INDICE Capitolo 1 Il concetto di norma tributaria e di efficacia in generale 3 1.1. Nozioni generali e principi costituzionali 3 1.2. Attuazione e tipologia di norme tributarie 10 1.3. Struttura ed elementi sostanziali della norma tributaria impositrice 12 1.4. Altri tipi di norme tributarie:le norme formali 17 1.5. Il concetto di efficacia di una legge in generale 18 Capitolo 2 L’efficacia della norma tributaria nel tempo: la retroattività della norma tributaria 20 2.1. Principi fondamentali in tema di efficacia temporale delle norme tributarie 20 2.2. La retroattività della norma tributaria 22 2.3. Applicazione all'ordinamento tributario dell'art. 25, 2 comma Cost. 24 2.4. Analisi degli articoli della Costituzione da cui la dottrina ha ricavato il principio di irretroattività della norma tributaria 26 2.5. Il principio di capacità contributiva in riferimento alla retroattività delle norme tributarie 30 2.6. “Statuto del contribuente”: irretroattività della norma tributaria 32 1 Capitolo 3 L’efficacia della norma tributaria nello spazio: il principio di territorialità dell’imposta 36 3.1. Problemi in tema di efficacia della norma tributaria nello spazio 36 3.2. Il principio di territorialità 36 3.3. La doppia imposizione internazionale e relative cause 37 3.4. La potestà amministrativa tributaria 39 2 Capitolo 1 Il concetto di norma tributaria e di efficacia in generale 1.1. Nozioni generali e principi costituzionali Lo Stato contemporaneo, al fine di soddisfare i bisogni collettivi dei propri cittadini e perseguire precisi precetti costituzionali (allocazione delle risorse, distribuzione equa della ricchezza, stabilità economica ecc.) necessita di un continuo afflusso di risorse economiche. Il diritto tributario è il complesso delle norme che disciplinano l'attività dello Stato diretto a procurarsi i mezzi finanziari per il raggiungimento di quei fini, avvalendosi del proprio “ius imperii”. Si definisce tributaria l’entrata caratterizzata dalla coattività della prestazione. Tale coattività costituisce l’elemento essenziale ed incontestabile per l’individuazione del tributo e per la sua differenziazione dalle altre entrate. Sono pertanto tributi le imposte, le tasse, i monopoli fiscali ed i c.d. “contributi”. Per ciò che concerne la struttura e gli effetti della norma tributaria possiamo riscontrare una certa difficoltà nella sua lettura derivante ,sostanzialmente, da: la peculiarità della norma tributaria rispetto a quelle di altre branche dell’ordinamento giuridico; la centralità che, nell’applicazione della norma tributaria, assume la funzione amministrativa; 3 dalla presenza di orientamenti giurisprudenziali, condizionati da un’affermata prevalenza dell’interesse fiscale rispetto a quello individuale. L’analisi della norma tributaria deve partire dalla scelta legislativa diretta a fondare sul PRINCIPIO DI LEGALITA’ o di RISERVA DI LEGGE, sancito dall’art. 23 Cost. , il prelievo tributario. Tale principio secondo il quale “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” impone: - la regolamentazione giuridica, mediante norme primarie, dell’imposizione tributaria nella sua dimensione sostanziale lasciando la disciplina attuativa del tributo ad altre e diverse disposizioni disciplinanti l’attività della pubblica amministrazione.Pertanto si tratta di riserva di legge relativa: ciò significa che la legge disciplina gli aspetti essenziali (a. presupposto, b. soggetti, c. aliquote, d. base imponibile), mentre la disciplina di grado inferiore servirà ad integrare e a curare gli aspetti più particolarmente tecnici. Può anche accadere che il legislatore preveda dei limiti massimi e minimi (c.d. forchette) per la determinazione delle aliquote, mentre i provvedimenti ministeriali le stabiliranno più nello specifico. La riserva di legge ha precisi fini garantistici: è il Parlamento che ha il potere di imporre un tributo e non il Governo, quindi i rappresentanti del cittadino, da lui democraticamente scelti. Esaminando le strutture giuridiche dei principali tributi, può desumersi una linea comune di tecnica legislativa nella costruzione del tributo. Si distinguono: la fattispecie tributaria statica, comprendente: - la descrizione del fatto a rilevanza tributaria; - la fissazione dei criteri di stima se tale fatto si presenta illiquido; - l’individuazione del soggetto passivo; 4 - la determinazione della misura del tributo; la fattispecie tributaria dinamica attinente a: - la traduzione della fattispecie astratta in concreta imposizione a seguito del verificarsi del fatto tipizzato dalla legge. Le due dimensioni, statica e dinamica, rispondono ad esigenze diverse : - la fattispecie statica deve disciplinare in termini generali ed astratti i fatti economici idonei a consentire la più equa ripartizione delle spese pubbliche; - la fattispecie dinamica deve assicurare la corretta rappresentazione di quel fatto ed il risultato in termini finanziari, prevedendo regole procedurali idonee a garantire la concreta attuazione della norma tributaria. Un altro principio costituzionale fondamentale cui il legislatore deve necessariamente attenersi nell’emanazione di una norma fiscale è: l’art.53 Cost. che recita il principio di capacità contributiva secondo il quale “ Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Il principio di capacità contributiva esprime la scelta costituzionale diretta a selezionare la capacità economica del singolo, quale presupposto su cui commisurare il concorso ai carichi pubblici. In tal modo, si è voluto: - escludere, in via assoluta, il ricorso al tributo al fine di realizzare finalità politiche o discriminative; - indirizzare il legislatore nella costruzione della fattispecie tributaria che deve essere rispettosa del fondamento economico del tributo. Il primo comma dell’art. 53 Cost. trova il suo antecedente nell’art. 25 dello Statuto Albertino, il quale prevedeva che “ i regnicoli contribuiscono indistintamente nella 5 proporzione dei loro averi ai carichi dello Stato”. Differenze tra le due norme: - l’espressione “regnicoli” identificava i soggetti passivi soltanto nei cittadini, mentre nel sistema attuale assume rilevanza il concetto di residenza e, più in generale, il collegamento soggettivo od oggettivo fra gli indici di capacità contributiva e la sfera territoriale di operatività dell’ordinamento statale; - l’espressione “in ragione” (della loro capacità contributiva), in luogo dell’espressione “in proporzione” (dei loro averi), si connette al criterio di progressività cui deve essere uniformato il prelievo impositivo ai sensi del secondo comma dell’art.53 costa; - l’espressione “capacità contributiva”, in luogo di “averi”, si collega anche alla maggiore varietà degli indici di ricchezza ritenuti assoggettabili all’imposizione rispetto a quelli più limitati essenzialmente riconducibili ai soli proventi di natura fondiaria. La capacità contributiva può rappresentare un limite dell’imposizione tributaria. Come abbiamo visto, tale principio esprime l’idoneità economica del soggetto all’obbligazione impositiva. Tale idoneità si deduce dal presupposto al quale la prestazione è connessa, presupposto consistente in qualsiasi fatto espressivo della potenzialità economica cui deve ricollegarsi la partecipazione alle pubbliche spese (Corte Cost. n. 97/1968; n. 92/1972; n. 120/1972; n.200/1972). Ciò significa che deve sussistere uno stretto nesso tra capacità contributiva e manifestazione di capacità o forza economica riferibile ad un determinato soggetto, idonea a fornire a costui i mezzi finanziari necessari per l’assolvimento della prestazione impositiva. La giurisprudenza costituzionale ha individuato due caratteristiche fondamentali del principio della capacità contributiva: il requisito dell’effettività il requisito dell’attualità 6 Per quanto riguarda il primo, dal principio costituzionale dell’art. 53 si evince: a) la necessità di un collegamento effettivo tra presupposto di fatto e soggetto passivo del tributo; b) la necessità che i fatti assunti a presupposto dell’imposta siano collegati al possesso di una reale capacità contributiva e di una idoneità effettiva al pagamento delle imposte. A tale proposito possono sorgere una serie di problemi dovuti all’eventuale ricorso da parte del legislatore tributario a presunzioni ossia a disposizioni dirette a: - invertire l’onere della prova del fatto a rilevanza tributaria, - oppure ad escludere o rendere eccessivamente complessa l’eventuale prova contraria di tale fatto. Secondo gli orientamenti dottrinali sussiste un’ inammissibilità di presunzioni assolute in riferimento alla sussistenza del presupposto di fatto del tributo. Secondo gli orientamenti giurisprudenziali è legittimo il ricorso a presunzioni: a) purchè esse siano rispondenti a criteri di ragionevolezza o di comune esperienza; b) purchè esse siano fondate su indici concretamente rivelatori di ricchezza; c) purchè sia ammessa la prova contraria da parte del contribuente. Anche per quanto riguarda il ricorso a forfetizzazioni e parametrazioni abbiamo due posizioni differenti. Per gli orientamenti dottrinali sussiste una certa perplessità sul ricorso a metodi o criteri di determinazione del presupposto o della base imponibile basati su indici statistici o medio-ordinari. Mentre secondo gli orientamenti giurisprudenziali è legittimo l’utilizzo di coefficienti o forfetizzazioni, che, se pure non sottoposti a riscontri concreti, possano essere considerati rispondenti a principi logici e contabili attendibili (Corte Cost. n. 16/1965; n. 586/1987). Per quanto riguarda , invece, il secondo requisito ossia quello dell’attualità, dal principio costituzionale dell’art. 53 si evince che: - l’imposizione tributaria non può legittimamente colpire situazioni che, in virtù 7 della loro collocazione temporale in un’epoca troppo remota rispetto al momento genetico della prestazione tributaria, non siano tali da assicurare al soggetto passivo le risorse con cui adempiere all’obbligazione posta a suo carico. La caratteristica dell’attualità è stata studiata soprattutto con riferimento alle fattispecie di imposizione retroattiva o anticipata. La dottrina ha affermato la possibilità, in linea di principio, che le norme tributarie possano avere efficacia retroattiva, purchè il lasso di tempo intercorso non sia tale da non far sussistere in fatto la capacità contributiva al momento dell’effettiva imposizione. Si ritiene, inoltre, che sia irrilevante la cd. prevedibilità dell’imposizione, in quanto si tratta di un criterio quanto mai aleatorio e non è costitutivo della capacità contributiva che solo giustifica l’imposizione. E’ orientamento della Corte Costituzionale ritenere che nulla osti alla retroattività di principio della norma tributaria. Comunque, in ossequio al principio di capacità contributiva, è necessario, per la legittimità della norma ad efficacia retroattiva, che non venga interrotto il nesso tra imposizione e attitudine alla contribuzione (cfr. già Corte Cost., n. 44/1966).In tema di efficacia ritorniamo a parlane più avanti. Una norma che introduca - un’imposizione non rapportata alla capacità contributiva o - disponga un’esenzione in relazione a fatti espressivi di forza economica, potrà ritenersi costituzionalmente corretta solo quando l’interesse perseguito dal legislatore sia costituzionalmente riconosciuto e posto ad un livello equiparabile con quello di capacità contributiva dell’art. 53. Ancora fondamentale è l’art. 53, secondo comma Cost. secondo cui: “Il sistema tributario italiano è informato a criteri di progressività” La dottrina prevede: 8 a) una natura meramente programmatica della norma: possibile l’istituzione di tributi a carattere proporzionale o addirittura ad effetti regressivi, purchè la struttura del sistema impositivo risponda nel suo complesso al criterio della progressività; b) una natura precettiva della norma costituzionale: il precetto della capacità contributiva opera a livello del singolo tributo, il precetto della progressività a livello dell’intero sistema. Altri principi costituzionali fondamentali sono: l’universalità dell’imposta (art. 53), per il quale “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”; l’uguaglianza (relativa) dell’onere tributario (art. 3), secondo il quale l’onere fiscale deve essere suddiviso fra tutti i soggetti d’imposta in proporzione della propria capacità contributiva; l’inabrogabilità delle norme tributarie a mezzo referendum (art. 75); l’impossibilità di introdurre nuovi tributi con la legge di approvazione del bilancio (art. 81); la regolazione da parte di leggi speciali di accertamenti e ispezioni per motivi di sanità e incolumità pubblica o a fini economici e fiscali(art.14). Pertanto abbiamo visto che,nel nostro sistema, fonte primaria del diritto tributario è, ovviamente, la Costituzione la quale sancisce i principi cui il legislatore deve necessariamente attenersi nell’emanazione di norma fiscali. Per quanto riguarda le altre fonti del diritto tributario, vediamo che la loro classificazione ricalca quella classica della gerarchia delle fonti in generale. Avremo quindi, in una ipotetica “scaletta“, la Costituzione, la legge ordinaria, il decreto legislativo, il decreto legge, la legge regionale nonché le fonti secondarie quali regolamenti e decreti ministeriali e infine le cosidette pseudo-fonti costituite dalle circolari interpretative e dal diritto di interpello. 9 1.2. Attuazione e tipologie di norme tributarie Per quanto concerne l’attuazione della norma tributaria possiamo dire che l’applicazione della fattispecie astratta alla fattispecie concreta può derivare a) da una spontanea attività del soggetto passivo (grande rilevanza attribuita al cd. adempimento spontaneo o automatico del tributo), b) da una attività sostitutiva dell’Amministrazione finanziaria da attuarsi senza il concorso della volontà dell’interessato o addirittura contro la volontà di costui. In ogni caso, l’attuazione della norma tributaria trova una dettagliata disciplina legale, per cui: - la partecipazione volontaria del privato è assoggettata a regole formali che ne condizionano la validità e che trovano garanzia in uno specifico apparato sanzionatorio; l’attività amministrativa di ricognizione autoritativa del fatto e le regole procedurali dirette all’attuazione integrativa o sostitutiva della norma tributaria sono regolate da norme primarie, dirette talvolta a tutelare l’esigenza del contraddittorio e a regolare l’interferenza con diritti del contribuente, con conseguenti riflessi sulla validità degli atti. Ora andiamo a vedere i tipi fondamentali di norma tributaria. Le disposizioni tributarie possono dividersi in procedurali e sostanziali. Queste ultime si dividono in: Norme impositrici: disposizioni che descrivono gli elementi di ciascuna fattispecie tributaria, i c.d. regimi fiscali sostitutivi, le cautele patrimoniali applicabili... Sono sottoposte a riserva relativa di legge (art. 23 Cost.) 1 0 Norme sanzionatorie: disposizioni di diritto tributario che individuano gli elementi costitutivi di ciascuna fattispecie di illecito penale o extrapenale Sono sottoposte a riserva assoluta di legge (art. 25 Cost.) Norme agevolatrici: norme che accordano esenzioni oggettive o soggettive, in senso stretto o comunque variamente camuffate, e in generale riduzioni del quantum debeatur. Sono considerate norme di carattere eccezionale. Sono sottoposte ai principi della riserva relativa di legge e della indisponibilità della potestà di imposizione. Sono contrarie in linea di principio ai principi di uguaglianza e capacità contributiva, a meno che non trovino giustificazione in altri parametri costituzionali. Per quanto concerne, invece, le norme procedurali abbiamo: Norme di procedura amministrativa: regolamentano gli atti della procedura che conduce all’imposizione e all’esazione del tributo e delle sanzioni amministrative nonché all’assunzione di prove. Vale il principio del tempus regit actum. Norme di procedura giurisdizionale: regolano il processo davanti ai giudici speciali tributari o ad altre autorità giurisdizionali. Vale il principio del tempus regit actum. Norme sulle prove: norme che disciplinano l’efficacia dei mezzi di prova. Infine abbiamo le norme di rinvio: Rinvio espresso: è la stessa norma tributaria ad indicare testualmente gli articoli oggetto del rinvio. Rinvio tacito: l’enunciato si limita ad indicare vocaboli che designano istituti completamente disciplinati in altri sottosistemi dell’ordinamento. Rinvio extra settoriale: ad altri settori dell’ordinamento giuridico. Rinvio infrasettoriale: rinvio ad altri settori del diritto tributario. 1 1 Rinvio mobile: si fa riferimento non tanto alla norma ma alla fonte produttiva di essa. La norma viene quindi assorbita con tutti i cambiamenti che successivamente la fonte di produzione apporterà alla norma stessa. Rinvio immobile: ha ad oggetto una norma individuata nel suo contenuto specifico attuale: non si considerano le eventuali variazioni successive. Infine possiamo fare un piccolo riferimento alle tecniche varie di produzione delle norme tributarie. Iperproduzione di leggi tributarie; ipertrofia della legge tributaria (leggi prodotte affrettatamente e inserite male nel contesto normativo generale); omeomorfismo legislativo (rinvio normativo ad altre leggi senza riportarle ma solo indicando articoli e commi); legislazione per casi e non per principi; forma letteraria dei messaggi legislativi oscura o ambigua o contraddittoria. 1.3. Struttura ed elementi sostanziali della norma tributaria impositrice Analizziamo più da vicino la norma tributaria impositrice. Si tratta della norma che disciplina gli elementi essenziali della fattispecie impositiva, ossia: - il fatto o presupposto d’imposta; - l’imputazione di esso ad un soggetto; - l'effetto costituito dalla debenza di un tributo, ragguagliato ad una determinata grandezza attraverso l’applicazione di un tasso o di un’aliquota d’imposta. Tale norma, ovviamente, assume il massimo rilievo sotto il profilo dei limiti costituzionali sanciti: - dall’art. 23 (dovendo trattarsi necessariamente di un atto normativo primario) 1 2 - dall’art. 53 (dovendo il presupposto essere espressivo dell’attitudine economica all’imposizione e dovendo essere riferibile al soggetto passivo). Sarebbe in contrasto con il principio di capacità contributiva, pertanto: - una norma impositrice che imputasse un fatto manifestativo di capacità contributiva ad un soggetto svincolato da qualunque relazione con il fatto stesso; - una norma impositrice che legasse la base imponibile alla misura di un fatto diverso da quello assunto a presupposto del tributo. La norma impositrice si pone dunque come punto centrale di riferimento nell’applicazione del tributo in quanto esprime e misura la capacità contributiva che esso è volto a colpire. Ne consegue che deve esistere un’intrinseca coerenza tra gli elementi della norma impositrice sia sotto il profilo della loro riferibilità alla capacità contributiva che il tributo deve colpire, sia sotto la comune attitudine a determinarne la disciplina legislativa degli elementi essenziali. Si è detto che la norma impositrice qualifica fatti od atti già qualificati da altri settori del diritto attribuendo loro una determinata efficacia ai fini impositivi: essa crea delle fattispecie impositive. Lo studio della fattispecie impositiva attiene: - sia al profilo strutturale (ossia sotto il profilo degli elementi che la compongono) - sia al profilo effettuale (ossia sotto il profilo degli effetti giuridici che essa produce). In ordine al profilo effettuale gli studi della dottrina tributaristica hanno avuto ad oggetto l’individuazione dell’effetto principale ricollegabile alla fattispecie impositiva, ossia il sorgere dell’obbligazione tributaria. In particolare, è necessario analizzare gli elementi essenziali della norma tributaria impositrice: il presupposto il soggetto la base imponibile 1 3 il tasso d'imposta Il presupposto. Lo studio del presupposto d’imposta è stato tradizionalmente inquadrato in quello, dinamico, dei meccanismi di attuazione del tributo. Pertanto, il presupposto è stato considerato, da questo punto di vista, per la sua attitudine ad essere fonte dell’obbligazione tributaria. Lo studio del presupposto, sotto il profilo statico, è iniziato in epoca relativamente recente, quando si è ricollegata ad esso la ratio, il principio ispiratore del tributo (v. in particolare gli studi di FEDELE e FANTOZZI). Più precisamente, individuato il profilo statico del fenomeno impositivo nella relazione tra fatto economico (potenzialità economica) e prelievo, la dottrina ha evidenziato che tale relazione avviene attraverso l’intermediazione del presupposto in cui la ratio del tributo si estrinseca in elementi normativi che ne fissano l’attitudine specifica alla contribuzione. I fatti economici sono così assunti nel presupposto in una dimensione giuridica, accogliendo in esso: - fatti giuridici direttamente espressivi del loro contenuto patrimoniale; - fatti e rapporti idonei a lasciare indurre l’esistenza di altri fatti aventi contenuto patrimoniale (consiste in questo la distinzione tra imposte dirette e indirette). Il presupposto deve essere distinto dall’oggetto che è costituito dalla ricchezza ovvero dalla capacità economica che il tributo intende colpire. Esempio: nell’imposta di registro - l’oggetto è la ricchezza trasferita; - il presupposto è costituito dagli atti, i contratti ed i fatti giuridici previsti dalla legge e dalla tariffa allegata. Esempio: nell’IRPEF 1 4 - l’oggetto è il reddito personale; - il presupposto è il possesso del reddito da parte di una persona fisica. Un problema particolare che la dottrina si è tradizionalmente posto è quello della possibilità di assumere quale presupposto di un tributo il fatto illecito. Secondo la prevalente dottrina (v. MICHELI, FANTOZZI) nulla impedisce in via di principio che un fatto qualificato illecito da altre norme dell’ordinamento venga considerato espressivo di attitudine a concorrere alle spese pubbliche. Esempi: redditi derivanti dal contrabbando di sigarette, dallo spaccio di stupefacenti o dal commercio di beni rubati. Il soggetto. Il soggetto passivo costituisce il centro di imputazione degli effetti del presupposto: colui al quale viene riferito il tributo. Esso è di regola colui che ha posto in essere il fatto manifestativo di capacità contributiva. Vediamo come la prevalente dottrina ponga nell’ambito dei soggetti passivi anche soggetti diversi dal contribuente, ossia il sostituto d’imposta ed il responsabile d’imposta. Il principio di capacità contributiva richiede che tra fattispecie oggettive e fattispecie soggettive della norma tributaria sussista un rapporto valutabile in termini di capacità contributiva. La legge non può scegliere un soggetto cui imputare un tributo che sia totalmente svincolato dalla capacità contributiva manifestata dal presupposto di quel tributo. Il soggetto attivo , creditore di una prestazione pecuniaria, è lo Stato, che opera attraverso gli Uffici dell'Amministrazione finanziaria che accertano e riscuotono le imposte. La base imponibile. E’ la grandezza che misura la capacità contributiva manifestata dal presupposto 1 5 ovvero l’oggetto del tributo. Di regola essa è espressa in denaro (es. l’ammontare di un reddito, del valore di un bene, il corrispettivo di un contratto). Può, tuttavia, anche essere riferita a cose misurate secondo proprie caratteristiche (es. imposta di circolazione degli autoveicoli misurata sui cavalli fiscali), ovvero secondo caratteristiche di misura e di peso (es. imposte di fabbricazione ragguagliate alla quantità di prodotto), o infine essere costituita da cose nella loro unità (es. la soppressa imposta sui cani). Nell’esigenza di trasformare una concreta manifestazione di capacità contributiva in una somma di denaro da versare all’ente impositore, la norma impositrice provvede a determinare: - sia la composizione della base imponibile - sia i criteri della sua misurazione. Con riguardo alla composizione, la legge indica di regola quali sono gli elementi che compongono la base imponibile. Ad es., nell’imposizione sui redditi, prevede che i redditi di lavoro autonomo e d’impresa vengono assoggettati ad imposizione al netto, indicando la legge le componenti negative che vanno dedotte dalle componenti positive. Riguardo alla misurazione della base imponibile, invece, la legge può prevedere - la determinazione della qualità merceologica degli oggetti sottoposti al tributo (es. ai fini dell’applicazione della tariffa doganale); - la loro numerazione o il loro peso, volume lunghezza o superficie (v. le imposte di fabbricazione o le imposte sulla pubblicità e sulle pubbliche affissioni); nella maggior parte dei tributi, tuttavia, la base imponibile è costituita dall'espressione monetaria del valore. Il tasso d'imposta. E’ costituito dal coefficiente da applicare alla base imponibile per estrarre da essa l’ammontare dell’imposta. 1 6 Il tasso può essere: - fisso (quando è espresso in un ammontare invariabile quale che sia la grandezza della base imponibile) - variabile (in tal caso il tasso da applicare alla base imponibile è costituito da un’aliquota). L’aliquota può essere: - proporzionale (quando rimane costante con il valore della base imponibile) - progressiva (quando muta più che proporzionalmente al crescere della base imponibile). Finora abbiamo analizzato gli elementi che formano la fattispecie impositiva e che rappresentano gli elementi essenziali della norma tributaria impositrice. 1.4. Altri tipi di norme tributarie: le norme formali Vediamo, ora, un secondo tipo di norme appartenenti all’ordinamento tributario, le quali disciplinano il procedimento di attuazione della norma tributaria: le norme formali. Si tratta delle norme dirette a disciplinare obblighi strumentali, quali, ad esempio, - la presentazione di dichiarazioni; - le modalità di effettuazione dei versamenti; - la tenuta di scritture contabili; - la soggezione ai poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria; - le modalità con cui l’Amministrazione deve effettuare controlli e rettifiche. Anche queste norme impongono situazioni soggettive attive e passive - sia all’ente impositore ,sia al contribuente, sia ad eventuali terzi coinvolti nell’attuazione del tributo. Anche queste norme sono legate alla norma impositrice attraverso il principio di legalità e di vincolatezza alla capacità contributiva. 1 7 Ciò comporta che: - anche le norme formali o procedimentali devono concorrere alla migliore determinazione della capacità contributiva colpita dal tributo - gli uffici devono rispettare rigorosamente tali norme, potendo il contribuente contestare l’illegittimo operato dell’Amministrazione sia sotto il profilo della legittimità sostanziale del prelievo (verificarsi o meno del presupposto) sia sotto il profilo della legittimità formale dell’imposizione. Le norme formali o procedimentali possono essere contenute anche in atti normativi secondari, in virtù del carattere relativo della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. 1.5. Il concetto di efficacia di una legge in generale Le leggi e i regolamenti diventano obbligatori o entrano in vigore solo a seguito della loro pubblicazione (che per le leggi e i regolamenti dello Stato è eseguita nella Gazzetta ufficiale) e, se non è diversamente disposto, il quindicesimo giorno successivo ad essa (art.73, comma 3°,cost., art.10 prel.). La loro obbligatorietà è, dunque, subordinata ad un adempimento , come la pubblicazione, diretto a renderli conoscibili da parte di chi deve osservarli; ma s tratta di una conoscibilità astratta ossia della virtuale possibilità, per ciascun destinatario , di conoscerli attraverso la loro pubblicazione: leggi e regolamenti, una volta pubblicati, obbligano anche chi si fosse trovato, in concreto, nella assoluta impossibilità di venirne a conoscenza. Le leggi, o singole norme in esse contenute, cessano di avere efficacia o per espressa disposizione di una legge successiva (art. 15 prel.) o per referendum popolare (art. 75 Cost.) o per sentenza di illegittimità costituzionale (art.136 Cost.). In questi casi si parla di abrogazione espressa; ma una norma di legge può perdere efficacia anche per incompatibilità con una nuova disposizione di legge oppure perchè una nuova 1 8 legge regola l'intera materia (art. 15 prel.), e si dice allora che la precedente norma è stata tacitamente abrogata. Altro principio generale è quello secondo il quale la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo (art. 11 prel.). Questo principio assume valore di precetto costituzionale, vincolante la legislazione ordinaria, solo per le leggi penali: solo a queste fa riferimento la Costituzione, allorchè stabilisce che nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso (art.25, comma 2°, Cost.). Rispetto al diritto privato, invece, la irretroattività della legge risulta sancita solo da una norma generale di legge ordinaria (quale è il c.c., con le relative preleggi); e, in quanto norma di legge ordinaria , essa è derogabile da altre leggi ordinarie, che possono attribuire a se stesse effetto retroattivo. Questa possibilità di deroga non dovrebbe considerarsi illimitata: la retroattività della legge, essendo una eccezione ad una regola generale, altera il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.); sarebbe, perciò, da considerarsi legittima solo in presenza di un ragionevole motivo che la giustifichi. La tendenza della nostra giurisprudenza è però nel senso di riconoscere al legislatore l'insindacabile potere di attribuire effetto retroattivo alle proprie leggi. In ogni caso, la retroattività della legge deve risultare in modo esplicito o, quanto meno, desumersi dalla funzione della legge. Legge non retroattiva significa, in concreto, legge che non influisce sul fatto compiuto. Pertanto è legge retroattiva quella diretta ad influire su fatti compiuti, privandoli ex post di ogni effetto o attribuendo loro ex post effetti che in precedenza non avevano. La retroattività incontra però un limite naturale: la legge retroattiva non si applica a quei fatti che abbiano esaurito per intero le loro capacità di produzione di effetti giuridici. 1 9 Capitolo 2 L’efficacia della norma tributaria nel tempo: la retroattività della norma tributaria 2.1. Principi fondamentali in tema di efficacia temporale delle norme tributarie Dopo aver definito il diritto tributario ed avere analizzato la struttura della norma tributaria e i vari princpi che la disciplinano, andiamo ad occuparci di un aspetto particolare della norma tributaria connesso alla sua efficacia. Iniziamo con l'analizzare le caratteristiche proprie della norma tributaria nella sua dimensione temporale. Quando parliamo di efficacia nel tempo dobbiamo prendere in considerazione diversi aspetti. Il primo riguarda il “quando” entra in vigore una norma tributaria, ancora il problema connesso alla sua possibile applicabilità retroattiva ed infine il problema connesso alla abrogazione e quindi alla possibile sopravvivenza di effetti di una norma tributaria che quando era stata introdotta era una norma obbligatoria. Le norme tributarie contenute sia in leggi che in regolamenti, al pari di qualunque altra norma giuridica, sono sottoposte alla disciplina generale dettata dal nostro ordinamento in tema di efficacia di cui prima abbiamo fatto cenno. 2 0 Le norme fondamentali da cui deve partire l’analisi sono gli articoli 10 e 11 delle disposizioni preliminari al Codice civile vigente. L’articolo 10 disp. prel. c.c. stabilisce che in linea generale le norme di legge e regolamentari entrano in vigore, cioè divengono efficaci, quindici giorni dopo la loro pubblicazione, trascorso il cosiddetto periodo di vacatio legis. Sarà poi il legislatore che potrà ridurre questo periodo, annullandolo anche completamente, stabilendo l’entrata in vigore della norma lo stesso giorno della pubblicazione. Questa possibile anticipazione della entrata in vigore della norma, però, non rappresenta una efficacia retroattiva, che è cosa ben diversa. Una disposizione molto simile la troviamo nell’articolo 73, comma terzo, della Costituzione, dove si ribadisce che le norme sono pubblicate dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno dopo la loro pubblicazione, salvo che la stessa legge non stabilisca diversamente. Nonostante si tratti di una norma costituzionale, la presenza di questo specifico rinvio permette al legislatore ordinario di stabilire un termine iniziale diverso; quindi non cambia nulla rispetto a quanto detto circa l’articolo 10 delle disp. prel. cod.civ. Come abbiamo già detto in precedenza, l’articolo 11 disp. prel. c.c. invece esprime un altro principio molto importante, secondo cui la legge dispone solo per l’avvenire, non potendo avere un effetto retroattivo. La formulazione della norma è molto chiara e dal contrasto fra la forma positiva (la legge non dispone che per l’avvenire) e quella negativa (non ha effetto retroattivo) si coglie maggiormente il concetto che il legislatore del 1942 ha voluto esprimere: l’irretroattività delle norme giuridiche. Le conseguenze di questa decisione sono fondamentali sia sul piano della certezza del diritto, sia su quello della tutela del cittadino, in quanto le nuove norme potranno essere applicate solo a fattispecie concrete verificatesi dopo l’entrata in vigore della norma stessa. Per quanto riguarda, invece, la cessazione degli effetti giuridici delle norme di legge i casi più comuni sono quelli della abrogazione, della deroga e della regolamentazione 2 1 dell’intera materia. Si parla di abrogazione quando cessano gli effetti giuridici di una norma in quanto incompatibile con una norma di pari grado e successiva nel tempo. Può essere espressa o tacita a seconda che la norma posteriore indichi o meno la norma anteriore incompatibile. La deroga, invece, si ha quando una norma successiva, con un ambito applicativo più ristretto, contrasta con una precedente. Relativamente a quell’ambito applicativo produrrà effetti la norma successiva e quindi la precedente verrà derogata. Infine si ha cessazione dell’efficacia di una legge per regolamentazione dell’intera materia quando una nuova legge regola l’intera materia già regolata dalla legge anteriore, che, quindi, perderà effetto. Se il contrasto riguarda, invece, norme di grado differente non ci sarà abrogazione o deroga ma illegittimità. Un ultimo caso, particolare ma molto diffuso nel diritto tributario, è quello del cosiddetto termine finale. E’ il legislatore che decide quando la norma debba cessare di produrre effetti, quindi questo non deriva dal contrasto con una norma successiva. Un esempio in questo senso lo troviamo nelle leggi che contengono regimi agevolativi. Terminata l’analisi delle regole generali circa l’efficacia nel tempo delle norme giuridiche, bisogna analizzare il concetto di retroattività, per vedere poi più avanti se l’efficacia retroattiva si può conciliare con le norme del Codice civile e della nostra Costituzione. 2.2. La retroattività della norma tributaria Con il termine retroattività si fa riferimento ad un particolare fenomeno per cui la 2 2 norma giuridica prende a base della sua disciplina fattispecie verificatesi prima della sua entrata in vigore. Questo fenomeno, che presenta caratteristiche particolari riguardo alle norme impositive (per esempio quelle che introducono nuove imposte, quelle che aumentano aliquote di imposte esistenti, quelle che eliminano o riducono trattamenti agevolativi) è stato oggetto per lungo tempo di analisi da parte della dottrina la quale è arrivata a conclusioni differenti. Dal 1950 fino ad oggi il problema della retroattività delle norme tributarie è stato affrontato da esponenti importanti della dottrina giuridica e sempre con intenso e vivo impegno. Tutto ciò è dimostrato dalla numerosa produzione di scritti sul tema e dalle varie e spesso diverse tesi che ciascun autore ha voluto mettere in luce. Grande interesse è stato mostrato riguardo alla natura e gli effetti dell’articolo 11 delle disposizioni sulla legge in generale contenute nel Codice civile del 1942, in quanto rappresenta il punto di partenza per una chiara e completa analisi del fenomeno retroattivo e , nel caso specifico, della retroattività della norma tributaria. La dottrina dominante analizza il concetto di retroattività della norma tributaria distinguendo fra retroattività propria ed impropria. Si parla di retroattività propria quando sia la fattispecie che i suoi effetti si collocano nel passato rispetto all’entrata in vigore della legge. L’esempio tipico che viene fatto è quello delle norme che prorogano l’efficacia di esenzioni scadute; infatti dopo la loro scadenza il legislatore può ritenere che dovessero essere mantenute e ne dispone la proroga attraverso una norma di legge che produca effetti dal momento della scadenza delle esenzioni, quindi anteriormente alla sua entrata in vigore. Si ha, invece, retroattività impropria quando la legge istituisce un tributo da corrispondere dopo la sua entrata in vigore ma riferendolo a fatti verificatisi prima di essa. I casi di retroattività impropria non sono stati rari e sono serviti soprattutto a recuperare a tassazione manifestazioni di capacità contributiva sfuggite nel passato. Come nel caso della famosa legge 246 del 1963 (oggetto fra l’altro di una importantissima sentenza della Corte costituzionale, la n. 44 del 1966) che voleva 2 3 applicare al passato l’imposta sugli incrementi di valore delle aree fabbricabili. Altri autori, invece, sostengono che questa distinzione non abbia fondamento e tutto il fenomeno della retroattività debba essere ricondotto a quello della retroattività impropria, non sussistendo, quindi, alcuna distinzione. Infatti, nel caso di retroattività propria, gli effetti prodotti dalla norma non sono anticipati; essi si producono ugualmente dopo la sua entrata in vigore e consistono, trattandosi per esempio di una proroga di esenzione temporanee scadute, o nella estinzione del potere di imposizione, se i fatti tardivamente esentati non sono stati assoggettati a tassazione, o nella nascita del diritto al rimborso, se la tassazione ha avuto luogo. In questo esempio i due effetti possibili della norma retroattiva, estinzione del potere di imposizione o diritto al rimborso, si producono comunque dopo l’entrata in vigore della norma e non prima. In sostanza, afferma questa parte della dottrina, non è possibile che una norma nuova vada indietro nel tempo e faccia nascere effetti giuridici per un periodo ormai già trascorso. La norma tributaria retroattiva dispone solo per il futuro e la caratteristica della retroattività e giustificata dal semplice fatto che la norma assume a presupposto dell’ imposta fatti accaduti nel passato. 2.3. Applicazione all'ordinamento tributario dell'art. 25, 2 comma Cost. Spostando l’attenzione direttamente alla nostra Costituzione, l’unica disposizione che fa riferimento al principio di retroattività è l’articolo 25 secondo comma che dispone: ”Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto compiuto”. Parte della dottrina è concorde nel ritenere che il legislatore costituente, nel porre in essere l’articolo 25, non affrontò il problema generale della retroattività della legge, 2 4 ma si limitò solo a recepire, quasi automaticamente, un principio fondamentale di diritto penale “nullum crimen sine lege” che contiene in se’ non solo il principio della riserva di legge, ma anche e soprattutto quello della irretroattività della legge penale. Quindi la norma contenuta nell’articolo 25 riguarda soprattutto la materia penale e la sua applicazione non può essere estesa né a quella civile né a quella fiscale, a meno che, come accade di frequente, la norma fiscale non abbia carattere sanzionatorio, caratteristica che legittimerebbe senz’altro il ricorso e l’applicazione della garanzia contenuta nell’articolo 25 della Costituzione. Vale però la pena di ricordare che qualche Autore ha cercato di collegare il principio della irretroattività della legge penale alla materia fiscale, con argomentazioni che non sono state condivise, soprattutto dalla giurisprudenza della Corte costituzionale. Secondo il Barile le leggi tributarie sono, di regola, provviste di norme penali secondarie, quindi il principio contenuto nell’articolo 25 della Costituzione dovrebbe essere applicato anche alle norme tributarie, con la conseguente illegittimità delle stesse in tutti quei casi in cui producessero un effetto retroattivo. Questa ricostruzione del fenomeno è stata contrastata soprattutto dal Manzoni, secondo il quale non è affatto vero che le leggi tributarie stabiliscono sanzioni penali in senso proprio, cioè pene criminali, alle quali soltanto si riferisce l’articolo 25 della Costituzione, essendo spesso sufficiente a garantirne l’osservanza sanzioni a carattere meramente civile (per esempio la non producibilità in giudizio). Ma la fragilità della tesi del Barile sta nel fatto che l’osservanza delle eventuali norme sanzionatorie da parte del contribuente non può che essere successiva all’entrata in vigore della legge stessa; per esempio obbligo di denunciare il patrimonio che esisteva in un momento passato, obbligo di produrre documenti o rispondere a questionari relativi a situazioni passate. Quindi, secondo Manzoni, non essendoci una retroattività della norma sanzionatoria, non si può parlare di violazione dell’articolo 25, di illegittimità della norma sanzionatoria e, indirettamente, di illegittimità della norma fiscale. Anche il Werthmuller ha cercato di ricavare un principio di irretroattività della norma 2 5 tributaria utilizzando gli articoli 25 e 23 della Costituzione. Proprio partendo dal confronto fra queste due disposizioni, l’Autore osserva che l’ordinamento tributario ha caratteristiche simili a quello penale, essendo, sia la pena che l’imposta, limitazioni alla libertà del singolo. Per questo motivo il principio di irretroattività, esistente per la norma penale, si deve senz’altro estendere al diritto tributario. Questa posizione non è stata accolta da un’altra parte della dottrina che riconosce quale principio fondamentale dell’ordinamento fiscale il principio solidaristico e quindi, anche volendo ammettere una limitazione dei diritti del singolo, questa può essere giustificata dal fine di realizzare il fine solidaristico stesso, secondo cui tutti devono partecipare proporzionalmente alle spese pubbliche. E questa parte della dottrina ha paradossalmente utilizzato l’accostamento fra l’articolo 25 e l’articolo 23 della Costituzione al fine di riconoscere una volontà del legislatore costituente circa la completa ammissibilità delle leggi tributarie retroattive e, più in generale di tutte le norme extrapenali. Infatti il Barile sostiene che attraverso un ragionamento a contrario si può facilmente ricavare che il principio della irretroattività, non solo è limitato alla materia penale, ma anche che la Costituzione abbia indirettamente riconosciuto la retroattività tributaria, per il semplice fatto che il limite alla retroattività è stato riconosciuto esplicitamente solo in materia penale. Ma questa sembra una conclusione troppo affrettata perché è pacifico che, come risulta dai lavori preparatori, il legislatore costituzionale non ha mai preso in considerazione questo problema con riferimento alle norme tributarie. Tirando le fila del discorso fin’ora svolto circa la legittimità costituzionale delle norme retroattive extrapenali, con particolare attenzione a quelle tributarie, bisogna riconoscere che non esiste nel nostro ordinamento, né a livello di legge ordinaria, né a livello costituzionale, un principio che sancisca espressamente l’irretroattività di tali norme e che sia in grado di vincolare il legislatore ordinario. Così come affermato chiaramente dalla Corte costituzionale, il fatto che non ci siano limiti espressi alla retroattività delle leggi extrapenali, non significa automaticamente, che il controllo della Corte sia escluso riguardo a tali leggi. Bisogna valutare se all’interno della 2 6 Carta Costituzionale esistono dei principi che potrebbero essere lesi da una legislazione fiscale retroattiva. 2.4. Analisi degli articoli della Costituzione da cui la dottrina ha ricavato il principio di irretroattività della norma tributaria La prima disposizione che è stata analizzata, tra quelle che hanno un particolare legame con l’ordinamento tributario, per mettere in evidenza un eventuale limite per la legislazione fiscale retroattiva, è l’articolo 23 della Costituzione, il quale sancisce che: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Questa disposizione rappresenta un principio fondamentale della materia fiscale; si tratta della cosiddetta riserva di legge, nel senso che le scelte di politica fiscale sono riservate al legislatore ordinario e sottratte, quindi, al potere esecutivo. Parte delle dottrina, seguendo un’impostazione della Consulta, che ha sempre escluso che l’articolo 23 Cost. potesse rappresentare un limite alla retroattività delle norme fiscali, ha osservato che un tributo imposto con legge retroattiva, non è di per sé un tributo sine lege (situazione questa che giustificherebbe l’illegittimità della norma per violazione dell’articolo 23 Cost.), se vengono indicati con precisione gli elementi fondamentali del tributo stesso. Quindi la norma retroattiva potrà anche violare il disposto dell’ articolo 23 Cost., ma si tratterà di un fatto puramente accidentale, non di una conseguenza automatica della retroattività. Secondo il Barile queste conclusioni non sono accettabili perché, spesso, si possono verificare dei casi in cui la norma tributaria retroattiva è approvata per legge, con formale rispetto dell’ articolo 23, ma dal punto di vista sostanziale si potrebbe avere 2 7 un contrasto con l’articolo 23 stesso. Questo accade tutte le volte che una legge retroattiva viene introdotta con l’unico scopo di sanare una precedente situazione illegittima. E’ il caso di una disposizione che voglia attribuire il grado di legge formale a precedenti provvedimenti amministrativi istitutivi di tributi e, come tali, illegittimi per un evidente contrasto con il principio della riserva di legge. Altre due disposizioni su cui la dottrina ha soffermato la sua attenzione sono gli articoli 41 e 42 della Costituzione. L’articolo 41 stabilisce che: “ L’ iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. In riferimento a questo articolo, la Corte costituzionale ha escluso che si possa desumere l’illegittimità costituzionale di una legge tributaria retroattiva. Questa affermazione della Corte è generalmente accettata dalla dottrina, anche se, non è mancato chi ha cercato di individuare un collegamento fra la retroattività tributaria e l’iniziativa privata; quest’ultima riconosciuta e tutelata proprio nell’articolo 41 della Costituzione, con l’unico limite del contrasto con l’utilità sociale. Il Forte, sostiene, che si possa parlare di iniziativa privata nel momento in cui i cittadini-contribuenti ripartiscono il reddito fra consumi e risparmi, avendo chiaro quale sia il costo fiscale che debbono sopportare. Nel caso in cui si dovesse vivere nella completa insicurezza del carico fiscale, questo tipo di iniziativa verrebbe a essere limitato, forse, oltre il limite dell’utilità sociale. L’articolo 42 secondo e terzo comma, in tema di proprietà, stabiliscono, invece, che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di 2 8 renderla accessibile a tutti. La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale”. Secondo il Forte, un’imposta sul patrimonio, che colpisce retroattivamente, può risolversi in una lesione del diritto di proprietà; infatti, un eventuale somma di imposte dovute per il presente e per il passato, possono costringere il contribuente alla liquidazione di parte del patrimonio, con un’indubbia lesione del diritto di proprietà. Un’altra parte della dottrina, invece, sempre analizzando l’articolo 42 Cost., cerca di mettere in evidenza il fatto che il prelievo fiscale, in alcuni casi, si può tradurre in una vera e propria espropriazione senza indennizzo. Questa posizione del Werthmuller non può essere accolta perché l’espropriazione è un istituto nettamente distinto e autonomo dal rapporto tributario. L’imposizione fiscale comporta un debito pecuniario, cioè l’obbligo del pagamento di una somma di denaro, non il trasferimento di un certo bene da un soggetto ad un altro. Il risultato può essere lo stesso, ma gli effetti giuridici di queste due situazioni sono diversi. E’ intervenuta, poi, la stessa Corte costituzionale, la quale ha negato una possibile violazione dell’articolo 42 Cost. da parte di una legge fiscale retroattiva, per il semplice fatto che, tale legge, non da’ luogo ad un’espropriazione, ma solo ad un’obbligazione pecuniaria verso lo Stato. Gli ultimi due articoli della Costituzione che sono stati esaminati, al fine di poter rintracciare qualche limite alla legislazione fiscale retroattiva, sono gli articoli 53 e 81. Per interesse e complessità, l’articolo 53 sarà oggetto di un’analisi particolare nel prossimo paragrafo. Il Werhmuller afferma che: “Dalla norma che prescrive l’annualità dei bilanci, discende l’illegittimità delle norme tributarie retroattive, in quanto esse tendono a portare varianti ai bilanci approvati”. 2 9 Alcuni Autori, invece, contrastano con questa visione dell’articolo 81 e sostengono che una corretta interpretazione di questa disposizione, mostrerebbe come nuovi e maggiori tributi possono essere introdotti, con lo scopo di coprire nuove o maggiori spese che lo Stato deve sostenere. Quindi non si avrà variazione del bilancio tutte le volte che la legge tributaria retroattiva sarà dettata dall’esigenza di reperire fondi per far fronte alle nuove e maggiori spese. 2.5. Il principio di capacità contributiva in riferimento alla retroattività delle norme tributarie L’articolo 53 della Costituzione secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”, rappresenta il punto di arrivo dell’indagine circa la legittimità costituzionale delle norme tributarie retroattive. Prima di tutto perché rappresenta il principio fondamentale di tutto l’ordinamento tributario, poi perché, proprio in riferimento a questa disposizione, sono state espresse le teorie più interessanti sul tema fin’ora trattato, tesi che, nella maggior parte dei casi, sono arrivate ad una conclusione importante secondo cui esistono dei limiti alla legittimità costituzionale dell’efficacia retroattiva delle norme fiscali impositive. La tesi da cui prendo spunto per analizzare l’articolo 53 come limite alla retroattività delle norme fiscali retroattive, è stata espressa da alcuni autorevoli autori, secondo i quali la capacità contributiva non fa riferimento ad una capacità cronologicamente indefinita, ma ad una situazione economica presente ed attuale del contribuente; quindi, poiché la legge tributaria retroattiva colpisce il soggetto in relazione ad una 3 0 situazione economica passata, essa è illegittima per violazione dell’articolo 53 primo comma. poiché la capacità contributiva deve essere attuale, cioè sussistere almeno nel momento dell’entrata in vigore della legge, un tributo introdotto con legge retroattiva, facendo riferimento a fatti passati, colpirebbe una capacità non più attuale, con violazione dell’articolo 53. Si escluderebbe, in questo modo, qualunque possibilità per il legislatore di emanare norme impositive con effetto retroattivo. Secondo la posizione della corte costituzionale, quest'ultima oltre ad escludere una possibile illegittimità della norma per un contrasto con gli articoli 23, 25, 41 e 42 della Costituzione, analizza il problema della norma retroattiva riguardo all’articolo 53, risolvendo la questione in maniera rapida e molto simile alla sentenza numero 118 del 1957. Infatti si afferma che: “Quanto all’articolo 53 della Costituzione, che afferma il dovere di tutti di concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva, a prescindere dalla sua portata generale, si rileva che non è esatto che una legge tributaria, quando è retroattiva, violi per sé stessa il principio di capacità contributiva.” Dopo tutta una serie di sentenze nelle quali la corte ha assunto posizioni diverse, con la sentenza 315/1994, prende in considerazione, al fine di verificare la legittimità della norma retroattiva, un altro criterio, quello della “prevedibilità”. In sostanza la tassazione retroattiva deve essere considerata costituzionalmente legittima, in quanto rispettosa del limite imposto dall’articolo 53 della Costituzione, tutte le volte in cui il recupero a tassazione di una ricchezza manifestatasi nel passato poteva essere presumibilmente prevista dal contribuente nel momento in cui tale ricchezza si era effettivamente manifestata. Inoltre una norma retroattiva “prevedibile” dal contribuente è anche ragionevole e di conseguenza non viola in principio fondamentale del nostro ordinamento di certezza dei rapporti giuridici. Il problema però è un altro; quello di poter sapere con certezza quali siano gli elementi in base ai quali sussista la prevedibilità. Ma di questo la Corte costituzionale 3 1 non si è fatta carico, forse per mantenere uno spazio più o meno ampio di libertà nelle sue decisioni e quindi riservandosi la possibilità di decidere secondo quelle che sono le esigenza del caso concreto. Al di là di ciò, la cosa importante da mettere in evidenza è che attraverso l’interpretazione della Corte costituzionale l’articolo 53 e quindi il principio di capacità contributiva è diventata una norma che legittima l’imposizione retroattiva, anche se tale legittimazione non è assoluta, ma contenuta entro determinati limiti. 2.6. “Statuto del contribuente”: irretroattività della norma tributaria L’articolo 3, primo comma, della legge 212/2000, stabilisce che “salvo quanto previsto dall’articolo 1, secondo comma, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo”. L’articolo 1, secondo comma, prevede l’adozione di norme interpretative, che per la loro specifica natura producono un effetto retroattivo e che quindi non interessano poiché la nostra attenzione si concentra soltanto sulle norme impositive. In questo senso il contenuto dell’articolo 3 dello Statuto è molto chiaro poiché prevede che non possano essere più emanate disposizioni fiscali impositive con effetto retroattivo. Dal confronto fra l’articolo 3 dello Statuto e l’articolo 53 della Costituzione, credo possa sorgere un dubbio di legittimità costituzionale della disposizione dello Statuto stesso. Infatti l’articolo 3 della legge 212/2000 limita l’efficacia temporale delle norme fiscali prevedendo la possibilità per queste di colpire una capacità contributiva che si realizza solo in un momento successivo all’entrata in vigore della norma 3 2 impositiva e non anche una manifestazione di ricchezza realizzatasi nel passato. In sostanza elimina qualunque possibilità di efficacia retroattiva, la quale invece sembra trovare un’implicita legittimazione, almeno secondo le ultime interpretazioni della Corte costituzionale, nell’articolo 53 della Costituzione che è norma di grado superiore rispetto all’articolo 3 dello Statuto. la disposizione dello Statuto che vieta l’efficacia retroattiva disciplina soltanto in modo più restrittivo quanto si desume dall’articolo 53 della Costituzione. Attraverso il criterio della capacità contributiva si legittima un’imposizione che colpisce una ricchezza che si manifesta nel futuro (come è normale che sia in quanto la legge dispone per il futuro), nonché una ricchezza già manifestata nel passato, entro determinati limiti a tutela del contribuente. L’articolo 3 dello Statuto non si pone in contrasto con la Costituzione in quanto non contiene una disciplina diversa o più ampia circa gli effetti temporali delle norme impositive fiscali, prevedendo, per esempio, che l’imposizione retroattiva è sempre legittima. Una norma del genere sarebbe senz’altro incostituzionale perché estenderebbe troppo la possibilità di ricorrere all’effetto retroattivo, anche oltre i limiti fissati dall’articolo 53 della Costituzione. L’articolo 3 dello Statuto non prevede qualcosa in più rispetto al principio di capacità contributiva, estendendo i limiti della retroattività, ma qualcosa di meno e ciò deve essere apprezzato, sia perchè tale disposizione rappresenta una garanzia maggiore per il contribuente rispetto a quanto si evince in modo implicito dall’articolo 53 della Costituzione, sia perché il legislatore, nonostante avesse una giustificazione per portare a tassazione ricchezze manifestatesi nel passato, ha deciso di privarsi di tale possibilità escludendo del tutto l’effetto retroattivo. Il problema, però, non è tanto quello di verificare se questa disposizione sia incostituzionale, operazione a cui forse sarà chiamata la nostra Corte costituzionale, piuttosto quello di chiarire quanto sia vincolante tale principio per il legislatore fiscale. Infatti come accade da sempre, una norma giuridica ha un’importanza 3 3 soltanto se esistono adeguati strumenti in grado di garantirne il rispetto; una norma che non potesse imporre il rispetto del suo contenuto sarebbe priva della sua essenza fondamentale. Una norma perfettamente uguale all’articolo 3 dello Statuto, quanto a forma e contenuto, esiste già da molto tempo nel nostro ordinamento. Si tratta dell’articolo 11 delle preleggi, il quale ha due elementi fondamentali in comune con l’articolo 3 dello Statuto: ha lo stesso contenuto in quanto entrambe stabiliscono che la norma fiscale produce effetti solo per il futuro (in realtà l’articolo 11 delle preleggi ha una portata più ampia poiché si riferisce ad ogni norma giuridica), e ha la stessa forza giuridica in quanto entrambe sono disposizioni di legge ordinaria. Se il problema della valenza giuridica di un tale limite all’efficacia retroattiva non si è posto con riguardo all’articolo 11 delle preleggi, perché si dovrebbe porre ora in riferimento all’articolo 3 dello Statuto? è sorto un legittimo dubbio secondo il quale tutte le disposizioni dello Statuto, quindi anche il principio di irretroattività delle leggi fiscali, possono avere una forza giuridica diversa e più intensa di quella normalmente riconosciuta alla legge ordinaria, nonostante la legge 212/2000 sia formalmente una legge ordinaria. L’eventualità che l’articolo 3 dello Statuto abbia una forza giuridica maggiore dell’articolo 11 delle preleggi nasce, come è stato già ampiamente indicato, dal fatto che il legislatore qualifica le disposizioni dello Statuto quali “principi generali” dell’ordinamento tributario. A seconda del valore più o meno inteso riconosciuto a tale qualificazione, la dottrina si è divisa; una parte ha riconosciuto le norme stesse quali precetti para-costituzionali, dotati di una forza giuridica superiore alla legge ordinaria e quindi assolutamente vincolanti per il legislatore futuro, il quale si vedrà negata la possibilità di adottare norme impositive con efficacia retroattiva, a meno che non dichiari espressamente di voler derogare all’articolo 3 dello Statuto. Un’altra parte della dottrina ha cercato di sminuire la qualificazione di queste norme quali “principi generali” e quindi le ha 3 4 considerate semplici disposizioni di legge ordinaria, assolutamente non vincolanti per il legislatore futuro. Oltre a ciò, il legislatore sarebbe libero di derogare o abrogare le norme dello Statuto anche in modo implicito in quanto l’assioma di immutabilità sancito nell’articolo 1 dello Statuto sarebbe privo di qualunque valore giuridico. La stessa Corte costituzionale ha affermato che nel nostro ordinamento non c’è spazio per un principio di immutabilità simile a quello contenuto nell’articolo 1 della legge 4 del 1929 e che è stato reintrodotto nell’ordinamento fiscale attraverso lo Statuto del contribuente. Quindi con l’entrata in vigore della legge 212/2000 si può affermare, con tutte le cautele del caso, che in materia fiscale esiste un limite espresso alla normazione retroattiva, anche se per verificare gli effetti positivi di questa coraggiosa decisione sarà necessario attendere del tempo e augurarsi che la volontà dei tutela del contribuente che ha manifestato il legislatore attraverso le disposizioni dello Statuto venga ricordata e ulteriormente affermata con forza dal legislatore futuro. 3 5 Capitolo 3 L’efficacia della norma tributaria nello spazio: il principio di territorialità dell’imposta 3.1. Problemi in tema di efficacia della norma tributaria nello spazio Per quanto riguarda l'efficacia nello spazio della norma tributaria, dobbiamo prendere in considerazione tre diversi problemi: il problema della determinazione dello spazio in cui la legge esplica in generale la propria validità ed efficacia; il problema dei limiti che il legislatore statale incontra in materia tributaria quando intenda attribuire rilevanza a fatti realizzatisi in tutto o in parte fuori il territorio dello Stato o ad opera di soggetti residenti in un altro Stato; il problema dei limiti territoriali della potestà amministrativa di dare concreta ed effettiva attuazione al prelievo. 3 6 3.2. Il principio di territorialità La norma tributaria in virtù del principio di sovranità dello Stato nel proprio territorio, di regola, esplica la propria efficacia in tutto il territorio dello Stato, salve espresse deroghe al riguardo; ad esempio art.2, D.P.R. n.43/1973: esclude dal territorio doganale certe porzioni del territorio nazionale (i comuni di Livigno e di Campioni d'Italia ed alcune parti del lago di Lugano). Il legislatore nella disciplina dell'imposizione dei redditi ha adottato una pluralità di criteri di collegamento con il territorio statale: - oggettivi: il verificarsi in tale territorio dell’attività che costituisce il presupposto deltributo ovvero l’ubicazione nel territorio del bene colpito dall’imposizione (cd.sistema di tassazione su base territoriale); - soggettivi: in particolare, la residenza nel territorio dello Stato del soggetto cui è riconducibile il fatto indice di capacità contributiva (cd. sistema di tassazione su base mondiale o world wide system). Ne deriva un sistema combinato che fonda l’imposizione: - dei soggetti residenti sul principio dell’utile mondiale, con conseguente imposizione dei redditi da costoro ovunque prodotti; - dei soggetti non residenti sul principio di territorialità, con conseguente imposizione dei soli redditi prodotti in Italia. 3.3. La doppia imposizione internazionale e relative cause Si ha quando una situazione di fatto economicamente rilevante determina la nascita in capo ad un medesimo soggetto di due obbligazioni tributarie, in relazione ad imposte dello stesso tipo previste dalla legislazione di due Paesi diversi. Si verifica una doppia imposizione quando: A) Una medesima situazione di fatto è assunta a presupposto di un determinato 3 7 tributo: - in un Paese in base ad un criterio oggettivo (ad esempio l’imposta sui redditi si applica su tutti i redditi prodotti nel territorio dello Stato) - in un altro Paese in base ad un criterio soggettivo (ad esempio, l’imposta si applica su tutti i redditi dei residenti ovunque siano prodotti). B) Una situazione di fatto è assunta a presupposto di un medesimo tributo in due diversi Stati sulla base dello stesso criterio di collegamento. In tale caso la doppia imposizione può verificarsi in conseguenza della diversa estensione dello stesso criterio nelle varie legislazioni nazionali. Sulla base delle diverse legislazioni interne dei due Stati, infatti può accadere che, nell’applicazione di uno stesso criterio oggettivo di collegamento, un medesimo fatto venga collocato da uno Stato nel proprio territorio e da un altro Stato nel proprio. Esempio: luogo di realizzazione del reddito. Oppure può accadere che, nell’applicazione dello stessocriterio soggettivo di collegamento, un medesimo soggetto sia considerato proprio residente da entrambi i due diversi Stati. Per ciò che concerne le misure adottate per evitare il fenomeno della doppia imposizione internazionale abbiamo: 1) MISURE DI DIRITTO INTERNO: - eccezionali deroghe al sistema dell’utile mondiale ovvero, - sistema del credito d’imposta per i redditi prodotti all’estero. Art. 165 TUIR (ex art.15) prevede che: se alla formazione del reddito concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo sono ammesse in detrazione dall’imposta dovuta in Italia fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo. Poiché la disciplina tributaria sancisce che i soggetti residenti in Italia devono corrispondere le imposte su tutti i redditi di cui sono titolari, indipendentemente dal 3 8 luogo di produzione (principio di tassazione dell’utile mondiale) e se i soggetti residenti in Italia sono tassati nel Paese estero per i redditi ivi prodotti è evidente che i soggetti residenti titolari di redditi esteri sono tenuti (salvo l’applicazione di norme di esenzione in virtù di eventuali convenzioni bilaterali) a versare le imposte sia nel Paese di residenza, sia nel Paese terzo. Tale situazione determina una duplicazione d’imposta che in Italia viene corretta con il meccanismo del credito d’imposta per le imposte pagate all’estero. Il meccanismo del credito d’imposta può essere sintetizzato in questo modo: a) il soggetto passivo versa le imposte all’estero sui redditi ivi prodotti; b) il soggetto passivo calcola le imposte italiane sui redditi, italiani ed esteri, di cui è titolare; c) il soggetto passivo detrae dall’imposta netta italiana, con alcune limitazioni, le imposte già versate all’estero. 2) MISURE BILATERALI 1) Le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni. Mediante tali convenzioni viene prescelto in maniera pattizia il criterio da applicare reciprocamente, in modo che l’imposizione abbia luogo in uno solo degli Stati stipulanti. L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) e L’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) hanno elaborato appositi modelli che rappresentano i prototipi convenzionali di riferimento per la maggior parte degli Stati che intendono stipulare pattuizioni in materia fiscale. 3.4. La potestà amministrativa tributaria L’Amministrazione finanziaria - non può compiere atti che costituiscono esercizio di un potere autoritativo nel territorio di un altro Stato; - non può obbligare l’Amministrazione finanziaria di un altro Stato a compiere tali 3 9 atti in sua vece. Tuttavia, in molte convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni vi sono disposizioni volte ad assicurare la collaborazione delle Amministrazioni degli Stati contraenti nell’attività di polizia tributaria. Secondo l'Art. 26 della convenzione Modello OCSE: le Amministrazioni devono scambiarsi le informazioni necessarie per l’applicazione delle disposizioni della legislazione interna relative alle imposte incluse nel campo di operatività della convenzione. Lo scambio di informazioni può avvenire: - su richiesta con specificazione del soggetto e del tipo di informazione; - automaticamente, quando in base ad accordi particolari tra le Amministrazioni certe informazioni relative a determinate categorie di soggetti vengono automaticamente trasmesse da una Amministrazione all’altra. - spontaneamente, quando una Amministrazione trasmette all’altra informazioni di cui è venuta a conoscenza e che ritiene possano interessare quest’ultima. 4 0