INDICE:

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INDICE
 Capitolo 1
Il concetto di norma tributaria e di efficacia in generale
3
1.1. Nozioni generali e principi costituzionali
3
1.2. Attuazione e tipologia di norme tributarie
10
1.3. Struttura ed elementi sostanziali della norma
tributaria impositrice
12
1.4. Altri tipi di norme tributarie:le norme formali
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1.5. Il concetto di efficacia di una legge in generale
18
 Capitolo 2
L’efficacia della norma tributaria nel tempo:
la retroattività della norma tributaria
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2.1. Principi fondamentali in tema di efficacia temporale
delle norme tributarie
20
2.2. La retroattività della norma tributaria
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2.3. Applicazione all'ordinamento tributario
dell'art. 25, 2 comma Cost.
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2.4. Analisi degli articoli della Costituzione da cui la dottrina
ha ricavato il principio di irretroattività della norma tributaria
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2.5. Il principio di capacità contributiva in riferimento
alla retroattività delle norme tributarie
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2.6. “Statuto del contribuente”:
irretroattività della norma tributaria
32
1
 Capitolo 3
L’efficacia della norma tributaria nello spazio:
il principio di territorialità dell’imposta
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3.1. Problemi in tema di efficacia della norma tributaria nello spazio
36
3.2. Il principio di territorialità
36
3.3. La doppia imposizione internazionale e relative cause
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3.4. La potestà amministrativa tributaria
39
2
Capitolo 1
Il concetto di norma tributaria e di efficacia in generale
1.1. Nozioni generali e principi costituzionali
Lo Stato contemporaneo, al fine di soddisfare i bisogni collettivi dei propri cittadini e
perseguire precisi precetti costituzionali (allocazione delle risorse, distribuzione equa
della ricchezza, stabilità economica ecc.) necessita di un continuo afflusso di risorse
economiche.
Il diritto tributario è il complesso delle norme che disciplinano l'attività dello Stato
diretto a procurarsi i mezzi finanziari per il raggiungimento di quei fini, avvalendosi
del proprio “ius imperii”.
Si definisce tributaria l’entrata caratterizzata dalla coattività della prestazione. Tale
coattività costituisce l’elemento essenziale ed incontestabile per l’individuazione del
tributo e per la sua differenziazione dalle altre entrate. Sono pertanto tributi le
imposte, le tasse, i monopoli fiscali ed i c.d. “contributi”.
Per ciò che concerne la struttura e gli effetti della norma tributaria possiamo
riscontrare una certa difficoltà nella sua lettura derivante ,sostanzialmente, da:
 la peculiarità della norma tributaria rispetto a quelle di altre branche
dell’ordinamento giuridico;
 la centralità che, nell’applicazione della norma tributaria, assume la funzione
amministrativa;
3
 dalla
presenza
di
orientamenti
giurisprudenziali,
condizionati
da
un’affermata prevalenza dell’interesse fiscale rispetto a quello individuale.
L’analisi della norma tributaria deve partire dalla scelta legislativa diretta a fondare
sul PRINCIPIO DI LEGALITA’ o di RISERVA DI LEGGE, sancito dall’art. 23
Cost. , il prelievo tributario.
Tale principio secondo il quale “nessuna prestazione personale o patrimoniale può
essere imposta se non in base alla legge” impone:
- la regolamentazione giuridica, mediante norme primarie, dell’imposizione
tributaria nella sua dimensione sostanziale lasciando la disciplina attuativa
del tributo ad altre e diverse disposizioni disciplinanti l’attività della pubblica
amministrazione.Pertanto si tratta di riserva di legge relativa: ciò significa che
la legge disciplina gli aspetti essenziali (a. presupposto, b. soggetti, c. aliquote,
d. base imponibile), mentre la disciplina di grado inferiore servirà ad integrare
e a curare gli aspetti più particolarmente tecnici. Può anche accadere che il
legislatore preveda dei limiti massimi e minimi (c.d. forchette) per la
determinazione delle aliquote, mentre i provvedimenti ministeriali le
stabiliranno più nello specifico. La riserva di legge ha precisi fini garantistici: è
il Parlamento che ha il potere di imporre un tributo e non il Governo, quindi i
rappresentanti del cittadino, da lui democraticamente scelti.
Esaminando le strutture giuridiche dei principali tributi, può desumersi una linea
comune di tecnica legislativa nella costruzione del tributo.
Si distinguono:
 la fattispecie tributaria statica, comprendente:
- la descrizione del fatto a rilevanza tributaria;
- la fissazione dei criteri di stima se tale fatto si presenta illiquido;
- l’individuazione del soggetto passivo;
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- la determinazione della misura del tributo;
 la fattispecie tributaria dinamica attinente a:
- la traduzione della fattispecie astratta in concreta imposizione a seguito del
verificarsi del fatto tipizzato dalla legge.
Le due dimensioni, statica e dinamica, rispondono ad esigenze diverse :
- la fattispecie statica deve disciplinare in termini generali ed astratti i fatti economici
idonei a consentire la più equa ripartizione delle spese pubbliche;
- la fattispecie dinamica deve assicurare la corretta rappresentazione di quel fatto ed il
risultato in termini finanziari, prevedendo regole procedurali idonee a garantire la
concreta attuazione della norma tributaria.
Un altro principio costituzionale fondamentale cui il legislatore deve necessariamente
attenersi nell’emanazione di una norma fiscale è:
l’art.53 Cost. che recita il principio di capacità contributiva secondo il quale
“ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità
contributiva”.
Il principio di capacità contributiva esprime la scelta costituzionale diretta a
selezionare la capacità economica del singolo, quale presupposto su cui commisurare
il concorso ai carichi pubblici.
In tal modo, si è voluto:
- escludere, in via assoluta, il ricorso al tributo al fine di realizzare finalità politiche o
discriminative;
- indirizzare il legislatore nella costruzione della fattispecie tributaria che deve essere
rispettosa del fondamento economico del tributo.
Il primo comma dell’art. 53 Cost. trova il suo antecedente nell’art. 25 dello Statuto
Albertino, il quale prevedeva che “ i regnicoli contribuiscono indistintamente nella
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proporzione dei loro averi ai carichi dello Stato”.
Differenze tra le due norme:
- l’espressione “regnicoli” identificava i soggetti passivi soltanto nei cittadini, mentre
nel sistema attuale assume rilevanza il concetto di residenza e, più in generale, il
collegamento soggettivo od oggettivo fra gli indici di capacità contributiva e la sfera
territoriale di operatività dell’ordinamento statale;
- l’espressione “in ragione” (della loro capacità contributiva), in luogo
dell’espressione “in proporzione” (dei loro averi), si connette al criterio di
progressività cui deve essere uniformato il prelievo impositivo ai sensi del secondo
comma dell’art.53 costa;
- l’espressione “capacità contributiva”, in luogo di “averi”, si collega anche alla
maggiore varietà degli indici di ricchezza ritenuti assoggettabili all’imposizione
rispetto a quelli più limitati essenzialmente riconducibili ai soli proventi di natura
fondiaria.
La capacità contributiva può rappresentare un limite dell’imposizione tributaria.
Come abbiamo visto, tale principio esprime l’idoneità economica del soggetto
all’obbligazione impositiva.
Tale idoneità si deduce dal presupposto al quale la prestazione è connessa,
presupposto consistente in qualsiasi fatto espressivo della potenzialità economica
cui deve ricollegarsi la partecipazione alle pubbliche spese (Corte Cost. n. 97/1968; n.
92/1972; n. 120/1972; n.200/1972).
Ciò significa che deve sussistere uno stretto nesso tra capacità contributiva e
manifestazione di capacità o forza economica riferibile ad un determinato soggetto,
idonea a fornire a costui i mezzi finanziari necessari per l’assolvimento della
prestazione impositiva.
La giurisprudenza costituzionale ha individuato due caratteristiche fondamentali
del principio della capacità contributiva:
 il requisito dell’effettività
 il requisito dell’attualità
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Per quanto riguarda il primo, dal principio costituzionale dell’art. 53 si evince:
a) la necessità di un collegamento effettivo tra presupposto di fatto e soggetto passivo
del tributo;
b) la necessità che i fatti assunti a presupposto dell’imposta siano collegati al
possesso di una reale capacità contributiva e di una idoneità effettiva al pagamento
delle imposte.
A tale proposito possono sorgere una serie di problemi dovuti all’eventuale ricorso da
parte del legislatore tributario a presunzioni ossia a disposizioni dirette a:
- invertire l’onere della prova del fatto a rilevanza tributaria,
- oppure ad escludere o rendere eccessivamente complessa l’eventuale prova
contraria di tale fatto.
Secondo gli orientamenti dottrinali sussiste un’ inammissibilità di presunzioni
assolute in riferimento alla sussistenza del presupposto di fatto del tributo.
Secondo gli orientamenti giurisprudenziali è legittimo il ricorso a presunzioni:
a) purchè esse siano rispondenti a criteri di ragionevolezza o di comune esperienza;
b) purchè esse siano fondate su indici concretamente rivelatori di ricchezza;
c) purchè sia ammessa la prova contraria da parte del contribuente.
Anche per quanto riguarda il ricorso a forfetizzazioni e parametrazioni abbiamo due
posizioni differenti.
Per gli orientamenti dottrinali sussiste una certa perplessità sul ricorso a metodi o
criteri di determinazione del presupposto o della base imponibile basati su indici
statistici o medio-ordinari.
Mentre secondo gli orientamenti giurisprudenziali è legittimo l’utilizzo di coefficienti
o forfetizzazioni, che, se pure non sottoposti a riscontri concreti, possano essere
considerati rispondenti a principi logici e contabili attendibili (Corte Cost. n. 16/1965;
n. 586/1987).
Per quanto riguarda , invece, il secondo requisito ossia quello dell’attualità, dal
principio costituzionale dell’art. 53 si evince che:
- l’imposizione tributaria non può legittimamente colpire situazioni che, in virtù
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della loro collocazione temporale in un’epoca troppo remota rispetto al momento
genetico della prestazione tributaria, non siano tali da assicurare al soggetto
passivo le risorse con cui adempiere all’obbligazione posta a suo carico.
La caratteristica dell’attualità è stata studiata soprattutto con riferimento alle
fattispecie di imposizione retroattiva o anticipata.
La dottrina ha affermato la possibilità, in linea di principio, che le norme tributarie
possano avere efficacia retroattiva, purchè il lasso di tempo intercorso non sia tale da
non far sussistere in fatto la capacità contributiva al momento dell’effettiva
imposizione.
Si ritiene, inoltre, che sia irrilevante la cd. prevedibilità dell’imposizione, in quanto
si tratta di un criterio quanto mai aleatorio e non è costitutivo della capacità
contributiva che solo giustifica l’imposizione.
E’ orientamento della Corte Costituzionale ritenere che nulla osti alla retroattività di
principio della norma tributaria.
Comunque, in ossequio al principio di capacità contributiva, è necessario, per la
legittimità della norma ad efficacia retroattiva, che non venga interrotto il nesso tra
imposizione e attitudine alla contribuzione (cfr. già Corte Cost., n. 44/1966).In
tema di efficacia ritorniamo a parlane più avanti.
Una norma che introduca
- un’imposizione non rapportata alla capacità contributiva o
- disponga un’esenzione in relazione a fatti espressivi di forza economica,
potrà ritenersi costituzionalmente corretta solo quando l’interesse perseguito dal
legislatore sia costituzionalmente riconosciuto e posto ad un livello equiparabile
con quello di capacità contributiva dell’art. 53.
Ancora fondamentale è l’art. 53, secondo comma Cost. secondo cui:
“Il sistema tributario italiano è informato a criteri di progressività”
La dottrina prevede:
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a) una natura meramente programmatica della norma: possibile l’istituzione di
tributi a carattere proporzionale o addirittura ad effetti regressivi, purchè la struttura
del sistema impositivo risponda nel suo complesso al criterio della progressività;
b) una natura precettiva della norma costituzionale: il precetto della capacità
contributiva opera a livello del singolo tributo, il precetto della progressività a livello
dell’intero sistema.
Altri principi costituzionali fondamentali sono:
 l’universalità dell’imposta (art. 53), per il quale “tutti sono tenuti a concorrere
alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”;
 l’uguaglianza (relativa) dell’onere tributario (art. 3), secondo il quale l’onere
fiscale deve essere suddiviso fra tutti i soggetti d’imposta in proporzione della
propria capacità contributiva;
 l’inabrogabilità delle norme tributarie a mezzo referendum (art. 75);
 l’impossibilità di introdurre nuovi tributi con la legge di approvazione del
bilancio (art. 81);
 la regolazione da parte di leggi speciali di accertamenti e ispezioni per motivi di
sanità e incolumità pubblica o a fini economici e fiscali(art.14).
Pertanto abbiamo visto che,nel nostro sistema, fonte primaria del diritto tributario è,
ovviamente, la Costituzione la quale sancisce i principi cui il legislatore deve
necessariamente attenersi nell’emanazione di norma fiscali.
Per quanto riguarda le altre fonti del diritto tributario, vediamo che la loro
classificazione ricalca quella classica della gerarchia delle fonti in generale. Avremo
quindi, in una ipotetica “scaletta“, la Costituzione, la legge ordinaria, il decreto
legislativo, il decreto legge, la legge regionale nonché le fonti secondarie quali
regolamenti e decreti ministeriali e infine le cosidette pseudo-fonti costituite dalle
circolari interpretative e dal diritto di interpello.
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1.2. Attuazione e tipologie di norme tributarie
Per quanto concerne l’attuazione della norma tributaria possiamo dire che
l’applicazione della fattispecie astratta alla fattispecie concreta può derivare
a) da una spontanea attività del soggetto passivo (grande rilevanza attribuita al cd.
adempimento spontaneo o automatico del tributo),
b) da una attività sostitutiva dell’Amministrazione finanziaria da attuarsi senza il
concorso della volontà dell’interessato o addirittura contro la volontà di costui.
In ogni caso, l’attuazione della norma tributaria trova una dettagliata disciplina
legale, per cui:
- la partecipazione volontaria del privato è assoggettata a regole formali che ne
condizionano la validità e che trovano garanzia in uno specifico apparato
sanzionatorio;
 l’attività amministrativa di ricognizione autoritativa del fatto e le regole
procedurali dirette all’attuazione integrativa o sostitutiva della norma tributaria
sono regolate da norme primarie, dirette talvolta a tutelare l’esigenza del
contraddittorio e a regolare l’interferenza con diritti del contribuente, con
conseguenti riflessi sulla validità degli atti.
Ora andiamo a vedere i tipi fondamentali di norma tributaria.
Le disposizioni tributarie possono dividersi in procedurali e sostanziali. Queste
ultime si dividono in:
 Norme impositrici: disposizioni che descrivono gli elementi di ciascuna
fattispecie tributaria, i c.d. regimi fiscali sostitutivi, le cautele patrimoniali
applicabili...
Sono sottoposte a riserva relativa di legge (art. 23 Cost.)
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 Norme sanzionatorie: disposizioni di diritto tributario che individuano gli
elementi costitutivi di ciascuna fattispecie di illecito penale o extrapenale
Sono sottoposte a riserva assoluta di legge (art. 25 Cost.)
 Norme agevolatrici: norme che accordano esenzioni oggettive o soggettive, in
senso stretto o comunque variamente camuffate, e in generale riduzioni del
quantum debeatur.
Sono considerate norme di carattere eccezionale.
Sono sottoposte ai principi della riserva relativa di legge e della indisponibilità
della potestà di imposizione.
Sono contrarie in linea di principio ai principi di uguaglianza e capacità
contributiva, a meno che non trovino giustificazione in altri parametri
costituzionali.
Per quanto concerne, invece, le norme procedurali abbiamo:
 Norme di procedura amministrativa: regolamentano gli atti della procedura che
conduce all’imposizione e all’esazione del tributo e delle sanzioni amministrative
nonché all’assunzione di prove.
Vale il principio del tempus regit actum.
 Norme di procedura giurisdizionale: regolano il processo davanti ai giudici
speciali tributari o ad altre autorità giurisdizionali.
Vale il principio del tempus regit actum.
 Norme sulle prove: norme che disciplinano l’efficacia dei mezzi di prova.
Infine abbiamo le norme di rinvio:
 Rinvio espresso: è la stessa norma tributaria ad indicare testualmente gli articoli
oggetto del rinvio.
 Rinvio tacito: l’enunciato si limita ad indicare vocaboli che designano istituti
completamente disciplinati in altri sottosistemi dell’ordinamento.
 Rinvio extra settoriale: ad altri settori dell’ordinamento giuridico.
 Rinvio infrasettoriale: rinvio ad altri settori del diritto tributario.
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 Rinvio mobile: si fa riferimento non tanto alla norma ma alla fonte produttiva di
essa. La norma viene quindi assorbita con tutti i cambiamenti che successivamente
la fonte di produzione apporterà alla norma stessa.
 Rinvio immobile: ha ad oggetto una norma individuata nel suo contenuto
specifico attuale: non si considerano le eventuali variazioni successive.
Infine possiamo fare un piccolo riferimento alle tecniche varie di produzione delle
norme tributarie.
 Iperproduzione di leggi tributarie;
 ipertrofia della legge tributaria (leggi prodotte affrettatamente e inserite male nel
contesto normativo generale);
 omeomorfismo legislativo (rinvio normativo ad altre leggi senza riportarle ma
solo indicando articoli e commi);
 legislazione per casi e non per principi;
 forma letteraria dei messaggi legislativi oscura o ambigua o contraddittoria.
1.3. Struttura ed elementi sostanziali della norma tributaria impositrice
Analizziamo più da vicino la norma tributaria impositrice.
Si tratta della norma che disciplina gli elementi essenziali della fattispecie impositiva,
ossia:
- il fatto o presupposto d’imposta;
- l’imputazione di esso ad un soggetto;
- l'effetto costituito dalla debenza di un tributo, ragguagliato ad una determinata
grandezza attraverso l’applicazione di un tasso o di un’aliquota d’imposta.
Tale norma, ovviamente, assume il massimo rilievo sotto il profilo dei limiti
costituzionali sanciti:
- dall’art. 23 (dovendo trattarsi necessariamente di un atto normativo primario)
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- dall’art. 53 (dovendo il presupposto essere espressivo dell’attitudine economica
all’imposizione e dovendo essere riferibile al soggetto passivo).
Sarebbe in contrasto con il principio di capacità contributiva, pertanto:
- una norma impositrice che imputasse un fatto manifestativo di capacità contributiva
ad un soggetto svincolato da qualunque relazione con il fatto stesso;
- una norma impositrice che legasse la base imponibile alla misura di un fatto diverso
da quello assunto a presupposto del tributo.
La norma impositrice si pone dunque come punto centrale di riferimento
nell’applicazione del tributo in quanto esprime e misura la capacità contributiva
che esso è volto a colpire.
Ne consegue che deve esistere un’intrinseca coerenza tra gli elementi della norma
impositrice sia sotto il profilo della loro riferibilità alla capacità contributiva che il
tributo deve colpire, sia sotto la comune attitudine a determinarne la disciplina
legislativa degli elementi essenziali.
Si è detto che la norma impositrice qualifica fatti od atti già qualificati da altri settori
del diritto attribuendo loro una determinata efficacia ai fini impositivi: essa crea
delle fattispecie impositive.
Lo studio della fattispecie impositiva attiene:
- sia al profilo strutturale (ossia sotto il profilo degli elementi che la compongono)
- sia al profilo effettuale (ossia sotto il profilo degli effetti giuridici che essa
produce).
In ordine al profilo effettuale gli studi della dottrina tributaristica hanno avuto ad
oggetto l’individuazione dell’effetto principale ricollegabile alla fattispecie
impositiva, ossia il sorgere dell’obbligazione tributaria.
In particolare, è necessario analizzare gli elementi essenziali della norma tributaria
impositrice:

il presupposto

il soggetto

la base imponibile
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3

il tasso d'imposta
Il presupposto.
Lo studio del presupposto d’imposta è stato tradizionalmente inquadrato in quello,
dinamico, dei meccanismi di attuazione del tributo.
Pertanto, il presupposto è stato considerato, da questo punto di vista, per la sua
attitudine ad essere fonte dell’obbligazione tributaria.
Lo studio del presupposto, sotto il profilo statico, è iniziato in epoca relativamente
recente, quando si è ricollegata ad esso la ratio, il principio ispiratore del tributo (v.
in particolare gli studi di FEDELE e FANTOZZI).
Più precisamente, individuato il profilo statico del fenomeno impositivo nella
relazione tra fatto economico (potenzialità economica) e prelievo, la dottrina ha
evidenziato
che tale
relazione avviene
attraverso
l’intermediazione del
presupposto in cui la ratio del tributo si estrinseca in elementi normativi che ne
fissano l’attitudine specifica alla contribuzione.
I fatti economici sono così assunti nel presupposto in una dimensione giuridica,
accogliendo in esso:
- fatti giuridici direttamente espressivi del loro contenuto patrimoniale;
- fatti e rapporti idonei a lasciare indurre l’esistenza di altri fatti aventi contenuto
patrimoniale (consiste in questo la distinzione tra imposte dirette e indirette).
Il presupposto deve essere distinto dall’oggetto che è costituito dalla ricchezza
ovvero dalla capacità economica che il tributo intende colpire.
Esempio: nell’imposta di registro
- l’oggetto è la ricchezza trasferita;
- il presupposto è costituito dagli atti, i contratti ed i fatti giuridici previsti dalla legge
e dalla tariffa allegata.
Esempio: nell’IRPEF
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- l’oggetto è il reddito personale;
- il presupposto è il possesso del reddito da parte di una persona fisica.
Un problema particolare che la dottrina si è tradizionalmente posto è quello della
possibilità di assumere quale presupposto di un tributo il fatto illecito.
Secondo la prevalente dottrina (v. MICHELI, FANTOZZI) nulla impedisce in via di
principio che un fatto qualificato illecito da altre norme dell’ordinamento venga
considerato espressivo di attitudine a concorrere alle spese pubbliche.
Esempi: redditi derivanti dal contrabbando di sigarette, dallo spaccio di stupefacenti o
dal commercio di beni rubati.
Il soggetto.
Il soggetto passivo costituisce il centro di imputazione degli effetti del
presupposto: colui al quale viene riferito il tributo.
Esso è di regola colui che ha posto in essere il fatto manifestativo di capacità
contributiva.
Vediamo come la prevalente dottrina ponga nell’ambito dei soggetti passivi anche
soggetti diversi dal contribuente, ossia il sostituto d’imposta ed il responsabile
d’imposta.
Il principio di capacità contributiva richiede che tra fattispecie oggettive e
fattispecie soggettive della norma tributaria sussista un rapporto valutabile in
termini di capacità contributiva.
La legge non può scegliere un soggetto cui imputare un tributo che sia totalmente
svincolato dalla capacità contributiva manifestata dal presupposto di quel tributo.
Il soggetto attivo , creditore di una prestazione pecuniaria, è lo Stato, che opera
attraverso gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria che accertano e riscuotono le
imposte.
La base imponibile.
E’ la grandezza che misura la capacità contributiva manifestata dal presupposto
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ovvero l’oggetto del tributo.
Di regola essa è espressa in denaro (es. l’ammontare di un reddito, del valore di un
bene, il corrispettivo di un contratto).
Può, tuttavia, anche essere riferita a cose misurate secondo proprie caratteristiche (es.
imposta di circolazione degli autoveicoli misurata sui cavalli fiscali), ovvero secondo
caratteristiche di misura e di peso (es. imposte di fabbricazione ragguagliate alla
quantità di prodotto), o infine essere costituita da cose nella loro unità (es. la
soppressa imposta sui cani).
Nell’esigenza di trasformare una concreta manifestazione di capacità contributiva in
una somma di denaro da versare all’ente impositore, la norma impositrice provvede a
determinare:
- sia la composizione della base imponibile
- sia i criteri della sua misurazione.
Con riguardo alla composizione, la legge indica di regola quali sono gli elementi che
compongono la base imponibile.
Ad es., nell’imposizione sui redditi, prevede che i redditi di lavoro autonomo e
d’impresa vengono assoggettati ad imposizione al netto, indicando la legge le
componenti negative che vanno dedotte dalle componenti positive.
Riguardo alla misurazione della base imponibile, invece, la legge può prevedere
- la determinazione della qualità merceologica degli oggetti sottoposti al tributo (es.
ai fini dell’applicazione della tariffa doganale);
- la loro numerazione o il loro peso, volume lunghezza o superficie (v. le imposte di
fabbricazione o le imposte sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni);
 nella maggior parte dei tributi, tuttavia, la base imponibile è costituita
dall'espressione monetaria del valore.
Il tasso d'imposta.
E’ costituito dal coefficiente da applicare alla base imponibile per estrarre da essa
l’ammontare dell’imposta.
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Il tasso può essere:
- fisso (quando è espresso in un ammontare invariabile quale che sia la grandezza
della base imponibile)
- variabile (in tal caso il tasso da applicare alla base imponibile è costituito da
un’aliquota).
L’aliquota può essere:
- proporzionale (quando rimane costante con il valore della base imponibile)
- progressiva (quando muta più che proporzionalmente al crescere della base
imponibile).
Finora abbiamo analizzato gli elementi che formano la fattispecie impositiva e che
rappresentano gli elementi essenziali della norma tributaria impositrice.
1.4. Altri tipi di norme tributarie: le norme formali
Vediamo, ora, un secondo tipo di norme appartenenti all’ordinamento
tributario, le quali disciplinano il procedimento di attuazione della norma
tributaria: le norme formali.
Si tratta delle norme dirette a disciplinare obblighi strumentali, quali, ad esempio,
- la presentazione di dichiarazioni;
- le modalità di effettuazione dei versamenti;
- la tenuta di scritture contabili;
- la soggezione ai poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria;
- le modalità con cui l’Amministrazione deve effettuare controlli e rettifiche.
Anche queste norme impongono situazioni soggettive attive e passive - sia all’ente
impositore ,sia al contribuente, sia ad eventuali terzi coinvolti nell’attuazione del
tributo.
Anche queste norme sono legate alla norma impositrice attraverso il principio di
legalità e di vincolatezza alla capacità contributiva.
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Ciò comporta che:
- anche le norme formali o procedimentali devono concorrere alla migliore
determinazione della capacità contributiva colpita dal tributo
- gli uffici devono rispettare rigorosamente tali norme, potendo il contribuente
contestare l’illegittimo operato dell’Amministrazione sia sotto il profilo della
legittimità sostanziale del prelievo (verificarsi o meno del presupposto) sia sotto il
profilo della legittimità formale dell’imposizione.
Le norme formali o procedimentali possono essere contenute
anche in atti normativi secondari, in virtù del carattere relativo della riserva di
legge di cui all’art. 23 Cost.
1.5. Il concetto di efficacia di una legge in generale
Le leggi e i regolamenti diventano obbligatori o entrano in vigore solo a seguito della
loro pubblicazione (che per le leggi e i regolamenti dello Stato è eseguita nella
Gazzetta ufficiale) e, se non è diversamente disposto, il quindicesimo giorno
successivo ad essa (art.73, comma 3°,cost., art.10 prel.).
La loro obbligatorietà è, dunque, subordinata ad un adempimento , come la
pubblicazione, diretto a renderli conoscibili da parte di chi deve osservarli; ma s tratta
di una conoscibilità astratta ossia della virtuale possibilità, per ciascun destinatario ,
di conoscerli attraverso la loro pubblicazione: leggi e regolamenti, una volta
pubblicati, obbligano anche chi si fosse trovato, in concreto, nella assoluta
impossibilità di venirne a conoscenza.
Le leggi, o singole norme in esse contenute, cessano di avere efficacia o per espressa
disposizione di una legge successiva (art. 15 prel.) o per referendum popolare (art. 75
Cost.) o per sentenza di illegittimità costituzionale (art.136 Cost.). In questi casi si
parla di abrogazione espressa; ma una norma di legge può perdere efficacia anche
per incompatibilità con una nuova disposizione di legge oppure perchè una nuova
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legge regola l'intera materia (art. 15 prel.), e si dice allora che la precedente norma è
stata tacitamente abrogata. Altro principio generale è quello secondo il quale la legge
non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo (art. 11 prel.). Questo
principio assume valore di precetto costituzionale, vincolante la legislazione
ordinaria, solo per le leggi penali: solo a queste fa riferimento la Costituzione,
allorchè stabilisce che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia
entrata in vigore prima del fatto commesso (art.25, comma 2°, Cost.). Rispetto al
diritto privato, invece, la irretroattività della legge risulta sancita solo da una norma
generale di legge ordinaria (quale è il c.c., con le relative preleggi); e, in quanto
norma di legge ordinaria , essa è derogabile da altre leggi ordinarie, che possono
attribuire a se stesse effetto retroattivo. Questa possibilità di deroga non dovrebbe
considerarsi illimitata: la retroattività della legge, essendo una eccezione ad una
regola generale, altera il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.);
sarebbe, perciò, da considerarsi legittima solo in presenza di un ragionevole motivo
che la giustifichi. La tendenza della nostra giurisprudenza è però nel senso di
riconoscere al legislatore l'insindacabile potere di attribuire effetto retroattivo alle
proprie leggi. In ogni caso, la retroattività della legge deve risultare in modo esplicito
o, quanto meno, desumersi dalla funzione della legge. Legge non retroattiva significa,
in concreto, legge che non influisce sul fatto compiuto. Pertanto è legge retroattiva
quella diretta ad influire su fatti compiuti, privandoli ex post di ogni effetto o
attribuendo loro ex post effetti che in precedenza non avevano. La retroattività
incontra però un limite naturale: la legge retroattiva non si applica a quei fatti che
abbiano esaurito per intero le loro capacità di produzione di effetti giuridici.
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Capitolo 2
L’efficacia della norma tributaria nel tempo: la retroattività
della norma tributaria
2.1. Principi fondamentali in tema di efficacia temporale delle norme tributarie
Dopo aver definito il diritto tributario ed avere analizzato la struttura della norma
tributaria e i vari princpi che la disciplinano, andiamo ad occuparci di un aspetto
particolare della norma tributaria connesso alla sua efficacia.
Iniziamo con l'analizzare le caratteristiche proprie della norma tributaria nella sua
dimensione temporale.
Quando parliamo di efficacia nel tempo dobbiamo prendere in considerazione diversi
aspetti. Il primo riguarda il “quando” entra in vigore una norma tributaria, ancora il
problema connesso alla sua possibile applicabilità retroattiva ed infine il problema
connesso alla abrogazione e quindi alla possibile sopravvivenza di effetti di una
norma tributaria che quando era stata introdotta era una norma obbligatoria.
Le norme tributarie contenute sia in leggi che in regolamenti, al pari di qualunque
altra norma giuridica, sono sottoposte alla disciplina generale dettata dal nostro
ordinamento in tema di efficacia di cui prima abbiamo fatto cenno.
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Le norme fondamentali da cui deve partire l’analisi sono gli articoli 10 e 11 delle
disposizioni preliminari al Codice civile vigente.
L’articolo 10 disp. prel. c.c. stabilisce che in linea generale le norme di legge e
regolamentari entrano in vigore, cioè divengono efficaci, quindici giorni dopo la loro
pubblicazione, trascorso il cosiddetto periodo di vacatio legis. Sarà poi il legislatore
che potrà ridurre questo periodo, annullandolo anche completamente, stabilendo
l’entrata in vigore della norma lo stesso giorno della pubblicazione. Questa possibile
anticipazione della entrata in vigore della norma, però, non rappresenta una efficacia
retroattiva, che è cosa ben diversa.
Una disposizione molto simile la troviamo nell’articolo 73, comma terzo, della
Costituzione, dove si ribadisce che le norme sono pubblicate dopo la promulgazione
ed entrano in vigore il quindicesimo giorno dopo la loro pubblicazione, salvo che la
stessa legge non stabilisca diversamente. Nonostante si tratti di una norma
costituzionale, la presenza di questo specifico rinvio permette al legislatore ordinario
di stabilire un termine iniziale diverso; quindi non cambia nulla rispetto a quanto
detto circa l’articolo 10 delle disp. prel. cod.civ.
Come abbiamo già detto in precedenza, l’articolo 11 disp. prel. c.c. invece esprime un
altro principio molto importante, secondo cui la legge dispone solo per l’avvenire,
non potendo avere un effetto retroattivo. La formulazione della norma è molto chiara
e dal contrasto fra la forma positiva (la legge non dispone che per l’avvenire) e quella
negativa (non ha effetto retroattivo) si coglie maggiormente il concetto che il
legislatore del 1942 ha voluto esprimere: l’irretroattività delle norme giuridiche. Le
conseguenze di questa decisione sono fondamentali sia sul piano della certezza del
diritto, sia su quello della tutela del cittadino, in quanto le nuove norme potranno
essere applicate solo a fattispecie concrete verificatesi dopo l’entrata in vigore della
norma stessa.
Per quanto riguarda, invece, la cessazione degli effetti giuridici delle norme di legge i
casi più comuni sono quelli della abrogazione, della deroga e della regolamentazione
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dell’intera materia.
Si parla di abrogazione quando cessano gli effetti giuridici di una norma in quanto
incompatibile con una norma di pari grado e successiva nel tempo. Può essere
espressa o tacita a seconda che la norma posteriore indichi o meno la norma anteriore
incompatibile.
La deroga, invece, si ha quando una norma successiva, con un ambito applicativo più
ristretto, contrasta con una precedente. Relativamente a quell’ambito applicativo
produrrà effetti la norma successiva e quindi la precedente verrà derogata.
Infine si ha cessazione dell’efficacia di una legge per regolamentazione dell’intera
materia quando una nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge
anteriore, che, quindi, perderà effetto.
Se il contrasto riguarda, invece, norme di grado differente non ci sarà abrogazione o
deroga ma illegittimità.
Un ultimo caso, particolare ma molto diffuso nel diritto tributario, è quello del
cosiddetto termine finale. E’ il legislatore che decide quando la norma debba cessare
di produrre effetti, quindi questo non deriva dal contrasto con una norma successiva.
Un esempio in questo senso lo troviamo nelle leggi che contengono regimi
agevolativi.
Terminata l’analisi delle regole generali circa l’efficacia nel tempo delle norme
giuridiche, bisogna analizzare il concetto di retroattività, per vedere poi più avanti se
l’efficacia retroattiva si può conciliare con le norme del Codice civile e della nostra
Costituzione.
2.2. La retroattività della norma tributaria
Con il termine retroattività si fa riferimento ad un particolare fenomeno per cui la
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norma giuridica prende a base della sua disciplina fattispecie verificatesi prima della
sua entrata in vigore. Questo fenomeno, che presenta caratteristiche particolari
riguardo alle norme impositive (per esempio quelle che introducono nuove imposte,
quelle che aumentano aliquote di imposte esistenti, quelle che eliminano o riducono
trattamenti agevolativi) è stato oggetto per lungo tempo di analisi da parte della
dottrina la quale è arrivata a conclusioni differenti. Dal 1950 fino ad oggi il problema
della retroattività delle norme tributarie è stato affrontato da esponenti importanti
della dottrina giuridica e sempre con intenso e vivo impegno. Tutto ciò è dimostrato
dalla numerosa produzione di scritti sul tema e dalle varie e spesso diverse tesi che
ciascun autore ha voluto mettere in luce. Grande interesse è stato mostrato riguardo
alla natura e gli effetti dell’articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale
contenute nel Codice civile del 1942, in quanto rappresenta il punto di partenza per
una chiara e completa analisi del fenomeno retroattivo e , nel caso specifico, della
retroattività della norma tributaria.
La dottrina dominante analizza il concetto di retroattività della norma tributaria
distinguendo fra retroattività propria ed impropria.
Si parla di retroattività propria quando sia la fattispecie che i suoi effetti si collocano
nel passato rispetto all’entrata in vigore della legge. L’esempio tipico che viene fatto
è quello delle norme che prorogano l’efficacia di esenzioni scadute; infatti dopo la
loro scadenza il legislatore può ritenere che dovessero essere mantenute e ne dispone
la proroga attraverso una norma di legge che produca effetti dal momento della
scadenza delle esenzioni, quindi anteriormente alla sua entrata in vigore.
Si ha, invece, retroattività impropria quando la legge istituisce un tributo da
corrispondere dopo la sua entrata in vigore ma riferendolo a fatti verificatisi prima di
essa. I casi di retroattività impropria non sono stati rari e sono serviti soprattutto a
recuperare a tassazione manifestazioni di capacità contributiva sfuggite nel passato.
Come nel caso della famosa legge 246 del 1963 (oggetto fra l’altro di una
importantissima sentenza della Corte costituzionale, la n. 44 del 1966) che voleva
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applicare al passato l’imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili.
Altri autori, invece, sostengono che questa distinzione non abbia fondamento e tutto
il fenomeno della retroattività debba essere ricondotto a quello della retroattività
impropria, non sussistendo, quindi, alcuna distinzione. Infatti, nel caso di retroattività
propria, gli effetti prodotti dalla norma non sono anticipati; essi si producono
ugualmente dopo la sua entrata in vigore e consistono, trattandosi per esempio di una
proroga di esenzione temporanee scadute, o nella estinzione del potere di
imposizione, se i fatti tardivamente esentati non sono stati assoggettati a tassazione, o
nella nascita del diritto al rimborso, se la tassazione ha avuto luogo.
In questo esempio i due effetti possibili della norma retroattiva, estinzione del potere
di imposizione o diritto al rimborso, si producono comunque dopo l’entrata in vigore
della norma e non prima.
In sostanza, afferma questa parte della dottrina, non è possibile che una norma nuova
vada indietro nel tempo e faccia nascere effetti giuridici per un periodo ormai già
trascorso. La norma tributaria retroattiva dispone solo per il futuro e la caratteristica
della retroattività e giustificata dal semplice fatto che la norma assume a presupposto
dell’ imposta fatti accaduti nel passato.
2.3. Applicazione all'ordinamento tributario dell'art. 25, 2 comma Cost.
Spostando l’attenzione direttamente alla nostra Costituzione, l’unica disposizione che
fa riferimento al principio di retroattività è l’articolo 25 secondo comma che dispone:
”Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore
prima del fatto compiuto”.
Parte della dottrina è concorde nel ritenere che il legislatore costituente, nel porre in
essere l’articolo 25, non affrontò il problema generale della retroattività della legge,
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ma si limitò solo a recepire, quasi automaticamente, un principio fondamentale di
diritto penale “nullum crimen sine lege” che contiene in se’ non solo il principio della
riserva di legge, ma anche e soprattutto quello della irretroattività della legge penale.
Quindi la norma contenuta nell’articolo 25 riguarda soprattutto la materia penale e la
sua applicazione non può essere estesa né a quella civile né a quella fiscale, a meno
che, come accade di frequente, la norma fiscale non abbia carattere sanzionatorio,
caratteristica che legittimerebbe senz’altro il ricorso e l’applicazione della garanzia
contenuta nell’articolo 25 della Costituzione.
Vale però la pena di ricordare che qualche Autore ha cercato di collegare il principio
della irretroattività della legge penale alla materia fiscale, con argomentazioni che
non sono state condivise, soprattutto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
Secondo il Barile le leggi tributarie sono, di regola, provviste di norme penali
secondarie, quindi il principio contenuto nell’articolo 25 della Costituzione dovrebbe
essere applicato anche alle norme tributarie, con la conseguente illegittimità delle
stesse in tutti quei casi in cui producessero un effetto retroattivo.
Questa ricostruzione del fenomeno è stata contrastata soprattutto dal Manzoni,
secondo il quale non è affatto vero che le leggi tributarie stabiliscono sanzioni penali
in senso proprio, cioè pene criminali, alle quali soltanto si riferisce l’articolo 25 della
Costituzione, essendo spesso sufficiente a garantirne l’osservanza sanzioni a carattere
meramente civile (per esempio la non producibilità in giudizio). Ma la fragilità della
tesi del Barile sta nel fatto che l’osservanza delle eventuali norme sanzionatorie da
parte del contribuente non può che essere successiva all’entrata in vigore della legge
stessa; per esempio obbligo di denunciare il patrimonio che esisteva in un momento
passato, obbligo di produrre documenti o rispondere a questionari relativi a situazioni
passate. Quindi, secondo Manzoni, non essendoci una retroattività della norma
sanzionatoria, non si può parlare di violazione dell’articolo 25, di illegittimità della
norma sanzionatoria e, indirettamente, di illegittimità della norma fiscale.
Anche il Werthmuller ha cercato di ricavare un principio di irretroattività della norma
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tributaria utilizzando gli articoli 25 e 23 della Costituzione.
Proprio partendo dal confronto fra queste due disposizioni, l’Autore osserva che
l’ordinamento tributario ha caratteristiche simili a quello penale, essendo, sia la pena
che l’imposta, limitazioni alla libertà del singolo. Per questo motivo il principio di
irretroattività, esistente per la norma penale, si deve senz’altro estendere al diritto
tributario. Questa posizione non è stata accolta da un’altra parte della dottrina che
riconosce quale principio fondamentale dell’ordinamento fiscale il principio
solidaristico e quindi, anche volendo ammettere una limitazione dei diritti del
singolo, questa può essere giustificata dal fine di realizzare il fine solidaristico stesso,
secondo cui tutti devono partecipare proporzionalmente alle spese pubbliche. E
questa parte della dottrina ha paradossalmente utilizzato l’accostamento fra l’articolo
25 e l’articolo 23 della Costituzione al fine di riconoscere una volontà del legislatore
costituente circa la completa ammissibilità delle leggi tributarie retroattive e, più in
generale di tutte le norme extrapenali. Infatti il Barile sostiene che attraverso un
ragionamento a contrario si può facilmente ricavare che il principio della
irretroattività, non solo è limitato alla materia penale, ma anche che la Costituzione
abbia indirettamente riconosciuto la retroattività tributaria, per il semplice fatto che il
limite alla retroattività è stato riconosciuto esplicitamente solo in materia penale. Ma
questa sembra una conclusione troppo affrettata perché è pacifico che, come risulta
dai lavori preparatori, il legislatore costituzionale non ha mai preso in considerazione
questo problema con riferimento alle norme tributarie.
Tirando le fila del discorso fin’ora svolto circa la legittimità costituzionale delle
norme retroattive extrapenali, con particolare attenzione a quelle tributarie, bisogna
riconoscere che non esiste nel nostro ordinamento, né a livello di legge ordinaria, né a
livello costituzionale, un principio che sancisca espressamente l’irretroattività di tali
norme e che sia in grado di vincolare il legislatore ordinario. Così come affermato
chiaramente dalla Corte costituzionale, il fatto che non ci siano limiti espressi alla
retroattività delle leggi extrapenali, non significa automaticamente, che il controllo
della Corte sia escluso riguardo a tali leggi. Bisogna valutare se all’interno della
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Carta Costituzionale esistono dei principi che potrebbero essere lesi da una
legislazione fiscale retroattiva.
2.4. Analisi degli articoli della Costituzione da cui la dottrina ha ricavato il
principio di irretroattività della norma tributaria
La prima disposizione che è stata analizzata, tra quelle che hanno un particolare
legame con l’ordinamento tributario, per mettere in evidenza un eventuale limite per
la legislazione fiscale retroattiva, è l’articolo 23 della Costituzione, il quale sancisce
che: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in
base alla legge”.
Questa disposizione rappresenta un principio fondamentale della materia fiscale; si
tratta della cosiddetta riserva di legge, nel senso che le scelte di politica fiscale sono
riservate al legislatore ordinario e sottratte, quindi, al potere esecutivo.
Parte delle dottrina, seguendo un’impostazione della Consulta, che ha sempre escluso
che l’articolo 23 Cost. potesse rappresentare un limite alla retroattività delle norme
fiscali, ha osservato che un tributo imposto con legge retroattiva, non è di per sé un
tributo sine lege (situazione questa che giustificherebbe l’illegittimità della norma per
violazione dell’articolo 23 Cost.), se vengono indicati con precisione gli elementi
fondamentali del tributo stesso.
Quindi la norma retroattiva potrà anche violare il disposto dell’ articolo 23 Cost., ma
si tratterà di un fatto puramente accidentale, non di una conseguenza automatica della
retroattività.
Secondo il Barile queste conclusioni non sono accettabili perché, spesso, si possono
verificare dei casi in cui la norma tributaria retroattiva è approvata per legge, con
formale rispetto dell’ articolo 23, ma dal punto di vista sostanziale si potrebbe avere
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un contrasto con l’articolo 23 stesso.
Questo accade tutte le volte che una legge retroattiva viene introdotta con l’unico
scopo di sanare una precedente situazione illegittima. E’ il caso di una disposizione
che voglia attribuire il grado di legge formale a precedenti provvedimenti
amministrativi istitutivi di tributi e, come tali, illegittimi per un evidente contrasto
con il principio della riserva di legge.
Altre due disposizioni su cui la dottrina ha soffermato la sua attenzione sono gli
articoli 41 e 42 della Costituzione.
L’articolo 41 stabilisce che: “ L’ iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla
sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica
pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.
In riferimento a questo articolo, la Corte costituzionale ha escluso che si possa
desumere l’illegittimità costituzionale di una legge tributaria retroattiva. Questa
affermazione della Corte è generalmente accettata dalla dottrina, anche se, non è
mancato chi ha cercato di individuare un collegamento fra la retroattività tributaria e
l’iniziativa privata; quest’ultima riconosciuta e tutelata proprio nell’articolo 41 della
Costituzione, con l’unico limite del contrasto con l’utilità sociale.
Il Forte, sostiene, che si possa parlare di iniziativa privata nel momento in cui i
cittadini-contribuenti ripartiscono il reddito fra consumi e risparmi, avendo chiaro
quale sia il costo fiscale che debbono sopportare. Nel caso in cui si dovesse vivere
nella completa insicurezza del carico fiscale, questo tipo di iniziativa verrebbe a
essere limitato, forse, oltre il limite dell’utilità sociale.
L’articolo 42 secondo e terzo comma, in tema di proprietà, stabiliscono, invece, che
“la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi
di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di
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renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo,
espropriata per motivi di interesse generale”.
Secondo il Forte, un’imposta sul patrimonio, che colpisce retroattivamente, può
risolversi in una lesione del diritto di proprietà; infatti, un eventuale somma di
imposte dovute per il presente e per il passato, possono costringere il contribuente
alla liquidazione di parte del patrimonio, con un’indubbia lesione del diritto di
proprietà.
Un’altra parte della dottrina, invece, sempre analizzando l’articolo 42 Cost., cerca di
mettere in evidenza il fatto che il prelievo fiscale, in alcuni casi, si può tradurre in una
vera e propria espropriazione senza indennizzo.
Questa posizione del Werthmuller non può essere accolta perché l’espropriazione è
un istituto nettamente distinto e autonomo dal rapporto tributario. L’imposizione
fiscale comporta un debito pecuniario, cioè l’obbligo del pagamento di una somma di
denaro, non il trasferimento di un certo bene da un soggetto ad un altro. Il risultato
può essere lo stesso, ma gli effetti giuridici di queste due situazioni sono diversi.
E’ intervenuta, poi, la stessa Corte costituzionale, la quale ha negato una possibile
violazione dell’articolo 42 Cost. da parte di una legge fiscale retroattiva, per il
semplice fatto che, tale legge, non da’ luogo ad un’espropriazione, ma solo ad
un’obbligazione pecuniaria verso lo Stato.
Gli ultimi due articoli della Costituzione che sono stati esaminati, al fine di poter
rintracciare qualche limite alla legislazione fiscale retroattiva, sono gli articoli 53 e
81. Per interesse e complessità, l’articolo 53 sarà oggetto di un’analisi particolare nel
prossimo paragrafo.
Il Werhmuller afferma che: “Dalla norma che prescrive l’annualità dei bilanci,
discende l’illegittimità delle norme tributarie retroattive, in quanto esse tendono a
portare varianti ai bilanci approvati”.
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Alcuni Autori, invece, contrastano con questa visione dell’articolo 81 e sostengono
che una corretta interpretazione di questa disposizione, mostrerebbe come nuovi e
maggiori tributi possono essere introdotti, con lo scopo di coprire nuove o maggiori
spese che lo Stato deve sostenere. Quindi non si avrà variazione del bilancio tutte le
volte che la legge tributaria retroattiva sarà dettata dall’esigenza di reperire fondi per
far fronte alle nuove e maggiori spese.
2.5. Il principio di capacità contributiva in riferimento alla retroattività delle
norme tributarie
L’articolo 53 della Costituzione secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, rappresenta il punto di arrivo
dell’indagine circa la legittimità costituzionale delle norme tributarie retroattive.
Prima di tutto perché rappresenta il principio fondamentale di tutto l’ordinamento
tributario, poi perché, proprio in riferimento a questa disposizione, sono state
espresse le teorie più interessanti sul tema fin’ora trattato, tesi che, nella maggior
parte dei casi, sono arrivate ad una conclusione importante secondo cui esistono dei
limiti alla legittimità costituzionale dell’efficacia retroattiva delle norme fiscali
impositive.
La tesi da cui prendo spunto per analizzare l’articolo 53 come limite alla retroattività
delle norme fiscali retroattive, è stata espressa da alcuni autorevoli autori, secondo i
quali la capacità contributiva non fa riferimento ad una capacità cronologicamente
indefinita, ma ad una situazione economica presente ed attuale del contribuente;
quindi, poiché la legge tributaria retroattiva colpisce il soggetto in relazione ad una
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situazione economica passata, essa è illegittima per violazione dell’articolo 53 primo
comma.
poiché la capacità contributiva deve essere attuale, cioè sussistere almeno nel
momento dell’entrata in vigore della legge, un tributo introdotto con legge retroattiva,
facendo riferimento a fatti passati, colpirebbe una capacità non più attuale, con
violazione dell’articolo 53. Si escluderebbe, in questo modo, qualunque possibilità
per il legislatore di emanare norme impositive con effetto retroattivo.
Secondo la posizione della corte costituzionale, quest'ultima oltre ad escludere una
possibile illegittimità della norma per un contrasto con gli articoli 23, 25, 41 e 42
della Costituzione, analizza il problema della norma retroattiva riguardo all’articolo
53, risolvendo la questione in maniera rapida e molto simile alla sentenza numero
118 del 1957. Infatti si afferma che: “Quanto all’articolo 53 della Costituzione, che
afferma il dovere di tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro
capacità contributiva, a prescindere dalla sua portata generale, si rileva che non è
esatto che una legge tributaria, quando è retroattiva, violi per sé stessa il principio di
capacità contributiva.” Dopo tutta una serie di sentenze nelle quali la corte ha assunto
posizioni diverse, con la sentenza 315/1994, prende in considerazione, al fine di
verificare la legittimità della norma retroattiva, un altro criterio, quello della
“prevedibilità”.
In sostanza la tassazione retroattiva deve essere considerata costituzionalmente
legittima, in quanto rispettosa del limite imposto dall’articolo 53 della Costituzione,
tutte le volte in cui il recupero a tassazione di una ricchezza manifestatasi nel passato
poteva essere presumibilmente prevista dal contribuente nel momento in cui tale
ricchezza si era effettivamente manifestata.
Inoltre una norma retroattiva “prevedibile” dal contribuente è anche ragionevole e di
conseguenza non viola in principio fondamentale del nostro ordinamento di certezza
dei rapporti giuridici.
Il problema però è un altro; quello di poter sapere con certezza quali siano gli
elementi in base ai quali sussista la prevedibilità. Ma di questo la Corte costituzionale
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non si è fatta carico, forse per mantenere uno spazio più o meno ampio di libertà nelle
sue decisioni e quindi riservandosi la possibilità di decidere secondo quelle che sono
le esigenza del caso concreto.
Al di là di ciò, la cosa importante da mettere in evidenza è che attraverso
l’interpretazione della Corte costituzionale l’articolo 53 e quindi il principio di
capacità contributiva è diventata una norma che legittima l’imposizione retroattiva,
anche se tale legittimazione non è assoluta, ma contenuta entro determinati limiti.
2.6. “Statuto del contribuente”: irretroattività della norma tributaria
L’articolo 3, primo comma, della legge 212/2000, stabilisce che “salvo quanto
previsto dall’articolo 1, secondo comma, le disposizioni tributarie non hanno effetto
retroattivo”. L’articolo 1, secondo comma, prevede l’adozione di norme
interpretative, che per la loro specifica natura producono un effetto retroattivo e che
quindi non interessano poiché la nostra attenzione si concentra soltanto sulle norme
impositive.
In questo senso il contenuto dell’articolo 3 dello Statuto è molto chiaro poiché
prevede che non possano essere più emanate disposizioni fiscali impositive con
effetto retroattivo.
Dal confronto fra l’articolo 3 dello Statuto e l’articolo 53 della Costituzione, credo
possa sorgere un dubbio di legittimità costituzionale della disposizione dello Statuto
stesso. Infatti l’articolo 3 della legge 212/2000 limita l’efficacia temporale delle
norme fiscali prevedendo la possibilità per queste di colpire una capacità contributiva
che si realizza solo in un momento successivo all’entrata in vigore della norma
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impositiva e non anche una manifestazione di ricchezza realizzatasi nel passato.
In sostanza elimina qualunque possibilità di efficacia retroattiva, la quale invece
sembra trovare un’implicita legittimazione, almeno secondo le ultime interpretazioni
della Corte costituzionale, nell’articolo 53 della Costituzione che è norma di grado
superiore rispetto all’articolo 3 dello Statuto.
la disposizione dello Statuto che vieta l’efficacia retroattiva disciplina soltanto in
modo più restrittivo quanto si desume dall’articolo 53 della Costituzione.
Attraverso il criterio della capacità contributiva si legittima un’imposizione che
colpisce una ricchezza che si manifesta nel futuro (come è normale che sia in quanto
la legge dispone per il futuro), nonché una ricchezza già manifestata nel passato,
entro determinati limiti a tutela del contribuente.
L’articolo 3 dello Statuto non si pone in contrasto con la Costituzione in quanto non
contiene una disciplina diversa o più ampia circa gli effetti temporali delle norme
impositive fiscali, prevedendo, per esempio, che l’imposizione retroattiva è sempre
legittima. Una norma del genere sarebbe senz’altro incostituzionale perché
estenderebbe troppo la possibilità di ricorrere all’effetto retroattivo, anche oltre i
limiti fissati dall’articolo 53 della Costituzione.
L’articolo 3 dello Statuto non prevede qualcosa in più rispetto al principio di capacità
contributiva, estendendo i limiti della retroattività, ma qualcosa di meno e ciò deve
essere apprezzato, sia perchè tale disposizione rappresenta una garanzia maggiore per
il contribuente rispetto a quanto si evince in modo implicito dall’articolo 53 della
Costituzione, sia perché il legislatore, nonostante avesse una giustificazione per
portare a tassazione ricchezze manifestatesi nel passato, ha deciso di privarsi di tale
possibilità escludendo del tutto l’effetto retroattivo.
Il problema, però, non è tanto quello di verificare se questa disposizione sia
incostituzionale, operazione a cui forse sarà chiamata la nostra Corte costituzionale,
piuttosto quello di chiarire quanto sia vincolante tale principio per il legislatore
fiscale. Infatti come accade da sempre, una norma giuridica ha un’importanza
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soltanto se esistono adeguati strumenti in grado di garantirne il rispetto; una norma
che non potesse imporre il rispetto del suo contenuto sarebbe priva della sua essenza
fondamentale.
Una norma perfettamente uguale all’articolo 3 dello Statuto, quanto a forma e
contenuto, esiste già da molto tempo nel nostro ordinamento. Si tratta dell’articolo 11
delle preleggi, il quale ha due elementi fondamentali in comune con l’articolo 3 dello
Statuto: ha lo stesso contenuto in quanto entrambe stabiliscono che la norma fiscale
produce effetti solo per il futuro (in realtà l’articolo 11 delle preleggi ha una portata
più ampia poiché si riferisce ad ogni norma giuridica), e ha la stessa forza giuridica in
quanto entrambe sono disposizioni di legge ordinaria.
Se il problema della valenza giuridica di un tale limite all’efficacia retroattiva non si
è posto con riguardo all’articolo 11 delle preleggi, perché si dovrebbe porre ora in
riferimento all’articolo 3 dello Statuto?
è sorto un legittimo dubbio secondo il quale tutte le disposizioni dello Statuto, quindi
anche il principio di irretroattività delle leggi fiscali, possono avere una forza
giuridica diversa e più intensa di quella normalmente riconosciuta alla legge
ordinaria, nonostante la legge 212/2000 sia formalmente una legge ordinaria.
L’eventualità che l’articolo 3 dello Statuto abbia una forza giuridica maggiore
dell’articolo 11 delle preleggi nasce, come è stato già ampiamente indicato, dal fatto
che il legislatore qualifica le disposizioni dello Statuto quali “principi generali”
dell’ordinamento tributario.
A seconda del valore più o meno inteso riconosciuto a tale qualificazione, la dottrina
si è divisa; una parte ha riconosciuto le norme stesse quali precetti para-costituzionali,
dotati di una forza giuridica superiore alla legge ordinaria e quindi assolutamente
vincolanti per il legislatore futuro, il quale si vedrà negata la possibilità di adottare
norme impositive con efficacia retroattiva, a meno che non dichiari espressamente di
voler derogare all’articolo 3 dello Statuto. Un’altra parte della dottrina ha cercato di
sminuire la qualificazione di queste norme quali “principi generali” e quindi le ha
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considerate semplici disposizioni di legge ordinaria, assolutamente non vincolanti per
il legislatore futuro.
Oltre a ciò, il legislatore sarebbe libero di derogare o abrogare le norme dello Statuto
anche in modo implicito in quanto l’assioma di immutabilità sancito nell’articolo 1
dello Statuto sarebbe privo di qualunque valore giuridico. La stessa Corte
costituzionale ha affermato che nel nostro ordinamento non c’è spazio per un
principio di immutabilità simile a quello contenuto nell’articolo 1 della legge 4 del
1929 e che è stato reintrodotto nell’ordinamento fiscale attraverso lo Statuto del
contribuente.
Quindi con l’entrata in vigore della legge 212/2000 si può affermare, con tutte le
cautele del caso, che in materia fiscale esiste un limite espresso alla normazione
retroattiva, anche se per verificare gli effetti positivi di questa coraggiosa decisione
sarà necessario attendere del tempo e augurarsi che la volontà dei tutela del
contribuente che ha manifestato il legislatore attraverso le disposizioni dello Statuto
venga ricordata e ulteriormente affermata con forza dal legislatore futuro.
3
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Capitolo 3
L’efficacia della norma tributaria nello spazio: il principio di
territorialità dell’imposta
3.1. Problemi in tema di efficacia della norma tributaria nello spazio
Per quanto riguarda l'efficacia nello spazio della norma tributaria, dobbiamo prendere
in considerazione tre diversi problemi:

il problema della determinazione dello spazio in cui la legge esplica in generale
la propria validità ed efficacia;

il problema dei limiti che il legislatore statale incontra in materia tributaria
quando intenda attribuire rilevanza a fatti realizzatisi in tutto o in parte fuori il
territorio dello Stato o ad opera di soggetti residenti in un altro Stato;

il problema dei limiti territoriali della potestà amministrativa di dare concreta
ed effettiva attuazione al prelievo.
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3.2. Il principio di territorialità
La norma tributaria in virtù del principio di sovranità dello Stato nel proprio
territorio, di regola, esplica la propria efficacia in tutto il territorio dello Stato,
salve espresse deroghe al riguardo; ad esempio art.2, D.P.R. n.43/1973: esclude
dal territorio doganale certe porzioni del territorio nazionale (i comuni di Livigno
e di Campioni d'Italia ed alcune parti del lago di Lugano).
Il legislatore nella disciplina dell'imposizione dei redditi ha adottato una pluralità di
criteri di collegamento con il territorio statale:
- oggettivi: il verificarsi in tale territorio dell’attività che costituisce il presupposto
deltributo ovvero l’ubicazione nel territorio del bene colpito dall’imposizione
(cd.sistema di tassazione su base territoriale);
- soggettivi: in particolare, la residenza nel territorio dello Stato del soggetto cui è
riconducibile il fatto indice di capacità contributiva (cd. sistema di tassazione su
base mondiale o world wide system).
Ne deriva un sistema combinato che fonda l’imposizione:
- dei soggetti residenti sul principio dell’utile mondiale, con conseguente
imposizione dei redditi da costoro ovunque prodotti;
- dei soggetti non residenti sul principio di territorialità, con conseguente
imposizione dei soli redditi prodotti in Italia.
3.3. La doppia imposizione internazionale e relative cause
Si ha quando una situazione di fatto economicamente rilevante determina la nascita
in capo ad un medesimo soggetto di due obbligazioni tributarie, in relazione ad
imposte dello stesso tipo previste dalla legislazione di due Paesi diversi.
Si verifica una doppia imposizione quando:
A) Una medesima situazione di fatto è assunta a presupposto di un determinato
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tributo:
- in un Paese in base ad un criterio oggettivo (ad esempio l’imposta sui redditi si
applica su tutti i redditi prodotti nel territorio dello Stato)
- in un altro Paese in base ad un criterio soggettivo (ad esempio, l’imposta si
applica su tutti i redditi dei residenti ovunque siano prodotti).
B) Una situazione di fatto è assunta a presupposto di un medesimo tributo in due
diversi Stati sulla base dello stesso criterio di collegamento.
In tale caso la doppia imposizione può verificarsi in conseguenza della diversa
estensione dello stesso criterio nelle varie legislazioni nazionali.
Sulla base delle diverse legislazioni
interne dei due Stati, infatti può accadere che, nell’applicazione di uno stesso criterio
oggettivo di collegamento, un medesimo fatto venga collocato da uno Stato nel
proprio territorio e da un altro Stato nel proprio.
Esempio: luogo di realizzazione del reddito.
Oppure può accadere che, nell’applicazione dello stessocriterio soggettivo di
collegamento, un medesimo soggetto sia considerato proprio residente da entrambi i
due diversi Stati.
Per ciò che concerne le misure adottate per evitare il fenomeno della doppia
imposizione internazionale abbiamo:
1) MISURE DI DIRITTO INTERNO:
- eccezionali deroghe al sistema dell’utile mondiale ovvero,
- sistema del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero.
Art. 165 TUIR (ex art.15) prevede che: se alla formazione del reddito concorrono
redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo sono ammesse in
detrazione dall’imposta dovuta in Italia fino alla concorrenza della quota di imposta
italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito
complessivo.
Poiché la disciplina tributaria sancisce che i soggetti residenti in Italia devono
corrispondere le imposte su tutti i redditi di cui sono titolari, indipendentemente dal
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luogo di produzione (principio di tassazione dell’utile mondiale) e se i soggetti
residenti in Italia sono tassati nel Paese estero per i redditi ivi prodotti è evidente che
i soggetti residenti titolari di redditi esteri sono tenuti (salvo l’applicazione di norme
di esenzione in virtù di eventuali convenzioni bilaterali) a versare le imposte sia nel
Paese di residenza, sia nel Paese terzo.
Tale situazione determina una duplicazione d’imposta che in Italia viene corretta
con il meccanismo del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero.
Il meccanismo del credito d’imposta può essere sintetizzato in questo modo:
a) il soggetto passivo versa le imposte all’estero sui redditi ivi prodotti;
b) il soggetto passivo calcola le imposte italiane sui redditi, italiani ed esteri, di cui è
titolare;
c) il soggetto passivo detrae dall’imposta netta italiana, con alcune limitazioni, le
imposte già versate all’estero.
2) MISURE BILATERALI
1) Le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni.
Mediante tali convenzioni viene prescelto in maniera pattizia il criterio da applicare
reciprocamente, in modo che l’imposizione abbia luogo in uno solo degli Stati
stipulanti.
L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e L’ONU
(Organizzazione delle Nazioni Unite) hanno elaborato appositi modelli che
rappresentano i prototipi convenzionali di riferimento per la maggior parte degli Stati
che intendono stipulare pattuizioni in materia fiscale.
3.4. La potestà amministrativa tributaria
L’Amministrazione finanziaria
- non può compiere atti che costituiscono esercizio di un potere autoritativo nel
territorio di un altro Stato;
- non può obbligare l’Amministrazione finanziaria di un altro Stato a compiere tali
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atti in sua vece.
Tuttavia, in molte convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni vi sono
disposizioni volte ad assicurare la collaborazione delle Amministrazioni degli Stati
contraenti nell’attività di polizia tributaria.
Secondo l'Art. 26 della convenzione Modello OCSE: le Amministrazioni devono
scambiarsi le informazioni necessarie per l’applicazione delle disposizioni della
legislazione interna relative alle imposte incluse nel campo di operatività della
convenzione.
Lo scambio di informazioni può avvenire:
- su richiesta con specificazione del soggetto e del tipo di informazione;
- automaticamente, quando in base ad accordi particolari tra le Amministrazioni
certe informazioni
relative
a determinate
categorie di
soggetti
vengono
automaticamente
trasmesse da una Amministrazione all’altra.
- spontaneamente, quando una Amministrazione trasmette all’altra informazioni di
cui è venuta a conoscenza e che ritiene possano interessare quest’ultima.
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