ALTA UOTA Anno 13 Numero 56 edizione Dicembre 2016 – Febbraio 2017 Periodico bimestrale gratuito - Tiratura 1.000 copie - Registrazione Tribunale di Udine n. 15 del 15 marzo 2005 Il Ricreatorio San Michele è iscritto nel Registro Regionale delle Associazioni di Promozione Sociale al n. 121 www. fvgsolidale.regione.fvg.it Segreteria telefonica e fax: 0431 35233 Sito internet: www.ricre.org /AltaQuota2.0 [email protected] Direttore responsabile: Federica Andrian Direttore editoriale: Filippo Medeot Redattori: Giuseppe Ancona, don Moris Tonso, Vanni Veronesi, Giulia Bonifacio, Francesco Perusin, Federica Ermacora, Francesco Pavoni, Carolina Stabile, Luca Maggio Zanon, Paolo Bearzot, Luca Visentin, Carlo Catalano. Responsabile web: Riccardo Rigonat Responsabile marketing: Alex Zanetti Stampa: Goliardica Editrice, Bagnaria Arsa Centro Giovanile di Cultura e Ricreazione “Ricreatorio San Michele” via Mercato, 1 – 33052 Cervignano del Friuli (UD) www.ricre.org SARÀ LA MUSICA CHE GIRA INTORNO UN GIRO INTORNO ALLA MUSICA RICREATORIO p. 11 zianti ed interminabili cantilene delle tribù sudamericane ai canti gregoriani cristiani, fino ai gong ed alle voci gutturali del monaci buddhisti arroccati tra le montagne del Tibet. Il fascino che la musica ha esercitato sull’uomo è dovuto anche al suo carattere dicotomico, alla sua facoltà di isolare ed insieme congiungere, di porre l’individuo davanti a se stesso, ma anche di unirlo agli altri, di creare condivisione e partecipazione, accordando le persone su una medesima frequenza e permettendo loro di esprimere un medesimo sentire. È proprio questo antico rapporto tra uomo e musica che vogliamo indagare: l’atavica fascinazione che essa esercita su di noi, come influisce sui nostri stati d’animo e sulle nostre azioni, come è capace di farci stare bene, il tutto immerso nella quotidianità e nella routine. In occasione del restauro della vecchia scuola di via Roma una parte del giornale sarà dedicata a ricordi, aneddoti e testimonianze incentrati sull’edificio delle ex elementari e su Borgo Salomon, di modo da far rivivere attraverso il racconto dei suoi abitanti una parte tanto cara e importante di Cervignano. ◆◆ FILIPPO MEDEOT LA NOSTRA SCUOLA p. 9 UN TUFFO NEL PASSATO p. 8 ano un vortice in cui naufragare, con cui accordarsi e fondersi, in cui perdersi e ritrovarsi, quasi a costituire una catarsi, tanto che sempre Cioran in Lacrime e santi (1937) afferma: «Dopo aver letto tutti i filosofi più profondi sentiamo il bisogno di ricominciare da zero. Soltanto la musica ci dà risposte definitive.» Sulla musica ed il potere che esercita su di noi si è scritta una bibliografia sterminata, inclusi studi neurologici, psichiatrici, psicologici e antropologici. Del resto è una cosa che abbiamo esperito tutti: ascoltare un bel disco dopo una giornata difficile e finalmente riuscire a liberare il cervello dalle preoccupazioni, assaporando un momento di tanta agognata pace. Ed è questo forse la qualità più straordinaria, il riuscire a trascendere il tempo e lo spazio creano uno spazio altro ed un tempo altro, come una bolla in cui ci troviamo sospesi, a faccia a faccia con il proprio Io. Ascoltare musica aiuta l’elaborazione del lutto, così come facilita la meditazione. La cadenza ritmica diventa ipnotica ed induce in trance, quasi fosse un ponte con il divino e con l’inconscio. Da qui il valore sacrale della musica: dalle percussioni frenetiche dell’Africa, ai dervisci rotanti dell’Anatolia, dalle stra- DORO GJAT p. 4 EDOARDO LOVROVICH p. 2 «Sarà la musica che gira intorno / quella che non ha futuro / sarà la musica che gira intorno / saremo noi che abbiamo nella testa un maledetto muro». Così canta Ivano Fossati nel suo singolo del 1983, “Sarà la musica che gira intorno”, contenuto nell’album “Le città di frontiera”. Esprime tutta la sua esasperazione per un’ umanità che si chiude in se stessa, spaventata da ciò che non conosce e ingabbiata in preconcetti e pregiudizi, incapace di accettare, accogliere, comprendere una cultura differente. Ed in un tempo in cui queste parole suonano più attuali che mai, abbiamo invece deciso di parlare della musica che unisce, che scavalca i confini, le barriere, il filo spinato, che avvicina le persone e le mette in contatto. Abbiamo deciso di parlare della musica che speriamo abbia futuro. Nella sua sconsolazione e nel suo scetticismo assoluto Emil Cioran, il grande pensatore romeno del XX secolo, trovava nella musica l’unico conforto all’asprezza della vita: «c’è in me una nostalgia di qualcosa che non esiste nella vita e nemmeno nella morte, un desiderio che su questa terra niente appaga, fuorché, in certi momenti, la musica, quando evoca le lacerazioni di un altro mondo.» Ritmo melodia armonia cre- 2 LA MUSICA ATTRAVERSO LE PERSONE LA MUSICA MI PORTA ALTROVE EDOARDO LOVROVICH, giovane musicista cervignanese classe ’95, con già molta esperienza nella scena musicale della bassa friulana, fondatore di numerose band quali: The Big Brown Bag, Kick out the Elephant e The Rapsody. Ci troviamo a parlare di musica in modo semplice ma non banale. –Com’è – nata la passione per quest’arte? «Sono sempre stato attratto dalla musica, dalle sue sonorità, dal ritmo; ho avuto la fortuna di avere dei genitori con dei buonissimi gusti musicali, perciò fin da piccolo mi hanno fatto ascoltare i grandi gruppi e musicisti che segnarono la storia della musica: Beatles, Doors, Queen e via dicendo. All’età di dodici anni ho cominciato a studiare chitarra elettrica ed è stato un colpo di fulmine, rimane tutt’oggi il mio strumento preferito, con il quale riesco ad esprimere al meglio la mia musica. Mi sono anche interessato, da autodidatta, ad altri strumenti come al pianoforte e, sull’onda delle nuove tecnologie, di cui la mia generazione fa parte, alla musica elettronica e alla sua composizione attraverso i vari software». in uotattualità –Come – sono cambiati i tuoi gusti musicali da quando hai cominciato ad adesso? «Diciamo che non sono propriamente cambiati, ascolto ancora con una certa riverenza i classici che ho nominato prima, perché rappresentano una sorta di cultura di base a cui tutti si ispirano e senza la quale è quasi moralmente scorretto fare musica. Ci sono band, cantanti e compositori che hanno dato alla musica un impatto rivoluzionario, dai suoni, al ritmo e ai testi delle loro canzoni, arrivando spesso a sfociare nello ’scandaloso’, per i loro tempi. Ovviamente allo stesso tempo non ci si può focalizzare solo su questi ma si deve avere una mentalità aperta che abbracci ogni sfumatura della musica perché è un mondo talmente variegato che non si ferma mai, è una macchina in continuo movimento, in evoluzione, mi piace per questo sperimentare nuove sonorità provenienti da generi diversi e integrarli al mio modo di fare musica. Ultimamente seguo il britpop e l’indie, mi piace la musica inglese, ha un ritmo che si incastra bene tra gli accordi, in italiano è più difficile, la nostra è una lingua più complessa». –So – che scrivi anche canzoni: come arriva nel tuo caso l’ispirazione? «Arriva senza preavviso come un fiume in piena, è una sorta di epifania, so di dovere scrivere qualcosa ma è molto difficile tradurre un’emozione in una canzone, bisogna far incastrare diverse cose: accordi, parole, melodie e sopratutto bisogna trasmettere la sensazione di quel momento, l’emozione senza la quale la musica non è niente. L’ispirazione può derivare, nel mio caso, da uno stato d’animo o da una esperienza personale, non so esattamente come nasca questa sensazione di dover dire qualcosa, forse ci vuole una certa sensibilità, poi è molto importante il padroneggiare la tecnica musicale per riuscire a tradurre i propri sentimenti in suoni. Ci deve essere un determinato rapporto tra capacità ’poetiche’, per la struttura del testo e le specifiche parole, e l’abilità nel saper suonare uno strumento, tant’è che non sempre un eccellente musicista è anche un bravo compositore e viceversa». –Puoi – raccontarci qualcosa delle tue canzoni? Sono dedicate a qualcuno in particolare? «Con i Kick Out The Elephant abbiamo registrato due canzoni, scritte tra il 2011 e il 2013 e prodotte negli ultimi due anni. La prima è Smoking Girl: ci troviamo in una sorta di sogno nel quale al protagonista, la voce narrante, appaiono delle immagini, come dei lampi, di una donna provocante e aggressiva. Questa donna rimane però immersa in una nebbia di fumo non si capisce se sia reale o sia frutto solamente dell’immaginazione del narratore. Il ritornello invece è il punto di massimo slancio della canzone in cui l’amore per la donna sembra concretizzarsi, tant’è che il protagonista è convinto che ’the night’ (’la notte’) possa realmente calare su di loro, ma rimane comunque vago se sia una notte romantica o una notte eterna. La seconda invece The boy with no name racconta di un ragazzo, molto tormento che vaga in cerca della sua anima, l’anima stessa è il suo amore, idilliaco ed evanescente, frutto della libertà del suo sognare e chiave della sua esistenza. Questo oggetto di desiderio potrebbe renderlo immune ad ogni sofferenza e gli permetterebbe di stare al di sopra del mondo, se solo fosse raggiungibile». –Sono – canzoni con un testo molto tormentato... –Concludiamo – con una domanda apparentemente banale ma forse è tutt’altro, cosa cerchi nella musica? «Prima di tutto cerco evasione, in una vita frenetica come quella che tutti noi abbiamo, tra i mille impegni spesso sento il bisogno di staccare la spina. Quando ascolto musica o suono vado altrove, spazio con la mente e al tempo stesso mi rilasso, poi quando una canzone mi fa muovere anche solo un dito significa che mi ha preso, che mi ha emozionato». ◆◆ FRANCESCO PERUSIN UNA CHITARRA E DUE AMICI Da sempre appassionato di musica in tutte le sue forme e sfumature, NICOLA GUELI, originario di Agrigento, ci racconta la sua ‘carriera’ da autodidatta, in cui predominano la curiosità e le sperimentazioni. Suona infatti molti strumenti che nel corso degli anni ha acquistato nei suoi viaggi e non, possiede anche un’invidiabile collezione di vinili e cd di ogni sorta. Mi sento in dovere di citare un aforisma di Albert Einstein che riassume, a mio avviso, perfettamente il carattere da autodidatta di Nicola Gueli, recita così: “Non ho particolari talenti, sono soltanto appassionatamente curioso”. –Cosa – cerchi nella musica? Questa tua ricerca è cambiata nel corso degli anni? «Quando ascolto musica mi rilasso, cerco la pace dei sensi estraniandomi in un certo senso dalla realtà, vado altrove e mi lascio trasportare dalle note. Suonare invece per me è diverso, lì ci si diverte. Da giovane era esattamente come ora, la gioia e il divertimento nel suonare sono rimasti sempre quelli, forse mi manca un po’ prendere su la chitarra, due amici ed andare a suonare e cantare le canzoni di Battisti in Viale della Vittoria ad Agrigento o in spiaggia attorno ad un fuoco, bastava una chitarra e magari un mandolino ed il gioco era fatto. La musica è nutrimento per la mente e l’anima». –Da – quanto tempo ha iniziato a suonare uno strumento? «Visto l’argomento che trattiamo preferirei che ci dessimo del “tu” in quanto, a mio avviso, la musica abbatte ogni differenza di età, di etnia e tutto quanto possa costituire una barriera tra più persone». –Schopenhauer – (filosofo tedesco del XIX secolo) riteneva la musica l’arte per eccellenza, l’unica che va oltre la materia, incarnando l’essenza del pensiero e dell’esistenza, hai mai sentito o vissuto questa universalità della musica? –A – seguito di questa sua richiesta riformulo la domanda: da quanto tempo hai iniziato a suonare uno strumento? ALTA UOTA «Sì è vero, c’è una certa angoscia e tensione in entrambe le canzoni, la continua ricerca anche asfissiante di un obbiettivo, di un risultato forse irraggiungibile, ma vi è anche la prospettiva del successo, come si suol dire: “la speranza è l’ultima a morire!”». «Il primo strumento è stato l’armonica a bocca con la quale ho cominciato a “giocare” all’età di 10-11 anni. È uno strumento che suono al contrario: i bassi a destra e gli acuti alla mia sinistra; infatti, come ben saprai, tutti gli strumenti sono strutturati in maniera tale da avere i bassi a sinistra e gli acuti a destra, quindi al contrario. All’epoca avevo visto un film western dove appunto si vedeva un cowboy che suonava l’armonica e avevo focalizzato che quando suonava le note acute, la bocca dell’interprete andava alla mia sinistra, mentre per le note basse, la bocca si spostava alla mia destra. In tutto ciò non ho tenuto conto dell’immagine speculare dello schermo e quindi ho imparato a suonare l’armonica al contrario. Fin da ragazzino mi sono sempre interessato alla musica, era qualcosa che mi affascinava; un mio zio aveva uno zufolo che suonava con grande maestria e mi perdevo nell’ascoltarlo, ero perdutamente innamorato di quello strumento, amore che poi scoprii essere esteso per ogni tipo di strumento tant’è che ancora oggi ne sono attratto, tanto da portarmi a possedere una discreta collezione di ‘giocattoli’, mi piace chiamarli così. Compiuto 14 anni, essendo stato promosso con ottimi voti ed avendo vinto una borsa di studio, chiesi a mio padre di regalarmi un motorino, ma gli fu facile impresa convincermi a barattare il motorino con una chitarra; lui aveva già capito tutto, e da li cominciai a strimpellare con gli amici ovunque ci capitasse. Strimpello, (precisa sorridendo) non ho mai studiato musica, mi piace dire che strimpello, per lo più ad orecchio, seguo in un certo senso l’istinto che ho coltivato negli anni da autodidatta in una sorta di ricerca empirica». –Che – musica ascolti e come sono cambiati i tuoi gusti musicali nel tempo? «Io sono un grande nostalgico, da ragazzo ascoltavo i grandi cantautori ma apprezzavo molto anche i Beatles, i Rolling Stones, iBee Gees e tutta quella generazione di rocchettari, ma allo stesso tempo rimanevo legato alla mia terra non stancandomi mai delle canzoni popolari siciliane. Con il passare degli anni scoprii la passione per la musica classica ma sopratutto per il jazz, ho avuto anche la straordinaria fortuna di conoscere grandi musicisti come Francesco Buzzurro, Francesco Cafiso, Pietro Adragna e molti altri, anzi colgo l’occasione per invitarvi ad ascoltare le loro esecuzioni, reperibili su YouTube, e che riescono a trasmettere delle emozioni e sensazioni uniche». «Sì, certo, la musica ha qualcosa, a dir poco, di magico, riesce a toccare forse più di ogni altra arte le ’corde’ dell’anima. Vorrei però espandere questo ragionamento anche al mondo della natura e ai suoi suoni e perché no, melodie. Mi spiego con un esempio. Da ragazzo abitavo vicino ad un giardino nel quale c’era un bellissimo albero di nespole che fungeva da ritrovo per un gran numero di uccellini e la mattina questi cantavano tutti assieme in un gran vociare che per alcuni era solamente un infernale frastuono mentre per me era una stupenda melodia. Mi perdevo e cullavo immerso in questi suoni pieni di vita». –Una – volta, mi raccontavano i miei nonni, si cantava di più: in casa, in giardino, in macchina, in bicicletta e la radio era sempre accesa... Secondo te perché si è persa questa abitudine? «Sì è vero, dal mio punto di vista c’erano meno elementi distrattivi, la musica era spontanea e forse più legata alla tradizione rispetto ad oggi in cui le varie tecnologie permettono di ascoltare qualsiasi cosa in qualsiasi momento. La musica era veramente fine a se stessa ed era compartecipazione, condivisione e gioia, non dico che al giorno d’oggi questa spontaneità sia andata persa, ma semplicemente ha cambiato modo di manifestarsi. È diventata un qualcosa di più personale che si fa fatica a condividere apertamente». ◆◆ FRANCESCO PERUSIN LA MUSICA ATTRAVERSO LE PERSONE NUOVE FRONTIERE DELLA MUSICA Intervista a Nicola Cossar MANFREDI PLETTI, giovane musicista cervignanese, da qualche anno suona come DJ, ma ha alle spalle una grande cultura classica e rock avendo frequentato il conservatorio e suonato in numerose band. Padroneggia numerosi strumenti, un talento naturale. –Da – quanto tempo suoni? «Suono da quando ho sei anni, i miei genitori mi hanno mandato a lezioni private di pianoforte a Ruda, poi all’età di quattordici anni ho iniziato il conservatorio di Udine dove suonavo quasi solamente musica classica che costituisce un po’ il mio background. Ovviamente mi sono fin da subito appassionato a qualsiasi strumento, tant’è che da autodidatta ho imparato a suonare la chitarra, il basso e la batteria». –Che – genere di musica ascolti? –Parlaci – un po’ di questa tua attività. –Come – funziona il mercato discografico al giorno d’oggi? «Io in prima persona non l’ho vissuto in maniera così –Spesso – la musica elettronica è vista con dei pregiudizi: facile da fare e un po’ finta… «Sì, si sente dire questo, ma è una visione che hanno principalmente le persone di una certa età, che sono cresciute con un certo tipo di musica e ora che la musica elettronica con i suoi suoni ritmi e armonie ha avuto un massiccio impiego in ogni genere non riescono a riconoscere la qualità, la difficoltà e l’innovazione nelle sonorità di questo genere. Con l’arte contemporanea succede un po’ la stessa cosa, si esprimono emozioni tramite un linguaggio nuovo al di fuori delle solite convenzioni che siano grafiche o sonore». ◆◆ FRANCESCO PERUSIN LA MUSICA DEVE ESSERE EMOZIONE ALBERT MINNEY, classe 1954, è stato per anni il proprietario del negozio di dischi A.M. Music di Cervignano. Attualmente suona per la band “Orchestra Novanta” e per il progetto “Cinzia canta Mina”. –Qual – è il tuo curriculum musicale? Negli anni ’60, quando ero ragazzo, c’è stato un boom in moltissimi ambiti, tra cui quello musicale. Tutti i giovani volevano creare un gruppo per suonare ciò che più amavano. Io sono originario di Villa Vicentina e qui c’era un maestro che ha insegnato a me e ai miei compagni le basi per poter apprendere al meglio ed essere capaci di suonare uno strumento . A quel punto io ed i miei coetanei abbiamo deciso di organizzare un gruppo: un modo per divertirsi, ma soprattutto per stare in compagnia e condividere un’ulteriore esperienza assieme. Io suono il basso elettrico, attualmente mi diletto in un gruppo chiamato “Orchestra Novanta” e per un progetto chiamato “Cinzia canta Mina”. –Ascolti – qualsiasi tipo di musica? Che genere preferisci? Avendo venduto dischi per una trentina d’anni, ho ascoltato quasi tutti i generi musicali e posso affermare di amarli tutti. –Che – significato ha per te la musica? –Per – quanto riguarda quei “fenomeni”, tracce che rimangono impresse per qualche mese, cosa ne pensi? Beh, avendo studiato economia, posso affermare che le cose più mediocri sono quelle che hanno più valore. La domanda è qualitativamente piuttosto scarsa, quindi alle persone non interessa un’offerta particolarmente raffinata. Nessuno oggi investe soldi per produrre musica vera o una tipologia particolare di disco, anche perché ormai non c’è più il mercato della musica che esisteva una volta, il quale, anche se era contradditorio a causa dei personaggi che lo detenevano, comunque era un elemento di traino. –Secondo – te come cambierà la musica con il passare degli anni? Io non sono ottimista. La musica comunque è legata a tutto il resto, va calata nel contesto della vita di ogni giorno. Per quanto riguarda gli anni che ho vissuto in prima persona posso dire che si sono ripetuti dei cicli fino agli anni ottanta, ma a partire dagli anni novanta, con l’avvento delle nuove tecnologie, c’è stato un enorme cambiamento. Perciò secondo me ci sarà una continua perdita, ma non solo nella musica, anche nella qualità di tutto il resto. Gli ultimi che sanno veramente qualcosa di musica sono gli attuali quarantenni che hanno avuto un’ “educazione” in questo ambito. –Cosa – pensi della musica oggi? –Secondo – te c’è qualche genere che in Italia non è stato e non è sfruttato come meriterebbe? Secondo me oggi la musica non c’è più. Il modo di vivere frenetico che tutti seguono ha portato ad un livellamento in senso negativo. Il modo di poter usufruirne sta portando ad un decadimento: c’è troppa offerta e non si trova più alcun filtro, come potevo essere io quando avevo il negozio di dischi. Oggi veniamo bombardati da numero- Sicuramente la musica classica. L’Italia avrebbe un grandissimo patrimonio, che però non è mai stato posto allo scoperto. Pochissime persone sono a conoscenza della qualità della musica classica italiana, in quanto non c’è mai stata un’adeguata educazione musicale. ◆◆ PAOLO BEARZOT «Citando un caro amico, il brillante don Gilberto Pressacco, “Sediamo su un baule contenente un tesoro, la nostra cultura”. Riferendoci in modo più specifico all’ambito della musica, le radici del nostro patrimonio scavano nelle profondità del terreno culturale del Friuli. Per analizzare il loro sviluppo è però necessario creare una dicotomia tra tradizione religiosa e tradizione popolare, tra sacro e profano». –– Quali sono le principali componenti del primo? «Anche se oggigiorno possediamo un’esigua documentazione in merito poiché la maggior parte delle attestazioni venne bruciata in passato, l’origine del canto sacro nella nostra regione è sicuramente collegata all’area d’influenza della Chiesa di Aquileia e in particolar modo a Cividale. San Girolamo, soggiornando presso una comunità aquileiese di religiosi tra il 370 e il 373 d.C., ne descrisse il coro definendolo “quasi chorus beatorum”, “come un coro di beati”. Nell’VIII secolo il monaco cividalese Paolo Diacono compose l’“Ut queant laxis”, inno recitato in occasione dei Vespri del 24 giugno, ricorrenza della natività di San Giovanni Battista. Quest’opera, inizialmente conosciuta solamente in ambito liturgico, venne resa nota nell’XI secolo da Guido d’Arezzo, che ricavò dalla prima sillaba di ciascun verso della strofa d’apertura i nomi delle note musicali dal Do al La. Sempre nell’VIII secolo Paolino d’Aquileia, patriarca della Chiesa aquileiese dal 787 d.C., scrisse uno degli inni tutt’oggi più conosciuti in ambito cattolico, l’“Ubi caritas”. Ad Aquileia ebbe origine anche una primitiva forma di polifonia, il discanto. Si tratta di una tipologia di canto a due voci: la voce grave o vox principalis, denominata cantus firmus o tenor, e la parte acuta o vox organalis, il discantus o cantus propriamente detto. Appare di notevole rilievo agli occhi dei musicologi anche il Processionale di Cividale, un libro del XV secolo d.C. che contiene canti di accompagnamento per le processioni religiose. Costituisce una raccolta d’interesse internazionale perché al suo interno sono contenute delle composizioni drammatiche che rappresentano una delle prime manifestazioni, dopo quelle ritrovate in Francia, del teatro in musica. La più famosa tra queste è intitolata “Planctus Mariae”». –Per – quanto riguarda la musica popolare invece? «Innanzitutto desidero sottolineare che la musica popolare rappresenta un genere diverso da quello sacro, ma non una tipologia in contrasto con quest’ultimo; la musica scende dall’altare e si unisce ai canti e alle danze del popolo. In quest’ambito è sicuramente degno di nota il nome di Giorgio Mainerio, nato a Parma ma vissuto a Udine nel corso del XVI secolo: alla sua mano è attribuita la composizione del famoso brano “Schiarazule Marazule”. Altre figure di rilievo sono personificate poi da Lazaro Valvasensi, musicista di epoca barocca, e Arturo Zardini, artista del XIX secolo, padre di “Stelutis Alpinis”». –Secondo – Lei attualmente ci sono personaggi di rilievo all’interno della scena musicale della nostra regione? «Certamente! Dai cantautori che compongono in friulano, come Lino Straulino, Aldo Giavitto, Serena Finatti, Giulia Daici e gli FLK, gruppo di etno-rock friulano, a persone come Davide Liani, educatore che ha ideato il gioco dell’oca musicale per insegnare le note ai bambini. La scena musicale in Friuli è poi coronata dal Concorso Internazionale di Canto Corale Seghizzi che si tiene annualmente a Gorizia, dall’eccellenza del Coro Polifonico di Ruda, che nel 2008 ha vinto le Olimpiadi dei Cori nelle categorie ‘musica sacra’, ‘folklore’, ‘cori maschili’, e dalla sorprendente bravura del Piccolo Coro Artemia di Torviscosa, curato da Denis Monte». ◆◆ FEDERICA ERMACORA ALTA UOTA Da una parte è stato ed è il mio lavoro, perciò lo considero anche un elemento di compagnia. Avendo avuto un negozio di dischi, quasi sempre avevo in sottofondo qualche melodia che mi aiutava a trascorrere più felicemente le giornate. Oggi, con l’avvento della tecnologia, per sfruttare questa capacità della musica utilizzo strumenti quali YouTube quando ho qualche interesse per un brano in particolare, però essenzialmente preferisco ascoltare musica dal vivo: è più suggestiva e mi coinvolge maggiormente. Per me la musica deve essere principalmente emozione, deve suscitare qualcosa nell’animo. È l’unica cosa in grado di farlo al meglio, in quanto tocca le corde più interiori delle persone ed aiuta ad allietare la vita ed a renderla meno stressante. sissime offerte che passano senza lasciare il segno, a cui non facciamo nemmeno caso. –Quanto – sono profonde le radici della tradizione musicale in Friuli? uotattualità «Sì, mi sono messo in proprio, se così si può dire, da quando mi sono trasferito a Milano per gli studi universitari. Mi si sono aperte numerose porte tramite amicizie, conoscenze e via dicendo e sono riuscito a trovare uno spazio per la musica producendo un paio di canzoni. È stata una emozione unica ascoltare quest’estate una propria canzone, intitolata The Crown per una emittente radiofonica nazionale. Ovviamente non riesco ancora a vivere di questo lavoro, è ancora una passione ma il mio sogno sarebbe proprio quello di vivere di musica in ogni senso!». completa, ma me ne sono fatto un idea tramite degli amici che sono all’interno. Rispetto ad anni fa non si vendono più tante copie fisiche ma si lavora più di tutto con gli Mp3. Con le tecnologie odierne il fare musica è alla portata di tutti, per cui il mercato è saturo e bisogna avere qualcosa di diverso rispetto a tutta la concorrenza per differenziarsi e spiccare tra la massa. Le case discografiche più che avere un artista o un gruppo ‘sotto contratto’, come magari accadeva anni fa, preferiscono avere i diritti su singole tracce che fanno un gran numero di visualizzazioni sui social network, ma sono quasi sempre destinate, nel giro di pochi mesi se non addirittura settimane, a scomparire completamente, come una sorta di moda passeggera. Ovviamente questo discorso non è estendibile a tutte le case discografiche perché c’è ancora chi produce musica di alta qualità». NICOLA COSSAR, originario di Perteole, si è approcciato al giornalismo a metà degli anni ’70, quando ha iniziato a scrivere per la sede cervignanese di Voce Isontina. Membro dell’Ordine dei Giornalisti dal 1980, ha trascorso gran parte della sua carriera lavorativa all’interno della redazione del Messaggero Veneto. Data la passione che lo lega al mondo della musica da quando ha iniziato a suonare il pianoforte all’età di 8 anni, attualmente si dedica alla conduzione della trasmissione radiofonica Ispettore Rock per l’emittente Radio Spazio e dirige www.folkbulletin. com, nota rivista sul folk italiano. in «Sono dell’idea che non vi siano dei generi migliori degli altri, per cui ascolto un po’ di tutto per trovare dei suoni nuovi, che mi piacciono, in modo da poterli poi rielaborare con lo sguardo ad una futura mia produzione. Come dicevo prima, ho ascoltato e suonato veramente tanta musica classica, poi ho cominciato ad appassionarmi al rock e infine alla musica elettronica che ora come ora ascolto e suono più di ogni altra. Mi sono infatti buttato nel mondo della produzione musicale oltre che a suonare come dee-jay in vari club e discoteche». LA MUSICA HA ORIGINI FRIULANE 3 4 IL GATTO DEL NORD-EST IL RAP MADE IN FRIULI Nati a Tolmezzo, tra i monti della Carnia, “figli della roccia”, DORO GJAT, DEK ILL CEESA e DJ DEO, uniti dalla passione per la musica e dall’amore per la propria terra, decidono di formare un trio hip hop in lingua friulana: i CARNICATS. Nel 2007 esce il loro primo album omonimo per l’etichetta ReddArmy, insieme al loro primo mixtape “Gatti da nordest”, e fin da subito riscuotono grande successo in tutta la regione. Divengono ben presto uno dei punti di riferimento musicali per i giovani del territorio. Dopo l’EP del 2009 insieme al duo californiano Zion I e il secondo mixtape dei Carnicats “Nel frattempo”, Doro decide di intraprendere la carriera da solista e a novembre 2015 pubblica sempre con la ReddArmy “Vai Fradi”. Il disco ottiene ottimi riscontri sia di critica che di pubblico, suscitando anche l’interesse dei media nazionali. in uotattualità –Cominciamo – dall’inizio: com’è iniziata la passione per la musica? Hai imparato a suonare qualche strumento da autodidatta o hai frequentato una scuola di musica? Il mio legame con la musica si è da sempre stemperato sul piano emotivo più che su quello tecnico. Ho sempre ascoltato tanta musica, godendo di quel brividino che ti percorre la spina dorsale quando senti un pezzo che ti emoziona veramente, ma non ho mai studiato teoria musicale né ho mai suonato uno strumento (se non con risultati disastrosi). –Per – quanto riguarda le influenze musicali, cosa ascoltavi da ragazzino? E ora? Insomma, come sono cambiati i tuoi gusti musicali? Il rap italiano è pesantemente influenzato da quello d’oltreoceano: che rapporto hai con la musica americana? Da ragazzino ascoltavo le cassette pirata che mio papà comprava dagli ambulanti e mi portava a casa. Un po’ di tutto, dal cantautorato italiano al rock’n’roll d’oltreoceano. Col tempo poi mi sono innamorato del rap, in modo spontaneo e incondizionato. È un amore che continua tuttora e, nonostante mi piaccia spaziare i miei ascolti il più possibile, finisce sempre che torno ad ascoltare un disco rap e me ne innamoro. Nel 2016, per dire, ho divorato “Malibu” di Anderson .Paak, un disco delicato e molto curato. Per quanto riguarda invece il mio rapporto con la musica americana, è sempre stato parte integrante dei miei ascolti. Negli ultimi anni poi ho approfondito il mio rapporto con il rap europeo, in particolare quello inglese, e ne ho tratto grandi soddisfazioni. “Made in the Manor” di Kano è stato in heavy rotation nelle mie playlist per tutto l’anno scorso –Arriviamo – ai gjats: come sono nati i Carnicats e perché la scelta di fare rap? È un genere musicale che permette di dare sfogo a qualcosa che si ha dentro e che si vuole esternare, spesso di esprimere una situazione di disagio, che sia la vita nei quartieri popolari (il “ghetto) o una giovinezza complicata. Voi cosa sentivate di dover dire? I Carnicats sono nati perché un gruppo di ragazzini carnici aveva voglia di raccontare la propria realtà attraverso la musica. Dici bene quando fai notare che una delle più grandi doti della musica rap sta proprio nell’essere la voce di chi voce non ne ha, un mezzo potentissimo per far uscire quello che si ha dentro. Sentivamo il bisogno di esternare la nostra realtà pura e semplice, così come la vivevamo: la monotonia delle serate, i pomeriggi al campetto, guardare il sole tramontare dietro le montagne mentre le prime stelle fanno capolino in cielo... Non abbiamo mai finto di essere qualcosa di diverso da quello che siamo, abbiamo raccontato quello che vedevamo con stile e buongusto. Tutto qui. ALTA UOTA –Non – avete mai avuto uno stile tradizionale. Innanzitutto il friulano. È stata una scelta naturale o ci avete pensato? Non avete avuto paura di essere etichettati come “provinciali” o di non essere compresi dai più giovani, tra i quali il friulano non è più così diffuso? L’uso del friulano nei nostri testi è stata una scelta naturale fin dall’inizio, vuoi per ragioni goliardiche (ci veniva spontaneo ricantare in friulano i testi dei nostri rapper americani preferiti) o per ragioni artistiche. Il rischio di essere condannati per sempre al provincialismo sapearteottica.pdf 1 08/04/2016 13.09.56 vamo di correrlo fin dall’inizio ma non ci abbiamo mai dato troppo peso: per noi era più importante fare la musica che ci piaceva e che avremmo voluto ascoltare piuttosto che fare quello che la scena nazionale richiedeva. Per quanto riguarda i giovani invece ti devo contraddire: la nostra esperienza dimostra che ogni due giovani che rinnegano l’uso della lingua nella musica che ascoltano, ce n’è altri due che lo apprezzano e lo promuovono incondizionatamente. Se non fosse stato per il friulano nei testi, adesso non avremmo il seguito che ci siamo costruiti, te lo assicuro. Certo il nostro pubblico adesso è più sensibile ai testi in italiano rispetto al passato, ma ciò non toglie che è stato il friulano quello che ha dirottato maggiormente l’attenzione del pubblico su di noi. –Avete – sempre marginalizzato gli stilemi dell’hip hop, a partire dal bragging, il ribadire quanto si è fighi, duri, “gangsta”, con quante ragazze si va a letto o quante droghe si assuma, o l’ansia di dover imporre una propria street cred. Sebbene alcune di queste caratteristiche siano comunque presenti nei vostri testi, avete sempre preferito parlare di temi vostri, più intimi, più personali. Perché? Credi che c’entri l’essere nati tra le montagne carniche e non nei quartieri periferici di Milano? Sicuramente. Sono cresciuto nell’ombra del keep it real, il dogma della cultura hip-hop che impone in qualche modo di essere fedeli al proprio ambiente, alla propria realtà di provenienza. Per me è sempre stato fondamentale raccontare la verità nei miei testi e limitare i voli pindarici e gli egotrip. –A – tale proposito, nelle vostre canzoni c’è sempre questo contrasto tra il desiderio di fuggire dal piccolo paesino montano in cerca di migliori opportunità e l’attaccamento alle proprie radici e alla propria terra. Come lo spieghi? incontro al mondo che c’è là fuori, attraversare i confini e farsi una vita in un posto diverso da quello nel quale si è nati e cresciuti. È una scelta, tutto qui. E non va biasimata, né in un senso né nell’altro. Quello che va biasimato è la passività: vuoi cambiare la tua vita? Fallo. Se le cose non ti vanno bene così come sono, sta a te cambiarle a tuo piacimento. Lamentarsi per come sono senza fare nulla per migliorarle è l’errore più grosso che si possa fare. –Secondo – te che rapporto c’è tra friulani e musica? E tra i friulani e la propria terra? Com’è lo stato della scena musicale in Friuli ora come ora? La musica nella nostra regione ha sempre rivestito un’importanza secondaria. Siamo gente pratica e lavoratrice; spesso la musica, o l’arte in generale, vengono viste come perdite di tempo, passioni adolescenziali che è giusto abbandonare non appena ci si avventura nell’età adulta. Ciò nonostante la nostra regione ha una tradizione musicale fortemente radicata, grazie soprattutto a realtà come Radio Onde Furlane e al conseguente movimento della “Gnove Musiche Furlane” che negli anni ha sfornato prodotti di qualità indiscutibile. Negli ultimi anni le cose stanno un po’ appassendo, trascinate nel vortice del conformismo generato dai social network. Quelli che fanno musica, soprattutto i giovani, tendono a confermarsi a tendenze globali e a scimmiottare gli americani (o i milanesi). Io rimango comunque fiducioso: ci sono nomi ancora poco conosciuti ma incredibilmente validi, come Invisibile, un rapper di Pordenone con doti di scrittura sorprendenti. –Hai – mai suonato fuori dai confini nazionali? Com’è percepita la musica in lingua minoritaria all’estero? Ho suonato all’estero solo in un’occasione: un festival in Questa tendenza alla fuga dalla propria realtà è un punto lingua minoritaria tenutosi in Svezia nel 2009 al quale fermo della vita di qualsiasi provinciale. Spesso ci si sente partecipai con i Carnicats. Paradossalmente la musica in schiacciati dalla monotonia delle serate in provincia, dalla lingua minoritaria viene accolta oltre i confini nazionali mancanza di opportunità, dall’impossibilità di riuscire a con quasi più interesse di quella in italiano. Negli ultimi vivere di quello che si sa (e che si vuole) fare veramente. anni però si sta aprendo un nuovo mercato all’estero: le Io stesso ho attraversato questa fase attorno ai 20 anni, isole di italiani nelle grandi capitali europee sono sempre un po’ come tutti i miei coetanei. Poi crescendo capisci più consistenti, conseguentemente alcuni artisti cominche a volte quello che cerchi è sotto i tuoi occhi e che sta a ciano ad abbozzare delle date oltre confine. È notizia di te afferrarlo con forza e renderlo quello che vuoi che sia. ’sti giorni che Salmo farà un tour europeo nei prossimi Accettare la propria condizione richiede coraggio, tanto mesi; mi auguro sia l’inizio di qualcosa di nuovo, una quanto ne richiede avere la forza di fare le valigie e lasciar- nuova opportunità per far crescere la scena nazionale ansi alle spalle la casa, gli affetti e le consuetudini per andare che a livello europeo. comelli.pdf 15/02/2010 13.46.30 IL GATTO DEL NORD-EST –Come – è evoluto il vostro stile negli anni? Vi aspettavate questo successo? Quando avete iniziato ad accorgervi che il vostro progetto sarebbe potuto effettivamente diventare qualcosa di “grande”? E come va oltre i confini regionali? L’evoluzione della nostra musica è stata un processo assolutamente naturale, non ragionato, dovuto più alla spinta creativa che ad altro. Il successo di cui parli è stato un procedimento altrettanto naturale, molto graduale, che negli anni ci ha portato ad espanderci ancora di più. Non ancora abbastanza oltre i confini della regione, se devo essere onesto. È mia intenzione fare in modo che questo accada nel corso dell’anno, nella speranza di riuscire a toccare gli animi anche di chi con il Friuli Venezia-Giulia ha ben poco a che vedere. –Veniamo – al tuo disco da solista. Com’è nata l’esigenza di “staccarti” in parte dalla crew e di pubblicare un disco a tuo nome. Che poi il distacco è stato solo parziale, Dek Ill Ceesa è presente in più di un brano, la realtà dei Carnicats è ancora forte e viva? Anche Dj Deo ha collaborato alla realizzazione dell’album? L’esigenza di affrontare un mio personale percorso c’è sempre stata. Vai Fradi è nato nel momento in cui ho deciso di dare sfogo a tale esigenza una volta per tutte, lasciandomi alle spalle le esperienze passate e cominciando a lavorare a musica nuova. Il distacco dal gruppo non è stato del tutto indolore, lo confesso. Ma è stato necessario. Sia Deo che Dek hanno collaborato alla realizzazione in veste di collaboratori, appunto, di consulenti esterni. Per rispondere alla tua domanda poi, il gruppo è ancora solido e ha risentito piacevolmente della mia avventura solista: portiamo molti dei miei brani dal vivo anche nei concerti dei Carnicats e l’hype derivante dal mio disco ha fatto bene a tutto il collettivo. –“Vai – Fradi” è un album anomalo per il rap. Innanzitutto si sentono davvero molte contaminazioni musicali. Dalle sfumature reggae della title track “Vai Fradi” all’assolo di chitarra metal anni ’80 in Anche se, alla musica elettronica (mi viene in mente “Fame Lirica”, con quegli inserti un po’ drum’n’bass). Si avverte che c’è stata una grande ricerca per quanto riguarda gli arrangiamenti: spesso invece di beat e sample, si sente una partitura complessa, fatta di violini, pianoforte e altri strumenti “tradizionali”, non campionati. –Il – disco è trilingue. È quasi tutto in italiano, il friulano è ovviamente presente ma in maniera molto minore rispetto alle vecchie canzoni dei “Gatti”. Invece compare l’inglese nei ritornelli. Come mai? C’è la volontà di dargli un respiro più globale, più internazionale, mantenendo sempre un ponte con le origini? –Anche – qui, come detto prima, vengono meno gli stilemi rap più tradizionali. Il darsi arie, l’imporre il proprio ego, il dissing, lo “sfottere” l’altro. C’è una sensibilità del tutto diversa, più intima, forse più profonda. “Resti viva” è un pezzo molto dolce, quasi una ninna nanna, così come “Ferragosto”. Nella title track dici esplicitamente “che ti aspettavi? I rapper coi tattoo e invece c’hai i montanari”. E c’è una forte dose di autoironia, basta ascoltare L’Impasto. Insomma, non è un disco fatto per la “scena”. Come ti inserisci nel panorama rap nazionale, il quale si può dire stia vivendo ora un momento d’oro come non mai? Quanto è importante il non prendersi sul serio? Del resto l’ironia era una componente fondamentale anche dei Carnicats, penso a “Soj cjok”. Non mi sono mai sentito parte della scena rap nazionale, vuoi per un fatto territoriale, vuoi per scelte stilistiche. Sono dell’idea che l’hip-hop viva la sua natura più pura nelle sue forme più street, più profondamente legate alla strada e alle sue dinamiche. Il fatto che ultimamente l’hip-hop stia tornando in strada, slegandosi da tematiche e da ambienti più intellettuali che ne hanno caratterizzato la nascita e la diffusione nel nostro paese, non può che essere una cosa positiva. Chiaramente non riesco a identificarmi in certe tematiche come soldi/droga/ –È – giusto dire che, nonostante sia un disco dall’innegabile attitudine rap, c’è una componente “cantautorale”? Il racconto della provincia è tipico del cantautore, è possibile che questo abbia influito? Sul canale YouTube dei Carnicats l’ultimo video caricato è un tuo freestyle (King Kong Freestyle), molto rap classico, mentre qualche video più in là c’è un suggestivo live acustico di Zenit sul monte Matajur con la Carnicats Live Band, che è più una cosa da Vinicio Capossela che Marracash. Credo sia chiara la tua volontà di fuggire da qualsiasi etichetta o gabbia classificatoria, in nome di una libertà di fare semplicemente quello che ti pare, di essere te stesso. Ci hai preso al 100%, fidati. Il mio intento è di fare esattamente quello che mi piace, senza dover rispondere a esigenze di mercato di alcun tipo. Sfuggo dalle etichette il più possibile anche se mi rendo conto che ogni tanto sono necessarie. Mettiamola così: sono un rapper con ambizioni cantautorali ma con un forte background hip-hop, che ogni tanto fa capolino nella mia musica (vedi King Kong Freestyle, appunto). –Negli – ultimi anni sono usciti molti dischi rap con componenti “cantautorali”, penso a Murubutu, Coez, Ghemon, in parte Dargen D’Amico. Pensi sia un’inclinazione tutta italiana dovuta alla sua forte tradizione di musica d’autore? O c’è un bisogno da parte del rap di esprimere un discorso più intimista, da sempre deputato invece alla chitarra-e-voce? Spero la prima. Quello che ancora manca all’hip-hop italiano è proprio un legame netto e spontaneo con la nostra tradizione musicale; fino a pochi anni fa era una cosa impensabile ma ora, grazie ad artisti di livello come quelli che hai citato, c’è la possibilità di creare questo link. Io mi auguro che la cosa si verifichi in fretta, per poter dare a questa forma d’arte una sua dimensione che prescinda dalle tematiche street di cui parlavamo sopra (e, conseguentemente, anche dalla mera emulazione del suono e delle tematiche del rap americano). –Un’altra – cosa che colpisce subito scorrendo la “tracklist” è il consistente numero di collaborazioni e di musicisti che hanno concorso alla realizzazione delle varie tracce. Il mio intento era proprio quello di dare al mio disco un sapore particolare, che prescindesse dal genere musicale di provenienza e spaziasse il più possibile. Per questo ho coinvolto un sacco di musicisti con background diversi dal mio e la cosa, secondo me, ha funzionato alla grande. Continuerò a farlo anche in futuro per poter rendere questa cosa il mio marchio di fabbrica. –Nel – disco tre pezzi (“Fame Lirica”, “Nightcalls”, “Ferragosto”) compongono la trilogia del “Notturno”. Me la spieghi? La notte è stata una delle principali ispirazioni durante la realizzazione del mio disco. Ai tempi lavoravo al cinema a Tolmezzo e, una volta finito il turno, tornavo a casa e mi immergevo nella scrittura fino alle prime luci dell’alba. È così che sono nati i brani che compongono la trilogia dei notturni. Quei tre più un quarto che ho scartato per non rendere la cosa troppo ridondante... L’ho riascoltato pochi giorni fa e devo ammettere che era un ottimo brano anche quello. Chissà, magari lo riproporrò in futuro! –Che – impressione ti ha fatto il mercato discografico? Hai trovato resistenze o pregiudizi? Per quel poco che ho potuto sperimentare, devo dire che il mercato discografico è un grande carrozzone che segue mosse prestabilite ed è soggetto a leggi scritte molto chiare: l’Italia è un “mercato di coda” quindi copia quello che succede all’estero e lo ripropone in Italiano. Se lo fai anche tu, con la giusta spinta promozionale alle spalle, in 9 casi su 10 avrai successo. Se invece vuoi fare l’artista e inventare delle cose nuove, sono solamente cazzi tuoi: in 9 casi su 10 farai fiasco, dovrai autopromuoverti perché non troverai mai nessuno che creda in te al punto di investirci sopra del denaro e resterai l’idolo di pochi ascoltatori attenti. Magari molto localizzati, come nel mio caso. A te la scelta. uotattualità In realtà la scelta dell’inglese è legata più ad un fattore di gusto, un fattore estetico in qualche modo. L’italiano ha una sua lunga tradizione quando si tratta di musica e nei brani che avevo composto ci sentivo molto di più l’inglese. L’intento di creare un ponte internazionale non era tra le mie priorità ma, se ciò si verifica, ben venga. Per quanto riguarda il friulano invece, come hai giustamente notato, è presente in misura molto minore rispetto al passato. Sono sempre stato dell’idea che la lingua minoritaria dovesse essere un ingrediente della ricetta e non quello principale. Mescolare mi è sempre piaciuto molto: mi piace mescolare le influenze musicali e mi sono divertito a mescolare anche le lingue. criminalità perché non mi rappresentano; ma il fatto che per le nuove generazioni il linguaggio di questa forma d’arte sia questo, fa parte di un passaggio necessario che prima o poi doveva verificarsi anche in Italia. Quindi, per rispondere alla tua domanda, l’autoironia è sempre stato un escamotage stilistico per poter approcciare un certo tipo di tematiche più street nonostante non facessero parte del mio bagaglio stilistico. È stata una parte fondamentale della mia scrittura fino a qui e probabilmente lo sarà anche in futuro. La parte che più mi rappresenta però è quella poetica che emerge da brani più intimisti come quelli che hai citato: quella è la parte della mia musica che preferisco e quella su cui sicuramente continuerò a lavorare in futuro. in Sì, il procedimento compositivo è orientato molto di più alla scrittura piuttosto che al campionamento. Ho voluto rendere il mio disco un viaggio nella musica che mi piace, riempiendolo di riferimenti ad altri generi e facendoci collaborare musicisti di diversa estrazione. Dentro c’è un po’ tutto il mio background, le influenze che mi hanno investito negli ultimi 3 anni: dall’elettronica al rock, dal reggae al soul. 5 –Infine, – una domanda che sembra semplice, ma non lo è: cosa volevi dire con questo disco? Volevo dire a me stesso che questa strada che ho scelto di percorrere è realmente quella giusta per me. E volevo dire agli altri che inseguire i propri sogni costa grandi fatiche ma, se ci sono amore e dedizione per quello che si sta facendo, riserva anche delle belle soddisfazioni. Tutto sta nel realizzare chi si è veramente e nel portarlo avanti senza paure né reticenze. –Progetti – futuri? Un ritorno dei Carnicats al completo magari? Ci sarà un “Vai Fradi Tour” nazionale? luilei 83x26.pdf 15/02/2010 13.45.19 ALTA UOTA Sul ritorno dei Carnicats posso solo dire che qualcosa sta bollendo in pentola ma, per ragioni scaramantiche, preferisco non anticipare niente. Al momento sto lavorando a dei brani nuovi da solista che ancora non so se faranno parte di un nuovo disco o meno. Sicuramente vorrei dare qualcosa di nuovo a chi mi segue prima dell’estate e spero vivamente di riuscirci. Per quanto riguarda il live fuori regione, ti assicuro che ci sto lavorando e che è una delle mie attuali priorità. Ma anche in questo caso, per ragioni scaramantiche, preferisco non anticipare niente. ◆◆ FILIPPO MEDEOT E FRANCESCO PERUSIN 6 IL POTERE DELLA MUSICA MUSICA E FILOSOFIA Breve colloquio con RICCARDO MARTINELLI, professore associato di storia della filosofia all’Università di Trieste ed autore del libro “I filosofi e la musica”, edito nel 2012 dalla casa editrice “Il Mulino”. Tra gli altri libri figurano “Uomo, natura, mondo: il problema antropologico in filosofia”, “Musica e natura: filosofie del suono, 1790-1930” e molti articoli apparsi in riviste specializzate. siste sulla proporzione e la varietà. Potrebbe sembrare un paradosso, ma proprio con Cartesio la musica si è aperta all’ambito umanistico». –A – questo proposito un tema che può destare attenzione è quello legato alla musica come terapia, la musica come “cura”. La filosofia può venire in aiuto in questo caso? –Professore, – che cosa l’ha indotta ad indagare il rapporto tra musica e filosofia? «Ci sono fondamentalmente due motivi, il primo riguarda la mia passione giovanile per la musica che si è concretizzata anche in un percorso di studi musicali che tuttavia ho poi dovuto interrompere per dedicarmi agli studi filosofici, ma la passione è rimasta nel tempo. Il secondo motivo è più specificamente accademico, ho inteso far luce su un tema che spesso è poco esplorato anche per mancanza di competenze tecniche. Oggi infatti la cultura musicale purtroppo non è molto diffusa, mentre molti filosofi del passato erano spesso molto competenti in fatto di musica, e in qualche caso furono essi stessi musicisti». ALTA UOTA in uotattualità –Possiamo – fare qualche nome per quanto riguarda questi ultimi? «Il caso più noto è quello Friedrich Nietzsche, che compose vari brani musicali e coltivò l’amicizia con Richard Wagner, amicizia che poi sfociò in una grande rivalità. Inoltre anche Rousseau ed Adorno si dedicarono alla musica da compositori. In particolare, Adorno rappresenta una figura molto significativa in quanto fu abilissimo musicista e musicologo, oltre che filosofo. Ma questo non vale per tutti: quasi nulla su musica e filosofia si trova invece in autori come Heidegger o Husserl». –La – musica è stata spesso vista come una disciplina in bilico tra il mondo umanistico e quello scientifico, che cosa si può dire a proposito? «Fin dall’antichità la musica è sempre stata considerata una materia di studio più vicina all’ambito scientifico, anche perché una delle prime scoperte in tal campo riguarda i rapporti di tipo matematico che regolano i suoni e generano l’armonia. Nel periodo immediatamente successivo a quello classico, quello medievale, la musica compare tra le arti del Quadrivio insieme all’aritmetica, alla geometria e all’astronomia. Cartesio, punto di riferimento per la filosofia e pensatore fondamentale per capire il concetto di “modernità”, scrisse un trattatello sulla musica intitolato “Compendium musicae”, dove apriva allo studio dell’armonia non solo in senso aritmetico, come fino ad allora era stato fatto quasi esclusivamente, ma anche in rapporto all’estetica, in quanto Cartesio in- «Fin dai tempi antichi, e in particolare in Platone, la musica è stata vista come cura dell’anima. Fonti antiche riportano l’aneddoto di un giovane di Taormina che, in preda al furore, era prossimo a commettere un crimine e che sarebbe stato calmato da Pitagora mediante una melodia eseguita al flauto, nella tonalità più opportuna a calmare l’animo. Anche dal mito di Orfeo emerge in modo preponderante il potere della musica. Col suono della lira, Orfeo è capace di mettersi in contatto con le creature umane ed animali, giungendo a commuovere persino le inflessibili divinità dell’Oltretomba. Un’ellissi cronologica molto ampia mi porta a pensare poi al periodo dell’idealismo, periodo in cui vi fu un’attenzione particolare per la spiritualità: la musica assumeva un ruolo importantissimo per l’introspezione interiore». –La – musica può assumere anche connotati negativi deleteri per l’animo umano, che cosa ne pensano a riguardo i filosofi? «Un pensatore che si può ricordare a questo proposito è il danese Kierkegaard, che elabora un concetto di musica connesso a quello della sensualità, in particolare associa la musica ad un’altra sua elaborazione, quella dell’uomo estetico, mettendolo in relazione al don Giovanni di Mozart. La musica in Kierkegaard non appare in modo positivo, esprimendo ciò che contrasta con il logos e con la razionalità». ◆◆ LUCA VISENTIN LA MUSICOTERAPIA IN PILLOLE Intervista alla dottoressa NADIA OLIVO, presidentessa del C.E.Di.M, Centro di educazione e divulgazione musicale. –Buonasera – dottoressa Olivo, potrebbe dirci che cos'è la musicoterapia? La musicoterapia è rivolta a pazienti di ogni età con gravi disturbi come ansia, difficoltà di attenzione e socializzazione o che hanno subito cure fortemente invasive. Lo strumento utilizzato per dialogare con queste persone è, per l'appunto, la musica; questa viene utilizzata per abbattere le barriere che separano il terapeuta e il paziente, instaurando un rapporto totalmente senza giudizi e volto a valorizzare gli aspetti negativi del soggetto in cura. Non si tratta affatto di psicoanalizzare il paziente, che non rientra nemmeno nelle competenze della musicoterapia. Vi faccio due esempi: un bambino che è affetto da labio- capocasale.pdf 15/02/2010 19.42.54 palatoschi (le cui cure sono fortemente invasive) al quale verrà proposto di suonare la tromba otterrà come effetto l'aumento della tonicità labiale. Inoltre, un bambino con difficoltà di interazione con gli adulti reagisce facendo loro delle pernacchie. In un rapporto “normale” l'adulto potrebbe offendersi e addirittura arrabbiarsi; in musicoterapia no. Il terapeuta proporrà al bambini di suonare la tromba, valorizzando, appunto, l'aspetto della “pernacchia” e aumentandone l'autostima. Anche per questo motivo la musicoterapia che abbiamo scelto di fare noi si chiama umanistica. –Come – si svolge una seduta di musicoterapia? Innanzitutto, le nostre sedute di musicoterapia sono rivolte ai bambini di età a partire dai 6 anni. Prima dell'attivazione di un corso si tengono dei colloqui con i genitori e con gli esperti dell'Equipe Multidisciplinare Territoriale (EMT), psicologi, psicopedagogisti e altri esperti. Con loro si concorda un percorso da seguire che comincia con una prima seduta di prova. Il percorso del bambino, oltre a essere monitorato, è anche filmato, per studiarne i progressi. I video non sono mai divulgati, ma utilizzati al fine di studiare lo sviluppo del bambino. Fare musicoterapia non significa sedersi in cerchio a suonare un tamburo a turo; vengono selezionati degli strumenti che variano a seconda del bambino e del suo problema. L'influsso benefico della musica arriva sia in via passiva che attiva, mediante l'ascolto di un brano o mediante la pratica con uno strumento. Una tecnica molto praticata è quella di far respirare il paziente a ritmo di musica; egli viene disteso sopra la cassa di un pianoforte acustico mentre il terapeuta suona, producendo un effetto tranquillizzante e al contempo rilassante, abbattendo ogni sorta di barriera e attivando una comunicazione non verbale. Gli strumenti sono rigorosamente non elettrici; le vibrazioni di uno strumento elettrico, difatti, arrivano solo alle orecchie di un individuo, mentre le vibrazioni, durante la musicoterapia, devono arrivare a impianti.pdf 1 08/04/2016 tutte le membra del corpo, cosa che avviene se si utilizza uno strumento non elettrico. Inoltre fare musicoterapia in un ambiente prettamente non ospedaliero permette il coinvolgimento delle famiglie e non solo, fa sì che il bambino percepisca l'attività come ricreativa. –Che – effetto ha dunque la musica sulla nostra mente? È risaputo che esistono differenti piani comunicativi, che trascendono dal semplice piano verbale; la postura, le espressioni del viso e i gesti, ad esempio. Ma non solo: anche la musica è una sorta di linguaggio alternativo. Essa agisce nella nostra mente veicolando delle emozioni che si trasmettono attraverso le note. L'aspetto più funzionale alla musicoterapia è che essa attiva delle zone del nostro cervello (quelle adibite al linguaggio, alle emozione e al movimento) con le quali si può da subito entrare in contatto con il paziente. Nel caso di un un bambino autistico, ad esempio, è molto lungo il tempo necessario per instaurare con lui un rapporto di fiducia; la musica, invece, costituisce un canale privilegiato per raggiungere immediatamente il bambino. Prendiamo il caso di un bambino con disturbi dell'attenzione; normalmente dovrebbe assumere dei farmaci che tendono ad inibirlo. Il lavoro con la musicoterapia va a stimolare una risposta, invece. L'effetto è quello di “attivare”, non di “inibire”. –E – sulle nostre emozioni? La musica è un linguaggio che non solo da piacere, ma che è anche profondamente radicata nelle emozioni. Anche in questo caso è stato scientificamente provato che la musica, molto meglio del linguaggio verbale, è capace di influire sul nostro umore, e anche sulla nostra fisiologia. Sono proprio queste proprietà della musica che la musicoterapia sfrutta. L'ascolto della musica, in quanto attiva le aree del cervello delle emozioni, del movimento e del linguaggio ( le zone in cui “risiede” il problema del bambino ), aiuta il paziente al recupero delle attività motrici ed espressive. ◆◆ LUCA MAGGIO ZANON 13.18.33 LOREDANA MARANO: il ricordo di un suo ex studente Non è mai facile ricordare una persona che ha lasciato un segno indelebile all’interno di una Comunità di persone. Si rischia talvolta di cadere nella facile retorica. Voglio ricordare qui la professoressa Loredana Marano come suo ex-allievo, uno degli ultimi che ha seguito interamente il suo ultimo ciclo d’insegnamento al Liceo Einstein di Cervignano nel triennio 2008-2011. Ricordo il suo modo particolare e originale di coinvolgere i ragazzi durante le lezioni, sempre andando a ricercare i collegamenti interdisciplinari tra le varie umanistiche, la letteratura italiana e quella latina unite a costanti richiami alla filosofia e alla storia dell’arte. Nel periodo del mio percorso triennale al liceo ricordo che stava elaborando una grammatica latina per le scuole superiori, un’altra delle sue passioni era infatti la lingua e la cultura latina, passione dimostrata in diverse occasioni, mediante le pubblicazioni e i simposi che organizzava sovente ad Aquileia, coinvolgendo anche studiosi e cultori della materia provenienti anche da fuori regione e dall’estero. Le lezioni della professoressa Marano, sia all’interno sia fuori dalla scuola, erano una continua sfida intellettuale con un accumulo di competenze sempre maggiori, che comprendono anche interessantissimi seminari durante le mattinate da Lei organizzate al liceo di Cervignano. la tua firma, Scrivi nella apposita casella del 5×1000 il nostro codice fiscale e apponi la tua firma! NQUE × MILLE CilInostro impegno. ASCOLTANDO CHI CI AIUTA Abbiamo deciso di dare voce a chi, con grande generosità, ci aiuta e sostiene finanziariamente. Per ogni numero di Alta Quota, dunque, intervisteremo una delle diverse attività cervignanesi che come sponsor contribuiscono a creare questo giornale. Se hai un’attività e vuoi diventare anche tu sponsor di Alta Quota scrivi a [email protected]. A rompere il ghiaccio ci pensa ALFONSO MANSI, proprietario de Il Crogiolo, storica oreficeria della città. –Perché – hai scelto di sostenere Alta Quota? Per un motivo molto semplice: è un sodalizio culturale cervignanese, per cui sostenere ciò che offre il paese è una delle prime cose da fare, secondo me. –Qual – è la situazione del commercio a Cervignano? È in linea con ciò che vivono tutti i paesi di un circondario come il nostro, dove non c’è stata un’evoluzione dei piccoli negozi, dei piccoli centri, a favore di tutti i centri commerciali presenti in Friuli, per cui è diventata un lotta tipo Davide contro Golia. Noi piccoli negozi, siamo stati incapaci di affrontare un cambiamento che si stava attuando e che era difficile da affrontare. –Cosa – si potrebbe migliorare per far fronte a questa situazione? Non si può fare molto. I grandi centri hanno una grande capacità di accesso al credito, di fare gruppo, hanno una forza che a noi viene meno. Noi ci siamo sempre sentiti come delle piccole aziende autosufficienti, incapaci di fare gruppo per recuperare il divario con i centri commerciali, e ormai questo gap è impensabile da recuperare. Si sta già cercando di migliorare, dando un servizio, un sorriso, che dall’altra parte però viene subito imitato: sono molto più veloci di noi nel recuperare sui miglioramenti della concorrenza. –Ci – parli della sua attività. Il Crogiolo è aperto dal 1985, sono sempre stato qui sul territorio, prima in piazza Marconi, poi in via Roma dal 1988. Ci ho sempre lavorato, e negli anni hanno lavorato diversi addetti che si sono formati in laboratorio con me, facendo in modo che ognuno di questi diventasse un’azienda a sé stante. ◆◆ CAROLINA STABILE E FRANCESCO PAVONI uotattualità 90000020306 aule del liceo dove insegnava, facendo in modo che la sua fruizione potesse avvenire non solo nei luoghi dedicati, ma anche nella realtà quotidiana, con l’apprezzamento anche dei meno esperti. Per mezzo della sua attività, Loredana ha contribuito alla divulgazione ed alla conoscenza della letteratura, anche in maniera attiva, scrivendo lei stessa diverse opere, ma soprattutto ha indirizzato il grande pubblico ad una migliore comprensione del lavoro del letterato e del valore delle opere, facendo nascere un’attenzione più diffusa e consapevole. Da studente universitario di discipline umanistiche, (sono profondamente convinto che la mia decisione verso questo ambito sia stata determinata anche dall’amore trasmesso dalla mia professoressa di lettere del liceo, Loredana, appunto) posso dire che debba esserci una certa etica nel veicolare i messaggi, in particolare nella fascia adolescenziale. La professoressa Marano mi ha fatto capire quanto occorra comprensione e schiettezza nel rapporto tra docente e allievi, il rispetto di ciò che veicolano i testi, promuovendo il lavoro degli autori. Non importa che si tratti di una poesia di Leopardi del commovente racconto di uno scrittore latino relegato in una terra lontana, o di un fenomeno fonetico: ogni questione necessita di un minuzioso lavoro di ricerca, un percorso storico ineludibile, di collocazione nel tempo e di verifica. ◆◆ LUCA VISENTIN in Sostieni anche tu le nostre iniziative con un semplice gesto che non ti costa nulla! Credo che uno degli obiettivi primari della professoressa Marano sia stato quello di portare la cultura umanistica il più vicino possibile alle persone, anche fuori dalle 7 ALTA UOTA 8 RISCOPRENDO CERVIGNANO BORGO SALOMON in uotattualità In questo articolo si ripercorrerà in un piccolo riassunto la storia di Borgo Salomon, a partire dal perché si chiama così fino ad arrivare a parlare della residenza della famiglia Salomon e degli edifici che si possono trovare oggi. Borgo Salomon è collocabile al centro di Cervignano del Friuli. Si chiama così perché prende il cognome di un’importante famiglia di origine veneta dedita al commercio e che ha fatto la storia del capoluogo della bassa sino a metà del diciannovesimo secolo. Secondo diverse testimonianze, la famiglia Salomon discende dai Barbolano, più comunemente detti Centranici: essi provenivano da Salerno, o forse da Cesena, e sarebbero giunti a Venezia nei primi anni dell’ottavo secolo. I Salomon, secondo alcune fonti, sarebbero stati una delle famiglie di Venezia che hanno eletto il primo doge, nonostante non figurino né tra le famiglie apostoliche né tra quelle evangeliche della città. Uno dei membri della famiglia, Giorgio Salomon, era podestà di Cervignano al cadere della Repubblica Veneta (fine diciottesimo secolo), ed era affiancato da un locale consiglio cittadino. Dei Salomon rimane la testimonianza storica della casa della famiglia, in stato di abbandono ma al centro di un progetto di recupero da parte del comune. La residenza presentava un portale ad arco, demolito negli anni ’60 per essere portato in località Molin di Ponte: l’arco porta le due date 1794 e 1837. L’edificio, per volontà delle due ultime eredi, fu donato al Comune per essere destinato ad opere di utilità sociale. Fu sede di una “Pia casa di ricovero per anziani” e successivamente asilo di infanzia. Dal punto di vista architettonico, la struttura presenta una recinzione in muratura su cui si aprono gli archi del passo carraio e dell’ingresso pedonale in conci di pietra con chiavi di volta datate: quella dell’arco maggiore presenta sia la data della costruzione sia quella della successiva ristrutturazione per il cambiamento d’uso. Al centro della facciata è ancora visibile l’arco in conci di pietra di una porta di ingresso poi murata. L’edificio è vincolato dalla Sovrintendenza dei Beni Culturali. Attualmente, in borgo Salomon si possono trovare due importanti edifici per la vita della comunità: il duomo e la Casa della Musica. I lavori per la realizzazione del duomo iniziarono nel 1964 per volere di mons. Luigi Cocco, convinto della necessità di avere una nuova chiesa per Cervignano. L’edificio venne consacrato nel 1968 e dedicato alla Madonna di Fatima: al suo interno troviamo una Via Crucis in rame sbalzato, opera di Giulio Cargnelutti, uno splendido crocifisso dello scultore udinese Max dall’alto: – veduta aerea di Borgo Salomon degli anni 70; – Casa Salomon; – la Casa della Musica. UN TUFFO NEL PASSATO È sempre un’esperienza piacevole ed educativa ascoltare una testimonianza, in particolar modo se riguarda il proprio paese d’origine. Ho incontrato GRAZIELLA FURLAN (76 anni) e LAURA DELPICCOLO (77 anni), con l’aiuto delle quali ho potuto ricostruire diversi aspetti di quel borgo Salomon nel quale hanno entrambe trascorso positivi anni della loro vita e che ricordano con piacere. –– La vostra famiglia era originaria del borgo? •L: «Mio nonno acquistò nel 1906 la casa nel borgo, in cui nacque mio padre e alcuni anni dopo io, solamente dopo essermi sposata ho vissuto per un periodo fuori». •G: «I miei genitori erano nati a Scodovacca, io mi sono trasferita nel borgo insieme a mia madre e a mio fratello quando avevo quattordici anni nel ’54 e vi ho abitato fino al ’99». ALTA UOTA Piccini, che fu benedetto da Papa Paolo VI il 26 ottobre 1966, e delle scene della Passione di Cristo realizzate da Paolo Orlando. La Casa della Musica, invece, è stata aperta il 1 aprile 2011 e l’inaugurazione ufficiale si è tenuta il 16 aprile dello stesso anno. È stata realizzata con lo scopo di dare ai musicisti di Cervignano e dei paesi vicini un posto dove poter provare e registrare la propria musica; può essere utilizzata come sede di iniziative di rilevanza culturale e sociale da singoli cittadini, o anche per conferenze, convegni, esposizioni, organizzati dal Comune anche in collaborazione di terzi. ◆◆ FRANCESCO PAVONI –– Com’era un tempo borgo Salomon e quali sono state le modifiche apportate nel corso degli anni? •L: «Al posto dell’attuale Casa della Musica in origine c’era il parco della contessa Attems, la quale in seguito cedette parte della terra a una famiglia del posto che vi costruì un capannone nel quale vendeva legna da ardere. Di fronte alla piazzetta del borgo si trova un edificio che purtroppo oggi è in rovina, appartenuto a due sorelle di origine ebrea che avevano deciso di regalarlo al comune, che negli anni ’20-30 l’aveva adibito a casa di riposo, in seguito trasformato in asilo e infine in magazzino comunale. La scuola elementare invece era situata nello stesso punto in cui di recente è stata ricostruita e inaugurata; accanto vi era il cosiddetto ‘quartiere cinese’, un grande edificio abitato con un ampio cortile». •G: «Vicino alla cappella del duomo inoltre si trovava una pompa, vi andavo ogni giorno a riempire le bottiglie d’acqua, anche se da ragazza qualche volta me ne vergognavo e chiedevo ‘aiuto’ a qualche signora che conoscevo…». –– Com’era la vita nel borgo? •G: «La maggior parte delle persone che vi abitavano erano contadini e operai, l’ambiente era molto tranquillo e tutti si conoscevano, oggi invece si tende in generale ad essere più chiusi e a intrattenere meno relazioni rispetto a quel tempo. C’era comunque molta povertà in quegli anni e le case erano dotate di spazi molto stretti in proporzione al numero di persone che vi abitava e spesso non erano in ottime condizioni. La cosa che più mi meraviglia è proprio questa: il salto di qualità che la vita stessa ha fatto nel giro di pochi anni, è incredibile il benessere al tempo impensabile che è venuto a crearsi al giorno d’oggi». •L: «A entrambe comunque da bambine piaceva molto giocare, naturalmente. Ricordo che incontravo spesso altri bambini che giocavano in strada o con le biglie o con i tappi delle bottiglie, io invece preferivo divertirmi con la palla». –– Raccontatemi un aneddoto o un’esperienza della vostra infanzia •L: «Io purtroppo avevo due sorelle disabili e mia madre non mi permetteva di andare a giocare con gli altri bambini poiché dovevo restare insieme a loro; soltanto una sera mi misi a giocare a nascondino insieme agli altri, mi stavo divertendo molto… peccato che quella che trovò il mio nascondiglio fu proprio mia mamma e, arrabbiata, mi riportò subito a casa!». •G: «Io in verità mi ero trasferita nel borgo in una casetta molto piccola rispetto alla precedente abitazione e non vedevo l’ora durante il primo periodo di tornare a casa, solo successivamente abbiamo ristrutturato alcune parti della casa, ho stretto molte amicizie e grazie a un insieme di situazioni piacevoli mi sono abituata e da allora sono stata molto felice». –– Qualche curiosità invece sulla comunità del borgo? •G: «Un ricordo molto bello che conservo è il rosario durante il mese di agosto sul piazzale davanti al quadro della Madonna, tutti seduti sul marciapiede o su sgabelli, al termine del quale spesso e volentieri ci si fermava a chiacchierare in compagnia per qualche minuto, era un bel momento di condivisione». •L: «Anche io ricordo con piacere questa nostra tradizione, mi piacerebbe molto che venisse nuovamente ripristinata questa usanza. Chissà, magari in futuro». ◆◆ CAROLINA STABILE 9 RISCOPRENDO CERVIGNANO LA NOSTRA SCUOLA SI RINNOVA All’inizio del Novecento il numero degli studenti era aumentato notevolmente: questo motivo le vecchie scuole popolari di via del Porto, non più capaci di ospitare tutti i bambini, furono chiuse. L’architetto cervignanese Giuseppe d’Agostinis fu incaricato del progetto per una scuola più grande che doveva sorgere in via della Stazione (l’attuale via Roma). Nacque così la nuova ‘Normalschulen’, come recitava la scritta austriaca sulla facciata. Ma già nel 1914 la struttura, non soddisfacendo le esigenze per la quale era stata costruita, venne rialzata di un piano [fig. 2]. Un anno dopo l’Italia decise di partecipare a far parte dei palazzi storici vincolati, le facciate esterne dovevano essere ripristinate esattamente com’erano in origine.» mi spiega l’architetto «La direzione lavori per rispettare questo vincolo ha scelto di utilizzare la tecnologia della ditta Eleni Decor con pluriennale esperienza nel settore della decorazione architettonica. Il mio studio supporta la ditta Eleni in occasione di cantieri complessi come quello della scuola, attraverso un preliminare servizio di consulenza alla committenza e le successive fasi di rilievo e restituzione dei disegni esecutivi adeguati». Alla mia curiosità riguardo ai passaggi per la trasformazione degli elementi decorativi dal disegno all’oggetto concreto e a come sia stato possibile riprodurli così fedelmente, Lovison ha risposto: «La fase di rilievo è stata complessa poiché molti elementi decorativi erano stati completamente distrutti. Per poter quindi risalire alle forme originali, in assenza dei pezzi autentici, è stato necessario attingere a diverse documentazioni storiche fotografiche ed a precedenti studi e rilievi di questo edificio. Definite forme e dimensioni è iniziata la fase di ingegnerizzazione di ogni singolo elemento, dai più semplici ai più complessi, per poter ottimizzare tutte le fasi di produzione, ridurre tempi e costi ed ottenere il risultato più vicino possibile all’aspetto originale richiesto. Il materiale utilizzato, nonché il core-business della ditta Eleni, è l’EPS (Polistirene Espanso Sinterizzato) [fig. 8], rivestito di un particolare intonaco fibrato che ne restituisce un’elevata resistenza e il tipico aspetto di materiali ALTA UOTA alla guerra contro lo stato Austriaco, e in quell’occasione il nuovo edificio scolastico di via Roma venne utilizzato come ospedale militare in grado di ospitare i soldati che arrivavano feriti dal fronte. Come raccontano alcune testimonianze del 10 dicembre, la scuola si era trasferita poco distante dall’edificio che doveva rappresentarla: erano state infatti erette delle baracche nel Parco Sarcinelli, dove ora sorge il Duomo. La sede, nata austriaca, venne intitolata al poeta irredentista triestino Riccardo Pitteri con il passaggio di Cervignano all’Italia, alla fine della Prima Guerra Mondiale. Quando le truppe sabaude entrarono a Cervignano, il 24 maggio 1915, rimasero incredule nel vedere la popolazione locale leggere i giornali. D’altronde l’analfabetismo toccava per- è sempre rimasto in piedi nel cuore di Cervignano, silenzioso e con il suo fascino delle epoche trascorse, ad aspettare che qualcuno lo notasse e lo riportasse in vita. Come non notare una struttura che racconta attraverso i suoi dettagli architettonici un passato austriaco, come si può notare dalle finestre al primo piano, e un passato italiano, che parla attraverso le finestre ‘michelangiolesche’ a timpano triangolare. Nel momento in cui sono iniziati i lavori lo stato di decadimento avanzato in cui si trovava l’edificio ha reso necessario un intervento di messa in sicurezza e consolidamento delle strutture; questo lavoro è stato portato a termine dalla cooperativa ICI Coop, che ha sviluppato l’intero progetto. Alle domande ‘quali sono stati i maggiori degradi evidenziati?’ e ‘quali sono i cambiamenti sostanziali rispetto al progetto pre-esistente?’ il geom. ROBERTO VIDALE ha gentilmente risposto in questo modo: «Il tetto era parzialmente crollato il che aveva provocato anche il crollo di vari solai in legno. Le infiltrazioni d’acqua e l’abbandono dell’edificio da molti anni avevano reso pericolante l’intero fabbricato. Anche i serramenti esterni porte e finestre presentavano un elevato stato di degrado. Le due scale interne in pietra e relative ringhiere (seppur rovinate e con pezzi mancanti) si presentavano integre e di una bella testimonianza del passato, (sono state rinforzate con manufatti in acciaio nella parte sottostante e preservate), come pure (non so come si possa chiamare) il manufatto in mattoni pieni con relativo congegno (rotto e parzialmente mancante) che in sommità alla copertura dava alloggiamento ad una campana (anch’essa mancante) che serviva per scandire i tempi delle lezioni, (anch’esso è stato ripristinato e conservato). L’edificio è stato sottofondato su tutte le murature portanti, sono stati eseguiti al PT i vuoti sanitari, relativi isolamenti e le murature portanti sono state tutte ingabbiate e consolidate con rete e betoncino. Tutti gli orizzontamenti sono stati rifatti con la struttura portante (travi) in legno e tavolato, (con le stesse caratteristiche degli esistenti) salvando quelle poche travi che ancora erano buone… per l’irrigidimento e l’adeguamento statico di questi solai, e stato utilizzato il sistema della ‘peter-cox’ che con dei profili in acciaio leggero e delle apposite connessioni con successivo getto di un massetto irrigidiscono i solai (riducono le frecce e aumentano la portata degli stessi). Anche la copertura e tutto il manto è stato rifatto completamente, mantenendo le geometrie iniziali e un sistema di capriate che rendono il sottotetto particolarmente interessante. Sono stati eseguiti i cordoli in calcestruzzo armato di coronamento della copertura e un sistema integrato di connettori a rinforzo e sostegno del primo cornicione di linda. Una particolare attenzione è stata utilizzata infine al rilievo e alla riproposizione fedele delle facciate esterne che sono ricostruite con i marcapiani, capitelli, cornici ecc, nelle stesse forme e dimensioni originarie». È stato l’arch. FRANCESCO LOVISON a perfezionare i disegni esecutivi per riprodurre dettagliatamente le decorazioni in modo tale da riuscire a superare le autorizzazioni e i rigorosi controlli di conformità effettuati dalla Soprintendenza per i beni culturali. «Per quanto riguarda i prospetti esterni è stato necessario demolire tutte le decorazioni originariamente realizzate in pietra [fig. 6] ed essendo l’edificio dal 2006 entrato uotattualità centuali altissime in Italia rispetto al resto della Mitteleuropa. Ma l’istruzione di massa divenne uno degli obiettivi primari anche nel nostro paese: con la riforma Gentile del 1923, il governo Mussolini rendeva obbligatoria la frequenza della scuola fino ai 14 anni con la divisione di questa in elementari, ginnasio e superiori. Quindici anni dopo, nel settembre del 1938, Mussolini, in una delle sue visite in tutta Italia per ‘andare verso il popolo’ per la costruzione del consenso politico e del rilancio dell’economia, arriva in Friuli Venezia Giulia e, in una delle sue tappe, c’è anche Cervignano. I bambini dalla prima elementare erano diventati ‘Figli della lupa’ dal 1931 e sei mesi prima dell’arrivo del Duce a Cervignano la maestra Zanutti, insegnante di ginnastica, aveva insegnato ai piccoli Balilla i canti per Mussolini in modo che tutto fosse perfetto. Gli anni successivi all’arrivo delle truppe tedesche nel 1943 sono stati vissuti tra momenti di forti differenze sociali tra i bambini, come è emerso dalle testimonianze: c’era chi non poteva permettersi pennarelli, quaderni e una merenda per la ricreazione, ma queste difficoltà, sempre meno notevoli con il passare degli anni, non venivano notate dai bambini, tutti vestiti con un grembiule nero: sotto agli occhi vigili dei maestri Fedri, Balducci e Fornasir, al suono di una campanella che da anni con il suo suono annunciava «Moviti, che tu sés in ritart!», in fondo erano tutti uguali. Dopo un grave incendio, nel 1964 la struttura venne riaperta, per poi sprofondare nell’abbandono verso la metà degli anni 80. Uno dei luoghi più importanti nella storia di Cervignano era destinato alla demolizione fino a che, il 21 novembre 2006, la Soprintendenza ai Monumenti del Friuli Venezia Giulia pose il vincolo sul palazzo, proponendo così il recupero del complesso. L’edificio della vecchia scuola di via Roma, anche se avvolto dai segni del tempo e dai degradi che negli anni hanno ricoperto le facciate e i suoi interni [figg. 3, 4, 5], in La nostra storia si rinnova, è questo il titolo di apertura dell’inaugurazione della ex-scuola elementare di via Roma, ora Palazzo delle politiche sociali: sede di diversi uffici quali Inps, Inail, Campp e i servizi sociali d’Ambito, tenutasi lo scorso 10 dicembre 2016, ben 108 anni dopo il suo primo battesimo, il 12 dicembre 1908. Allora la realizzazione della nuova scuola non aveva solo valorizzato il tessuto urbano cervignanese ma fu un’occasione per trasferire alcune attività produttive da via Aquileia a via Roma, come riportano le parole di una delle testimonianze all’inaugurazione: «mio nonno trasferì l’attività in via Roma per fare le merendine per i bambini che andavano a scuola». Si deve alla lungimiranza dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria l’introduzione delle ‘Scuole Popolari’ obbligatorie in tutto l’Impero per entrambi i sessi, grazie all’apposito decreto del ministro Felbiger del 1774. Nel primo decennio l’insegnamento venne affidato al clero, mancavano infatti maestri laici qualificati: «solo in alcuni paesi le scuole popolari erano dirette da laici e perciò il clero accanto alla catechesi unì l’istruzione scolastica, impartita di solito nelle sacrestie, raramente in locali messi a disposizione dalla Pubblica Amministrazione» (Fontana 1994, p. 107). Quando nel 1818 venne pubblicato il primo ‘Regolamento per le scuole popolari’, le scuole funzionanti a Cervignano erano la scuola Capo Comunale di Cervignano in lingua volgare, la scuola Domenicale, la scuola Parrocchiale e la scuola Popolare, quest’ultima situata all’epoca in via del Porto. «Le scuole popolari di Cervignano, venivano frequentate anche da bambini provenienti da paesi confinanti appartenenti al Regno d’Italia: per assurdo una scuola italiana in Austria» (Fontana 1994, p. 109). Erano infatti all’ordine del giorno esercitazioni di matematica e di lingua, sia tedesca che italiana, come si può notare in un saggio di calligrafia dell’alunna Corona Maria del 1884 [fig. 1]. intonacati. Il polistirene espanso è infatti utilizzato come in uotattualità 10 RISCOPRENDO CERVIGNANO Bibliografia e sitografia Bruno Fontana, Cervignano austriaca, Pieve di Soligo, 1994 http://francescolovison.it/it/portfolio-items/cervignanofriuli-restauro/ http://www.infobuild.it/ spetto alle classiche lavorazioni in marmo e cemento. La resistenza agli agenti atmosferici e l’aspetto ‘simil-pietra’ vengono implementati attraverso la spruzzatura di un impasto di intonaco fibrato, materiale affinato negli anni da Eleni, che garantisce alta resistenza e alta elasticità, in modo che nel tempo il materiale non presenti cavillature che comprometterebbero l’estetica e, soprattutto, la funzionalità degli elementi. La leggerezza è la terza caratteristica peculiare di queste decorazioni, queste infatti possono essere applicate con semplici collanti direttamente sulla superficie del cappotto evitando in questo modo spiacevoli ponti termici. A SCUOLA IN VIA ROMA Chi ha la mia età o qualche anno in più ha notevoli variabili circa il luogo della propria frequenza scolastica: la scuola elementare era quell’edificio recentemente restaurato in via Roma, ma lo sviluppo demografico degli anni ’60 ha imposto una parziale, temporanea delocalizzazione in quella che oggi è la scuola elementare di via Caiù ed anche in quell’edificio conosciuto come il vecchio asilo in Borgo Salomon. La scuola media era l’attuale biblioteca in via Trieste, ma si apriva in quegli anni anche quella di via Udine. Con queste righe desidero raccontare quel tempo che per me è stato nella seconda metà degli anni sessanta, in cui ho frequentato la scuola elementare. Non è certo mia intenzione fare una ricerca puntuale e documentale, piuttosto un viaggio nella memoria di chi quel tempo ha vissuto nella propria infanzia e nella propria esperienza. Appena ho cominciato a pensarci, ho detto a me stesso: “non mi ricordo assolutamente nulla”. Ho quindi cercato conforto ed aiuto ed ho organizzato un piccolo viaggio di gruppo. Ho invitato Alessandro Giusti, classe 1950 ed il suo coetaneo Giampaolo Rigonat ed ho cercato la mia maestra Erina Canciani Cominetti che ci ha ospitati tutti a casa sua, davanti ad un caffè con tanto di pasticcini. La maestra, che ci tiene ad essere così appellata al punto da chiamare la forza pubblica in difetto, non vorrebbe essere nominata; ma sono io che ho bisogno di farlo. Perché proprio pronunciarne il nome è stato il primo risveglio della memoria. Non è un intervista quella che ho realizzato, quanto piuttosto un vero viaggio di gruppo nel passato. Una “rimpatriata” durante la quale fra aneddoti, nomi ed evocazioni, sono emersi i ricordi, hanno preso vita in un susseguirsi di immagini, volti e racconti che ci hanno riportati là in quel tempo. Una esperienza sinceramente emozionante e piacevole che ci ha riempiti di una tenera nostalgia. –Io – ricordo le scale, in pietra, altissime, sulle quali ci arrampicavamo in lunghe file che si avvolgevano su se stesse. ALTA UOTA Dopo l’applicazione, gli elementi sono stati colorati con normali pitture murali per esterni riportando così le facciate uguali al loro aspetto originario». Nell’ottobre del 2006 era stata presentata la proposta della prima giunta Paviotti per il recupero del complesso; dopo più di dieci anni, uno dei simboli più importanti della città è riemerso nella sua bellezza [figg. 10, 11, 12], non solo per mantenere vivido il ricordo degli anni passati, ma anche per continuare a scrivere la storia di Cervignano. ◆◆ GIULIA BONIFACIO materiale di base che dà la forma, ha grandi potenzialità poiché è facilmente lavorabile e permette di ottenere forme molto complesse con costi decisamente inferiori ri- «Sì, le scale erano in pietra, le pareti, fino ad una certa altezza, erano di un colore scuro e lucido; la ringhiera in ferro ed il passamano in legno, lucidato dall’uso, come in legno erano i pavimenti, lunghi tavolati scuri spesso irregolari. Al piano terra, sulla sinistra entrando, c’era la segreteria dove stavano la segretaria Zaira Salvador, la mae­stra Seneca e la direttrice, che aveva creato un ambiente armonioso e disciplinato. La disciplina era importante, c’erano fino a 5 classi prime, ognuna con 25/28 alunni, si entrava a scuola per ordine: prima le prime, poi le seconde e così via tutti per le uniche scale e si scendeva in senso opposto. Certo, ci si preparava in fila ed in ordine di entrata già fuori in cortile». –Il – riscaldamento? «È vero, sembra incredibile, il riscaldamento era a legna, in ogni aula c’era una stufa in terracotta oppure in ghisa, con un cassone di legna al suo fianco ed ogni tanto qualcuno era incaricato di alimentare la stufa. Quando la legna finiva, bisognava chiamare Albano. Una sorta di bidello tuttofare che aveva anche il compito appunto di rifornire le aule di legna da ardere, io lo ricordo con un lungo grembiule scuro. Quando era troppo freddo, si faceva ginnastica. La si faceva in aula, si disponevano i banchi lungo le pareti; le aule erano enormi, circa 10 metri per 5 con soffitti alti 4 metri e permettevano che ci si disponesse in larghe file per fare esercizi ginnici sul posto». –Ed – il cortile? «Quando la stagione lo permetteva, si usciva certo. La ricreazione si faceva sotto il grande gelso e sotto l’occhio vigile degli insegnanti che stavano insieme da una parte; ricordiamo la maestra Lancia i maestri Gregori, Romeo e Ragagnin, mentre si organizzavano giochi, partite e sfide varie. Il cortile era in ghiaia su terra battuta e sembrava fatto apposta per tracciare linee e delimitare aree. Si usava un bastone o più spesso il tacco della scarpa, per disegnare a terra un area di rigore». zione libera che imponeva la capacità di descrizione e l’utilizzo della logica consequenziale. I titoli preferiti: “Cosa vedi dalla finestra? Racconto di una mia giornata”». –Punizioni – e castighi mi ricordano qualcosa «Erano degli autentici provvedimenti disciplinari, conseguenza di azioni sanzionabili. Potevano essere individuali o collettivi e venivano imposti in aggiunta ai compiti per casa. Davvero cose di altri tempi: scrivere 50 o 100 volte una determinata frase; fare divisioni a due cifre; studiare le misure di capacità; imparare a memoria brani del Manzoni; recitare con espressione. Questo tipo di “compito per casa”, era noto come punizione anche da parte dei genitori; pertanto ricevere questa “sanzione”, spesso significava eseguirla di nascosto, magari chiusi in bagno». –La – ricreazione…il momento più bello –Ricordo – anche piacevoli evasioni… «Forse è un luogo comune, ma era anche un momento in cui emergevano profonde differenze. Si faceva la merenda, si copriva il banco con un tovagliolo e ciascuno consumava la propria merenda, quello che era in uso consumare nelle proprie famiglie, secondo le abitudini i gusti, ma anche secondo le possibilità di ciascuno. Poi c’era il tempo per uscire all’aperto se, appunto, la stagione lo permetteva oppure semplicemente andare in corridoio. Tutti ricordano che quello era il momento in cui il maestro Gregori consumava i suoi PAVESINI, quasi non fossero un alimento, ma un’icona di rango. Era solito anche fumare in classe. Il maestro Pez invece teneva sempre aperta la porta della sua aula durante le lezioni. Alla maestra Salvador, piaceva la musica ed insegnava a cantare i canti natalizi. I servizi igienici erano al piano terra e per andarci, si doveva ottenere il permesso ed andare sempre in due». «Sì, le visite o gite. Erano preparate ed attese ed erano poi oggetto di temi e racconti. Tutti ordinati ed in fila per due, ci si spostava a piedi per passare qualche ora alla caserma Monte Pasubio dove venivano mostrati e spiegati mezzi, attrezzature e organizzazione della struttura. Ricorrente anche la visita alla cantina sociale, dove si visitavano i locali e veniva spiegato il ciclo di lavorazione. Erano momenti graditi perché a conclusione veniva anche offerto un rinfresco. C’era poi la festa degli alberi; una giornata durante la quale, alla presenza della autorità civili, venivano piantati alcuni alberi ai giardini pubblici e la banda suonava marce dall’aria solenne». Un edificio che non è solo un contenitore, ma memoria in sé. Ricordi che sono scampoli di vita sottratti all’oblio. ◆◆ GIUSEPPE ANCONA –Ricordo – tanti cartelloni, ma non ricordo libri «Si imparava a scrivere ripetendo righe e righe di lettere, ma ancor prima di stringhe, barre e segni, che dovevano essere sempre ordinati e simmetrici. In terza arrivava il sussidiario che conteneva un po’ tutte le materie, ma vi erano diversi supporti che potevano essere utilizzati. Le carte geografiche; la cui esposizione e trasporto costituivano un autentico rito. Qualcuno, spesso in due e dovevano essere meritevoli, veniva incaricato di ritirare dal famoso Albano la cartina geografica, che era poi appesa in aula . E la tavola pitagorica? Chissà se esiste ancora, ma era fondamentale per imparare le tabelline che si dovevano ovviamente sapere a memoria. Poi c’erano gli esami; uno in seconda per essere promossi in terza ed uno in quinta, con tanto di commissione d’esame. Vi erano poi le ricerche, da fare a casa, a volte anche in piccoli gruppi sulle materie più diverse, ma più spesso su storia e geografia. Per queste era fondamentale poter disporre delle enciclopedie. Primitive fonti di conoscenza pre-informatiche , che tante generazioni di alunni e studenti hanno sfamato ed incuriosito. I dettati. Brani di letteratura che venivano appunto dettati (letti dall’insegnante e scritti dagli alunni) che costringevano a mantenere un ritmo di scrittura elevato, una calligrafia pulita ed ordinata ed una buona conoscenza grammaticale, in quanto erano elementi di valutazione; ma spesso costituivano la premessa al tema. Una composi- IL RICRE 11 GRUPPO TEATRALE “IN SCENA PER CASO” Il gruppo teatrale del ricreatorio anche quest’anno si è dato da fare: il 10 dicembre scorso nella sala Aurora del ricreatorio è andato in scena il loro spettacolo “Un matrimonio di mezza estate”. Gli attori e i componenti di questo gruppo sono per lo più ragazzi disabili, aiutati da altri giovani e famiglie. Regista dello spettacolo e fondatore del gruppo è Salvo Barbera che con molta bravura e passione porta avanti questo progetto. Pignarûl in uotattualità Lo scorso 9 dicembre 2016, a conclusione del proprio anno associativo, il gruppo adulti di Azione Cattolica ha consegnato alla locale CARITAS un contributo economico a sostegno dei più bisognosi. L’anno giubilare appena concluso, ha invitato ciascuno di noi ad approfondire la misericordia quale linguaggio usato da Dio. E rendere concreta l’esperienza giubilare è stato presto un bisogno condiviso. Si è così attivato l’impegno, fatto proprio dal gruppo adulti, di raccogliere fondi da destinare a quelle iniziative che più di tutte parlano il linguaggio della misericordia. La raccolta fondi, durata cinque mesi, ha portato a disporre di una somma che, sebbene non cambi la vita, poteva essere un valido sostegno all’attività di chi già dedica costantemente il proprio tempo alle necessità altrui. Da qui la scelta di devolvere 850,00 Euro in buoni acquisto Conad alla CARITAS cervignanese. Nella foto i responsabili locali dell’Azione Cattolica e della Caritas alla presenza del responsabile Conad nella breve cerimonia di consegna. ◆◆ GIUSEPPE ANCONA Anche quest’anno la befana è arrivata: all’imbrunire del 6 gennaio, guardando in alto verso il campanile di Scodovacca i bambini hanno potuto scorgere con grande sorpresa l'arrivo della “signora”. Il pomeriggio è iniziato con la benedizione dei bambini presso l'affollata chiesa di Scodovacca. Al termine della celebrazione sono tutti usciti all'esterno per vedere la befana scendere dal campanile. Atterrata sul piazzale della chiesa, ha distribuito i doni ai numerosi bambini presenti e recatasi poi presso il ricreatorio ha acceso il tradizionale pignarûl . La manifestazione è stata possibile grazie all’aiuto di più persone tra cui il CAI di Cervignano, che ha predisposto il necessario per la discesa della befana. Si ringrazia inoltre la comunità di Scodovacca e quanti hanno donato il materiale per realizzare il pignarûl e rendere speciale un pomeriggio. ALTA UOTA 12 CINQUE × MILLE Ecco cosa abbiamo fatto della tua firma: ALTA UOTA CROSSROADS Aiutaci a fare di più con un’altra firma. MODELLO 730-1 redditi 2009 ALLEGATO B Scheda per la scelta della destinazione dell'8 per mille dell'IRPEF e del 5 per mille dell'IRPEF Da consegnare unitamente alla dichiarazione Mod. 730/2010 al sostituto d’imposta, al C.A.F. o al professionista abilitato, utilizzando l’apposita busta chiusa contrassegnata sui lembi di chiusura. genzia ntrate GIORNO MESE NOME COMUNE (o Stato estero) DI NASCITA ANNO Senza spendere un euro in più (in quanto l’IRPEF ti viene già trattenuto dalla pensione o dallo stipendio) potrai contribuire a sostenere le attività di promozione sociale della nostra Associazione impegnata da anni nel mondo giovanile, nel campo della Ricreazione, della Spiritualità, della Cultura e dello Sport. Come per l’8×1000, non ti costa nulla di più. Invita amici, parenti, conoscenti a sostenerci con il loro 5×1000: tutti possono firmare, anche i non residenti nella nostra città. SESSO (M o F) PROVINCIA (sigla) basterà indicare nella LA SCELTA DELLA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF E QUELLA DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF NON SONO IN ALCUN MODO ALTERNATIVE FRA LORO. PERTANTO POSSONO ESSERE ESPRESSE ENTRAMBE LE SCELTE apposita casella della SCELTA PER LA DESTINAZIONE DELL’OTTO PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti) scheda del 5×1000 Stato Chiesa cattolica Unione Chiese cristiane avventiste del 7° giorno Assemblee di Dio in Italia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . il nostro CODICE FISCALE Chiesa Valdese unione delle chiese metodiste e valdesi Chiesa Evangelica Luterana in Italia Unione Comunità Ebraiche Italiane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 90000020306 In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa che i dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta. AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle sette istituzioni beneficiarie della quota dell'otto per mille dell'IRPEF, il contribuente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. La scelta deve essere fatta esclusivamente per una delle istituzioni beneficiarie. La mancanza della firma in uno dei sette riquadri previsti costituisce scelta non espressa da parte del contribuente. In tal caso, la ripartizione della quota d’imposta non attribuita è stabilita in proporzione alle scelte espresse. La quota non attribuita spettante alle Assemblee di Dio in Italia è devoluta alla gestione statale. e apporre la firma. SCELTA PER LA DESTINAZIONE DEL CINQUE PER MILLE DELL’IRPEF (in caso di scelta FIRMARE in UNO degli spazi sottostanti) Sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale, delle associazioni di promozione sociale e delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano nei settori di cui all’art. 10, c. 1, lett a), del D.Lgs. n. 460 del 1997 FIRMA Mario Rossi ........................................................................ Codice fiscale del beneficiario (eventuale) 90000020306 Finanziamento della ricerca scientifica e della università FIRMA Finanziamento della ricerca sanitaria FIRMA Sostegno delle attività sociali svolte dal comune di residenza ........................................................................ Codice fiscale del beneficiario (eventuale) Sostegno alle associazioni sportive dilettantistiche riconosciute ai fini sportivi dal CONI a norma di legge che svolgono una rilevante attività di interesse sociale FIRMA ........................................................................ Codice fiscale del beneficiario (eventuale) ........................................................................ Codice fiscale del beneficiario (eventuale) FIRMA ........................................................................ e apponi la tua firma! Anche quest’anno tutti coloro che avranno il piacere di sostenerci potranno apporre il nostro codice fiscale e la firma nei modelli CUD/730/UNICO. Non si tratta di un aggravio delle vostre imposte né vi sarà trattenuto nulla in più di quanto viene già trattenuto sull’IRPEF: DATA DI NASCITA 90000020306 In questi anni, molto è stato realizzato grazie al vostro sostegno. Per tutto questo vi diciamo GRAZIE. La vostra firma: il nostro impegno. DATI ANAGRAFICI Sostieni anche tu le nostre iniziative con un semplice gesto che non ti costa nulla! ri rreatorio o COGNOME (per le donne indicare il cognome da nubile) Scrivi nella apposita casella del 5×1000 il nostro codice fiscale CODICE FISCALE (obbligatorio) CONTRIBUENTE RITAGLIA IL TALLONCINO E PORTALO CON TE COME PROMEMORIA! In aggiunta a quanto indicato nell’informativa sul trattamento dei dati, contenuta nel paragrafo 3 delle istruzioni, si precisa che i dati personali del contribuente verranno utilizzati solo dall’Agenzia delle Entrate per attuare la scelta. Inaugurazione del mosaico SAN NICOLÒ AVVERTENZE Per esprimere la scelta a favore di una delle finalità destinatarie della quota del cinque per mille dell’IRPEF, il contribuente deve apporre la propria firma nel riquadro corrispondente. Il contribuente ha inoltre la facoltà di indicare anche il codice fiscale di un soggetto beneficiario. La scelta deve essere fatta esclusivamente per una delle finalità beneficiarie. ALTA UOTA Il 18 dicembre scorso, quarta domenica di Avvento, alla presenza di numerosi bambini e ragazzi dell’AC, del gruppo scout e del ricreatorio è stato inaugurato il secondo mosaico, realizzato dall’artista Enio Puntin di Aquileia. Dopo l'effige di Don Bosco, sulla parete del ricreatorio è stato esposto il volto del suo protettore San Michele Arcangelo, patrono della nostra città. Questi due mosaici, realizzati con passione e abilità tecnica, sono stati donati al ricreatorio dallo stesso artista. zanon.pdf 1 08/04/2016 13.23.11 Come sempre il 5 dicembre è stato un giorno speciale: grazie all'organizzazione del ricreatorio è arrivato San Nicolò. Partendo da piazza San Girolamo e percorrendo il piazzale e via Roma è giunto in ricreatorio, regalando a tutti i bambini un dono e augurando a tutti di vivere in serenità e pace queste feste di Natale. Anche quest'anno è stato un momento molto atteso per i bambini di Cervignano: la partecipazione è stata numerosa, sia per le vie della città sia in ricreatorio. Il giorno successivo, giorno in cui si ricorda il Santo, S. Nicolò è passato nelle scuole, negli asili e al camp, anche qui portando doni a tutti. credifriuli.pdf 15/02/2010 13.46.47 CAMPO INVERNALE DEL GRUPPO DOPO CRESIME Si è svolto dal 2 al 5 gennaio scorso a Enemonzo il campo invernale del gruppo dopo cresime e del gruppo giovani di Strassoldo. I ragazzi che hanno partecipato erano una ventina, accompagnati dai loro educatori e da Don Moris. Ci sono stati momenti di riflessione e di approfondimento e momenti di svago e divertimento, come la giornata a Sappada presso Nevelandia.