventare delle cose nuove, sono solamente cazzi tuoi: in 9 casi su 10 farai fiasco,
dovrai autopromuoverti perché non troverai mai nessuno che creda in te al punto
di investirci sopra del denaro e resterai l’idolo di pochi ascoltatori attenti. Magari
molto localizzati, come nel mio caso. A te la scelta.
uotattualità
In realtà la scelta dell’inglese è legata più ad un fattore di gusto, un fattore estetico in qualche
modo. L’italiano ha una sua lunga tradizione quando si tratta di musica e nei brani che avevo
composto ci sentivo molto di più l’inglese. L’intento di creare un ponte internazionale non
era tra le mie priorità ma, se ciò si verifica, ben venga. Per quanto riguarda il friulano invece,
come hai giustamente notato, è presente in misura molto minore rispetto al passato. Sono
sempre stato dell’idea che la lingua minoritaria dovesse essere un ingrediente della ricetta e
non quello principale. Mescolare mi è sempre piaciuto molto: mi piace mescolare le influenze musicali e mi sono divertito a mescolare anche le lingue.
criminalità perché non mi rappresentano; ma il fatto che per le nuove generazioni
il linguaggio di questa forma d’arte sia questo, fa parte di un passaggio necessario
che prima o poi doveva verificarsi anche in Italia. Quindi, per rispondere alla tua
domanda, l’autoironia è sempre stato un escamotage stilistico per poter approcciare un certo tipo di tematiche più street nonostante non facessero parte del mio
bagaglio stilistico. È stata una parte fondamentale della mia scrittura fino a qui
e probabilmente lo sarà anche in futuro. La parte che più mi rappresenta però è
quella poetica che emerge da brani più intimisti come quelli che hai citato: quella
è la parte della mia musica che preferisco e quella su cui sicuramente continuerò
a lavorare in futuro.
in
Sì, il procedimento compositivo è orientato molto di più alla scrittura piuttosto che al campionamento. Ho voluto rendere il mio disco un viaggio nella musica che mi piace, riempiendolo di riferimenti ad altri generi e facendoci collaborare musicisti di diversa estrazione.
Dentro c’è un po’ tutto il mio background, le influenze che mi hanno investito negli ultimi
3 anni: dall’elettronica al rock, dal reggae al soul.
5
–Infine,
–
una domanda che sembra semplice, ma non lo è: cosa volevi dire con questo disco?
Volevo dire a me stesso che questa strada che ho scelto di percorrere è realmente
quella giusta per me. E volevo dire agli altri che inseguire i propri sogni costa
grandi fatiche ma, se ci sono amore e dedizione per quello che si sta facendo,
riserva anche delle belle soddisfazioni. Tutto sta nel realizzare chi si è veramente
e nel portarlo avanti senza paure né reticenze.
–Progetti
–
futuri? Un ritorno dei Carnicats al completo magari? Ci sarà un “Vai Fradi Tour”
nazionale?
luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19
ALTA UOTA
Sul ritorno dei Carnicats posso solo dire che qualcosa sta bollendo in pentola
ma, per ragioni scaramantiche, preferisco non anticipare niente. Al momento sto
lavorando a dei brani nuovi da solista che ancora non so se faranno parte di un
nuovo disco o meno. Sicuramente vorrei dare qualcosa di nuovo a chi mi segue
prima dell’estate e spero vivamente di riuscirci. Per quanto riguarda il live fuori
regione, ti assicuro che ci sto lavorando e che è una delle mie attuali priorità. Ma
anche in questo caso, per ragioni scaramantiche, preferisco non anticipare niente.
◆◆ FILIPPO MEDEOT E FRANCESCO PERUSIN
6
IL POTERE DELLA MUSICA
MUSICA E FILOSOFIA
Breve colloquio con RICCARDO MARTINELLI, professore associato di storia della filosofia all’Università di Trieste
ed autore del libro “I filosofi e la musica”, edito nel 2012
dalla casa editrice “Il Mulino”. Tra gli altri libri figurano
“Uomo, natura, mondo: il problema antropologico in filosofia”, “Musica e natura: filosofie del suono, 1790-1930” e
molti articoli apparsi in riviste specializzate.
siste sulla proporzione e la varietà. Potrebbe sembrare un
paradosso, ma proprio con Cartesio la musica si è aperta
all’ambito umanistico».
–A
– questo proposito un tema che può destare attenzione è quello
legato alla musica come terapia, la musica come “cura”. La filosofia può venire in aiuto in questo caso?
–Professore,
–
che cosa l’ha indotta ad indagare il rapporto tra
musica e filosofia?
«Ci sono fondamentalmente due motivi, il primo riguarda la mia passione giovanile per la musica che si è
concretizzata anche in un percorso di studi musicali che
tuttavia ho poi dovuto interrompere per dedicarmi agli
studi filosofici, ma la passione è rimasta nel tempo. Il secondo motivo è più specificamente accademico, ho inteso far luce su un tema che spesso è poco esplorato anche
per mancanza di competenze tecniche. Oggi infatti la
cultura musicale purtroppo non è molto diffusa, mentre
molti filosofi del passato erano spesso molto competenti
in fatto di musica, e in qualche caso furono essi stessi
musicisti».
ALTA UOTA
in
uotattualità
–Possiamo
–
fare qualche nome per quanto riguarda questi ultimi?
«Il caso più noto è quello Friedrich Nietzsche, che compose vari brani musicali e coltivò l’amicizia con Richard
Wagner, amicizia che poi sfociò in una grande rivalità.
Inoltre anche Rousseau ed Adorno si dedicarono alla
musica da compositori. In particolare, Adorno rappresenta una figura molto significativa in quanto fu abilissimo musicista e musicologo, oltre che filosofo. Ma questo
non vale per tutti: quasi nulla su musica e filosofia si trova invece in autori come Heidegger o Husserl».
–La
– musica è stata spesso vista come una disciplina in bilico tra
il mondo umanistico e quello scientifico, che cosa si può dire a
proposito?
«Fin dall’antichità la musica è sempre stata considerata
una materia di studio più vicina all’ambito scientifico,
anche perché una delle prime scoperte in tal campo riguarda i rapporti di tipo matematico che regolano i suoni e generano l’armonia. Nel periodo immediatamente
successivo a quello classico, quello medievale, la musica
compare tra le arti del Quadrivio insieme all’aritmetica,
alla geometria e all’astronomia. Cartesio, punto di riferimento per la filosofia e pensatore fondamentale per capire il concetto di “modernità”, scrisse un trattatello sulla
musica intitolato “Compendium musicae”, dove apriva
allo studio dell’armonia non solo in senso aritmetico,
come fino ad allora era stato fatto quasi esclusivamente,
ma anche in rapporto all’estetica, in quanto Cartesio in-
«Fin dai tempi antichi, e in particolare in Platone, la
musica è stata vista come cura dell’anima. Fonti antiche
riportano l’aneddoto di un giovane di Taormina che, in
preda al furore, era prossimo a commettere un crimine
e che sarebbe stato calmato da Pitagora mediante una
melodia eseguita al flauto, nella tonalità più opportuna
a calmare l’animo. Anche dal mito di Orfeo emerge in
modo preponderante il potere della musica. Col suono
della lira, Orfeo è capace di mettersi in contatto con le
creature umane ed animali, giungendo a commuovere
persino le inflessibili divinità dell’Oltretomba. Un’ellissi
cronologica molto ampia mi porta a pensare poi al periodo dell’idealismo, periodo in cui vi fu un’attenzione particolare per la spiritualità: la musica assumeva un ruolo
importantissimo per l’introspezione interiore».
–La
– musica può assumere anche connotati negativi deleteri per
l’animo umano, che cosa ne pensano a riguardo i filosofi?
«Un pensatore che si può ricordare a questo proposito è
il danese Kierkegaard, che elabora un concetto di musica
connesso a quello della sensualità, in particolare associa
la musica ad un’altra sua elaborazione, quella dell’uomo
estetico, mettendolo in relazione al don Giovanni di Mozart. La musica in Kierkegaard non appare in modo positivo, esprimendo ciò che contrasta con il logos e con la
razionalità».
◆◆ LUCA VISENTIN
LA MUSICOTERAPIA IN PILLOLE
Intervista alla dottoressa NADIA OLIVO, presidentessa
del C.E.Di.M, Centro di educazione e divulgazione musicale.
–Buonasera
–
dottoressa Olivo, potrebbe dirci che cos'è la musicoterapia?
La musicoterapia è rivolta a pazienti di ogni età con gravi
disturbi come ansia, difficoltà di attenzione e socializzazione o che hanno subito cure fortemente invasive. Lo
strumento utilizzato per dialogare con queste persone è,
per l'appunto, la musica; questa viene utilizzata per abbattere le barriere che separano il terapeuta e il paziente,
instaurando un rapporto totalmente senza giudizi e volto
a valorizzare gli aspetti negativi del soggetto in cura. Non
si tratta affatto di psicoanalizzare il paziente, che non rientra nemmeno nelle competenze della musicoterapia.
Vi faccio due esempi: un bambino che è affetto da labio-
capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54
palatoschi (le cui cure sono fortemente invasive) al quale
verrà proposto di suonare la tromba otterrà come effetto
l'aumento della tonicità labiale. Inoltre, un bambino con
difficoltà di interazione con gli adulti reagisce facendo
loro delle pernacchie. In un rapporto “normale” l'adulto
potrebbe offendersi e addirittura arrabbiarsi; in musicoterapia no. Il terapeuta proporrà al bambini di suonare
la tromba, valorizzando, appunto, l'aspetto della “pernacchia” e aumentandone l'autostima. Anche per questo
motivo la musicoterapia che abbiamo scelto di fare noi si
chiama umanistica.
–Come
–
si svolge una seduta di musicoterapia?
Innanzitutto, le nostre sedute di musicoterapia sono rivolte ai bambini di età a partire dai 6 anni. Prima dell'attivazione di un corso si tengono dei colloqui con i genitori
e con gli esperti dell'Equipe Multidisciplinare Territoriale
(EMT), psicologi, psicopedagogisti e altri esperti. Con loro
si concorda un percorso da seguire che comincia con una
prima seduta di prova. Il percorso del bambino, oltre a essere monitorato, è anche filmato, per studiarne i progressi. I video non sono mai divulgati, ma utilizzati al fine di
studiare lo sviluppo del bambino. Fare musicoterapia non
significa sedersi in cerchio a suonare un tamburo a turo;
vengono selezionati degli strumenti che variano a seconda
del bambino e del suo problema. L'influsso benefico della
musica arriva sia in via passiva che attiva, mediante l'ascolto di un brano o mediante la pratica con uno strumento.
Una tecnica molto praticata è quella di far respirare il paziente a ritmo di musica; egli viene disteso sopra la cassa di
un pianoforte acustico mentre il terapeuta suona, producendo un effetto tranquillizzante e al contempo rilassante,
abbattendo ogni sorta di barriera e attivando una comunicazione non verbale. Gli strumenti sono rigorosamente non elettrici; le vibrazioni di uno strumento elettrico,
difatti, arrivano solo alle orecchie di un individuo, mentre
le vibrazioni, durante la musicoterapia, devono
arrivare
a
impianti.pdf
1 08/04/2016
tutte le membra del corpo, cosa che avviene se si utilizza
uno strumento non elettrico. Inoltre fare musicoterapia
in un ambiente prettamente non ospedaliero permette il
coinvolgimento delle famiglie e non solo, fa sì che il bambino percepisca l'attività come ricreativa.
–Che
–
effetto ha dunque la musica sulla nostra mente?
È risaputo che esistono differenti piani comunicativi,
che trascendono dal semplice piano verbale; la postura,
le espressioni del viso e i gesti, ad esempio. Ma non solo:
anche la musica è una sorta di linguaggio alternativo.
Essa agisce nella nostra mente veicolando delle emozioni
che si trasmettono attraverso le note. L'aspetto più funzionale alla musicoterapia è che essa attiva delle zone del
nostro cervello (quelle adibite al linguaggio, alle emozione e al movimento) con le quali si può da subito entrare
in contatto con il paziente. Nel caso di un un bambino
autistico, ad esempio, è molto lungo il tempo necessario
per instaurare con lui un rapporto di fiducia; la musica,
invece, costituisce un canale privilegiato per raggiungere immediatamente il bambino. Prendiamo il caso di un
bambino con disturbi dell'attenzione; normalmente dovrebbe assumere dei farmaci che tendono ad inibirlo. Il
lavoro con la musicoterapia va a stimolare una risposta,
invece. L'effetto è quello di “attivare”, non di “inibire”.
–E
– sulle nostre emozioni?
La musica è un linguaggio che non solo da piacere, ma che
è anche profondamente radicata nelle emozioni. Anche in
questo caso è stato scientificamente provato che la musica,
molto meglio del linguaggio verbale, è capace di influire sul nostro umore, e anche sulla nostra fisiologia. Sono
proprio queste proprietà della musica che la musicoterapia
sfrutta. L'ascolto della musica, in quanto attiva le aree del
cervello delle emozioni, del movimento e del linguaggio
( le zone in cui “risiede” il problema del bambino ), aiuta
il paziente al recupero delle attività motrici ed espressive.
◆◆ LUCA MAGGIO ZANON
13.18.33
LOREDANA MARANO:
il ricordo di un suo ex studente
Non è mai facile ricordare una persona che ha lasciato
un segno indelebile all’interno di una Comunità di persone. Si rischia talvolta di cadere nella facile retorica.
Voglio ricordare qui la professoressa Loredana Marano
come suo ex-allievo, uno degli ultimi che ha seguito interamente il suo ultimo ciclo d’insegnamento al Liceo
Einstein di Cervignano nel triennio 2008-2011. Ricordo
il suo modo particolare e originale di coinvolgere i ragazzi durante le lezioni, sempre andando a ricercare i
collegamenti interdisciplinari tra le varie umanistiche,
la letteratura italiana e quella latina unite a costanti richiami alla filosofia e alla storia dell’arte. Nel periodo
del mio percorso triennale al liceo ricordo che stava
elaborando una grammatica latina per le scuole superiori, un’altra delle sue passioni era infatti la lingua e la
cultura latina, passione dimostrata in diverse occasioni,
mediante le pubblicazioni e i simposi che organizzava
sovente ad Aquileia, coinvolgendo anche studiosi e cultori della materia provenienti anche da fuori regione e
dall’estero. Le lezioni della professoressa Marano, sia
all’interno sia fuori dalla scuola, erano una continua
sfida intellettuale con un accumulo di competenze sempre maggiori, che comprendono anche interessantissimi seminari durante le mattinate da Lei organizzate al
liceo di Cervignano.
la tua
firma,
Scrivi nella apposita casella del 5×1000
il nostro codice fiscale
e apponi la tua firma!
NQUE × MILLE
CilInostro
impegno.
ASCOLTANDO CHI CI AIUTA
Abbiamo deciso di dare voce a chi, con grande generosità,
ci aiuta e sostiene finanziariamente. Per ogni numero di
Alta Quota, dunque, intervisteremo una delle diverse attività cervignanesi che come sponsor contribuiscono a creare
questo giornale. Se hai un’attività e vuoi diventare anche tu
sponsor di Alta Quota scrivi a [email protected].
A rompere il ghiaccio ci pensa ALFONSO MANSI, proprietario de Il Crogiolo, storica oreficeria della città.
–Perché
–
hai scelto di sostenere Alta Quota?
Per un motivo molto semplice: è un sodalizio culturale cervignanese, per cui sostenere ciò che offre il paese è
una delle prime cose da fare, secondo me.
–Qual
–
è la situazione del commercio a Cervignano?
È in linea con ciò che vivono tutti i paesi di un circondario come il nostro, dove non c’è stata un’evoluzione dei
piccoli negozi, dei piccoli centri, a favore di tutti i centri commerciali presenti in Friuli, per cui è diventata un
lotta tipo Davide contro Golia. Noi piccoli negozi, siamo
stati incapaci di affrontare un cambiamento che si stava
attuando e che era difficile da affrontare.
–Cosa
–
si potrebbe migliorare per far fronte a questa situazione?
Non si può fare molto. I grandi centri hanno una grande
capacità di accesso al credito, di fare gruppo, hanno una
forza che a noi viene meno. Noi ci siamo sempre sentiti come delle piccole aziende autosufficienti, incapaci di
fare gruppo per recuperare il divario con i centri commerciali, e ormai questo gap è impensabile da recuperare. Si sta già cercando di migliorare, dando un servizio,
un sorriso, che dall’altra parte però viene subito imitato:
sono molto più veloci di noi nel recuperare sui miglioramenti della concorrenza.
–Ci
– parli della sua attività.
Il Crogiolo è aperto dal 1985, sono sempre stato qui sul
territorio, prima in piazza Marconi, poi in via Roma dal
1988. Ci ho sempre lavorato, e negli anni hanno lavorato
diversi addetti che si sono formati in laboratorio con me,
facendo in modo che ognuno di questi diventasse un’azienda a sé stante.
◆◆ CAROLINA STABILE E FRANCESCO PAVONI
uotattualità
90000020306
aule del liceo dove insegnava, facendo in modo che la sua
fruizione potesse avvenire non solo nei luoghi dedicati,
ma anche nella realtà quotidiana, con l’apprezzamento
anche dei meno esperti. Per mezzo della sua attività, Loredana ha contribuito alla divulgazione ed alla conoscenza della letteratura, anche in maniera attiva, scrivendo
lei stessa diverse opere, ma soprattutto ha indirizzato il
grande pubblico ad una migliore comprensione del lavoro del letterato e del valore delle opere, facendo nascere
un’attenzione più diffusa e consapevole.
Da studente universitario di discipline umanistiche,
(sono profondamente convinto che la mia decisione verso questo ambito sia stata determinata anche dall’amore
trasmesso dalla mia professoressa di lettere del liceo, Loredana, appunto) posso dire che debba esserci una certa
etica nel veicolare i messaggi, in particolare nella fascia
adolescenziale. La professoressa Marano mi ha fatto capire quanto occorra comprensione e schiettezza nel rapporto tra docente e allievi, il rispetto di ciò che veicolano
i testi, promuovendo il lavoro degli autori. Non importa
che si tratti di una poesia di Leopardi del commovente
racconto di uno scrittore latino relegato in una terra lontana, o di un fenomeno fonetico: ogni questione necessita di un minuzioso lavoro di ricerca, un percorso storico
ineludibile, di collocazione nel tempo e di verifica.
◆◆ LUCA VISENTIN
in
Sostieni anche tu le nostre iniziative con un
semplice gesto che non ti costa nulla!
Credo che uno degli obiettivi primari della professoressa
Marano sia stato quello di portare la cultura umanistica il più vicino possibile alle persone, anche fuori dalle
7
ALTA UOTA
8
RISCOPRENDO CERVIGNANO
BORGO SALOMON
in
uotattualità
In questo articolo si ripercorrerà in un piccolo riassunto
la storia di Borgo Salomon, a partire dal perché si chiama
così fino ad arrivare a parlare della residenza della famiglia Salomon e degli edifici che si possono trovare oggi.
Borgo Salomon è collocabile al centro di Cervignano del
Friuli. Si chiama così perché prende il cognome di un’importante famiglia di origine veneta dedita al commercio
e che ha fatto la storia del capoluogo della bassa sino a
metà del diciannovesimo secolo. Secondo diverse testimonianze, la famiglia Salomon discende dai Barbolano,
più comunemente detti Centranici: essi provenivano da
Salerno, o forse da Cesena, e sarebbero giunti a Venezia
nei primi anni dell’ottavo secolo. I Salomon, secondo alcune fonti, sarebbero stati una delle famiglie di Venezia
che hanno eletto il primo doge, nonostante non figurino
né tra le famiglie apostoliche né tra quelle evangeliche
della città. Uno dei membri della famiglia, Giorgio Salomon, era podestà di Cervignano al cadere della Repubblica Veneta (fine diciottesimo secolo), ed era affiancato
da un locale consiglio cittadino. Dei Salomon rimane la
testimonianza storica della casa della famiglia, in stato
di abbandono ma al centro di un progetto di recupero da
parte del comune. La residenza presentava un portale ad
arco, demolito negli anni ’60 per essere portato in località Molin di Ponte: l’arco porta le due date 1794 e 1837.
L’edificio, per volontà delle due ultime eredi, fu donato al
Comune per essere destinato ad opere di utilità sociale.
Fu sede di una “Pia casa di ricovero per anziani” e successivamente asilo di infanzia.
Dal punto di vista architettonico, la struttura presenta
una recinzione in muratura su cui si aprono gli archi del
passo carraio e dell’ingresso pedonale in conci di pietra
con chiavi di volta datate: quella dell’arco maggiore presenta sia la data della costruzione sia quella della successiva ristrutturazione per il cambiamento d’uso. Al centro
della facciata è ancora visibile l’arco in conci di pietra di
una porta di ingresso poi murata. L’edificio è vincolato
dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali.
Attualmente, in borgo Salomon si possono trovare due
importanti edifici per la vita della comunità: il duomo e
la Casa della Musica. I lavori per la realizzazione del duomo iniziarono nel 1964 per volere di mons. Luigi Cocco,
convinto della necessità di avere una nuova chiesa per
Cervignano. L’edificio venne consacrato nel 1968 e dedicato alla Madonna di Fatima: al suo interno troviamo
una Via Crucis in rame sbalzato, opera di Giulio Cargnelutti, uno splendido crocifisso dello scultore udinese Max
 dall’alto:
– veduta aerea di Borgo Salomon degli anni 70;
– Casa Salomon;
– la Casa della Musica.
UN TUFFO NEL PASSATO
È sempre un’esperienza piacevole ed educativa ascoltare una testimonianza, in particolar modo se riguarda il
proprio paese d’origine. Ho incontrato GRAZIELLA FURLAN (76 anni) e LAURA DELPICCOLO (77 anni), con
l’aiuto delle quali ho potuto ricostruire diversi aspetti di
quel borgo Salomon nel quale hanno entrambe trascorso
positivi anni della loro vita e che ricordano con piacere.
–– La vostra famiglia era originaria del borgo?
•L: «Mio nonno acquistò nel 1906 la casa nel borgo, in
cui nacque mio padre e alcuni anni dopo io, solamente
dopo essermi sposata ho vissuto per un periodo fuori».
•G: «I miei genitori erano nati a Scodovacca, io mi sono
trasferita nel borgo insieme a mia madre e a mio fratello
quando avevo quattordici anni nel ’54 e vi ho abitato
fino al ’99».
ALTA UOTA
Piccini, che fu benedetto da Papa Paolo VI il 26 ottobre
1966, e delle scene della Passione di Cristo realizzate da
Paolo Orlando. La Casa della Musica, invece, è stata aperta il 1 aprile 2011 e l’inaugurazione ufficiale si è tenuta il
16 aprile dello stesso anno. È stata realizzata con lo scopo
di dare ai musicisti di Cervignano e dei paesi vicini un
posto dove poter provare e registrare la propria musica;
può essere utilizzata come sede di iniziative di rilevanza
culturale e sociale da singoli cittadini, o anche per conferenze, convegni, esposizioni, organizzati dal Comune
anche in collaborazione di terzi.
◆◆ FRANCESCO PAVONI
–– Com’era un tempo borgo Salomon e quali sono state le modifiche apportate nel corso degli anni?
•L: «Al posto dell’attuale Casa della Musica in origine
c’era il parco della contessa Attems, la quale in seguito
cedette parte della terra a una famiglia del posto che vi
costruì un capannone nel quale vendeva legna da ardere. Di fronte alla piazzetta del borgo si trova un edificio
che purtroppo oggi è in rovina, appartenuto a due sorelle di origine ebrea che avevano deciso di regalarlo al
comune, che negli anni ’20-30 l’aveva adibito a casa di
riposo, in seguito trasformato in asilo e infine in magazzino comunale. La scuola elementare invece era situata
nello stesso punto in cui di recente è stata ricostruita
e inaugurata; accanto vi era il cosiddetto ‘quartiere cinese’, un grande edificio abitato con un ampio cortile».
•G: «Vicino alla cappella del duomo inoltre si trovava
una pompa, vi andavo ogni giorno a riempire le bottiglie d’acqua, anche se da ragazza qualche volta me ne
vergognavo e chiedevo ‘aiuto’ a qualche signora che conoscevo…».
–– Com’era la vita nel borgo?
•G: «La maggior parte delle persone che vi abitavano erano contadini e operai, l’ambiente era molto tranquillo
e tutti si conoscevano, oggi invece si tende in generale
ad essere più chiusi e a intrattenere meno relazioni rispetto a quel tempo. C’era comunque molta povertà in
quegli anni e le case erano dotate di spazi molto stretti
in proporzione al numero di persone che vi abitava e
spesso non erano in ottime condizioni. La cosa che più
mi meraviglia è proprio questa: il salto di qualità che la
vita stessa ha fatto nel giro di pochi anni, è incredibile
il benessere al tempo impensabile che è venuto a crearsi
al giorno d’oggi».
•L: «A entrambe comunque da bambine piaceva molto
giocare, naturalmente. Ricordo che incontravo spesso
altri bambini che giocavano in strada o con le biglie o
con i tappi delle bottiglie, io invece preferivo divertirmi
con la palla».
–– Raccontatemi un aneddoto o un’esperienza della vostra infanzia
•L: «Io purtroppo avevo due sorelle disabili e mia madre non mi permetteva di andare a giocare con gli altri
bambini poiché dovevo restare insieme a loro; soltanto
una sera mi misi a giocare a nascondino insieme agli
altri, mi stavo divertendo molto… peccato che quella
che trovò il mio nascondiglio fu proprio mia mamma e,
arrabbiata, mi riportò subito a casa!».
•G: «Io in verità mi ero trasferita nel borgo in una casetta molto piccola rispetto alla precedente abitazione e
non vedevo l’ora durante il primo periodo di tornare a
casa, solo successivamente abbiamo ristrutturato alcune parti della casa, ho stretto molte amicizie e grazie a
un insieme di situazioni piacevoli mi sono abituata e da
allora sono stata molto felice».
–– Qualche curiosità invece sulla comunità del borgo?
•G: «Un ricordo molto bello che conservo è il rosario durante il mese di agosto sul piazzale davanti al quadro
della Madonna, tutti seduti sul marciapiede o su sgabelli, al termine del quale spesso e volentieri ci si fermava a
chiacchierare in compagnia per qualche minuto, era un
bel momento di condivisione».
•L: «Anche io ricordo con piacere questa nostra tradizione, mi piacerebbe molto che venisse nuovamente ripristinata questa usanza. Chissà, magari in futuro».
◆◆ CAROLINA STABILE
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RISCOPRENDO CERVIGNANO
LA NOSTRA SCUOLA SI RINNOVA
All’inizio del Novecento il numero degli studenti era
aumentato notevolmente: questo motivo le vecchie scuole popolari di via del Porto, non più capaci di ospitare
tutti i bambini, furono chiuse. L’architetto cervignanese
Giuseppe d’Agostinis fu incaricato del progetto per una
scuola più grande che doveva sorgere in via della Stazione
(l’attuale via Roma). Nacque così la nuova ‘Normalschulen’, come recitava la scritta austriaca sulla facciata. Ma
già nel 1914 la struttura, non soddisfacendo le esigenze
per la quale era stata costruita, venne rialzata di un piano [fig. 2]. Un anno dopo l’Italia decise di partecipare
a far parte dei palazzi storici vincolati, le facciate esterne
dovevano essere ripristinate esattamente com’erano in
origine.» mi spiega l’architetto «La direzione lavori per
rispettare questo vincolo ha scelto di utilizzare la tecnologia della ditta Eleni Decor con pluriennale esperienza
nel settore della decorazione architettonica. Il mio studio
supporta la ditta Eleni in occasione di cantieri complessi
come quello della scuola, attraverso un preliminare servizio di consulenza alla committenza e le successive fasi
di rilievo e restituzione dei disegni esecutivi adeguati».
Alla mia curiosità riguardo ai passaggi per la trasformazione degli elementi decorativi dal disegno all’oggetto concreto e a come sia stato possibile riprodurli
così fedelmente, Lovison ha risposto:
«La fase di rilievo è stata complessa poiché molti elementi
decorativi erano stati completamente distrutti. Per poter
quindi risalire alle forme originali, in assenza dei pezzi
autentici, è stato necessario attingere a diverse documentazioni storiche fotografiche ed a precedenti studi e rilievi
di questo edificio. Definite forme e dimensioni è iniziata la
fase di ingegnerizzazione di ogni singolo elemento, dai più
semplici ai più complessi, per poter ottimizzare tutte le fasi
di produzione, ridurre tempi e costi ed ottenere il risultato
più vicino possibile all’aspetto originale richiesto.
Il materiale utilizzato, nonché il core-business della ditta
Eleni, è l’EPS (Polistirene Espanso Sinterizzato) [fig. 8],
rivestito di un particolare intonaco fibrato che ne restituisce un’elevata resistenza e il tipico aspetto di materiali
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ALTA UOTA
alla guerra contro lo stato Austriaco, e in quell’occasione
il nuovo edificio scolastico di via Roma venne utilizzato come ospedale militare in grado di ospitare i soldati
che arrivavano feriti dal fronte. Come raccontano alcune
testimonianze del 10 dicembre, la scuola si era trasferita poco distante dall’edificio che doveva rappresentarla:
erano state infatti erette delle baracche nel Parco Sarcinelli, dove ora sorge il Duomo.
La sede, nata austriaca, venne intitolata al poeta irredentista triestino Riccardo Pitteri con il passaggio di Cervignano all’Italia, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Quando le truppe sabaude entrarono a Cervignano, il 24 maggio
1915, rimasero incredule nel vedere la popolazione locale
leggere i giornali. D’altronde l’analfabetismo toccava per-
è sempre rimasto in piedi nel cuore di Cervignano, silenzioso e con il suo fascino delle epoche trascorse, ad
aspettare che qualcuno lo notasse e lo riportasse in vita.
Come non notare una struttura che racconta attraverso i
suoi dettagli architettonici un passato austriaco, come si
può notare dalle finestre al primo piano, e un passato italiano, che parla attraverso le finestre ‘michelangiolesche’
a timpano triangolare.
Nel momento in cui sono iniziati i lavori lo stato di decadimento avanzato in cui si trovava l’edificio ha reso necessario un intervento di messa in sicurezza e consolidamento delle strutture; questo lavoro è stato portato a termine
dalla cooperativa ICI Coop, che ha sviluppato l’intero progetto. Alle domande ‘quali sono stati i maggiori degradi evidenziati?’ e ‘quali sono i cambiamenti sostanziali
rispetto al progetto pre-esistente?’ il geom. ROBERTO
VIDALE ha gentilmente risposto in questo modo:
«Il tetto era parzialmente crollato il che aveva provocato anche il crollo di vari solai in legno. Le infiltrazioni
d’acqua e l’abbandono dell’edificio da molti anni avevano
reso pericolante l’intero fabbricato. Anche i serramenti
esterni porte e finestre presentavano un elevato stato di
degrado. Le due scale interne in pietra e relative ringhiere
(seppur rovinate e con pezzi mancanti) si presentavano
integre e di una bella testimonianza del passato, (sono
state rinforzate con manufatti in acciaio nella parte sottostante e preservate), come pure (non so come si possa chiamare) il manufatto in mattoni pieni con relativo
congegno (rotto e parzialmente mancante) che in sommità alla copertura dava alloggiamento ad una campana
(anch’essa mancante) che serviva per scandire i tempi
delle lezioni, (anch’esso è stato ripristinato e conservato).
L’edificio è stato sottofondato su tutte le murature portanti, sono stati eseguiti al PT i vuoti sanitari, relativi isolamenti e le murature portanti sono state tutte ingabbiate
e consolidate con rete e betoncino.
Tutti gli orizzontamenti sono stati rifatti con la struttura
portante (travi) in legno e tavolato, (con le stesse caratteristiche degli esistenti) salvando quelle poche travi che
ancora erano buone… per l’irrigidimento e l’adeguamento statico di questi solai, e stato utilizzato il sistema della
‘peter-cox’ che con dei profili in acciaio leggero e delle
apposite connessioni con successivo getto di un massetto
irrigidiscono i solai (riducono le frecce e aumentano la
portata degli stessi). Anche la copertura e tutto il manto
è stato rifatto completamente, mantenendo le geometrie
iniziali e un sistema di capriate che rendono il sottotetto
particolarmente interessante. Sono stati eseguiti i cordoli
in calcestruzzo armato di coronamento della copertura e
un sistema integrato di connettori a rinforzo e sostegno
del primo cornicione di linda.
Una particolare attenzione è stata utilizzata infine al rilievo e alla riproposizione fedele delle facciate esterne che
sono ricostruite con i marcapiani, capitelli, cornici ecc,
nelle stesse forme e dimensioni originarie».
È stato l’arch. FRANCESCO LOVISON a perfezionare i
disegni esecutivi per riprodurre dettagliatamente le decorazioni in modo tale da riuscire a superare le autorizzazioni e i rigorosi controlli di conformità effettuati dalla
Soprintendenza per i beni culturali.
«Per quanto riguarda i prospetti esterni è stato necessario demolire tutte le decorazioni originariamente realizzate in pietra [fig. 6] ed essendo l’edificio dal 2006 entrato
uotattualità
centuali altissime in Italia rispetto al resto della Mitteleuropa. Ma l’istruzione di massa divenne uno degli obiettivi
primari anche nel nostro paese: con la riforma Gentile del
1923, il governo Mussolini rendeva obbligatoria la frequenza della scuola fino ai 14 anni con la divisione di questa in
elementari, ginnasio e superiori. Quindici anni dopo, nel
settembre del 1938, Mussolini, in una delle sue visite in
tutta Italia per ‘andare verso il popolo’ per la costruzione
del consenso politico e del rilancio dell’economia, arriva
in Friuli Venezia Giulia e, in una delle sue tappe, c’è anche
Cervignano. I bambini dalla prima elementare erano diventati ‘Figli della lupa’ dal 1931 e sei mesi prima dell’arrivo del Duce a Cervignano la maestra Zanutti, insegnante
di ginnastica, aveva insegnato ai piccoli Balilla i canti per
Mussolini in modo che tutto fosse perfetto.
Gli anni successivi all’arrivo delle truppe tedesche nel
1943 sono stati vissuti tra momenti di forti differenze
sociali tra i bambini, come è emerso dalle testimonianze: c’era chi non poteva permettersi pennarelli, quaderni
e una merenda per la ricreazione, ma queste difficoltà,
sempre meno notevoli con il passare degli anni, non venivano notate dai bambini, tutti vestiti con un grembiule
nero: sotto agli occhi vigili dei maestri Fedri, Balducci e
Fornasir, al suono di una campanella che da anni con il
suo suono annunciava «Moviti, che tu sés in ritart!», in
fondo erano tutti uguali.
Dopo un grave incendio, nel 1964 la struttura venne riaperta, per poi sprofondare nell’abbandono verso la metà
degli anni 80. Uno dei luoghi più importanti nella storia
di Cervignano era destinato alla demolizione fino a che,
il 21 novembre 2006, la Soprintendenza ai Monumenti
del Friuli Venezia Giulia pose il vincolo sul palazzo, proponendo così il recupero del complesso.
L’edificio della vecchia scuola di via Roma, anche se avvolto dai segni del tempo e dai degradi che negli anni
hanno ricoperto le facciate e i suoi interni [figg. 3, 4, 5],
in
La nostra storia si rinnova, è questo il titolo di apertura dell’inaugurazione della ex-scuola elementare di via
Roma, ora Palazzo delle politiche sociali: sede di diversi
uffici quali Inps, Inail, Campp e i servizi sociali d’Ambito, tenutasi lo scorso 10 dicembre 2016, ben 108 anni
dopo il suo primo battesimo, il 12 dicembre 1908. Allora
la realizzazione della nuova scuola non aveva solo valorizzato il tessuto urbano cervignanese ma fu un’occasione per trasferire alcune attività produttive da via Aquileia a via Roma, come riportano le parole di una delle
testimonianze all’inaugurazione: «mio nonno trasferì
l’attività in via Roma per fare le merendine per i bambini
che andavano a scuola».
Si deve alla lungimiranza dell’imperatrice Maria Teresa
d’Austria l’introduzione delle ‘Scuole Popolari’ obbligatorie in tutto l’Impero per entrambi i sessi, grazie all’apposito decreto del ministro Felbiger del 1774.
Nel primo decennio l’insegnamento venne affidato al
clero, mancavano infatti maestri laici qualificati: «solo in
alcuni paesi le scuole popolari erano dirette da laici e perciò il clero accanto alla catechesi unì l’istruzione scolastica, impartita di solito nelle sacrestie, raramente in locali
messi a disposizione dalla Pubblica Amministrazione»
(Fontana 1994, p. 107).
Quando nel 1818 venne pubblicato il primo ‘Regolamento per le scuole popolari’, le scuole funzionanti a Cervignano erano la scuola Capo Comunale di Cervignano in
lingua volgare, la scuola Domenicale, la scuola Parrocchiale e la scuola Popolare, quest’ultima situata all’epoca
in via del Porto.
«Le scuole popolari di Cervignano, venivano frequentate
anche da bambini provenienti da paesi confinanti appartenenti al Regno d’Italia: per assurdo una scuola italiana
in Austria» (Fontana 1994, p. 109). Erano infatti all’ordine del giorno esercitazioni di matematica e di lingua,
sia tedesca che italiana, come si può notare in un saggio
di calligrafia dell’alunna Corona Maria del 1884 [fig. 1].
 intonacati. Il polistirene espanso è infatti utilizzato come
in
uotattualità
10
RISCOPRENDO CERVIGNANO
Bibliografia e sitografia
Bruno Fontana, Cervignano austriaca, Pieve di Soligo, 1994
http://francescolovison.it/it/portfolio-items/cervignanofriuli-restauro/
http://www.infobuild.it/
spetto alle classiche lavorazioni in marmo e cemento. La
resistenza agli agenti atmosferici e l’aspetto ‘simil-pietra’
vengono implementati attraverso la spruzzatura di un
impasto di intonaco fibrato, materiale affinato negli anni
da Eleni, che garantisce alta resistenza e alta elasticità, in
modo che nel tempo il materiale non presenti cavillature
che comprometterebbero l’estetica e, soprattutto, la funzionalità degli elementi. La leggerezza è la terza caratteristica peculiare di queste decorazioni, queste infatti possono essere applicate con semplici collanti direttamente
sulla superficie del cappotto evitando in questo modo
spiacevoli ponti termici.
A SCUOLA IN VIA ROMA
Chi ha la mia età o qualche anno in più ha notevoli variabili circa il luogo della propria frequenza scolastica: la
scuola elementare era quell’edificio recentemente restaurato in via Roma, ma lo sviluppo demografico degli anni
’60 ha imposto una parziale, temporanea delocalizzazione in quella che oggi è la scuola elementare di via Caiù ed
anche in quell’edificio conosciuto come il vecchio asilo in
Borgo Salomon. La scuola media era l’attuale biblioteca in
via Trieste, ma si apriva in quegli anni anche quella di via
Udine. Con queste righe desidero raccontare quel tempo
che per me è stato nella seconda metà degli anni sessanta,
in cui ho frequentato la scuola elementare. Non è certo mia
intenzione fare una ricerca puntuale e documentale, piuttosto un viaggio nella memoria di chi quel tempo ha vissuto nella propria infanzia e nella propria esperienza. Appena ho cominciato a pensarci, ho detto a me stesso: “non mi
ricordo assolutamente nulla”. Ho quindi cercato conforto
ed aiuto ed ho organizzato un piccolo viaggio di gruppo.
Ho invitato Alessandro Giusti, classe 1950 ed il suo coetaneo Giampaolo Rigonat ed ho cercato la mia maestra Erina
Canciani Cominetti che ci ha ospitati tutti a casa sua, davanti ad un caffè con tanto di pasticcini. La maestra, che ci
tiene ad essere così appellata al punto da chiamare la forza
pubblica in difetto, non vorrebbe essere nominata; ma sono
io che ho bisogno di farlo. Perché proprio pronunciarne il
nome è stato il primo risveglio della memoria.
Non è un intervista quella che ho realizzato, quanto piuttosto un vero viaggio di gruppo nel passato. Una “rimpatriata” durante la quale fra aneddoti, nomi ed evocazioni,
sono emersi i ricordi, hanno preso vita in un susseguirsi
di immagini, volti e racconti che ci hanno riportati là in
quel tempo. Una esperienza sinceramente emozionante e
piacevole che ci ha riempiti di una tenera nostalgia.
–Io
– ricordo le scale, in pietra, altissime, sulle quali ci arrampicavamo in lunghe file che si avvolgevano su se stesse.
ALTA UOTA
Dopo l’applicazione, gli elementi sono stati colorati con
normali pitture murali per esterni riportando così le facciate uguali al loro aspetto originario».
Nell’ottobre del 2006 era stata presentata la proposta della prima giunta Paviotti per il recupero del complesso;
dopo più di dieci anni, uno dei simboli più importanti della città è riemerso nella sua bellezza [figg. 10, 11,
12], non solo per mantenere vivido il ricordo degli anni
passati, ma anche per continuare a scrivere la storia di
Cervignano.
◆◆ GIULIA BONIFACIO
materiale di base che dà la forma, ha grandi potenzialità
poiché è facilmente lavorabile e permette di ottenere forme molto complesse con costi decisamente inferiori ri-
«Sì, le scale erano in pietra, le pareti, fino ad una certa
altezza, erano di un colore scuro e lucido; la ringhiera in
ferro ed il passamano in legno, lucidato dall’uso, come
in legno erano i pavimenti, lunghi tavolati scuri spesso
irregolari. Al piano terra, sulla sinistra entrando, c’era la
segreteria dove stavano la segretaria Zaira Salvador, la
mae­stra Seneca e la direttrice, che aveva creato un ambiente armonioso e disciplinato. La disciplina era importante, c’erano fino a 5 classi prime, ognuna con 25/28
alunni, si entrava a scuola per ordine: prima le prime, poi
le seconde e così via tutti per le uniche scale e si scendeva
in senso opposto. Certo, ci si preparava in fila ed in ordine di entrata già fuori in cortile».
–Il
– riscaldamento?
«È vero, sembra incredibile, il riscaldamento era a legna,
in ogni aula c’era una stufa in terracotta oppure in ghisa, con un cassone di legna al suo fianco ed ogni tanto
qualcuno era incaricato di alimentare la stufa. Quando
la legna finiva, bisognava chiamare Albano. Una sorta di
bidello tuttofare che aveva anche il compito appunto di rifornire le aule di legna da ardere, io lo ricordo con un lungo grembiule scuro. Quando era troppo freddo, si faceva
ginnastica. La si faceva in aula, si disponevano i banchi
lungo le pareti; le aule erano enormi, circa 10 metri per 5
con soffitti alti 4 metri e permettevano che ci si disponesse
in larghe file per fare esercizi ginnici sul posto».
–Ed
– il cortile?
«Quando la stagione lo permetteva, si usciva certo. La ricreazione si faceva sotto il grande gelso e sotto l’occhio
vigile degli insegnanti che stavano insieme da una parte;
ricordiamo la maestra Lancia i maestri Gregori, Romeo e
Ragagnin, mentre si organizzavano giochi, partite e sfide
varie. Il cortile era in ghiaia su terra battuta e sembrava fatto apposta per tracciare linee e delimitare aree. Si
usava un bastone o più spesso il tacco della scarpa, per
disegnare a terra un area di rigore».
zione libera che imponeva la capacità di descrizione e l’utilizzo della logica consequenziale. I titoli preferiti: “Cosa
vedi dalla finestra? Racconto di una mia giornata”».
–Punizioni
–
e castighi mi ricordano qualcosa
«Erano degli autentici provvedimenti disciplinari, conseguenza di azioni sanzionabili. Potevano essere individuali
o collettivi e venivano imposti in aggiunta ai compiti per
casa. Davvero cose di altri tempi: scrivere 50 o 100 volte
una determinata frase; fare divisioni a due cifre; studiare le misure di capacità; imparare a memoria brani del
Manzoni; recitare con espressione. Questo tipo di “compito per casa”, era noto come punizione anche da parte
dei genitori; pertanto ricevere questa “sanzione”, spesso
significava eseguirla di nascosto, magari chiusi in bagno».
–La
– ricreazione…il momento più bello
–Ricordo
–
anche piacevoli evasioni…
«Forse è un luogo comune, ma era anche un momento in
cui emergevano profonde differenze. Si faceva la merenda, si copriva il banco con un tovagliolo e ciascuno consumava la propria merenda, quello che era in uso consumare nelle proprie famiglie, secondo le abitudini i gusti, ma
anche secondo le possibilità di ciascuno. Poi c’era il tempo
per uscire all’aperto se, appunto, la stagione lo permetteva
oppure semplicemente andare in corridoio. Tutti ricordano che quello era il momento in cui il maestro Gregori
consumava i suoi PAVESINI, quasi non fossero un alimento, ma un’icona di rango. Era solito anche fumare in
classe. Il maestro Pez invece teneva sempre aperta la porta
della sua aula durante le lezioni. Alla maestra Salvador,
piaceva la musica ed insegnava a cantare i canti natalizi. I
servizi igienici erano al piano terra e per andarci, si doveva ottenere il permesso ed andare sempre in due».
«Sì, le visite o gite. Erano preparate ed attese ed erano
poi oggetto di temi e racconti. Tutti ordinati ed in fila
per due, ci si spostava a piedi per passare qualche ora alla
caserma Monte Pasubio dove venivano mostrati e spiegati mezzi, attrezzature e organizzazione della struttura.
Ricorrente anche la visita alla cantina sociale, dove si
visitavano i locali e veniva spiegato il ciclo di lavorazione. Erano momenti graditi perché a conclusione veniva
anche offerto un rinfresco. C’era poi la festa degli alberi;
una giornata durante la quale, alla presenza della autorità
civili, venivano piantati alcuni alberi ai giardini pubblici
e la banda suonava marce dall’aria solenne».
Un edificio che non è solo un contenitore, ma memoria
in sé. Ricordi che sono scampoli di vita sottratti all’oblio.
◆◆ GIUSEPPE ANCONA
–Ricordo
–
tanti cartelloni, ma non ricordo libri
«Si imparava a scrivere ripetendo righe e righe di lettere,
ma ancor prima di stringhe, barre e segni, che dovevano
essere sempre ordinati e simmetrici. In terza arrivava il
sussidiario che conteneva un po’ tutte le materie, ma vi
erano diversi supporti che potevano essere utilizzati. Le
carte geografiche; la cui esposizione e trasporto costituivano un autentico rito. Qualcuno, spesso in due e dovevano
essere meritevoli, veniva incaricato di ritirare dal famoso
Albano la cartina geografica, che era poi appesa in aula .
E la tavola pitagorica? Chissà se esiste ancora, ma era fondamentale per imparare le tabelline che si dovevano ovviamente sapere a memoria. Poi c’erano gli esami; uno in
seconda per essere promossi in terza ed uno in quinta, con
tanto di commissione d’esame. Vi erano poi le ricerche,
da fare a casa, a volte anche in piccoli gruppi sulle materie
più diverse, ma più spesso su storia e geografia. Per queste era fondamentale poter disporre delle enciclopedie.
Primitive fonti di conoscenza pre-informatiche , che tante
generazioni di alunni e studenti hanno sfamato ed incuriosito. I dettati. Brani di letteratura che venivano appunto dettati (letti dall’insegnante e scritti dagli alunni) che
costringevano a mantenere un ritmo di scrittura elevato,
una calligrafia pulita ed ordinata ed una buona conoscenza grammaticale, in quanto erano elementi di valutazione;
ma spesso costituivano la premessa al tema. Una composi-
IL RICRE
11
GRUPPO TEATRALE
“IN SCENA PER CASO”
Il gruppo teatrale del ricreatorio anche quest’anno si è
dato da fare: il 10 dicembre scorso nella sala Aurora del
ricreatorio è andato in scena il loro spettacolo “Un matrimonio di mezza estate”. Gli attori e i componenti di
questo gruppo sono per lo più ragazzi disabili, aiutati da
altri giovani e famiglie. Regista dello spettacolo e fondatore del gruppo è Salvo Barbera che con molta bravura e
passione porta avanti questo progetto.
Pignarûl
in
uotattualità
Lo scorso 9 dicembre 2016, a conclusione del proprio
anno associativo, il gruppo adulti di Azione Cattolica ha
consegnato alla locale CARITAS un contributo economico a sostegno dei più bisognosi.
L’anno giubilare appena concluso, ha invitato ciascuno
di noi ad approfondire la misericordia quale linguaggio
usato da Dio. E rendere concreta l’esperienza giubilare è
stato presto un bisogno condiviso.
Si è così attivato l’impegno, fatto proprio dal gruppo
adulti, di raccogliere fondi da destinare a quelle iniziative
che più di tutte parlano il linguaggio della misericordia.
La raccolta fondi, durata cinque mesi, ha portato a disporre di una somma che, sebbene non cambi la vita, poteva essere un valido sostegno all’attività di chi già dedica
costantemente il proprio tempo alle necessità altrui. Da
qui la scelta di devolvere 850,00 Euro in buoni acquisto
Conad alla CARITAS cervignanese.
Nella foto i responsabili locali dell’Azione Cattolica e
della Caritas alla presenza del responsabile Conad nella
breve cerimonia di consegna.
◆◆ GIUSEPPE ANCONA
Anche quest’anno la befana è arrivata: all’imbrunire del
6 gennaio, guardando in alto verso il campanile di Scodovacca i bambini hanno potuto scorgere con grande
sorpresa l'arrivo della “signora”.
Il pomeriggio è iniziato con la benedizione dei bambini
presso l'affollata chiesa di Scodovacca. Al termine della
celebrazione sono tutti usciti all'esterno per vedere la befana scendere dal campanile. Atterrata sul piazzale della
chiesa, ha distribuito i doni ai numerosi bambini presenti
e recatasi poi presso il ricreatorio ha acceso il tradizionale pignarûl .
La manifestazione è stata possibile grazie all’aiuto di più
persone tra cui il CAI di Cervignano, che ha predisposto
il necessario per la discesa della befana. Si ringrazia inoltre la comunità di Scodovacca e quanti hanno donato il
materiale per realizzare il pignarûl e rendere speciale un
pomeriggio.
ALTA UOTA
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CINQUE
× MILLE
Ecco cosa abbiamo fatto della tua firma:
ALTA UOTA
CROSSROADS
Aiutaci a fare di più
con un’altra firma.
MODELLO 730-1 redditi 2009
ALLEGATO B
Scheda per la scelta della destinazione
dell'8 per mille dell'IRPEF e del 5 per mille dell'IRPEF
Da consegnare unitamente alla dichiarazione
Mod. 730/2010 al sostituto d’imposta, al
C.A.F. o al professionista abilitato, utilizzando
l’apposita busta chiusa contrassegnata sui
lembi di chiusura.
genzia
ntrate
GIORNO
MESE
NOME
COMUNE (o Stato estero) DI NASCITA
ANNO
Senza spendere un euro
in più (in quanto l’IRPEF
ti viene già trattenuto
dalla pensione o dallo
stipendio) potrai
contribuire a sostenere
le attività di promozione
sociale della nostra
Associazione impegnata
da anni nel mondo
giovanile, nel campo
della Ricreazione, della
Spiritualità, della Cultura
e dello Sport. Come per
l’8×1000, non ti costa
nulla di più. Invita amici,
parenti, conoscenti a
sostenerci con il loro
5×1000: tutti possono
firmare, anche i non
residenti nella nostra città.
SESSO (M o F)
PROVINCIA (sigla)
basterà indicare nella
LA SCELTA DELLA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF E QUELLA DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF
NON SONO IN ALCUN MODO ALTERNATIVE FRA LORO. PERTANTO POSSONO ESSERE ESPRESSE ENTRAMBE LE SCELTE
apposita casella della
SCELTA PER LA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti)
scheda del 5×1000
Stato
Chiesa cattolica
Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno
Assemblee di Dio in Italia
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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il nostro CODICE FISCALE
Chiesa Valdese unione delle chiese metodiste e valdesi
Chiesa Evangelica Luterana in Italia
Unione Comunità Ebraiche Italiane
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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90000020306
In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa che
i dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta.
AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle sette istituzioni beneficiarie della quota dell'otto per mille dell'IRPEF, il
contribuente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. La scelta deve essere fatta esclusivamente per una delle
istituzioni beneficiarie.
La mancanza della firma in uno dei sette riquadri previsti costituisce scelta non espressa da parte del contribuente. In tal caso, la ripartizione della quota d’imposta non attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse. La quota non attribuita spettante alle
Assemblee di Dio in Italia è devoluta alla gestione statale.
e apporre la firma.
SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti)
Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale,
delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni e fondazioni riconosciute
che operano nei settori di cui all’art. 10, c. 1, lett a), del D.Lgs. n. 460 del 1997
FIRMA
Mario Rossi
........................................................................
Codice fiscale del
beneficiario (eventuale)
90000020306
Finanziamento della ricerca scientifica
e della università
FIRMA
Finanziamento della ricerca sanitaria
FIRMA
Sostegno delle attività sociali svolte
dal comune di residenza
........................................................................
Codice fiscale del
beneficiario (eventuale)
Sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI
a norma di legge che svolgono una rilevante attività di interesse sociale
FIRMA
........................................................................
Codice fiscale del
beneficiario (eventuale)
........................................................................
Codice fiscale del
beneficiario (eventuale)
FIRMA
........................................................................
e apponi la tua firma!
Anche quest’anno tutti
coloro che avranno il
piacere di sostenerci
potranno apporre il nostro
codice fiscale e la firma nei
modelli CUD/730/UNICO.
Non si tratta di un
aggravio delle vostre
imposte né vi sarà
trattenuto nulla in più
di quanto viene già
trattenuto sull’IRPEF:
DATA DI NASCITA
90000020306
In questi anni,
molto è stato realizzato
grazie al vostro sostegno.
Per tutto questo vi diciamo
GRAZIE.
La vostra firma:
il nostro impegno.
DATI
ANAGRAFICI
Sostieni anche tu le nostre iniziative con un
semplice gesto che non ti costa nulla!
ri rreatorio
o
COGNOME (per le donne indicare il cognome da nubile)
Scrivi nella apposita casella del 5×1000
il nostro codice fiscale
CODICE FISCALE
(obbligatorio)
CONTRIBUENTE
RITAGLIA IL TALLONCINO E PORTALO CON TE COME PROMEMORIA!
In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa che
i dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta.
Inaugurazione del mosaico
SAN NICOLÒ
AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle finalità destinatarie della quota del cinque per mille dell’IRPEF, il contribuente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. Il contribuente ha inoltre la facoltà di indicare anche il codice fiscale
di un soggetto beneficiario. La scelta deve essere fatta esclusivamente per una delle finalità beneficiarie.
ALTA UOTA
Il 18 dicembre scorso, quarta domenica di Avvento, alla presenza di numerosi bambini e ragazzi dell’AC, del gruppo
scout e del ricreatorio è stato inaugurato il secondo mosaico,
realizzato dall’artista Enio Puntin di Aquileia. Dopo l'effige di
Don Bosco, sulla parete del ricreatorio è stato esposto il volto
del suo protettore San Michele Arcangelo, patrono della nostra città. Questi due mosaici, realizzati con passione e abilità tecnica, sono stati donati al ricreatorio dallo stesso artista.
zanon.pdf 1 08/04/2016 13.23.11
Come sempre il 5 dicembre è stato un giorno speciale: grazie
all'organizzazione del ricreatorio è arrivato San Nicolò. Partendo da piazza San Girolamo e percorrendo il piazzale e via Roma
è giunto in ricreatorio, regalando a tutti i bambini un dono e
augurando a tutti di vivere in serenità e pace queste feste di
Natale. Anche quest'anno è stato un momento molto atteso
per i bambini di Cervignano: la partecipazione è stata numerosa, sia per le vie della città sia in ricreatorio. Il giorno successivo,
giorno in cui si ricorda il Santo, S. Nicolò è passato nelle scuole,
negli asili e al camp, anche qui portando doni a tutti.
credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47
CAMPO INVERNALE DEL
GRUPPO DOPO CRESIME
Si è svolto dal 2 al 5 gennaio scorso a Enemonzo il campo
invernale del gruppo dopo cresime e del gruppo giovani di
Strassoldo. I ragazzi che hanno partecipato erano una ventina, accompagnati dai loro educatori e da Don Moris. Ci sono
stati momenti di riflessione e di approfondimento e momenti
di svago e divertimento, come la giornata a Sappada presso
Nevelandia.